Capitolo campione - Concordia (Umanistica SS2)

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IO, LUCREZIO

L

di Giulio Guidorizzi

a mia giovinezza si svolse in un’epoca tremenda: anni di guerre civili tra i seguaci di Mario e di Silla, migliaia e migliaia di morti, stragi, saccheggi, ferocia. Sembrava che gli uomini stessero mostrando l’aspetto più crudele e bestiale della loro natura, sembrava che lo Stato fosse un unico accampamento. Per fortuna non crebbi a Roma, dove la folla era preda di passioni violente e nella politica non vi era più giustizia. In Campania, dove abitavo, la vita era certo incomparabilmente più bella, su quel mare meraviglioso e con quel clima dolce; lì gli aristocratici romani avevano costruito splendide ville, a Napoli, Ercolano, Pompei, Baia. Era un luogo di delizie. In mezzo a tanto sangue uno come me, che non apparteneva all’aristocrazia, né era interessato alla politica e all’oratoria, trovò la sua stella polare. Quando scrissi più tardi il mio poema, trovai un’immagine che esprimeva perfettamente il mio stato d’animo quando iniziai a vivere una nuova esistenza: è bello, dalla terraferma, vedere il mare sconvolto dalle tempeste e sapere che tu invece sei in un luogo tranquillo, dove le ondate non possono travolgerti: non perché sia un piacere assistere alla sventura degli altri, ma perché sai che tu almeno ne sei privo. Fu lì, in Campania, che trovai la mia soluzione. Nelle ville degli aristocratici, infatti, si vedevano comparire dei Greci venuti dall’Oriente, i filosofi epicurei; alcu-

ni di loro divennero amici e maestri dei grandi signori romani. Uno di loro si chiamava Filodemo ed era nato in Palestina; era anche poeta, ma soprattutto filosofo. Portò con sé la sua biblioteca che finì per cedere a un grande signore romano, Pisone, che possedeva una villa meravigliosa a Ercolano. Dalle sue lezioni, e da quelle di altri filosofi epicurei, scoprii il pensiero dell’uomo che aveva liberato l’umanità dalle sue paure ancestrali e le aveva indicato la via della felicità: solo dall’assenza dei terrori e delle passioni che attanagliano l’anima viene la tranquillità di spirito che può rendere bella la vita, pur breve, di un essere umano. Quest’uomo si chiamava Epicuro ed era vissuto ad Atene; i suoi seguaci non volevano prendere il potere, o conquistare onori, bensì cercare la verità attraverso la conoscenza della natura e di se stessi e in questo trovare la pace. Epicuro, non Achille o Ulisse, divenne il mio eroe: lui sì che ebbe il coraggio di opporsi alla religio e alla superstitio, e aprire le porte sulla conoscenza della natura, andando (così mi venne poi da scrivere) oltre le infiammate mura del mondo, flammantia moenia mundi, per capire com’è fatta la natura dell’universo. Il mio animo era naturalmente portato alla poesia; così ebbi l’idea di provare a rendere questa filosofia in versi latini, e scelsi lo stesso titolo che Epicuro in greco aveva dato alla sua opera principale, Sulla natura, e il mio s’intitolò De rerum natura. Fu un’impresa difficilissima che prese tutta la mia vita: dovevo non solo comprendere sino in fondo le parole di Epicuro, ma renderle in una lingua come la mia, che non aveva le parole adatte per trasmettere queste idee nuove. Mi arrovellavo per notti intere e stavo sino all’alba a riflettere: i versi mi venivano in sogno e la mattina li scrivevo, esametro dopo esametro. Così tutta la mia vita fu dedicata a quest’ideale, perché altri miei concittadini potessero conoscere il pensiero di Epicuro.


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