Incredibili vacanze. Narrativa, 1^

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Carlo Collodi

Le avventure di Pinocchio Illustrazioni di

Chiara Vecchio

Einaudi scuola I CLASSICI


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Coordinamento Redazione Impaginazione Copertina Illustrazioni

Maria Cristina Scalabrini Nicoletta Monteforte Bianchi Silvia Bianchin Sergio Rossi, Silvia Bianchin Chiara Vecchio

Contenuti digitali Audiolibro

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Carlo Collodi

Le avventure di Pinocchio Storia di un burattino Adattamento a cura di Silvia Scarpa Illustrazioni di Chiara Vecchio Apparato didattico a cura di Nicoletta Monteforte Bianchi

Einaudi scuola


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Indice Maestro Ciliegia trova un pezzo di legno Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno a Geppetto Nasce Pinocchio Pinocchio incontra il Grillo Parlante Pinocchio ha fame I piedi di Pinocchio prendono fuoco Geppetto torna a casa Geppetto vende la sua casacca Pinocchio vende l’Abbecedario Al Teatro dei Burattini Mangiafuoco perdona Pinocchio Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe L’osteria del Gambero Rosso Pinocchio incontra gli assassini Gli assassini impiccano Pinocchio La Bambina dai capelli turchini salva Pinocchio Il naso di Pinocchio si allunga Pinocchio semina le monete Pinocchio fa il cane da guardia Pinocchio si getta in mare Pinocchio ritrova la Fatina Pinocchio vuole diventare un ragazzo perbene Pinocchio va a vedere il Pesce-cane Pinocchio viene arrestato Pinocchio e la frittura Pinocchio torna dalla Fata Pinocchio parte per il Paese dei Balocchi A Pinocchio spuntano lunghe orecchie di asino Pinocchio impara a saltare e ballare Pinocchio è ingoiato dal Pesce-cane Nel corpo del Pesce-cane Pinocchio trova... Pinocchio diventa un ragazzino perbene

91 Ti racconto come sono nato 94 Il mondo di Pinocchio


Maestro Ciliegia trova un pezzo di legno C’era una volta un pezzo di legno, uno di quelli che d’inverno si mettono nei caminetti per accendere il fuoco e riscaldare le stanze. Un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di Mastr’Antonio, un vecchio falegname che tutti chiamavano maestro Ciliegia per via della punta del suo naso, lucida e rossa come una ciliegia. Ma quando maestro Ciliegia fu lì lì per dargli il primo colpo di ascia, sentì una vocina che disse: – Ti prego, sono un pezzo di legno “vivo”, non mi picchiare!

bottega: laboratorio.

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Figuratevi come rimase il buon vecchio! Si guardò intorno spaventato. Nessuno. Ripresa l’ascia, diede un bel colpo al pezzo di legno. – Ahi! Mi hai fatto male! – gridò la vocina. Maestro Ciliegia restò di stucco. Tremando per lo spavento scaraventò il ceppo contro la parete. Poi si mise in ascolto. Nulla. Canticchiando per farsi coraggio, prese la pialla, ma quando iniziò a piallare in su e in giù, sentì la solita vocina ridacchiare: – Smettila! Mi fai il solletico! Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde a terra e la punta del naso gli divenne blu dalla gran paura.

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ceppo: pezzo di legno. pialla: attrezzo che il falegname usa per lisciare il legno.


Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno a geppetto Proprio in quel momento bussarono alla porta. – Avanti – disse il falegname. Entrò un vecchietto di nome Geppetto, che i ragazzi, per farlo infuriare, chiamavano Polentina per la sua parrucca gialla che somigliava alla polenta di granturco. – Buon giorno – disse Geppetto. – Son venuto a chiedervi un favore. Voglio fabbricarmi un burattino di legno. Un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. granturco: la farina che si ottiene macinando il granturco è gialla. Il granturco si chiama anche mais. tirare di scherma: usare la spada e fare un duello.

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– Bravo, Polentina! – gridò la solita vocina. A sentirsi chiamare così, Geppetto diventò rosso come un peperone, e voltandosi verso il falegname disse imbestialito: – Perché mi offendete? – Non sono stato io. – Sta’ a vedere che sarò stato io! E i due, riscaldandosi sempre più, se le diedero di santa ragione. Finito il combattimento i vecchietti, dopo aver ripreso ognuno la propria parrucca, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per sempre. – Dunque, Geppetto, – disse il falegname, – che volete da me?

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riscaldandosi: perdendo la calma, arrabbiandosi. se le diedero di santa ragione: si picchiarono.


– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino. Mastr’Antonio, tutto contento, prese quel pezzo che tanto lo spaventava. Ma quando fu lì per consegnarlo, il pezzo di legno dette uno scossone e batté con forza negli stinchi del povero Geppetto. – Ahi! È così che regalate la vostra roba? – Vi giuro, non sono stato io! – Allora sarò stato io! E i due se le diedero di nuovo. A battaglia finita, Mastr’Antonio si trovò due graffi di più sul naso, e l’altro due bottoni di meno. Pareggiati in questo modo i loro conti, i due si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per sempre. Geppetto prese il suo pezzo di legno e se ne tornò zoppicando a casa. negli stinchi: nelle gambe, sotto il ginocchio.

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nasCe pinoCChio La casa di Geppetto era una stanzina che prendeva luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso, ma il fuoco era dipinto. Geppetto prese subito gli arnesi e si mise a intagliare il burattino. – Lo chiamerò Pinocchio. Gli fece capelli, fronte e occhi. Immaginatevi il suo stupore quando si accorse che gli occhi lo guardavano. – Occhiacci di legno, perché mi guardate? Nessuno rispose.

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cattiva: tutta rotta e rovinata. arnesi: attrezzi, strumenti.


Dopo gli occhi fece il naso. Ma il naso, appena fatto, cominciò a crescere e, cresci cresci, diventò un nasone che non finiva mai. Poi fece la bocca. La bocca non era ancora finita che cominciò a canzonarlo. – Smettila! – si stizzì Geppetto. Finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. – Pinocchio! Rendimi subito la parrucca! E Pinocchio se la mise in testa. – Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito e già manchi di rispetto a tuo padre! Restavano da fare gambe e piedi. Quando Geppetto finì, Pinocchio si mise a correre, saltò nella strada e scappò. canzonarlo: prenderlo in giro. si stizzì: si innervosì.

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– Prendetelo! – urlava Geppetto. Ma la gente, vedendo un burattino che correva, si fermava e rideva. A un tratto un carabiniere lo acciuffò. – A casa faremo i conti! – minacciò Geppetto. – Povero burattino! – dicevano alcuni. – Geppetto lo farà a pezzi! Tanto dissero, che il carabiniere rimise in libertà Pinocchio e condusse in prigione Geppetto. – Sciagurato! – piangeva il vecchietto. – E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino perbene! Ben mi sta! Dovevo pensarci prima!

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lo acciuffò: lo prese. ho penato: ho faticato.


pinoCChio inContra il grillo parlante Mentre il povero Geppetto veniva portato in prigione, Pinocchio se la dava a gambe giù per i campi. Giunto a casa, entrò e sospirò. Ma all’improvviso sentì: – Crì-crì-crì! – Chi mi chiama? – disse Pinocchio. – Sono io! Sono il Grillo Parlante, e abito in questa stanza da più di cent’anni. – Oggi però questa stanza è mia – disse il burattino – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene. – Io non me ne andrò, se prima non ti avrò detto una gran verità. Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori! Prima o poi dovranno pentirsene. se la dava a gambe: scappava.

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– Canta pure, Grillo, ma domani voglio andarmene, perché se rimango mi manderanno a scuola; e io mi diverto di più a correre dietro alle farfalle e a salire sugli alberi. – Povero sciocco! Ma non sai che così diventerai un somaro e tutti si prenderanno gioco di te? – Grillaccio del malaugurio! – gridò Pinocchio. Ma il Grillo continuò: – Se non ti va di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere? – Fra tutti i mestieri del mondo non ce n’è che uno che veramente mi piaccia. 12

malaugurio: cattivo augurio, sfortuna.


– E sarebbe? – Mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare da mattina a sera la vita del vagabondo. – Per tua regola, – affermò il Grillo – tutti quelli che fanno quel mestiere finiscono all’ospedale o in prigione. – Bada, Grillaccio! – Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione! – Perché mai? – Perché sei un burattino e, quel che è peggio, hai la testa di legno. A queste ultime parole, Pinocchio saltò su infuriato, prese un martello e lo scagliò contro il Grillo. Disgraziatamente lo colpì sulla testa, tanto che il poveretto ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì, appiccicato alla parete. Bada: fai attenzione (a quello che dici).

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pinoCChio ha faMe Cominciò a farsi notte, e Pinocchio avvertì un brontolio allo stomaco. Il poveretto corse al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece per scoperchiarla, ma la pentola era dipinta sul muro. Allora si mise a frugare ovunque. A un tratto gli parve di vedere nella spazzatura qualcosa di tondo e bianco. Era un uovo di gallina. Pose un tegamino sulla brace, ci mise un po’ d’acqua, e quando l’acqua iniziò a fumare, tac!, spezzò il guscio dell’uovo. Ma invece della chiara e del tuorlo, scappò fuori un pulcino tutto allegro che, facendo la riverenza, disse: – Mille grazie, signor Pinocchio! 14

tegamino: pentolino.


E ciò detto volò via. Il povero burattino rimase lì incantato. Poi cominciò a piangere, e piangendo diceva: – Il Grillo Parlante aveva ragione! Ho fatto male a ribellarmi al mio babbo. Se il mio babbo fosse qui, ora non morirei di fame! Oh! Che brutta malattia che è la fame!

E poiché la pancia continuava a brontolare, uscì di casa e scappò al paesello vicino, nella speranza di trovare un po’ di pane.

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i piedi di pinoCChio prendono fuoCo Era una nottataccia d’inferno. Tuonava forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo fischiava rabbiosamente e faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna. Pinocchio aveva una gran paura, ma la fame era piĂš forte e in men che non si dica arrivò al paese.

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stridere: produrre un suono acuto, fastidioso.


Trovò tutto buio e tutto deserto. Pareva il paese dei morti. Pinocchio si attaccò al campanello d’una casa, e suonò. Un vecchino gridò stizzito: – Che cosa volete? – Mi fareste il piacere di darmi un po’ di pane? – Prepara il cappello. Pinocchio si levò il suo cappelluccio e una cascata d’acqua lo annaffiò dalla testa ai piedi, come se fosse un geranio appassito. Tornò a casa bagnato come un pulcino. Sfinito dalla stanchezza e dalla fame, si mise a sedere, appoggiò i piedi fradici sopra la brace e lì si addormentò. I piedini di legno presero fuoco e diventarono cenere. Finalmente, sul far del giorno Geppetto bussò alla porta.

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geppetto torna a Casa

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Il povero Pinocchio non s’era ancora accorto dei piedi bruciati; appena sentì la voce di suo padre schizzò giù dallo sgabello, e cadde lungo disteso. – Apri! – gridava Geppetto. – Babbo, non posso! Mi hanno mangiato i piedi! – E chi? – Il gatto – disse Pinocchio, vedendo il gatto che giocava con alcuni pezzetti di legno. Geppetto entrò dalla finestra e, quando vide Pinocchio senza piedi, si intenerì. – Pinocchiuccio mio! Com’è che ti sei bruciato i piedi? – Non so, babbo, è stata una nottata d’inferno. Tuonava, lampeggiava e io avevo fame, e intanto la fame ce l’ho sempre e i piedi non ce li ho più!


Geppetto allora tirò fuori tre pere. – Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle – pretese Pinocchio. E Geppetto sbucciò le pere. Quando Pinocchio finì la prima, fece per buttare il torsolo, ma Geppetto lo trattenne. – Il torsolo non lo mangio davvero! – gridò il burattino. Ma i tre torsoli vennero posati in tavola con le bucce. Divorate le pere, Pinocchio piagnucolò: – Ho ancora fame! – Ma io ho solo bucce e torsoli! – Se non c’è altro, mangerò una buccia. Da principio Pinocchio storse il naso; ma poi divorò le bucce, e dopo le bucce i torsoli, e quando finì disse felice: – Ora sì che sto bene! storse il naso: è un modo di dire, significa che gli facevano ribrezzo.

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geppetto vende la sua CasaCCa

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Il burattino, passata la fame, ricominciò a piangere, perché voleva dei piedi nuovi. – Vi prometto – singhiozzò il burattino – che sarò buono. – Tutti i ragazzi quando vogliono qualcosa dicono così. – Ma io dico la verità. Lo prometto, babbo. Geppetto non disse altro e si mise a lavorare. In meno di un’ora i piedi erano fatti e, appena furono sistemati, il burattino iniziò a fare mille capriole. – Per ricompensarvi – disse Pinocchio – voglio subito andare a scuola. – Bravo ragazzo! – Ma ho bisogno di un vestito.


Geppetto, che era povero, gli fece un vestitino di carta fiorita, un paio di scarpe di corteccia e un berrettino di mollica di pane. Pinocchio corse a specchiarsi e disse: – Sembro un signore! – A proposito – aggiunse il burattino – per andare a scuola mi manca qualcosa. – Cioè? – L’Abbecedario. – Hai ragione: ma i quattrini? signore: una persona ricca. Abbecedario: libro per imparare a leggere. quattrini: soldi.

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E Pinocchio, sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece triste: perché la miseria la capiscono tutti, anche i ragazzi. – Pazienza! – gridò Geppetto a un tratto; e infilatasi la vecchia casacca di fustagno, uscì correndo di casa. Quando tornò aveva in mano l’Abbecedario, ma la casacca non ce l’aveva più. Il pover’uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava. – E la casacca, babbo? – L’ho venduta. – Perché? – Mi teneva caldo. Pinocchio capì al volo, e saltò al collo di Geppetto baciandolo per tutto il viso.

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casacca di fustagno: giacca fatta con un tessuto pesante che tiene caldo.


pinoCChio vende l’abbeCedario Fu così che Pinocchio prese la strada per la scuola. – Imparerò a leggere, a scrivere e a contare. Poi guadagnerò molti quattrini e regalerò al babbo una casacca di panno. No, d’argento e d’oro coi bottoni di brillanti. Mentre, commosso, diceva così, sentì una musica: pì-pì-pì, zum, zum. Si fermò e rimase lì perplesso. Pì-pì-pì, zum, zum. – A scuola andrò domani, per andare a scuola c’è sempre tempo! – decise alla fine e cominciò a correre. Si trovò in mezzo a una folla che si accalcava intorno a un baraccone colorato. – Che cos’è? – domandò Pinocchio a un ragazzetto. – Leggi e lo saprai.

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– Non so leggere. – GRAN TEATRO DEI BURATTINI. – E quanto costa? – Quattro soldi. – Ti vendo la mia giacchetta – disse il burattino. – Che me ne faccio di una giacchetta di carta? – E le mie scarpe? – Per accendere il fuoco? – Quanto mi dai del berretto? – Bell’acquisto! Così i topi me lo mangiano in testa! Pinocchio era sulle spine. E propose: – Vuoi darmi quattro soldi per quest’Abbecedario nuovo? – Non compro nulla dai ragazzi – gli fu risposto giudiziosamente. – Lo prendo io – gridò un negoziante che aveva sentito la conversazione. E in un attimo il libro fu venduto.


al teatro dei burattini La commedia era cominciata. Arlecchino e Pulcinella minacciavano schiaffi e bastonate e tutti ridevano a crepapelle. Quando all’improvviso Arlecchino urlò: – Sogno o son desto? Quello è Pinocchio! – È vero! – gridò Pulcinella. – È Pinocchio! È Pinocchio! – urlavano tutti i burattini. – Pinocchio, vieni quassù – gridò Arlecchino. Pinocchio saltò sul palcoscenico. Però poi il pubblico si spazientì e prese a gridare: – Vogliamo la commedia! Allora uscì il burattinaio, un omone così brutto che metteva paura soltanto a guardarlo. desto: sveglio.

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Aveva una barbaccia nera e tanto lunga che gli scendeva fino a terra. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso e con le mani faceva schioccare una grossa frusta. Tutti fecero silenzio. – Perché crei confusione nel mio teatro? Basta! Stasera faremo i conti. Difatti, finita la recita, il burattinaio andò in cucina dove si era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente nello spiedo. Chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse: – Portatemi quel burattino: se lo butto nel fuoco darà una bellissima fiammata all’arrosto. I due, impauriti, obbedirono, e dopo poco tornarono con Pinocchio che, divincolandosi come un’anguilla, strillava disperatamente: – Babbo, salvatemi! Non voglio morire!


MangiafuoCo perdona pinoCChio Il burattinaio Mangiafuoco, questo era il suo nome, pareva un uomo spaventoso. Ma quando vide il povero Pinocchio che si dibatteva, si impietosì e starnutì. Arlecchino si fece allegro: – Buone notizie. Ha starnutito. Ebbene, Mangiafuoco, quando s’inteneriva, starnutiva. Il burattinaio gridò: – Finiscila di piangere! Etcì! Etcì! Il tuo babbo e la tua mamma sono vivi? – Il babbo sì, la mamma non l’ho mai conosciuta. – Etcì, etcì, etcì. Olà, gendarmi! si dibatteva: si agitava cercando in tutti i modi di liberarsi.

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Comparvero due gendarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna e la sciabola in mano. – Allora pigliate Arlecchino, e gettatelo sul fuoco. Figuratevi il povero Arlecchino! Le gambe gli si piegarono e cadde bocconi. Pinocchio supplicò: – Pietà, signor Mangiafuoco! Vi domando grazia per Arlecchino! – Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perché voglio che il mio montone sia arrostito bene. – In questo caso – gridò coraggiosamente Pinocchio – signori gendarmi, gettatemi fra le fiamme.

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cappello a lucerna: è un cappello con due punte laterali; nella forma ricorda una lucerna, cioè un’antica lampada a olio. bocconi: disteso a pancia in giù.


Mangiafuoco starnutì. Aprì le braccia e disse a Pinocchio: – Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni da me e dammi un bacio. Pinocchio si arrampicò come uno scoiattolo sulla barba del burattinaio e gli baciò la punta del naso. – Pazienza! Mangerò il montone crudo. Alla notizia, i burattini corsero sul palco a ballare e all’alba ballavano ancora.

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pinoCChio inContra il gatto e la volpe

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Il giorno dopo Mangiafuoco chiamò Pinocchio e disse: – Va’ dal tuo babbo, Pinocchio. Eccoti cinque monete d’oro. Pinocchio ringraziò mille volte e partì. Ma ben presto incontrò una Volpe zoppa e un Gatto cieco. – Buon giorno, Pinocchio – disse la Volpe. – Io conosco il tuo babbo. Ieri tremava di freddo. – Povero babbo! Ma da oggi non tremerà più, perché ora sono un signore. La Volpe quasi morì dal ridere. – C’è poco da ridere. Queste sono cinque monete d’oro. Al che la Volpe saltò sulla zampa malata e il Gatto spalancò tutt’e due gli occhi.


– Comprerò una casacca nuova per il babbo e un Abbecedario per me. Devo andare a scuola. La Volpe, subito, aggiunse: – Vuoi raddoppiare le tue monete? Vieni con noi nel paese dei Barbagianni. – Barbagianni! – ripeté il Gatto. – I tuoi cinque zecchini diventeranno duemila. – Duemila! – ripeté il Gatto. – Ma com’è mai possibile? – domandò Pinocchio. – Lì c’è il Campo dei miracoli – rispose la Volpe. – Tu fai una buca, ci metti uno zecchino e ricopri di terra. Poi annaffi e vai a letto. Durante la notte, lo zecchino germoglia e la mattina dopo trovi un albero carico di zecchini. – Ohhh! – urlò Pinocchio. – Andiamo pure. Vengo con voi. zecchini: monete d’oro.

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l’osteria del gaMbero rosso Cammina, cammina, arrivarono all’osteria del Gambero Rosso. Il povero Gatto, che non si sentiva tanto bene, mangiò trentacinque triglie al pomodoro e quattro porzioni di trippa. La Volpe, che era a dieta, chiese una lepre con contorno di pollastre e galletti, e un secondo di pernici e conigli. E non volle altro. Pinocchio ordinò una noce e del pane. Poi la Volpe disse all’oste: – Dateci due camere, una per il signor Pinocchio e una per noi. A mezzanotte però vogliamo essere svegliati per continuare il viaggio. Pinocchio si addormentò subito. 32

oste: il proprietario dell’osteria.


Sognò un campo pieno di alberelli carichi di grappoli di zecchini d’oro che, mossi dal vento, facevano zin, zin, zin. Poi l’oste lo svegliò, annunciando la mezzanotte. – I miei compagni sono pronti? – domandò il burattino. – Altro che! Sono partiti. Vi aspettano al Campo dei miracoli, all’alba. Pinocchio pagò uno zecchino per la cena e partì.

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Era buio pesto, non si sentiva alcun rumore. A tratti Pinocchio gridava: – Chi va là? – e l’eco delle colline ripeteva: – Chi va là? Chi va là? Mentre camminava, Pinocchio vide su un albero un animaletto che riluceva di una luce opaca, come un lumino da notte dentro una lampada di porcellana trasparente. – Chi sei? – Sono il Grillo Parlante. Torna indietro, Pinocchio, e porta al tuo babbo i quattro zecchini rimasti. Non ti fidare di chi promette di farti ricco dalla mattina alla sera. – Le solite storie. Buona notte, Grillo. – Che il cielo ti salvi dagli assassini, Pinocchio. E il Grillo Parlante si spense, come si spegne un lume soffiandoci sopra. 34

opaca: un po’ spenta, che non brilla.


pinoCChio inContra gli assassini – Come siamo disgraziati noi ragazzi! – disse il burattino. – Tutti ci sgridano, persino i Grilli Parlanti. Pure gli assassini dovrei incontrare! Per me gli assassini sono invenzioni dei babbi, per farci paura. Pinocchio sentì un fruscio. Si voltò e vide due figuracce nere imbacuccate in due sacchi, che gli correvano dietro come fantasmi.

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«Eccoli davvero!» pensò, e ficcò in bocca i quattro zecchini. – O la borsa o la vita! – gridavano i briganti. – I soldi o sei morto, e poi ammazzeremo anche tuo padre! – No, il babbo no! – si disperò Pinocchio: ma nel gridare, gli zecchini gli suonarono in bocca. – Furfante! Sputali subito! Così lo afferrarono e cominciarono a tirare di qua e di là, per fargli spalancare la bocca, che pareva inchiodata. Allora l’assassino più piccolo provò a conficcargli un coltello fra le labbra, ma Pinocchio gli morse la mano. Immaginate la sua meraviglia quando si accorse di aver morso una zampa di gatto. Poi fuggì. E gli assassini dietro, come due cani dietro una lepre.


gli assassini iMpiCCano pinoCChio Il burattino fu sul punto di darsi per vinto, quando vide tra gli alberi una casina candida come la neve. Dopo una corsa disperata, finalmente arrivò trafelato alla porta della casetta e bussò. Nessuno rispose. Bussò di nuovo. Silenzio. Allora cominciò a dare calci e zuccate alla porta. Si affacciò una Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come cera. – O bella Bambina dai capelli turchini, aprimi per carità! Abbi pietà di un povero ragazzo inseguito dagli assass... Ma non poté finire, che si sentì afferrare per il collo. candida: bianca. trafelato: accaldato e con il fiatone.

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– Ora non ci scappi più! – gridarono gli assassini. –Ti impiccheremo! Lo attaccarono per la gola al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi aggiunsero: – A domani. Quando torneremo, facci la cortesia di farti trovare morto e con la bocca spalancata – e se ne andarono. Intanto si levò un vento impetuoso che, soffiando con rabbia, dondolava il povero impiccato come una campana. A poco a poco gli occhi gli si appannavano finché, quasi moribondo, balbettò: – Oh babbo mio! Se tu fossi qui! E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, allungò le gambe e rimase lì come intirizzito.

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intirizzito: rigido, come se si fosse congelato per il freddo.


la baMbina dai Capelli turChini salva pinoCChio Pinocchio pareva ormai più morto che vivo, quando la Bambina dai capelli turchini si riaffacciò e, impietosita, batté per tre volte le mani. Giunse un Falco. – Comandate, graziosa Fata. – Vedi quel burattino penzoloni? Mettilo giù. Il Falco eseguì. La Fata batté di nuovo le mani e apparve un magnifico Cane barbone, vestito da cocchiere in livrea di gala. – Medoro! – disse la Fata al Cane. – Fai attaccare la carrozza più bella. Portami il burattino. cocchiere: chi guida la carrozza. livrea di gala: uniforme per le occasioni importanti.

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Il Cane partì, la carrozza raccolse il burattino e la Fata chiamò tre medici: un Corvo, una Civetta e un Grillo Parlante. Il Corvo disse: – A mio credere il burattino è morto. Ma se non fosse morto, sarebbe indizio sicuro che è vivo. – Illustre collega – disse la Civetta – per me è vivo; ma se non fosse vivo, sarebbe segno che è morto davvero!

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– E lei che dice? – domandò la Fata al Grillo Parlante. – Quel burattino lì lo conosco! È una birba matricolata. Pinocchio ebbe un fremito. Aprì gli occhi e li richiuse. – È un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo. Pinocchio si nascose sotto le lenzuola. – È un figliuolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo! Allora si sentì nella camera un singhiozzo soffocato. – Quando il morto piange, è in via di guarigione – dichiarò il Corvo.

una birba matricolata: un vero e proprio furbo. ebbe un fremito: fece un piccolo movimento. morire di crepacuore: morire per il dolore, per il dispiacere.

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il naso di pinoCChio si allunga Pinocchio aveva un febbrone da cavallo. Così la Fata sciolse una polverina in un bicchier d’acqua. – È amara, ma ti farà bene. Dopo ti darò uno zuccherino. – Prima lo zuccherino, poi berrò. Promesso! Pinocchio sgranocchiò lo zuccherino. – Ora mantieni la promessa. – Eh no! Mi dà noia il guanciale. La Fata lo levò. – Eh no! Mi dà noia la porta aperta. La Fata la chiuse. – No! Non voglio bere la medicina! Preferisco morire! Allora entrarono quattro conigli neri come l’inchiostro, con una piccola bara. 42

Mi dà noia il guanciale: mi dà fastidio il cuscino.


– Cosa volete da me? – urlò Pinocchio. – Siamo venuti a prenderti. – O Fata mia, il bicchiere! Pinocchio bevve tutto d’un fiato e i conigli uscirono. Il burattino raccontò alla Fata tutte le sue disavventure. – E ora dove sono le monete? – domandò lei. – Le ho perdute! – rispose Pinocchio, ma disse una bugia, perché invece le aveva in tasca.

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Appena detta la bugia, il suo naso si allungò di due dita. – E dove le hai perdute? – Nel bosco. Il naso crebbe ancora. – Allora le ritroveremo. – Ah! Ora mi ricordo, – balbettò il burattino – non le ho perdute, le ho inghiottite con la medicina. Ma il naso si allungò tanto, che il poveretto non riusciva più a girarsi. – Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! Ve ne sono di due specie: con le gambe corte e con il naso lungo.

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pinoCChio seMina le Monete La Fata lasciò che il burattino piangesse. Poi batté le mani: mille Picchi entrarono e beccarono il nasone fino a ridurlo a grandezza naturale. – Grazie, Fata, vi voglio bene! – Anch’io. Se vuoi rimanere, sarai il mio fratellino. Anche il tuo babbo sta venendo qui. – Oh, Fatina, vorrei andargli incontro! – Vai pure, ma attento. Pinocchio balzò come un capriolo. Ma quando arrivò alla Quercia grande, chi vide? La Volpe e il Gatto. – Caro Pinocchio! – gridò la Volpe. – Come mai qui? – È una storia lunga. Gli assassini volevano le mie monete. Ma ora le ho in tasca, al sicuro.

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– Allora bisogna andare subito al Campo dei miracoli! È stato venduto e da domani non si potrà più seminare. Vuoi venire con noi? Pinocchio era incerto. Ma poi disse: – Andiamo. Dopo mezza giornata, arrivarono a una città di nome Acchiappa Citrulli. I tre traversarono la città e si fermarono in un campo solitario. – Eccoci – disse la Volpe. Pinocchio scavò, seminò le monete e annaffiò. – Ritorna fra venti minuti e troverai un arboscello carico di monete – disse la Volpe. Il burattino ringraziò mille volte la Volpe e il Gatto, che salutarono e se ne andarono. Il burattino contava i minuti.

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Acchiappa Citrulli: acchiappa vuol dire “prende”, citrulli significa “sciocchi, stupidi”. Questa città riusciva ad attirare le persone poco intelligenti!


– E se trovassi centomila monete? Oh che signore sarei! Vorrei un palazzo, mille cavallini di legno e una libreria piena di canditi, torte, panettoni e cialde con la panna. Fantasticando, tornò al campo, ma non trovò un bel niente. Poi sentì una gran risata e vide un Pappagallo. – Perché ridi? – si offese Pinocchio. – Rido dei barbagianni che si lasciano imbrogliare dai più furbi. Povero Pinocchio, credi che i denari si possano seminare come i fagioli. – Non capisco. – La Volpe e il Gatto hanno preso le monete. Pinocchio corse a scavare. E scava, scava, fece una buca così profonda, che ci sarebbe entrato un pagliaio, ma le monete non c’erano. barbagianni: uomini sciocchi, poco intelligenti. Il barbagianni in realtà è un uccello rapace.

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pinoCChio fa il Cane da guardia Pinocchio allora si mise a correre come un levriero, tormentato dal pensiero di rivedere il babbo e la sorellina dai capelli turchini. – Quante disgrazie mi son meritato! Voglio far sempre a modo mio, senza dar retta a chi mi vuol bene e ha più giudizio. Ma cambierò vita! Lungo la strada, poiché moriva di fame, saltò in un campo per cogliere un po’ d’uva. Appena giunto sotto la vite, crac... sentì le gambe strette fra due pezzi di ferro, il povero burattino era intrappolato in una tagliola. Pinocchio si mise a piangere e a strillare, ma non passava anima viva. 48

tagliola: trappola.


Quando si fece notte, il padrone del campo venne a vedere se aveva preso una faina. La sua meraviglia fu grandissima quando, invece di una faina, vide un ragazzo. – Ah, ladruncolo! Dunque sei tu che mi rubi le galline? – Io no, io no! – singhiozzò Pinocchio. – Volevo solo dell’uva! – Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare i polli. E aperta la tagliola, afferrò il burattino e lo portò di peso fino a casa. – È tardi e voglio andare a letto. Intanto, siccome oggi mi è morto il cane, tu prenderai il suo posto. Detto fatto, gl’infilò un grosso collare, a cui era attaccata una catena fissata nel muro. – Se piove, – disse il contadino, – puoi andare a cuccia in quel casotto di legno. E se vengono i ladri, abbaia!

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Dopodiché, il contadino entrò in casa, e il povero Pinocchio rimase accovacciato, più morto che vivo. E piagnucolava: – Mi sta bene! Se fossi stato un ragazzino perbene, non mi troverei qui a fare il cane da guardia. Ma oramai è tardi! Poi entrò nel casotto e si addormentò. Pinocchio dormiva da due ore, quando fu svegliato da un pissi-pissi di vocine strane. Sbirciò fuori e vide quattro bestiole. Erano faine, animaletti carnivori ghiottissimi di uova e di polli.

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pissi-pissi: bisbiglio, mormorio.


Una andò al casotto e disse sottovoce: – Buona sera, Melampo. – Non sono Melampo – rispose il burattino. – E chi sei? – Sono Pinocchio. Il vecchio cane è morto. – Povera bestia! Ebbene, io ti propongo gli stessi patti che avevo col defunto. Noi verremo una volta la settimana, e porteremo via otto galline. Sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione che non svegli il contadino. Intesi? – Anche troppo bene! – rispose Pinocchio. Le quattro faine sgusciarono nel pollaio. Ma subito sentirono la porticina chiudersi con violenza. Pinocchio vi posò davanti una grossa pietra, e cominciò ad abbaiare. Il contadino si affacciò col fucile.

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– Ci sono i ladri! – gridò Pinocchio. In men che non si dica, il contadino scese, entrò nel pollaio e acchiappò le faine. – Alla fine siete nelle mie mani! Vi farò cucinare! Quindi domandò a Pinocchio: – Com’hai fatto a scoprirle? E dire che il mio fido Melampo non s’era mai accorto di nulla. Il burattino pensò «A che serve accusare i morti?». – Dormivo, – rispose Pinocchio, – ma le faine mi hanno svegliato e han detto: «Se prometti di non svegliare il padrone, ti regaleremo una pollastra». Avrò tutti i difetti di questo mondo, ma non quello di aiutare i disonesti! – Questo ti fa onore, ragazzo! – gridò il contadino. – E per provarti la mia soddisfazione, ti lascio libero.


pinoCChio si getta in Mare Pinocchio corse e corse, e arrivò alla Quercia grande. Ma la casina bianca non c’era più. C’era, invece, una pietra di marmo su cui si leggeva: «Qui giace la Bambina dai capelli turchini, morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio». Pinocchio pianse tutta la notte. – O Fatina mia, perché sei morta? O babbo, dove sei? In quel mentre passò un Colombo grosso come un tacchino, che gridò: – Dimmi, bambino, conosci un certo Pinocchio? – Pinocchio? Pinocchio sono io! – Tre giorni fa un certo Geppetto ti chiamava: era sulla spiaggia e costruiva una barchetta per cercare te. Se vuoi, ti ci porto.

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Pinocchio saltò sul Colombo e gridò tutto contento: – Galoppa, galoppa, cavallino! Volarono tutto il giorno. La mattina dopo erano sulla spiaggia, piena di gente che gridava e si sbracciava. – Che cos’è accaduto? – domandò Pinocchio. – Un povero babbo ha preso una barchetta per cercare il suo figliolo, ma il mare oggi è cattivo – disse una vecchina, indicando una barca che, da quella distanza, pareva un guscio di noce con dentro un omino piccino piccino. Pinocchio cacciò un urlo: – È il mio babbo! Poi la barca sparì. – Pover’uomo! – dissero allora i pescatori. Quand’ecco che udirono un urlo disperato, e videro un ragazzetto che si gettava in mare.


pinoCChio ritrova la fatina Pinocchio nuotò tutta la notte e, al mattino, un’ondata lo scaraventò su un’isola. Qui prese un viottolo e arrivò a un piccolo paese, «Il paese delle Api laboriose». Un uomo tirava con fatica due carretti di carbone. Pinocchio gli chiese: – Mi dareste un soldo, che muoio di fame? – Te ne darò quattro, se m’aiuti. – Io non faccio il somaro! – si offese il burattino. – Allora mangia due belle fette della tua superbia. Poi passò un muratore. – Dareste un soldo a un poveretto che sbadiglia dall’appetito? – Vieni con me a portar calce: te ne darò cinque. superbia: presunzione.

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– Ma pesa! – Se non vuoi faticare, sbadiglia pure. Poi passò una donnina con due brocche. – Posso bere un po’ d’acqua? – chiese Pinocchio. – Bevi. E se mi porti una brocca, ti darò del pane. Pinocchio non rispose. – Poi un piatto di cavolfiore. Pinocchio non rispose. – E un bel confetto. Pinocchio non seppe resistere: – Vi porterò la brocca! Arrivati a casa, Pinocchio si rimpinzò. Quando si alzò per ringraziare, rimase incantato: occhi spalancati, forchetta per aria e bocca piena. – Voi... – balbettò, – voi... sì, voce... occhi... capelli turchini... O Fatina! E pianse. 56


pinoCChio vuole diventare un ragazzo perbene La donnina confessò. – Birba d’un burattino! Come ti sei accorto che ero io? – Il cuore me l’ha detto. – Visto? Ora non sono più una bambina, potrei farti da mamma. – Vorrei tanto una mamma! Ma come avete fatto a crescere così? Io sono ancora un soldo di cacio. – I burattini non crescono. – Sono stufo di fare il burattino! Sarebbe ora che diventassi un ragazzo vero. – Certo, se saprai meritarlo! – Davvero? E che posso fare? – Essere un ragazzo perbene. I ragazzi perbene sono ubbidienti... – E io non ubbidisco. soldo di cacio: piccolo di statura.

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– I ragazzi perbene dicono la verità. – E io le bugie. – I ragazzi perbene vanno a scuola. – E a me la scuola fa venire i dolori. Ma cambierò! – Me lo prometti? – Prometto! Voglio diventare un ragazzino perbene. Rivedrò mai il mio babbo...? – Ma certo! Pinocchio era felice. – Dunque, mammina... non sei morta? – Sembra di no – sorrise la Fata. – Oh, che dolore provai... – Lo so, per questo ti ho perdonato: i ragazzi buoni di cuore c’è sempre da sperare che tornino sulla retta via. Ora sarò la tua mamma. Queste parole toccarono Pinocchio, che si convinse: – Studierò, lavorerò, farò tutto quello che mi dirai, e diventerò un ragazzo vero.


pinoCChio va a vedere il pesCe-Cane Il giorno dopo Pinocchio andò a scuola. E fatto sta che guadagnò la stima di tutti i ragazzi e anche del maestro, che lo vedeva attento e studioso. Il solo difetto che avesse era quello di frequentare molti monelli svogliati. Un bel giorno, mentre andava a scuola, incontrò alcuni compagni, che gli dissero: – Sai la notizia? È arrivato un Pesce-cane, grosso come una montagna. – Noi andiamo a vederlo. Vieni? – Dunque, via! E chi più corre, è più bravo! – gridò Pinocchio. E così, quel branco di monelli si mise a correre per i campi; e Pinocchio aveva le ali ai piedi. guadagnò la stima: conquistò l’ammirazione, il rispetto. aveva le ali ai piedi: era velocissimo.

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pinoCChio viene arrestato

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Giunto sulla spiaggia, Pinocchio non vide un bel niente. – E il Pesce-cane? – Sarà andato a far colazione – rise uno. – O un sonnellino – aggiunse un altro. Pinocchio si infuriò: – E ora? Mi avete preso in giro! – Non fare il galletto, Pinocchio! Tu sei solo e noi siamo in sette – lo minacciò uno. E gli diede un pugno. Ma il burattino rispose con un altro pugno, e, in un momento, si scatenò una rissa. I monelli tiravano Abbecedari e Grammatiche, ma Pinocchio li schivava tutti. Finiti i loro libri, adocchiarono quelli del burattino. Uno agguantò un Trattato di Aritmetica e lo scagliò su Pinocchio. Ma colpì un compagno


che, bianco come un cencio, cadde lungo disteso. I ragazzi scapparono a gambe levate. Pinocchio corse a inzuppare il fazzoletto nel mare per bagnare la tempia del compagno. E intanto piangendo lo chiamava: – Eugenio, Eugenio! Giunsero due carabinieri. – Che cosa fai? – domandarono. – Assisto il mio compagno. – Ma è ferito: chi è stato? – disse uno, e poi: – E con che cosa è stato ferito? – Con questo. E il burattino raccattò il Trattato. – Di chi è? – Mio. – Basta così. Alzati. – Ma sono innocente! I carabinieri chiamarono alcuni pescatori, e dissero: – Vi affidiamo questo ferito. Domani torneremo.

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Quindi si volsero a Pinocchio: – Cammina! Il burattino ubbidì, quando una folata di vento gli levò il berretto. Il burattino andò a raccattare il berretto, e poi cominciò a correre. Andava via come una palla di fucile. I carabinieri gli lanciarono dietro un grosso cane mastino. Pinocchio e il cane sollevarono un tal polverone, che in pochi minuti non si vedeva più nulla. Il burattino sentiva sul collo il fiato del cagnaccio. Ma il mare era vicino, e si tuffò appena in tempo.

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pinoCChio e la frittura Il mastino Alidoro, correndo, scivolò in acqua pure lui e cominciò ad annaspare e a gridare: – Affogo! Affogo! Il burattino si impietosì. Nuotò da Alidoro e lo trascinò sulla spiaggia. – Grazie, Pinocchio, ti ricompenserò! Poi Pinocchio nuotò e nuotò. A un tratto vide una grotta, e sentì qualcosa sott’acqua che saliva. Tentò di fuggire, ma era ormai chiuso in una viscida rete. Allora comparve un pescatore così brutto, che pareva un mostro marino. Il pescatore portò la rete nella grotta, dove friggeva una padellata d’olio. Poi, ficcando nella rete la sua manona, prese a manciate i pesci e li gettò in una conca. Quando vide Pinocchio, sgranò gli occhi: – Che è questo? Un granchio di mare?

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Pinocchio si offese: – Ma che granchio! Sono un burattino! – Il pesce burattino è per me un pesce nuovo! Meglio! Ti mangerò più volentieri. – Mangiarmi? Ma non sente che parlo e ragiono? – Verissimo, allora lascerò a te la scelta: desideri essere fritto o cotto nel tegame col pomodoro? – Preferisco essere lasciato libero. – Lascia fare a me, ti friggerò con gli altri. L’esser fritto in compagnia è sempre una consolazione. Pinocchio, a queste parole, cominciò a piangere. Il pescatore lo legò e lo gettò con gli altri. I primi a ballare nell’olio bollente furono i naselli, poi toccò a sogliole e acciughe. Restava Pinocchio. Il pescatore lo infarinò per bene.


pinoCChio torna dalla fata Il pescatore stava per friggere Pinocchio, quando entrò un cagnone affamato. Allora una vocina disse: – Alidoro, sei tu? Salvami, se no son fritto! La vocina usciva da un fagotto infarinato. Il cane capì, lo afferrò e fuggì. E il burattino non smetteva di ringraziare. – Quel che è fatto, è reso – replicò Alidoro. Poi si salutarono. Pinocchio si avviò pensieroso. Era notte e pioveva a dirotto. Arrivò a casa della Fata e bussò. Aspetta, aspetta, dopo mezz’ora si affacciò una Lumaca con un lumicino in testa, che disse: – La Fata dorme e non vuol essere svegliata.

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– Sono io, Pinocchio! Spicciatevi, per carità! Muoio dal freddo. – Ragazzo mio, sono una lumaca, e le lumache non hanno mai fretta. Passò un’ora e poi due. Suonò la mezzanotte, poi l’una, poi le due. Pinocchio diede un calcio all’uscio e il piede gli s’incastrò. La mattina, dopo nove ore, la porta finalmente si aprì. – Che cosa fate col piede nell’uscio? – Una disgrazia. Pregate la Fata, Lumachina, che venga a liberarmi. – La Fata dorme e non vuol essere svegliata. – Portatemi almeno da mangiare. – Subito! – disse la Lumaca. E dopo tre ore e mezzo tornò con pane, pollo arrosto e albicocche.

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uscio: porta.


Ma il pane era di gesso, il pollo di cartone e le albicocche di alabastro. E Pinocchio cadde svenuto. Si svegliò su un sofà. La Fatina era infuriata, ma Pinocchio giurò che si sarebbe comportato bene. Arrivarono gli esami e Pinocchio fu il più bravo della scuola. La Fata era così fiera che disse: – Domani il tuo desiderio sarà esaudito! Non sarai più un burattino, ma un ragazzo vero. La gioia di Pinocchio non si può descrivere. Tutti i suoi amici sarebbero stati invitati per festeggiare il grande avvenimento. Ma... Disgraziatamente, nella vita dei burattini c’è sempre un ma, che sciupa ogni cosa.

sofà: divano. sciupa: rovina.


pinoCChio parte per il paese dei baloCChi

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Pinocchio chiese alla Fata il permesso di andare a fare gli inviti. – Vai pure, ma torna prima che faccia notte. Il burattino salutò la Fata, e uscì. In poco più d’un’ora, quasi tutti gli amici furono invitati. Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici, ne aveva uno prediletto di nome Lucignolo, il più birichino della scuola. Pinocchio lo trovò sotto il portico di una casa. – Che fai? – gli domandò. – Aspetto di partire... – Non sai il grande avvenimento? Domani divento un ragazzo vero. Ti aspetto a colazione a casa mia. – Ma io parto stasera. Vado nel più bel paese del mondo!


– E quale? – Il Paese dei Balocchi. Lì non ci sono scuole, né maestri, né libri. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana ha sei giovedì e una domenica. Le vacanze cominciano il primo gennaio e finiscono a fine dicembre. Perché non vieni anche tu? – No e poi no. Ho promesso di diventare un ragazzo perbene. Anzi, ti devo lasciare. Ciò detto, il burattino fece due passi, ma poi si fermò e domandò: – Ma sei sicuro che in quel paese tutte le settimane abbiano sei giovedì e una domenica? – Sicurissimo. – Ma sei certo che le vacanze cominciano il primo gennaio e finiscono a fine dicembre? – Certissimo!

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Intanto si era già fatta notte, quando videro in lontananza un lumicino e sentirono uno squillo di trombetta, così piccolino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara. – Eccolo! – gridò Lucignolo. – È il carro che viene a prendermi. – Ma è vero – domandò il burattino – che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare?

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– Mai, mai, mai! – Che bel paese! Il carro, pieno di ragazzetti stretti come acciughe, era tirato da dodici paia di ciuchini con gli stivaletti ai piedi. Il cocchiere era un omino più largo che lungo, e si volse a Lucignolo con una vocina sottile. – Ehi, bellino, vuoi venire in quel fortunato paese? Ma ti avverto, nel carro non c’è posto. – Pazienza, – replicò l’altro, – starò sulle stanghe del carro. – E tu, carino? – disse l’Omino a Pinocchio. – Che cosa dirà la Fata? – sospirò il burattino. Poi fece un altro sospiro, poi un terzo e infine disse: – Salirò su questo ciuchino – e il carro partì. Fatti pochi passi il burattino sentì: – Povero sciocco! Te ne pentirai! – ma non vedeva nessuno.

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– Ehi, signor Omino, il ciuchino parla. Gli avete insegnato voi? – Ha imparato qualche parola, dopo tre anni con i cani ammaestrati. All’alba arrivarono nel Paese dei Balocchi, che non somigliava a nessun altro paese. Vi abitavano solo ragazzi, tra gli otto e i quattordici anni. Nelle strade, uno schiamazzo da uscir di cervello. Sui muri si leggeva “Viva i balocci”, “Non voglamo più schole”, “Abbasso Larin Metica”. Pinocchio e Lucignolo furono subito amici di tutti e le settimane volavano. Da cinque mesi durava questa cuccagna, quando una mattina Pinocchio ebbe una gran brutta sorpresa.

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cuccagna: gran divertimento.


a pinoCChio spuntano lunghe oreCChie di asino Pinocchio si svegliò e si grattò la testa: le sue orecchie erano cresciute! Allora corse a specchiarsi e vide due orecchie d’asino. Vi lascio immaginare la sua disperazione! E più si disperava, più le orecchie crescevano. – Oh, Fatina, a quest’ora sarei un ragazzino a modo! Se incontro Lucignolo, guai a lui! Poi s’infilò un gran berretto e uscì a cercar Lucignolo. Lo cercò nelle strade, nelle piazze, nei teatrini, ma non lo trovò. Allora andò a bussare a casa sua. La porta si aprì, e figuratevi come restò Pinocchio quando vide il suo amico con un gran berretto. – Come stai, Lucignolo? – Benissimo, come un topo nel parmigiano.

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– Mi fai vedere le tue orecchie? – Prima voglio vedere le tue. – Leviamoci il berretto insieme. E Pinocchio contò: – Uno! Due! Tre! Pinocchio e Lucignolo, quando videro che erano colpiti dalla medesima disgrazia, scoppiarono a ridere. E risero, risero, risero, se non che, sul più bello, Lucignolo gridò: – Aiuto, Pinocchio! Non sto dritto! – Neanch’io! – piagnucolò Pinocchio. Finirono a quattro zampe e cominciarono a correre per la stanza. Le braccia diventarono zampe, i visi musi e le schiene si coprirono di pelo. E poi spuntò la coda. Vinti dalla vergogna, piansero. Ma invece di gemiti, emettevano ragli asinini, e facevano in coro j-a, j-a, j-a. In quel frattempo bussarono, e una voce disse: – Sono l’Omino del carro. Aprite subito, o guai a voi!


pinoCChio iMpara a saltare e ballare

I due ciuchini erano mogi mogi, con la coda fra le gambe. L’Omino li strigliò e li lustrò come specchi, poi li condusse al mercato. Lucignolo fu comprato da un contadino e Pinocchio dal direttore di un circo. In tre mesi di lezioni e di frustate, il povero Pinocchio imparò a saltare i cerchi e a ballare. Il giorno dello spettacolo i cartelloni dicevano: «Grande spettacolo! Questa sera sarà presentato per la prima volta il famoso ciuchino Pinocchio, detto la Stella della Danza!» mogi mogi: molto tristi.

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Il teatro era pieno. Gli applausi diventarono un uragano alla comparsa del somarello agghindato a festa. – Saluta il pubblico, Pinocchio! – disse il direttore, poi schioccò la frusta e gridò: – Al passo! Al trotto! Al galoppo! In seguito sparò un colpo di pistola, il ciuchino si gettò a terra e, fra gli applausi scroscianti, guardò in su. Allora vide una bella signora, che portava un medaglione con il ritratto d’un burattino. Pinocchio provò a gridare: – Fatina! 76

agghindato a festa: vestito tutto per bene.


Ma gli uscì un raglio così sonoro, che tutti risero a crepapelle. Il direttore lo bacchettò sul naso e, quando Pinocchio rialzò lo sguardo, la Fata era sparita. – Da bravo, Pinocchio! Ora salta il cerchio. Pinocchio saltò, ma si impigliò nel cerchio e cadde. La mattina dopo il veterinario dichiarò che sarebbe rimasto zoppo. Allora il direttore lo vendette a un musicista. – Ha la pelle dura, ci voglio fare un bel tamburo. Il compratore condusse il ciuchino su uno scoglio, gli mise un sasso al collo e lo legò per una zampa con una fune che teneva in mano, poi lo gettò in acqua, aspettando che affogasse per levargli la pelle.

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pinoCChio è ingoiato dal pesCe-Cane

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Il compratore tirò la fune, ma, tira, tira, invece di un ciuchino morto apparve un burattino vivo. Il pover’uomo rimase a bocca aperta e Pinocchio gli spiegò tutto. – Io rivoglio i miei quattrini! Ti rivenderò per accendere il fuoco. – Fate pure – rise Pinocchio. Ma si tuffò e nuotò via. Nuotò e nuotò, finché vide uno scoglio bianco e, sopra, una bella caprettina turchina. Allora si affrettò, tutto contento, per raggiungerla. Quand’ecco uscir dall’acqua un’orribile testa di mostro marino, con la bocca come una voragine e tre filari di zanne che avrebbero fatto paura anche dipinte. Era il gigantesco Pesce-cane.


– Pinocchio, per carità! – belava la caprettina. Ormai era tardi e il mostro si bevve il burattino come fosse un uovo di gallina. Pinocchio finì in un pozzo buio, nero e profondo. Non sentiva rumori, tranne di tanto in tanto alcune raffiche di vento.

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Quel vento usciva dai polmoni del mostro che soffriva d’asma e quando respirava pareva che tirasse la tramontana. Pinocchio strillò: – Aiuto! Salvatemi! – Chi vuoi che ti salvi, disgraziato? – disse una voce di chitarra scordata. – Chi è? – Sono un Tonno. E tu? – Un burattino. Ora che succede? – Succede che veniamo digeriti. – Ma io non voglio esser digerito! – Neppure io, ma quando si è Tonni, è meglio morir sott’acqua che sott’olio! Poi Pinocchio scorse lontano lontano un chiarore. – Che cosa sarà? Magari un vecchio pesce che sa come fuggire? – Te lo auguro, caro mio. – Addio, Tonno. – Addio, e buona fortuna. 80

tramontana: è il nome di un vento.


nel Corpo del pesCe-Cane pinoCChio trova... Il chiarore aumentava, finché Pinocchio trovò una tavola apparecchiata, una candela e... un vecchiettino tutto bianco, come fosse di neve o panna montata. – Oh, babbino, finalmente! Non vi lascerò mai più! – Dunque gli occhi mi dicono il vero? Dunque sei proprio il mio Pinocchio? – Sì, sì, sono io! Se sapeste! Ma come avete fatto a finire nel ventre del Pesce-cane? – Un cavallone mi rovesciò la barchetta e il Pesce-cane m’inghiottì come un tortellino di Bologna. Saranno due anni, Pinocchio! – E come avete campato? cavallone: onda molto alta. campato: vissuto.

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– Il Pesce-cane inghiottì una grossa nave. Risputò solo l’albero maestro, che gli era rimasto fra i denti. La nave era carica di cibo, candele e fiammiferi, ma ormai è tutto finito. – Allora non c’è tempo da perdere. Fuggiremo in mare. E se dobbiamo morire, moriremo abbracciati. Cammina cammina, traversarono il Pesce-cane fino alla gola. Bisogna sapere che il vecchio squalo, soffrendo d’asma e di palpitazione di cuore, dormiva a bocca aperta, per cui Pinocchio, affacciandosi, vide le stelle e un bellissimo lume di luna. I due scavalcarono i tre filari di denti e il burattino disse: – Salitemi sulle spalle e abbracciatemi forte forte.

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palpitazione di cuore: battito del cuore più veloce del normale.


Geppetto fu sistemato e Pinocchio si tuffò. Il mare era un olio, la luna splendeva e il Pesce-cane dormiva di un sonno così profondo, che non l’avrebbe svegliato una cannonata.

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pinoCChio diventa un ragazzino perbene Pinocchio nuotava e nuotava e il suo babbo tremava fitto fitto. – Coraggio babbo! – Ma dov’è questa spiaggia benedetta? – domandò il vecchietto. Pinocchio nuotò finché ebbe fiato, poi mormorò: – Aiuto… muoio! Erano sul punto di affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata. – Chi è che muore? Pinocchio! Sono il Tonno. Sono fuggito anch’io. – Tonno mio, aiutaci! – Con tutto il cuore. Giunti a riva, Pinocchio disse al Tonno: – Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Non ho parole per ringraziarti! 84

fitto fitto: tantissimo.


E gli diede un affettuosissimo bacio. Il Tonno, commosso, ricacciò il capo sott’acqua e sparì. Intanto s’era fatto giorno. – Appoggiatevi pure, caro babbino. Cammineremo pian pianino come le formiche. Non avevano fatto cento passi, che videro due brutti ceffi che chiedevano l’elemosina. Erano il Gatto e la Volpe, ma non si riconoscevano più. Il Gatto, a fingersi cieco, lo era diventato davvero, e la Volpe, invecchiata e ingobbita, non aveva più la coda. – O Pinocchio, – piagnucolò la Volpe, – fai la carità a due poveri infermi. – Infermi! – ripeté il Gatto. brutti ceffi: persone che fanno paura, poco raccomandabili. infermi: malati.

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– Addio, mascherine! – rispose il burattino. – I quattrini rubati non fanno mai frutto. Pinocchio e Geppetto proseguirono, finché videro una capanna. Bussarono e ad aprire fu il Grillo Parlante. – Oh, caro Grillino! – esclamò Pinocchio. – Ora mi chiami «caro Grillino», ma rammenti quando mi tirasti un martello? – Hai ragione! Ma abbi pietà del mio babbo! – Io avrò pietà di entrambi, ma ricorda che in questo mondo bisogna mostrarsi cortesi, se vogliamo esser ricambiati nei giorni del bisogno. – Hai ragione, Grillino... ma dimmi, dove potrei trovare un bicchiere di latte per il mio babbo?

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mascherine: Pinocchio li ha riconosciuti benissimo: sa che sono il Gatto e la Volpe! I quattrini rubati non fanno mai frutto: con i soldi rubati non si può ottenere niente di buono.


– Tre campi distante di qui c’è l’ortolano Giangio, che ha le mucche. Pinocchio corse dall’ortolano, ma un bicchiere di latte costava un soldo e lui non aveva un centesimo. – Ci possiamo accordare. Vuoi adattarti a tirar l’acqua dal pozzo? Pinocchio si mise al lavoro. Una fatica così non l’aveva fatta mai. Poi prese il bicchiere di latte e tornò alla capanna. Per cinque mesi, si alzò ogni mattina prima dell’alba, per guadagnare quel bicchiere di latte. Poi imparò a fabbricare cesti e panieri di giunco, e col ricavato provvedeva alle spese. Costruì perfino un carrettino per portare a spasso il babbo. Di sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Con la sua buona volontà, aveva messo da parte quaranta soldi per un vestitino nuovo.

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Una mattina disse a suo padre: – Vado al mercato a comprarmi un vestito! – e uscì di casa tutto allegro. A un tratto vide una Lumaca. – Non mi riconosci? – disse la Lumaca. – Sono la cameriera della Fata. – Mi rammento! Dov’è la Fata? – Pinocchio mio… è in un letto d’ospedale! Si è ammalata e non ha i soldi neppure per il pane. – Oh! Che gran dolore! Io non ho che quaranta soldi. Eccoli qui, Lumaca, portali alla Fata. E fra due giorni torna, che ti darò qualche altro soldo. La Lumaca, contro il suo costume, cominciò a correre. Quella sera Pinocchio, invece di restare sveglio fino alle dieci, rimase sveglio fino a mezzanotte, e invece di otto cesti di giunco ne fece sedici. 88

il suo costume: le sue abitudini.


Quando andò a letto sognò la Fata che diceva: – Bravo Pinocchio! Per il tuo buon cuore, ti perdono tutto. I ragazzi che assistono amorosamente i genitori meritano gran lode. Poi si svegliò. Immaginatevi la sua meraviglia quando si accorse che non era più un burattino di legno, ma un ragazzo come gli altri. Saltando giù dal letto, trovò un vestito nuovo e nella tasca un portamonete, su cui era scritto: «La Fata dai capelli turchini restituisce al suo caro Pinocchio i quaranta soldi e lo ringrazia del suo buon cuore». Nel portamonete, invece dei quaranta soldi di rame, luccicavano quaranta zecchini d’oro. Poi andò allo specchio. Non vide più la marionetta di legno, ma un bel fanciullo vispo e intelligente con i capelli castani e gli occhi celesti.

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Nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto tutto arzillo che stava intarsiando una cornice. – Babbino, come si spiega tutto questo? – domandò Pinocchio. – È tutto merito tuo, perché sei diventato buono. – E il vecchio Pinocchio di legno dove sarà nascosto? – Eccolo là, – rispose Geppetto, e indicò un burattino appoggiato a una sedia, col capo girato da una parte, le braccia ciondoloni e le gambe incrociate. – Com’ero buffo, quand’ero un burattino! E come son contento ora di essere diventato un ragazzino perbene!

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ti racconto come sono nato Ora che hai letto le mie avventure e di come, da burattino che ero, sono diventato bambino (evviva!), volevo raccontarti come è nata la mia storia. Tutto parte dal mio babbo. No, non mi riferisco a Geppetto, ma al mio babbo scrittore, quello che mi ha “inventato” ancora prima di Geppetto. Si chiamava Carlo Lorenzini, però si faceva chiamare Collodi (si dice che usava uno pseudonimo), che poi è il nome del paese in Toscana dove era nata la sua mamma. Carlo, che era di Firenze, faceva tanti lavori: lavorava in libreria, era giornalista, traduceva fiabe e scriveva libri per l’infanzia. Un bel giorno il direttore del “Giornale per i bambini” gli chiese di scrivere una nuova storia e lui, un po’ controvoglia (perché era molto pigro), lo fece.

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Quando la inviò al giornale scrisse al direttore più o meno queste parole: «Ti mando questa bambinata, fanne quello che ti pare; ma se la pubblichi pagamela bene per invogliarmi a continuarla». Fu così che su quel giornale comparve la prima puntata delle mie avventure: era il 1881, tanti, tanti tantissimi anni fa! A quella seguirono altre puntate e devo dire con orgoglio che la mia storia piaceva molto: i piccoli lettori come te aspettavano puntata dopo puntata di sapere come andava a finire. Successe però che a un certo momento il mio babbo scrittore non avesse più tanta voglia di andare avanti e… ti ricordi il punto in cui gli assassini mi impiccano e io rimango appeso alla quercia? Ecco, lui mi avrebbe lasciato lì per sempre, nel senso che avrebbe concluso lì la storia (che brutta fine!).


Se non fosse stato per le insistenze del direttore e dei bambini lettori, che invece si erano appassionati alle mie avventure, sarei ancora lÏ a penzolare da quel ramo. Per fortuna la storia proseguÏ e, una volta finita, venne pubblicata tutta insieme in un libro. E non ti dico che successo! Da allora (siamo nel 1883) Le avventure di Pinocchio sono state lette da tantissimi bambini ma anche da tantissimi grandi e sono state tradotte in moltissime lingue in modo che anche i bambini di altri Paesi potessero leggerle. Insomma, sarò anche stato birichino, ma poi ne ho date di soddisfazioni ai miei babbi! Che ne dici? Ciao! Pinocchio

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il mondo di pinocchio 1 Quali di questi personaggi compaiono nella storia? Scoprili e collegali a Pinocchio con un tratto di matita. Barbablù co Lupo cattiv Mangiafuo Gatto o

Volpe Lucignolo

Balena

Peter Pan Fata da

i cap

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Grillo Parlante elli t u

rchin

Strega cattiva i

2 Chi aiuta Pinocchio? Chi vuole fargli del male? Scegli i personaggi e riscrivili nello schema. • Mangiafuoco • Lucignolo • Grillo Parlante • il pescatore-mostro


• Geppetto • il Tonno aiutanti

• il mastino Alidoro • il Gatto e la Volpe nemici

3 Quando dice una bugia, a Pinocchio si allunga il naso. A te che cosa succede quando dici una bugia?  Mi si allungano le orecchie  Arrossisco  Abbasso lo sguardo  Mi trema un po’ la voce  …………………………………….........  Io non dico mai le bugie! • I grandi secondo te dicono mai le bugie? A loro che cosa succede quando dicono le bugie? Racconta.

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4 Ti elenchiamo alcuni episodi: ricordi quali emozioni hai provato nel leggerli? Rispondi colorando i quadratini: nero per la paura, rosso per la rabbia, blu per la tristezza, arancione per la felicità. • Pinocchio vende l’Abbecedario. • Pinocchio sta per essere arrostito da Mangiafuoco. • Pinocchio ritrova la Fatina. • Pinocchio va nel Paese dei Balocchi. • Pinocchio aiuta Geppetto a scappare dal Pesce-cane. • Pinocchio diventa un ragazzino perbene.

     

5 Nella storia ci sono molti personaggi. Qual è il tuo preferito? Qual è quello che ti sta più simpatico? Qual è quello che davvero non puoi sopportare? 96


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