G. Guidorizzi A. Roncoroni B. Galli
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Il libro di testo in formato digitale e ogni contenuto digitale integrativo saranno fruibili esclusivamente dall’utente che ne chiederà la prima attivazione, per un periodo di tempo pari alla durata del corso della specifica materia a cui il libro si riferisce più un anno, a partire dal giorno della prima attivazione. Per i dettagli consulta il sito www.mondadorieducation.it
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G. Guidorizzi A. Roncoroni B. Galli
G .G Li ui 97 br Na do 8o r riz 88 r D at z ig iv ita a Tu i A 28 le + tto . R 6-2 + Qu n onc 59 Co ad ei or 4 nt er tes on -0 en no ti i B ut d .G iD is al li ig cr ita itt u li r a In te gr at iv i
Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrassegnato) è da considerarsi copia di saggio-campione gratuito, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati art. 17, c.2 L. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26.10.1972, n. 633, art. 2, lett. d).
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che m’accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi Giulio Guidorizzi, occorre un robusto principio morale per impedirmi di Angelo Roncoroni, scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per Beatrice Galli terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto wwwin mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano. Eccovi dunque la città insulare dei Manhattanesi circondata da banchine, come le isole indiane da scogliere di corallo: il commercio la cinge con la sua risacca. A destra e a sinistra le vie vi conducono al mare. TUTTO IN UNèTESTO Il suo punto più centrale è il Bastione, dove quella mole illustre ventilata dalle brezze Testo-modello per scoprire tecniche e generi e bagnata dalle onde che poche ore prima erano uori vista da terra. Guardate la folla dei LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA contemplatori dell’acqua. Andate in giro per la città in un sognante pomeriggio del Sabbato. Ispirato al metodo WRW Andate da Corlears Hook a Coenties Slip e di là, lungo Whitehall, verso il nord. Che cosa vedete? Fissi, come sentinelle silenziose, tutto intornoTEMI alla città, stanno migliaia e migliaia di mortali perduti in fantasticherie oceaniche. AlcuniPerappoggiati a unaal mondo palizzata, altri seconoscersi e aprirsi duti sulle testate dei moli, altri che guardano oltre le murate di navi che provengono dalla IN DIGITALE Cina e altri arriva, nell’attrezzatura, come se si sforzassero di gettare un’occhiata ancor Ante litteram: la serie Podcast di Giulio Guidorizzi più vasta, verso il mare. Ma tutti costoro sono gente di terra; rinchiusi, nei giorni feriali, negli steccati, legati ai banchi, inchiodati ai sedili, avvinti alle scrivanie. Come va dunque? Sono scomparse tutte le verdi campagne? Che cosa fanno qui costoro? Ma, ecco! ecco che giungono altri gruppi, che van di ritti all’acqua e con l’intenzione, pare, di fare un tuffo. Strano! Nulla li soddisfa, se non il limite estremo della terraferma; gironzare all’ombroso sottovento di quei magazzini non basta. No. Bisogna ch’essi s’avvicinino all’acqua quant’è possibile senza caderci dentro. Ed eccoli là fermi, per miglia e miglia, per leghe. Gente dell’interno tutti, vengono da viottoli e da vicoli, da da vie e da corsi, dal nord, dall’est, dal sud e dall’ovest. E pure qui s’uniscono tutti.
IL PROGETTO DIDATTICO Uno sguardo d’insieme L’efficacia del metodo e la forza del coinvolgimento: fondare l’insegnamento dell’Italiano al biennio.
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Tutto in un testo Un percorso guidato e visivo per scoprire tecniche e generi attraverso racconti completi, godibili anche in lettura audio.
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Quaderno di scrittura di Angelo Roncoroni
Ispirato alla didattica del Writing and Reading Workshop e adattato alle esigenze e alle pratiche della scuola italiana.
Compagno indispensabile per affrontare tutte le tipologie di scrittura scolastica.
COINVOLGERE, AFFASCINARE, EMOZIONARE
Temi per conoscersi
Podcast Ante litteram
Video I valori degli antichi
Fragilità, speranze, progetti esplorati con diverse modalità espressive: testi, graphic novel, arte.
Giulio Guidorizzi accende la magia dei racconti antichi presentando letture recitate delle pagine più belle, narrative e poetiche.
Eva Cantarella, prendendo spunto da mito ed epica, suggerisce temi di discussione per riflettere sul presente.
Indice
2. Le sequenze
29
3. Fabula e intreccio
31
A COLPO D’OCCHIO
36
LEGGIAMO I TESTI T2 Valentin P. Kataev, L’addio
(Biancheggia vela solitaria)
Ci presentiamo? Un invito a parlare di sé
1
T1 Bianca Pitzorno, Una famiglia di lettori
(Donna con libro. Autoritratto delle mie letture)
37
T3 Isabel Allende, Tempesta a Brooklyn
(Oltre l’inverno)
42
RIPASSO ATTIVO
46
2 L’ambientazione: tempi e luoghi
47
TUTTO IN UN TESTO T1 Natalia Ginzburg, La Maison Volpé (Le piccole virtù) RACCONTO COMPLETO
48
2
T2 Matteo Bussola, Le ambizioni del fumettista
(La vita fino a te)
5
T3 Michele Mari, Tutti i miei tic
(Leggenda privata)
8
T4 Pier Vittorio Tondelli, Quel ragazzo…
(Un weekend postmoderno)
10
T5 Margherita Hack, Un’estate sportiva
(L’amica delle stelle. Storia di una vita)
13
SPUNTI PER L’AUTOPRESENTAZIONE
17
SCOPRIAMO IL METODO
METODI E STRUMENTI
1. Che cos’è l’ambientazione?
54
2. I tempi
54
3. I luoghi
55
A COLPO D’OCCHIO
59
LEGGIAMO I TESTI
1 La struttura del testo narrativo
T2 Julio Cortázar, Casa occupata
(I racconti) RACCONTO COMPLETO
21
TUTTO IN UN TESTO T1 Alberto Moravia, Romolo e Remo (Racconti romani) RACCONTO COMPLETO
60
T3 Miljenko Jergović, Il Cactus
(Le Marlboro di Sarajevo) RACCONTO COMPLETO
65
RIPASSO ATTIVO
70
22
SCOPRIAMO IL METODO 1. Che cos’è un testo narrativo
28
CONTENUTI DIGITALI INTEGRATIVI 1 La struttura del testo narrativo PRESENTAZIONE • Il testo narrativo: struttura BOOKTRAILER • Isabel Allende, La casa degli spiriti AUDIO • T1 Alberto Moravia, Romolo e Remo
• T2 Valentin P. Kataev, L’addio TESTI INTEGRATIVI • Yann Martel, Un nuovo nome (Vita di Pi) MAPPA
2 L’ambientazione: tempi e luoghi PRESENTAZIONE • Il testo narrativo: spazio e tempo
AUDIO • T1 Natalia Ginzburg, La Maison Volpé • T3 Miljenko Jergović, Il Cactus MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Tempo
3 I personaggi e le loro caratteristiche PRESENTAZIONE • Il testo narrativo: personaggi BOOKTRAILER • Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo AUDIO • T1 Anton Čechov, Il grasso e il magro
3 I personaggi e le loro caratteristiche TUTTO IN UN TESTO T1 Anton Čechov, Il grasso e il magro (Racconti) RACCONTO COMPLETO
109
5. Discorsi e pensieri dei personaggi
112
A COLPO D’OCCHIO
71
115
LEGGIAMO I TESTI T2 Orhan Pamuk, Lo sfogo di un cane
(Il mio nome è Rosso)
72
116
T3 Sebastiano Vassalli, Una figlia di nessuno
SCOPRIAMO IL METODO 1. Le caratteristiche dei personaggi
4. Il punto di vista, o focalizzazione
76
(La chimera)
121
RIPASSO ATTIVO
126
2. Personaggi piatti, a tutto tondo, a
bassorilievo
77
3. Personaggi statici e personaggi dinamici
78
4. Il sistema dei personaggi
79
5. I ruoli fondamentali
80
6. Tecniche di presentazione dei personaggi
81
A COLPO D’OCCHIO
84
LEGGIAMO I TESTI
5 Lo stile: le scelte linguistiche
127
TUTTO IN UN TESTO T1 Raymond Queneau, Stili (Esercizi di stile) RACCONTO COMPLETO
128
SCOPRIAMO IL METODO
T2 Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
L’arrivo a Donnafugata (Il Gattopardo)
85
1. Le componenti dello stile
131
T3 Primo Levi, Sandro (Il sistema periodico)
90
2. Il lessico
131
96
3. La sintassi
134
4. Le figure retoriche
136
5. I registri linguistici
139
A COLPO D’OCCHIO
141
RIPASSO ATTIVO
4 La voce narrante
97
TUTTO IN UN TESTO T1 Ray Bradbury, La fine del principio (Trentaquattro racconti) RACCONTO COMPLETO
LEGGIAMO I TESTI T2 Pier Paolo Pasolini, Una giornata finita
male (Ragazzi di vita)
T3 Andrea Camilleri, Miracoli di Trieste
98
(Un mese con Montalbano) RACCONTO COMPLETO
SCOPRIAMO IL METODO 104
2. Il patto narrativo
105
3. Tipi di narratore
106
MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Persona
4
147
TESTO DI VERIFICA
1. Le figure del testo narrativo
• T2 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, L’arrivo a Donnafugata • T3 Primo Levi, Sandro
142
La voce narrante
PRESENTAZIONI • Il testo narrativo: narratore e focalizzazione • Il testo narrativo: autore, narratore e lettore • Il testo narrativo: forme del discorso BOOKTRAILER • Ray Bradbury, Fahrenheit 451
T4 Doris Lessing, Una modica invasione di
locuste (Racconti africani) RACCONTO COMPLETO
154
RIPASSO ATTIVO
163
• Sebastiano Vassalli, La chimera
5 Lo stile: le scelte linguistiche
AUDIO • T1 Ray Bradbury, La fine del principio • T2 Orhan Pamuk, Lo sfogo di un cane
PRESENTAZIONE • Il testo narrativo: lingua e stile
MAPPA
AUDIO • T1 Raymond Queneau, Stili • T3 Andrea Camilleri, Miracoli di Trieste MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Lingua
GENERI E AUTORI
1 La fiaba e la favola
167
209
TUTTO IN UN TESTO T1 Jorge Luis Borges, La casa di Asterione (L’Aleph) RACCONTO COMPLETO
210
SCOPRIAMO IL GENERE
TUTTO IN UN TESTO T1 Jacob e Wilhelm Grimm, Cappuccetto Rosso (Fiabe per i bambini e per la casa) 168
RACCONTO COMPLETO
2 La narrativa fantastica
1. Dalla fantasia al fantastico
214
2. La storia del genere
215
PER SAPERNE DI PIÙ Il «realismo magico»
SCOPRIAMO IL GENERE
A COLPO D’OCCHIO
219
1. Favola o fiaba?
173
2. La favola
173
ANTE LITTERAM
175
Il podcast di Giulio Guidorizzi Da Atlantide alle metamorfosi
AL CINEMA Fiabe e favole sul grande schermo 3. La fiaba
176
A COLPO D’OCCHIO
179
218
220
LEGGIAMO I TESTI T2 Franz Kafka, Il risveglio di Gregor Samsa
ANTE LITTERAM
(La metamorfosi)
Il podcast di Giulio Guidorizzi Mito e fiaba
180
222
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Sergio Vanello,
La metamorfosi di Franz Kafka
224
T3 Clarice Lispector, Mistero a São Cristóvão
LEGGIAMO I TESTI
(Legami familiari) RACCONTO COMPLETO
T2 Esopo, Il topo di campagna e il topo di città
AL CINEMA Il fantastico sul grande schermo
- La cicala e la formica (Favole)
182
RACCONTO COMPLETO
I GRANDI PERSONAGGI Le creature fiabesche
185
228 233
T4 James G. Ballard, Prigioniero dell’abisso
di corallo (Il giorno di sempre) RACCONTO COMPLETO
234
T5 Haruki Murakami, Il mostriciattolo verde
T3 Charles Perrault, Barbablù
(I racconti delle fate) RACCONTO COMPLETO
186
(L’elefante scomparso) RACCONTO COMPLETO
T4 Angela Carter, La sposa della tigre (La camera di sangue) RACCONTO COMPLETO
190
T6 Italo Calvino, Ipazia (Le città invisibili)
241
TESTO DI VERIFICA
T5 Wu Ming, I trecento boscaioli dell’imperatore,
ovvero: la favola che pone fine a tutte le favole (Anatra all’arancia meccanica) RACCONTO COMPLETO 198
RACCONTO COMPLETO
246
RIPASSO ATTIVO
248
TESTO DI VERIFICA T6 Stefano Benni, Cenerutolo. Favola da bar
(Bar Sport) RACCONTO COMPLETO
204
RIPASSO ATTIVO
208
CONTENUTI DIGITALI INTEGRATIVI 1
La fiaba e la favola
VIDEO • Introduzione a… La fiaba • Introduzione a… La favola PRESENTAZIONE • La favola e la fiaba PODCAST • Giulio Guidorizzi, Mito e fiaba AUDIO • T1 Jacob e Wilhelm Grimm, Cappuccetto Rosso
• T2 Esopo, Il topo di campagna e il topo di città - La cicala e la formica • T3 Charles Perrault, Barbablù • T6 Stefano Benni, Cenerutolo TESTI INTEGRATIVI • Jacob e Wilhelm Grimm, Il principe ranocchio (Fiabe per i bambini e per la casa) • Aleksandr N. Afanas’ev, La principessa triste (Fiabe) • Italo Calvino, Fantaghirò
(Fantaghirò e altre fiabe italiane)
2
La narrativa fantastica
MAPPA
VIDEO • Introduzione a… Il fantastico
DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Bagliore
PRESENTAZIONE • La narrativa fantastica BOOKTRAILER • Frank Kafka, La metamorfosi • Italo Calvino, Le cosmicomiche PODCAST • Giulio Guidorizzi, Da Atlantide alle metamorfosi
3 I maestri del genere: Dino Buzzati
263
TUTTO IN UN TESTO T1 Robert E. Howard, La figlia del gigante dei ghiacci (Il ciclo di Conan) RACCONTO COMPLETO
264
249
1. La vita
250
2. Le opere
251
3. I temi e lo stile
252
T1 Il colombre (Il colombre) RACCONTO COMPLETO
253
T2 Qualcosa era successo (Sessanta racconti) 259
RACCONTO COMPLETO
4 La fantascienza e il fantasy
SCOPRIAMO IL GENERE 1. Due alternative al nostro presente
272
2. La fantascienza
272
AL CINEMA La fantascienza sul grande schermo 275 PER SAPERNE DI PIÙ Utopia e distopia 3. Il fantasy
277 278
I GRANDI PERSONAGGI Le creature del fantasy
279
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Julien Blondel -
Didier Poli - Robin Recht, Elrich. Il trono di rubino
280
I GRANDI MAESTRI DEL GENERE
282
A COLPO D’OCCHIO
283
LEGGIAMO I TESTI T2 Philip K. Dick, Ora tocca al wub
(Le presenze invisibili) RACCONTO COMPLETO
284
T3 John R. R. Tolkien, Nella tana del ragno
(Il Signore degli Anelli)
291
T4 Margaret Atwood, Nel mondo di Galaad
(Il racconto dell’ancella)
296
T5 Virginia de Winter, Calano le tenebre
alla vigilia di Ognissanti (Black Friars)
301
TESTO DI VERIFICA T6 Valerio Evangelisti, Marte distruggerà la Terra (Acque oscure) RACCONTO COMPLETO
306
RIPASSO ATTIVO
TESTI INTEGRATIVI • Tommaso Landolfi, La notte provinciale (La spada) • Alberto Savinio, Vecchio pianoforte (Tutta la vita) • Italo Calvino, Luna e Gnac (Marcovaldo) MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Mito
3 I maestri del genere: Dino Buzzati AUDIO • T1 Dino Buzzati, Il colombre
4 La fantascienza e il fantasy VIDEO • Introduzione a… La fantascienza • Introduzione a… Il fantasy
PRESENTAZIONI • La fantascienza • Il fantasy BOOKTRAILER • Philip K. Dick, Gli androidi sognano pecore elettriche? ESCAPE ROOM • Il fantasy AUDIO • T1 Robert E. Howard, La figlia del gigante dei ghiacci
310
• T2 Philip K. Dick, Ora tocca al wub • T4 Margaret Atwood, Nel mondo di Galaad TESTI INTEGRATIVI • Kurt Vonnegut, L’invenzione del ghiaccio-nove (Ghiaccio-nove) • C.S. Lewis, Dentro l’armadio (Le cronache di Narnia) MAPPA
5 La narrativa horror TUTTO IN UN TESTO T1 Eraldo Baldini, Il Gorgo Nero (Gotico rurale) RACCONTO COMPLETO
311
6 Il giallo e il noir
365
312
TUTTO IN UN TESTO T1 Carlo Lucarelli, Domani (Il lato sinistro del cuore) RACCONTO COMPLETO
366
SCOPRIAMO IL GENERE
SCOPRIAMO IL GENERE
1. Le caratteristiche dell’horror
318
2. La storia del genere
319
I GRANDI MAESTRI DEL GENERE
320
AL CINEMA L’horror sul grande schermo
321
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Marco Soldi,
Dylan Dog
322
I GRANDI PERSONAGGI Le creature dell’orrore
A COLPO D’OCCHIO
324
1. Giallo e nero 2. Il giallo 3. Il noir
e Luciana Giussani, Diabolik
328
sul grande schermo
380
A COLPO D’OCCHIO
381
Il podcast di Giulio Guidorizzi Detective antichi: Edipo e non solo
382
T2 Georges Simenon, Jeumont, 51 minuti
di sosta! (Rue Pigalle e altri racconti)
T3 Edgar Allan Poe, Ombra (Racconti del
T5 Stephen King, Primavera da fragole 344
384
RACCONTO COMPLETO
333
T4 Bram Stoker, L’uccisione della vampira (Dracula) 337
T3 Arthur Conan Doyle, La scienza della
deduzione (Uno studio in rosso)
352
402
T5 Edna O’Brien, Fiore nero
(Oggetto d’amore) RACCONTO COMPLETO
TESTO DI VERIFICA T7 Howard Phillips Lovecraft, L’orrore di Martin’s Beach (La tomba e altri racconti dell’incubo)
395
T4 Agatha Christie, Miss Marple racconta una
storia (In tre contro il delitto) RACCONTO COMPLETO
T6 Alda Tedorani, Presagio
(Il segno di Caino) RACCONTO COMPLETO
376
AL CINEMA Mistero e suspense
LEGGIAMO I TESTI
T2 Mary Shelley, Frankenstein crea
(A volte ritornano) RACCONTO COMPLETO
376
ANTE LITTERAM 326
LEGGIAMO I TESTI
grottesco e dell’arabesco) RACCONTO COMPLETO
374
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Angela
ANTE LITTERAM
il mostro (Frankenstein)
371
I GRANDI PERSONAGGI I detective più celebri
325
Il podcast di Giulio Guidorizzi Ghostbusters nell’antichità
371
410
TESTO DI VERIFICA T6 Alice Sebold, Mi chiamavo Salmon
RACCONTO COMPLETO
358
(Amabili resti)
417
RIPASSO ATTIVO
364
RIPASSO ATTIVO
422
CONTENUTI DIGITALI INTEGRATIVI 5
L’horror
VIDEO • Introduzione a… L’horror PRESENTAZIONE • L’horror BOOKTRAILER • Mary Shelley, Frankenstein • Stephen King, It PODCAST • Giulio Guidorizzi, Ghostbusters nell’antichità AUDIO • T1 Eraldo Baldini, Il Gorgo Nero
• T2 Mary Shelley, Frankenstein crea il mostro TESTI INTEGRATIVI • Guy de Maupassant, La notte (Novelle) • Neil Gaiman, La quattordicesima porta (Coraline) • Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale - La maschera della morte rossa (Racconti dell’incubo e del terrore) MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Sangue
6
Il giallo e il noir
VIDEO • Introduzione a… Il giallo PRESENTAZIONE • Il giallo BOOKTRAILER • Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso PODCAST • Giulio Guidorizzi, Detective antichi: Edipo e non solo ESCAPE ROOM • Il giallo
AUDIO • T1 Carlo Lucarelli, Domani • T2 George Simenon, Jeaumont, 51 minuti di sosta! • T4 Agatha Christie, Miss Marple racconta una storia TESTI INTEGRATIVI • George Simenon, Rue Pigalle (Rue Pigalle e altri racconti) • Andrea Camilleri, Un sogno o un incubo? (Il campo del vasaio) - Andrea Camilleri, Il patto (Un mese con Montalbano) MAPPA
7 La narrativa d’avventura TUTTO IN UN TESTO T1 Ernest Hemingway, Dopo la tempesta (I quarantanove racconti) RACCONTO COMPLETO
423
8 La narrativa storica e realista 469
424
TUTTO IN UN TESTO T1 Guy de Maupassant, La collana (Racconti del giorno e della notte) 470
RACCONTO COMPLETO
SCOPRIAMO IL GENERE 1. Le caratteristiche dell’avventura
431
2. Alle origini del genere
432
AL CINEMA Avventure sul grande schermo 3. I classici dell’avventura
A COLPO D’OCCHIO
434 435 437
ANTE LITTERAM
(Robinson Crusoe)
440
444
RACCONTO COMPLETO
(Le tigri di Mompracem)
452
3. La narrativa storica AL CINEMA Realtà e storia sul grande schermo
Celsi, «Le due tigri» di Emilio Salgari
456
460
TESTO DI VERIFICA T6 Björn Larsson, Arruolato tra i bucanieri (La vera storia del pirata Long John Silver) RIPASSO ATTIVO
487
488
490
495
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Maurizio
496
T4 Umberto Eco, La biblioteca dell’abbazia 505
T5 Melania G. Mazzucco, Il caso Vita M. 509
TESTO DI VERIFICA 465
T6 Guy de Maupassant, I gioielli
(Chiaro di Luna) RACCONTO COMPLETO
514
RIPASSO ATTIVO
520
TESTI INTEGRATIVI • Michael Crichton, Il posto delle ossa (Congo)
PRESENTAZIONI • La narrativa storica • La narrativa realista
MAPPA
BOOKTRAILER • U. Eco, Il nome della rosa
DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Mare
VIDEO Introduzione a… • Il romanzo storico e sociale • La narrativa realistica • La narrativa storica
483 485
T3 Giovanni Verga, Rosso Malpelo
(Vita)
468
8 La narrativa storica e realista
480
T2 Émile Zola, Il nuovo che avanza
(Il nome della rosa)
T5 Matteo Righetto, Alla ricerca di El Diàol
(La pelle dell’orso)
Il podcast di Giulio Guidorizzi Un grande affresco realista: il Satyricon
Palarchi e Roberto Melis, Rosso Malpelo
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Guido Moroni
AUDIO • T1 Ernest Hemingway, Dopo la tempesta • T3 Jack London, Il figlio del lupo
PER SAPERNE DI PIÙ Naturalismo e Verismo
(Vita dei campi) RACCONTO COMPLETO
T4 Emilio Salgari, Sandokan all’abbordaggio
PODCAST • Giulio Guidorizzi, Gli intrecci avventurosi dei romanzi antichi
479
(Il paradiso delle signore)
T3 Jack London, Il figlio del lupo (Racconti)
BOOKTRAILER • E. Salgari, Le tigri di Mompracem
2. La narrativa realista
LEGGIAMO I TESTI
T2 Daniel Defoe, Robinson sull’isola deserta
PRESENTAZIONE • La narrativa d’avventura
478
ANTE LITTERAM 438
LEGGIAMO I TESTI
VIDEO • Introduzione a… L’avventura
1. Storia e realtà
A COLPO D’OCCHIO
Il podcast di Giulio Guidorizzi Gli intrecci avventurosi dei romanzi antichi
7 La narrativa d’avventura
SCOPRIAMO IL GENERE
PODCAST • Giulio Guidorizzi, Un grande affresco realista: il Satyricon AUDIO • T1 Guy de Maupassant, La collana • T5 Melania Mazzucco, Il caso Vita M. TESTI INTEGRATIVI • Guy de Maupassant, Due amici
(Racconti del giorno e della notte) • Giovanni Verga, La roba (Novelle rusticane) • Luigi Capuana, Fastidi grassi (Le Paesane) • Walter Scott, Un torneo cavalleresco (Ivanhoe) • Ippolito Nievo, Un colloquio con Napoleone (Le confessioni di un italiano) • Charles Dickens, Come si trattano gli orfani (Oliver Twist) MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Popolo
9 I maestri del genere: Dacia Maraini
10 La narrativa psicologica
537
TUTTO IN UN TESTO T1 Katherine Mansfield, La lezione di canto (Racconti) RACCONTO COMPLETO
538
521
1. La vita
522
2. Le opere
524
3. I temi e lo stile
525
T1 Marianna e il condannato
(La lunga vita di Marianna Ucrìa)
T2 Un numero sul braccio (Buio) RACCONTO COMPLETO
SCOPRIAMO IL GENERE
526
1. Le caratteristiche del genere
544
532
2. La storia del genere
545
I GRANDI PERSONAGGI Le protagoniste
della narrativa psicologica
AL CINEMA La psicologia sul grande schermo
A COLPO D’OCCHIO
547 550 551
LEGGIAMO I TESTI T2 Fëdor Dostoevskij, L’angoscia di
Raskol’nikov (Delitto e castigo)
552
T3 Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato...
(Novelle per un anno) RACCONTO COMPLETO
556
T4 James Joyce, Arabia (Gente di Dublino) 564
RACCONTO COMPLETO
T5 Italo Svevo, L’ultima sigaretta
(La coscienza di Zeno)
569
T6 Virginia Woolf, Un tuffo in città
(La signora Dalloway)
576
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Liuba
Gabriele, Virginia Woolf
578
T7 Mariapia Veladiano, Un complesso
e un’amicizia (La vita accanto)
581
TESTO DI VERIFICA T8 Luigi Pirandello, Marsina stretta (Novelle per un anno) RACCONTO COMPLETO
586
RIPASSO ATTIVO
598
CONTENUTI DIGITALI INTEGRATIVI 10
La narrativa psicologica
VIDEO • Introduzione a… La narrativa psicologica PRESENTAZIONE • La narrativa psicologica BOOKTRAILER • Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore AUDIO • T1 Katherine Mansfield, La lezione di canto
• T3 Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato • T4 James Joyce, Arabia
11
TESTI INTEGRATIVI • Fëdor Dostoevskij, Goljadkin e l’altro (Il sosia) • Luigi Pirandello, La carriola (Novelle per un anno) - La patente (Novelle per un anno)
VIDEO • Incontro con l’autore: Paolo Cognetti
MAPPA DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Sentire
La narrativa autobiografica
VIDEO • Introduzione a… La scrittura del sé
PRESENTAZIONE • La narrativa autobiografica PODCAST • Giulio Guidorizzi, Le autobiografie interiori degli antichi
11 La narrativa autobiografica
599
12 La narrativa di formazione
639
600
TUTTO IN UN TESTO T1 Erri De Luca, Il pannello (In alto a sinistra) RACCONTO COMPLETO
640
TUTTO IN UN TESTO T1 Clara Sereni, Uomo (Il lupo mercante) RACCONTO COMPLETO
SCOPRIAMO IL GENERE
SCOPRIAMO IL GENERE
1. I due volti dell’autobiografia
605
2. La storia del genere
606
Pazienza, Paz
606
A COLPO D’OCCHIO
611
ANTE LITTERAM
651
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Gipi e Luigi
Critone, Aldobrando
652
A COLPO D’OCCHIO
655
T2 Jerome D. Salinger, Sul cocuzzolo
di Thomsen Hill (Il giovane Holden)
656
AL CINEMA La formazione sul grande
schermo
T2 Gerald Durrell, Un insegnante particolare
(La mia famiglia e altri animali)
614
(Le otto montagne)
619
T3 Elsa Morante, Arturo lascia l’isola
che non andava a scuola (La straniera)
625
T5 Andre Agassi, Affrontare il drago (Open)
629
662
T4 Paolo Giordano, Una gemella diversa
(La solitudine dei numeri primi)
T4 Claudia Durastanti, La bambina
TESTO DI VERIFICA T6 Natalia Ginzburg, Gli amici di casa Levi (Lessico famigliare)
661
(L’isola di Arturo)
T3 Paolo Cognetti, Ricordi di montagna
AUDIO • T1 Clara Sereni, Uomo
649
LEGGIAMO I TESTI 612
LEGGIAMO I TESTI
RIPASSO ATTIVO
di formazione
2. La storia del genere
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Andrea
Il podcast di Giulio Guidorizzi Le autobiografie interiori degli antichi
1. Le caratteristiche della narrativa
666
T5 Elena Ferrante, Amiche e rivali
(L’amica geniale)
670
TESTO DI VERIFICA T6 Giuseppe Berto, Esami di maturità 634
(Racconti) RACCONTO COMPLETO
674
638
RIPASSO ATTIVO
680
12 La narrativa di formazione
MAPPA
VIDEO • Introduzione a… La narrativa di formazione
DEVOTO-OLI_FAMIGLIE DI PAROLE Linea
VIDEO • Incontro con l’autore: Paolo Giordano PRESENTAZIONE • La narrativa di formazione BOOKTRAILER • E. Ferrante, L’amica geniale ESCAPE ROOM • Il romanzo di formazione
AUDIO • T1 Erri de Luca, Il pannello • T2 J. D. Salinger, Sul cocuzzolo di Thomsen Hill • T5 Elena Ferrante, Amiche e rivali TESTI INTEGRATIVI • Hermann Hesse, Il tormento di Siddharta (Siddharta) • Stendhal, Un giovane ambizioso (Il rosso e il nero) • Paolo Giordano, Un’impossibile relazione (La solitudine dei numeri primi) MAPPA
13 I maestri del genere: Italo Calvino
TEMI PER CONOSCERSI 681
1. La vita
682
2. Le opere
683
3. I temi e lo stile
684
T1 Un bastimento carico di granchi
(Ultimo viene il corvo)
685
T2 La ribellione di Cosimo
(Il barone rampante)
691
1 Una solitudine rumorosa. Le emozioni e i social media
699
COMINCIAMO CON UN GRAPHIC NOVEL T1 Fabia Mustica, L’amico diverso
700
T2 Elle Mills, Fuori dal Tubo
704
T3 Matteo Grandi, Le emozioni negative
in Rete (Far Web)
707
T4 Hanna Bervoets, I moderatori
(Questo post è stato rimosso)
711
2 La coscienza planetaria tra ecologia e impegno
715
COMINCIAMO CON UN GRAPHIC NOVEL T1 Tuono Pettinato - Francesca Riccioni, Non è mica la fine del mondo
716
T2 Jonathan Safran Foer, Una crisi difficile
da raccontare (Possiamo salvare il mondo prima di cena)
720
T3 Sandro Iannaccone, La plastica inquinante 724 T4 Alan Weisman, Il pianeta senza l’uomo
(Il mondo senza di noi)
727
3 Migliori amici: noi e gli animali
731
COMINCIAMO CON UN GRAPHIC NOVEL T1 Craig Thompson, Addio, Chunky Rice
732
T2 Mauro Corona, Il cane (Storie del bosco
antico)
736
T3 Licia Colò, La gelosia di Pupina (Cuore
di gatta)
738
T4 Frans De Waal, Anche gli animali
si divertono (L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali)
XVIII Indice
741
LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA
Che cos’è il Laboratorio di scrittura creativa 1. L’incipit
746 747
UN TESTO PER ISPIRARTI
T1 Heinrich Von Kleist, La mendicante
di Locarno (I racconti)
PROVA TU Scrive un incipit 2. La linea del tempo
747 749 750
UN TESTO PER ISPIRARTI
T2 Paola Masino, Terzo anniversario
(Colloquio di notte) PROVA TU Costruire un flashback 3. L’atmosfera
750 753 754
UN TESTO PER ISPIRARTI
T3 Jean Lorrain, I fori della maschera
(Maschere e fantasmi)
754
PROVA TU Ricreare un’atmosfera
fantastica o surreale
4. L’ambientazione storica
759 760
UN TESTO PER ISPIRARTI
T4 Aldo Nove, Baghdad (Superwoobinda) PROVA TU (De)scrivere i grandi eventi storici 5. I personaggi
760 762 763
UN TESTO PER ISPIRARTI
T5 Virginia Woolf, Le londinesi (Londra) PROVA TU Ritrarre un personaggio 6.
Il punto di vista
763 766 767
UN TESTO PER ISPIRARTI
T6 Lucia Berlin, Amici (La donna
che scriveva racconti) PROVA TU Adottare un punto di vista 7. Il monologo
767 771 772
UN TESTO PER ISPIRARTI
T7 Heinrich Böll, Monologo di un cameriere
(Il nano e la bambola)
772
PROVA TU Scrivere un monologo
774
8. Il finale
775
UN TESTO PER ISPIRARTI
T8 Oscar Wilde, La sfinge senza enigmi
(Racconti) PROVA TU Progettare un finale
775 779
Indice
XIX
METODI E STRUMENTI La struttura del testo narrativo L’ambientazione: tempi e luoghi I personaggi e le loro caratteristiche La voce narrante Lo stile: le scelte linguistiche
1
La struttura del testo narrativo
Ricordati che la prosa è architettura, non decorazione d’interni. Ernest Hemingway
F L I P P ED C L A S S ROOM A CASA Guarda la presentazione Il testo narrativo: struttura e rispondi alle domande. • Qual è la differenza tra fabula e intreccio? • Che tipo di sequenze possiamo trovare in un testo narrativo? • Che cosa permette di fare un flashback?
IN CLASSE Con l’aiuto dell’insegnante, provate a discutere su questo tema: Perché il flashback è una tecnica particolarmente utile per riferire i ricordi di un personaggio?
PRESENTAZIONE
TUTTO IN UN TESTO T1
Alberto Moravia Romolo e Remo Ambientato nella Roma del secondo dopoguerra, questo racconto di Alberto Moravia (1907-1990) è narrato in prima persona da Remo, un giovane povero e afflitto dalla fame. Remo però è molto furbo e pianifica di ottenere un pranzo gratuito nella trattoria di un ex compagno di armi, Romolo. Ma, giunto al ristorante, scopre che anche l’amico si trova in condizioni di disperata miseria…
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LEGGI IL TESTO
AUDIO
Ascolta la lettura interpretativa del brano, che leggerai e analizzerai in seguito. Durante l’ascolto, soffermati su questi aspetti: - le descrizioni dell’ambiente; - i dialoghi tra i personaggi; - i ricordi di Remo.
Leggi ora il testo facendo attenzione ai tre elementi che abbiamo evidenziato e che ne caratterizzano la struttura: le sequenze descrittive, le sequenze dialogiche, e il flashback/flashforward. Eccone qui una breve definizione.
SEQUENZA DESCRITTIVA Le sequenze descrittive sono quelle in cui il racconto si ferma e l’autore si dedica alla descrizione di un paesaggio, di un personaggio, di un oggetto, e così via.
SEQUENZA DIALOGICA Le sequenze dialogiche sono quelle in cui si registrano i dialoghi fra i personaggi, espressi in forma diretta e per lo più racchiusi tra virgolette o trattini.
FLASHBACK / FLASHFORWARD Il flashback è la tecnica con cui si racconta qualcosa che è accaduto in precedenza e quindi si compie un salto all’indietro. Il flashforward è la tecnica opposta e consiste nell’interrompere l’ordine degli avvenimenti per anticiparne alcuni, raccontando ciò che avverrà in futuro.
22
METODI E STRUMENTI
L’urgenza della fame non si può paragonare a quella degli altri bisogni. Provatevi a dire ad alta voce: “Mi serve un paio di scarpe...mi serve un pettine...mi serve un fazzoletto”, tacete un momento per rifiatare, e poi dite: “Mi serve un pranzo”, e sentirete subito la differenza. Per qual5 siasi cosa potete pensarci su, cercare, scegliere, magari rinunciarci, ma il momento che confessate a voi stesso che vi serve un pranzo, non avete più tempo da perdere. Dovete trovare il pranzo, se no morite di fame. Il cinque ottobre di quest’anno, a mezzogiorno, a piazza Colonna, sedetti sulla ringhiera della fontana e dissi a me stesso: “Mi serve un pranzo”. 10 Da terra dove, durante questa riflessione, volgevo gli occhi, levai gli sguardi al traffico del Corso e lo vidi tutto annebbiato e tremolante: non mangiavo da più di un giorno e, si sa, la prima cosa che succede quando si ha fame è di vedere le cose affamate, cioè vacillanti e deboli come se fossero esse stesse, appunto, ad aver fame. Poi pensai che do15 vevo trovare questo pranzo, e pensai che se aspettavo ancora non avrei più avuto la forza neppure di pensarci, e cominciai a riflettere sulla maniera di trovarlo al più presto. Purtroppo, quando si ha fretta non si pensa nulla di buono. Le idee che mi venivano in mente non erano idee ma sogni: “Salgo in un tram... borseggio un tale...scappo”; oppure: 20 “Entro in un negozio, vado alla cassa, afferro il morto ...scappo”. Mi venne quasi il panico e pensai: “Perduto per perduto, tanto vale che mi faccia arrestare per oltraggio alla forza pubblica...in questura una minestra me la danno sempre”. In quel momento un ragazzo, accanto a me, ne chiamò un altro: 25 “Romolo”. Allora, a quel grido, mi ricordai di un altro Romolo che era stato con me sotto le armi. Avevo avuto, allora, la debolezza di raccontargli qualche bugia: che al paese ero benestante mentre non sono nato in alcun paese bensì presso Roma, a Prima Porta. Ma, adesso, quella debolezza mi faceva comodo. Romolo aveva aperto una trattoria dalle 30 parti del Pantheon. Ci sarei andato e avrei mangiato il pranzo di cui avevo bisogno. Poi, al momento del conto, avrei tirato fuori l’amicizia, il servizio militare fatto insieme, i ricordi... Insomma, Romolo non mi avrebbe fatto arrestare. Per prima cosa andai alla vetrina di un negozio e mi guardai in uno 35 specchio. Per combinazione, mi ero fatto la barba quella mattina con il rasoio e il sapone del padrone di casa, un usciere di tribunale che mi affittava un sottoscala. La camicia, senza essere proprio pulita, non era indecente: soltanto quattro giorni che la portavo. Il vestito, poi, grigio spinato, era come nuovo: me l’aveva dato una buona signora il cui 40 marito era stato mio capitano in guerra. La cravatta, invece, era sfilacciata, una cravatta rossa che avrà avuto dieci anni. Rialzai il colletto e rifeci il nodo in modo che la cravatta, adesso, aveva una parte lunghissima e una parte corta. Nascosi la parte corta sotto quella lunga e abbottonai la giacca fino al petto. Come mi mossi dallo specchio, forse 45 per lo sforzo di attenzione con cui mi ero guardato, la testa mi girò e andai a sbattere contro una guardia ferma sull’angolo del marciapiede. “Guarda dove vai”, disse, “che sei ubriaco?”. Avrei voluto rispondergli: “Sì, ubriaco di appetito”. Con passo vacillante mi diressi verso il Pantheon. Sapevo l’indirizzo, 50 ma quando lo trovai non ci credevo. Era una porticina in fondo a un
SEQUENZA DESCRITTIVA
Questa sequenza inizia con una descrizione del traffico urbano, che, nell’apparire «annebbiato e tremolante», sembra riflettere lo stato d’animo stanco e la grande fame del protagonista.
FLASHBACK / FLASHFORWARD
Un episodio casuale è all’origine del primo flashback (retrospezione) del protagonista, che si ricorda di un vecchio compagno d’armi. Ma presto questo flashback si trasforma in un flashforward (anticipazione), quando l’io narrante anticipa nella propria mente il modo in cui si dovrà sviluppare l’inganno da lui pianificato ai danni dell’amico.
SEQUENZA DESCRITTIVA
In questa sequenza, l’io narrante descrive con cura il proprio abbigliamento: da questi dettagli il lettore comprende la reale condizione socio-economica del personaggio.
SEQUENZA DESCRITTIVA
Anche in questo caso, da pochi
La struttura del testo narrativo
23
vicolo cieco, a due passi da quattro o cinque pattumiere colme. L’insegna color sangue di bue portava scritto: “Trattoria, cucina casalinga”; la vetrina anch’essa dipinta di rosso conteneva in tutto e per tutto una mela. Dico una mela e non scherzo. Cominciai a capire, ma ormai ero 55 lanciato ed entrai. Una volta dentro, capii tutto e la fame per un momento mi si raddoppiò di smarrimento. Però mi feci coraggio e andai a sedermi a uno qualsiasi dei quattro o cinque tavoli, nella stanzuccia deserta e in penombra. Una staffetta1 sporca, dietro il banco, nascondeva la porta che dava 60 sulla cucina. Picchiai con il pugno sul tavolo: “Cameriere!” Subito ci fu un movimento in cucina, la staffetta si alzò, apparve e scomparve una faccia in cui riconobbi l’amico Romolo. Aspettai un momento, picchiai di nuovo. Questa volta lui si precipitò di fuori abbottonandosi in fretta una giacca bianca tutta sfrittellata e sformata. Mi venne incontro con 65 un “comandi” premuroso, pieno di speranza, che mi strinse il cuore. Ma ormai ero nel ballo e bisognava ballare. Dissi: “Vorrei mangiare.” Lui incominciò a spolverare il tavolo con uno straccio, poi si fermò e disse guardandomi: “Ma tu sei Remo…” “Ah, mi riconosci”, feci, con un sorriso. “E come se ti riconosco... non eravamo insieme sotto le armi? 70 Non ci chiamavano Romolo e Remo e la Lupa per via di quella ragazza che corteggiavamo insieme?” Insomma: i ricordi. Si vedeva che lui tirava fuori i ricordi non perché mi fosse affezionato ma perché ero un cliente. Anzi, visto che nella trattoria non c’era nessuno, ero il cliente. Di clienti doveva averne pochi 75 e anche i ricordi potevano servire a farmi buona accoglienza. Mi diede alla fine una manata sulla spalla: “Vecchio Remo”, poi si voltò verso la cucina e chiamò: “Loreta.” La stoffa si alzò e apparve una donnetta corpulenta, in grembiale, con la faccia scontenta e diffidente. Lui disse, indicandomi: “Questo è Remo di cui ti ho tanto parlato.” Lei mi fece un 80 mezzo sorriso e un gesto di saluto; dietro di lei si affacciavano i figli, un maschietto e una bambina. Romolo continuò: “Bravo, bravo... proprio bravo.” Ripeteva: “Bravo” come un pappagallo: era chiaro che aspettava che ordinassi il pranzo. Dissi: “Romolo, sono di passaggio a Roma...faccio il viaggiatore di com85 mercio... siccome devo mangiare in qualche luogo, ho pensato: “Perché non andare a mangiare dall’amico Romolo?” “Bravo” disse lui, “allora che facciamo di buono: spaghetti?” “Si capisce.” “Spaghetti al burro e parmigiano...ci vuole meno a farli e sono più leggeri... e poi che facciamo? Una buona bistecca? Due fettine di vitella? Una bella lombatina? Una 90 scaloppina al burro?” Erano tutte cose semplici, avrei potuto cucinarle da me, su un fornello a spirito. Dissi, per crudeltà: “Abbacchio... ne hai abbacchio?” “Quanto mi rincresce... lo facciamo per la sera.” “E va bene...allora un filetto con l’uovo sopra...alla Bismarck.” “Alla Bismarck, sicuro...con patate?” “Con insalata.” “Sì, con insalata...e un litro, 95 asciutto, no?” “Asciutto.” Ripetendo: “Asciutto”, se ne andò in cucina e mi lasciò solo al tavolino. La testa continuava a girarmi dalla debolezza, sentivo che facevo 1. staffetta: tenda o pannello coprente.
24
METODI E STRUMENTI
dettagli descrittivi dell’angusta trattoria capiamo subito, attraverso lo sguardo dello stesso io narrante, lo stato di miseria e di penuria in cui deve vertere l’amico Romolo.
FLASHBACK / FLASHFORWARD
L’amico Romolo rievoca in un breve flashback l’origine dell’amicizia tra lui e Remo.
SEQUENZA DIALOGICA
Come spesso accade, anche qui l’autore demanda a uno scambio concitato di battute dialogiche la funzione di “rianimare” la narrazione. Le sequenze dialogiche, infatti, sono in genere alternate a quelle narrative e a quelle descrittive e servono lo scopo di introdurre un elemento quasi “teatrale” e parlato nella finzione narrativa.
Un soldato, reduce dalla guerra, arrostisce castagne sul bordo di una strada di Roma: la fotografia risale al marzo del 1946.
una gran cattiva azione; però, quasi quasi, mi faceva piacere di compierla. La fame rende crudeli: Romolo era forse più affamato di me e io, 100 in fondo, ci avevo gusto. Intanto, in cucina, tutta la famiglia confabulava: udivo lui che parlava a bassa voce, pressante, ansioso; la moglie che rispondeva, malcontenta. Finalmente, la stoffa si rialzò e i due figli scapparono fuori, dirigendosi in fretta verso l’uscita. Capii che Romolo, forse, non aveva in trattoria neppure il pane. Nel momento che la stoffa 105 si rialzò, intravidi la moglie che, ritta davanti al fornello, rianimava con la ventola il fuoco quasi spento. Lui, poi, uscì dalla cucina e venne a sedersi davanti a me, al tavolino. Veniva a tenermi compagnia per guadagnar tempo e permettere ai figli di tornare con la spesa. Sempre per crudeltà, domandai: “Ti sei fatto un localetto proprio ca110 rino...beh, come va?” Lui rispose, abbassando il capo: “Bene, va bene... si capisce c’è la crisi...oggi, poi, è lunedì...ma di solito, qui non si circola.” “Ti sei messo a posto, eh.” Mi guardò prima di rispondere. Aveva la faccia grassa, tonda, proprio da oste, ma pallida, disperata e con la barba lunga. Disse: “Anche tu ti sei messo a posto.” Risposi, negligen115 te: “Non posso lamentarmi... le mie cento, centocinquantamila lire al mese le faccio sempre... lavoro duro, però.” “Mai come il nostro.” “Eh, che sarà... voialtri osti state sul velluto: la gente può fare a meno di tutto ma mangiare deve... scommetto che ci hai anche i soldi da parte.” Questa volta tacque, limitandosi a sorridere: un sorriso proprio 120 straziante che mi fece pietà. Disse finalmente, come rammentandosi: “Vecchio Remo...ti ricordi di quando eravamo insieme a Gaeta?” Insomma voleva i ricordi perché si vergognava di mentire e anche perché, forse, quello era stato il momento migliore della sua vita. Questa volta mi fece troppa compassione e lo accontentai dicendogli che ricordavo. 125 Subito si rianimò e prese a parlare, dandomi ogni tanto delle manate sulle spalle, perfino ridendo. Rientrò il maschietto reggendo con le due mani, in punta di piedi, come se fosse stato il Santissimo, un litro colmo. Romolo mi verso da bere e versò anche a se stesso, appena l’ebbi invitato. Col vino diventò 130 ancor più loquace, si vede che anche lui era digiuno. Così chiacchierando e bevendo, passarono un venti minuti, e poi, come in sogno, vidi rientrare anche la bambina. Poverina: reggeva con le braccine, contro il petto, un fagotto in cui c’era un po’ di tutto: il pacchetto giallo della
SEQUENZA DIALOGICA
L’elemento più sorprendente, per il lettore, è l’ammissione replicata, da parte dell’io narrante, della gratuità crudele con cui sceglie di porre le domande all’amico. Pur conoscendo le difficoltà economiche di Romolo e della sua famiglia, Remo sceglie di fargli domande provocatorie ed è pronto a mentire, invece, sul proprio status socio-economico.
FLASHBACK / FLASHFORWARD
Romolo coglie ancora l’occasione di utilizzare la carta dei ricordi: una retrospezione che lo scaltro Remo asseconda, rinforzando la strategia del proprio inganno.
SEQUENZA DESCRITTIVA
La falsa compassione con cui
La struttura del testo narrativo
25
bistecca, l’involtino di carta di giornale dell’uovo, lo sfilatino avvolto in velina marrone, il burro e il formaggio chiusi in carta oleata, il mazzo verde dell’insalata e, così mi parve, anche la bottiglietta dell’olio. Andò dritta alla cucina, seria, contenta; e Romolo, mentre passava, si spostò sulla seggiola in modo da nasconderla. Quindi si versò da bere e ricominciò coi ricordi. 140 Intanto, in cucina, sentivo che la madre diceva non so che alla figlia, e la figlia si scusava, rispondendo piano: “Non ha voluto darmene di meno.” Insomma: miseria, completa, assoluta, quasi quasi peggio della mia. Ma avevo fame e, quando la bambina mi portò il piatto degli spaghetti, mi ci buttai sopra senza rimorso; anzi, la sen145 sazione di sbafare alle spalle di gente povera quanto me, mi diede maggiore appetito. Romolo mi guardava mangiare quasi con invidia, e non potei fare a meno di pensare che anche lui, quegli spaghetti, doveva permetterseli di rado. “Vuoi provarli?” proposi. Scosse la testa come per rifiutare, ma io ne presi una forchettata e gliela cacciai 150 in bocca. Disse: “Sono buoni, non c’è che dire,” come parlando a se stesso. Dopo gli spaghetti, la bambina mi portò il filetto con l’uovo sopra e l’insalata, e Romolo, forse vergognandosi di stare a contarmi i bocconi, tornò in cucina. Mangiai solo, e, mangiando, mi accorsi che ero quasi ubriaco dal mangiare. Eh, quanto è bello mangiare quando 155 si ha fame. Mi cacciavo in bocca un pezzo di pane, ci versavo sopra un sorso di vino, masticavo, inghiottivo. Erano anni che non mangiavo tanto di gusto. Mi venne ad un tratto compassione e insieme rimorso. Tanto più che la moglie disse: “Eh, di clienti come lei, ce ne vorrebbero almeno 160 quattro o cinque a pasto...allora sì che potremmo respirare.” “Perché?” domandai facendo l’ingenuo “non viene gente?” “Qualcuno viene,” disse lei, “soprattutto la sera...ma povera gente: portano il cartoccio, ordinano il vino, poca roba, un quarto, una foglietta... la mattina, poi, manco accendo il fuoco, tanto non viene nessuno.” Non so perché que165 ste parole diedero sui nervi a Romolo. Disse: “Aho, piantala con questo piagnisteo...mi porti iettatura.” La moglie rispose subito: “La iettatura la porti tu a noi...sei tu lo iettatore...tra me che sgobbo e mi affanno e tu che non fai niente e passi il tempo a ricordarti di quando eri soldato, lo iettatore chi è?” Tutto questo se lo dicevano mentre io, mezzo 170 intontito dal benessere, pensavo alla migliore maniera per cavarmela nella faccenda del conto. Poi, provvidenziale, ci fu uno scatto da parte di Romolo: alzò la mano e diede uno schiaffo alla moglie. Lei non esitò: corse alla cucina, ne riuscì con un coltello lungo e affilato, di quelli che servono ad affettare il prosciutto. Gridava: “Ti ammazzo,” e gli 175 corse incontro, il coltello alzato. Lui, atterrito, scappò per la trattoria, rovesciando i tavoli e le seggiole. La bambina intanto era scoppiata in pianto; il maschietto era andato anche lui in cucina e adesso brandiva un mattarello, non so se per difendere la madre o il padre. Capii che il momento era questo o mai più. Mi alzai, dicendo: “Calma, che diami180 ne... calma, calma”; e ripetendo: “Calma, calma,” mi ritrovai fuori della trattoria, nel vicolo. Affrettai il passo, scantonai; a piazza del Pantheon ripresi il passo normale e mi avviai verso il Corso. 135
(A. Moravia, Racconti romani, Milano, Bompiani, 1954)
26
METODI E STRUMENTI
Remo descrive la piccola figlia di Romolo consolida nel lettore un effetto di sorpresa e incredulità di fronte all’esibita cattiveria dell’io narrante.
SEQUENZA DIALOGICA
Lo scambio innocuo di battute tra Remo e la moglie di Romolo innesca però una precipitosa degradazione del dialogo tra i due coniugi, che Remo sfrutta con disarmante furbizia come escamotage di fuga.
CHE COSA C I S V EL A I L TESTO ? SEQUENZA DESCRITTIVA Nelle sequenze descrittive la narrazione pura sembra in qualche modo fermarsi o rallentare: ciò, tuttavia, dà modo al narratore di fornire preziose informazioni sull’ambiente e sui personaggi. 1. Completa la tabella seguente dopo aver riletto il racconto, indicando quali informazioni descrittive apprendiamo sulla trattoria di Romolo e sui membri della sua famiglia. AMBIENTE / PERSONAGGI
DESCRIZIONE
trattoria
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famiglia di Romolo
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2. Qual è, secondo te, l’informazione principale che le sequenze descrittive di questo racconto vogliono rivelare al lettore?
SEQUENZA DIALOGICA Nelle sequenze dialogiche si registrano i dialoghi tra i vari personaggi, per lo più racchiusi da virgolette o introdotti da lineette. Nel racconto di Moravia che hai appena letto, i dialoghi servono soprattutto a “rianimare” la narrazione in prima persona. 3. Pensi che i dialoghi del racconto creino un effetto di teatralità? Perché? Fai attenzione alla struttura e alla lunghezza delle battute. 4. Perché secondo te è importante che l’io narrante riveli le modalità e gli scopi con cui pronuncia le proprie battute?
FLASHBACK / FLASHFORWARD Sia il flashback che il flashforward modificano in qualche modo l’ordine temporale degli avvenimenti: il primo perché, in retrospezione, si sofferma su eventi accaduti nel passato; il secondo perché, in anticipazione, compie una previsione su quello che avverrà. 5. Che tipo di informazioni ci forniscono i flashback di Romolo e Remo? 6. In che cosa consiste il flashforward di Remo all’inizio del racconto? FLASHBACK DI ROMOLO
FLASHBACK DI REMO
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La struttura del testo narrativo
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164 GENERI E AUTORI
GENERI E AUTORI La fiaba e la favola La narrativa fantastica I MAESTRI DEL GENERE Dino Buzzati
La fantascienza e il fantasy La narrativa horror Il giallo e il noir La narrativa d’avventura La narrativa storica e realista I MAESTRI DEL GENERE Dacia Maraini
La narrativa psicologica La narrativa autobiografica La narrativa di formazione I MAESTRI DEL GENERE Italo Calvino
La fiaba e la favola 165
8
La narrativa storica e realista Non c’è dubbio: la narrativa fa un lavoro migliore della verità. Doris Lessing
F L I P P ED C L A S S ROOM A CASA Guarda il video Introduzione a… Il romanzo storico e sociale e rispondi alle domande. • Quando si sviluppano il romanzo storico e quello sociale? • Come si distinguono le narrazioni storiche da quelle a sfondo sociale?
• Qual è il capostipite dei romanzi storici? IN CLASSE Con l’aiuto dell’insegnante, provate a discutere su questo tema: Ritenete che il romanzo a sfondo sociale e quello storico possano aiutarci a capire il presente?
VIDEO
TUTTO IN UN TESTO T1
Guy de Maupassant La collana Guy de Maupassant (1850-1893) fu tra i massimi autori francesi dell’Ottocento. Tra le sue opere si ricordano in particolare le raccolte La Maison Tellier (1881), La signorina Fifi (1882), Le sorelle Rondoli (1884), e i romanzi Una vita (1883) e Bel-Ami (1885). Maestro nell’arte della costruzione degli intrecci, Maupassant si serve, soprattutto nelle novelle, di una scrittura sobria e sintetica. La novella proposta, La collana, ha come sfondo la Parigi di fine Ottocento, nella quale vivono fianco a fianco, talvolta senza neppure sfiorarsi, la grande e ricca aristocrazia e la piccola borghesia impiegatizia, dalla vita modesta e dalle ambizioni frustrate.
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Ascolta la lettura interpretativa del brano, che leggerai e analizzerai in seguito. Durante l’ascolto, soffermati su questi aspetti: • come viene descritto il contrasto tra classi; • come viene descritto il degrado sociale della protagonista; • il peso del colpo di scena nella narrazione.
Leggi ora il testo facendo attenzione agli elementi che abbiamo evidenziato. Eccone qui una breve definizione.
IL CONTRASTO TRA CLASSI È un elemento tipico della letteratura realista, il motore stesso della narrazione: il confronto con chi vive in condizioni più agiate può spingere protagonisti o protagoniste a desiderare e sognare un cambiamento, che si rivela però illusorio e che può avere conseguenze drammatiche.
LA CADUTA SOCIALE Il tema della perdita di uno status socio-economico, con le difficoltà che si è costretti ad affrontare, apre la strada al baratro della povertà, che può portare a subire ingiustizie e sopraffazioni.
IL COLPO DI SCENA Nel racconto realista non è escluso che una situazione drammatica possa essere risanata: può verificarsi, infatti, un colpo di scena, una tecnica narrativa attraverso la quale il narratore tiene alta la tensione del racconto.
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Era una di quelle ragazze belle e seducenti che nascono, come per un capriccio del destino, in una famiglia di impiegati. Senza dote, senza speranze, senza alcuna possibilità d’essere conosciuta, capita, amata e sposata da un uomo ricco e raffinato, lasciò che la maritassero a 5 un impiegatuccio del ministero dell’Istruzione pubblica. Fu semplice, non potendo far lussi, ma infelice come se fosse degradata1, poiché le donne non hanno casta o razza e la bellezza, la grazia e il fascino sono per loro nascita e famiglia. L’innata finezza, l’istintiva eleganza, la prontezza di spirito sono l’unica loro gerarchia, che rende 10 le popolane uguali alle più grandi dame. Soffriva di continuo, sentendosi nata per tutte le delicatezze e tutti i lussi. Soffriva per la povertà della sua abitazione, per la miseria delle pareti, per il logorio delle sedie, per la bruttezza delle stoffe. Tutte queste cose, di cui un’altra donna della sua condizione non si sarebbe neppure 15 accorta, la torturavano e la irritavano. Nel vedere la piccola bretone2 che faceva le umili faccende di casa sua, si destavano in lei desolati rimpianti, sogni folli. Pensava ad anticamere silenziose, ovattate da tappezzerie orientali, illuminate da lunghi candelabri di bronzo; ad alti valletti in polpe3 che sonnecchiano nelle vaste poltrone, intorpiditi dal pesante ca20 lore dei termosifoni. Pensava ai saloni rivestiti di sete antiche, ai mobili pregiati adorni di ninnoli preziosi, ai salotti civettuoli, profumati, fatti per la chiacchierata delle cinque coi più intimi amici, uomini noti e ricercati di cui tutte le donne desiderano e cercano l’attenzione. Quando si sedeva per mangiare alla tavola tonda coperta da una 25 tovaglia di tre giorni, davanti a suo marito che scoperchiava la zuppiera esclamando estasiato: «Ah! che bella minestra! Non c’è nulla di meglio…», pensava ai pranzi raffinati, alle lucenti argenterie, agli arazzi che popolano le pareti di antichi personaggi e strani uccelli, in mezzo a foreste incantate; pensava alle vivande squisite servite in bellissimi 30 piatti, alle galanterie sussurrate e ascoltate con sorriso di sfinge4, mangiando la carne rosea d’una trota o una coscia di fagianella. Non aveva vestiti, non aveva gioielli – nulla. Ed erano le sole cose che le piacessero, quelle per cui si sentiva nata. Avrebbe voluto tanto piacere, essere invidiata, essere seducente e desiderata. 35 Aveva un’amica ricca, una compagna di convento5, che non andava più a trovare perché soffriva troppo, tornando; e piangeva per giornate intere, di dolore, di rimpianto, di disperazione, di sconforto. Una sera suo marito tornò a casa tutto trionfante, tenendo in mano una gran busta: «Ecco», le disse, «c’è una cosa per te». 40 Lei strappò nervosamente la busta e ne trasse un foglio intestato su cui era scritto: “Il ministro dell’Istruzione pubblica e la signora Georges Ramponneau hanno l’onore di invitare il signore e la signora Loisel alla serata che avrà luogo lunedì 18 gennaio nei saloni del ministero”.
1. degradata: trasferita dalla classe sociale a cui la destinava la sua bellezza a quella inferiore a cui la condannava la sua umile nascita.
2. bretone: originaria della Bretagna; molte domestiche delle case francesi, all’epoca, provenivano da questa regione.
3. in polpe: in livrea, la divisa indossata dai servitori di casa: calzoni al ginocchio e calze aderenti ai polpacci.
IL CONTRASTO TRA CLASSI
Fin dall’esordio, il racconto di Maupassant esplicita una delle preoccupazioni più frequenti della letteratura realista: il contrasto tra classi sociali, ovvero tra ricchi e poveri. Il grande complesso di Mathilde, la protagonista del racconto, è proprio quello di avere le potenzialità fisiche e caratteriologiche per far parte di una classe abbiente, ma non il destino di farne parte dalla nascita. Infatti, Mathilde è nata in una famiglia piccolo-borghese di estrazione impiegatizia. L’unica opzione per la donna è riversarsi nell’illusione e nel sogno di una vita più elevata e raffinata spesa in grandi dimore signorili. Tuttavia, il confronto reale con la propria casa sciatta e dimessa, la costringe ogni volta a tornare alla realtà.
4. sorriso di sfinge: misterioso e affascinante. 5. di convento: quello in cui Mathilde aveva compiuto gli studi; le ragazze di buona famiglia, nell’Ottocento, spesso studiavano in convento.
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Invece d’esser felice, come si figurava suo marito, lei buttò indispettita l’invito sulla tavola, mormorando: «Che vuoi che me ne faccia?». «Ma, tesoro, pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Non andiamo mai in nessun posto e questa è proprio una bella occasione. Ce n’è voluto per aver l’invito! Lo cercano tutti, e per gli impiegati ce ne son pochi. Ci sarà tutto il mondo ufficiale». 50 Lei lo fissava corrucciata e disse, con voce impaziente: «Che vuoi che mi metta addosso, per andarci?». Lui non ci aveva pensato; balbettò: «C’è il vestito che indossi per andare al teatro; mi pare molto bello». Tacque, stupito e confuso, nel vedere che sua moglie piangeva. Due 55 lacrimoni colavano lentamente dagli angoli degli occhi agli angoli della bocca; e borbottò: «Che hai? che hai?». Con un violento sforzo lei si dominò e rispose con tono calmo, asciugandosi le guance umide: «Nulla. Soltanto che non ho vestiti e alla festa non ci posso venire. Dai quell’invito a qualche collega che abbia la mo60 glie messa un po’ meglio di me». Lui era dispiaciuto. Disse: «Ascolta, Mathilde: quanto verrebbe a costare un vestito decente, che ti potrebbe servire anche in altre occasioni, qualcosa di semplice?». Lei rifletté per qualche istante, facendo i conti e pensando a quale 65 somma avrebbe potuto chiedere, senza provocare un immediato rifiuto e lo stupore sgomento dell’economo impiegatuccio. Alla fine rispose, esitando: «Non saprei con esattezza, ma forse potrei farcela con quattrocento franchi». Lui era lievemente impallidito, perché riservava proprio quella som70 ma per comprarsi un fucile con cui andare a caccia l’estate seguente, nella pianura di Nanterre6, insieme con certi amici che andavano là a tirare alle allodole, la domenica. Però aveva risposto: «Va bene. Ti do quattrocento franchi. Ma cerca di trovare un bel vestito». 75 Si avvicinava il giorno della festa e la signora Loisel sembrava triste, inquieta, preoccupata. Eppure il vestito era pronto. Una sera suo marito le chiese: «Che hai? Da qualche giorno mi sembri strana». Lei rispose: «Mi dispiace non avere nemmeno un gioiello, una pietra, una cosa da mettermi addosso. Chissà come sembrerò misera. Quasi 80 preferirei non andare alla festa…». Il marito disse: «Puoi metterti dei fiori freschi. In questa stagione è molto fine. Con dieci franchi puoi comprarti due o tre splendide rose». Lei non era affatto convinta. «No, no… Non c’è nulla di più umiliante che apparire povere in mez85 zo alle donne ricche». Il marito esclamò: «Quanto sei sciocca! Vai dalla tua amica, la signora Forestier, e fatti prestare un gioiello da lei. Siete abbastanza amiche perché tu possa farlo». Lei mandò un gridolino di gioia: «È vero: non ci avevo pensato». 90 Il giorno seguente andò dall’amica e le raccontò il suo cruccio. 45
6. Nanterre: località vicino a Parigi.
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IL CONTRASTO TRA CLASSI
Il contrasto tra classi sociali porta anche nell’Ottocento a una visione di contrasto netto tra sessi, persino afferenti alla stessa dimensione sociale. Il vestito e il fucile, posti in bilanciamento dall’autore (in quanto quotati con lo stesso prezzo), suggeriscono l’idea di due mondi contrapposti: quello maschile, votato alla caccia e al tempo libero passato con amici, e quello femminile, appagato solo da vestiti e oggetti futili.
Lavoratori all’uscita della Maison Paquin, in rue de la Paix, a Parigi: un dipinto del 1912, dalla collezione del Musée Carnavalet.
La signora Forestier si diresse verso l’armadio a specchio, ne trasse un cofanetto, lo aprì e disse alla signora Loisel: «Ecco, cara, scegli». Vide braccialetti, una collana di perle, una croce veneziana d’oro e pietre, di mirabile fattura. Si provava i gioielli davanti allo specchio, 95 esitava, non sapeva decidersi a toglierseli, a riporli. Chiedeva: «Non ne hai altri?». «Ma sì. Cerca, non so che cosa preferisci…». A un tratto scoprì, in una scatola di raso nero, una collana di diamanti, bellissima; e il cuore le palpitò d’uno smodato desiderio. Nel 100 prenderla le tremavano le mani. Se la agganciò sopra il vestito accollato e restò a guardarsi, estatica. Perplessa e ansiosa, domandò: «Puoi prestarmi questa; questa soltanto?». «Certo, prendila…». 105 Saltò al collo dell’amica, la baciò con foga e fuggì col tesoro. Venne la sera della festa. La signora Loisel trionfò. Era la più bella di tutte, elegante, graziosa, sorridente, fuori di sé dalla gioia. Tutti gli uomini la guardavano, chiedevano chi fosse, cercavano di esserle presentati. Tutti i segretari di gabinetto vollero ballare con lei. Il ministro 110 la notò. Lei danzava, inebriata, con ardore, stordita dal piacere, senza pensare ad altro, nel trionfo della sua bellezza, nella gloria del successo, in una specie di aureola di felicità formata da tutti quegli omaggi, dall’ammirazione, dai desideri suscitati, da quella vittoria così completa e così 115 cara al cuore femminile. Andò via verso le quattro di mattina. Da mezzanotte suo marito
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stava dormendo in un salottino, insieme con altri tre signori le cui mogli si divertivano moltissimo. Lui le buttò sulle spalle il soprabito che aveva portato, un modesto 120 soprabito che per la sua povertà contrastava con l’eleganza dell’abito da ballo. Lei se ne accorse e volle scappar via per non esser notata dalle altre donne che si avvolgevano in ricche pellicce. Loisel la trattenne: «Aspetta un momento. Prenderai un malanno. Vado a chiamare una carrozza». 125 Ma lei, senza ascoltarlo, scese rapidamente le scale. Per strada non c’erano carrozze, e cominciarono a cercare, gridando ai cocchieri che vedevano passare a distanza. Scesero verso la Senna7, senza più speranze, tremando di freddo. E finalmente, sul lungofiume, trovarono uno di quei vecchi coupé8 not130 tambuli che a Parigi escono soltanto di notte, come vergognosi di mostrare alla luce la loro miseria. Furono lasciati al portone di casa, in rue des Martyrs, e risalirono tristemente le scale. Per lei, era finito tutto; e lui pensava che, alle dieci, doveva trovarsi al ministero. 135 Davanti allo specchio lei si tolse il soprabito che le aveva coperto le spalle, per ammirarsi un’ultima volta nel suo splendore. Gettò un grido improvviso: la collana non c’era più! Suo marito, già mezzo spogliato, le chiese: «Che c’è?». Lei si voltò, sgomenta: «La collana… la collana della signora Fore140 stier… non c’è più!». Lui si rizzò, sbigottito: «Cosa? che dici? Ma non è possibile!». Cercarono tra le pieghe del vestito e del soprabito, nelle tasche, dappertutto. Non c’era. Lui chiese: «Sei sicura che l’avevi ancora quando siamo usciti?». 145 «Sì, me la sono toccata nell’atrio del ministero». «Ma se l’avessi persa per strada, si sarebbe sentita cadere. Dev’essere nella carrozza». «Sì, può darsi. Hai preso il numero?». «No, e tu?». 150 «Nemmeno io». Si guardarono costernati. Loisel si rivestì. «Vado a rifare la strada che abbiamo percorso a piedi», disse, «per vedere se la trovo». E uscì. Lei rimase con l’abito da ballo addosso, senza aver forza di 155 andare a letto, afflosciata su una sedia, col caminetto spento, vuota di pensieri. Il marito tornò verso le sette, a mani vuote. «Scrivi alla tua amica», disse, «che s’è rotto il fermaglio della collana, e che l’hai data ad aggiustare. Avremo tempo di pensar qualcosa». 160 Mathilde scrisse quel che lui dettò. Dopo una settimana avevano perso ogni speranza.
7. Senna: fiume che attraversa Parigi.
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8. coupé: tipo di carrozza.
IL CONTRASTO TRA CLASSI
L’antica vergogna sociale di Mathilde riaffiora fortemente anche durante il ballo di gala, unica occasione per la donna di “vivere” il proprio sogno di agiatezza e di popolarità.
IL COLPO DI SCENA
Maupassant usa la tecnica del “colpo di scena”, ovvero del far capitare un evento imprevisto all’improvviso, ottenendo sorpresa e sgomento sia nel lettore, sia nei personaggi. Tale tecnica non è estranea alla narrativa realista, che abitua il lettore ai contrasti e alle “tinte forti” della vita.
Loisel, che era invecchiato di cinque anni, disse: «Bisognerà comprarne un’altra». 165 Il giorno seguente presero l’astuccio e andarono dal gioielliere il cui nome era scritto dentro. Costui consultò il registro. «No, signora, questa collana non l’abbiamo venduta noi. Soltanto l’astuccio è nostro». Andarono da un gioielliere all’altro, cercando una collana uguale 170 alla prima, cercando di ricordarsi, sfiniti dal dolore e dall’angoscia. In un negozio del Palais Royal trovarono un rosario di diamanti che pareva identico a quello che cercavano. Valeva quarantamila franchi; l’avrebbero dato per trentaseimila. Pregarono il gioielliere di non venderlo prima di tre giorni. E posero 175 come condizione che l’avrebbe ripreso indietro per trentaquattromila franchi, se avessero ritrovato l’altro entro febbraio. Loisel possedeva diciottomila franchi che gli aveva lasciato suo padre. Il resto lo avrebbe preso in prestito. Chiese mille franchi a questo, cinquecento a quello, cinque luigi9 180 qui, tre luigi là. Firmò cambiali, prese impegni disastrosi, si trovò a che fare con usurai e con ogni specie di strozzini10. Compromise tutto il resto della sua vita, rischiò la sua firma senza neppur sapere se avrebbe potuto farle onore11 e, angosciato dal pensiero del futuro, della miseria nera che gli sarebbe piombata addosso, dalla prospettiva delle priva185 zioni fisiche e delle torture morali, andò a comprare la collana nuova, posando sul banco del gioielliere i trentaseimila franchi. Quando la signora Loisel consegnò la collana alla signora Forestier, costei le disse, con tono seccato: «Avresti potuto riportarmela prima; poteva servirmi…». 190 Non aprì l’astuccio, come Mathilde temeva. Se si fosse accorta dello scambio, che cosa avrebbe pensato? Che avrebbe detto? Poteva anche trattarla da ladra. La signora Loisel conobbe l’orrenda vita dei bisognosi. D’altronde decise subito, eroicamente: bisognava pagare quel debito tremendo; e 200 lo avrebbe pagato. Licenziarono la servetta, cambiarono casa, andando a stare in una soffitta. Lei conobbe le dure faccende di casa, le odiose fatiche della cucina. Rigovernò le stoviglie, logorandosi le unghie rosa sui tegami unti, sul fondo delle casseruole. Insaponò la biancheria sudicia, le camicie e 205 gli stracci, facendoli asciugare su una corda; ogni mattina portò giù la spazzatura e portò su l’acqua, fermandosi a ogni piano per ripigliar fiato. Vestita come una donna del popolo, andava dal fruttivendolo, dal droghiere, dal macellaio, col paniere sottobraccio, tirando sul prezzo, facendosi ingiuriare pur di difendere a soldo a soldo il suo miserabile 210 denaro. Ogni mese dovevano pagar cambiali, rinnovarne altre, guadagnar tempo.
9. luigi: moneta in uso all’epoca.
10. cambiali… strozzini: la cambiale è un documento con il quale il debitore si impegna a pagare al creditore una
determinata somma rispettando una certa scadenza. Gli usurai (o “strozzini”) prestano denaro a interessi elevatissimi.
LA CADUTA SOCIALE
È questo l’inizio del degrado sociale di Mathilde e del marito. Lo stratagemma tematico del disastro finanziario e della conseguente caduta sociale è un elemento tipico della letteratura realista, così interessata alle condizioni economiche delle classi sociale prese in esame. Narrativamente, da questo punto in poi il ritmo della narrazione accelera. Alla lentezza della prima parte, fatta di periodi piuttosto lunghi, con molti incisi, e una scarsa densità narrativa, si contrappone, dal momento della sparizione della collana in avanti, una narrazione veloce, scandita da frasi più brevi e da un succedersi vorticoso di piccoli eventi. La vita “degradata” dei Loisel è riassunta in una digressione tanto fulminea quanto straziante. Maupassant afferma infine che «questa vita durò dieci anni», risolvendo un passaggio temporale importante grazie alla tecnica dell’ellissi (ovvero un salto temporale nella narrazione).
11. farle onore: rispettare l’impegno preso.
La narrativa storica e realista 475
Il marito lavorava di sera a tenere la contabilità d’un commerciante; e spesso, di notte, faceva il copista12, a cinque soldi la pagina. 215 Questa vita durò dieci anni. Dopo dieci anni avevano restituito tutto, compresi gli interessi degli strozzini e il cumulo degli interessi composti. La signora Loisel sembrava una vecchia. Era diventata la donna forte, e dura, e rude, delle famiglie povere. Spettinata, con la gonnella 220 di traverso e le mani rosse, parlava a voce alta, lavava il pavimento buttandoci l’acqua a secchiate. Eppure talvolta, quando il marito era in ufficio, si sedeva accanto alla finestra e pensava a quella serata, a quel ballo, in cui era stata così bella e così festeggiata. Che sarebbe accaduto se non avesse perso la collana. Chissà? Chissà? 225 Com’è strana la vita, come cambia! Basta tanto poco per perdersi o salvarsi! Una domenica era andata a fare un giro agli Champs-Élysées per distrarsi dalle fatiche della settimana; e d’un tratto vide una signora a passeggio con un bambino: era la signora Forestier, sempre giovane, sempre bella, sempre attraente. 230 La signora Loisel si sentì turbata. Le avrebbe rivolto la parola? Sì, certamente. Anzi, ora che aveva pagato, poteva dirle tutto; perché no? Le si avvicinò. «Buonasera, Jeanne». L’altra non la riconosceva, stupita di sentirsi chiamare con tanta 235 confidenza da quella popolana. Balbettò: «Ma signora… Non… Credo che vi sbagliate…». «No. Sono Mathilde Loisel». L’amica gettò un grido: «Oh! povera Mathilde, come sei cambiata!». «Sì… ho passato momenti duri, da quando non ci siamo più viste; e 240 tante miserie… per causa tua!». «Mia? Ma come?». «Ti ricordi quella collana di diamanti che mi hai prestato per andare a una festa del ministero?». «Certo; e allora?». 245 «Allora, l’avevo perduta». «Ma com’è possibile? Se me l’hai restituita…». «Te ne ho restituita un’altra uguale. Sono dieci anni che la stiamo pagando. Capisci che per noi non è stata una cosa facile; non avevamo nulla… Ora però è finito, e sono proprio contenta». 250 La signora Forestier s’era fermata. «Mi dici che hai comprato una collana di diamanti per sostituire la mia?». «Sì. Non te n’eri accorta, vero? Era proprio identica». La signora Forestier, agitatissima, le afferrò le mani: «Oh! Mia pove255 ra Mathilde! Ma la mia era falsa. Poteva valere al massimo cinquecento franchi…». (G. de Maupassant, Racconti del giorno e della notte, in Tutte le novelle, trad. di M. Picchi, Milano, Mondadori, 1993, con adattamenti)
12. faceva il copista: in un’epoca in cui si scriveva esclusivamente a mano, copiare testi per conto di altri era un mestiere, anche se poco redditizio.
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IL COLPO DI SCENA
Il finale, a sorpresa, lascia il lettore in uno stato di shock e disappunto. Ma conferma anche il fatto che i protagonisti fossero persone semplici, di scarsa cultura, succubi della loro condizione di inferiorità sociale: i Loisel si sono indebitati inutilmente per il solo motivo di non avere osato dichiarare la verità. Ora, per giunta, si capisce che la protagonista ha scelto senza accorgersene un gioiello falso per il semplice fatto che in apparenza era il più costoso.
CHE COSA C I S V EL A I L TESTO ? IL CONTRASTO TRA CLASSI Secondo uno dei principi più caratterizzanti della narrativa realista, il racconto di Maupassant offre l’analisi di una classe sociale, in questo caso la piccola borghesia parigina di fine Ottocento. Abilissimo è il narratore nel descrivere le ristrette condizioni di vita dei piccoli-borghesi, abbastanza abbienti da potersi permettere un’umile domestica, ma impossibilitati a godere di più raffinati, eppure ambitissimi, comfort. 1. Individua le frasi che meglio descrivono l’aspetto esteriore della protagonista nelle tre fasi del racconto. Fase iniziale
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Fase della festa
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Fase della povertà
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LA CADUTA SOCIALE Nell’ultima parte del racconto, ormai ridottasi in povertà, Mathilde attraversa un vero e proprio “declassamento” sociale, che la ricolloca, insieme al marito, nei ranghi dei popolani. È a questo punto che, quasi per una vendetta del destino che la punisce per aver tentato di salire la scala sociale, Mathilde deve invece imparare la dura realtà della miseria, attraverso pesanti faccende domestiche e odiate esperienze culinarie. Tuttavia, il narratore ci informa che il declino di Mathilde e del maritò durò dieci anni, dopo i quali ebbero saldato tutti i debiti fatti per acquistare la collana. 2. Leggi I gioielli ( Testo di verifica, p. 514), un altro racconto di Maupassant in cui i gioielli e il loro valore (quello presunto di contro a quello reale) acquisiscono di nuovo un’importanza determinante. Tuttavia, nella narrazione di I gioielli la situazione sembra ribaltarsi a livello sociale per il signor Lantin: perché? In che senso possiamo affermare che I gioielli sia un racconto esattamente speculare a La collana? Rispondi in un breve testo scritto, mettendo a confronto i destini del signor Lantin e di Mathilde.
IL COLPO DI SCENA Fatalità, suspense e melodramma sono gli ingredienti di questo racconto e con essi Maupassant tiene avvinto l’interesse del lettore. La voce narrante non interviene a giudicare i personaggi, né a esprimere le proprie opinioni o il proprio punto di vista. Tuttavia, è grazie alla tecnica del colpo di scena che Maupassant dichiara la potenza di ogni narratore. 3. Prova ad analizzare le variazioni del punto di vista: che tipo di focalizzazione prevale nel brano? 4. Il finale del racconto lascia il lettore in una delusione quasi straziante. Prova invece a pensare a un finale alternativo, che ribalti le cose per Mathilde. In che modo la protagonista potrebbe salvarsi (con o senza l’aiuto dell’ex amica)? In una pagina, riscrivi il finale del racconto a partire dall’ultimo incontro tra Mathilde e la signora Forestier.
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SCOPRIAMO IL GENERE 1.
Storia e realtà
La narrativa realista e la narrativa storica hanno, pur nelle diversità di metodo, molte affinità tra di loro. Anzitutto, entrambe ambiscono a restituire al lettore una realtà nei suoi dettagli più vividi e veritieri, anche se lo scrittore realista si preoccuperà soprattutto della realtà a lui contemporanea, mentre quello storico rivolgerà il proprio sguardo al passato. Inoltre, moltissime sono le tematiche condivise dai due approcci, a partire dalla sensibilità rivolta alle problematiche sociali più scottanti, dalla fame alla miseria, dallo sfruttamento del lavoro minorile alla corruzione del potere. Non sarà un caso che un romanzo canonico del realismo, come I miserabili di Victor Hugo, sia al contempo un romanzo perfettamente storico; né che uno scrittore profondamente verista e realista come Federico De Roberto abbia potuto scrivere un capolavoro della narrativa storica, come I Viceré. LE CONVERGENZE TRA LA REALTÀ E LA STORIA
IL NARRATORE REALISTA
il presente, il passato e il futuro di ciò che racconta
la psicologia dei suoi personaggi
conosce perfettamente
Il narratore realista è un NARRATORE ONNISCIENTE
utilizza spesso due tecniche narrative
prolessi
flashback
per
per
anticipare un evento futuro
raccontare un evento passato
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2.
La narrativa realista
Con l’aggettivo “realista” si qualificano genericamente quelle opere letterarie che mirano a fornire una rappresentazione molto precisa della realtà quotidiana o contemporanea, oppure di poco anteriore all’autore. Per comprendere meglio questa definizione possiamo pensare alle differenze che intercorrono tra un film e un documentario. Se in un film possono essere inseriti elementi di esagerazione o di forzatura della realtà, la letteratura realista, al pari di un documentario, vorrebbe rappresentare il reale nel modo più neutro possibile e – proprio come un documentario – molto spesso è mossa dalla volontà di fare luce su importanti trasformazioni sociali. RAPPRESENTARE LA REALTÀ CONTEMPORANEA
Sebbene la grande stagione del romanzo realista inizi con l’Ottocento, illustri predecessori si trovano già nella letteratura latina, dove il Satyricon di Petronio (I sec. d.C.) mostra già molti degli elementi caratteristici del genere. Anche un altro capolavoro della letteratura italiana, il Decameron di Giovanni Boccaccio (1349-1353), novella dopo novella costruisce un’immagine fedele e acuta della società fiorentina contemporanea all’autore. I PRECURSORI DELLA NARRATIVA REALISTA
La nascita della letteratura realista vera e propria viene generalmente fissata agli anni Trenta dell’Ottocento, in concomitanza con la Rivoluzione industriale, il fenomeno che determinò profondi rivolgimenti politici e sociali. In quest’epoca, infatti, la borghesia, oltre ad acquisire potere economico, iniziò a rivendicare anche un ruolo politico, a scapito dell’aristocrazia. Questo ceto sociale in ascesa aveva bisogno di un tipo di letteratura che lo rappresentasse: una letteratura più concreta e maggiormente attenta alla realtà quotidiana. Pionieri di questo tipo di romanzo possono essere individuati nel francese Honoré de Balzac e nell’inglese Charles Dickens. Tanto Balzac quanto Dickens adottarono la tecnica del narratore onnisciente, capace di guidare il lettore verso la corretta interpretazione delle vicende, anticipando colpi di scena tramite la tecnica della prolessi o raccontando i retroscena di alcuni eventi mediante i flashback. LA NASCITA DEL REALISMO
Autore di circa un centinaio di romanzi raccolti sotto il titolo complessivo La commedia umana, il francese Honoré de Balzac (1799-1850) voleva offrire ai lettori un ritratto complessivo della società del loro tempo, prendendone in esame tutti gli aspetti e tutti i protagonisti: dall’aristocrazia parigina alla borghesia emergente, dai nobili di campagna ai contadini, dai fuorilegge ai poliziotti, dai banchieri ai medici, agli usurai, agli intellettuali. Con i romanzi Eugénie Grandet (1833) e Papà Goriot (1834), in particolare, Balzac superò l’interesse romantico per la storia, spostando l’attenzione sulla realtà contemporanea e attingendo per le vicende e i personaggi alla cronaca (spesso nera), oltre che alla propria osservazione diretta. Scenario della narrativa balzachiana è una Parigi città gigantesca, dove il lusso più sfrenato convive con la miseria e la disperazione. Praticamente contemporaneo a Balzac, Charles Dickens (1812-1870) visse invece nell’Inghilterra del primo Ottocento: un Paese profondamente mutato dalla Rivoluzione industriale e in cui si stavano manifestando grandi problematiche sociali, I CLASSICI DEL REALISMO
La narrativa storica e realista 479
PER SAPERNE DI PIÙ Le esigenze di scrittura aderente al vero si manifestarono anzitutto in Francia, uno dei Paesi più coinvolti nei processi di crescita economica dell’Ottocento: qui nacque il movimento letterario detto “Naturalismo”, caratterizzato dall’ambizione di realizzare un realismo quasi “fotografico”. L’esponente più importante del movimento fu Émile Zola (1840-1902), attivo soprattutto fra gli anni Settanta e la fine dell’Ottocento, ma i naturalisti francesi riconoscevano come propri maestri sia Balzac, sia Gustave Flaubert (più anziano di loro di una generazione). Un altro esponente di spicco del movimento fu sicuramente Guy de Maupassant, acuto osservatore della società della sua epoca. Nel diffondersi al di fuori dell’ambito francese, il Naturalismo assunse aspetti vari. L’Italia, per esempio, era molto diversa dalla Francia: nel complesso era ancora arretrata, e segnata da un forte divario fra il Nord (più moderno e industrializzato) e il Sud (rurale e legato al passato). Nella nostra Penisola, quindi, il movimento ispirato al Naturalismo francese pre-
NATURALISMO E VERISMO
se il nome di “Verismo” e fu promosso da autori fortemente legati alle proprie radici regionali: la Sicilia venne descritta nelle opere di Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico De Roberto; Napoli in quelle di Matilde Serao e Salvatore Di Giacomo; la Sardegna nei romanzi di Grazia Deledda (che nel 1926 fu insignita del premio Nobel per la letteratura); la Toscana nelle novelle di Renato Fucini. Il principio basilare degli scrittori naturalisti è l’impersonalità: lo scrittore deve rappresentare la realtà in modo il più possibile oggettivo, senza esprimere giudizi. Secondo Zola vi sono delle leggi da cui dipende lo sviluppo di ogni vicenda: • il carattere, cioè i tratti psicologici e morali che un personaggio eredita dai suoi genitori (l’ereditarietà è un tema ricorrente nella narrativa naturalistica); • l’ambiente, cioè l’insieme delle condizioni sociali in cui il personaggio si trova a vivere; • il momento storico, cioè l’epoca in cui il personaggio vive e i grandi avvenimenti storici (carestie, bat-
taglie, rivoluzioni, epidemie ecc.) che influiscono sulla sua vita. Per quanto riguarda il contesto sociale, i naturalisti francesi operavano in un Paese economicamente e socialmente molto avanzato e concentravano l’attenzione sulla realtà urbana di una grande città come Parigi. I veristi, al contrario, provenivano per lo più dalla Sicilia, una delle zone più arretrate d’Europa, e descrivevano in prevalenza il mondo contadino. I personaggi dei naturalisti appartengono alle classi medie, alla borghesia, oppure alla classe operaia, legata allo sviluppo industriale. Nelle opere dei veristi, invece, predominano figure di contadini, di poveri pescatori, oppure di proprietari terrieri e di latifondisti. Gli scrittori naturalisti, poi, pur descrivendo una realtà spesso terribile e dolorosa, esprimono un sostanziale ottimismo nel progresso favorito dalla scienza e dalla letteratura. Al contrario, i veristi esprimono un sostanziale pessimismo: in una realtà che appare loro statica e immutabile, il progresso viene percepito come impossibile o illusorio.
Indica se gli elementi elencati sono collegabili al Naturalismo o al Verismo. NATURALISMO Campagna Realtà urbana Borghesi e operai Contadini e pescatori Ottimismo (la letteratura contribuisce a migliorare la società) Rassegnazione (la realtà non può cambiare) Italia Francia
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VERISMO
dovute alle misere condizioni di vita degli operai, delle donne, degli orfani, o allo sfruttamento dei minori a fini produttivi, come pure criminali. Centro assoluto della Inghilterra dickensiana, nel bene e nel male, è Londra, “metropoli tentacolare”, con la miseria umana dei suoi cupi slums, e l’umanità notturna e furtiva dei vicoli lungo il Tamigi. Un altro scrittore chiave è infine il francese Victor Hugo (1802-1885), autore del romanzo storico-realista più letto di tutto l’Ottocento, I miserabili (1862), che fin dal titolo dichiara il centro del suo interesse: le classi sociali escluse dal progresso, dal benessere, dalla stessa vita civile, ovvero uomini in miseria e prostitute, ex galeotti e bambini orfani abbandonati a loro stessi. I miserabili, ambientato negli anni successivi alla sconfitta napoleonica di Waterloo (1815), è un romanzo sociale, oltre che storico e realista, in cui la voce dell’autore si leva a denunciare le condizioni di vita del popolo. Verso la metà dell’Ottocento, la grande narrativa realista conobbe nuovi sviluppi, grazie alla straordinaria crescita economica, tecnologica e scientifica che si realizzò in Europa. Il miglioramento delle comunicazioni e dei trasporti (per esempio grazie alla diffusione delle ferrovie) e le scoperte medico-scientifiche (come quelle dell’aspirina e dell’anestesia chirurgica) determinarono una vera e propria rivoluzione nella vita delle persone. La parola “progresso” entrò nell’uso comune, perché descriveva cambiamenti che stavano sotto gli occhi di tutti. L’entusiasmo per i progressi delle scienze indusse gli scrittori a guardare alla realtà per raccontarla secondo una nuova prospettiva, ispirata alla oggettività scientifica. Traendo spunto dalle scienze naturali – che mirano a osservare e descrivere i processi naturali in maniera esatta, scarna e precisa –, questi scrittori cercarono di raccontare la realtà esattamente come essa era, senza abbellimenti, e soprattutto sforzandosi di non far trasparire il loro giudizio sulle cose che venivano descritte. Poiché gli scrittori realisti credevano che i comportamenti umani fossero strettamente influenzati dall’ambiente sociale, si rivolsero soprattutto a indagare le fasce sociali disagiate, quelle in cui il contesto e la sua influenza sull’uomo potevano trasparire nel modo più chiaro, in quanto si trattava di ceti più liberi dai condizionamenti imposti dalla cultura o dall’educazione. La scrittura di tipo realista, quindi, finì spesso per mostrare il volto più oscuro e ingiusto della società. LA FIDUCIA NEL PROGRESSO E L’OGGETTIVITÀ SCIENTIFICA
TESTI
• Guy de Maupassant, Due amici • Giovanni Verga, La roba • Luigi Capuana, Fastidi grassi
Nei decenni fra le due guerre mondiali, il romanzo americano vide nascere un grande filone realista con William Faulkner, che descrisse la realtà rurale e arretrata degli Stati Uniti del Sud, mentre John Dos Passos mirò a ricreare l’intera società americana di quegli anni e John Steinbeck denunciò la dolente realtà umana della Grande depressione. LA NARRATIVA REALISTA NEL NOVECENTO E OLTRE
PRESENTAZIONE
LA NARRATIVA REALISTA • Chi sono i due autori classici del realismo francese e inglese? Usa la presentazione (slide 4-6) per ripassare e prova a rispondere a queste domande: • Che cos’è l’oggettività scientifica? • Quando nasce la narrativa realista e perché? • Perché l’oggettività scientifica influenza la Ci sono esempi precedenti nella storia della narrativa realista? letteratura?
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In Italia, nel secondo dopoguerra, il realismo divenne lo strumento principale con cui gli artisti cercarono di rappresentare nella sua verità un Paese stremato, che aveva sperimentato la dittatura e la guerra (anche civile), e che ora cercava di riprendersi. Da questa esigenza di descrizione della realtà si aprì, verso il 1945, il decennio del Neorealismo, alla cui poetica aderirono molti scrittori, primi fra tutti quelli che avevano partecipato alla lotta di liberazione, come Beppe Fenoglio, con i racconti dei Ventitré giorni della città di Alba (1952) e Il partigiano Johnny (1968, postumo); Italo Calvino, con Il sentiero dei nidi di ragno (1947); Carlo Levi, con Cristo si è fermato a Eboli (1945). A questo grande momento della narrativa italiana si ascrive anche l’imprescindibile romanzo-testimonianza Se questo è un uomo (1947) dell’ebreo Primo Levi. Tra gli altri autori vanno poi ricordati Leonardo Sciascia, Vasco Pratolini, Elio Vittorini, Cesare Pavese e Pier Paolo Pasolini, che in Ragazzi di vita (1955) racconta la vita dei giovani nelle nuove e miserabili periferie della Roma della ricostruzione. La narrativa realista continua a essere praticata e apprezzata anche ai nostri giorni, soprattutto perché alcuni scrittori non hanno mai smesso di prestare attenzione ai problemi sociali contemporanei, denunciando le ingiustizie, le sopraffazioni e la corruzione contemporanea. Ciò è testimoniato da un romanzo quale Gomorra (2006) di Roberto Saviano.
VIDEO
Due fotografie, di Pier Paolo Pasolini (sul set cinematografico) e di Beppe Fenoglio.
INTRODUZIONE A… LA NARRATIVA REALISTICA Usa il video per ripassare e prova a rispondere sviluppato dall’Ottocento e oggi? Cita esempi a queste domande: di scrittori rappresentativi di ciascuna corrente. • Quando si parla di “realismo” in letteratura? • Come si riflettono nello stile e nel lessico le • Quale filone novecentesco del realismo ha trovato grande spazio in ambito scelte degli scrittori realisti? cinematografico? Cita alcuni esempi di registi. • Quali sono le correnti in cui il realismo si è
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3.
La narrativa storica
Secondo una celebre definizione di Alessandro Manzoni, il massimo esponente italiano del genere storico, il romanzo storico è un componimento misto di storia e di invenzione: un’opera, cioè, in cui l’autore mescola avvenimenti reali e avvenimenti inventati, personaggi reali (storici, appunto) e personaggi di fantasia. L’autore di un romanzo storico, in effetti, si propone di compiere una ricostruzione storica esatta e dettagliata dell’epoca in cui colloca la sua narrazione, che può arrivare ad assumere quasi i caratteri del documento storico. Questa definizione, però, non esaurisce le caratteristiche di questo genere narrativo, che per essere tale deve possedere anche altri elementi. Innanzitutto, la vicenda narrata nei romanzi storici si svolge nel passato, e spesso in un passato molto lontano rispetto al momento in cui l’autore scrive. In secondo luogo, l’ambientazione nel passato deve essere significativa per lo sviluppo della vicenda. Il romanzo storico fa in modo che la mentalità dell’epoca sia un ingrediente fondamentale della vicenda. Per esempio, in I promessi sposi (1827-1842) di Manzoni tutta la vicenda ha origine dall’arroganza di un nobilotto di provincia che, per una stupida scommessa con un cugino, si impegna a sedurre una ragazza e poi, di fronte alla sconfitta, non può tirarsi indietro per non perdere il proprio onore: è una vicenda strettamente legata alla situazione storica e sociale della Lombardia del Seicento, e non potrebbe svolgersi nello stesso modo un secolo prima o due secoli dopo. NARRARE UN PASSATO REMOTO
L’autore di narrativa storica, in definitiva, ricostruisce un momento del passato, in termini verosimili, con ricchezza di particolari e precisione documentaria. Tuttavia la narrazione storica è qualcosa di profondamente diverso dalla biografia o dal saggio di storiografia: questi ultimi prevedono infatti una ricostruzione esatta della società, dell’economia, della cultura di un’epoca e delle vicende storiche, senza nessun intervento di tipo letterario o creativo da parte dell’autore. Al contrario, nel romanzo storico l’autore aggiunge alla ricostruzione storica personaggi e vicende di fantasia, seguendo il criterio della verosimiglianza: l’autore fa cioè agire i suoi personaggi come avrebbero agito gli uomini dell’epoca in cui è ambientato il romanzo, inserendo nella narrazione dei dettagli molto accurati sugli ambienti, sulla mentalità, sul modo di vestire, sulla cultura caratteristici di quel periodo storico. IL VEROSIMILE: UN FONDAMENTO DEL ROMANZO STORICO
Antesignano del romanzo storico può essere considerato il testo storiografico del greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C., le Storie. Non si tratta di un’opera romanzesca, ma la narrazione storica è condotta secondo criteri ben diversi da quelli che informano la storiografia moderna: all’accuratezza della ricostruzione degli eventi Erodoto preferisce la piacevolezza della narrazione, alla veridicità dei fatti la presenza del soprannaturale, alla secchezza del dato storico il gusto dei dettagli geografici ed etnografici. Di qualche secolo più tardi è invece il cosiddetto Romanzo di Alessandro (risalente alla piena età imperiale): una biografia romanzata di Alessandro Magno, frutto del lavoro di autori diversi, che ebbe grandissima fortuna per tutto il Medioevo, al punto da essere più volte tradotta e rimaneggiata. L’ANTICHITÀ CLASSICA E IL MEDIOEVO
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GLI INGREDIENTI DELLA NARRATIVA STORICA storia + invenzione: avvenimenti storici reali misti a vicende di fantasia
un passato lontano rispetto al presente dell’autore
basato su
parla di
NARRATIVA STORICA si fonda sul principio di VEROSIMIGLIANZA permette all’autore di ricostruire il passato con elementi credibili e verosimili, basati su un’accurata ricerca
Il romanzo storico vero e proprio nacque in epoca romantica, e cioè nei primi anni dell’Ottocento. Il suo sviluppo si collegò strettamente alla passione dei romantici per la storia e per lo studio del passato: secondo i romantici, infatti, ogni epoca storica era ugualmente importante e doveva essere compresa nei suoi aspetti specifici, nella sua mentalità, nei suoi valori. Così, per esempio, essi rivalutarono il Medioevo, rifiutando la definizione generica di “secoli bui” che il Settecento razionalista aveva attribuito a questo periodo. Non a caso il primo grande autore di romanzi storici, lo scozzese Walter Scott (1771-1832), ambientò la maggior parte delle sue opere, come Ivanhoe (1819-1820), proprio in epoca medievale. La scelta di Scott rivelò anche che gli autori di romanzi storici scrivevano del passato per parlare del presente. Nel passato, infatti, potevano rintracciare le cause remote dei problemi che lo scrittore e i suoi lettori si trovavano ad affrontare nel loro presente. La scelta di scrivere romanzi storici, per i romantici, non era quindi una fuga dalla realtà: al contrario, nasceva dal desiderio di analizzare e comprendere la realtà in cui essi vivevano. Ad esempio, Alessandro Manzoni ambientò I promessi sposi nel Seicento, che descrisse come un’epoca di decadenza morale e civile provocata dalla dominazione spagnola in Italia, suggerendo chiaramente un confronto con la dominazione austriaca del suo tempo. LE ORIGINI DEL GENERE STORICO: IL ROMANTICISMO
La scrittura di un romanzo storico comportava per l’autore una serie di studi, al fine di conoscere approfonditamente l’epoca in cui ambientare la vicenda romanzesca. Ma lo scrivere un romanzo storico, in molti casi, significava anche proporre al lettore una serie di riflessioni sulla storia umana nel suo complesso, mostrarne i meccanismi condizionanti, prendere posizione rispetto ai problemi che essa pone. Nel raccontare la vicenda dei Promessi sposi, per esempio, Manzoni dà corpo a una sua tesi: nella storia umana agisce una forza segreta e misteriosa, la Provvidenza divina, che garantisce alla storia stessa il suo significato.
TESTI
I CLASSICI DEL ROMANZO STORICO
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• Walter Scott, Un torneo cavalleresco • Ippolito Nievo, Un colloquio con Napoleone
AL CINEMA
REALTÀ E STORIA SUL GRANDE SCHERMO
Alle origini del reale: i fratelli Lumière Il sogno di una riproduzione del reale ha costituito una delle spinte determinanti che portarono alla nascita del cinema. Quando i fratelli Louis e Auguste Lumière girarono il primo film della storia, Uscita dalle fabbriche Lumière (di Louis Lumière, 1895), nel riprendere l’uscita di un gruppo di lavoratori da un’officina avevano come obiettivo quello di catturare il mondo circostante. Il pubblico dell’epoca rimase stupefatto: per la prima volta si assisteva allo spettacolo di oggetti e persone in movimento – un movimento naturale e verosimile – proiettati su uno schermo. La Storia sullo schermo: la Guerra di secessione americana Presente al cinema fin dall’epoca del muto, il genere storico in senso proprio ha sempre ambito a una ricostruzione attendibile e verisimile del passato. Tale ambizione, del resto, ha dovuto fare i conti con tre sfide: l’esigenza di tradurre l’elemento storico in una narrazione romanzesca; la tentazione di ricorrere a una messa in scena accattivante e spettacolare; il rischio di rileggere il passato in funzione del presente, fraintendendolo. Tra gli episodi d’epoca moderna di maggior fortuna cinematografica va sicuramente ricordata la Guerra di secessione americana (1861-1865). Incentrato sugli sforzi di Abraham Lincoln – presidente durante il conflitto – per abolire la schiavitù, Lincoln (di Steven Spielberg, 2012) adotta uno stile misurato ed elegante per riflettere sulla forza persuasiva della parola e sul suo ruolo nell’esercizio del potere. La disfatta del Sud e la scomparsa del suo stile di vita avevano fatto da sfondo già a Via col vento (di Victor Fleming, 1939), intrecciandosi alla storia d’amore più famosa del cinema: quella tra Rossella O’Hara e Rhett Butler. La grande stagione del Neorealismo italiano Un cinema propriamente realista fece la sua comparsa negli anni Quaranta del Novecento e trovò nel Neorealismo italiano
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1 Un fotogramma dal primo film dei fratelli Lumière, del 1895.
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la sua forma più compiuta. Filmando in esterni, ricorrendo ad attori non professionisti, optando per una narrazione asciutta che rifuggiva dal romanzesco e dal sentimentalismo, avvalendosi di uno stile crudo prossimo a quello documentaristico, le opere del periodo offrirono un ritratto credibile del nostro Paese. Un ritratto socioeconomico e morale, incentrato sulle classi disagiate, delle quali non si nascose miseria, meschinità e disperazione, ma nemmeno il desiderio di una vita migliore. Roma città aperta (di Roberto Rossellini, 1945) e Paisà (di Roberto Rossellini, 1946) raccontano l’Italia della Seconda guerra mondiale, concentrandosi il primo sul periodo dell’occupazione tedesca e il secondo su quello della liberazione da parte degli Alleati. Sciuscià (di Vittorio de Sica, 1946) e Ladri di biciclette (di Vittorio De Sica, 1948) rappresentano l’Italia dell’immediato secondo dopoguerra, mettendo in scena il primo le vicissitudini di due giovani lustrascarpe finiti in riformatorio e il secondo le difficoltà di un padre nel conservare il lavoro e mantenere la famiglia. La terra trema (di Luchino Visconti, 1948) è invece una rilettura in chiave marxista de I Malavoglia di Giovanni Verga, e declina l’originario scontro con il destino (del romanzo) nei termini della lotta di classe. Il Neorealismo influenzò il cinema mondiale, creando uno stile visivo senza precedenti. 2 Rossella O’Hara e “Mammy” (interpretate da Vivien Leigh e Hattie McDaniel), in una scena di Via col vento di V. Fleming.
3 Pina (Anna Magnani), in una delle scene-simbolo di Roma città aperta di R. Rossellini.
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Lev Tolstoj, intorno alla metà del XIX secolo, scrisse invece la sua opera più vasta e ambiziosa, il romanzo Guerra e pace (ambientato ai tempi delle guerre napoleoniche) per dimostrare che i cosiddetti “grandi uomini” in realtà non contano nulla, perché la storia è fatta dai popoli, dalle masse: secondo Tolstoj ciascuno di noi, nel suo piccolo, contribuisce al divenire storico. La passione per il romanzo storico diminuì nella seconda metà del XIX secolo, quando gli scrittori più importanti concentrarono l’attenzione sulla realtà sociale del proprio tempo, mentre nei primi decenni del Novecento prevalse poi l’interesse per l’analisi psicologica e il gusto per i temi filosofici e morali. Una notevole eccezione è rappresentata dal romanzo dello scrittore verista Federico De Roberto, I Viceré (1894), che racconta le vicissitudini della nobile famiglia siciliana Uzeda di Francalanza attraverso i decenni che precedono e seguono l’unificazione italiana. La narrativa storica ha vissuto una nuova fioritura negli anni seguenti alla Seconda guerra mondiale, per una ragione abbastanza semplice: lo sconvolgimento legato alla guerra e alle dittature spinse gli scrittori a riflettere nuovamente sulla storia e sui suoi meccanismi. Negli anni Cinquanta anche altri autori si imposero all’attenzione del pubblico mondiale con romanzi storici come le Memorie di Adriano (1951) di Marguerite Yourcenar, Il dottor Živago (1957) di Boris Pasternak, o Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Si trattava di romanzi storici molto diversi da quelli dell’Ottocento, innanzitutto perché le opere del Novecento concentravano l’attenzione sulla psicologia dei protagonisti. L’evoluzione del romanzo storico è stata segnata, nel 1980, dalla pubblicazione della prima opera narrativa di Umberto Eco, Il nome della rosa, che è nello stesso tempo un romanzo storico e un romanzo giallo. Molti altri scrittori hanno intrapreso questa stessa strada, ambientando trame di romanzo giallo in luoghi ed epoche storiche ben determinati: l’Inghilterra dei Tudor di Hilary Mantel o l’Italia fascista di Carlo Lucarelli. Il romanzo di Eco ha dato vita a una nuova rinascita di interesse anche per il romanzo storico vero e proprio, a cui si sono dedicati scrittori che in precedenza avevano privilegiato generi sperimentali e volutamente più difficili. Ricordiamo per esempio Sebastiano Vassalli, autore di La chimera (1990); Dacia Maraini, arrivata al successo con La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990); il collettivo Luther Blissett, a cui si deve il romanzo Q (1999), ambientato durante la Riforma protestante; i vincitori del premio Strega Antonio Pennacchi, con il romanzo Canale Mussolini (2010) e Antonio Scurati (2019) con M. Il figlio del secolo; Stefania Auci con il romanzo di successo I leoni di Sicilia (2019). Tra gli scrittori contemporanei, inoltre, Melania G. Mazzucco si è distinta nella narrativa storica sin dai suoi esordi (La camera di Baltus, 1998; il romanzo biografico Lei così amata, 2000) per poi affermarsi pienamente con Vita, il best-seller premiato con lo Strega nel 2003. LA NARRATIVA STORICA TRA NOVECENTO E DUEMILA
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INTRODUZIONE A… LA NARRATIVA STORICA • Chi è considerato il primo grande autore di romanzi storici? Usa il video per ripassare e prova a rispondere a queste domande: • Qual è il più importante romanzo storico italiano e chi ne è l’autore? • In che senso le narrazioni storiche propongono un intreccio di storia e finzione? • Qual è la peculiarità di un romanzo Perché sono verosimili? neostorico come Il nome della rosa di Umberto Eco?
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A COLPO D’OCCHIO
MAPPA
LA NARRATIVA REALISTA E STORICA Completa le mappe con le espressioni indicate: Personalizza la tua mappa
Charles Dickens – Neorealismo – Naturalismo – primo Ottocento Romanticismo – invenzione – Il nome della rosa – narrativa storica – Alessandro Manzoni – passato rappresentazione oggettiva della realtà
riflessione su temi storico-sociali
basato su
propone NARRATIVA REALISTA
nasce nel
.............. ..............
si sviluppa
nel
in
in
Francia
Italia
con il
con il
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Verismo
secondo dopoguerra
con Honoré de Balzac
rifiorisce con il
............ ............ ..............
Victor Hugo
NARRATIVA STORICA Commistione di Storia e ............................ Tre ingredienti
Commistione di Storia e ............................ Commistione di Storia e ............................
La narrativa storica nasce con il ................. Fasi importanti La narrativa ha una evoluzione nel 1980 con il romanzo .............................. di Umberto Eco
Autori classici
Walter Scott; ...........................................
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AUDIO
Ascolta il podcast di Giulio Guidorizzi
Petronio, maestro di eleganza Nella letteratura antica possiamo trovare un’opera che più di tutte le altre si può considerare un prototipo della letteratura realista, ed è il romanzo intitolato Satyricon attribuito a Petronio. L’autore, quasi certamente, è un personaggio del I secolo d.C., contemporaneo dell’imperatore Nerone. Di lui sappiamo che era un aristocratico, anzi l’aristocratico più raffinato di Roma, al punto che lo soprannominavano arbiter elegantiae, «maestro di eleganza». Aveva le vesti, i gioielli e i profumi più delicati, viveva nello splendore ed era l’uomo più raffinato del tempo: tutti a Roma lo osservavano e cercavano di imitarlo, ma Petronio non frequentava la buona società, che in sostanza disprezzava; viveva con uno stretto giro di amici, colti ed eleganti come lui, e pur essendo ricchissimo non ostentava il suo lusso. Nerone lo ammirava e lo volle tra i suoi amici. Quando fu chiamato a ricoprire incarichi pubblici fu efficiente ed onesto, poi però preferì vivere da privato cittadino. Quando fu scoperta una congiura contro Nerone, qualcuno, forse per invidia, fece il suo nome. Petronio sapeva che cosa questo significasse, e preferì evitare la crudeltà del tiranno. Scrisse una lettera personale a Nerone in cui lo derideva e raccontava tutte le sue infamie; poi ruppe il sigillo perché nessuno lo potesse Una scena della cena di Trimalchione nell’adattamento cinematografico del romanzo di Petronio, curato da Federico Fellini nel 1969.
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IL PODCAST ANTE LITTERAM
Un grande affresco realista: il Satyricon di Giulio Guidorizzi
usare per compromettere altri. Quella stessa sera invitò i suoi migliori amici a banchetto; risero, scherzarono come se niente dovesse succedere, composero versi allegri e Petronio non volle che si parlasse di morte e di anima. Poi si fece aprire le vene dal suo medico e morì, vivendo l’ultimo giorno della sua vita come se niente fosse. Il Satyricon che ci è arrivato firmato con il suo nome è un romanzo, di cui sono giunte solo alcune parti. Racconta le vicende di due personaggi un po’ stralunati e sradicati che vivono alla giornata, Ascilto ed Encolpio, entrambi corteggiatori di un bellissimo
giovane chiamato Gitone. Il cuore del romanzo, nella parte che ci è rimasta, è la descrizione della cena tenuta a casa di un liberto ricchissimo e volgarissimo, chiamato Trimalchione, che vive in una città di provincia: è appunto chiamata coena Trimlchionis. In un linguaggio vicino al latino parlato e non a quello letterario (per esempio «bocca» si dice bucca, come poi diventerà in italiano, e non os come nel latino colto) Trimalchione e i suoi amici celebrano il trionfo della volgarità. È in questa parte dell’opera che emerge il talento di Petronio nel tratteggiare la tracotanza della classe sociale degli arricchiti.
SCOPRIAMO GLI ANTENATI Molti sono gli elementi realistici che emergono dalla descrizione del personaggio di Trimalchione nel Satyricon (di cui TESTI trovate qui in formato digitale alcuni estratti):
L’inizio dell’episodio della cena di Trimalchione in un manoscritto (detto “Traguriensis”) del XV secolo, ora conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia, a Parigi.
Trimalchione, un prototipo del parvenu Trimalchione si definisce un lautissimus homo «un uomo molto chic» (in senso ironico, ovviamente). Nella sala del banchetto tiene un orologio e un suonatore di tromba che soffia ogni ora «per sapere quale parte di vita ha perso». Gioca con uno scheletro per alludere alla fugacità della vita e nello stesso tempo sghignazza e si riempie la pancia. Il suo nome, Trimalchione, è composto dal numerale tris (tre volte) e dall’espressione popolare malchio, che indica un parvenu (un arricchito): cioè, diremmo, il «Trevolte-arricchito». Trimalchione possiede terme private dalle quali esce inondato di profumo volgare, si fa massaggiare da tre massaggiatori nello stesso tempo e avvolgere da un asciugamano di porpora che poi butta via. Fa sfoggio di stoviglie preziose; per stupire gli ospiti il suo gruppo di cuochi prepara torte gigantesche da cui svolazzano fuori stormi di tordi; un enorme maiale arrosto viene posto in mezzo e quando il cuoco inizia a tagliarlo ne esce una cascata di salsicce; gli antipasti sono offerti in un asino d’argento in grandezza naturale con inciso il nome di Trimalchione e il suo peso in argento, tanto per ostentare un po’.
Trimalchione stesso si fa portare a tavola sulla lettiga accompagnato da musicanti, mentre sta terminando una partita a dama in cui, al posto delle pedine bianche e nere, stanno monete d’oro e d’argento; nel corso della cena poi fa sfoggio di una cultura triviale, dimostrandosi un uomo del tutto ignorante e rozzo. Così le sue massime sono una mescolanza di pensieri filosofici male assimilati e di buonsenso popolare, come ad esempio «Amici, anche i servi sono uomini e hanno bevuto latte come noi». Insomma, nella cena di Trimlchione si sviluppa questo trionfo del cattivo gusto, di cui Trimalchione stesso è l’indiscusso eroe. Persino le riflessioni sulla morte assumono un tono grottesco, come quando Trimalchione piangendo calde lacrime legge in pubblico l’iscrizione funebre che si è fatto preparare: «Caio Pompeo Trimalchione Mecenatiano [cioè, erede di Mecenate!] riposa qui. In sua assenza gli fu decretato il sevirato [che era un piccolissimo onore municipale]. Poteva essere incluso in qualsiasi decuria di Roma, ma non volle. Pio, forte, fedele, crebbe dal poco e lasciò trecento milioni di sesterzi. Non seguì mai le lezioni di un filosofo. Salute».
• Petronio, L’arrivo a casa di Trimalchione (Satyricon, 28, 6-31, 2) • Petronio, Trimalchione buongustaio (Satyricon, 3536; 40; 49-50, 1) • Petronio, La carriera di un arricchito (Satyricon, 75, 1077, 6) La figura di Trimalchione è diventata l’emblema stesso del parvenu, ovvero dell’arricchito e dell’arrampicatore sociale. Dopo aver ascoltato il Podcast, dividetevi in piccoli gruppi e, facendo anche riferimento ai testi sopra elencati che avrete già letto in formato digitale, provate a fare un vostro ritratto di Trimalchione e a paragonarlo a un immaginario parvenu contemporaneo. Quali sono gli elementi che i due avrebbero in comune? Come si differenzierebbe invece un arricchito di oggi rispetto a Trimalchione? Nel rispondere, tenete in mente almeno i seguenti elementi: • l’arredamento degli interni domestici; • lo sfoggio della ricchezza personale; • il rapporto con il cibo e il tipo di cibo offerto ai commensali; • la descrizione di sé e delle proprie imprese.
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LEGGIAMO I TESTI T2
Émile Zola Il nuovo che avanza
L AVO R I A M O S U • Focalizzazione
L’AUTORE
Émile Zola nacque a Parigi nel 1840, figlio di un ingegnere veneziano, che morì sette anni dopo, lasciando la famiglia nella miseria. Grazie a una borsa di studio poté comunque attendere a studi liceali, prima a Aix-en-Provence, poi a Parigi. Dopo tre anni di impieghi miseri e saltuari, venne assunto come fattorino da Hachette, una delle più importanti case editrici dell’epoca: questa fu una svolta. In breve tempo riuscì a farsi notare dal
direttore, che lo mise a capo del settore pubblicitario; in questo modo Zola entrò a pieno titolo nel mondo della cultura francese a lui contemporanea. Nel 1867 pubblicò il suo primo romanzo, Thérèse Raquin, e sempre in questo periodo stese il progetto del Ciclo dei Rougon-Macquart: venti romanzi per raccontare la “storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero”.
L’OPERA
Il paradiso delle signore (titolo originale Au bonheur des dames) è l’undicesimo libro del Ciclo dei Rougon-Macquart, pubblicato nel 1883. Protagonista è la giovane Denise Baudu: rimasta orfana e in miseria nella piccola città di Valognes (Normandia), si ricorda dell’offerta di aiuto che, all’indomani della morte del padre, aveva ricevuto dallo zio paterno, proprietario di un celebre negozio di stoffe a Parigi, Il vecchio
Elbeuf. Quando, tuttavia, Denise e i suoi due fratelli minori, l’adolescente Jean e il piccolo Pépé, si presentano alla porta dello zio, la attende un’amara sorpresa: il negozio è sull’orlo della rovina a causa dell’insostenibile concorrenza fatta al piccolo commercio da Il paradiso delle signore, un grande magazzino moderno che sta ridefinendo lo stesso concetto di vendita e distribuzione.
IL TESTO
Nel brano seguente, Denise e i suoi fratelli sono appena giunti a Parigi, ma hanno scoperto che lo zio non può aiutarli in alcun modo: il negozio è in crisi e non può assumere nuovo personale. Mentre Denise, accompagnata dallo zio, gira per il quartiere alla ricerca di un impiego, un commesso del Paradiso la invita a presentarsi al magazzino, che è sempre alla ricerca di personale. Lo zio ne è sdegnato e
vorrebbe opporsi, ma non osa farlo apertamente. Alla sera, la famiglia Baudu si riunisce nel salottino attiguo a Il vecchio Elbeuf per la cena: ci sono Denise e i suoi fratelli, lo zio Baudu, la moglie, la figlia Geneviève e il primo commesso, Colomban, fidanzato a Geneviève e destinato a succedere al vecchio Baudu nel possesso del negozio. Il discorso scivola subito sull’odiato concorrente.
Il negoziante alzava le spalle sdegnando quei discorsi da comari. Ricominciò il suo racconto e spiegò commercialmente lo stato delle cose. Il paradiso delle signore era stato fondato nel 1822 dai fratelli Deleuze. Alla morte del maggiore, la figlia di lui, Caroline, si era maritata con uno dei figli di un fabbricante di tele, 5 Charles Hédouin; in seguito era rimasta vedova e aveva sposato quel tale Mouret, al quale portava così in dote la metà del magazzino. Non erano passati tre mesi che lo zio, Deleuze, era morto anche lui senza lasciare figli. Così, quando Caroline aveva lasciato la pelle tra i calcinacci, Mouret era rimasto erede di tutto e padrone assoluto del Paradiso. Tutte le fortune toccavano a lui! 10 «Un sognatore, uno scombinato pericoloso, che butterà all’aria il quartiere, se lo lasciano fare», seguitò Baudu. «Caroline, che era anche lei un po’ romantica, rimase affascinata dai disegni stravaganti di quel brav’uomo. Il fatto è che le
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fece comprare la casa a sinistra e poi quella a destra; e ora che è rimasto solo ne ha comprate altre due; e così il magazzino è cresciuto, è cresciuto tanto che 15 minaccia di ingoiarci tutti». Si rivolgeva a Denise, ma parlava per sé, rimuginando quella storia che lo straziava. In casa era lui il bilioso, lui il furioso sempre con i pugni stretti. La signora non ci prendeva più nessuna parte, standosene immobile su di una sedia; Geneviève e Colomban con gli occhi bassi, raccattavano e mangiavano distrattamente 20 delle briciole di pane. Faceva tanto caldo in quell’ala della stanza che Pépé si era addormentato appoggiato alla tavola, e a Jean gli occhi si chiudevano da sé. «Pazienza!», riprese Baudu, preso a un tratto dalla furia. «Gli imbroglioni se ne andranno con le corna rotte! Già la gente onesta la vince sempre sulla canaglia, perché basta che stia ferma a guardare e aspettare il capitombolo!… 25 Mouret non naviga mica in buone acque, lo so di sicuro. Tutto quel che aveva guadagnato lo ha speso nelle sue pazzie di allargamenti e di pubblicità. In più, per trovare dei capitali, ha pensato di fare in modo che la maggior parte dei suoi impiegati mettano da lui a frutto quel poco che hanno. E ora non ha un soldo, e se non gli riesce di triplicare la vendita come spera lui, vedrete che affare!… non 30 sono mica cattivo, io; ma quel giorno, vi do la parola d’onore che metto i lumi alle finestre»1. Seguitò con quella voce piena d’astio; pareva che la rovina de Il paradiso delle signore dovesse rialzare la decaduta dignità del commercio; si era vista una cosa simile? Un negozio di “novità” dove si vendeva di tutto? Ma allora non era 35 un negozio, era un bazar! E gli impiegati? bellini… un mucchio di bellimbusti che lavoravano come fossero in una stazione e trattavano le mercanzie e i clienti come fagotti, piantando il padrone quando il padrone non piantava loro, per una mezza parola: gente senza cuore, scostumata, ignorante. E lì per lì prese a testimone Colomban: lui, Colomban, educato secondo le buone regole, sapeva che, 40 un po’ per volta, si arriva a saperle tutte e bene le arti e furberie del mestiere. Non si trattava mica di vender molto, si trattava di vender caro. E lui poteva dirlo com’era stato trattato, come era divenuto uno di casa; e come l’avevano curato quando era stato malato; e gli avevano lavata sempre la roba, gli avevano fatto i rammendi, e poi e poi… sorvegliato paternamente. Insomma gli avevano voluto 45 bene come a un figlio. Ecco fatto! «Sicuro, sicuro», ripeteva Colomban a ogni urlo del padrone. «Ma tu sei l’ultimo, caro mio», concluse Baudu commosso. «Eh, dopo di te non ce ne saranno altri… io non ho altra speranza che te, perché se chiamano commercio un fare agli spintoni in quel modo, allora io non ci capisco più niente; 50 è meglio uscirne una volta per sempre». Geneviève, con la testa china su una spalla, come se i folti capelli neri gravassero troppo sulla sua pallida fronte, guardava il commesso sorridendo, e nel suo sguardo si scorgeva un sospetto, un desiderio di scorgere se Colomban, preso da rimorso, arrossisse o no a sentire quelle lodi. Ma da uomo che le commedie 55 del vecchio negozio le sapeva per filo e per segno, lui stava lì come se nulla fosse, con la sua aria bonacciona, e con le labbra chiuse in modo da dare alla fisionomia un aspetto di singolare malizia. Baudu, intanto, seguitava a vociare sempre più forte e accusava quella rivendita di merce d’occasione lì di fronte, quei selvaggi che si sgozzavano tra loro nel60 la cosiddetta lotta per la vita, di arrivare perfino a distruggere la famiglia. Citava i loro vicini in campagna, i Lhomme, padre, madre e figlio, tutti e tre impiegati in quella baracca; gente che non aveva quasi più l’idea della famiglia, sempre fuori,
LESSICO
Rammendi Il sostantivo «rammendo» viene dal verbo «rammendare» (composto da «r-» più «ammendare», ovvero «correggere») e ha il significato di «riparazione», soprattutto sartoriale. Qual è un sinonimo di «rammendo»?
1. In segno di festa.
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non mangiavano in casa altro che la domenica; una vita, insomma, da tavola rotonda e da albergo. Sicuro, il suo salotto da pranzo non era grande: la luce e 65 l’aria non abbondavano: ma almeno la vita era attaccata lì dove aveva vissuto con l’amore dei suoi. Mentre parlava, faceva con gli occhi il giro della stanza, e gli venivano i sudori al pensiero che non osava confessare, che quei selvaggi un giorno, se fossero riusciti a buttare giù il suo negozio, lo avrebbero potuto cacciar via da quella casina dove stava tanto bene, caldo caldo, tra la moglie e 70 la figlia. Per quanto nel prospettare l’ultima rovina si mostrasse pieno di fede, in fondo era pieno di terrore; perché si accorgeva che purtroppo il quartiere poco alla volta era invaso e divorato. «Tutto questo sia detto per la verità, mica per dissuaderti», riprese poi cercando di essere calmo. «Se ti pare di andarci, sarò il primo a dire: vacci!». 75 «Lo so, lo so, zio», mormorò Denise, stordita da quei discorsi e più che mai desiderosa di entrare al Paradiso. Lo zio, con i gomiti sulla tavola, non le levava gli occhi di dosso. «Ma guardiamo; tu te ne intendi: dimmi un po’ se ti pare che stia bene che un semplice magazzino di novità si metta a vendere di tutto. Tempo fa, quando il 80 commercio si faceva onestamente, le “novità” non erano che i tessuti, nient’altro che i tessuti. Oggi non fanno che invadere il campo dei vicini e mangiarsi tutto… di questo si lamenta il quartiere, perché le piccole botteghe incominciano a subire le conseguenze. Quel Mouret le manda in rovina… Vedi, Bédoré e sorella, il maglificio in rue Gaillon, ha perduto già la metà dei clienti. Dalla Tatin 85 che ha ancora un negozio di biancheria nella galleria Choiseul, sono costretti a ribassare i prezzi, a fare a chi dà la roba a meno. E le conseguenze di questo flagello, di questa peste, si fanno sentire fino in rue Neuve-des-Petits-Champs, dove ho sentito dire che i Vanpouille, pellicciai, sono lì lì per fare il capitombolo… i merciai che si mettono a vendere le pellicce! Siamo giusti, si va nel grottesco. E 90 anche questa è un’altra idea di Mouret». «E i guanti?», disse la signora, «non è una cosa mostruosa? Ha avuto il coraggio di mettere un reparto per i guanti… ieri mentre passavo per rue Neuve-Saint-Augustin, Quinette era sulla porta con un viso tanto triste che non stetti nemmeno a domandare se gli affari andavano bene… povero Quinette! Fra 95 poco non gli rimarrà altro che lavare i guanti vecchi». «E gli ombrelli?», riprese Baudu. «Gli ombrelli, poi, sono il colmo! Bourras2 è convinto che non lo fanno altro che per rovinar lui; infatti, domando io, che c’entrano gli ombrelli con le stoffe? Ma Bourras è uomo che non si lascerà sgozzare. Avremo di che ridere uno di questi giorni!». 100 Si mise a parlare d’altri negozianti, passando in rassegna tutto il quartiere. Ma gli sfuggivano delle confessioni: se Vinçard voleva vendere significava che era finita: bisognava fare le valigie e andarsene, perché Vinçard era come i topi, che scappano quando la casa sta per crollare. Poi, dopo un momento si sbugiardava e almanaccava un’alleanza tra i piccoli negozianti per combattere il colosso. Era 105 un po’ che si tratteneva dal parlare di sé, con le mani convulse, con la bocca stirata da un movimento di nervi. Finalmente si decise. «Io, per quanto mi riguarda, fino ad ora non posso lamentarmi troppo. Sicuro, dei torti me ne ha fatti, quel brigante! Ma per adesso non ha che le stoffe da signora, le stoffe leggere per i vestiti, e le stoffe più pesanti da mantello. Vengono 110 sempre da me per comprare i panni da uomo, i velluti da caccia, le livree, le flanelle e le felpe: non ce l’hanno mica là un assortimento come il mio!… ma vuole stuzzicarmi, mi vuole fare arrabbiare con quel reparto di panni che ha piantato
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2. Bourras: proprietario di un negozio di ombrelli accanto al Paradiso delle Signore.
proprio di fronte al mio uscio. Vi ficca sempre i più begli oggetti di moda, e li sistema fra una montagna di stoffe, una vera esposizione del ciarlatano, fatta 115 apposta per accalappiare le baldracche. Io, parola d’onore, mi vergognerei di servirmi di quelle astuzie! Il vecchio Elbeuf è conosciuto da quasi cent’anni e non ha bisogno di mettere sull’uscio reti per babbei. Finché sarò vivo, la bottega resterà come l’ho avuta io, quattro campioni di stoffe, in vetrina, giusto per l’esposizione, una a destra, una a sinistra, e niente di più!». (E. Zola, Il paradiso delle signore, trad. di A. Bucarelli, Milano, Mondadori 2017, con adattamenti)
G UIDA A L L A L ET T U RA Un mondo che cambia Ne Il paradiso delle signore, Zola raffigura con precisione lo spaccato di una società che sta mutando: da un lato ci sono i vecchi negozianti, con la loro gestione famigliare del commercio, tramandata di generazione in generazione, dall’altro ci sono i nuovi magazzini, grandi, pieni di luce e di aria, vere e proprie bellezze architettoniche. Non a caso Le Bon Marché, il negozio che ispirò Zola nell’immaginare il suo Paradiso, ebbe tra i suoi architetti addirittura Gustave Eiffel, ma anche i magazzini che sarebbero stati costruiti successivamente, come le celebri Galeries Lafayette, erano edifici di grande impatto estetico. Un racconto senza eroi Il brano – come, nel complesso, l’intero romanzo – contrappone due visioni del mondo, concretizzate in due visioni del lavoro e del commercio. Il vecchio Baudu difende un commercio piccolo e famigliare, ma al tempo stesso fatto di trucchi, spesso a scapito dell’acquirente («non si trattava mica di vender molto, si trattava di vender caro»; «sono costretti a ribassare i prezzi, a fare a chi dà la roba a meno»), mentre la grande distribuzione permette di applicare prezzi più bassi ai prodotti. Pubblicità, vetrine curate, commessi più liberi e meno gerarchizzati: tutto questo è incomprensibile agli occhi di zio Baudu, cresciuto in un sistema in cui erano in vigore i valori opposti. Ma questa opposizione non comporta un giudizio morale netto: se, da un lato, il piccolo mondo de Il vecchio Elbeuf quasi muove a compassione, dall’altro, tuttavia, non può mancare un elemento di critica nei confronti di un sistema che appare stolidamente chiuso nei confronti del nuovo. Il nuovo che avanza La novità, infatti, non può che esercitare un forte fascino. Ne è ammaliata Denise, che nonostante la tirata dello zio desidera ardentemente entrare al Paradiso. Ma ne è attratto anche Colomban, il primo commesso, l’erede, colui al quale il vecchio Baudu, secondo tradizione (lui stesso era stato primo commesso e aveva sposato la figlia del proprietario), vuol cedere negozio e figlia: ma poi Colomban, infatuato di una commessa dell’odiato Paradiso, finirà per fuggire insieme a lei. La figlia di Baudu, Geneviève, già ora nutre qualche sospetto su Colomban e lo guarda con preoccupazione, ma all’indomani della fuga del ragazzo non potrà che morire di dolore, e in breve tempo anche la madre seguirà la sorte della figlia. Il paradiso delle signore, in questo modo, segnerà la vera e propria rovina di Baudu, non solo sul piano economico, ma anche umano e personale.
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LAVORIAMO S U L T ES T O COMPRENSIONE 1. Come si chiama il negoziante protagonista del brano? a. Colomban b. Mouret c. Jean d. Baudu 2. Come potrebbe essere definito il carattere del negoziante? 3. Che cosa è Il paradiso delle signore? a. Un salone di bellezza b. Un negozio di pellicce c. Un grande magazzino d. Un negozio di stoffe
LE TECNICHE DEL TESTO 4. Quale grado di focalizzazione viene adottato all’inizio del brano? a. Interna: il narratore è un personaggio al corrente dei fatti. b. Esterna: il narratore si limita a osservare da fuori gli avvenimenti. c. Zero: il narratore è onnisciente.
ANALISI 5. Che cosa vuol dire, secondo te, che «Vinçard era come i topi, che scappano quando la casa sta per crollare» (rr. 102-103)? 6. Il protagonista alterna momenti di ottimismo a momenti di totale pessimismo. Individuane almeno due. a. È pessimista quando afferma: .......................................................................................................
b. È ottimista quando afferma: .......................................................................................................
7. A tuo parere, che cosa intende Baudu quando dice: «Finché sarò vivo, la bottega resterà come l’ho avuta io, quattro campioni di stoffe, in vetrina, giusto per l’esposizione, una a destra, una a sinistra, e niente di più!» (rr. 117-119)? Esponi le tue riflessioni in un testo di 10 righe.
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LESSICO 8. Nel periodo «ha pensato di fare in modo che la maggior parte dei suoi impiegati mettano da lui a frutto quel poco che hanno» (rr. 27-28), l’espressione “mettere a frutto” è impiegata con un significato particolare. Scegli quello corretto fra i seguenti proposti. a. Ambito agrario: significa far crescere i risparmi investendoli in agricoltura. b. Ambito economico: significa investire i risparmi nell’attività commerciale. c. Ambito figurato: significa far crescere i risparmi seguendo i consigli del capo. LABORATORIO DI SCRITTURA Scrittura creativa Se nel brano che hai letto la modernità era rappresentata da un nuovo tipo di commercio, che soppiantava i negozi specializzati in una sola tipologia di prodotti a favore di magazzini che vendevano di tutto, oggi la modernità è rappresentata dal mondo dell’e-commerce. Inventa un dialogo in cui si contrappongano una persona favorevole alla compravendita di prodotti online e una che ne teme le conseguenze e che, come il protagonista del brano di Zola, non vorrebbe affrontare il cambiamento. Puoi prendere spunto da questa immagine, che mostra un addetto alla raccolta automatizzata dei prodotti in un magazzino Amazon, che svolge il suo lavoro in perfetta solitudine.
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Giovanni Verga Rosso Malpelo
L AVO R I A M O S U • Focalizzazione • Discorso • Ambientazione
L’AUTORE
Massimo esponente del Verismo italiano, Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, da una famiglia di proprietari terrieri. Dopo aver abbandonato gli studi universitari in Giurisprudenza, si dedicò presto alla letteratura. Nel 1865 si recò una prima volta a Firenze, dove poi visse fino per alcuni anni, pubblicandovi i primi romanzi. Nel 1872 Verga si
trasferì a Milano, dove conobbe il successo letterario. La sua grande stagione creativa durò circa dieci anni e comprese, tra l’altro, le raccolte di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883), e i due grandi romanzi I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1888). Tornato a Catania nel 1893, vi morì nel 1922.
L’OPERA
Nella raccolta di novelle Vita dei campi (1880), la scelta di rappresentare la realtà contadina della Sicilia si sposa per Verga con una nuova modalità narrativa: l’autore cerca di nascondersi completamente dietro ai fatti raccontati e dietro alla parola dei suoi personaggi, e la voce narrante, intrisa
di termini dialettali e di sentenze proverbiali, sembra diventare davvero una voce “corale”. Fanno parte della raccolta alcune delle novelle più celebri di Verga, come Fantasticheria, L’amante di Gramigna, La Lupa, Jeli il pastore e Rosso Malpelo.
IL TESTO
La storia di Rosso Malpelo è il racconto senza tempo di come il diverso faccia sempre paura. Malpelo è il figlio di un minatore e – a sua volta – ha già cominciato a lavorare in miniera, seppur poco più che bambino. Emarginato per il colore rosso dei suoi capelli (segnale di indole focosa e dunque cattiva, secondo la credenza popolare), trascorre
le giornate in un mondo sotterraneo da cui umanità e speranza sono clamorosamente assenti. La vita non è altro che ingiustizia e sofferenza: meglio non essere mai nati, dirà infine Malpelo. Di lui non sapremo mai neppure il nome, dimenticato da tutti, ma solo quel soprannome che lo condannerà a una vita breve e colma di abusi.
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire1 un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa2 lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il 5 suo nome di battesimo. Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c’era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta3 a scapaccioni. 10 Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi4, allorché se lo trovavano a tiro. Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, 15 mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio5 la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi6 col suo corbello7 fra le gambe, per rosicchiarsi quel po’ di pane bigio8, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo9, e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei10 c’ingrassava, 20 fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi.
1. riescire: riuscire, diventare. 2. rena rossa: materiale sabbioso che si estraeva in cave nella zona intorno a Catania. 3. gli faceva la ricevuta: lo accoglieva. 4. lo accarezzavano coi piedi: lo prendevano a calci. 5. in crocchio: insieme. 6. rincantucciarsi: rannicchiarsi, raggomitolarsi. 7. corbello: cesto di vimini. 8. bigio: grigio. 9. motteggiandolo: deridendolo. 10. Ei: egli.
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Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, che la sua sorella s’era fatta sposa, e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica. Nondimeno era conosciuto come la bettonica11 per tutto Monserrato e la Carvana12, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano “la cava di Malpelo”, e cotesto al padrone 25 gli seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carità e perché mastro Misciu, suo padre, era morto in quella stessa cava. Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo13, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno dell’ingrottato14, e dacché non serviva più, s’era calcolato, così ad occhio col padrone, per 35 o 30 40 carra15 di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione16 come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto17 di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava 35 di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio, come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com’era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: – Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre. Invece nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché18 fosse una buona 40 bestia. Zio Mommu lo sciancato19 aveva detto che quel pilastro lì ei non l’avrebbe tolto per venti onze20, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l’avvocato. Dunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che 45 l’avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c’era avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli “ah! ah!” dei suoi bei colpi di zappa in pieno, e intanto borbottava: 50 – Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! – e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto, il cottimante21! Fuori della cava il cielo formicolava22 di stelle, e laggiù la lanterna fumava e girava al pari di un arcolaio23. Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, 55 contorcevasi24 e si piegava in arco, come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch’esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il fiasco del vino.
11. bettonica: pianta erbacea. L’espressione “noto come la bettonica” era proverbiale. 12. Monserrato e la Carvana: sobborghi di Catania. 13. a cottimo: retribuzione per cui il lavoratore è pagato in base al risultato prodotto e non al tempo del lavoro stesso. 14. ingrottato: gola, strapiombo. Termine tipico della zona dell’Etna, che contribuisce a collocare la novella in uno spazio geografico ben preciso, anche se non enunciato. 15. carra: antica unità di misura, corrispondente alla capienza di un carro. 16. minchione: sciocco. 17. basto: sella usata sull’asino o altre bestie da soma. 18. tuttoché: sebbene, nonostante. 19. sciancato: zoppo. 20. onze: l’onza era una moneta in uso in Sicilia fino all’Unità d’Italia, di valore piuttosto elevato (equivalente a trenta tarì). 21. cottimante: chi lavora “a còttimo”, cfr. la nota 13. 22. formicolava: brulicava. 23. arcolaio: strumento usato per dipanare matasse e fare gomitoli. 24. contorcevasi: si contorceva.
IL GENERE IN UN GRAPHIC NOVEL Molti sono ormai gli adattamenti dei grandi classici della letteratura italiana in graphic novel raffinati e fedelmente rispettosi delle narrazioni originali. È anche questo il caso della fortunata trasposizione a fumetti della novella Rosso Malpelo di Giovanni Verga, eseguita nel 2016 dal duo di fumettisti Maurizio Palarchi e Roberto Melis, e pubblicata da una piccola casa editrice che si dedica ai fumetti letterari.
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Osserva la tavola a fianco. In che modo, secondo te, i due fumettisti sono riusciti a far risaltare la caratteristica fisiologica da cui Malpelo prende il suo soprannome? Maurizio Palarchi e Roberto Melis, Rosso Malpelo, Lastra a Signa, Kleiner Flug, 2016.
La narrativa fantastica 497
Il padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: Tirati in là! – oppure: – Sta attento! Bada se cascano dall’alto dei sassolini o della rena grossa, 60 e scappa! – Tutt’a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un tonfo sordo, come fa la rena traditora allorché fa pancia e si sventra25 tutta in una volta, ed il lume si spense. L’ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella sera, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando vennero a cer65 carlo per il babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del sorcio. Tutte le femminucce di Monserrato strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch’era toccata a comare Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sbatteva i denti invece, quasi avesse la terzana26. L’ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando, che la disgrazia era accaduta da 70 circa tre ore, e Misciu Bestia doveva già essere bell’e arrivato in Paradiso, andò proprio per scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il buco nella rena. Altro che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna, tutta fina e ben bruciata dalla lava, che si sarebbe impastata colle mani, e dovea 75 prendere il doppio di calce. Ce n’era da riempire delle carra per delle settimane. Il bell’affare di mastro Bestia! Nessuno badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero. – To’! – disse infine uno. – È Malpelo! Di dove è saltato fuori, adesso? 80 – Se non fosse stato Malpelo non se la sarebbe passata liscia... Malpelo non rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà, nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s’era accorto di lui; e quando si accostarono col lume, gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati27, e la schiuma alla bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pen85 devano dalle mani tutte in sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo più graffiare, mordeva come un cane arrabbiato, e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo via a viva forza. Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte, il pane che si mangia non 90 si può andare a cercarlo di qua e di là. Lui non volle più allontanarsi da quella galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto a suo padre. Spesso, mentre scavava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e gli occhi stralunati, e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli susurrasse nelle orecchie, dall’altra parte 95 della montagna di rena caduta. In quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente che non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio. Il cane gli voleva bene, perché i cani non guardano altro che la mano che gli dà il pane, e le botte, magari. Ma l’asino, povera bestia, sbilenco e macilento28, sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava 100 senza pietà, col manico della zappa, e borbottava: – Così creperai più presto! Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e 25. la rena traditora… fa pancia e si sventra: la sabbia traditrice si gonfia e poi (all’improvviso) crolla, come una pancia che, appunto, si “sventra”.
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26. terzana: tipo di febbre che compare a giorni alterni, una forma di malaria. 27. invetrati: fissi. 28. macilento: eccessivamente magro, fragile.
lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibi105 le, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui 110 deboli di tutto il male che s’immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano fatto subire a suo padre, e del modo in cui l’avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: – Anche con me fanno così! E a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così! – E 115 una volta che passava il padrone, accompagnandolo con un’occhiata torva: – È stato lui! per trentacinque tarì! – E un’altra volta, dietro allo Sciancato: – E anche lui! E si metteva a ridere! Io l’ho udito, quella sera! Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta 120 da un ponte s’era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando portava il suo corbello di rena in spalla, arrancava in modo che gli avevano messo nome Ranocchio; ma lavorando sotterra, così Ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava. Malpelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano. 125 Infatti egli lo tormentava in cento modi. Ora lo batteva senza un motivo e senza misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore accanimento, dicendogli: – To’, bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello! 130 O se Ranocchio si asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca e dalle narici: – Così, come ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu! – Quando cacciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo vedeva puntare gli zoccoli, rifinito, curvo sotto il peso, ansante e coll’occhio spento, ei lo batteva senza misericordia, col manico della zappa, e i colpi suonavano secchi sugli stin135 chi e sulle costole scoperte. Alle volte la bestia si piegava in due per le battiture, ma stremo di forze, non poteva fare un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n’era uno il quale era caduto tante volte, che ci aveva due piaghe alle gambe. Malpelo soleva dire a Ranocchio: – L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi. 140 Oppure: – Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; così gli altri ti terranno da conto, e ne avrai tanti di meno addosso. Lavorando di piccone o di zappa poi menava le mani con accanimento, a mo’ di uno che l’avesse29 con la rena, e batteva e ribatteva coi denti stretti, e con quegli ah! ah! che aveva suo padre. – La rena è traditora, – diceva a Ranocchio 145 sottovoce; – somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sempre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo mangiò a tradimento, perché era più forte di lui. 150 Ogni volta che a Ranocchio toccava un lavoro troppo pesante, e il ragazzo piagnucolava a guisa di una femminuccia, Malpelo lo picchiava sul dorso, e lo sgridava: – Taci, pulcino! – e se Ranocchio non la finiva più, ei gli dava una mano,
LESSICO
Busse Il sostantivo «bussa», derivato di «bussare», significa propriamente «percossa» e si usa in genere al plurale. Quale termine useremmo al posto di «busse» nell’italiano contemporaneo?
29. l’avesse: ce l’avesse, fosse arrabbiato.
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dicendo con un certo orgoglio: – Lasciami fare; io sono più forte di te –. Oppure gli dava la sua mezza cipolla, e si contentava di mangiarsi il pane asciutto, e si 155 stringeva nelle spalle, aggiungendo: – Io ci sono avvezzo. A un certo punto nella cava viene finalmente ritrovato il cadavere di mastro Misciu, il padre di Malpelo. La mamma prende gli abiti del morto e li adatta al figlio, che è felice di poter aver un ricordo del padre, di cui rammenta soprattutto le 160 carezze, probabilmente le uniche mai ricevute dal ragazzino. Nel frattempo, muore anche l’asino grigio e così Malpelo e Ranocchio assistono al triste spettacolo della carcassa dell’animale sbranata dai cani randagi. Egli andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva 165 a forza anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l’avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando sui greppi30 170 dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. – Vedi quella cagna nera, – gli diceva, – che non ha paura delle tue sassate? Non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole al grigio? Adesso non soffre più. L’asino grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde, e a spolpargli 175 le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non lo avrebbero fatto piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli in corpo un po’ di vigore nel salire la ripida viuzza. – Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche31; anch’esso quando piegava sotto il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, 180 mentre lo battevano, che sembrava dicesse: “Non più! Non più!”. Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio. Da lì a poco, Ranocchio, il quale deperiva da qualche tempo, si ammalò in modo che la sera dovevano portarlo fuori dalla cava sull’asino, disteso fra le 185 corbe, tremante di febbre come un pulcin bagnato. Un operaio disse che quel ragazzo non ne avrebbe fatto osso duro32 a quel mestiere, e che per lavorare in una miniera, senza lasciarvi la pelle, bisognava nascervi. Malpelo allora si sentiva orgoglioso di esserci nato, e di mantenersi così sano e vigoroso in quell’aria malsana, e con tutti quegli stenti. Ei si caricava Ranocchio sulle spalle, e gli 190 faceva animo alla sua maniera, sgridandolo e picchiandolo. Ma una volta, nel picchiarlo sul dorso, Ranocchio fu colto da uno sbocco di sangue; allora Malpelo spaventato si affannò a cercargli nel naso e dentro la bocca cosa gli avesse fatto, e giurava che non avea potuto fargli poi gran male, così come l’aveva battuto, e a dimostrarglielo, si dava dei gran pugni sul petto e sulla schiena, con un sasso; 195 anzi un operaio, lì presente, gli sferrò un gran calcio sulle spalle: un calcio che risuonò come su di un tamburo, eppure Malpelo non si mosse, e soltanto dopo che l’operaio se ne fu andato, aggiunse:
30. ustolando sui greppi: guardando con bramosia il cibo dal fianco della collina; ustolando significa propriamente “mugolando”.
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31. guidalesche: scorticatura prodotta dal basto.
32. non ne avrebbe fatto osso duro: espressione popolare per indicare che il ragazzo non avrebbe sviluppato la tempra necessaria a vivere in miniera.
– Lo vedi? Non mi ha fatto nulla! E ha picchiato più forte di me, ti giuro! Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver la 200 febbre tutti i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c’era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla 205 fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto, e allorché lo udiva gemere sottovoce, e gli vedeva il viso trafelato e l’occhio spento, preciso come quello dell’asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava: 210 – È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi! E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo, a quel ragazzo, e bisognava sorvegliarlo. Finalmente un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se 215 ne lavò le mani, perché allo stato in cui era ridotto oramai era più di impiccio che altro. Malpelo si informò dove stesse di casa, e il sabato andò a trovarlo. Il povero Ranocchio era più di là che di qua; sua madre piangeva e si disperava come se il figliuolo fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana. Cotesto non arrivava a comprenderlo Malpelo, e domandò a Ranocchio per220 ché sua madre strillasse a quel modo, mentre che da due mesi ei non guadagnava nemmeno quel che si mangiava. Ma il povero Ranocchio non gli dava retta; sembrava che badasse a contare quanti travicelli c’erano sul tetto. Allora
Una illustrazione di Vita dei campi, dall’edizione dei Fratelli Treves del 1897.
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il Rosso si diede ad almanaccare33 che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo era sempre stato debole e malaticcio, e l’aveva 225 tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai34. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui, perché non aveva mai avuto timore di perderlo. Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta adesso strideva anche per lui la notte, e tornò a visitare le ossa spol230 pate del grigio, nel burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così. Sua madre si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s’era asciugati i suoi, dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un’altra volta, ed era andata a stare a Cifali colla figliuo235 la maritata, e avevano chiusa la porta di casa. D’ora in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, ché quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla. Verso quell’epoca venne a lavorare nella cava uno che non s’era mai visto, e si teneva nascosto il più che poteva. Gli altri operai dicevano fra di loro che era 240 scappato dalla prigione, e se lo pigliavano ce lo tornavano a chiudere per anni ed anni. Malpelo seppe in quell’occasione che la prigione era un luogo dove si mettevano i ladri, e i malarnesi come lui, e si tenevano sempre chiusi là dentro e guardati a vista. Da quel momento provò una malsana curiosità per quell’uomo che aveva 245 provata la prigione e ne era scappato. Dopo poche settimane però il fuggitivo dichiarò chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa, e piuttosto si contentava di stare in galera tutta la vita, ché la prigione, in confronto, era un paradiso, e preferiva tornarci coi suoi piedi. – Allora perché tutti quelli che lavorano nella cava non si fanno mettere in 250 prigione? – domandò Malpelo. – Perché non sono malpelo come te! – rispose lo Sciancato. – Ma non temere, che tu ci andrai! e ci lascerai le ossa! Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo come suo padre, ma in modo diverso. Una volta si doveva esplorare un passaggio che doveva comunicare 255 col pozzo grande a sinistra, verso la valle, e se la cosa andava bene, si sarebbe risparmiata una buona metà di mano d’opera nel cavar fuori la rena. Ma a ogni modo, però, c’era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarcisi, né avrebbe permesso che si arrischiasse il sangue suo35, per tutto l’oro del mondo. 260 Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l’oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire, si risovvenne36 del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli 265 arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi. (G. Verga, Vita dei campi, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 1983)
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33. almanaccare: fantasticare. 34. non si slattano mai: non smettono mai di essere allattati. 35. il sangue suo: un proprio figlio. 36. si risovvenne: si ricordò.
G UIDA A L L A L ET T U RA Una lettura difficile e disturbante Al giorno d’oggi è difficile leggere Rosso Malpelo, in una società in cui – almeno per quanto riguarda l’Occidente – vi è una crescente attenzione per l’infanzia. Bullismo, abusi, discriminazione: tutti quei mostri che oggi subiscono unanime condanna costituiscono invece il pane quotidiano della vita di Malpelo, un ragazzino – la cui età doveva aggirarsi tra i 10 e gli 11 anni – che non ha altra colpa se non quella di essere rosso di capelli. Nell’arretrato mondo descritto da Verga, però, questa caratteristica veniva associata al demonio: il bambino con i capelli rossi era quindi un essere satanico e, come tale, andava disprezzato ed emarginato. La paura del diverso L’apertura della novella è chiarissima su questo punto: «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo» (rr. 1-2). Verga inizia il racconto presentando come un dato di fatto quella che era una superstizione, tanto diffusa da essere ormai indiscutibile. Forse questo tipo di credenze, oggi come oggi, ci sembrano lontane, isolate, segno di un mondo ormai – e fortunatamente – finito. Ma, in realtà, per esempio nell’Africa Orientale è tuttora in corso una spaventosa persecuzione nei confronti degli albini, che non solo vengono allontanati e discriminati, ma in alcuni casi addirittura uccisi e impiegati nella preparazione di macabri filtri magici. La disumanità della vita in miniera Le difficoltà di Malpelo sono accresciute dal difficilissimo ambiente in cui il ragazzo si trova a vivere. L’aspetto più inquietante della vita in miniera, così come è descritta nella novella, è il suo spegnere i sentimenti umani di coloro che sono costretti a lavorarvi, riducendo i rapporti a puro cinismo e disillusione. La “morale” che Malpelo insegna a Ranocchio è proprio questa: chi è buono viene trattato come una bestia, chi è cattivo si difende e sopravvive. La pietà è bandita dal mondo di Malpelo. Ci sono pochi spiragli di umanità, come nel personaggio della madre di Ranocchio – che piange il figlio indipendentemente dal fatto che portasse a casa un misero stipendio – e quello di mastro Misciu Bestia, il defunto padre di Malpelo, mite e affezionato a quel figlio dalla capigliatura color fiamma. Ben diverso è l’atteggiamento della sorella di Malpelo e soprattutto della madre: questa, forse per la vergogna di aver messo al mondo un figlio “diverso”, lo tollera solo perché porta a casa lo stipendio. Quando però la madre di Malpelo trova un nuovo marito, si affretta a sbarrare la porta di casa a quel figlio “maledetto”, abbandonandolo al suo destino. La tecnica della regressione Non diversamente da quanto accade nelle altre opere del maturo Verismo verghiano, la realtà viene rappresentata senza alcun intervento dell’autore e del narratore, che scompare, e fa emergere le cose e gli eventi attraverso il discorso indiretto libero, o il frequente ricorso a sentenze popolari e proverbi: «ma d’altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l’avvocato» (rr. 41-43), «la disgrazia era accaduta da circa tre ore, e Misciu Bestia doveva già essere bell’e arrivato in Paradiso» (rr. 69-70). In questo modo il lettore si sente calato appieno nel mondo di Malpelo, e soprattutto nel suo ambiente, fatto di pensieri, sensazioni, voci di paese che lo stile di Verga riesce a evocare in modo così efficace.
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LAVORIAMO S U L T ES T O COMPRENSIONE 1. Scegli la descrizione più adeguata di Rosso Malpelo e poi motiva la tua scelta. a. È un ragazzino violento e difficile. b. È vittima di una società ingiusta. c. Lavora perché non ha voluto studiare. d. È un ladruncolo. 2. Come si chiama l’unico amico di Malpelo? 3. Che cosa significa la frase «Tutte le femminucce di Monserrato strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia» (rr. 65-67)? 4. Chi è paragonato agli asini nel periodo «e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini» (rr. 107-108)? 5. Si può dire che nel momento in cui Rosso Malpelo va a trovare l’amico Ranocchio in fin di vita emerge la sua sensibilità? Motiva la tua risposta.
LE TECNICHE DEL TESTO 6. Nell’incipit del racconto il punto di vista: a. è quello di un osservatore esterno che critica la cultura dei personaggi. b. coincide con quello del protagonista. c. è quello di un testimone oculare dei fatti narrati. d. è quello di un osservatore esterno che sa tutto e riporta i fatti senza giudicarli. 7. Gli indicatori temporali usati da Verga sono generici oppure specificano la durata del tempo trascorso? Motiva la tua risposta. 8. Nelle frasi che seguono le parole delle rr. 233 ss. («Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò…») è presente: a. un discorso indiretto libero. b. un discorso diretto libero. c. un monologo interiore. Perché Verga predilige questo tipo di tecnica nella presentazione dei pensieri dei personaggi?
ANALISI 9. Rileggi la novella e riferisci, in breve: • i tratti caratteristici dei personaggi; • le motivazioni del loro agire; • la fine che fanno nella miniera.
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LABORATORIO DI SCRITTURA Approfondimento Il lavoro minorile era un problema molto diffuso nell’Italia di fine Ottocento: i bambini e le bambine lavoravano nelle fabbriche, nei mercati, nei campi e sui pescherecci; erano spesso sottoposti a lavori massacranti e pericolosi; erano sottopagati e considerati oggetti da sfruttare. Una delle prime leggi sul lavoro minorile, nel 1866, si limitò a stabilire il limite minimo d’età per poter essere impiegati al lavoro (nove anni). Nel 1904, l’obbligo scolastico fu spostato dai nove ai dodici anni; qualche anno dopo fu approvata una misura che imponeva l’obbligo di licenza del triennio elementare per l’accesso al lavoro. Risale appena al 1967 la legge che portò a quindici anni l’età minima per lavorare. E oggi? Sai quali sono le leggi che regolano l’accesso al mondo del lavoro? Scrivi i tuoi commenti in un testo di circa mezza pagina.
Un gruppo di carusi all’imbocco di una zolfatara, in una fotografia del 1899. Nei dialetti meridionali, «caruso» significa «ragazzo»: in Sicilia vengono chiamati così i garzoni salariati occupati in agricoltura o in miniera.
Confronto letteratura Sul tema dello sfruttamento minorile, puoi leggere anche il testo di Charles Dickens, Come si trattano gli orfani (da Oliver Twist), disponibile in digitale. Dickens vi ha ritratto la vita dei “miserabili” londinesi. Metti a confronto il testo di Dickens con quello di Verga in un breve testo scritto.
TESTO
Leggi il testo
T4
Umberto Eco La biblioteca dell’abbazia
L AVO R I A M O S U • Narratore • Discorso
L’AUTORE
Umberto Eco (1932-2016) è stato un poliedrico intellettuale italiano. Nato ad Alessandria, dopo la laurea in Filosofia medievale intraprese la carriera accademica, divenendo docente di Semiotica (la disciplina che si occupa dei segni e del loro significato). Al 1980 risale il suo esordio come roman-
ziere, con la pubblicazione de Il nome della rosa, che divenne un bestseller mondiale. A questo fecero seguito Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015).
L’OPERA
Il nome della rosa (1980) è un romanzo storico ambientato nel 1327. Protagonista è il frate francescano Guglielmo da Baskerville, incaricato di fare luce su alcuni misteriosi delitti che si sono verificati presso un’abbazia cistercense italiana. Il suo nome è un doppio omaggio, che Eco intese fare a Sherlock Holmes (e al romanzo Il mastino
dei Baskerville, di cui Holmes è protagonista) e al filosofo medievale inglese Guglielmo di Ockham (1290-1349), sostenitore di un’idea di conoscenza fondata sull’esperienza. La vicenda è narrata in prima persona dall’anziano monaco benedettino Adso da Melk, che all’epoca degli avvenimenti era il giovane allievo di Guglielmo.
IL TESTO
In seguito alla morte di un giovane monaco, Guglielmo ha un colloquio con l’Abate, che gli chiede di indagare sull’accaduto. Il frate
chiede allora il permesso di potersi muovere liberamente in tutti gli ambienti dell’abbazia. Ma il consenso dell’abate non è scontato.
L’Abate si alzò quasi di scatto, col viso molto teso. “Potrete aggirarvi per tutta l’abbazia, ho detto. Non certo per l’ultimo piano dell’Edificio, nella biblioteca”. “Perché?”. “Avrei dovuto spiegarvelo prima, e credevo che lo sapeste. Voi sapete che la no5 stra biblioteca non è come le altre...”. “So che ha più libri di ogni altra biblioteca cristiana. So che a petto1 dei vostri armaria2 quelli di Bobbio o di Pomposa, di Cluny o di Fleury3 sembrano la stanza di un fanciullo che appena si inizi all’abaco4. So che i seimila codici che vantava Novalesa5 cento e più anni fa sono poco a petto dei vostri, e forse molti di quelli sono 10 ora qui. So che la vostra abbazia è l’unica luce che la cristianità possa opporre alle trentasei biblioteche di Bagdad, [...] e che la realtà dei vostri armaria è luminosa evidenza contro la superba leggenda degli infedeli che anni fa volevano6 (intimi come sono del principe della menzogna7) la biblioteca di Tripoli ricca di sei milioni di volumi e abitata da ottantamila commentatori e duecento scribi”. 15 “Così è, siano rese lodi al cielo”. “So che tra i monaci che vivono tra voi molti vengono da altre abbazie sparse in tutto il mondo: chi per poco tempo, onde8 copiare manoscritti introvabili altrove e portarli poi alla propria sede, non senza avervi portato in cambio qualche altro 1. a petto: in confronto. 2. armaria: scaffali per riporre i libri. 3. Nomi di altre quattro famose abbazie benedettine, le prime due in Italia e le altre due in Francia.
4. abaco: strumento simile al pallottoliere che serviva per fare i calcoli. 5. Novalesa: abbazia benedettina in val di Susa, vicino a Torino.
VIDEO
Guarda il booktrailer per saperne di più Il nome della rosa di U. Eco
6. volevano: sostenevano, affermavano (che). 7. principe della menzogna: il diavolo. 8. onde: allo scopo di.
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manoscritto introvabile che voi copierete e inserirete nel vostro tesoro; e chi per lunghissimo tempo, per restarvi talora sino alla morte, perché solo qui può trovare le opere che illuminino la sua ricerca. E dunque avete tra voi germani, daci, ispani, francesi e greci. So che l’imperatore Federico9, molti e molti anni fa, chiese a voi di compilargli un libro sulle profezie di Merlino10 e di tradurlo poi in arabo, per inviarlo in dono al 25 soldano11 d’Egitto. So infine che un’abbazia gloriosa come Murbach12, in questi tempi tristissimi, non ha più un solo scriba, che a San Gallo13 sono rimasti pochi monaci che sappiano scrivere, che ormai è nelle città che sorgono corporazioni e gilde14 composte di secolari15 che lavorano per le università e che solo la vostra abbazia rinnova di giorno in giorno, 30 che dico?, porta a fastigi16 sempre più alti le glorie del vostro ordine...”. “Monasterium sine libris”, citò assorto l’Abate, “est sicut civitas sine opibus, castrum sine numeris, coquina sine suppellectili, mensa sine cibis, hortus sine herbis, pratum sine floribus, arbor sine foliis17... E il nostro ordine, crescendo intorno al doppio comandamento del lavoro e della preghiera18, 35 fu luce per tutto il mondo conosciuto, riserva di sapere, salvezza di una dottrina antica che minacciava di scomparire […]. Oh, voi sapete bene, viviamo ora in tempi molto oscuri, e arrossisco a dirvi che non molti anni fa il concilio di Vienne19 ha dovuto ribadire che ogni monaco ha il dovere di prendere gli ordini... Quante nostre abbazie, che duecento anni fa erano 40 centro splendente di grandezza e santità, sono ora rifugio di infingardi20. L’ordine è ancora potente, ma il fetore delle città cinge dappresso i nostri luoghi santi, il popolo di Dio è ora incline ai commerci e alle guerre di fazione, giù nei grandi centri abitati, dove non può avere albergo lo spirito della santità, non solo si parla (che ai laici altro non potresti chiedere) ma 45 già si scrive in volgare, e che mai nessuno di questi volumi possa entrare nelle nostre mura – fomite21 di eresia quale fatalmente diviene! […] In questo tramonto noi siamo ancora fiaccole e luce alta sull’orizzonte. E finché queste mura resisteranno, noi saremo i custodi della Parola divina”. “E così sia”, disse Guglielmo in tono devoto. “Ma cosa c’entra questo 50 con il fatto che non si può visitare la biblioteca?”. “Vedete frate Guglielmo”, disse l’Abate, “per poter realizzare l’opera immensa e santa che arricchisce quelle mura”, e accennò alla mole dell’Edificio, che si intravvedeva dalle finestre della cella, […], “uomini devoti hanno lavorato per secoli, seguendo regole di ferro. La biblioteca 55 è nata secondo un disegno che è rimasto oscuro a tutti nei secoli e che nessuno dei monaci è chiamato a conoscere. Solo il bibliotecario ne ha ricevuto il segreto dal bibliotecario che lo precedette, e lo comunica, ancora in vita, all’aiuto bibliotecario, in modo che la morte non lo sorprenda privando la comunità di quel sapere. E le labbra di entrambi sono 60 suggellate dal segreto. Solo il bibliotecario, oltre a sapere, ha il diritto di muoversi nel labirinto dei libri, egli solo sa dove trovarli e dove riporli, egli solo è responsabile della loro conservazione. Gli altri monaci lavorano nello scriptorium22 e possono conoscere l’elenco dei volumi che la biblioteca rinserra23. Ma un elenco di titoli spesso dice assai poco, solo il 65 bibliotecario sa […] quale tipo di segreti, di verità o di menzogne il volume custodisca. Solo egli decide come, quando, e se fornirlo al monaco che ne fa richiesta, talora dopo essersi consultato con me. Perché non tutte le verità sono per tutte le orecchie, non tutte le menzogne possono essere 20
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9. l’imperatore Federico: Federico II di Svevia (1194-1250), imperatore del Sacro Romano Impero, famoso per i suoi interessi letterari e la sua politica di promozione della cultura. 10. Merlino: il mago Merlino è una figura che compare nell’antica mitologia gallese e nelle leggende del ciclo arturiano. 11. soldano: sultano. 12. Murbach: importante abbazia benedettina della Francia orientale, distrutta dagli Ungari nel X secolo e ricostruita solo tre secoli più tardi. 13. San Gallo: abbazia benedettina situata in Svizzera, celebre per la sua ricchissima biblioteca. 14. corporazioni e gilde: associazioni, tipiche dell’Età medievale, in cui più persone si riunivano per difendere degli interessi comuni, soprattutto di tipo professionale. 15. secolari: laici. 16. fastigi: cime, vette. 17. “Un monastero senza libri è come una città senza ricchezze, un accampamento senza soldati, una cucina senza utensili, una mensa senza cibo, un orto senza erba, un prato senza fiori, un albero senza foglie”. 18. La regola dell’ordine benedettino recita infatti Ora et labora, cioè “Prega e lavora”. 19. concilio di Vienne: tenutosi tra il 1311 e il 1312 nella cittadina francese di Vienne; in questo concilio era stato ribadito l’obbligo di prendere gli ordini sacri per chi faceva parte di un organo della Chiesa. 20. infingardi: sfaccendati, fannulloni. 21. fomite: ciò che fomenta. 22. scriptorium: sala in cui i monaci trascrivevano i manoscritti. 23. rinserra: racchiude, custodisce.
LESSICO
Fetore Il sostantivo deriva dal latino foetor, che a sua volta proveniva dal verbo che significava «puzzare». Usato ancora oggi per indicare un odore molto cattivo, il termine mantiene però una qualità un po’ arcaica e letteraria. Conosci un aggettivo correlato a «fetore»? Qual è il suo significato?
riconosciute come tali da un animo pio, e i monaci, infine, stanno nello scriptorium per porre capo a un’opera precisa, per la quale debbono leggere certi e non altri volumi, e non per seguire ogni dissennata curiosità che li colga, vuoi per debolezza della mente, vuoi per superbia, vuoi per suggestione diabolica24”. “Ci sono dunque in biblioteca anche libri che contengono menzogne...”. “I mostri esistono perché fanno parte del disegno divino e nelle stesse orribili 75 fattezze dei mostri si rivela la potenza del Creatore. Così esistono per disegno divino anche i libri dei maghi, le kabbale dei giudei25, le favole dei poeti pagani, le menzogne degli infedeli. È stata ferma e santa convinzione di coloro che hanno voluto e sostenuto questa abbazia nei secoli, che anche nei libri menzogneri possa trasparire, agli occhi del lettore sagace, una pallida luce della sapienza divina. E perciò 80 anche di essi la biblioteca è scrigno. Ma proprio per questo, capite, essa non può essere penetrata da chiunque. E inoltre”, aggiunse l’Abate quasi a scusarsi della pochezza di quest’ultimo argomento, “il libro è creatura fragile […]. Se per cento e cento anni ciascuno avesse potuto liberamente toccare i nostri codici, la maggior parte di essi non esisterebbe più. Il bibliotecario li difende dunque non solo dagli 85 uomini ma anche dalla natura, e dedica la sua vita a questa guerra contro le forze dell’oblio, nemico della verità”. “Così nessuno, salvo due persone, entra all’ultimo piano dell’Edificio...”. L’Abate sorrise: “Nessuno deve. Nessuno può. Nessuno, volendolo, vi riuscirebbe. La biblioteca si difende da sola, insondabile come la verità che ospita, inganne90 vole come la menzogna che custodisce. Labirinto spirituale, è anche labirinto terreno. Potreste entrare e potreste non uscire. E ciò detto, vorrei che voi vi adeguaste alle regole dell’abbazia”. 70
24. L’abate sostiene che i libri contenenti menzogne, che nascono dalla tentazione del diavolo (per suggestione diabolica), sono quelli non conformi alla verità, che è ovviamente quella religiosa. 25. kabbale dei giudei: le truffe degli Ebrei. Il termine cabala, qui usato con valore dispregiativo, rimanda a una serie di dottrine mistiche ed esoteriche dell’ebraismo.
(U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980)
G UIDA A L L A L ET T U RA Il controllo della conoscenza Il brano appena letto riporta una conversazione intellettuale tra due personaggi chiave del romanzo: Guglielmo da Baskerville, frate francescano protagonista del romanzo, e l’Abate, supervisore dell’abbazia dove è avvenuto un delitto. Il loro dialogo è basato sugli oggetti-simbolo della diffusione della conoscenza, ovvero i libri. Ma un ruolo fondamentale ha anche la discussione del luogo preposto alla conservazione dei libri, e dunque del sapere, che è appunto la biblioteca, dove Guglielmo vorrebbe recarsi nella sua esplorazione dell’abbazia. Tuttavia l’Abate gli vieta di esplorare la biblioteca, dove sono custoditi libri preziosi, portatori di una conoscenza che a volte si spinge al di là del sapere divino. Come afferma l’Abate, soltanto il bibliotecario detiene il potere di consegnare o meno i libri ai monaci che ne fanno richiesta. In questo modo, infatti, il bibliotecario e l’Abate sono i soli a controllare che tipo di informazioni circolino nel monastero. Questo ci porta a riflettere sugli effetti che una restrizione della circolazione della parola e della stampa potesse avere nelle società medievale e, in senso lato, ancora oggi nella società contemporanea. In molti regimi repressivi, come ad esempio nelle dittature, il diritto alla libertà di espressione è ancora severamente ristretto o soppresso, e sulla produzione libraria viene imposto un sistematico controllo, con effetti dannosi e antidemocratici.
La narrativa storica e realista 507
L’importanza del contesto storico Seguendo uno dei principi del modello del romanzo storico, il narratore del Nome della rosa dà particolare rilievo al contesto in cui gli eventi ebbero luogo. Anche in questo caso, pur trovandoci all’interno di un dialogo, non mancano riferimenti che orientano il lettore nella comprensione e identificazione di avvenimenti, luoghi e personaggi appartenenti al passato. Si pensi, ad esempio, al rimando alla figura dell’imperatore Federico II di Svevia, uomo di alta cultura che si dice (nella finzione narrativa) avesse chiesto all’Abate di compilare un libro sulle profezie del leggendario mago Merlino per poi tradurlo in arabo e inviarlo in dono al sultano. L’accenno fittizio serve al narratore per far convergere, nello spazio di poche righe, personalità storiche e figure di pura invenzione mitica, in una combinazione assai caratteristica del modo di pensare dell’età medievale. Un linguaggio erudito Il linguaggio e lo stile del dialogo sono molto eruditi, perché si tratta di una conversazione tra due personalità di alto spessore intellettuale. Una particolarità vistosa del testo è l’inserimento, all’interno di un discorso dell’Abate, di una lunga citazione in latino. Infatti, nell’epoca medievale in cui il romanzo è ambientato, la lingua latina costituiva ancora il modo di espressione ufficiale e prediletto tra le persone colte. Tuttavia, anche l’italiano impiegato da Eco si mantiene su un livello di elevata chiarezza, prediligendo verbi, aggettivi e sostantivi illustri (“eguagliare”, “fastigio”, “rinserrare”, “dissennato”, e così via).
LAVORIAMO S U L T ES T O COMPRENSIONE 1. Fra chi avviene il dialogo riportato nel testo? 2. Cosa significa che gli infedeli sono “intimi del principe della menzogna” (rr. 12-13)? 3. Per quale ragione all’abbazia arrivano monaci da tutto il mondo? 4. Perché l’Abate non concede a Guglielmo di visitare l’ultimo piano della biblioteca? 5. Come viene giustificato dall’Abate il fatto che nella biblioteca siano conservati anche libri “che contengono menzogne” (r. 73)?
LE TECNICHE DEL TESTO 6. Che tipo di narratore troviamo nel brano? 7. Perché, secondo te, prevalgono i discorsi diretti rispetto a quelli indiretti?
ANALISI 8. Rileggi attentamente le rr. 23-24 e, con l’aiuto delle note, rispondi alle seguenti domande: - Chi era l’imperatore Federico? - Chi era Merlino?
508 GENERI E AUTORI
9. Che cosa fu il Concilio di Vienne (r. 38) e perché l’Abate lo menziona?
LINGUA E STILE 10. Rintraccia e sottolinea nel testo la lunga citazione in latino dell’Abate. Secondo te, perché l’Abate tiene molto ad esprimersi in latino? Che cosa dice, poco dopo, a proposito di coloro che parlano e scrivono “in volgare” (cioè, nell’italiano antico allora in uso presso la popolazione meno colta o dedita ai commerci e ai lavori quotidiani)?
LABORATORIO DI SCRITTURA Riscrittura Ti sembra che il paragone (espresso in latino) tra un monastero senza libri e un accampamento senza soldati, una cucina senza utensili, ecc. (rr. 31-33) possa valere anche per altre realtà come una scuola, un’istituzione culturale e perfino una casa privata? Esponi il tuo punto di vista argomentato in una decina di righe.
T5
Melania G. Mazzucco Il caso Vita M.
L AVO R I A M O S U • Focalizzazione • Sequenze
L’AUTRICE
Melania G. Mazzucco è una scrittrice italiana. Nata a Roma nel 1966, laureata in Lettere, ha pubblicato nel 1996 il primo romanzo, Il bacio della Medusa, ambientato nella Torino di primo Novecento. Sono seguiti altri notevoli romanzi, ancora di impronta storica, tra cui La camera di Balthus (1998) e Lei così amata (2000). Il pieno successo di pubblico è arri-
vato con Vita (2003), che ha vinto il premio Strega. Dal successivo romanzo di Mazzucco, Un giorno perfetto (2005), è stato tratto il film di Ferzan Özpetek. Tra i molti titoli dell’autrice si menzionano altri romanzi storico-artistici, come La lunga attesa dell’angelo (2009) e il recente L’Architettrice (2019).
L’OPERA
Il romanzo Vita è un superbo affresco della grande epopea dell’emigrazione italiana nella New York di inizio Novecento. Mazzucco ci racconta, attraverso i protagonisti, la storia della propria famiglia, in particolare quella del nonno, Diamante, e di un suo antico ma infruttuoso amore per una lontana cugina, Vita. L’autrice lavora su vari livelli, intrecciando nel libro documenti storici, aneddoti memoriali, cartoline, fotografie e certificati ufficiali dell’epoca. Il romanzo prende avvio nel 1903, quando due bambini italiani, Vita di nove anni e Diamante di dodici, sbarcano a New York. Dalla miseria della nativa Minturno, nel Lazio, vengono catapultati in una metropoli moderna ed
ostile. Vita e Diamante si ritrovano a vivere nella stessa caotica abitazione di Prince Street, nel quartiere di Little Italy. Vita vive con il padre Agnello, che si trovava già in America, e con la di lui convivente, Lena, una giovane di origine caucasica, mentre Diamante, a pensione come altri ragazzi e uomini nella famiglia di lei, passa da un piccolo lavoro all’altro. I due ragazzini vengono a conoscenza di una realtà cruda, violenta, anaffettiva, e devono fare i conti con lo sfruttamento del lavoro minorile e con le intromissioni della mafia. Ma ci saranno anche, per loro, alcune occasioni di riscatto e l’esperienza di un grande amore, destinato a durare nella loro memoria.
IL TESTO
Il brano, tratto dal capitolo intitolato Il caso Vita M., narra l’ispezione che un’inviata della Society for Charity Organization esegue a casa di Vita e Lena, per verificare se la bambina vada regolarmente a scuola. Per ricostruire la scena dell’ispezione, l’autrice prende spunto da documenti originali dell’epoca, ovvero da un
articolo del 1909 sulle donne e i bambini italiani nel distretto newyorkese, che menzionava il caso di una certa “Vita M.” Pur non trattandosi della stessa protagonista AUDIO del romanzo, il caso di Vita M. offre un importante spunto narrativo.
Sulla “Rivista di emigrazione” del 1909, nell’articolo Donne e fanciulli italiani nella North Atlantic Division ai “casi” Teresa S., Carmela dodicenne di Mott Street e Carlo R. anni sei affetto da scabbia1 segue uno scarno rapporto relativo al “caso Vita”. 5 Si presenta così: d. Vita M., età anni 10, da undici mesi in America. Non è mai andata a scuola. Vive con la famiglia e 7 bordanti2 in casa di 4 stanze. Padre da 16 anni in America, ex proprietario di un negozio di frutta. La giovane madre, neuropatica, sostiene 10 che la bambina la aiuta a tenere il bordo e che recentemente hanno dovuto sobbarcarsi il lavoro di fiori finti a domicilio a causa di gravi problemi economici. In casa vivono inoltre: 1 bordante di 18 anni (dipendente di un’impresa di pompe funebri, precedenti penali per furto, rissa e oltraggio), 2 musicisti ambulanti, 4 bordanti che non fu possibile identificare.
Ascolta la lettura del testo
1. scabbia: malattia dermatologica, infettiva e contagiosa, che prospera in condizioni igieniche precarie. 2. bordanti: affittuari.
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È lei? Vita non abitava con la madre. Nella scheda non c’è traccia di Nicola, né di Diamante né di Geremia3. Forse non furono denunciati perché anche loro minorenni non in regola con i permessi di lavoro? Inoltre nel 1909 Vita non aveva dieci anni, ma quindici. Aveva dieci anni nel 1904. I casi erano stati campionati dall’ispettrice negli anni precedenti? O forse è solo una coincidenza. In 20 fondo dovevano esserci altre ragazzine chiamate Vita, nella North Atlantic Division. Ma l’esposizione del “caso Vita” implicava un severo esame dell’abitazione della minore. 15
Casa in condizioni desolanti (fitto4 18 dollari), puzzolente. Quattro stanze mal25 tenute, solo una (affittata) ventilata dalla strada, 1 dal retro-cortile, 2 camerette assolutamente buie e cucina con feritoia. Soffitti bassi, aria infetta, il bucato è steso ad asciugare nelle camere. Un merlo sul fornello. Gatto. Galline. Bordo5 di tipo C (scadente). Latrina unica al pianerottolo. Lavoro femminile e minorile a domicilio senza autorizzazione. 12-14 ore di lavoro quotidiano, fino alle 11 p.m. Un caso 30 accertato di renitenza alla scuola: nell’appartamento abita una minore che non risulta iscritta alle liste delle scuole dell’obbligo. (Prince Street). L’inviata della Society for Charity Organization si presentò al 18 di Prince Street6 il 4 di marzo – e nessuno, ovviamente, le aprì la porta. Risoluta e infer35 vorata, s’infilò nello stretto corridoio incuneato fra due case, oltrepassò il cortile ingombro di bidoni e rottami, allagato da un rigagnolo di acque di scolo, spinse la porta sgangherata che si apriva sulla scala di legno, s’affrettò alla fune unta e viscida come la pelle di una biscia che doveva sorreggere chi s’azzardava a salire e scendere quella scala sdrucciolevole, s’arrampicò di piano in piano e comin40 ciò a bussare alle porte. Le donne erano in casa, confezionavano giarrettiere, cravatte e busti, orlavano guanti, rifinivano calzoni e cappotti, cucivano bottoni e componevano fiori di velluto per un dollaro al giorno. I bambini incollavano gambi e foglie, sfilavano le imbastiture. Il palazzo era una fabbrica di sudore, echeggiava di voci, ordini e richiami – ma nessuno aprì la porta. Gli americani 45 avevano la fastidiosa mania di presentarsi all’improvviso a casa della gente, per qualunque motivo. Per vendere una lozione antipulci, una Bibbia, per verificare la statica degli alloggi, denunciare la piaga del lavoro in nero a domicilio, del lavoro infantile – insomma, per ficcare il naso negli affari della brava gente. Scoraggiata, all’ultimo piano l’ispettrice salì solo per scrupolo e bussò senza con50 vinzione a una porta scrostata sulla quale era appeso un corno di corallo contro il malocchio. Dall’appartamento proveniva la voce retorica di Enrico Caruso. Questa o quella per me pari sono.7 L’inviata fissò il corno con disgusto. Questi italiani erano indicibilmente primitivi. E sudici come animali. Il pianerottolo era ingombro di rifiuti neri di mosche. Salendo quelle scale abominevoli, in cui ri55 schiava a ogni gradino di rompersi l’osso del collo, aveva avuto l’impressione di essere osservata da un cane. Ma si era accorta con terrore che quel botolo scuro
3. non c’è traccia di Nicola, né di Diamante né di Geremia: sono altri personaggi maschili del romanzo, anch’essi coinquilini di Vita. 4. fitto: la retta dell’affitto. 5. bordo: tipologia di alloggio per gli affittuari (appunto i “bordanti”).
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6. al 18 di Prince Street: è l’indirizzo della palazzina nera e fatiscente dove vive Vita insieme all’avido e arricchito padre Agnello, alla matrigna Lena e al cugino Diamante. L’edificio è stato inoltre trasformato da Agnello in una pensione per immigrati italiani, e pertanto è coabitato da molteplici affittuari, costretti a vivere in spazi ristretti e affollati.
LESSICO
Lozione Il termine è stato modellato sul francese lotion, che significa appunto «crema cosmetica» o «preparato farmaceutico» per uso cutaneo. In italiano antico, il termine voleva invece dire «lavaggio» di una parte del corpo. La «lozione antipulci» è una soluzione cosmetica o farmaceutica?
7. Questa o quella per me pari sono: titolo di un’aria tratta dal Rigoletto di Giuseppe Verdi e interpretata dal popolare tenore italiano Enrico Caruso (1873-1921).
Una famiglia di immigrati italiani a New York, intenta nel lavoro della pulitura delle noci per separare i gusci dai gherigli: una fotografia di Lewis Wickes Hine del 1911.
aveva una lunga coda a spago, e benché fosse più grosso di un cane, era un ratto. Quando la porta si aprì, rimase sorpresa. Una bambina la fissava con grandi occhi neri lucenti, e, incredibile a dirsi, le sorrideva. L’inviata non riceveva molti 60 sorrisi, nel quartiere italiano. Da queste parti non sapevano distinguere un’associazione di beneficienza da un’associazione a delinquere. E dire che lei e la gente come lei volevano solo il loro bene – anzi, come da statuto, il miglioramento individuale attraverso il miglioramento sociale. Guardò l’orologio. Erano le dieci e venti del mattino. Quella bambina avrebbe dovuto essere a scuola. 65 «Where is your mother, little one?» 8 Vita la fissò senza capire. La dama – bionda, con gli occhialini a spillo e lo sguardo schizzinoso – costituiva una sensazionale novità nella sua giornata. A quest’ora, finito il giro al mercato e nelle botteghe, depositata la spesa davanti ai fornelli, lavate le mutande dei bordanti nel mastello, strofinato finché le braccia non le facevano male e l’alone giallo 70 attorno all’inguine non sbiadiva, non le restava che la noia infinita di attaccare petali alle rose artificiali. Ogni volta che Lena terminava una dozzina di rose, le gettava in una scatola. Ogni dodici tazzine, guadagnavano diciotto centesimi. Il che significava che per racimolare almeno un dollaro dovevano comporre qualcosa come sessanta dozzine – più o meno settecentoventi rose. Le mani avevano 75 acquistato una tale abilità che si muovevano da sole fra i petali – scegliendoli al tatto. Le rose di Lena erano le più fiorenti dell’isolato. Sembravano vere. Ma erano rose senza profumo, senza bellezza. L’ispettrice gettò un’occhiata nel tugurio. Panni stesi ovunque. Tre galline afflitte da una grave forma di alopecia9 razzolavano sul pavimento, un merlo 80 afono10 saltellava in una gabbietta di ferro appesa all’acquaio, un gatto scorticato passeggiava sulle stoviglie sporche, mucchi di stoffa, aghi, filo, forbici, colla, e nei locali mal areati, mal riscaldati, un livello di umidità prossimo alla saturazione. Si insinuò nella stanza che fungeva da laboratorio e da cucina. Una giovane donna dal viso emaciato era china sul tavolo, le mani affondate in un 85 rosaio. Vedendo la dama, Lena impallidì. Non dovevi aprire, Vita! mormorò. Ma Vita le indirizzò un sorriso canzonatorio e con gesti plateali, come parlasse a una
8. «Where is your mother, little one?»: “Dov’è tua madre, bambina?”. 9. alopecia: diradamento e talora estinzione del piumaggio. 10. afono: incapace di emettere suoni, privo di voce.
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sordomuta, invitò la sconosciuta a sedersi. La dama scansò il gatto temendo che le sue pulci le saltassero addosso. Vita le offrì un caffè, nero fumante e denso, che però l’americana non volle bere. Le offrì gli avanzi della sublime pastiera 90 della domenica – rifiutata anche questa. Alla fine, le offrì una rosa – e l’invitata la prese, se non altro come prova. «Why isn’t this child in school?» 11 chiese con tono severo a Lena. Lena non alzò neanche la testa. Era in America da dodici anni ma non se n’era accorta. Aveva parlato arabo col marito circasso-libanese, armeno con l’ambulante12 che se l’era presa dopo la morte del primo, svedese 95 col marinaio con cui era scappata dal secondo, napoletano con Strappadenti. In americano sapeva solo dire il prezzo delle sue specialità. L’inviata tentò invano di intavolare una conversazione, poi, vista l’insormontabile barriera linguistica, ripose il lapis, raccolse la sua cartella e uscì. Due giorni dopo, tornò con i truant officers13 – il signor Pugliese e la signorina 100 Cavarata, ispettori scolastici preposti alla renitenza. Purtroppo, erano italiani, e sottoposero la riluttante Lena a un serrato interrogatorio. Mentre lei farfugliava, confusa, temendo di sbadigliare, di danneggiare Agnello, Vita, se stessa, la dama compilava una scheda – punteggiandola di croci. Alla fine dell’interrogatorio, l’inviata della Society e i due ispettori scolastici se ne andarono con Vita. (M. G. Mazzucco, Vita, Rizzoli, Milano 2003)
G UIDA A L L A L ET T U RA Alla ricerca di Vita Seguendo una tecnica tipica della narrativa storica, l’autrice comincia il capitolo sul Caso Vita M. con due lunghe citazioni tratte da un documento originale dell’epoca. Il romanziere storico, infatti, è anzitutto un ricercatore: deve sapersi orientare, come un abile detective, nella lettura di molteplici fonti, utili a ricostruire uno scenario verosimile e a fornire dettagli per descrivere accuratamente i vari personaggi. Nel leggere un articolo del 1909 pubblicato su un periodico specializzato (la “Rivista di Emigrazione”), Mazzucco ha scoperto il caso di una ragazzina che aveva lo stesso nome della protagonista del proprio romanzo. Incuriosita, si è chiesta se quella Vita M., che viveva anche lei a Prince Street, potesse essere la stessa Vita che dà il titolo al libro. Molto probabilmente, come dichiara l’autrice, si tratta soltanto di un caso di omonimia, perché troppe sono le incongruenze che tolgono validità all’ipotesi. Tuttavia, non è questo l’importante: proprio dal rapporto letto nella rivista d’epoca, infatti, Mazzucco è partita per immaginare come dovesse svolgersi un’ispezione di servizio sociale a casa di Vita personaggio, bambina costretta al duro lavoro e sottratta all’istruzione scolastica. Una sospettosa ispettrice Il brano è dominato da due punti di vista: quello di Vita (che prende il sopravvento nella seconda metà) e quello, prevalente nella parte inziale, dell’ispettrice della Society for Charity Organization, vera e propria antagonista della bambina. Donna “risoluta e infervorata”, l’ispettrice non si lascia intimorire dalle condizioni disagiate delle abitazioni nel quartiere italiano della città, né dalla consueta inospitalità dimostratale da molti immigrati, peraltro abituati ad avere a che fare con frequenti irruzioni criminose.
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11. «Why isn’t this child in school?»: “Perché questa bambina non è a scuola?”. 12. l’ambulante: venditore di strada, proprietario di bancarelle o banchi da mercato. 13. truant officers: ispettori addetti al recupero di bambini che hanno abbandonato la scuola.
La giovane donna, che la piccola Vita vede come una “dama” esotica e altera (“con gli occhialini a spillo e lo sguardo schizzinoso”), sembra del resto avere idee assai preconcette sugli italiani giunti a New York, considerandoli brutalmente superstiziosi, “primitivi”, e “sudici come animali”.
Emigrazione e povertà a New York Al pari di altri grandi romanzi storici, come I miserabili di Hugo, anche Vita riflette sulla piaga della povertà di alcuni contesti sociali. Il brano appena letto è particolarmente efficace nella descrizione delle pessime condizioni abitative in cui molti emigranti italiani, in cerca di un’illusoria fortuna, si erano trovati a vivere al loro arrivo a New York. Nel rievocare gli interni della casa sovraffollata di Prince Street, il narratore insiste sul caos dell’ambiente, dettagliandone l’accumulo di oggetti sporchi, stoviglie, materiali da cucito e animali domestici maltenuti. La visione dell’indecorosa e malsana condizione di vita cui è costretta la piccola protagonista, che passa le giornate a cucire fiori finti, basta all’ispettrice per convocare due altri ispettori scolastici, che si presenteranno infine a casa di Vita, portandola via con loro per garantirle un regolare accesso alla scuola.
LAVORIAMO S U L T ES T O COMPRENSIONE 1. Chi è “Vita M.” e in quale documento l’autrice trova informazioni su di lei? 2. Perché si afferma che gli immigrati italiani non riservavano molti sorrisi all’ispettrice della Society for Charity Organization? 3. Qual è il mestiere che la piccola Vita è costretta a fare in casa, insieme a Lena? 4. Perché Lena non può rispondere alla domanda fatta in inglese dall’ispettrice? 5. Come si chiamano i due truant officers? Perché si recano insieme all’ispettrice a casa di Vita?
LE TECNICHE DEL TESTO 6. Che tipo di focalizzazione troviamo nel testo: zero, interna, o esterna? Motiva la tua risposta. 7. Rileggi questo passo: «L’ispettrice gettò un’occhiata nel tugurio. Panni stesi ovunque. Tre galline afflitte da una grave forma di alopecia razzolavano sul pavimento, un merlo afono saltellava in una gabbietta di ferro appesa all’acquaio, un gatto scorticato passeggiava sulle stoviglie sporche, mucchi di stoffa, aghi, filo, forbici, colla, e nei locali mal areati, mal riscaldati, un livello di umidità prossimo alla saturazione». Che tipo di descrizione vi troviamo? Oggettiva, soggettiva, o impressionistica? E perché?
ANALISI 8. Rileggi il seguente passo: “L’inviata fissò il corno con disgusto. Questi italiani erano indicibilmente primitivi. E sudici come animali” (rr. 52-53). A chi si devono attribuire le ultime due affermazioni?
LESSICO 9. Perché, secondo te, l’ispettrice viene più volte chiamata “la dama” dal narratore, che sta adottando il punto di vista di Vita? Noti un uso sarcastico oppure affettuoso (o entrambi) di questo appellativo? Motiva la tua risposta.
LABORATORIO DI SCRITTURA Riscrittura Mazzucco cerca riprove dell’esistenza del suo personaggio in documenti originali dell’epoca. Seguendo questo principio metodologico della narrativa storica, prova anche tu a descrivere un personaggio d’invenzione basandoti però su fonti originali di tua scelta (puoi considerare, ad esempio, articoli o profili biografici disponibili in Rete). Stendine un breve ritratto in un testo di circa dieci righe, specificando all’inizio quali sono i documenti che hai selezionato per la tua rievocazione.
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TESTO DI VERIFICA T6
Guy de Maupassant I gioielli Questo racconto si trova nella raccolta Chiaro di luna (1883). Maupassant, da bravo scrittore realista, fa un’analisi feroce e disincantata del sottobosco sociale parigino, costituito per lo più dalla categoria impiegatizia, di cui lui stesso aveva fatto parte per lunghi e dolorosi anni, sperimentando le meschinità e le frustrazioni del burocrate di Stato. L’autore aveva sognato, proprio come Lantin, di fuggire dal suo impiego ministeriale, e ci riuscirà solo dopo essersi affermato come scrittore.
Il signor Lantin incontrò quella ragazza durante una serata in casa del suo vice capufficio, e l’amore lo avviluppò come una rete. Era figlia di un esattore di provincia, morto da vari anni. Era venuta in seguito a Parigi con la madre che frequentava alcune famiglie borghesi del suo 5 quartiere nella speranza di trovare marito alla ragazza. Erano povere ma onorate, tranquille e dolci. La ragazza pareva il perfetto tipo di donna onesta alla quale un savio giovane può sognar d’affidare l’esistenza. La sua modesta bellezza aveva l’incanto di un angelico pudore, e l’impercettibile sorriso che non le abbandonava mai le labbra pareva un’eco del cuore. 10 Tutti cantavano le sue lodi; quanti la conoscevano ripetevano sempre: «Felice chi se la prenderà. Non potrebbe trovar di meglio». Il signor Lantin, impiegato anziano al ministero degli Interni, con stipendio annuo di tremilacinquecento franchi, chiese la sua mano e la sposò. Fu inverosimilmente felice con lei, che gli governava la casa con un’economia tanto abile 15 da dar la sensazione di vivere nel lusso. Non v’erano attenzioni, delicatezze, tenerezze ch’ella non usasse al marito; e il fascino della sua persona era tanto che, sei anni dopo il loro incontro, Lantin l’amava anche più dei primi giorni. In lei disapprovava soltanto due gusti: quello per il teatro e quello per i gioielli falsi. 20 Le sue amiche (conosceva parecchie mogli di modesti funzionari) le offrivano di continuo palchi per gli spettacoli in voga, persino per le «prime», e lei trascinava il marito, per amore o per forza, a questi divertimenti che lo stancavano terribilmente dopo la giornata di lavoro. Allora la supplicò di lasciarlo stare e andar a teatro con qualche signora di sua conoscenza che poi l’avrebbe riaccompagnata 25 a casa. La moglie esitò a lungo prima di cedere, trovando poco corretta una tal maniera di fare; ma infine si decise, per sua compiacenza, e Lantin gliene fu infinitamente grato. La passione per il teatro le fece nascere ben presto il bisogno di adornarsi in qualche modo. Le sue vesti rimanevano molto semplici: è vero, sempre di 30 buon gusto, ma modeste, e la sua grazia dolce, la sua grazia irresistibile, umile e sorridente, pareva acquistare un sapore nuovo da quelle semplicità; ma prese l’abitudine d’appendersi alle orecchie due grosse pietre del Reno che volevano
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L AVO R I A M O S U • Focalizzazione • Ordine narrativo • Sequenze
sembrare diamanti, e portava collane di perle false, braccialetti in similoro, pettini incrostati di vetri multicolori che imitavano le pietre vere. Il marito, un poco irritato di questo suo amore per il luccichio, ripeteva spesso: 35 «Cara, quando non si hanno i mezzi per pagarsi gioielli veri, ci si mostra adornate solo della propria bellezza e della propria grazia, che in verità sono i gioielli più rari». Ma ella sorrideva con dolcezza e ripeteva: «Che cosa vuoi? mi piacciono que40 sti ninnoli: è il mio vizio. So bene che hai ragione, ma non ci si può cambiare... Avrei adorato i gioielli, io!» E faceva passare tra le dita le collane di perle, faceva luccicare i riflessi delle sfaccettature dei cristalli, ripetendo: «Ma guarda come sono ben fatti: si direbbero veri». 45 Lantin sorrideva, dichiarando: «Hai gusti da zingara». A volte, la sera, quando s’intrattenevano da soli in un cantuccio, davanti al fuoco, ella portava sul tavolino dove prendevano il tè, la scatola di marocchino1 dove teneva chiusa la «paccottiglia», secondo la definizione del signor Lantin, e 50 prendeva a esaminare quei gioielli finti con attenzione appassionata, come se assaporasse qualche piacere profondo e segreto; e s’ostinava a mettere una collana al collo del marito, per ridere poi di tutto cuore esclamando: «Quanto sei buffo!» Poi gli si gettava tra le braccia e lo baciava perdutamente. Una notte d’inverno, rincasò dall’Opéra tutta tremante di freddo. Il giorno 55 dopo aveva la tosse. Otto giorni dopo moriva di polmonite. Lantin per poco non la seguì nella tomba. La sua disperazione fu così terribile che i capelli gli diventarono bianchi in un mese. Piangeva dalla mattina alla sera, con l’anima straziata da una sofferenza intollerabile, perseguitato dal ricordo, dal sorriso, dalla voce, da tutto il fascino della morta. Il tempo non dimi60 nuì quel dolore. Spesso, durante le ore di ufficio, quando i colleghi prendevano a parlare delle cose d’ogni giorno, gli si vedevano le guance gonfiarsi d’improvviso, il naso arricciarsi, gli occhi empirsi di lacrime; faceva una smorfia orribile e si metteva a singhiozzare. Aveva conservata intatta la camera della compagna, e vi si rinchiudeva tutti i 65 giorni per pensare a lei; e tutti i mobili, le stesse vesti di lei, eran rimasti al loro posto, come si trovavano l’ultimo giorno. Ma la vita diventava sempre più difficile per lui. Lo stipendio, che tra le mani della moglie, era bastato per tutte le necessità domestiche, risultava adesso insufficiente per lui solo; e si chiedeva con stupore come avesse potuto fare, per 70 fargli bere sempre ottimi vini e mangiare piattini delicati, che ora non poteva più procurarsi con le sue modeste risorse. Contrasse alcuni debiti, e corse dietro al denaro alla maniera di chi è ridotto agli espedienti. Una mattina, infine, ché si trovava senza un soldo e mancava una settimana intera alla fine del mese, pensò di vendere qualcosa; e subito gli venne 75 in mente di disfarsi della «paccottiglia» della moglie, siccome aveva conservato in fondo al cuore una specie di rancore contro quegli inganni ottici che tanto l’avevano irritato un tempo. Solo a vederli, ogni volta gli si guastava il ricordo dell’amata. Frugò a lungo nel mucchio di orpelli2 ch’ella aveva lasciato, perché sino agli
1. marocchino: cuoio pregiato. 2. orpelli: oggetti in lega di rame, zinco e stagno simili per colore all’oro.
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ultimi giorni di vita la donna ne aveva acquistati ostinatamente, portando a casa quasi ogni sera un nuovo oggetto, e si decise per la grande collana, che pareva la preferita da lei e che poteva ben valere, pensò, otto o dieci franchi, apparendo davvero lavorata con molta finezza, per essere falsa. Se la mise in tasca e andò verso il ministero, seguendo i boulevards3, alla ricerca d’un negozio di gioielliere che gl’ispirasse fiducia. Infine ne vide uno ed 85 entrò, un po’ vergognoso di mostrare la propria povertà, cercando di vendere un oggetto di così poco prezzo. «Vorrei sapere», disse al negoziante, «quanto può valere questo pezzo». Il negoziante prese l’oggetto, l’esaminò, lo girò, lo soppesò, prese una lente, chiamò il commesso, gli disse qualche parola sottovoce, poi tornò a deporre la 90 collana sul banco e la guardò da lontano per meglio giudicarne l’effetto. Il signor Lantin, imbarazzato da tutte quelle cerimonie, stava per aprir bocca e dichiarare: «Oh, so bene che non ha alcun valore», quando il gioielliere disse: «Signore, vale dai dodici ai quindicimila franchi; ma potrei acquistarlo soltanto se me ne 95 faceste sapere esattamente la provenienza». Il vedovo spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta, senza capire. Infine balbettò: «Avete detto?... Ne siete sicuro?» L’altro interpretò male quello stupore, e in tono asciutto: 100 «Potete cercare da qualche altra parte, se ve ne danno di più. Secondo me, vale tutt’al più quindicimila. Venite a trovarmi se non trovate di meglio». Il signor Lantin, del tutto istupidito, si riprese la collana e se n’andò, obbedendo a un oscuro bisogno di restar solo per riflettere. Ma, appena fuori in strada, fu preso dalla voglia di ridere, e, pensò: «Che im105 becille; oh, che imbecille! E se l’avessi preso in parola! Un gioielliere che non sa distinguere il falso dal vero!» Ed entrò in un altro negozio, all’inizio di via de la Paix. Appena ebbe veduto il gioiello, il negoziante esclamò: «Oh, perbacco, la conosco bene questa collana! Viene dal mio negozio». 110 Il signor Lantin, molto turbato, chiese: «E quanto vale?» «Caro signore, io l’ho venduta per venticinquemila. Sono pronto a riprenderla per diciottomila, quando mi avrete detto, per obbedire alle prescrizioni legali, come si trova in mano vostra». Questa volta il signor Lantin sedette, paralizzato dallo stupore. Poi riprese. 115 «Ma... ma esaminatela bene, attentamente; fino a questo momento avevo creduto che fosse... che fosse d’oro falso». Il gioielliere rispose: «Volete dirmi il vostro nome, signore?» «Certo. Mi chiamo Lantin, sono impiegato al ministero degli Interni, e abito in via des Martyrs al numero 16». 120 Il mercante aprì i suoi registri, cercò, e pronunciò: «Questa collana è stata mandata, infatti, all’indirizzo della signora Lantin, in via des Martyrs numero 16, il 20 luglio 1876». E i due si guardarono negli occhi, l’impiegato smarrito per la sorpresa, l’orefice fiutando un ladro. 80
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3. boulevards: viali parigini.
Una veduta dei giardini delle Tuileries, oggi.
Poi il negoziante riprese: «Volete lasciarmi quest’oggetto per ventiquattr’ore soltanto? ve ne darò ricevuta». Il signor Lantin balbettò: «Ma sì, certo». E uscì piegando il foglio di carta, che si mise in tasca. Poi attraversò la via, tornò indietro, s’accorse che sbagliava strada, ridisce130 se alle Tuilleries, attraversò la Senna, s’accorse ancora di sbagliare, tornò ai Champs Elysées, senza un’idea chiara in testa. Si sforzava di ragionare, di capire. Sua moglie non poteva avere acquistato un oggetto di un simile valore, «No, certo». Ma allora era un regalo! Un regalo! Un regalo di chi? E perché? S’era fermato, e rimaneva lì, impalato, in mezzo al viale. Il dubbio orribile lo 135 sfiorò. «Lei?» Ma allora anche tutti gli altri gioielli erano regali! Gli parve che la terra gli si muovesse sotto; che un albero gli stesse crollando lì davanti; tese le braccia e cadde, lui, privo di sensi. Riprese conoscenza nella bottega d’un farmacista dove i passanti lo avevano portato. 140 Si fece accompagnare a casa, e vi si rinchiuse. Sino a notte pianse disperatamente, mordendo un fazzoletto per non gridare. Poi si mise a letto, spossato dalla stanchezza e dal dolore, e dormì d’un sonno pesante. Un raggio di sole lo destò, e s’alzò lentamente per andare al ministero. Era atroce dover lavorare dopo una scossa simile. Allora pensò che avrebbe potuto 145 scusarsi con il capufficio; e gli scrisse. Poi pensò che doveva tornare dall’orefice; e si sentì avvampare di vergogna. Restò a lungo a riflettere. Non poteva lasciargli la collana; si vestì e uscì. Era un bel tempo, il cielo azzurro si estendeva sulla città che pareva sorridere; alcuni buontemponi camminavano a caso, con le mani in tasca. Lantin disse 150 tra sé, guardandoli passare: «Come si è felici quando si hanno soldi! Coi soldi ci si può scuoter di dosso anche i dolori, si va dove si vuole, si viaggia, ci si distrae! Oh, se fossi ricco!» 125
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S’accorse d’aver fame, che non mangiava da due giorni. Ma aveva le tasche vuote, e allora si ricordò della collana. Diciottomila franchi, diciottomila franchi, 155 diciottomila franchi! Era una somma! Raggiunse via de la Paix, e cominciò a passeggiare in lungo e largo sul marciapiedi di fronte al negozio. Diciottomila franchi! Per venti volte fu sul punto di entrare; ma la vergogna lo fermava sempre. Aveva fame, però, una gran fame, e neppure un soldo. D’un tratto si decise: 160 attraversò la strada di corsa, per non concedersi il tempo di riflettere, e si precipitò dall’orefice. Appena lo vide, il negoziante si fece premuroso, gli offrì una sedia con sorridente cortesia. Vennero i commessi, che guardavano Lantin di sottecchi4, con occhi e labbra ironiche. 165 Il gioielliere dichiarò: «Ho preso informazioni, signore, e, se siete sempre di quell’idea, sono pronto a pagarvi la somma che vi ho proposto». L’impiegato balbettò: «Certo, certo». L’orefice estrasse da un cassetto diciotto grossi biglietti di banca, li contò, e li porse a Lantin, che firmò una piccola ricevuta e si mise in tasca il denaro con 170 mano tremante. Poi, mentre stava per uscire, si girò verso il gioielliere che sorrideva sempre, e, chinando gli occhi: «Ho... ho altri gioielli... avuti con la stessa eredità. Vi converrebbe acquistarmi anche quelli?» 175 Il negoziante s’inchinò: «Ma certo, signore». Uno dei commessi uscì per poter ridere a proprio agio; un altro si soffiava forte il naso. Lantin impassibile, rosso in viso e serio, dichiarò: «Ve li porto». E prese una carrozza per recarsi a prendere i gioielli. 180 Quando tornò dall’orefice, un’ora dopo, non aveva ancor fatto colazione. Si misero a esaminare gli oggetti uno per uno, stabilendo il valore di ciascuno. Quasi tutti provenivano da quel negozio. Lantin, adesso, discuteva le stime, s’irritava, esigeva che gli mostrassero i registri di vendita, parlava sempre più forte, man mano che la somma saliva. I 185 grossi brillanti montati a orecchino, ventimila franchi; i braccialetti, trentacinquemila, le spille, gli anelli e i medaglioni, sedicimila; una parure di smeraldi e di zaffiri, quattordicimila; un solitario5 sospeso a una catena d’oro a forma di collana, quarantamila; il tutto raggiungeva la cifra di centonovantaseimila fianchi. Il commerciante dichiarò con una bonomia6 ironica: «Provengono di certo da 190 una persona che investiva tutte le proprie economie in gioielli». Lantin disse gravemente: «È un modo come un altro d’investire il denaro». E se n’andò dopo aver deciso con l’acquirente che il giorno dopo vi sarebbe stata una controstima. Quando si trovò per strada, guardò la colonna Vendôme col desiderio di arram200 picarvisi, come fosse stata un albero della cuccagna. Si sentiva leggero, tanto da poter giocare a saltamontone sulla statua dell’Imperatore7, appollaiato lassù nel cielo. Andò a pranzare da Voisin e bevve vino da venti franchi la bottiglia. Poi prese una carrozza e fece un giro nel Bois8. Guardava le altre carrozze con un certo
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4. sottecchi: tenendo gli occhi socchiusi. 5. solitario: brillante incastonato da solo in un anello. 6. bonomia: cordialità. 7. statua dell’Imperatore: al centro di Place Vendôme si trova la colonna commemorativa della battaglia di Austerlitz con in cima la statua di Napoleone. 8. Bois: il Bois de Boulogne è un parco parigino.
disprezzo, agitato dalla voglia di gridare ai passanti: «Sono ricco anch’io: ho duecentomila franchi!» Poi si ricordò del ministero. Vi si fece condurre, entrò con decisione dal capufficio, e gli annunciò: «Son qui per dar le dimissioni. Ho ereditato trecentomila franchi». Andò a stringere la mano a quelli che erano stati i suoi colleghi e confidò loro 210 i propri progetti di vita nuova; poi andò a cena al Café Anglais. Trovandosi accanto a un signore che gli parve distinto, non seppe resistere al desiderio impellente di confidargli, con una certa civetteria, d’aver avuto in eredità quattrocentomila franchi. Per la prima volta in vita sua non s’annoiò a teatro, e passò la notte con al215 cune prostitute. Sei mesi dopo si sposava di nuovo. La seconda moglie era molto onesta, ma di un carattere difficile; e lo fece soffrire molto. 205
(Guy de Maupassant, Tutte le novelle, trad. di O. Del Buono, Milano, Rizzoli, 1951-1965)
LAVORIAMO S U L T ES T O COMPRENSIONE 1. In quali circostanze Lantin incontra per la prima volta la sua futura moglie? 2. Agli occhi del marito, la donna sembra: a. buona ma avara. b. una spendacciona che sperpera in gioielli. c. onesta e virtuosa. d. ricca e onorata. 3. Che cosa pensa il secondo gioielliere di Lantin, al momento della sua prima visita? 4. Come si comporta Lantin una volta diventato ricco?
LE TECNICHE DEL TESTO 5. Nella prima parte del racconto (rr. 1-85 [fino a «Vorrei sapere»]), che tipo di sequenze prevalgono nel racconto? a. narrative c. descrittive b. dialogiche d. riflessive 6. Nel racconto, fabula e intreccio non sono coincidenti. V F 7. Nella narrazione, fino alla morte della moglie, la focalizzazione è ............................................................................
ANALISI 8. Qual è il tema principale del racconto? Dopo aver selezionato l’opzione giusta, motiva la tua scelta. a. L’importanza di un matrimonio felice. b. L’importanza di condurre una vita agiata. c. L’ipocrisia della classe borghese, che giudica le apparenze. d. L’importanza di affidarsi ai sentimenti. 9. Quale messaggio vuole trasmettere l’autore quando precisa: «la seconda moglie di Lantin era onestissima, con un brutto carattere e lo fece soffrire molto»?
LABORATORIO DI SCRITTURA Scrittura creativa Il racconto di Maupassant, come spesso capita con questo autore, ci lascia volutamente con molte domande aperte. In particolare, non si chiariscono le dinamiche con cui la moglie del signor Lantin avesse potuto procurarsi i gioielli, nonostante il marito a un certo punto presupponga che dovesse trattarsi di regali (ma ricevuti da chi?). Prova a ripensare la storia dalla prospettiva della moglie e stendi un breve ritratto di lei, inventando coerentemente i retroscena che faranno luce sull’acquisizione, da parte sua, di gioielli tanto pregiati.
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RIPASSO ATTIVO 1 LE CORRENTI DELLA NARRATIVA STORICA E REALISTA Leggi attentamente i tre brani forniti qui sotto e collega ciascuno di essi a una delle tre correnti a cui spesso afferiscono i romanzi e i racconti storico-realisti: Verismo; Naturalismo; Romanticismo. Motiva brevemente la tua risposta spiegando quali elementi tematici caratteristici di quelle correnti ricorrono nel brano: A
B
C
La vecchia Raquin era una merciaia di Vernon. Aveva vissuto venticinque anni in un negozietto di quella città, poi, qualche anno dopo la morte del marito, stanca e rattristata, l’aveva ceduto. Tra i risparmi e il ricavato della vendita, si trovò a disporre di un capitale di quarantamila franchi che, investito, finì per fruttarle una rendita di duemila franchi.
In quella parte della felice Inghilterra che è bagnata dal fiume Don, si estendeva nei tempi antichi una grande foresta che copriva la maggior parte delle belle colline e vallate situate fra Sheffield e Doncaster. Qui si aggirava un tempo il mitico drago di Wantley; qui furono combattute molte delle più furibonde battaglie durante la guerra civile delle Due Rose.
Di tratto in tratto, quasi spruzzati per forza, pochi goccioloni sbattevano sui vetri simili a chicchi di grandine; ma i tuoni rimbombavano con lunghi echeggiamenti, tra le grida di gioia della povera gente di campagna smaniante per la pioggia nelle scoscese viuzze attorno alla vasta casa dei Roccaverdina, isolata da ogni lato e quasi arrampicata a quell’angolo della collina di Ràbbato. (L. Capuana)
(É. Zola)
(W. Scott)
2 LA STORIA DELLA NARRATIVA STORICA E REALISTA Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se false, correggile: a. Gli scrittori realisti adottarono la tecnica del narratore onnisciente.
V
F
b. La fiducia nel progresso sfavorì il proliferare della letteratura realista.
V
F
c. Il romanzo storico è spesso ambientato in un’epoca passata, ma recente.
V
F
d. Il verosimile consiste in una precisione documentaria.
V
F
3 IL TERMINE CHIAVE Popolo Termine chiave della letteratura realista, che spesso si occupa delle classi meno abbienti creando indimenticabili figure di «popolani», il termine «popolo» deriva dal latino populus, con il significato di “folla”, “moltitudine”. Si riallaccia alla radice indoeuropea par- o pal-, che rimanda al concetto di “riunire”, o “mettere insieme”.
FAMIGLIE DI PAROLE
Collegati al link ed esplora la famiglia di parole di Popolo. Troverai anche dei suggerimenti per svolgere l’attività.
IN COPPIA Sfida un tuo compagno o una tua compagna: per ciascuno dei seguenti aggettivi, verbi, nomi, scrivete almeno una frase compiuta e paragonatela. popolano - popolamento - impopolarità - popolarità - spopolare - ripopolare - populista
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TEMI PER CONOSCERSI Una solitudine rumorosa. Le emozioni e i social media La coscienza planetaria. Dall’ecologia all’impegno Migliori amici. Noi e gli animali
Una solitudine rumorosa Le emozioni e i social media Internet come lo conosciamo oggi ha iniziato a prendere forma solo all’inizio degli anni Novanta del Novecento: da allora, tuttavia, il mondo digitale è stato sempre più integrato nella nostra vita quotidiana. Poiché il tasso di progresso tecnologico continua ad aumentare, il mondo nel suo complesso sta diventando sempre più dipendente da Internet per le attività quotidiane, per il settore impiegatizio e professionale, per i servizi pubblici e bancari, per la fruizione dei beni culturali, e così via. La vita di oggi può a ragione definirsi «schermata»: siamo costantemente iperconnessi e in molti casi i nostri occhi si trovano a
guardare una qualche forma di schermo per più tempo di quello che sarebbe necessario. Mano a mano che la tecnologia continua a progredire, però, aumenta anche il potenziale di abusarne. E ciò che oggi domina le nostre vite è l’esperienza con i social network, che ci permettono di rimanere in contatto virtuale con amici, famigliari, colleghi e, talora, clienti. Queste grandi comunità virtuali sono ormai diventate vasti veicoli di informazioni che, a differenza dei media tradizionali, diffondono contenuti creati da milioni di persone diverse. Piattaforme come YouTube, Twitter, Instagram o Facebook offrono infatti
ampie e democratiche opportunità di esprimersi sul web. Molti utenti pubblicano, per esempio, immagini di ciò che mangiano o di un film che hanno visto. Talora, però, questo comportamento apparentemente innocente può tramutarsi in pericolo. Rendendo pubblico ogni aspetto della propria vita, infatti, si rischia anche di pubblicare contenuti che potrebbero finire per danneggiare la nostra stessa immagine virtuale, attirando le critiche spietate di molti haters. Ecco perché è sempre più importante avere conversazioni aperte sulla «cittadinanza digitale», anche per imparare a gestire le proprie interazioni con un mondo fin troppo digitalizzato. Proprio su queste esigenze, e sulle reazioni emotive che tutti abbiamo nelle diverse piattaforme digitali, si concentrano i testi che seguono.
Eric Minh Cuong Castaing, artista visuale e danzatore (a destra), e Anne-Sophie Turion, sua codirettrice (a sinistra), ripresi durante una intervista a Tokyo, nel maggio 2022: i due hanno avviato un progetto di teatro sperimentale rivolto agli “hikikomori” (persone affette da patologie di isolamento sociale), per permettere loro di riacquistare fiducia in sé stessi e avere una occasione di esprimersi.
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COMINCIAMO CON UN GRAPHIC NOVEL T1
Fabia Mustica L’amico diverso
Questo recente graphic novel della disegnatrice Fabia Mustica, pubblicato nel 2022, è il potente racconto per immagini di «una storia di cyberbullismo», come recita il sottotitolo. Faruq, sedicenne di origini africane, si trova costretto ad affrontare ogni giorno forme di discriminazione nel liceo che frequenta a Catania, dove vive con la sua famiglia. Preso di mira da un gruppo di bulli, Faruq attraverserà un percorso difficilissimo, aggravato ulteriormente dall’arrivo della pandemia, in grado però di insegnargli l’accettazione di sé, l’empatia e la pietà.
(F. Mustica, L’amico diverso. Una storia di cyberbullismo, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2023)
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CO SA CI S V EL A I L G RA PH IC NOVEL Scrive l’autrice nella sua postfazione al graphic novel: «Spesso la diversità è quella scintilla che fa scattare tra i giovani il fenomeno del bullismo (basta un difetto fisico, anche piccolissimo, un abbigliamento non convenzionale, il colore della pelle o addirittura se sei semplicemente educato o timido). Ho deciso di collocare storicamente questo libro-fumetto nel periodo della pandemia perché ho voluto rimarcare come, di fronte a certi eventi straordinari della
vita, quale la diffusione di un terribile virus, la “diversità” diventa marginale e anzi può costituire un valore aggiunto». È proprio nella pandemia, del resto, che l’uso dei social network si è intensificato. Concentrandoti sulla resa grafica del cyberbullismo nelle tavole qui riprodotte, spiega in particolare quali suggestioni ti comunica la presenza «nera» che fuoriesce dallo schermo del cellulare di Faruq.
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T2
Elle Mills Fuori dal Tubo Elle Mills è una giovane vlogger canadese, divenuta presto una vera e propria star della Rete. Ha cominciato a far circolare i propri video online in età ancora infantile, documentando poi la propria adolescenza sul suo canale YouTube, con il nome di ElleOfTheMills. In questo recente articolo, Mills spiega quale fosse l’amara realtà dietro al suo apparente e inarrestabile successo. Un crollo nervoso, dettato dall’ansia di essere diventata un mero prodotto commerciale, le ha infine imposto un cambiamento, ma anche una profonda riflessione sugli effetti della popolarità mediatica.
La mia vita fino a oggi è stata scandita dai numeri: 1,7 milioni di iscritti; 1,8 milioni di follower totali; 155 milioni di visualizzazioni. A 12 anni ho iniziato a pubblicare video su YouTube. Lo scorso novembre, a 24 anni, ho smesso. Quando parlavo alla gente dei miei video, spesso dicevo «immagina se Ferris 5 Bueller (il protagonista del film Una pazza giornata di vacanza,1986, ndr) avesse un canale YouTube», perché usavo lo stile e le convenzioni delle nostalgiche commedie adolescenziali per romanticizzare quella che altrimenti sarebbe stata una vita normale. Paradossalmente, su YouTube una vita romantica è anche profondamente personale. In effetti il mio canale era schietto e onesto 10 come un diario. Fa parte della nostra cultura: essere conosciuto per quello che sei – e lodato per questo – attira quelli di noi che muoiono dalla voglia di essere visti. Al tempo stesso, un’altra parte della cultura ti chiede di trasformare te stesso in un prodotto e capire come venderlo. Il successo si misura in visualizzazioni e iscritti, numeri visibili a tutti, che si trasformano in una scarica di 15 adrenalina per la tua autostima. È una droga che crea dipendenza, suscettibile di down che colpiscono con altrettanta forza. La carriera che ho costruito su YouTube è quella che milioni di giovani sognano. Molti iniziano a realizzare video per condividere se stessi con un pubblico che di fatto è disposto ad ascoltare. E poi, arrivati a 1.000 abbonati, ecco 20 il primo assegno da YouTube: se il numero degli abbonati cresce, crescono anche gli accordi e le collaborazioni che spesso portano fama e fortuna. Se fatto bene, YouTube può diventare rapidamente una carriera redditizia. Ma mantenerla è un delicato atto di equilibrio e a volte, come è stato per me, i sacrifici richiesti sono troppo pericolosi perché ne valga la pena. 25 L’apice della mia carriera, per esempio, non sempre ha corrisposto con le mie fantasie di bambina sulla fama. Più che altro ero costantemente terrorizzata dall’idea di perdere il mio pubblico. La mia autostima era diventata così intrecciata alla mia carriera che mantenerla sembrava sul serio una questione di vita o di morte. Ero intrappolata in un ciclo infinito di tentativi costanti di 30 superare me stessa per rimanere rilevante. Così YouTube è diventato presto un gioco a “Qual è la cosa più folle che faresti per attirare l’attenzione?”: La mia
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Uno degli aspetti salienti della cultura contemporanea è la ricerca di popolarità mediatica, ricerca che è stata resa possibile dalla stessa immediatezza della Rete. Tuttavia, il concetto di popolarità coincide più banalmente con quello superficiale di «visibilità»: è il numero di utenti che ci guardano a decretare il potenziale della nostra “fama” sul web.
risposta? Sposare legalmente il fidanzato di mia sorella. Doveva essere uno scherzo spensierato (poi il matrimonio è stato annullato) ma quasi tre milioni di persone hanno guardato quel video. Dai numeri dovrei considerare questa 35 e altre trovate simili come successi, ma provo un senso di colpa travolgente quando ripenso a tutte le persone che ingenuamente hanno partecipato ai miei show. Una parte di me sente di avere approfittato del loro desiderio di essere visti. Ho guadagnato fama e successo sfruttando le loro vite. Loro non hanno guadagnato nulla. 40 Ciò detto, ero un’adolescente che prendeva decisioni basate sulla visibilità che la nostra cultura ci insegna a desiderare. Sapevo che il mio pubblico voleva più autenticità da me. Per dargliela, rivelavo parti di me stessa che avrei dovuto saggiamente mantenere private. Ma ormai attribuiamo un valore così alto alla visibilità, che è diventato naturale pensare che la nostra 45 vulnerabilità sia il prezzo da pagare per essere riconosciuti, no? Quando i numeri sostituiscono l’autostima, è facile cadere nella trappola di regalare pezzi preziosi di te stesso per nutrire un pubblico sempre più affamato. E così documentare i miei momenti più bui mi è sembrato l’unico modo in cui le persone mi avrebbero veramente capita. Nel 2018, ho pubblicato impul50 sivamente un video sulla mia battaglia contro un esaurimento nervoso, che conteneva filmati intimi dei miei crolli emotivi. Quei crolli erano, in parte, un prodotto della grave ansia e depressione causate dall’inseguimento di quello stesso successo che molti altri adolescenti bramano. Quel gesto non ha messo fine alla mia carriera, anzi, mi ha portato ancora più fama. Condividerlo 55 ha significato essere vista per quella che ero, ma la verità è che ho trasformato in prodotto alcuni dei momenti più devastanti della mia vita. Eppure ho
Per soddisfare sempre di più le richieste e i desideri del pubblico, unico vero garante di popolarità mediatica, Mills ha capito ben presto che avrebbe dovuto mettersi in mostra nelle proprie fragilità, lasciando che gli utenti spiassero selvaggiamente la sua vita privata.
L’intervento di Elle Mills al 10° Annual Shorty Awards (a New York, nel 2018), dopo aver vinto il premio come Breakout Youtuber.
Una solitudine rumorosa 705
continuato a farlo. Col senno di poi, i video di quel periodo mancavano della scintilla appassionata che un tempo era stata la chiave del mio successo. Cominciava a sembrare che stessi interpretando una versione di me che or60 mai era superata. Ero entrata nell’età adulta e cercavo di vivere il mio sogno dell’infanzia, solo che per riuscirci, dovevo fingere di essere quella che ormai non ero più. Il punto è che la cultura online incoraggia i giovani a trasformarsi in un prodotto in un’età in cui stanno iniziando a scoprire chi sono. Quando il pubblico 65 viene coinvolto emotivamente in una versione di te che poi evolve, mantenere il prodotto che hai realizzato in linea con il nuovo te stesso diventa un dilemma impossibile: questo è il motivo perché questo genere di carriera ha breve durata. La pandemia ha segnato un punto di svolta. Non c’è mai stato un momento 70 preciso in cui ho deciso di lasciare YouTube, ma per un anno non ho postato nulla. Alla fine ho capito che non sarei tornata. A volte riconosco a malapena la persona che ero. Anche se una parte di me si risente del fatto che non potrò mai dimenticarla, le sono anche grata. Il mio canale YouTube, nonostante tutti i guai che mi ha portato, mi ha messo in contatto con persone che volevano 75 ascoltare le mie storie e mi ha preparata a diventare regista. Nell’ultimo anno ho diretto un cortometraggio e sto scrivendo un film, modi di creare che non vanno a scapito della mia privacy. Ai ragazzi che percorreranno la mia stessa strada, auguro di imparare dalla mia esperienza. Non tutti meritano la vostra vulnerabilità. Usate queste piatta80 forme per accedere a nuove opportunità, ma non a costo di dare via tutto di voi.
L’effetto più devastante della cultura innescata dai social media e dalle piattaforme di visibilità digitale consiste proprio nell’aver imposto ai vari vlogger o influencer l’obbligo di considerarsi un mero prodotto commerciale. Ma una volta che vengono coinvolte delle emozioni, è difficile mantenere una lucida e distaccata imprenditorialità su sé stessi.
(E. Mills, Fuori dal Tubo, in «D – la Repubblica», 22 aprile 2023)
I L P U NT O S U L T E S TO 1.Riassumi per punti il testo dell’articolo. SPUN T I P E R IL D I BATTI TO I pericoli di essere uno YouTuber non sono molto diversi dai pericoli generali di essere su Internet. Il furto di identità, la frode e il benessere mentale sono tutte cose cui prestare attenzione. Se, tuttavia, una persona diventa, come Elle Mills, un famoso YouTuber, allora deve anche prepararsi alla responsabilità che ciò comporta. Un utente con qualche migliaio di iscritti può fare una dichiarazione sconsiderata o essere scor-
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tese con qualcuno, persino lasciarsi sfuggire qualche informazione personale, senza però incorrere in grandi pasticci. Ma uno YouTuber con qualche centinaio di migliaia di abbonati potrebbe avere conseguenze significative da tale comportamento. E uno YouTuber con qualche milione di abbonati potrebbe finire sulle prime pagine dei giornali. Un altro modo in cui essere uno YouTuber può diventare pericoloso è nelle implicazioni che
i tuoi contenuti hanno nella realtà di oggi, dove qualsiasi opinione è passata allo scrutinio della massa e, se viene percepita come controversa, è messa al bando o incriminata. Rifletti su questi rischi in un breve testo scritto che poi leggerai alla classe. Anche i tuoi compagni leggeranno le loro opinioni in materia e da questa condivisione potrà prendere avvio il vostro dibattito in classe.
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Matteo Grandi Le emozioni negative in Rete In due estratti del suo libro intitolato Far Web (2017), il giornalista Matteo Grandi affronta il tema dell’odio in Rete e del comportamento che gli haters manifestano, sia online che offline. Nel primo brano l’attenzione si concentra sulla definizione di hate speech e su come affrontarlo, mentre il secondo brano tratteggia un identikit dei numerosi cyberbulli della Rete.
L’hate speech Odio, invidia, rabbia, livore, frustrazione. Sono tutte emozioni con il medesimo comun denominatore: il sentimento umano. L’odio non viene dal web per il semplice motivo che la rete non prova sentimenti. Ma c’è di più: l’odio è sempre esisti5 to. C’era prima di internet e continuerà a esserci dopo, ammesso che l’uomo sopravviva alle macchine. Il punto, quando si parla di odio e social media, è semmai un altro, e riguarda la capacità della rete di fare da aggregatone e, di conseguenza, da amplificatore di tutta una gamma di sentimenti: negativi, ma anche positivi. Eppure, se quello che accade nella vita reale si rispecchia anche nella vita “virtua10 le” condizionandola, è vero pure il contrario: oggi, i rapporti di causa-effetto fra i nostri comportamenti fuori e dentro la rete costituiscono un circuito a doppio senso di marcia a ciclo continuo. Esiste però, fra i due mondi, una differenza cruciale: se da un lato è innegabile che i sentimenti che trasportiamo su internet sono gli stessi che si provano al bar, in famiglia o sul posto di lavoro, e che nel “mondo 15 reale” si odia – né più né meno – come sui social media, la stessa cosa non vale per le persone che frequentiamo. Nella vita reale possiamo fare una selezione, cosa che nel web non sempre accade. Anzi, in rete capita molto spesso di interagire con emeriti sconosciuti che nella vita reale, probabilmente, non frequenteremmo mai. La distanza e le diversità (ideologiche, culturali, sociali) generano divergenza 20 di opinioni su un’infinità di materie: dalla politica al lavoro, fino a tematiche più sensibili, come omosessualità, diritti civili, diritti degli immigrati e via dicendo. Se a queste divergenze uniamo una condizione di disagio sociale diffuso e la propensione intrinseca della rete a fungere da valvola di sfogo della nostra rabbia e delle nostre frustrazioni, ecco una prima risposta alle tante domande sospese nelle 25 pagine precedenti. Quando le opinioni di emeriti sconosciuti che la pensano in modo diametralmente opposto vengono a contatto su un terreno contraddistinto da sintesi e velocità come il web, la possibilità che una semplice scintilla faccia scoppiare l’incendio diventa una probabilità concreta. Certo, questo non giustifica numerose altre derive – come le ondate di misoginia, omofobia e razzismo o come i 30 messaggi veicolati da alcuni deliranti gruppi su Facebook –, ma ci aiuta a mettere a fuoco un ulteriore tassello del puzzle. Il rischio è poi quello di confondere le facce della stessa medaglia. Maleducazione, cafonaggine, insulti e aggressività inquinano sicuramente il dibattito
L’autore porta la nostra attenzione su una distinzione fondamentale: se gli haters possono essere tenuti a distanza nella vita reale, rifiutandosi di interagire con loro, ben diverso è il panorama nel mondo digitale, dove potenzialmente tutti hanno accesso e diritto di commentare, lasciando talora critiche pesanti e negative.
Una solitudine rumorosa 707
LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA Se c’è un libro che vorresti leggere, ma non è ancora stato scritto, allora devi scriverlo tu. Toni Morrison
1. L’incipit 2. La linea del tempo 3. L’atmosfera 4. L’ambientazione storica 5. I personaggi 6. Il punto di vista 7. Il monologo 8. Il finale
Che cos’è il Laboratorio di scrittura creativa Alle origini di una scuola di scrittura Non c’è dubbio che sempre di più, oggi, la scrittura creativa appassioni tanti studenti e giovani lettori. Ciò è dovuto non solo alla fioritura di tante scuole e programmi di scrittura creativa, disseminati variamente sul territorio nazionale, ma anche alla graduale introduzione in molte scuole del cosiddetto «Teachers College Reading and Writing Workshop» (WRW), programma concepito e fondato, nel 1981, da Lucy McCormick Calkins, professoressa e pedagogista alla Columbia University di New York. La missione del progetto era quella di aiutare i giovani studenti a diventare lettori, scrittori e «ricercatori» tanto appassionati quanto competenti. Per questo, Calkins sviluppò metodologie didattiche finalizzate specialmente all’incremento di una lettura «funzionale» del testo, in grado di stimolare la pratica scrittoria. La scrittura creativa e i suoi meccanismi Bisogna anche ricordare che, originariamente, la priorità del WRW era data alla libera scelta che gli studenti avevano circa i testi di lettura e gli argomenti di scrittura, purché si mantenessero active participants nel processo di apprendimento in classe. L’importanza era quella di comprendere come il testo «funziona», in modo da acquisire, fin da subito, una consapevolezza sui meccanismi della pratica scrittoria, sia della fiction sia della non-fiction. D’altra parte, il WRW incoraggiava proprio quella «pratica» della scrittura creativa che negli Stati Uniti è ben inserita nel sistema educativo (si pensi ai numerosi programmi universitari di Creative Writing, che formano i futuri scrittori di professione, ma anche al fatto che, nei Dipartimenti di Inglese, vengono spesso assunti e promossi scrittori che non hanno un iter accademico tradizionale, ma che comunque contribuiranno alla formazione dei futuri letterati).
746 LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA
Il Writing and Reading Workshop oggi Il WRW sta attualmente godendo di una rinnovata popolarità. Ciò è dovuto alla recente consacrazione che lo stesso metodo ha avuto negli Stati Uniti grazie all’attribuzione, nel 2015, del prestigioso Gobal Teachers Prize (del valore di un milione di dollari) alla pedagogista Nancie Atwell. Atwell aveva fondato nel 1990, in Maine, il «Center for Teaching and Learning», oggi beneficiario del premio. Il Centro implementava lo stesso WRW, chiedendo agli studenti di leggere, ogni anno, una quarantina di libri di loro scelta, e di scrivere prolificamente. Il nostro laboratorio di scrittura creativa In Italia, il WRW è stato molto promosso negli ultimi anni da un gruppo di appassionati insegnanti e pedagogisti. Ed è proprio a partire da alcune caratteristiche del WRW, riadattate alla natura e alla scelta dei nostri otto racconti, che vogliamo congedarti con questo capitolo fortemente laboratoriale, nel quale ti misurerai con la scrittura mirata di alcuni «compiti» narrativi. I racconti offrono infatti la possibilità di ripercorrere tutte le tappe maggiori dello sviluppo di una storia: dall’incipit al finale, passando per la linea del tempo, l’ambientazione storica, l’atmosfera, la focalizzazione, i personaggi e i loro discorsi. A ciascun testo narrativo, sempre fornito in forma integrale, segue una sezione analitica («Temi e tecniche del racconto») che ti aiuterà a decifrare gli espedienti e i segreti narratologici impiegati dall’autore, offrendo al contempo informazioni ulteriori sull’eventuale appartenenza del racconto a uno specifico genere letterario. Al termine di ogni testo, infine, troverai uno spunto operativo («Prova tu»), che ti guiderà alla scrittura creativa vera e propria. Buon lavoro e buon divertimento!
1. L’incipit La narrativa moderna e contemporanea, specialmente di provenienza statunitense (si pensi a Ernest Hemingway), ci ha ormai abituato all’idea preconcetta che l’incipit, ovvero la frase iniziale di un racconto o di un romanzo, debba essere breve, fulminante, incisivo. Nulla di più sbagliato. Anzi, l’incipit di molti capolavori anche di poco anteriori a Hemingway è tutt’altro che breve. Si pensi soltanto all’inizio di Washington Square (1880) di Henry James: «Durante la prima metà di questo secolo e più particolarmente nell’ultima parte di esso, viveva ed esercitava la sua professione nella città di New York un dottore che godeva in modo forse eccezionale di quella considerazione che negli Stati Uniti è sempre stata concessa ai membri più eminenti della categoria dei medici». Anche il racconto che ti proponiamo qui di seguito ha un incipit esteso, che in uno spazio pur limitato include informazioni selezionate con cura e funzionali alla storia. È utile partire proprio da questa tipologia di incipit per un esercizio di scrittura creativa dedicato all’arte di iniziare un racconto.
UN TESTO PER ISPIRARTI T1
Heinrich Von Kleist La mendicante di Locarno
Questa breve storia di fantasmi di Heinrich Von Kleist (1777-1811), piccolo classico della letteratura gotica tedesca, fu pubblicata in rivista nel 1810 e l’anno seguente raccolta nel libro dei Racconti dell’autore. La vicenda narra un caso di «contrappasso», ovvero di una sorta di punizione imposta dal destino a un marchese insensibile e arrogante, che aveva maltrattato una povera mendicante. La donna, morta a seguito dell’ordine di spostarsi dal proprio giaciglio di paglia, darà origine alla maledizione che infine colpirà il marchese stesso.
Ai piedi delle Alpi, presso Locarno, in Alta Italia, sorgeva un vecchio castello, appartenente a un marchese, che ancora oggi, venendo dal San Gottardo1, si vede ridotto in macerie e in rovina: un castello dalle stanze alte e spaziose, in una delle quali una volta, sulla paglia che vi era stata ammucchiata, era stata 5 messa a giacere per compassione, dalla padrona di casa, una vecchia donna malata, che si era presentata alla porta chiedendo l’elemosina. Il marchese, che, di ritorno dalla caccia, entrò distrattamente nella stanza, dove soleva deporre la sua carabina2, ordinò irritato alla donna di alzarsi dall’angolo in cui era distesa, e di mettersi dietro la stufa. La donna, tirandosi su, scivolò con la gruccia sul 10 pavimento liscio, e si fece una grave ferita all’osso sacro; tanto che si alzò, bensì, con indicibile sforzo e attraversò di sbieco la stanza, come le era stato prescritto, ma dietro la stufa, fra gemiti e sospiri, si lasciò cadere e spirò3. Alcuni anni dopo, quando il marchese, a causa della guerra e dei cattivi
1. San Gottardo: il Passo del San Gottardo è un importante valico alpino. 2. carabina: arma da fuoco simile a un fucile. 3. spirò: morì.
1. L’incipit 747
raccolti, si trovava in una brutta situazione finanziaria, venne a trovarlo un cavaliere fiorentino, che, per la sua bella posizione, voleva comperare il castello. Il marchese, che teneva molto all’affare, disse alla moglie di alloggiare l’ospite nella stanza di cui abbiamo parlato, che era vuota, ed era stata arredata splendidamente. Ma quale fu la costernazione4 della coppia quando il cavaliere, nel bel mezzo della notte, scese in camera loro pallido e turbato, giurando e spergiuran20 do che in quella stanza c’erano gli spiriti, perché qualcosa che era rimasto invisibile allo sguardo si era alzato da un angolo della stanza, con un rumore come di paglia smossa, aveva attraversato di sbieco la stanza, con passi lenti e interrotti, ma ben udibili, e si era lasciato cadere, fra gemiti e sospiri, dietro la stufa. Il marchese, spaventato, egli stesso non sapeva bene perché, canzonò5 il ca25 valiere con simulata allegria, e disse che si sarebbe alzato immediatamente e, per sua tranquillità, avrebbe trascorso la notte con lui in quella stanza. Ma il cavaliere lo pregò, per cortesia, di consentirgli di pernottare nella sua camera da letto, su una poltrona, e, quando venne il mattino, fece attaccare i cavalli, si congedò e partì. 30 L’incidente, che destò grande scalpore, scoraggiò, con estremo disappunto del marchese, molti compratori. E poiché tra i suoi stessi domestici si diffondeva, in modo strano e incomprensibile, la voce che in quella stanza, a mezzanotte, si muovessero gli spiriti, egli, per metterla decisamente a tacere una volta per tutte, un giorno decise di esaminare egli stesso la cosa la notte seguente. All’im35 brunire fece dunque portare il suo letto in quella stanza, e attese senza dormire la mezzanotte. Ma quale fu il suo sgomento quando in effetti, allo scoccare dell’ora degli spiriti, percepì l’incomprensibile rumore; era come se un essere umano si alzasse dalla paglia, che frusciava sotto di lui, attraversasse di sbieco la stanza e si lasciasse cadere, fra rantoli e lamenti, dietro la stufa. 40 La marchesa, il mattino seguente, gli domandò, appena fu sceso, come si fosse svolta la sua indagine. E, quando egli si guardò intorno, con occhiate incerte e timorose, e, dopo aver chiuso a chiave la porta, le assicurò che i fantasmi c’erano davvero, lei si spaventò come non le era mai successo in vita sua e lo pregò, prima di divulgare il fatto, di tentare un’altra prova, a mente fredda, in 45 sua compagnia. Ma la notte successiva, insieme a un fedele domestico che avevano portato con sé, udirono ancora una volta lo stesso incomprensibile, spettrale rumore. Solo il pressante desiderio di sbarazzarsi del castello a qualunque costo poté far loro reprimere, in presenza del domestico, il terrore che li prese, e attribuire l’incidente a una causa qualsiasi, indifferente e fortuita, che prima o 50 poi si sarebbe scoperta. La sera del terzo giorno, quando entrambi, per venire a capo della cosa, salirono di nuovo, con il cuore che batteva, la scala della camera degli ospiti, il loro cane da guardia, che era stato sciolto dalla catena, si trovò per caso davanti alla porta; tanto che i due, senza dirlo esplicitamente, forse con l’intenzione istintiva 55 di avere con sé un terzo essere vivente, fecero entrare il cane nella stanza. La coppia – due candele sul tavolo, la marchesa senza spogliarsi, il marchese tenendo accanto a sé la spada e le pistole che aveva preso da un armadio – si siede, verso le undici, ognuno sul proprio letto; e, mentre cercano di passare il tempo come possono, facendo conversazione, il cane si corica in mezzo alla stanza, testa 60 e gambe acciambellate, e si addormenta. A mezzanotte in punto, l’orribile rumore si fa udire di nuovo; qualcuno che nessun occhio umano può vedere si alza sulle grucce, nell’angolo della stanza; si sente la paglia frusciare sotto di lui; e al primo passo, tap!, tap!, il cane si sveglia, drizza le orecchie, si solleva di colpo dal 15
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4. costernazione: incredulità, stupore. 5. canzonò: prese in giro.
pavimento e, ringhiando e abbaiando, proprio come se un essere umano venisse passo passo verso di lui, indietreggia verso la stufa. A quella vista la marchesa, con i capelli ritti, si precipita fuori dalla stanza e, mentre il marchese, afferrata la spada, grida: «Chi è là?» e, poiché nessuno risponde, mena fendenti6 in aria come un pazzo, in tutte le direzioni, dà ordine di attaccare i cavalli, decisa a partire immediatamente per la città. Ma, prima che, radunati alcuni bagagli, esca 70 dal portone con fracasso, vede il castello tutto avvolto dalle fiamme. Il marchese, sopraffatto dall’orrore, aveva preso una candela e, stanco della vita, aveva appiccato il fuoco ai quattro angoli dell’edificio, interamente rivestito di legno. Invano la marchesa mandò gente dentro, a salvare l’infelice: era già perito nel modo più miserando, e ancora oggi le sue bianche ossa, raccolte dai contadini, giacciono 75 nell’angolo della stanza dal quale egli aveva fatto alzare la mendicante di Locarno. 65
6. mena fendenti: sferra colpi.
(H. Von Kleist, I racconti, trad. di A. Casalegno, Milano, Garzanti, 1988)
TEM I E T EC N I C H E D E L RACCO N TO Il celebre racconto di Von Kleist offre molti spunti tematici e narratologici, che si spingono al di là della sua superficiale appartenenza al genere gotico della ghost story, così popolare a inizio Ottocento nelle letterature inglese e tedesca. Anzitutto, è l’opposizione comportamentale tra il marchese e la moglie a risaltare agli occhi del lettore: tanto compassionevole è stata la donna nell’accogliere in casa la mendicante malata, quanto crudele e spietato è stato il marchese a costringere quella mendicante a spostarsi altrove, provocandone infine la morte. E proprio questo gesto immorale sarà all’origine di una «replica» dell’incidente e della morte che toccherà infine di subire al marchese, tormentato dal fantasma della mendicante. Non è un caso infatti che il racconto si muova volutamente in fretta, come in una escalation verticale predeterminata quasi da una forza superiore, che porta il marchese a esperire quella stessa fine che lui aveva causato.
PROVA T U Scrivere un incipit Se si rileggono con attenzione le quattro o cinque righe che compongono il lungo incipit del racconto, si vedrà bene come questo inizio, in apparenza così prolisso, contenga invece una serie di informazioni funzionali sia all’ambientazione della storia, sia allo stesso svolgimento narrativo della vicenda. Nell’incipit, infatti, non è contenuta soltanto la localizzazione geografica (siamo a Locarno, al confine tra Svizzera e Italia), ma anche un’indicazione dell’epoca, che dalla menzione del
castello intendiamo essere quella medievale. Peraltro, un salto temporale in avanti ci informa dello stato in cui quei luoghi appaiono in età contemporanea all’autore. Infine, la seconda parte dell’incipit ci introduce a due personaggi chiave: la buona moglie del marchese e la mendicante malata, ospitata a giacere in una stanza del castello. Tenendo a mente l’esempio di incipit offerto da Von Kleist, prova anche tu a cimentarti nella stesura di un incipit complesso in cui potrai rivelare già alcune informazioni importanti
circa l’ambientazione o i personaggi della storia che hai in mente. Dopo aver steso il tuo inizio immaginario di racconto, che dovrà essere lungo 4-5 righe, prova a ridurlo in lunghezza, sacrificando necessariamente qualche informazione. In tal modo, riscrivi il tuo incipit due volte, così da averne sia una versione abbreviata (circa 3 righe), sia una versione ridotta al minimo (1-2 righe), più simile quindi agli incipit fulminanti cui siamo stati abituati dalla narrativa contemporanea.
1. L’incipit 749
2. La linea del tempo La linea temporale degli avvenimenti è una componente essenziale in qualsiasi narrazione. In alcuni generi letterari, tuttavia, diventa ancora più determinante. È questo il caso del giallo, di cui la linea del tempo costituisce sia un vero e proprio luogo comune, sia un’imprescindibile tecnica narrativa. È infatti alla «ricostruzione» degli eventi, e dunque del loro avvicendamento temporale, che si affida il detective del giallo classico. Anche l’autore del noir dovrà prestare particolare attenzione alla linea del tempo, che però risulterà spesso, a differenza di quella del giallo, frammentaria e incongruente, proprio per sottolineare l’ambiguità e la precarietà esistenziale dei personaggi. Non a caso, l’espediente narrativo del flashback trova particolare fortuna nel genere noir, come dimostra anche il racconto di Edna O’Brien precedentemente antologizzato ( p.410). Proprio sul flashback si può fare un’utile pratica di scrittura creativa.
UN TESTO PER ISPIRARTI T3
Paola Masino Terzo anniversario
Nata a Pisa ma vissuta tra Roma e Parigi, Paola Masino (1908-1989) incontrò nel 1927 lo scrittore Massimo Bontempelli, con cui iniziò una relazione professionale e sentimentale fortemente contrastata dal partito fascista. Questo racconto fu pubblicato nel 1946 sulla rivista «Milano Sera». La vicenda narrata è ambientata a Roma nel marzo del 1943, pochi mesi prima della caduta del fascismo, e racconta dell’arresto e del conseguente omicidio da parte dei tedeschi di Adelmo Franceschi, il marito di Dina Speranza, la giovane cameriera della scrittrice, che si ribellerà coraggiosamente di fronte ai nazisti. Paola Masino ricorda questo episodio tre anni dopo la morte di Adelmo, nel «terzo anniversario» della sua scomparsa.
Dina Speranza era stata mia cameriera. Il 20 marzo del 1943 compiva venticinque anni. Ma quando io entrai in salotto, quel giorno, vidi una donna vecchissima1, seduta tra mia madre e mia sorella, e ognuna le teneva una mano carezzandogliela. Io entrai e quella si alzò di colpo e mi si attaccò al collo. 5 Mia madre ripeteva, quasi annunciasse una morte: «Non puoi riconoscerla, non puoi riconoscerla». E mia sorella: «Povera creatura». Davvero quella che mi teneva così stretta non era più una donna, non era più che una creatura. E aveva solo venticinque anni. Era stata Dina Speranza, 10 la più bella ragazza del rione. Io dissi: «Che cosa ti hanno fatto?». «M’hanno preso Adelmo» rispose e senza volere mi guardava aspettando il mio consenso come quando nei tempi passati sollecitava un ordine.
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1. una donna vecchissima: è sempre Dina Speranza, ma il suo aspetto sembra molto invecchiato a causa dello stato d’animo in cui si trova, come leggiamo poco dopo.
Una veduta del borgo medievale di Artena (che oggi fa parte della città metropolitana di Roma).
«Dov’è ora?» domandai. Inutile domandare chi glielo avesse preso; ma speravo ci fosse ancora tempo per farlo fuggire. «Dov’è ora, Dina?» E sapevo dove Adelmo fosse. Dina no, ancora non voleva saperlo. Portava un figlio di Adelmo, nel ventre, e non le pareva possibile che quel figlio, appena 20 concepito, fosse già orfano. Allora mi dice: «L’ho visto stamattina, presto. Mi hanno dato il permesso solo ieri sera, al comando tedesco. Avevo una raccomandazione. Tutta la notte gli ho preparato da mangiare. Pensavo che aveva fame; sono tanti giorni che è là dentro, perché faceva la guardia alle bestie con un moschetto2, che è proibito. M’ero portata 25 una gallina da Artena3, l’ultima che c’era in paese, e gliela ho cucinata come piace a lui. Prima bisogna farla rosolare piano…» si mise a divagare, parlando della sua vita usuale, ritrovava nelle regole casalinghe uno scheletro a reggere l’anima lacerata. Mia mamma le aveva ripreso una mano: mia sorella, bianchissima, mi faceva cenni con le labbra, con le sopracciglia, che mi movessi, che provvedessi in 30 qualche modo a salvare quell’uomo. Ma io dentro già avevo la certezza dell’assassinio; ne aspettavo ora i particolari più dolorosi. Dina Speranza continuava a narrare come aveva fatto cuocere quell’ultima gallina rimastale di tutti i suoi possessi, di tutta la sua famiglia, di tutti i suoi amici di Artena; e c’era un rimpianto tranquillo dentro la sua voce. 35 Ma a un tratto esplose in un grido di estremo laceramento: «Non l’ha voluta mangiare, quella bella pollastra che costava tanti soldi. Ha detto: “Dalla a questo soldato che deve rimanere qui”. Era un tedesco. Allora ho gridato: “Cosa ti accade, marito mio? Dove sei? Dove stai andando? Non vuoi tornare a casa con me? Tenerti in forze? Devi mangiare per sostenerti in questa lunga prigionia”. E 40 lui: “Io sto bene. Dio mi ha fatto la grazia, sono libero. A mezzogiorno aspettami. A mezzogiorno, ecco, sono libero: dalla a loro che rimangono chiusi”. Era già morto, signora. L’hai capito che dentro è già morto? Cristo me l’ha già preso, dentro, perché non soffra troppo quando quegli assassini me lo trucideranno. E così neanche ha potuto mangiare per l’ultima volta, e io ero stata tutta la notte a 45 cucinare per lui». La voce le ritornò di colpo tranquilla, esponeva: «Sono tornata 15
2. moschetto: fucile militare. 3. Artena: è un piccolo comune nella città metropolitana di Roma.
2. La linea del tempo 751