Roma: dalle origini alle guerre puniche
Da chi e per quale ragione sia stato dato alla città di Roma questo grande nome, diffusosi per la sua fama fra tutti gli uomini, non c’è accordo fra gli storici. […] Neppure quelli che secondo una tradizione più genuina sostengono che Romolo sia quello che ha dato il nome alla città, sono d’accordo sulla sua origine.
(Plutarco, Vita di Romolo, 1, 1-2; trad. di A. Traglia)
Le origini di Roma, al di là del mito
Dopo quella greca, la civiltà che ha lasciato il segno più profondo nella storia europea è senz’altro quella romana: una civiltà che si manifestò in uno Stato autonomo e sempre più organizzato soprattutto dal V secolo a.C. in poi (praticamente in parallelo alla fioritura dell’Atene di epoca classica), ma le cui origini possono essere fatte risalire all’incirca cinquecento anni prima. E Roma non nacque dal nulla, come città isolata e solitaria nel territorio italico: all’inizio del I millennio a.C., anzi, il panorama della Penisola era già articolato e vivace.
Quando i primi Indoeuropei vi arrivarono (probabilmente dal Nord), la civiltà nuragica era fiorente e in parallelo si sarebbe sviluppata anche la civiltà etrusca; nel corso dell’VIII secolo a.C. i Greci sarebbero approdati sulle coste dell’Italia meridionale e in Sicilia, dove avrebbero trovato anche i Fenici; e di lì a poco i Celti sarebbero calati sino alle regioni settentrionali e centrali della Penisola. I Latini, invece, si erano andati a insediare appunto nella valle del basso corso del Tevere e, intorno a una insenatura del fiume, circondata da colli e in prossimità di un punto strategico per il commercio del sale, ben presto si era andata definendo una comunità che avrebbe man mano esteso il proprio controllo sul territorio circostante. Si trattava di una regione ricca ed economicamente importante, al punto da attirare anche l’attenzione degli Etruschi, che per parecchio tempo la tennero sotto la loro egemonia, giungendo persino – secondo la leggenda – a imporre due degli ultimi re di Roma.
Il primo patto tra Romani e Cartaginesi fu stretto al tempo di Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio, i primi a essere eletti consoli dopo la cacciata dei re; da questi fu consacrato il tempio di Zeus Capitolino. […] Questo è all’incirca il testo del patto: «A queste condizioni c’è amicizia tra i Romani e i loro alleati e i Cartaginesi e i loro alleati…».
(Polibio, III, 22; trad. di C. Tartaglini)
L’assestamento della res publica
La nascita dello Stato romano che avrebbe poi conquistato il mondo veniva però datata (già dagli autori antichi) al 509 a.C., ossia al momento della cacciata dei re e della fondazione della «cosa pubblica» (res publica): l’apparato istituzionale che governava la città e in cui la città si riconosceva, retto dal senato e dall’assemblea dei cittadini liberi. In questo primo nucleo urbano già compariva, inoltre, una divisione tra due gruppi di cittadini, di cui gli storici non hanno ancora riconosciuto in modo unanime l’origine: i patrizi e i plebei.
Nel corso del V e del IV secolo a.C., dunque, la storia di Roma ci appare dominata anzitutto da processi di sviluppo ed evoluzione interni, alimentati da una sempre maggiore necessità di bilanciamento tra la conservazione del potere detenuto sin dall’inizio dai patrizi e la richiesta di maggiore partecipazione alla gestione della città da parte dei plebei, sempre meno emarginati, sempre più numerosi (anche come esito di continui flussi migratori verso l’Urbe), spesso più abbienti. Il processo di adattamento risultò comunque lento e accidentato, talora “accelerato” anche da eventi esterni: non è escluso, per esempio, che il saccheggio dei Galli di Brenno del 390 a.C. abbia indirettamente agevolato, un paio di decenni dopo, l’approvazione delle leggi Licinie Sestie (del 367 a.C.), che sancivano l’elezione annuale di un console plebeo. Proprio la coscienza delle crescenti minacce esterne, infatti, doveva aver reso sempre più chiaro, anche ai conservatori più convinti, l’esigenza di rinsaldare il senso di appartenenza e partecipazione di tutti i cittadini a un unico Stato.
oceano Atlantico
Etruschi
Colonie greche (magnogreche e siceliote)
Cartaginesi
Roma dopo le guerre puniche e le conquiste in Oriente
Con ni degli Stati attuali
Dall’Italia al Mediterraneo
Sul finire del IV secolo a.C., quindi, nella stessa epoca in cui Alessandro stava lanciando la sua grande campagna di conquista dell’impero persiano, Roma era ormai una città-Stato di dimensioni regionali che guardava sempre più oltre i confini del suo territorio, soprattutto verso sud: era l’epoca delle guerre sannitiche, che spianarono la strada ai Romani verso le aree ancora più meridionali della Penisola e portarono poi a inaugurare i primi conflitti con i Greci delle colonie (Taranto in primis) e con i Greci delle altre sponde dell’Adriatico (quelli dell’Epiro di Pirro).
Letta con i nostri occhi, l’ascesa di Roma di quei decenni sembra una continua e inarrestabile corsa verso l’espansione del proprio territorio, o – per meglio dire – del territorio controllato dalla res publica: il III secolo a.C., in particolare, è anche l’epoca della “internazionalizzazione” di Roma, che, da potenza italica, assume man mano il peso di un attore importante della politica mediterranea, sconfiggendo anzitutto Cartagine. Ma questa ascesa fu segnata anche da alcune tappe significative di aggiornamento istituzionale, motivate dalla necessità di adattare gli organi di governo originari della città-Stato laziale al nuovo ruolo di centro di controllo di un territorio immenso: esemplare, a questo scopo, fu la creazione delle “province” (come fu per prima la Sicilia, dopo la fine della prima guerra punica), che divennero il format giuridico più spesso adottato da Roma per regolamentare la gestione dei territori man mano inglobati nella sua compagine statale.
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CRONACHE E ORIZZONTI SINCRONIE E ALTRE CIVILTÀ
Mondo romano
Al di là delle vicende interne alla città, se si dovesse semplificare la storia dei primi secoli di Roma sulla base dei suoi rapporti con comunità esterne a essa, si potrebbero indicare tre tappe fondamentali: dapprima il rapporto con gli Etruschi, che contribuirono in modo decisivo alla formazione della città, ma da cui – sin dalla fine del VI secolo a.C. – Roma cercò di rendersi indipendente; poi il rapporto con i Sanniti, che rappresentarono il primo grande ostacolo all’allargamento della sfera di influenza romana verso la ricca Magna Grecia; infine il rapporto con i Fenici, che furono gli ingombranti concorrenti nel controllo della Sicilia e poi i pericolosi avversari nell’affermazione della presenza romana nel Mediterraneo centrale. Tre tappe che, con esiti diversi, accompagnarono anche le evoluzioni istituzionali di Roma e ne scandirono il prorompente espansionismo.
Questa particolare brocca per il vino proviene dalla città etrusca di Vulci (oggi in provincia di Viterbo) e risale all’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C.: la forma e la decorazione rivelano tanto l’originalità degli artigiani locali, quanto gli evidenti contatti con la civiltà greca (forse con le prime colonie della Magna Grecia), che le fiorenti città etrusche dovevano avere precocemente sviluppato.
Gli Etruschi iniziano a consolidare la loro presenza nel territorio dell’odierna Toscana.
Si conclude il periodo di fioritura della civiltà nuragica.
Data tradizionale della fondazione di Roma, da parte di Romolo.
Mondo greco • Oriente
Mentre Roma nasceva, definiva le proprie istituzioni e avviava la sua espansione, in Oriente si andavano consolidando grandi imperi, come quello dei Zhou in Cina e poi quello dei Maurya in India, mentre la Mesopotamia aveva ritrovato una sua unità sotto il controllo del grande impero assiro (poi sostituito da quello persiano). La giovane Roma, invece, era sostanzialmente una pólis alla ricerca di un proprio equilibrio interno, ed è curioso che certi suoi passaggi istituzionali si siano verificati proprio in parallelo a quelli, altrettanto decisivi, di altre città greche. Esemplare il caso della democrazia ateniese: la cacciata dei re di Roma coincise sostanzialmente con la cacciata dei tiranni Pisistratidi da Atene; la fondazione della res publica avvenne così negli stessi anni in cui ad Atene erano promosse le riforme di Clistene (▸ p. 149).
1046 a.C.
La dinastia Zhou impone il suo potere in Cina.
VIII secolo a.C.
Tra il IX e l’VIII secolo a.C. i Fenici solcarono le acque del Mediterraneo raggiungendone i punti più estremi: la Sicilia e la Sardegna, le coste nord-occidentali dell’Africa, la Penisola iberica. Dalla città di Galera (nella provincia di Granada) proviene per esempio questa statuetta in alabastro che rappresenta una dea seduta su un trono (forse Astarte), con un bacile tra le mani, affiancata da due sfingi alate: si doveva trattare di una statuetta impiegata in qualche rituale che prevedeva abluzioni. Risale all’inizio dell’VIII secolo a.C.
Data tradizionale di fondazione dei primi giochi olimpici, a Olimpia.
V secolo a.C.
Alla città di Lavinio (oggi Pratica di Mare, sulla costa laziale) erano collegate alcune tradizioni relative alle origini di Roma: la città stessa sarebbe stata una fondazione di Enea, fuggito da Troia dopo la vittoria dei Greci e approdato in Italia. Secondo alcune tradizioni, in particolare, Enea avrebbe portato con sé il Palladio, ossia la statua di Pallade Atena: è perciò curioso che, tra altri reperti, a Lavinio sia stata trovata anche una statua in terracotta di Minerva (l’Atena dei Romani), risalente al V secolo a.C.
Leggi delle XII Tavole.
Battaglia di Maratona: fine della prima guerra persiana.
Qualche anno dopo la morte di Pisistrato, ad Atene aumentò il malcontento nei confronti del potere esercitato dai figli del tiranno, che erano succeduti al padre nel governo della città; nel 514 a.C., quindi, fu ordita una congiura contro di loro, che però portò all’uccisione di un solo Pisistratide (Ipparco), mentre l’altro (Ippia) scampò alla morte. Negli anni seguenti, i fautori della congiura –Armodio e Aristogitone, i “tirannicidi” –furono ricordati come eroi della patria: nella prima metà del V secolo a.C. fu dedicata loro persino una statua (di cui qui si vede una copia di età romana).
Durante la seconda guerra punica Roma dovette affrontare ingenti spese, che indussero la res publica a coniare più monete del solito, per sostenere i costi bellici. A quest’epoca risale probabilmente anche questo statere d’oro, che rappresenta una scena di giuramento (due guerrieri in piedi, con al centro un uomo inginocchiato che tiene un maialino, destinato al sacrificio), forse a evocare la lealtà necessaria per sostenere lo scontro con i Cartaginesi.
Le leggi Licinie Sestie stabiliscono che ogni anno debba essere eletto un console plebeo.
I Romani distruggono Corinto e Cartagine. Inizia la prima guerra punica.
In India, durante il regno di Ashoka si consolidò l’impero dei Maurya: il re promosse lo sviluppo economico, incentivando i commerci e allacciando relazioni con i lontani Stati della regione mesopotamica. Ma Ashoka decise anche di convertirsi al buddhismo e, così, contribuì alla diffusione di questa religione nel territorio indiano. In questo rilievo del I secolo a.C., in particolare, il re Ashoka (con figura di dimensione maggiore rispetto alle altre) è rappresentato in groppa a un elefante.
Le origini di Roma
GLI ANTEFATTI
Alla fine del VI secolo a.C. la supremazia degli Etruschi comincia a declinare e la loro espansione verso sud viene arrestata da un’alleanza fra Latini e Greci di Cuma. I Latini sono una popolazione di lingua indoeuropea presente nel Lazio dalla fine del II millennio a.C. Tra i loro villaggi ce n’è uno nell’area dove sorgerà Roma, la cui posizione sul Tevere è strategica per il controllo del territorio.
LO SPAZIO
LO SCENARIO
La fondazione di Roma, per tradizione datata al 753 a.C., affonda le radici in un passato leggendario, che dall’eroe troiano Enea giunge ai gemelli Romolo e Remo, per poi essere governata da sette re. La ricerca storica, con il supporto dell’archeologia, ci dice invece che la fondazione della città è frutto di un processo graduale che porta, verso la metà dell’VIII secolo a.C., all’unione di più villaggi, i quali si danno una comune organizzazione militare e religiosa, eleggendo un unico capo. La società romana arcaica è agricola e pastorale, organizzata in gruppi familiari. Secondo la tradizione, il periodo monarchico di Roma dura circa 250 anni, fino alla cacciata dell’ultimo dei tre re etruschi e alla caduta della monarchia.
La Roma antica e la sua espansione
Territorio di Roma alle origini
Territorio di Roma nel 700 a.C.
Territorio di Roma nel 500 a.C.
Coste attuali
II millennio a.C.
Insediamento dei
Latini nel Lazio
X-IX secolo a.C.
Primi resti di insediamenti dei Latini nel Lazio
753 a.C.
Fondazione di Roma da parte di Romolo
Questa Roma immensa, prima della venuta di Enea dalla Frigia non era che colline ed erba. (Properzio, VI,1)
Carta attiva Roma e la fondazione della monarchia
753-509 a.C.
Periodo regio
VIII-VII secolo a.C. Re latini e sabini
VI secolo a.C. Re etruschi. Caduta della monarchia
Il mito di fondazione
Le leggende sull’origine di Roma e delle altre città laziali Secondo i Romani, la loro città aveva avuto origine da un villaggio di pastori che abitavano sulle colline lungo il fiume Tevere, e si era sviluppata grazie all’apporto di stranieri immigrati dalla Grecia e dall’Asia Minore. Sulle origini di Roma si erano sviluppate diverse leggende, che poi vennero fuse per creare un unico racconto: quest’ultimo ci è pervenuto nella versione dello storico Tito Livio, vissuto all’epoca dell’imperatore Augusto. Si trattava di storie relative ai tre centri urbani più antichi del Lazio: Lavinio, vicino al mare presso l’odierna Pomezia; Alba Longa, presso il lago Albano nei Castelli Romani; e la stessa Roma, posta a controllo dell’attraversamento del Tevere. Ognuna di queste città cercava di attribuirsi il ruolo di nucleo primitivo della regione. Gli eroi fondatori: Enea, Iulo, Romolo Secondo il racconto di Livio, l’eroe Enea, scampato con alcuni compagni alla distruzione di Troia, era approdato nel Lazio, dove aveva sposato Lavinia, figlia del re Latino, e fondato la città di Lavinio. Il figlio di Enea, Iulo, fondò sui Colli Albani la città di Alba, chiamata “Longa” perché si allungava sul crinale di una collina; in età arcaica, Alba era in effetti il centro principale di una confederazione dei popoli latini. Il fondatore di Roma, Romolo, era discendente di Enea e di Iulo: secondo il mito, sua madre era Rea Silvia, figlia del re di Alba, Numitore. Quest’ultimo era stato detronizzato dal fratello Amulio, che aveva costretto Rea Silvia a diventare una vestale (cioè una sacerdotessa di Vesta, la dea del focolare domestico) perché non generasse figli che potessero aspirare al trono. Tuttavia, Marte, il dio della guerra, si invaghì di Rea Silvia, che in seguito alla relazione con il dio rimase incinta. Quando la sacerdotessa mise al mondo due gemelli, Romolo e Remo, Amulio ordinò che i neonati fossero abbandonati in una cesta sulle acque del Tevere; la cesta, trasportata dalla corrente, si incagliò nel luogo dove poi sarebbe sorta Roma. I due neonati furono trovati da una lupa, che li allattò, e allevati dai pastori del luogo. Divenuti adulti, i gemelli uccisero il re Amulio, restituendo il regno al nonno Numitore, quindi decisero di fondare una nuova città. Per stabilire chi dovesse diventarne il re, ricorsero all’auspicio, cioè all’interpretazione del volo degli uccelli, posizionandosi su due colli presso il guado del Tevere (Romolo sul Palatino, Remo sull’Aventino). Remo scorse per primo uno stormo di uccelli, ma Romolo riuscì a osservarne un maggior numero, si proclamò vincitore e iniziò a delimitare con un solco i confini della nuova città; Remo non accettò questa interpretazione dei segni divini, volle scavalcare il solco in segno di sfida e perciò fu ucciso dal fratello. Ciò sarebbe avvenuto, secondo i calcoli degli storici e degli eruditi dell’antica Roma, il 21 aprile del 753 a.C.
La fusione con i Sabini e la morte di Romolo Sempre secondo la leggenda, la nuova città attirò un gran numero di sbandati (pastori, briganti, fuggiaschi) che vedevano in essa una possibilità di riscatto. A causa di questa composizione sociale, tuttavia, nessuno dei popoli vicini accettava di stipulare unioni matrimoniali con gli abitanti di Roma, che dunque rischiavano di non avere discendenza. Per ovviare al problema, Romolo organizzò una festa in onore del dio Nettuno, invitando le popolazioni confinanti, in particolare i Sabini, che abitavano lungo il Tevere, poco a nord di Roma. In questa occasione i Romani rapirono le donne sabine (dopo aver messo in fuga i loro uomini) e ne fecero le loro spose. Questo rapimento scatenò una guerra con i Sabini, che si protrasse per diverso tempo senza un esito certo. Alla fine, le donne sabine, che convivevano ormai da anni con i loro mariti romani e avevano avuto figli da loro, convinsero Romani e Sabini a rappacificarsi e a stabilire un patto di alleanza, secondo il quale i due popoli si sarebbero fusi in un’unica popolazione; Romolo e Tito Tazio, re dei Sabini, avrebbero governato insieme. Romolo morì dopo aver regnato per trentotto anni. Secondo la teologia romana egli fu assunto in cielo fra le divinità: da quel momento fu venerato come un dio, con il nome di Quirino. Altre fonti riportano una versione più cruenta, secondo cui Romolo sarebbe stato ucciso dai senatori, che poi, timorosi della reazione popolare, ne avrebbero fatto a pezzi il corpo perché non fosse più ritrovato.
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Itinerario
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Il viaggio di Enea
Esplora le tappe del viaggio di Enea.
Tito Livio
La leggenda di Romolo e Remo
Nell’opera Ab Urbe condita («Dalla fondazione della città»), Livio narra la storia di Roma dalla sua nascita; il testo proposto racconta il prodigioso ritrovamento dei due gemelli. Da chi furono allevati secondo l’autore?
La “lupa capitolina” (conservata ai Musei Capitolini di Roma): una scultura in bronzo tradizionalmente ritenuta di origine etrusca (V secolo a.C. circa), ma di recente ne è stata proposta un’attribuzione all’epoca medievale (XII-XIII secolo). I gemelli sono comunque un’aggiunta effettuata nel primo Rinascimento.
LA STORIA NELLE PAROLE
Capro espiatorio
Il rito ebraico del “capro espiatorio” prevedeva che il sommo sacerdote “trasferisse” i peccati del popolo su un caprone che veniva mandato nel deserto. Un rituale simile era in uso nelle città greche: a essere scacciati dalla città erano uomini e donne che così allontanavano i mali prendendoli su di sé e portandoli lontano. La persona cui veniva assegnato l’ingrato compito era detta pharmakós, che si potrebbe tradurre con «il maledetto». Il pharmakós era dunque un “maledetto” ma anche un salvatore. In senso figurato, il “capro espiatorio” è chiunque (o qualunque cosa) venga eletto responsabile di colpe collettive delle quali è innocente (del tutto o in parte).
Il significato della leggenda Queste vicende leggendarie ci danno informazioni preziose sul modo in cui i Romani intendevano la storia della loro città e la loro identità in quanto popolo.
Uno degli aspetti più interessanti è la duplicazione del fondatore: i gemelli Romolo e Remo rappresentano infatti due aspetti di uno stesso personaggio. Remo è, tra i due, quello che concentra su di sé le caratteristiche negative: pur non facendo nulla di male, è tuttavia meno amato dagli dèi, e quindi più sfortunato. Ciò ne fa una sorta di capro espiatorio, che serve ad allontanare da Romolo, e quindi dalla città da lui fondata, la negatività e la cattiva sorte. La morte violenta di Remo, inoltre, trasforma questo personaggio in una vittima sacrificale, il cui sangue, versato sul confine della nuova città, consacra la fondazione e la protegge dai nemici. Un altro aspetto fondamentale di queste leggende è l’insistenza sulla varietà etnica del popolo romano, che si formò grazie all’ immigrazione e all’ integrazione di individui provenienti da tutti i popoli vicini (Latini, Sabini, Etruschi). Il mito mette in evidenza la grande apertura della società romana nei confronti degli stranieri, che rimase una costante per tutta la storia di Roma.
STUDIO ATTIVO SCHEMATIZZARE
Completa la seguente mappa concettuale sulla leggenda della fondazione di Roma.
discende da che era fuggito da
SPUNTI INTERDISCIPLINARI
Il primo re: un’archeorecensione
CINEMA
Il film Il primo re (2019), diretto da Matteo Rovere, ha riportato l’attenzione sull’epoca più arcaica della storia di Roma, che finora era stata poco considerata dal cinema. La trama riprende il mitico racconto della fondazione della città e segue le vicende di Romolo e Remo. I due giovani pastori, sopravvissuti a un’esondazione del Tevere, vengono ridotti in schiavitù ad Alba Longa, da cui poi riescono a fuggire scatenando una rivolta. Iniziano così un viaggio pieno di difficoltà, che li porterà un giorno a scontrarsi l’uno contro l’altro, secondo il destino che gli dèi avevano voluto per loro. Il regista si è avvalso della consulenza di vari storici e archeologi per rendere in modo fedele il periodo storico in cui è ambientata la vicenda. Inoltre, per accrescere il realismo della messa in scena, ha utilizzato solo luce naturale per tutte le riprese. Ma il film si distingue anche per una scelta coraggiosa, quella di usare il protolatino (un latino antecedente a quello arcaico, ricreato grazie al lavoro di un linguista) per tutti i dialoghi dei protagonisti. Un coraggio ripagato dai molti riconoscimenti assegnati alla pellicola (tra cui vari premi David di Donatello).
• Nonostante l’accuratezza della ricostruzione, alcuni esperti hanno notato nel film diverse incongruenze storiche. Ne è un esempio il video Il primo re: un’archeorecensione dell’archeologo Valentino Nizzo, disponibile su YouTube.
uccide e fonda Roma
combatte contro i
Guardate il video e poi, singolarmente o in gruppo, raccogliete in una tabella tutti gli errori che lo studioso ha individuato nel film. Infine scrivete un vostro commento personale: vi sembrano errori rilevanti, che riducono o compromettono il valore dell’opera? Perché?
Un’immagine dal film Il primo re di Matteo Rovere.
Dalla leggenda alla Storia
Una posizione strategica per i commerci Fin dagli inizi del Novecento, gli studiosi hanno messo a confronto le leggende sulle origini di Roma con i risultati delle ricerche archeologiche. Grazie a queste sappiamo che la nascita di Roma fu un processo graduale, le cui tappe furono trasfigurate nelle vicende descritte dal mito.
Roma si trova ai margini della pianura del Lazio, delimitata a ovest dal mar Tirreno, a est dall’Appennino, a nord dal Tevere e a sud dai Colli Albani. Si trattava di una zona strategica per gli spostamenti e i commerci grazie al fiume Tevere, una via navigabile che collegava il mar Tirreno con le regioni interne dell’Italia. Nell’area della futura città di Roma, al centro del Tevere sorgeva un’isola (l’ isola Tiberina) che facilitava l’attraversamento del fiume. In questo punto, quindi, la via fluviale che andava dal mare verso l’interno incrociava la via terrestre che collegava l’Etruria con il Lazio e la Campania, creando un passaggio obbligato per i commerci.
Il principale bene che veniva commerciato in quest’area era il sale, prodotto sulla costa tirrenica presso la foce del Tevere. Il sale aveva un enorme valore nell’antichità, perché permetteva di conservare il cibo. La sua importanza è testimoniata ancora oggi dal nome della via Salaria, la strada che collega Roma con la Sabina e le regioni appenniniche: il sale veniva trasportato con barche lungo il Tevere dal mare fino all’altezza dell’isola Tiberina, poi caricato su carri e trasportato via terra verso l’interno.
Sulla riva del fiume, in corrispondenza dell’isola Tiberina, sorgevano due colli, il Palatino e il Campidoglio, dai quali era possibile controllare il passaggio del fiume. Tutto intorno si trovavano altre colline: il Quirinale e il Viminale a nord, l’Aventino e il Celio a sud, l’Esquilino a est, per un totale di sette colli
La nascita di Roma Probabilmente nella parte finale dell’Età del bronzo (verso la fine del II millennio a.C.) si insediò in questa zona una popolazione di lingua indoeuropea, i Latini, che fondarono villaggi in tutta la regione. Resti di insediamenti datati al X-IX secolo a.C. sono riemersi sul Palatino e sul Campidoglio: grazie alla posizione elevata, i colli erano preferibili per l’insediamento rispetto alle zone pianeggianti attraversate dal Tevere, che erano per ampi tratti paludose, malsane e soggette a inondazioni. Col tempo, altri villaggi si svilupparono sui colli vicini. Ritrovamenti di ceramiche greche, databili all’VIII secolo a.C., indicano l’esistenza di contatti commerciali con l’Italia meridionale.
La “fondazione” di Roma, alla metà dell’VIII secolo a.C., non fu quindi la creazione di un insediamento completamente nuovo, ma piuttosto l’esito di un sinecismo: in questo periodo l’insediamento già da tempo esistente sul Palatino estese la propria influenza sulle comunità circostanti, inglobando i villaggi costruiti sui colli vicini. L’unione di questi villaggi fu chiamata dagli antichi “Settimonzio”, dal latino septem montes, cioè «sette monti»: questi non corrispondono però ai tradizionali “sette colli”, poiché si riferiscono a una fase più antica dell’abitato, comprendente soltanto il Palatino e l’Esquilino.
Roma sorse dunque dall’unione di alcuni villaggi che, attorno alla metà dell’VIII secolo a.C., si diedero una comune organizzazione, forse per difendersi meglio dagli attacchi dei vicini (in primo luogo gli Etruschi). In questa circostanza, essi scelsero anche un capo, detto rex: da questo momento si può parlare di Roma come vera e propria città.
Scena di costruzione o fondazione di città, pittura parietale dalla tomba degli Statilii sull’Esquilino, III secolo a.C. Roma, Museo Nazionale Romano.
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Sinecismo È un processo graduale in cui villaggi o comunità si riuniscono in un’unica organizzazione statale. Ricordi in quale contesto hai studiato questa parola? Rileggi il glossario a p. 142.
La “cista Ficoroni” e il nome “Roma”
La prima attestazione del nome “Roma” su un manufatto si trova sulla cosiddetta “cista Ficoroni” (dal nome dell’antiquario Francesco de’ Ficoroni, che la rinvenne nel 1738).
La “cista” è un cofanetto cilindrico, alto circa 80 centimetri, che doveva essere destinata a raccogliere oggetti preziosi. Fu realizzata probabilmente attorno al 340 a.C. da un artigiano di nome Novio Plauzio, di origine italica, per la nobildonna Dindia Macolnia, come risulta dall’iscrizione dedicatoria, nella quale compare appunto anche il nome “Roma”: «Dindia Macolnia (mi) donò alla figlia; Novio Plauzio mi fece a Roma». Sul coperchio ci sono tre statuette che raffigurano il dio Dioniso tra due satiri, mentre sul corpo della cista è raffigurato un episodio della vita di Polluce, uno dei Dioscuri (i due gemelli figli di Zeus).
La cista è conservata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma.
Il nome di Roma Contrariamente a quanto accadeva in Grecia, dove spesso le città prendevano il nome del fondatore (come “Alessandria”), nel caso di Roma si assiste al processo contrario: sono infatti le figure leggendarie di Romolo e Remo a derivare il loro nome da quello della città di Roma. Esistono varie ipotesi circa il significato di questo nome, tutte legate in qualche modo al mondo etrusco. La prima, e forse la più plausibile, lo riconduce al nome etrusco del fiume Tevere, Rumon; secondo altri, “Roma” deriverebbe da Ruma, nome di una famiglia aristocratica etrusca che avrebbe avuto possedimenti in quella zona; ruma era però anche la parola etrusca per “mammelle”, che potrebbe essere un riferimento alle due cime del colle Palatino.
I Greci, invece, riconducevano il nome della città alla parola greca rhóme, che significa «forza»: alle loro orecchie, questa associazione suonava particolarmente adatta per la città che era riuscita a conquistare tutto il Mediterraneo.
I Romani, tuttavia, credevano che “Roma” non fosse il vero nome della loro città. Si riteneva infatti che il nome autentico dovesse restare segreto, poiché, se fosse arrivato alle orecchie di qualche nemico, quest’ultimo avrebbe potuto utilizzarlo per pronunciare formule magiche o di maledizione.
L’economia delle prime comunità latine La vita economica del Lazio primitivo si mantenne per lungo tempo a un livello di pura sussistenza. La sopravvivenza era affidata all’agricoltura, specialmente alla coltivazione di cereali poveri come orzo e farro, e alla pastorizia. L’allevamento forniva le risorse più abbondanti: la parola latina pecunia, che più tardi fu usata per indicare il «denaro», deriva da pecus, «gregge». Gli scambi avvenivano mediante baratto, oppure per il pagamento si usavano lingotti di metallo che venivano valutati a peso (il cosiddetto aes rude, «bronzo grezzo»). Questo sistema si mantenne in uso fino alla metà del IV secolo a.C., quando le maggiori esigenze commerciali indussero Roma a emettere le prime monete, sul modello di quelle usate nelle colonie greche dell’Italia meridionale.
Dopo aver completato la seguente scaletta, seguila per spiegare i contenuti del paragrafo.
• Roma sorse in una posizione strategica per la presenza del fiume dove confluivano i commerci e quelli .
• Il prodotto maggiormente commerciato era il , come testimonia anche il nome della via
• I primi insediamenti dei si trovano sui colli e .
• Roma sorse quindi per l’unione di più governati da un
• L’economia era basata su e
Roma in età arcaica: i sette re
Il potere del rex Roma era una città-Stato con un ordinamento simile a quello delle póleis greche: una città autonoma, in cui il popolo (cioè la comunità dei cittadini maschi adulti) era titolare del potere sovrano.
Nella Roma arcaica, il popolo affidava l’esercizio del potere a un magistrato unico, detto rex («re»). Il rex veniva eletto dal popolo, con l’approvazione dell’assemblea che riuniva i capi delle più importanti famiglie (quello che più tardi sarebbe diventato il Senato), e restava in carica a vita. Il re deteneva la suprema autorità (imperium) in pace e in guerra: curava il rispetto e l’applicazione delle leggi, la prevenzione e repressione dei reati, comandava l’esercito, era responsabile della celebrazione dei riti sacri e della risoluzione delle controversie legali.
Il periodo regio (753-509 a.C.) Roma fu governata dai re, secondo la tradizione, per circa 250 anni, dal 753 al 509 a.C. Durante questo periodo si sarebbero succeduti al governo della città sette re: tre di origine latina (Romolo, Tullo Ostilio, Servio Tullio), due di origine sabina (Numa Pompilio e Anco Marzio) e due di origine etrusca (Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo). La loro diversa origine etnica testimonia l’apertura verso l’esterno che i Romani attribuivano alla loro città fin dalle origini.
Ognuno di questi sette re avrebbe governato in media 35 anni: un tempo lunghissimo se rapportato alla durata media della vita in questo periodo. Si pensa perciò che i re siano stati in realtà più di sette, ma che la tradizione ne abbia ricordati solo alcuni, attribuendo a ciascuno di essi un ruolo esemplare in diversi campi della vita della città.
I re latini e sabini (VIII-VII secolo a.C.) Secondo la leggenda, i primi quattro re di Roma furono alternativamente di origine romana e sabina. A ciascuno di loro la tradizione riserva un ruolo specifico nella creazione delle istituzioni e nel consolidamento dei confini del territorio.
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L’edificio della Curia Iulia, l’antica sede del senato romano, terminato e inaugurato da Augusto nel 29 a.C. e ricostruito da Diocleziano nel 94 d.C. Secondo la leggenda, l’edificio originale, la cosiddetta Curia Hostilia, venne costruito dal re Tullo Ostilio nel Foro Romano, ai piedi del Campidoglio. Distrutto da un incendio nel 52 a.C., al suo posto venne poi eretta una struttura più imponente, la Curia Iulia, voluta da Giulio Cesare in una posizione più centrale rispetto alla piazza del Foro.
GLOSSARIO STORICO
Foro In latino forum, si pronuncia “fòro” (con la “o” aperta) e indica uno spazio pubblico, destinato alle principali attività politiche e commerciali; “fóro” (con la “o” chiusa”) indica invece un’apertura, un buco. Nel linguaggio giuridico odierno, il foro è la sede di un giudice competente per territorio.
• Romolo, il fondatore della città, avrebbe dato anche le prime istituzioni politiche e giuridiche: la suddivisione dei cittadini e delle terre, le prime leggi, le insegne dei magistrati; sotto il suo regno i Romani avrebbero iniziato a espandere il loro territorio conquistando i centri urbani più vicini, e avrebbero realizzato la fusione etnica e culturale con i Sabini.
• Numa Pompilio, di origine sabina, fu il fondatore delle istituzioni religiose: la tradizione gli attribuisce l’istituzione delle principali cariche sacerdotali (i flamini, le vestali, il pontefice massimo) e del più antico calendario romano, basato sulla suddivisione dell’anno in dodici mesi lunari, che scandiva la vita religiosa, sociale, politica e giudiziaria della città.
• Tullo Ostilio fu un re guerriero. A lui si deve, secondo la tradizione, la conquista della più importante città latina, Alba. Poiché una guerra contro la città madre di Roma (ad Alba era nato Romolo) sarebbe stata considerata empia, la leggenda narra che lo scontro fu deciso da un duello eroico: i tre fratelli Orazi, campioni di Roma, si batterono contro i tre fratelli Curiazi, campioni di Alba. L’ultimo a rimanere in vita fu uno degli Orazi, che riuscì così a riportare la vittoria.
• Infine, sotto Anco Marzio, anch’egli di origine sabina, Roma avrebbe esteso il suo territorio fino al mare, fondando la colonia di Ostia , alla foce del Tevere. Anco Marzio avrebbe promosso anche la costruzione del primo ponte sul Tevere, il ponte Sublicio I re etruschi (VI secolo a.C.) Secondo la tradizione, gli ultimi tre re di Roma furono di origine etrusca. Ciò riflette probabilmente un dato storico. Nel VI secolo a.C., gli Etruschi vissero una fase di grande espansione, diventando il popolo egemone della Penisola. In questo contesto va inserita anche la penetrazione etrusca a Roma, che probabilmente non avvenne con la forza, ma attraverso l’immigrazione in città di molti Etruschi attirati da interessi commerciali. Gli Etruschi esercitavano inoltre una grande influenza culturale in campo giuridico, religioso, artistico e architettonico. In poco tempo, quindi, essi si affermarono fino a rivestire la più alta magistratura della città.
• Al primo re etrusco (il quinto della lista dei re), Tarquinio Prisco, la tradizione attribuisce le prime grandi opere pubbliche di Roma: il Circo Massimo per le corse dei carri e la Cloaca Massima, una fognatura che permise di bonificare la valle tra il Palatino e il Campidoglio, dove da quel momento si sviluppò il Foro Romano. Iniziò inoltre la costruzione del più grande santuario di Roma, il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio.
• Servio Tullio era invece di origine latina: secondo la leggenda era figlio di una prigioniera di guerra di nobili origini, nato in casa di Tarquinio Prisco e da lui cresciuto (▸ Vite
I resti di alcuni edifici di Ostia antica. Utilizzata inizialmente come accampamento militare, con il tempo Ostia divenne un centro portuale di vitale importanza per Roma.
eccellenti, p. 276). A questo re la tradizione attribuisce la costruzione delle nuove mura, che per la prima volta racchiusero in un’unica cerchia tutti i sette colli della città.
• L’ultimo re, Tarquinio il Superbo, discendente di Tarquinio Prisco, è rappresentato dalle fonti secondo lo stereotipo del tiranno: si impadronisce del potere con la forza, fa uccidere gli oppositori, si circonda di guardie del corpo perché ha paura di possibili rivali. Il suo regime dispotico avrebbe suscitato una forte reazione nell’aristocrazia romana, che portò alla rivolta e alla caduta della monarchia.
Al di là degli aspetti leggendari del racconto, sembra chiaro che sotto il governo degli ultimi tre re Roma si sviluppò in modo considerevole dal punto di vista economico e urbanistico.
Le istituzioni politiche più antiche: le tribù, i comizi curiati, il Senato Secondo la tradizione, Romolo divise la popolazione di Roma in tre tribù: i Ramnes, i Tities e i Luceres, forse da ricondurre a una differenziazione dei cittadini su base etnica tra Latini, Sabini ed Etruschi; ciascuna tribù era suddivisa in dieci curie (la parola curia deriverebbe da co-viria, «unione di uomini»). Inoltre, Romolo avrebbe realizzato anche una prima suddivisione delle terre, assegnando a ogni capofamiglia due iugeri di terreno (circa 5000 metri quadrati): ciascuno di questi appezzamenti fu chiamato heredium, poiché poteva essere trasmesso agli eredi. Sulla suddivisione in curie si basava l’assemblea del popolo, chiamata comitium (dal verbo latino coeo che significa «riunirsi»), in cui i cittadini esprimevano il loro voto per curie: ogni curia aveva a disposizione un voto, che veniva deciso a maggioranza dai cittadini appartenenti a quella curia. Questa più antica assemblea era perciò chiamata “comizi curiati”. Secondo le fonti (che però risalgono tutte a un’epoca molto più tarda), l’assemblea aveva tre funzioni principali:
• elettorale: eleggeva il re e gli altri magistrati minori;
• legislativa: approvava o respingeva le proposte di legge presentate dal re o dagli altri magistrati;
• militare: poteva dichiarare guerra e stipulare trattati di pace.
I comizi curiati rimasero l’unica forma di assemblea popolare a Roma fino alla riforma delle classi di cittadini sulla base del censo, che la tradizione attribuisce a Servio Tullio, ma che più probabilmente va datata all’inizio del periodo repubblicano.
All’assemblea del popolo si affiancava il Senato, una sorta di consiglio degli anziani (il suo nome deriva dal latino senex, «vecchio») che riuniva i capi delle principali famiglie.
Il Senato aveva un ruolo consultivo e poteva esprimere pareri non vincolanti.
STUDIO ATTIVO RIPASSARE
Completa la tabella sui primi re di Roma.
Re Origine
Romolo fondatore
Numa Pompilio sabina
Tullo Ostilio
Anco Marzio sabina
Tarquinio Prisco
Servio Tullio
Tarquinio il Superbo etrusca
Questa scultura bronzea, detta L’arringatore, raffigura un uomo togato colto nell’atto di parlare alla folla (“arringare”) e risale all’epoca tardoetrusca (II-I secolo a.C.).
• espande il territorio
• fusione con i
• istituisce le e il primo
• conquista la città di
• fonda la città di
• fa costruire il
• fa costruire nuove
• la sua tirannia suscita la reazione della
Tanaquilla
Donne che hanno fatto la Storia La storia della Roma primitiva ci fa sfilare davanti vari personaggi femminili, ciascuno a modo suo decisivo, a partire da Rea Silvia, dalla quale nacquero i gemelli Romolo e Remo (▸ p. 269), e poi Tarpea, le Sabine, Camilla Orazia, la sorella dell’Orazio vittorioso nello scontro tra Orazi e Curiazi (▸ p. 274). Donne al centro degli eventi, certo, ma in una posizione subordinata. Fu solo all’epoca del quinto re – Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) – che s’incontra una personalità femminile capace di dirigere la storia e non di esserne diretta. Non era del resto romana: veniva da una città dell’Etruria e si chiamava Tanaquil (Tanaquilla, per i Romani). Astuta, spregiudicata, abile consigliera e anche esperta di divinazione, cioè capace di interpretare i segni del volere divino, fu Tanaquilla a decidere l’ascesa al trono di due re, il marito Tarquinio Prisco e il genero Servio Tullio.
Influente consigliera politica di Tarquinio Prisco Il padre di Tarquinio Prisco era un greco di Corinto che si trasferì a Tarquinia. Da lui nacque un figlio, Lucumone (questo il nome originario del futuro re), che sposò un’aristocratica, appunto Tanaquilla. Capendo che a Tarquinia il marito non avrebbe avuto la possibilità di emergere, Tanaquilla lo convinse a trasferirsi a Roma con tutti i suoi averi, seguito dal fido fratello Egerio. Quando Tarquinio stava per arrivare a Roma sul suo carro, seguito dagli altri carri con le sue masserizie, giunto nelle vicinanze del Gianicolo (un colle prospiciente la riva destra del Tevere) un’aquila improvvisamente planò sulla sua testa e gli strappò il berretto portandoselo con sé tra le nubi; subito dopo, fece una giravolta e lasciò cadere il berretto sulla testa di Tarquinio, esattamente dove l’aveva preso. Era un signum, un segnale divino; e siccome l’Etruria era il cuore dell’arte divinatoria, Tanaquilla interpretò subito il presagio come doveva essere interpretato: sulla testa del marito un giorno si sarebbe posata la corona di Roma. Una volta insediato a Roma, Tarquinio Prisco, di certo ben indirizzato dalla moglie, cominciò a stringere legami con le famiglie aristocratiche più importanti, e a poco a poco divenne uno dei consiglieri più ascoltati di re Anco Marzio. Così, quando il re fu in punto di morte, egli era tra i candidati più autorevoli alla successione e il piano era già pronto: Tarquinio e Tanaquilla fecero in modo di allontanare i due giovani figli di Anco Marzio mandandoli fuori città a caccia. In loro assenza Tarquinio Prisco fu acclamato re.
L’appoggio lungimirante a Servio Tullio Per una seconda volta fu Tanaquilla a decidere il destino di Roma. Nella reggia viveva un bambino orfano, Servio, figlio di una schiava. Ma un giorno avvenne il miracolo. Mentre Servio dormiva, una lingua di fuoco iniziò a serpeggiare attorno al suo capo, avvolgendolo tutto. La fiamma continuava ad ardere eppure non bruciava la testa del bambino dormiente, anzi sembrava avvolgerla
Due danzatori raffigurati in un affresco della Tomba del Triclinio nella necropoli di Monterozzi (Tarquinia), VI-IV secolo a.C.
come una corona. Tanaquilla accorse insieme a tutti gli altri, e comprese che era davanti a un signum. Come un tempo l’arrivo a Roma di Tarquinio Prisco era stato accompagnato da un prodigio, così ora gli dèi le stavano mostrando nuovamente il destino: quel piccolo era un predestinato. Così Servio crebbe nella reggia di Tarquinio, e Tanaquilla ne fece il suo protetto, al punto che quando venne il momento gli diede in sposa sua figlia. Fu ancora Tanaquilla, ormai anziana, ad essere la regista degli eventi che seguirono. A Roma vivevano ancora i figli di Anco Marzio, i quali mal sopportavano di essere stati defraudati del potere. Sorpresero il re Tarquinio Prisco in un momento in cui era indifeso e lo assalirono insieme ai loro seguaci, poi fuggirono. Tarquinio fu portato nella reggia agonizzante, e poco dopo morì. Tanaquilla però nascose al popolo la sua morte e fece spargere la voce che il re era ancora vivo. Nel frattempo affidò la reggenza al suo protetto Servio. Pochi giorni dopo, annunciò la morte del re e mise quindi il Senato davanti a una situazione di fatto: Servio Tullio divenne re. Fu ricordato come un re amico del popolo, a differenza del suo tirannico successore Tarquinio il Superbo (▸ p. 275). Nella memoria collettiva rimase, se si può dire così, “il re del popolo”: ancora quattro secoli più tardi il poeta tragico Accio, in una tragedia chiamata Brutus, parla di lui dicendo che «Tullio stabilì la libertà per i cittadini». Un precursore della repubblica, quindi.
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La società romana arcaica
Patrizi e plebei La società romana arcaica aveva come elemento fondante la gens (al plurale gentes), un raggruppamento di famiglie che ritenevano di discendere da uno stesso antenato e che portavano un nome comune (detto appunto “gentilizio”). All’interno di questa società, la principale distinzione era quella tra i patrizi (derivato da patres, «padri», quindi “discendenti dai padri”) e i plebei (derivato da plebs, «moltitudine», quindi “appartenenti alla moltitudine”). Entrambi i gruppi erano composti di cittadini liberi, ma solo i patrizi godevano dei pieni diritti politici, poiché erano gli unici a poter diventare senatori, magistrati, sacerdoti: essi si vantavano di discendere dalle cosiddette “gentes originarie”, che avrebbero fatto parte della popolazione di Roma fin dalla fondazione e avrebbero partecipato alla prima divisione delle terre. I plebei, invece, appartenevano a famiglie immigrate in un secondo momento, oppure che originariamente non possedevano terre, ma esercitavano attività commerciali e artigianali.
I patrizi erano estremamente gelosi dei propri diritti e per lungo tempo rifiutarono di mescolarsi ai plebei, come conferma il fatto che patrizi e plebei dovevano sposarsi all’interno della loro classe: la possibilità di matrimoni misti fu ottenuta soltanto nel 445 a.C. con la legge Canuleia. I “tre nomi” (tria nomina) dei Romani Il cittadino romano era in genere designato con tre nomi:
1. il praenomen, in prima posizione, identificava la persona all’interno della famiglia ed era scelto tra un numero abbastanza limitato di alternative: tra i più diffusi erano Gaius, Lucius, Marcus, Publius, Quintus; 2. il nomen, al secondo posto, indicava la gens di appartenenza; tra le gentes più famose si ricordano gli Aemilii, i Caecilii, i Claudii, i Cornelii, gli Iulii, i Sempronii; 3. il cognomen veniva aggiunto più tardi per identificare i diversi rami all’interno delle grandi gentes aristocratiche: per esempio, della gens Cornelia facevano parte i Cornelii Dolabellae, i Cornelii Lentuli, i Cornelii Scipiones e molti altri.
Le gentes plebee spesso non avevano necessità di distinguere diversi rami: per questo, famosi romani di origine plebea, come Gaio Mario o Marco Antonio, avevano solo due nomi. Il cognomen aveva spesso origine da un soprannome che indicava una caratteristica peculiare di un membro della gens: per esempio la sua attività lavorativa (come Agricola, «agricoltore»; Pictor, «pittore»; Sacerdos, «sacerdote»), la provenienza (Antias, di Anzio; Collatinus, di Collazia; Sabinus, della Sabina), una sua caratteristica fisica (Albinus, «pallido»; Cicero, «verruca»; Pulcher, «bello»; Rufus, «rosso di capelli»). Una volta attribuito a una persona, il cognomen veniva poi trasmesso ai suoi discendenti.
STUDIO ATTIVO RIPASSARE
Completa il testo sui tre nomi dei Romani.
• Il , scelto tra non molte alternative, veniva assegnato pochi giorni dopo la nascita e confermato al raggiungimento dei
• Il indicava la di appartenenza. La gens era un raggruppamento di varie famiglie che ritenevano di discendere da uno stesso e che portavano un comune.
• Il indicava i rami all’interno delle grandi famiglie aristocratiche e spesso aveva origine da un
Rilievo sepolcrale di Lucius Vibius con la moglie e il figlio, I secolo a.C. Città del Vaticano, Museo Chiaramonti.
Servi che preparano un banchetto raffigurati in un mosaico proveniente da Cartagine, II secolo d.C. Parigi, Museo del Louvre.
Dionigi di Alicarnasso
Clienti e patroni nella Roma arcaica
Quali obblighi reciproci legavano i patroni ai loro clienti nella società della Roma arcaica? Lo spiega questo testo dello storico greco Dionigi di Alicarnasso.
STUDIO ATTIVO
ESPOSIZIONE ORALE
Esponi i contenuti del paragrafo studiato utilizzando i seguenti termini e specificandone il significato. patrizio • plebeo • liberto • patrono
Le donne, invece, avevano solo il nomen che indicava la gens ed eventualmente il cognomen indicante la famiglia di appartenenza, ma non venivano mai indicate con il nome personale (praenomen): i nomi delle donne romane, quindi, non erano nomi individuali ma nomi gentilizi trasposti al femminile. Per distinguere le donne che appartenevano alla stessa gens si aggiungevano aggettivi come “Prima”, “Seconda”, “Terza”, oppure “Maggiore” e “Minore”.
La famiglia romana La familia romana era più estesa rispetto al nostro concetto di “famiglia”: riuniva infatti tutte le persone sottomesse all’autorità pressoché assoluta di un pater familias (letteralmente «padre della famiglia») per legami di sangue o giuridici. Sottomessi “per natura” erano i discendenti naturali, cioè i figli e i nipoti (di entrambi i sessi); sottomessi “per diritto” erano le mogli (sia del pater familias sia dei suoi discendenti), gli eventuali figli adottivi, i servi e i liberti (cioè i servi a cui era stata data la libertà).
Della familia romana facevano infatti parte i servi, che erano considerati come beni di proprietà del padrone (dominus); alla sua morte, passavano ai suoi eredi. I servi potevano essere tali per nascita, oppure diventarlo (come prigionieri di guerra o a causa dei debiti), ma da servi potevano anche acquisire la libertà. Un padrone poteva liberare un servo o una serva per diverse ragioni: perché spinto da generosità, affetto o gratitudine; perché il servo o la serva, lavorando, aveva raccolto il denaro sufficiente per comprarsi la libertà; oppure perché un altro cittadino riscattava il servo o la serva, pagandone il prezzo. I servi liberati erano detti “liberti”: con la libertà, il liberto otteneva la cittadinanza romana ma rimaneva parte della familia dell’ex padrone, al quale restava legato da un rapporto basato sul valore della pietas, il rispetto religioso dovuto ai familiari e alle divinità.
Patroni e clienti Accanto ai legami familiari e gentilizi, esisteva anche un’altra categoria di rapporti tra cittadini romani, che legava persone di classi sociali diverse ma unite da interessi comuni. Si trattava del rapporto di clientela. Un “cliente” (cliens) era una persona di ceto sociale medio-basso che si metteva sotto la protezione di un cittadino più altolocato, che accettava di diventare il suo patrono (patronus). In età arcaica, i clienti dovevano prestare servizio militare agli ordini del patrono, contribuire a pagare il suo riscatto se questi era fatto prigioniero dai nemici, pagare le multe eventualmente inflittegli in un processo e contribuire alla dote delle sue figlie; in cambio, ricevevano protezione e assistenza in campo economico e giudiziario. I rapporti tra patroni e clienti erano basati sulla fides, cioè sulla lealtà reciproca. Per questo motivo il cliente che veniva meno ai suoi doveri era espulso dal gruppo sociale e perdeva ogni protezione.
sociali
Patrizi civili e politici partecipare ai comizi curiati, fornire fanti e cavalieri all’esercito, gestire le proprietà terriere
Plebei civili coltivare le terre dei patrizi o pascolarne le greggi, commerciare, praticare attività artigianali
Clienti civili svolgere una serie di servizi per un patrono (patrizio)
Liberti civili coltivare le terre dei patrizi o pascolarne le greggi, commerciare, praticare attività artigianali
Schiavi nessuno svolgere ogni genere di servizio o di lavoro per conto di un padrone
I sessantenni giù dal ponte
La “rottamazione” degli anziani Per i Romani, così come per i Greci, la precipitazione al suolo o nelle acque del mare, di un fiume o di altro corso d’acqua, prima di diventare uno dei supplizi capitali cittadini era una delle forme del sacrificio umano. A confermarlo, accanto alle fonti antiche, stanno anche le ricerche antropologiche che raccontano di molte culture nelle quali gli anziani venivano gettati da un’altura. Una pratica crudelissima, anche se coperta dall’idea che le vittime fossero invitate a condividere la vita eterna degli dèi. A questa pratica ricorrevano, per esempio, i Sardi, che avrebbero avuto l’usanza di inseguire ridendo i vecchi con dei bastoni, fino a che questi non precipitavano dall’alto di una roccia. Il riso avrebbe fatto parte di un rituale di sacrificio a Kronos. Un’usanza analoga sarebbe stata in uso presso gli Sciti, i quali peraltro, secondo Plinio, raggiunta la vecchiaia e stanchi della vita (satietate vitae), si sarebbero gettati volontariamente. Era una pratica diffusa, insomma, quella della “rottamazione” degli anziani, chiaramente legata alla necessità di gruppi sociali per i quali un’eccessiva crescita della popolazione comportava solo disagi.
Un’antichissima pratica sociale Possibile che in tempi antichissimi una simile pratica fosse in uso anche a Roma? Prima di noi, a chiederselo erano già i Romani di epoca classica, che professavano grande rispetto per gli anziani e la loro saggezza.
A suggerire una risposta positiva stava un termine usato per indicare i sessantenni, vale a dire depontani: il sospetto che esso fosse legato al lancio da un ponte era inevitabile. E l’antico e celebre detto Sexagenari de ponte! («I sessantenni giù dal ponte!») ai Romani dell’età classica ricordava il tempo lontano in cui, al compimento dei sessant’anni (considerati il momento dell’ingresso nella vecchiaia), i “vecchi” venivano gettati dal ponte Sublicio nelle acque del Tevere.
Che una simile pratica fosse stata in uso anche a Roma, seppur in tempi antichissimi, era una cosa che turbava profondamente i Romani: «Chi crede che i nostri antenati mandassero a morire i sessantenni li condanna a una terribile infamia», scrive il poeta Ovidio (Fasti, V, 623-624). Rifiutando che in un passato, seppur lontano, fosse esistita questa usanza, alcuni davano una diversa interpretazione del detto Sexagenari de ponte! Sessant’anni era l’età in cui si veniva esclusi dalla partecipazione alla vita politica e si perdeva il diritto di votare: poiché questo diritto si esercitava attraversando un ponticello di legno, «I sessantenni dal ponte» avrebbe anche potuto significare che quelli intenzionati ad attraversarlo sarebbero stati bloccati e costretti a scendere, con le buone o con le cattive.
Ma altre testimonianze convalidano l’esistenza dell’antica usanza: Lattanzio, un autore vissuto fra il III e il IV secolo d.C., conferma che una volta i sessantenni venivano gettati nel Tevere, aggiungendo che così venivano inviati a Saturno, che altri
non era che Kronos, al quale i Sardi, come abbiamo visto, dedicavano lo stesso rituale. E sempre Saturno era il dio in onore del quale il 14 maggio, dal ponte Sublicio, venivano gettate nel Tevere delle statuette di giunco in forma di uomo: evidentemente a simboleggiare le antiche vittime umane.
Una soluzione al problema demografico Anche a Roma, dunque, come presso gli Sciti e i Sardi, la precipitazione era stata considerata un sacrificio agli dèi. Nonostante i Romani tendessero a cancellarne il ricordo, l’eliminazione degli anziani era stata una realtà. Ai confini tra l’organizzazione tribale e quella cittadina, il problema del controllo demografico era così impellente da riguardare non solo i nuovi nati, ma anche quelli che vivevano troppo a lungo, con la differenza che liberarsi di neonati di troppo o deformi creava molti meno problemi che liberarsi di anziani con i quali si era a lungo convissuto e che si erano amati. Precipitarli nelle acque a raggiungere il dio come vittime sacrificali era un atto simbolico che contribuiva a pacificare le coscienze, quelle individuali e quella sociale.
IERI
E OGGI
Nel testo si accenna al problema demografico causato da un’eccessiva crescita della popolazione. Oggi, in gran parte del mondo occidentale da un lato si registrano sempre meno nascite, dall’altro si vive sempre più a lungo. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, la situazione è opposta. • Divisi in 3 gruppi, consultate articoli e dati statistici aggiornati (usate siti web di istituzioni come l’ISTAT, l’ONU, l’OMS), quindi preparate una relazione che illustri come, nei prossimi anni, i cambiamenti demografici potrebbero influenzare la vita 1) in Italia, 2) nei Paesi occidentali e 3) nei Paesi in via di sviluppo.
5 La religione romana
Una religione pratica La religione romana era fondata sull’ortoprassìa (dal greco orthós, «corretto», e práxis, «azione»): ciò che contava non era ciò che le persone credevano, ma che il culto fosse eseguito nella forma corretta. L’azione cultuale più importante era il sacrificio, cioè l’atto di donare qualcosa a una divinità, che poteva essere cruento (come sgozzare un animale) o non cruento (come versare vino o bruciare incenso). Questa pratica si basava sul principio giuridico del do ut des («io do affinché tu dia»), una sorta di contratto tra gli dèi e la comunità umana: in cambio del culto e dei sacrifici, gli dèi mantenevano l’ordine naturale e fornivano aiuto e assistenza agli umani.
Padre Marte, te prego che tu sia benevolo e a me propizio, alla mia casa e ai nostri servi. [...] perché tu i mali visti e nascosti, desolazione e devastazione, calamità e brutta stagione possa impedire.
(Marco Porcio Catone, L’agricoltura)
Una statua in terracotta
Le principali divinità dei Romani La società romana era prevalentemente agricola e pastorale: perciò, fin dai tempi più antichi erano venerate divinità protettrici dei campi, del raccolto, della casa, del bestiame, e le pratiche di culto erano legate a specifici momenti del ciclo annuale della vita agricola.
Le principali divinità di Roma erano quelle della cosiddetta Triade Capitolina, così chiamata perché venerata sul Campidoglio. Si trattava di una famiglia divina posta sotto l’autorità di un padre, Giove (in latino Iuppiter, cioè «il padre sfolgorante»), dio del cielo, della luce e delle tempeste, che poi fu assimilato al greco Zeus e all’etrusco Tinia; sua moglie era Giunone, dea della fertilità e protettrice delle nascite, poi identificata con la greca Era e l’etrusca Uni; a loro si affiancava Minerva, una divinità di origine etrusca, che proteggeva le attività tecniche e artigianali, più tardi assimilata alla greca Atena.
Accanto alla Triade Capitolina vi erano altre divinità legate alla città di Roma e al popolo romano: Marte, il dio della guerra che i Romani consideravano come il loro antenato; Quirino, il dio che proteggeva il popolo romano, venerato sul colle che da lui prendeva il nome (il Quirinale), poi identificato con Romolo stesso; Saturno, il dio dell’agricoltura e della semina; Giano, che presiedeva ai cicli del tempo e della natura; e infine Vesta, la dea della famiglia e del focolare domestico.
Quella romana era una religione aperta, che per tutta la storia di Roma ammise l’ inclusione di nuove divinità: da quelle etrusche, a quelle dei popoli del Mediterraneo orientale (per esempio la “Grande Madre” anatolica, o la dea egizia Iside); l’ultimo dio a essere accettato dal popolo romano fu Cristo, all’inizio del IV secolo d.C.
La dimensione comunitaria della religione Un elemento fondamentale della religione romana fu il suo carattere politico: i sacerdozi erano cariche pubbliche, e partecipare a feste e sacrifici era un dovere politico che ogni cittadino era tenuto a osservare. Per tutta la durata della storia di Roma, le istituzioni religiose non furono mai separate da quelle politiche: fin dalle origini, il re era al tempo stesso il supremo magistrato della città e il sommo sacerdote dei culti pubblici. Anche il diritto romano aveva in origine un importante aspetto religioso: i comportamenti criminali venivano puniti non solo in quanto pericolosi per la comunità, ma anche perché, offendendo gli dèi, provocavano l’ira divina. Di conseguenza, alcune tra le più antiche sanzioni contro i criminali erano compiute a scopo purificatorio e propiziatorio.
LA STORIA NELLE PAROLE
Giunonico ∙ Erculeo ∙ Marziale Alcuni aggettivi della lingua italiana descrivono caratteristiche o situazioni che richiamano qualità legate a personaggi della mitologia latina. L’aggettivo “giunonico”, per esempio, rimanda alla dea Giunone e richiama una donna di aspetto imponente e molto prosperoso (quello che gli antichi attribuivano alla dea). Da Ercole, celebre per la sua forza straordinaria e per aver affrontato imprese sovrumane, deriva “erculeo”, che infatti si usa per descrivere una persona dal fisico robusto e vigoroso, oppure un’azione che richiede grandi energie: un’impresa erculea. Al dio Marte rimanda invece “marziale”, aggettivo usato per riferirsi a tutto ciò che riguarda la guerra o l’arte militare, ma anche certe forme di addestramento sportivo, come le arti marziali
Le Ferie latine
Una delle occasioni religiose di fondamentale importanza nel mondo romano era la celebrazione delle cosiddette “Ferie latine”, una festa comunitaria in onore di Zeus Laziale che serviva a invocare ogni anno la protezione degli dèi. Le trenta città della Lega latina contribuivano alla festa e si riunivano sul monte Albano, dove si celebrava un grande banchetto, con il sacrificio di un gran numero di tori. Il rito aveva in origine lo scopo di cementare l’unione delle genti latine condividendo in un pasto comune la carne derivata dal sacrificio.
Raggiunta in questo modo la supremazia sui Latini, Tarquinio inviò alcuni ambasciatori alle città degli Ernici1 e dei Volsci2, invitando anche quelle popolazioni a entrare in rapporto d’amicizia e di alleanza con loro. Mentre gli Ernici votarono tutti perché si stringesse alleanza, accolsero l’invito solo due delle città dei Volsci, Ecetra e Anzio. Tarquinio si preoccupò che quanto si era stabilito con le città durasse in futuro e decise pertanto di creare un tempio comune ai Romani, ai Latini, agli Ernici e ai Volsci che avevano sottoscritto l’alleanza, affinché ogni anno convenissero nel luogo stabilito, festeggiassero e banchettassero e partecipassero a comuni cerimonie sacre. Tutti accolsero con gioia il progetto e Tarquinio fissò come luogo, il più possibile centrale rispetto a questi popoli, nel quale avrebbero tenuto il raduno, un monte elevato che sovrasta la città di Alba. Stabilì per legge che là ogni anno si dovessero celebrare feste generali, vi fosse tregua da parte di tutti nei riguardi di tutti e si compissero sacrifici in comune a Zeus, onorato con l’appellativo di Laziale e banchettassero insieme, stabilendo anche quanto ogni città dovesse contribuire per i sacrifici e quanta parte di essi dovesse toccare a ciascuna. Le città che parteciparono alla festa e ai sacrifici furono quarantasette. Fino ai giorni nostri i Romani hanno sempre celebrato i sacrifici e queste feste chiamate Latine: fra le città che prendono parte ai sacrifici alcune portano agnelli, altre formaggio, altre un certo quantitativo di latte, altre ancora miele o cose simili… Da tutte viene invece sacrificato in comune un toro e ciascuna ne prende la parte che le spetta. Sacrificano dunque per tutte le città e i Romani presidiano la celebrazione.
IERI E OGGI
Per i Romani le feriae erano i giorni dell’anno dedicati al culto pubblico e privato: nel loro calendario erano indicati come giorni “nefasti”, nei quali cioè era proibito (nefas) esercitare il potere giudiziario e convocare i comizi.
Oggi con il termine “ferie” indichiamo un periodo di riposo, di vacanza, che può essere legato a una festa oppure no. Le ferie sono anche un diritto irrinunciabile dei lavoratori, che viene previsto dalla Costituzione italiana.
• Leggi l’articolo 36 della Costituzione e poi approfondisci l’argomento con una ricerca online, quindi spiega quali similitudini e differenze individui (nelle motivazioni, nella durata, nel ruolo della religione ecc.) tra i periodi di riposo previsti nel mondo romano e nell’Italia di oggi.
Fonte
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane
Epoca I secolo a.C.
1. Popolo italico stanziato nel Lazio, in un territorio compreso fra la valle del Liri e la valle del Sacco.
2. Altro popolo italico stanziato nel Lazio meridionale, interno e costiero.
Particolare di un rilievo raffigurante una scena di doppio sacrificio, I secolo d.C. Parigi, Museo del Louvre.
Larario, dipinto murale conservato nella Casa dei Vettii a Pompei, I secolo d.C.
I sacerdoti più antichi In età arcaica, il più importante sacerdote di Roma era il re. Il suo ruolo religioso era talmente importante che, anche dopo che fu instaurata la Repubblica, i Romani continuarono a nominare un rex sacrorum («re dei sacrifici») per celebrare i riti prima celebrati dal re. Subito dopo il rex sacrorum venivano i flàmini, cioè i sacerdoti di tre importanti divinità del popolo romano: Giove, Marte e Quirino. Tutti questi sacerdozi più antichi erano a carattere familiare: la moglie del sacerdote (la regina sacrorum e la flaminica) aveva un ruolo fondamentale accanto al marito nella celebrazione dei riti. Inoltre, l’attività di questi sacerdoti era limitata all’ambito religioso: non potevano prendere parte in alcun modo alla vita politica o alle campagne militari.
STUDIO ATTIVO
RIPASSARE
Completa la seguente mappa concettuale.
PONTEFICE MASSIMO
è a capo del collegio dei
la massima autorità
I collegi sacerdotali Gli altri sacerdoti di Roma erano riuniti in collegi, cioè gruppi di persone che condividevano la carica. Il più importante era quello dei pontefici, presieduto dal pontefice massimo. I pontefici tramandavano le regole per celebrare correttamente tutte le attività religiose, militari e civili: l’attività dei pontefici fu dunque alla base dello sviluppo del diritto romano, soprattutto a partire dal II secolo a.C., quando gli stessi pontefici cominciarono a divulgare e commentare in forma scritta queste norme. Inoltre, era compito dei pontefici stabilire ogni anno il calendario, in cui erano indicati i giorni positivi (“fasti”), nei quali era opportuno svolgere le diverse attività della comunità, e quelli negativi (“nefasti”), nei quali non si potevano svolgere attività politiche, processi, mercati. Alla fine di ogni anno, il pontefice massimo esponeva davanti alla sua abitazione un resoconto degli eventi accaduti durante l’anno: l’attività dei pontefici è quindi anche all’origine della storiografia romana. Per la natura collegiale della loro carica, che impediva a ciascun sacerdote di acquisire troppo potere personale, i pontefici potevano partecipare attivamente alla vita politica: per questo motivo, la carica di pontefice massimo fu molto ambita dai più importanti senatori di Roma.
Oltre ai pontefici esistevano altri collegi sacerdotali. Agli àuguri e agli aruspici spettava il compito di interpretare la volontà divina prima di intraprendere qualsiasi attività politica o militare, osservando il volo degli uccelli o le viscere degli animali sacrificati. I salii (dal latino salire, «saltare») celebravano una danza di guerra con l’accompagnamento di parole ritmate e di valore magico; i feziali erano incaricati dei rituali necessari per dichiarare guerra e concludere trattati di pace; gli arvali si occupavano della purificazione annuale dei campi (in latino arva).
Il più importante collegio sacerdotale femminile era quello delle vestali, scelte tra le famiglie più nobili e vincolate per trent’anni a un voto di castità. Esse erano incaricate di custodire il fuoco che bruciava perennemente nel tempio della dea, considerato il focolare della città e il simbolo della sua eternità.
stabilisce il calendario dei giorni
e conosce, divulga e commenta regole delle cerimonie , e militari
i suoi resoconti sono all’origine della
La religione privata Sulla religione privata dei Romani le fonti forniscono molte meno informazioni. Una dimensione in gran parte privata aveva il culto degli “dèi indìgeti”, una moltitudine di divinità minori, in genere non antropomorfe, la cui forza immateriale e magica si manifestava attraverso oggetti e atti della vita quotidiana: vi erano divinità legate a particolari animali (Angitia proteggeva dai serpenti, Bubona tutelava la salute dei buoi), a oggetti della vita quotidiana (Cardea proteggeva le porte, Cloacina le fognature), oppure che presiedevano a specifiche attività (Abeona e Adeona proteggevano, rispettivamente, le partenze e i ritorni; Carmenta presiedeva al canto, Rumina all’allattamento).
Ogni famiglia aveva in casa un larario, un piccolo santuario in cui erano venerate le divinità domestiche: i Lari, protettori della casa e del focolare; i Penati, protettori della famiglia; e il Genio del padrone di casa, personificazione della sua capacità generativa e riproduttiva, e quindi protettore della continuità familiare attraverso le generazioni.
Ogni persona, secondo i Romani, aveva un suo Genio; al momento della morte, il Genio cessava di esistere ed era sostituito dai Mani, gli spiriti dei defunti, che venivano placati facendo offerte presso la tomba.
Le origini di Roma
1 Il mito di fondazione
Le diverse leggende sulla fondazione di Roma sono giunte fino a noi grazie all’opera dello storico Tito Livio, secondo il quale il fondatore di Roma è Romolo: questi discende dal mitico eroe troiano Enea, approdato sulle coste del Lazio, dove ha fondato Lavinio, e da suo figlio Iulo, il fondatore di Alba. La fondazione di Roma (753 a.C.) avviene quando Romolo prende il potere dopo aver ucciso Remo, che glielo contende, e traccia il solco che delimita i confini della nuova città. Secondo il mito, Romolo avrebbe poi fatto rapire le donne dei Sabini per popolare Roma, provocando così una guerra. In seguito, grazie a un’alleanza tra Romani e Sabini, Romolo ha governato insieme al re sabino Tito Tazio.
2 Dalla leggenda alla Storia
La storia della nascita di Roma è il frutto del confronto tra queste leggende e le ricerche archeologiche. I primi resti di insediamenti, datati all’VIII secolo a.C., fanno pensare che la città sia il risultato della graduale unione di più villaggi, definita “Settimonzio”. Questi villaggi si danno una comune organizzazione militare e religiosa e sono guidati da un capo comune, il rex. Grazie alla sua collocazione sul Tevere, fiume navigabile che collegava il mar Tirreno con le regioni interne dell’Italia, Roma ha una posizione strategica per i commerci, soprattutto quello del sale, indispensabile per la conservazione dei cibi. La sua economia è comunque basata sull’agricoltura e sulla pastorizia e adotta il baratto per gli scambi. Solo in seguito (IV secolo a.C.) cominciano a circolare le prime monete.
3 Roma in età arcaica: i sette re
La fase monarchica della Roma arcaica dura circa 250 anni (753-509 a.C.). I primi quattro re (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio) sono alternativamente di origine romana e sabina e regnano tra il VIII e il VII secolo a.C. Nel VI secolo a.C. regnano tre re etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Gli Etruschi, che in questa fase si espandono in Italia, hanno grande influenza su Roma sia in campo giuridico e religioso sia in campo architettonico. Tuttavia, con Tarquinio il Superbo, dipinto dalle fonti come un tiranno, la monarchia finisce in seguito alla rivolta dell’aristocrazia romana.
La struttura politica della Roma arcaica è caratterizzata da tre tribù, ciascuna suddivisa in dieci curie. L’assemblea del popolo (comizi curiati) ha le funzioni elettorale, legislativa e militare, mentre una funzione consultiva spetta al Senato, un’assemblea ristretta dei capi delle famiglie più importanti.
4 La società romana arcaica
L’elemento fondante della società romana arcaica è la gens, un raggruppamento di famiglie legate da un comune antenato e connotate dallo stesso nome. Questa società è formata da patrizi e plebei: i primi godono dei pieni diritti e possono ricoprire le cariche politiche; i secondi sono cittadini liberi ma non hanno questi diritti. Nella famiglia il ruolo principale spetta al pater familias, al quale tutti i membri sono sottomessi per natura (familiari) o per diritto (servi e liberti). I servi sono considerati beni di proprietà del dominus e passano in eredità ai figli. I liberti sono servi liberati dal dominus, e in questo modo ottengono la cittadinanza. Nella società romana esiste anche il rapporto di clientela, basato sulla reciproca lealtà, tra un “cliente” e un “patrono”: il primo si mette sotto la protezione del secondo in cambio di diversi servigi.
5 La religione romana
Le divinità venerate riflettono il carattere agricolo e pastorale della società arcaica: sono protettrici dei campi, del raccolto, della casa, del bestiame; per lo stesso motivo le pratiche religiose sono legate ai cicli della vita agricola. Tra le divinità principali vi sono Giove, Giunone e Minerva (che formano la Triade Capitolina).
A Roma le istituzioni religiose e quelle politiche sono legate: il re, per esempio, è insieme supremo magistrato della città e sommo sacerdote del culto. Molto importante è anche il pontefice massimo, a capo del collegio dei pontefici, responsabili del corretto svolgimento delle attività religiose, militari e civili. L’osservanza dei precetti e delle pratiche religiose è un dovere dei cittadini. Nell’ambito della religione privata, è vivo il culto dei Lari, protettori della casa e del focolare; dei Penati, protettori della famiglia; del Genio del padrone di casa, personificazione della sua capacità di garantire la continuità familiare attraverso le generazioni.
Il tempo
1. Metti in ordine cronologico gli eventi riportati nella tabella e inserisci il periodo in cui sono avvenuti.
Ordine
Evento
Fondazione di Roma
Anno o periodo
753 a.C.
Periodo dei re etruschi VI secolo. a.C.
Cacciata dell’ultimo re
Legge Canuleia
Lo spazio
509 a.C.
445 a.C.
2. Fai riferimento alla carta La Roma antica e la sua espansione a p. 268, poi rispondi alle domande.
a. Qual era l’importanza del fiume Tevere?
b. Quale delle popolazioni circostanti si insediò per prima nell’area dei colli?
c. Individua sulla carta l’isola Tiberina: perché era importante?
d. Quali colli permettevano di controllare il passaggio del fiume?
3. Apri su HUB Maps le carte indicate e usa il pulsante confronto per abbinarle, poi rispondi alle domande.
a. Osserva la carta fisica del Lazio: perché la posizione di Roma risulta strategica?
b. Quali altre popolazioni occupavano il territorio dell’attuale Lazio?
I passaggi chiave
4. Completa la mappa seguente sulle istituzioni politiche della Roma arcaica.
DIVISIONE POLITICA DI ROMA
ciascuna divisa in dieci
cui derivano che avevano funzioni
HUB TEST
Verifica se conosci le nozioni di base.
HUB MAPS
• L’espansione di Roma antica
• Il Lazio (in Geografia, sezione Geografia regionale)
MAPPA
Personalizza la tua mappa.
5. Ripeti i due paragrafi sulla società romana arcaica utilizzando la mappa dell’esercizio precedente e integrandola con la scaletta di domande.
a. Perché Roma era stata divisa in tre tribù?
b. Come erano suddivisi i cittadini romani?
c. Da chi era composta la familia romana?
d. Da che cosa era caratterizzato il rapporto di clientela?
Il lessico
6. Definisci in maniera esauriente il significato delle seguenti espressioni facendo riferimento a quanto hai studiato.
• Curia
• Gens
• Pontefice
AI Prova il prompt
Scrivi un breve dialogo tra due antichi romani che contenga le parole: gens, curia, feriae
Commentate il risultato, soffermandovi in particolare sull’uso della parola feriae. È usato correttamente? Rileggi il testo a p. 281.
7. I pontefici erano i sacerdoti più importanti a Roma, guidati dal pontefice massimo. Il termine pontefice è ancora utilizzato, ma per definire il papa, la massima autorità della Chiesa cattolica. Fai una breve ricerca sulla evoluzione storica del termine e su questo cambiamento di significato.
Il testo
Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., ha cercato di ricostruire la nascita del culto di Vesta a Roma.
8. Leggi il brano Il culto di Vesta riportato su HUB Library e rispondi alle domande.
a. Perché l’inizio del culto di Vesta veniva attribuito a Romolo?
b. Perché, secondo Dionigi, Romolo nominò sacerdoti i capi delle curie?
c. Quale innovazione apportò Numa Pompilio al culto della dea Vesta?
Il mio portfolio
Scegli uno dei seguenti aspetti del mito sulla fondazione di Roma:
• la leggenda di Romolo e Remo;
• il viaggio di Enea;
• il rapimento delle donne sabine.
Raccogli i dati di cui hai bisogno attraverso le fonti storiche e archeologiche, quindi racconta la vicenda che hai scelto utilizzando il mezzo che preferisci (racconto, video, podcast o fumetto).
VIDEO
Roma monarchica
Prima di svolgere gli esercizi, segui il contenuto del video.
GLOSSARIO DIGITALE
Per le definizioni dei termini puoi usare il glossario.
HUB LIBRARY
Dionigi di Alicarnasso Il culto di Vesta
BACHECA
Le origini di Roma
La bacheca può esserti di aiuto, soprattutto le sezioni Arte e Letteratura.
Toghe rosse: la tintura dei tessuti
Un affresco della Casa dei Vettii a Pompei, I secolo. Il personaggio raffigurato a sinistra indossa una toga con fasce rosse.
Ieri
Una conchiglia di circa 7 centimetri, coperta di robusti prolungamenti spinosi, rigonfia a un’estremità e stretta e lunga all’altra, come una piccola clava; al suo interno un ospite prezioso: il murice, un mollusco dotato di una ricercatissima ghiandola, da cui stilla un liquido che riesce a tingere i tessuti; di “blu reale” nel caso del murice trunculus, di porpora nel caso del murice brandaris.
Le grandi svolte
Nel 1492 la scoperta dell’America favorisce l’afflusso in Europa di nuove sostanze coloranti, apprese da Maya, Aztechi, Inca e Toltechi. Questi popoli tingevano i loro abiti in lana di alpaca e vigogna con colori molto brillanti, ottenuti da radici, cortecce, legni rossastri (legno di campeggio e legno del Brasile) e cocciniglia, un insetto infestante dalla cui essicazione si ricava il carminio, un rosso intenso.
Una macchina per la tintura dei tessuti utilizzata in una moderna industria tessile.
Furono i Fenici a scovare il mollusco, di cui l’autore romano Plinio il Vecchio racconta la lavorazione a Roma: prima la raccolta, di migliaia e migliaia di esemplari, poi l’estrazione delle ghiandole, che venivano lasciate in ammollo in acqua salata riscaldata per dieci giorni, infine l’esposizione dell’ammasso pastoso all’aria e alla luce del sole, dove una complessa reazione fotochimica lo trasformava in una pregiata tintura rosso intenso. Dodicimila molluschi producevano 1,4 grammi di tintura, una quantità
Nel 1540 viene pubblicato il primo trattato sull’arte della tintura, il Plictho de larte de tentori del veneziano Giovanventura Rosetti. Con esso, l’autore si proponeva di migliorare la preparazione tecnica dei tintori veneziani, ma di fatto finì per rivelare i segreti dell’arte tintoria italiana all’intera industria tessile europea, suggellando e concludendo il periodo di supremazia delle tintorìe veneziane.
Nel 1856 il giovane chimico inglese William Perkin crea per errore il primo colore artificiale della storia. Chiuso nel suo laboratorio casalingo, Perkin stava cercando di sintetizzare la chinina, un rimedio contro la malaria, quando ottenne da un processo di ossidazione un residuo nerastro che, sciolto con l’alcol, dava una soluzione inedita: il malva, cui rapidamente seguì un’interminabile serie di coloranti sintetici.
sufficiente a tingere il solo bordo di una veste. D’altronde, ai primi re romani bastava una fascia rossa come segno distintivo: il resto dei maschi adulti, dai 16 anni in su, indossava la toga virilis o pura, tutta bianca, o meglio bianco avorio. Era infatti diffusa anche un’altra gradazione di bianco, più brillante, che ben si addiceva alle pure intenzioni degli aspiranti alle cariche civili, i candidati. Questi vestivano la toga candida, resa bianchissima da particolari procedimenti a base di creta. Agli antipodi, la toga pulla, di colore scuro, veniva indossata in segno di lutto. Il nero si otteneva dalle galle di quercia (escrescenze sferiche dell’albero, che crescono nei punti in cui gli insetti fanno un foro e vi depongono le uova), ed era solo uno dei colori di provenienza vegetale noti ai Romani: i fiori violetti dello zafferano davano l’ocra, i licheni il rosa, le radici della robbia un rosso acceso. Ma nella tintura dei tessuti è importante impiegare anche un buon mordente, ovvero una sostanza che fissi il colore, e a Roma erano già in uso parecchi mordenti metallici.
A che punto siamo
Liquidi, in cristalli, in polvere o in pasta, i coloranti sintetici tingono ormai la quasi totalità dei prodotti tessili che usiamo o indossiamo. Rispetto ai coloranti naturali presentano, infatti, tutta una serie di vantaggi: resistono a molti lavaggi e all’esposizione alla luce senza perdere di intensità, provengono da materie prime facili da reperire – composti petrolchimici e altre sostanze di base – e sono veloci da sintetizzare in laboratorio. Senza contare che il processo di applicazione ai tessuti è altrettanto semplice: le fibre vengono lavate, preparate con mordenti come l’acqua di calce, l’allume e il tannino per favorire la penetrazione del colore, vengono immerse in un bagno di colore, accuratamente risciacquate, e asciugate. C’è solo un enorme problema che accompagna l’intero processo: il dispendio di acqua dolce. Ogni passaggio richiede dai 20 ai 40 litri di acqua per 1 chilogrammo di tessuto, quindi un totale compreso tra gli 80 e i 160 litri di acqua per due paia di pantaloni. Fortunatamente, qualcuno sta correndo ai ripari e stanno emergendo soluzioni alternative. L’agenzia di biodesign Faber Futures, per esempio,
ha testato un processo di tintura che richiederebbe un quantitativo d’acqua 500 volte inferiore rispetto ai metodi tradizionali, grazie al coinvolgimento dello Streptomyces coelicolor, un batterio che produce pigmenti capaci di colorare: lo coltivano direttamente sui tessuti e i pigmenti generati aderiscono alle fibre. Seguendo lo stesso principio, la statunitense EcoATEX ha brevettato degli idrogel in nanofibre di cellulosa, a cui vengono aggiunte molecole di colorante. La miscela di nanocellulosa-tintura viene applicata sulla superficie dei tessuti con stampanti industriali, consentendo di risparmiare l’acqua dei bagni di colore. E ancora, un team internazionale di ricercatori ha pensato di risolvere il problema a monte, intervenendo sulle fibre: grazie a un procedimento nanotecnologico è riuscito a incorporare nella pianta, a partire dal seme, i pigmenti colorati. In questo modo, la pianta ha prodotto da sola, naturalmente, le fibre colorate.
Da vicino
Biodegradabilità
Processo artigianale, di cilmente riproducibile su scala industriale
Colorazioni sempre diverse, dai toni delicati e leggermente disomogenei, tendenti ad attenuarsi nel tempo
Costo elevato
Potenziale dispersione in ambiente di sostanze pericolose Processo facilmente industrializzabile e riproducibile su larga scala
Possibili tutte le colorazioni, anche le più accese e sature, che si conservano inalterate nel tempo
Costo di realizzazione contenuto
Il colore dell’inquinamento
COMPITO DI REALTÀ Nell’agosto del 2017 alcuni cani randagi di Mumbai si tinsero completamente di blu, dal muso alla coda. Si scoprì che erano soliti fare il bagno nel fiume Kasadi, in cui erano stati riversati, senza alcuna bonifica, gli scarichi delle tinture indaco di un’industria lì vicino (che naturalmente, venne fatta chiudere).
Non sempre ci accorgiamo della dispersione di colore in modo così plateale. Essa avviene, infatti, in più momenti: durante la fase di produzione degli abiti, quando vengono lavati in casa da chi li acquista, e persino mentre vengono indossati. Ma quali sono le conseguenze della dispersione di colore sull’ambiente e sulla salute di chi realizza gli abiti e di chi li indossa? Documentati sull’argomento e realizza una presentazione di 5 slide, utilizzando Canva o Powerpoint. La presentazione dovrà includere anche le possibili soluzioni al problema. Se preferisci, puoi dedicarti a un episodio in particolare, come quello dei cani blu di Mumbai. In tal caso, descrivi come è stato affrontato il problema in quell’occasione e rifletti sull’efficacia delle soluzioni adottate. Hanno funzionato? Si poteva fare di più? Dedica una slide alle tue valutazioni e a eventuali controproposte.
La dieta mediterranea
Regime alimentare relativo alle terre bagnate dal Mediterraneo e costituito prevalentemente da pane, pasta, olio di oliva, legumi e verdure.
Documento 1
Festeggiare il compleanno nell’impero persiano
Fra tutti i giorni dell’anno è loro costume onorare particolarmente quello del compleanno. In questa circostanza ritengono giusto mangiare con più abbondanza che negli altri giorni: i più benestanti si fanno servire un vitello, un cavallo, un cammello e un asino cotti al forno tutti interi; i poveri, invece, si cucinano animali domestici di taglia minore. In generale non hanno molti piatti principali, ma usano molto i contorni, distribuiti per tutto il pasto. I Persiani dicono che i Greci hanno ancora appetito quando smettono di mangiare, perché non si fanno servire dopo il pranzo nessuna leccornia: altrimenti, aggiungono, non smetterebbero di mangiare. Per il vino i Persiani hanno una vera passione. A loro è vietato vomitare e orinare di fronte ad altri; e rispettano accuratamente questa norma, ma hanno l’abitudine di discutere le questioni più serie in stato di ubriachezza; le decisioni eventualmente prese vengono riproposte il giorno seguente, da sobri, dal padrone della casa in cui si trovano a discutere: se le approvano anche da sobri le confermano, altrimenti le lasciano cadere. Se la prima decisione avviene quando sono lucidi, la ridiscutono da ubriachi.
(Erodoto, Storie, I, 133)
Comprensione
• Come celebravano i Persiani il loro compleanno? Di quante portate si componeva il banchetto?
Riflessione
• Nonostante la vastità dell’impero persiano, la Persia si fa corrispondere oggi all’Iran: un Paese in cui si consumano principalmente riso, carne e verdure, insaporiti da spezie e aromi, e in cui i pasti rappresentano un importante momento di condivisione. Trovi delle corrispondenze con gli usi antichi descritti da Erodoto? A che cosa sono dovute secondo te?
Documento 2
La dieta mediterranea offre benefici per la salute?
Negli anni Cinquanta, mentre si godeva una vacanza di lavoro nel Cilento, in Italia, il fisiologo e nutrizionista americano Ancel Keys osservò che le comunità locali presentavano un basso tasso di malattie croniche. Incuriosito, nel 1958, intraprese uno studio comparativo che analizzava le abitudini alimentari e la prevalenza di malattie cardiovascolari in sette Paesi: Stati Uniti, Finlandia, Paesi Bassi, Italia, Jugoslavia1, Grecia e Giappone. Negli Stati Uniti, infatti, erano aumentate le malattie cardiovascolari, in concomitanza con l’affermarsi di uno stile di vita urbano e di una dieta a base di cibo del supermercato, ricco di grassi saturi, zuccheri e prodotti animali. L’indagine di Keys fornì alcune prove convincenti: le popolazioni mediterranee, con diete simili a quelle da lui osservate nel Cilento, presentavano tassi più bassi di malattie cardiovascolari rispetto alle popolazioni di altre regioni. Dubitando dei suoi risultati, biologi e nutrizionisti incominciarono a esaminare attentamente le culture alimentari mediterranee alla ricerca di punti in comune e potenziali benefici per la salute. In precedenza, l’interesse per l’identificazione delle somiglianze era stato scarso, con i Paesi che sostenevano ciascuno le proprie tradizioni culinarie distintive. Ma i ricercatori trovarono delle affinità: nonostante le specificità regionali, le diete mediterranee erano spesso caratterizzate da abbondanza di cereali, legumi, frutta, verdura, olio d’oliva e pesce azzurro, con un consumo sporadico di latticini, uova e carne. (Food Unfolded, Has the “Mediterranean Diet” Ever Existed?, www.foodunfolded.com, 2024)
1. Entità statale dalla cui dissoluzione, a partire dal 1991, sono nati gli Stati indipendenti di Croazia, Slovenia, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia.
Comprensione
• Che cosa dimostrarono gli studi di Keys?
Riflessione
• Il concetto di “dieta mediterranea” prese piede a partire dagli studi di Keys degli anni Cinquanta. Nell’immaginario comune, esso riflette una generica tradizione culinaria, diffusa nei Paesi che circondano il mar Mediterraneo: Cipro, Croazia, Spagna, Grecia, Italia, Marocco e Portogallo. Ti è mai capitato di mangiare un piatto tipico marocchino? O greco? O spagnolo? Ti ha ricordato la cucina italiana? Per quali elementi?
Documento 3
Verso una dieta “planeterranea”
Presso la Cattedra UNESCO di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile dell’Università di Napoli, vogliamo valutare la possibilità di promuovere a livello mondiale un modello alimentare sano e sostenibile basato sulle proprietà nutrizionali della dieta mediterranea, ma attuato a livello locale utilizzando i prodotti alimentari disponibili nelle diverse aree del mondo. “Planeterraneo” è il nome che diamo a questo nuovo modello alimentare. Molte persone nelle aree urbane, infatti, hanno una dieta povera di qualità e varietà, con la maggior parte dell’apporto energetico proveniente da alimenti ad alto indice glicemico (come riso bianco e patate) o ricchi di zuccheri e grassi ultra-lavorati (cibi pronti, bevande zuccherate, dolci, patatine, caramelle). Queste abitudini alimentari, sempre più frequenti anche nei Paesi mediterranei, sono una delle principali cause dell’epidemia mondiale di obesità e di malattie metaboliche e cardiovascolari. Eppure, in ogni parte del mondo è possibile trovare frutta, verdura, legumi, cereali integrali e fonti di grassi insaturi che presentano contenuti e caratteristiche nutrizionali simili a quelli forniti dagli alimenti della dieta mediterranea: per esempio, in America Latina, avocado, papaya e bacche açaí sono ottime fonti di nutrienti; in Africa centrale, la tapioca, la manioca e il teff 1 rappresentano una valida alternativa ai cereali integrali tipici dell’area mediterranea; i semi di sesamo e la soia, tradizionalmente utilizzati in Asia, contengono sostanze antiossidanti e antinfiammatorie. Su questa base, riteniamo che gli alimenti disponibili nelle diverse parti del mondo possano essere combinati per progettare piramidi nutrizionali multiple che presentino gli stessi benefici per la salute della dieta mediterranea.
(A. Colao, C. Vetrani, G. Muscogiuri, L. Barrea, A. Trichopolou e P. Piscitelli, Towards a “Planeterranean” Diet, www.nature.com, 2022)
1. La tapioca è un amido (usato sottoforma di perle o farina) che viene estratto dalla radice della manioca, una radice commestibile che costituisce una delle principali fonti di carboidrati in Africa, Asia e America Latina. Il teff è uno dei cereali più antichi coltivati, originario dell’Etiopia e dell’Eritrea dove costituisce uno degli alimenti base.
Comprensione
• Che cosa s’intende con dieta “planeterranea”?
• Come si possono progettare piramidi nutrizionali multiple?
Riflessione
• Perché è importante adattare la propria dieta alla produzione locale? Che impatto ha questa scelta sul nostro pianeta?
Convivere con le specie aliene
COMPITO DI REALTÀ Trasportate accidentalmente dalle acque di zavorra delle navi o introdotte intenzionalmente dall’uomo, le specie aliene (cioè non originarie del luogo) stanno alterando gli equilibri del mar Mediterraneo. Secondo le stime del WWF, più di mille specie marine esotiche sono arrivate a popolare il nostro mare, e oltre il 75% vi si è insediata stabilmente. Questo numero è destinato a crescere, complice l’aumento della temperatura delle acque e l’incessante attività commerciale umana, e con esso cresce anche la percentuale di specie invasive, cioè che rappresentano una minaccia per le specie native e gli ecosistemi a esse collegati. Le strategie per contenerle van-
no dalla prevenzione al rilevamento precoce e all’eradicazione, e c’è già chi ha inserito le specie invasive nella propria dieta per limitarne la proliferazione.
• Dividetevi in gruppi e scegliete una specie invasiva per gruppo, che abbia raggiunto il Mediterraneo. Realizzate un breve video, sul modello di un servizio televisivo di circa due minuti, in cui ne raccontate il percorso. Ricordatevi di includere la provenienza della specie, i fattori che ne hanno favorito lo stanziamento, l’impatto sull’ecosistema di destinazione, le misure messe in atto per limitarne la diffusione.