Vacanze in gioco. Narrativa 4

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Daniel Defoe

Robinson Crusoe Illustrazioni di

Giorgio Bacchin

CON AUDIOLIBRO I CLASSICI


© 2017 by Mondadori Education S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.mondadorieducation.it Prima edizione: aprile 2017 Edizioni 10 2020

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Questo volume è stampato da: L.T.V. - La Tipografica Varese S.p.A. (Varese)

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Coordinamento Redazione Impaginazione Copertina Illustrazioni

Maria Cristina Scalabrini Chiara Tricella Silvia Bianchin Silvia Bianchin Giorgio Bacchin

Contenuti digitali Audiolibro

Sidecar Studio, Verona

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Daniel Defoe

Robinson Crusoe Adattamento a cura di Simona Bonariva Illustrazioni di Giorgio Bacchin Apparato didattico a cura di Chiara Tricella

I CLASSICI



Capitolo 1 Partenza e prima tempesta

– Robinson! Ma mi stai ascoltando? – Sissignore! Certo signore! – Mica vero. Figurarsi, come avrei potuto? Mio padre, anziano e severo, mi parlava di regole, di leggi, di numeri, ma io pensavo solo a terre lontane, oceani blu e avventure avventurose. – Come devo fare con te? Mi farai morire di preoccupazione. Vorrei capire cosa ti passa per quella testa matta! Invece d’esser contento d’esser nato qui a York, in Inghilterra, il più civile dei paesi, e per di più da una famiglia benestante, tu te ne stai lì a fantasticare, a cercare il modo di complicarti la vita e inseguire la sfortuna. Il vecchio scosse la testa e mi fece anche pena: come lo capivo! Avere un figlio irrequieto e sognatore, che gran disgrazia per lui che era convinto che starsene tranquilli fosse la ricetta della felicità. In effetti, noi eravamo fortunati: non eravamo come i poveri, obbligati a sudarsi il pane, o come i ricchi, preoccupati di conservare o aumentare le loro ricchezze. civile: sviluppato, moderno. benestante: che non ha problemi di soldi. irrequieto: agitato. sudarsi il pane: guadagnare con molta fatica.

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Noi appartenevamo a quella classe media che possiede abbastanza per vivere senza preoccupazioni, e questa era senz’altro la sorte migliore che potesse toccare a un buon cristiano. Mio padre aveva tentato di farmelo entrare nella zucca innumerevoli volte, senza mai riuscirci. Eppure aveva ragione da vendere! Lo capivo e lo sapevo, ma dopo nemmeno un anno – era il 1651 – mi imbarcai su una nave diretta a Londra. E il mare subito mi accolse con una tempesta che mi parve un segno del cielo per farmi cambiare idea e tornare da mio padre a dire: – Avevi mille volte ragione! I vento, però, cessando all’improvviso, si portò via in un attimo il mio pentimento e mi lasciò a guardare un placido tramonto convinto d’aver fatto la scelta più giusta. Via! Lontano e all’avventura, come avevo sempre sognato.

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classe media: gruppo di persone né ricche né povere. sorte: destino. toccare: capitare. buon cristiano: brava persona. ragione da vendere: proprio ragione. parve: sembrò. placido: calmo, sereno.


Capitolo 2 I pirati del Marocco

Ma la Provvidenza si mise di nuovo al lavoro per dimostrarmi che avevo abbandonato i buoni propositi troppo alla leggera, e scatenò un’altra tempesta ancora più violenta della prima. Onde alte come montagne si abbattevano sulla nostra nave senza sosta e questo è niente al confronto dello spettacolo del capitano e degli altri ufficiali che pregavano Dio di salvare le loro anime: loro, che dovevano averne viste di ogni colore! Allora capii che c’era da preoccuparsi sul serio ed ebbi paura. E infatti la nave imbarcava acqua e affondava a vista d’occhio. Solo per un gran colpo di fortuna una scialuppa mandata da una nave vicina ci portò in salvo sulla riva, compreso me che nel frattempo ero già svenuto varie volte per lo spavento, risultando nell’emergenza di ben poca utilità, come notarono i miei compagni. Questa brutta avventura avrebbe dovuto convincermi a tornare a casa e rinunciare ai miei sogni strampalati, ma purtroppo la mia testa era troppo dura, così raggiunsi lo stesso Londra. Provvidenza: aiuto di Dio. alla leggera: facilmente, senza considerare bene. scialuppa: barca a remi usata per i salvataggi. strampalati: strani, stravaganti.

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Lì rimasi il tempo necessario per farmi amico un onesto Capitano inglese che mi accolse sulla sua nave diretta in Africa. Questo nuovo viaggio servì a fare di me un marinaio esperto e un mercante fortunato. Al ritorno in patria, infatti, mi ritrovai con un bel po’ di soldi e ancor più voglia di viaggiare. Mi imbarcai allora con un altro capitano e feci vela per la Guinea. E qui la Provvidenza decise di darmi un altro segnale: mentre la nostra nave filava verso le Canarie fummo arrembati e sopraffatti da un Pirata del Marocco che ci fece schiavi. A me toccò addirittura d’essere suo schiavo personale, così che fui portato nella sua casa e lì rimasi, trattato bene, non dico di no, ma pur sempre schiavo.

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filava: navigava. arrembati: assaliti. sopraffatti: vinti, sottomessi. schiavi: persona che ha perso la libertà.


Capitolo 3 Schiavitù e fuga

Dopo due lunghi anni di questa vita, riuscii a fuggire a bordo di una barca da pesca, aiutato da un giovane Moresco di nome Xury, che giurò di essermi fedele e seguirmi ovunque. Dirigemmo la barca verso sud per raggiungere l’Africa e il vento e il mare favorevoli ci portarono dopo pochi giorni ad avvistare la terra africana. Per cercare acqua fresca approdammo vicino alla foce di un fiume, ma non riuscimmo a scendere perché si era fatto scuro e i versi orribili di animali sconosciuti ci avevano fatto drizzare i capelli in testa dalla paura. Certo avevamo qualche arma per difenderci, ma eravamo solo in due e quelli sembravano ruggiti di creature mostruose. Il giorno dopo scendemmo a terra per prendere l’acqua, con la paura di incontrare non solo le belve feroci, ma magari anche qualche tribù di selvaggi poco amichevoli. E invece non trovammo nessuno e potemmo riempire le giare. Nei giorni seguenti diverse volte accostammo per prendere acqua e una volta ci imbatteremmo in un leone, enorme e ferocissimo. Moresco: Moro, di religione musulmana. approdammo: accostammo. drizzare: diventare dritti. selvaggi: popolazioni che vivono allo stato primitivo. giare: recipienti di terracotta.

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Senza pensarci su troppo presi tre fucili uno dopo l’altro e gli scaricai addosso tanto piombo da abbattere un intero branco. Riprendemmo a navigare verso Capo Verde, nella speranza, una volta là , di incontrare qualche nave europea che potesse aiutarci. Finalmente, dopo tanto andare senza incontrare nessuno, cominciammo ad avvistare sulla costa dei Neri, che si dimostrarono molto amichevoli regalandoci cibo e acqua. Con questo carico di provviste fresche navigammo altri undici giorni e finalmente arrivammo in vista di quelle che dovevano senz’altro essere le Isole di Capo Verde. Urrah! Subito la fortuna ci fece incontrare una nave portoghese diretta in Brasile, guidata da un capitano gentile e generoso.

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piombo: proiettili. neri: persone di colore.


Il Capitano Portoghese mi accolse a bordo con ogni riguardo, mi trattò da amico e mi diede un sacco di buoni consigli, senza volere nemmeno un soldo per il passaggio. Una volta sbarcato in Brasile, gli vendetti la mia imbarcazione e perfino il mio servo Xury, con la promessa che entro dieci anni il Capitano lo avrebbe liberato se lui fosse diventato cristiano. Con il poco che avevo riuscii a comprare una terra tutta mia e a coltivare canna da zucchero, grazie all’aiuto di un amico del Capitano che mi aveva insegnato come fare: diventai quindi un vero piantatore. Vicino alla mia piantagione abitava un portoghese di Lisbona con il quale diventai subito amico, così che ci aiutammo a vicenda a far crescere le nostre coltivazioni e diventammo soci. Ogni cosa andava per il meglio, gli affari prosperavano, ma io non ero contento, perché facevo tutto il contrario di quello che amavo: stavo fermo quando avrei voluto viaggiare, conducevo una vita fin troppo tranquilla quando avrei voluto l’avventura. Mi pareva che, per vivere così, tanto valeva stare in Inghilterra con mio padre e mia madre! Non mi sentivo dunque felice e mi sembrava d’esser come un naufrago in una terra desolata, visto che non avevo amici, ma solo quel vicino portoghese. piantatore: chi possiede una piantagione. piantagione: terreno coltivato con piante dello stesso tipo. prosperavano: crescevano. desolata: deserta, solitaria.

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Non sapevo ancora che, dopo non molto tempo, avrei rimpianto quella condizione che allora mi pareva così noiosa e solitaria. Volendo comunque ingrandire la mia proprietà ne parlai col Capitano Portoghese, che faceva avanti e indietro tra il Brasile e Londra, e lui si offrì di portarmi i soldi che avevo lasciato là in custodia alla vedova del Capitano Inglese, il mio primo grande amico che nel frattempo era morto. Io accettai con gratitudine e così il Capitano Portoghese portò dall’Europa i miei soldi, e in più merci e attrezzi che mi furono utili per la mia attività. Comprò inoltre uno schiavo che potesse aiutarmi nel lavoro dei campi. Dalla vendita delle belle merci europee ricavai molti soldi che mi servirono a comprare un altro schiavo e ad assumere un servitore europeo. Insomma, ormai avevo una certa posizione, ben superiore a quella del mio vicino, tanto per dire, ed ero diventato un uomo molto benestante. Purtroppo, però, spesso siamo i peggiori nemici di noi stessi e non sappiamo fare buon uso della fortuna che ci è toccata in sorte. Invece di essere contento della mia prosperità, tornai a sognare di correre per il mondo e inseguire la mia sfortuna, come avrebbe detto mio padre.

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in custodia: sotto il controllo di... rimpianto: ricordato con nostalgia perché perdute. gratitudine: riconoscenza. prosperità: ricchezza, benessere.


Capitolo 4 Proposta di un nuovo viaggio

Abitavo in Brasile ormai da quattro anni, fin troppi nello stesso posto per i miei gusti, e avevo stretto amicizia con altri piantatori come me e con dei mercanti. Mi capitò, mentre chiacchieravo con loro, di parlare dei miei precedenti viaggi e di quello che avevo visto lungo le coste africane. Ad esempio di come fosse possibile, in quelle terre, comprare a poco prezzo non solo merci preziose, ma anche schiavi Neri. – Pensate quanti buoni lavoratori da portare in Brasile! – dicevo ai miei amici, che ascoltavano con tanto interesse, che un giorno tre di loro vennero da me per farmi una proposta segreta. Mi chiesero di guidare una tratta di schiavi tra il Brasile e la Guinea, ma di nascosto, visto che per quel tipo di commercio ci sarebbe voluto il permesso dei re di Spagna e del Portogallo. In cambio io avrei avuto una parte di schiavi senza spendere un soldo. Era una cosa rischiosa, ma dato che, come ho detto, ho la zucca dura e nessun buon senso, accettai con entusiasmo andando incontro (ancora non lo sapevo!) alla piĂš completa rovina.

tratta di schiavi: approfondimento a pagina 64. rovina: cadere in disgrazia.

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Ci imbarcammo – il 1 settembre 1659 – io, un capitano, un mozzo e altri quattrodici uomini di equipaggio, portando perline, specchietti e altre chincaglierie utili per commerciare coi Neri. Dopo alcuni giorni di navigazione tranquilla, ecco arrivare il primo guaio: un uragano spaventoso si scatenò per molti giorni consecutivi, lasciandoci in balia dei venti furiosi. Perdemmo ogni orientamento e ben presto anche la speranza di sopravvivere, qualcuno finì sbalzato fuori bordo dalle tremende ondate, qualcuno morì di febbre, ma verso il dodicesimo giorno il vento calò un poco e quelli di noi rimasti vivi si ritrovarono a guardare le coste della Guyana, vicino al Rio delle Amazzoni. Decidemmo di far rotta verso le Barbados, perché non era certo possibile intraprendere il viaggio verso l’Africa con la nave ridotta in quelle condizioni. Ma non avevamo fatto molta strada che una nuova tempesta ci investì con un impeto tale da sbatterci a furia di ondate su un banco di sabbia, dove la nave si arenò in malo modo. Sciagura! L’equipaggio, e anche io a dire il vero, era terrorizzato: non sapevamo dove fossimo, né quanto avrebbe potuto resistere la nave all’assalto dei venti e delle onde prima di sfasciarsi in mille pezzi.

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mozzo: giovane marinaio. lasciandoci in balia: senza poter fare nulla. ci investì: ci colpì. impeto: forza. a furia: a forza di. si arenò: si incagliò. sciagura: disastro.


Dovevamo abbandonarla al piĂš presto, ma come? Come?! Avevamo una sola scialuppa senza vela e la calammo in mare ben sapendo che era un tentativo disperato: infatti non era possibile governare una barca come quella in quel mare tempestoso e assassino. Solo Dio poteva salvarci!

calammo: facemmo scendere.

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Capitolo 5 L’unico sopravvissuto

Cominciammo a remare come pazzi verso terra, col cuore in gola e un piccolissimo, barlume di speranza. Ma, mentre ci avvicinavamo, la terra ci apparve più pericolosa del mare: ci saremmo senz’altro schiantati sulla costa! E infatti un’onda più gigantesca delle altre si alzò alle nostre spalle, rotolò come una frana e ci avviluppò tra le sue spire, capovolgendo la barca e scagliando ognuno di noi in una direzione diversa. Io fui sbalzato e inghiottito dal mare e mentre andavo a fondo nell’acqua buia per un lungo momento mi fu impossibile respirare. «Son morto!» pensai amaramente, ma in quell’attimo l’onda mi riprese e mi spinse verso riva. Io capii che mi ero avvicinato a terra e cominciai a lottare con le onde che arrivavano una dietro l’altra, spingendomi avanti per poi risucchiarmi indietro, e questo orrendo balletto durò tanto da farmi quasi scoppiare il cuore.

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barlume: segno, accenno. schiantati: distrutti. avviluppò: avvolse. spire: spirali.


Finalmente un’ultima ondata mi scaraventò contro uno spuntone di roccia al quale mi aggrappai con le ultime forze che mi rimanevano. Aspettai che altre onde mi passassero addosso e finalmente, approfittando di una piccola pausa del mare, corsi fino a riva dove caddi sfinito. Quando mi resi conto d’esser veramente salvo, ringraziai Dio con tutta la mia anima e cominciai a camminare su e giù per la riva facendo gesti disordinati. Ero così contento d’esser vivo! Ma mi sgomentò scoprire che ero il solo ad essersi salvato, essendo i miei compagni tutti morti annegati. Mi assalì una forte disperazione: mi ero salvato dal naufragio, è vero, ma ora? Senza cibo, senza acqua, senza vestiti né armi, senza niente insomma, che fine avrei fatto? Ero desolato e impaurito e per di più si stava facendo buio. Con la notte, si sa, arrivano le bestie feroci, quindi decisi di salire su una specie di pino che cresceva vicino alla riva. Lì sopra sarei stato al sicuro almeno per la notte, l’indomani avrei pensato al resto. Quando il giorno dopo mi svegliai la luce era chiara e l’uragano sembrava non esserci mai stato da quanto il cielo era limpido. Il mare pareva addirittura amichevole, liscio e tranquillo com’era. Fu una magnifica sorpresa allora vedere che la nave era rimasta arenata dove l’avevo lasciata e che la tempesta non l’aveva spazzata via. mi sgomentò: mi terrorizzò. arenata: incagliata.

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Calcolai che fosse a circa due miglia alla mia destra, con in mezzo un braccio di mare che rendeva difficile raggiungerla. Tuttavia dovevo provare, perché a bordo potevano esserci cose indispensabili alla mia sopravvivenza. Così mi gettai in acqua e riuscii ad avvicinarmi non senza grande fatica. Una volta arrivato ancor più difficile fu trovare il modo di salire, perché si era incastrata nella sabbia in modo che la prua era impennata verso l’alto e non c’era nulla a cui aggrapparsi. Feci il giro tutto intorno due volte, quando notai una fune che penzolava dalla catena dell’albero e mi ci appesi tirandomi su a forza di braccia. Una volta a bordo scoprii che una buona parte della nave non era stata devastata dall’acqua. Le provviste, il mio primo pensiero, erano intatte: trovai gallette, pane, riso, formaggio d’Olanda, carne secca di capra e un po’ di grano, orzo e frumento. E poi liquori e perfino zucchero. Ero così contento che non mi fermai nemmeno per mangiare qualcosa, anche se morivo di fame. Sapevo bene, infatti, che dovevo fare presto: prima che arrivasse magari un’altra tempesta o si alzasse la marea dovevo portare a terra più roba possibile. Ma come?

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m . iglia: unità di misura di lunghezza. prua: parte anteriore di un’imbarcazione. impennata: alzata. intatte: intere, senza danni.


Capitolo 6 Il bisogno aguzza l’ingegno Oh, avessi avuto una barca! Ma la scialuppa su cui ero scappato era andata distrutta, così mi guardai intorno e, vedendo vari pennoni e alberi schiantati dalla tempesta, li raccolsi e li calai in mare, tenendoli perché la corrente non li portasse via. Poi scesi in acqua e li radunai legandoli forte tra loro, appoggiandoci sopra alcune plance da ponte per poterci camminare come una specie di zattera. La rinforzai con altri pali e altro legno finché non fu così robusta da sopportare un bel po’ di peso. La guardai soddisfatto: non avevo mai costruito una zattera prima e non sapevo di poterlo fare. Ma il bisogno è un potente alleato e ci spinge a fare cose straordinarie che in condizioni normali non faremmo mai. Per prima cosa pensai a caricare il cibo. Mi diedi da fare, ma ci volle tempo e mentre ancora lavoravo notai che la marea stava cominciando a salire. Presi allora qualche vestito, degli attrezzi dal baule del carpentiere rimasto intatto e alcune armi con la polvere da sparo. Basta, non ci stava proprio più niente e inoltre non sapevo nemmeno come fare per spingere la zattera fino a riva. Per fortuna il mare era calmo e la marea spingeva verso terra. radunai: riunii insieme. plance: ponti di comando di una nave. alleato: amico. carpentiere: marinaio specializzato in lavori di falegnameria.

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Così presi dei remi rotti e mi misi a remare come meglio potevo. Mi avvicinai a riva e quando sentii che la barca si spostava un po’ da sola sotto di me intuii che c’era una corrente e dunque doveva esserci un fiume. E infatti trovai una specie di foce, dove la mia zattera però per poco non si ribaltò per via della corrente troppo forte. Si era incagliata in un banco di sabbia e si era alzata da una parte, tanto che dovetti puntellarmi a terra con un remo per non rischiare di perdere il carico e rimasi così ad aspettare, nella speranza che la marea salendo ancora disincagliasse la zattera. E così infatti avvenne: l’acqua sollevò la zattera facendola galleggiare, così potei spingerla dentro l’insenatura fino allo sbocco di un piccolo torrente, dove decisi finalmente di sbarcare. Era un posto riparato, ma anche in vista del mare, caso mai fosse passata qualche nave a cui chiedere soccorso.

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intuii: capii. puntellarmi: fissarmi, agganciarmi.


Capitolo 7 Prima perlustrazione dell’isola

Messa la zattera al sicuro, decisi di cercare un posto adatto dove abitare: non sapevo nulla di dov’ero finito, se fosse un’isola o un continente, se fosse un posto abitato o deserto, se ci fossero o meno belve pericolose. Avvistai una collina e, dopo aver preso delle armi per precauzione, ci salii per vedere la terra dall’alto. Quando la vidi però mi prese lo sconforto: mi trovavo su un’isola, col mare da ogni parte, senza segni di civiltà o abitazioni, un’isola selvaggia dunque, presumibilmente abitata da animali feroci. Sparai a un uccello, sperando di poterlo mangiare, ma scoprii che aveva la carne troppo dura e allora tornai alla mia zattera, per scaricarla. Mi costruii poi una specie di tana, difendendomi dietro ai bauli e alle plance che avevo portato e mi misi a dormire, perché ormai era diventato buio. Il giorno seguente mi misi subito al lavoro per andare a recuperare altre cose utili dalla nave, prima che il mare se la portasse via. Stavolta fui molto più veloce a costruire una zattera, poiché ormai sapevo come fare.

precauzione: prudenza. sconforto: disperazione. presumibilmente: probabilmente.

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Riuscii quindi a prendere una quantità di cose utilissime: sacchi di chiodi, accette, una mola per affilare le lame, e poi ancora armi e pallini da moschetto, oltre a pezzi di vela, corde, un’amaca e qualche cuccetta, più tutti i vestiti che riuscii a trovare. Tornai a terra senza problemi con il mio preziosissimo carico e mi misi subito a costruire una tenda con la vela e dei pali che avevo preso all’ultimo momento. Sotto la tenda radunai tutti i miei tesori per tenerli al riparo dalla pioggia e dal sole e poi barricai la porta della tenda con bauli e barili e con delle casse vuote, stesi a terra una cuccetta e, con accanto un fucile, mi addormentai sfinito ma piacevolmente soddisfatto del mio ottimo lavoro. Nei giorni successivi andai a bordo della nave incagliata altre nove volte, ogni volta riportando oggetti interessanti. Innanzitutto corde di ogni lunghezza e misura, poi tutti i ferri di varie forme che potei strappare dalla chiglia e dagli arredi, le vele dalla prima all’ultima, tagliandole a strisce per trasportarne il più possibile. E ancora liquori, forbici, rasoi, coltelli e forchette. L’ultima volta trovai perfino delle monete d’oro e mi venne da sorridere amaramente: quel denaro, che in un altro momento mi sarebbe sembrato la cosa più preziosa, adesso era perfettamente inutile. Mi venne da pensare che gli uomini danno importanza alle cose sbagliate e fui tentato di lasciarlo

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mola: macchina per levigare, affilare le lame. pallini da moschetto: munizioni per le armi da fuoco. chiglia: trave lunga quanto l’imbarcazione nella parte sommersa della nave.


lì, ma poi cambiai idea e lo avvolsi in un pezzo di carta insieme con altri oggetti ben più importanti. Mentre prendevo tutte queste cose mi accorsi che il vento stava cambiando velocemente e stava per arrivare la pioggia. Non c’era tempo per costruire una zattera, quindi mi tuffai direttamente in mare nuotando a gran fatica per via del peso che mi trascinavo dietro e arrivai a terra appena un momento prima che si scatenasse un uragano. Al riparo nella mia tenda, però, la burrasca non mi faceva paura, mi sentivo al sicuro in mezzo alle mie ricchezze e passai la notte dormendo saporitamente. Quando al mattino guardai fuori vidi che la nave era sparita, spazzata via dal mare e dal vento. Non ne fui troppo turbato perché me lo aspettavo, anzi, mi sentivo bravo e fortunato per aver recuperato in tempo tutto il possibile e non ci pensai più.

saporitamente: di gusto. turbato: colpito.

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Capitolo 8 Robinson fa il trasloco

Sparita la nave, il mio pensiero si concentrò sul problema della sicurezza. Ero sempre preoccupato sia per eventuali selvaggi sia per le bestie feroci. Pensai di cercare una grotta o costruire una tenda più solida e decisi di spostarmi da quel primo luogo che avevo scelto perché mi pareva troppo vicino all’acqua stagnante, che era malsana. Mi serviva un posto vicino all’acqua fresca, riparato dal sole, protetto in modo naturale e sempre in vista del mare, poiché non avevo abbandonato la speranza che qualche nave passasse di lì. Cercai a lungo un luogo che riunisse tutte queste caratteristiche e lo trovai in un piccolo pianoro ai piedi di una collina rocciosa, dove una parete quasi verticale della collina stessa forniva protezione in modo che nessuno, uomo o animale, avrebbe mai potuto attaccarmi dall’alto e da dietro. Su questa piana verde, che digradava dolcemente verso il mare, decisi di piantare la mia tenda definitiva. Prima ancora di montarla costruii tutto intorno un recinto piantando pali e legandoli con

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malsana: che fa male alla salute. pianoro: piano. digradava: si abbassava.


i forti cavi recisi a bordo della nave. Risultò alla fine una barriera difficile da superare da uomini o animali male intenzionati. Per entrare in questo recinto non feci una porta, ma misi una scala con la quale poter scavalcare e, una volta all’interno, ritirare dietro di me. Così barricato sentivo di poter vivere e dormire tranquillo. Portai ogni cosa dentro al recinto e finalmente alzai una tenda fatta di tela doppia e catramata per renderla impermeabile. Misi lì tutte le provviste e tutto ciò che poteva guastarsi con l’umidità, compresa la polvere da sparo che divisi in piccoli sacchetti nascosti in posti diversi, affinché non prendessero accidentalmente fuoco tutti insieme, magari colpiti da un fulmine o per via di un altro imprevisto. Infine presi a scavare la parete di roccia per ricavare una specie di grotta che potesse servire da ripostiglio e cantina. Mentre ero occupato in tutti questi lavori uscivo almeno una volta al giorno per andare a caccia. Scoprii che nei dintorni c’erano delle capre, ma purtroppo si rivelarono subito animali paurosi e veloci, così che non mi era possibile avvicinarle senza che scappassero. Osservando le loro abitudini però scoprii che per la posizione dei loro occhi la loro vista era rivolta verso il basso, così che non potevano vedere facilmente gli oggetti posti sopra di loro. recisi: tagliati. barricato: sbarrato, difeso. catramata: ricoperta di catrame. accidentalmente: per caso.

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Di conseguenza adottai la tattica di arrampicarmi sulle rocce e avvicinarmi dall’alto e in questo modo riuscii ad abbatterne qualcuna. E così passavano i giorni e io, tutto preso da mille occupazioni per sopravvivere, solo di rado potevo pensare alla mia triste situazione. In certi momenti mi prendeva lo sconforto di vedere come mi ero ridotto: solo, su un’isola sperduta e lontana dalle rotte di navigazione, che avevo battezzato Isola della Disperazione, senza alcuna speranza di rivedere un giorno la civiltà. Ma poi mi venivano in mente i miei compagni della nave, tutti morti, e pensavo «non hai il diritto di lamentarti, tu almeno sei ancora vivo! E hai provviste e tutto quel che serve per vivere sicuro e perfino comodo, cosa pretendi di più?» E così i miei stati d’animo si alternavano, mentre continuavo a rendere la mia casa sempre più solida e sicura. Mi venne anche in mente che avrei ben presto perso la nozione del tempo, e questo non lo volevo davvero. Così piantai sulla riva dove ero arrivato una grossa croce fatta di pali di legno incrociati, e ci scrissi sopra con il coltello: sbarcato il 30 settembre 1659, e di lì in avanti segnai una tacca corta per ogni giorno che passava e una più lunga per le settimane e i mesi. In questo modo potevo tenere conto del tempo che passava.

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adottai: utilizzai. ridotto: in quale brutta situazione fossi. rotte: tragitti, percorsi. nozione: percezione, conoscenza.


Tra le cose recuperate dalla nave c’erano pure alcuni libri, tre bibbie, qualche testo in portoghese e poi penne, inchiostro e carta. Proprio grazie alla carta e all’inchiostro potei annotare con precisione tutto quello che facevo e che mi capitava, e smisi solo quando finì l’inchiostro perché, nonostante tutti i miei sforzi, non fui capace di produrne di nuovo. A questo proposito mi vien da osservare che benché avessi recuperato dalla nave molte cose utili, come ho più volte detto, molte invece risultarono mancarmi: ad esempio altro inchiostro, appunto, ma anche ago e filo, pale e picconi, altri strumenti che avrebbero reso più veloce il mio lavoro. E infatti ci misi molto tempo a ultimare ogni cosa e a finire la mia casa e, d’altra parte, non è che avessi tanto altro da fare.

annotare: prendere nota, segnare.

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Capitolo 9 Inventario dei beni e dei mali

Poiché avevo molto tempo per pensare, dunque, decisi di fare una sorta di inventario scritto delle mie pene e delle consolazioni, e quel che ne venne fuori fu che, in ogni condizione, anche la più miserevole come la mia, c’era sempre qualche lato positivo. Ero solo, tagliato fuori dal mondo e praticamente indifeso, è vero, ma ero vivo, in un clima caldo e in un ambiente non troppo ostile, dotato di mezzi per provvedere a me stesso finché avessi vissuto. E tutto grazie al buon Dio che mi aveva non solo salvato dal naufragio, ma fatto trovare sulla nave tutto quel che serviva, o almeno un bel po’ di roba. Magari, Dio avrebbe anche potuto in seguito portarmi via dall’isola, ma per ora non stavo poi tanto male. Grazie a questi ragionamenti cominciai a guardare meno spesso il mare per avvistare navi e mi concentrai sul migliorare il più possibile la vita nella mia nuova casa.

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inventario: lista. miserevole: miserabile, penosa. tagliato fuori: isolato. indifeso: attaccabile. ostile: inospitale. provvedere a me stesso: occuparmi delle mie esigenze, come mangiare e bere.


Così mi diedi da fare per mettere ordine, allargare la grotta fino a ottenere un’uscita in alto, dall’altra parte delle collina, ricavando una sorta di passaggio segreto e altro spazio per le mie cose. Inoltre mi ingegnai per costruirmi dei mobili e dopo tanta fatica e tanto lavoro costruii un tavolo, una sedia e delle mensole, io che non avevo mai fatto un lavoro del genere in vita mia. E costruii pure degli attrezzi che mi mancavano, come una pala fatta con il legno dell’albero del ferro, rudimentale ma efficace, e dei picconi ricavati dagli arpioni della nave. E così imparai che l’uomo, essendo dotato di ragione, può apprendere col tempo, e specie se è spinto dalla necessità, a fare qualsiasi cosa. Ci vollero applicazione e costanza, ma mi resi conto che non c’era quasi cosa che non potessi costruire, infatti ricavai tutto quello che mi occorreva per rendere ordinata e accogliente la mia dimora, e alla fine fui molto soddisfatto e felice. Da operaio maldestro ero diventato un perfetto artigiano, ma chiunque, nella mia stessa condizione, lo sarebbe diventato, ne ero sicuro.

ingegnai: impegnai, sforzai. rudimentale: elementare, semplice. arpioni: ganci. applicazione: impegno. maldestro: impacciato, poco capace.

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Capitolo 10 La vita di ogni giorno

Dopo un po’ di tempo che abitavo l’isola mi venne spontaneo regolare le mie giornate secondo orari e attività precise, in modo da impiegare al meglio il mio tempo. Il mattino uscivo per cacciare, poi lavoravo alle mie cose sino alle undici, a mezzogiorno mi fermavo per il pranzo e per il riposo e verso sera mi mettevo ancora al lavoro. Avevo notato che avere un ritmo costante e regolare mi aiutava a stare meglio e a non sentirmi spaventato. Se non pioveva, come ho detto, uscivo a caccia ogni giorno e abbattevo quasi sempre un animale. A volte li mangiavo, a volte erano così duri che dovevo rinunciare, ma sempre tenevo le loro pelli. Una volta mi capitò di incontrare persino delle foche, ma riuscirono a sfuggirmi precipitandosi in mare. Un’altra volta azzoppai una capra e siccome mi dispiaceva per lei, la portai a casa per steccarle e curarle la zampa.

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spontaneo: naturale. abbattevo: uccidevo. steccarle: fasciarle.


Ebbene, feci un così buon lavoro che la capra guarì perfettamente e rimase come addomesticata a pascolare sul piano erboso davanti alla mia tenda. Mi venne allora l’idea che avrei potuto allevare qualche animale, anche per avere da mangiare quando avessi finito la polvere da sparo. Così passai da cacciatore ad allevatore, aiutato in questo dal cane che si era salvato con me dal naufragio. A proposito! Con tutto quello che mi urgeva raccontare, ho sempre dimenticato di dirlo, ma insieme a me si erano salvati un cane e due gatti, che mi facevano almeno un poco di compagnia. Nonostante tutto il tempo passato sull’isola non avessi mai avvistato bestie pericolose, continuavo a non essere tranquillo. Decisi allora di aumentare la protezione del recinto di pali con una trincea scavata tutto intorno e un terrapieno di zolle che la mimetizzava un po’ dall’esterno. In questo modo nessuno, passando di lì, si sarebbe potuto accorgere che oltre quel bastione erboso, addossata alla parete rocciosa sul fondo, ci fosse un’abitazione. Costruire questa specie di fortificazione richiese mesi di lavoro, anche per via delle piogge torrenziali che mi si rovesciavano addosso quasi ogni giorno, ma ne valse la pena perché finalmente mi sentivo al sicuro. trincea: fossa. terrapieno: rialzo, riparo. bastione: argine. addossata: appoggiata.

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Capitolo 11 Cacciatore ma anche agricoltore

Durante quei mesi di lavoro mi capitò di trovare, frugando tra le mie cose, un sacchetto che aveva contenuto delle granaglie per galline e, siccome mi serviva, lo svuotai delle briciole e della polvere di cereali che aveva sul fondo. Il caso volle che lo scrollassi in un punto riparato dal sole diretto, evidentemente propizio. Fatto sta che dopo qualche tempo, e anche grazie alle piogge abbondanti che erano cadute nel frattempo, una mattina mi accorsi che erano spuntati dei germogli di una pianta che mi pareva sconosciuta. Ma dopo qualche giorno, sorpresa! Mi resi conto che erano spighe di vero orzo inglese! E non era tutto, perché di fianco c’erano anche delle piantine di riso! Lì per lì pensai si trattasse di un miracolo, perché non ricordavo di aver scosso in quel punto il sacchetto di granaglie, ma anche quando mi venne in mente, mi parve comunque un’opera della Provvidenza, visto quanto era improbabile che delle piantine non coltivate potessero crescere in quel modo. Subito misi da parte alcuni semi per poterne piantare ancora e quello fu l’inizio della mia attività di agricoltore.

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frugando: cercando. propizio: adatto.


Mi ero dunque messo al sicuro dall’assalto di eventuali nemici, uomini o animali, ma non solo quello avrei dovuto temere, perché un grosso spavento mi venne da un evento più terrificante che non avevo davvero previsto. Un giorno che ero affaccendato nella mia grotta, di colpo la terra cominciò a franare: sembrava che l’intera volta di pietra volesse crollarmi addosso. Allora scappai fuori e capii che si trattava del Terremoto!

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Le rocce si staccavano e cadevano dalle pareti della collina e perfino dalle scogliere a picco sul mare, piombando nell’acqua con enorme fragore e io rimasi impietrito a guardare quello spettacolo orrendo, sentendomi completamente perduto. Temevo infatti che le scosse violente avrebbero distrutto tutto quello che avevo costruito e avrebbero inghiottito ogni cosa. Rimasi sdraiato, paralizzato dal terrore per molti minuti, con i tremiti potenti che continuavano a scrollare la terra sotto e intorno a me. Mentre ero così prostrato, il cielo divenne nero di nuvole e subito si scatenò un uragano che prese a sradicare gli alberi sulla riva e a sollevare dal mare onde alte come palazzi. Io restai sdraiato senza riuscire a muovere un muscolo, e così rimasi per tre ore sotto la furia dell’uragano. Quando la pioggia e il vento cominciarono a diminuire riuscii ad alzarmi e a raggiungere la grotta, anche se ero preoccupato che potesse arrivare ancora qualche scossa che me l’avrebbe fatta franare in testa. Fu allora che decisi che se in quell’isola venivano i terremoti, avrei dovuto spostare la mia casa, perché un pianoro ai piedi di una parete rocciosa non era proprio un posto sicuro.

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fragore: rumore intenso, molto forte. tremiti: scosse. prostrato: sdraiato.


Capitolo 12 Inventore e pescatore

Deciso a realizzare il progetto di spostare la casa, mi rimisi al lavoro, ma purtroppo le asce e le accette che avevo usato fin lì erano ormai tutte smussate e sdentate. Dovevo trovare il modo di affilarle. Avevo una ruota di pietra per arrotare, però non riuscivo a farla girare contemporaneamente tenendo in mano le lame, così pensai di attaccarci un cordone per muoverla con un piede: funzionò! Avevo costruito la mia prima macchina e ne ero veramente orgoglioso, anche perché, non avendo mai notato niente di simile in Inghilterra, mi pareva di averla inventata io. Nonostante fossi preso in questi lavori, tornavo spesso alla spiaggia per scrutare il mare e anche pescare un po’. Mi ero costruito infatti una grande lenza con il filo di canapa e con quella riuscivo a prendere abbastanza pesce da variare la mia dieta, aggiungendo alla mia attività di cacciatore, allevatore e agricoltore pure quella di pescatore.

smussate: arrotondate, non erano più taglienti. arrotare: affilare. scrutare: osservare con attenzione.

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Un giorno che guardavo la spiaggia, poco dopo il terremoto, notai qualcosa che attirò la mia attenzione: il relitto della nave prima mezzo sepolto nella sabbia, sporgeva di un bel po’, il terremoto lo aveva sollevato. Mi venne dunque l’idea di andare a vedere se per caso potevo prendere ancora qualcosa. E difatti smantellai quel che rimaneva del ponte e della prua, recuperando pannelli e pali di legno, pezzi di piombo, viti, chiodi e ferro tanto da poterne costruire un battello, se solo avessi saputo come fare.

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relitto: rottame. smantellai: smontai.


Ma, forse per via della pioggia che aveva cominciato di nuovo a cadere lasciandomi fradicio, purtroppo mi capitò un’altra disgrazia. Cominciai infatti a sentirmi male: la pioggia mi pareva gelida ed ero scosso dai brividi, cosa che in quel clima torrido mai mi era capitata prima. Caddi malato, incendiato dalla febbre che mi tolse ogni forza per molti giorni. Ero così spossato che non riuscivo ad alzarmi dal letto nemmeno per bere e raggiunsi uno stato di completa disperazione. Mi parve più chiaro che mai che ero del tutto solo e che se le forze mi fossero mancate nessuno avrebbe potuto soccorrermi, sarei morto così, in un ben miserabile modo. Mi sentii perduto e nel delirio della febbre mi assalirono pensieri cupi e perfino incubi. Cominciai a riflettere sul perché mi capitassero sempre tante disgrazie, e arrivai alla conclusione, per la prima volta, che forse era Dio che voleva punirmi per la mia condotta senza rispetto. Avevo abbandonato la casa del padre, disobbedito alla sua volontà, non ascoltato i suoi consigli, disprezzato la condizione felice in cui ero nato per inseguire solo i miei desideri e i miei istinti.

.fradicio: molto bagnato. incendiato: molto caldo per la febbre. spossato: senza forze, debole. soccorrermi: aiutarmi. cupi: bui, tristi. condotta: comportamento.

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Inoltre, tutte le volte che mi erano capitate sciagure, mai avevo mostrato pentimento o comprensione dei miei peccati, né d’altra parte gratitudine ogni volta che ero stato salvato dalla Provvidenza. Insomma, non c’era da meravigliarsi che Dio intendesse punirmi per le mie numerose colpe: dovevo al più presto pentirmi e avvicinarmi a lui. La febbre durò molti giorni, ma in un momento di lucidità riuscii a prendere del rum e del tabacco, ricordando che in Brasile il tabacco veniva usato per guarire molti malanni. Lo provai in tutti i modi: ne masticai le foglie, lo lasciai a macerare nel rum per poi bere la bevanda così ricavata, lo bruciai per aspirarne i fumi. Tutte queste pratiche, anziché uccidermi, mi fecero cadere in un sonno profondo che durò almeno due giorni e dal quale mi risvegliai completamente guarito. Questo mi rese ovviamente felicissimo, ma anche grato a Dio, perché anche da questo pericolo mi aveva salvato. Corsi a prendere quelle bibbie che avevo recuperato dalla nave e decisi di leggerne un passo ogni mattina e ogni sera e imparai a pregare davvero, come non avevo mai imparato a fare nonostante gli sforzi del mio povero padre. Così, mentre le mie condizioni materiali rimasero le stesse, quelle morali migliorarono molto, perché nella lettura della Bibbia e nella preghiera trovai molte consolazioni che prima mi erano sconosciute.

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gratidudine: riconoscenza.


Capitolo 13 Il resto dell’isola

Erano ormai passati 10 mesi da quando ero arrivato sull’isola e sentii che era arrivato il momento di esplorarla ancora per vederne le altre parti. Così cominciai le spedizioni che mi fecero scoprire luoghi molto più belli di quello dove avevo costruito la mia casa. In particolare trovai una valle così meravigliosa, ricca di alberi e di frutta, verde e rigogliosa da sembrare un giardino artificiale. Qui vidi tabacco e canna da zucchero, piante di aloe e molte altre piante sconosciute, e raccolsi meloni e uva, trovando il modo di farne seccare una parte da tenere come scorta per la stagione delle piogge. La valle mi piacque a tal punto che decisi di allestire una tettoia e una capanna per passarci qualche giorno, come una seconda casa di villeggiatura. A metà agosto, però, cominciò la stagione delle piogge e dovetti tornare nella mia grotta perché era impossibile stare all’aperto. Passai interi giorni senza uscire, salvo brevi spedizioni per procurare qualcosa da mangiare. Intanto era arrivato l’anniversario del mio arrivo, il 30 settembre, e decisi di passare tutto il giorno nel digiuno e nella preghiera. rigogliosa: lussureggiante, folta. allestire: preparare.

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In quell’anno passato sull’isola avevo imparato il ritmo delle stagioni secche e piovose, in questo modo riuscendo a programmare al meglio le mie attività. Durante la stagione secca infatti andavo molto in giro e stavo spesso presso la mia casa di campagna, quella nella bella valle, mentre nelle stagioni piovose stavo quasi tutto il tempo in casa e costruivo oggetti che mi servivano. Grazie all’esperienza stabilli anche il periodo migliore per seminare i miei grani, riuscendo alla fine a ottenere buoni raccolti, dopo averne persi alcuni. Imparai anche a difendere le mie coltivazioni da capre, lepri e uccelli costruendo recinti e spaventapasseri. Inoltre, cosa molto complicata in verità, riuscii anche a trovare il modo di ricavare dai grani la farina per fare il pane e mi ingegnai a intrecciare giunchi per fabbricare panieri e cesti. Infine, poiché sentivo molto la mancanza di recipienti per liquidi e pentole per cucinarmi brodi e minestre, riuscii a produrre, dopo molti tentativi e fallimenti, dei vasi e delle pentole di terracotta, che mi resero particolarmente orgoglioso. Intanto non m’era passata la voglia di esplorare le zone più lontane e, anzi, di vedere l’altro versante dell’isola, così un giorno partii armato di moschetto e pieno di provviste e raggiunsi la parte opposta, arrivando al mare. Questa parte di isola era più bella e ricca di animali; catturai perfino un bel pappagallo e un capretto, ma, nonostante

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giunchi: piante il cui fusto può essere intrecciato.


questo, non mi venne voglia di traslocare perché ormai mi ero affezionato alla mia casa. Giunto alla spiaggia avvistai di fronte e non troppo lontano una Terra che attirò la mia attenzione, perché poteva anche essere il continente americano. Nel tornare a casa persi la strada e vagai molti giorni senza sapere dov’ero, tanto che quando finalmente riuscii a orientarmi e a ritornare alla mia dimora decisi che non sarei più andato così lontano per tanto tempo, perché lì ci stavo proprio bene.

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Capitolo 14 Il giro dell’isola via mare Ma nonostante mi fossi ambientato e non mi mancasse proprio niente, la Terra che avevo visto dalla spiaggia mi tornava sempre in mente e mi fece venire la voglia di andarmene, di tentare la fortuna. Mi misi allora a costruire una piroga. Mi ci vollero mesi di duro lavoro, e quando finii mi resi conto che l’avevo fatta troppo grande e non ci fu verso di portarla fino al mare. Allora, dopo un bel po’, ci riprovai e ne feci una più piccola che riuscii a mettere in acqua. Certo, con quella non potevo sperare di raggiungere la Terra che avevo visto, ma almeno potevo tentare di fare il giro dell’isola. E così feci, partendo per il viaggio ben equipaggiato.

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piroga: piccola imbarcazione ricavata da un tronco d’albero scavato.


Se non che, nel doppiare una punta dell’isola che si protendeva nel mare, incappai in una corrente che mi intrappolò in un potente gorgo, trascinandomi lontano dalla riva: povero me! Adesso che ero sul punto di perderle, la mia casa e la mia isola mi parevano il paradiso in questo mondo. E io che mi ero sempre lamentato d’esser prigioniero nel deserto! Come avrei voluto adesso ritornarci. Pensai allora che avrei dovuto tenere a mente questa lezione amara: gli uomini si accorgono delle proprie fortune solo quando le hanno perdute! Lottai duramente con la corrente remando con tutte le mie forze, ma fu soltanto grazie a un vento favorevole che si alzò al momento giusto che potei tornare verso la riva. Quando misi piede sulla spiaggia mi gettai in ginocchio per ringraziare Dio d’avermi salvato ancora una volta e abbandonai ogni progetto di fuga con la piroga. Lasciai la mia barca in un’insenatura vicina, al riparo, e raggiunsi il mio capanno di campagna perché per fortuna non era poi molto lontano da lì. Questa brutta avventura mi fece stare tranquillo almeno per un anno, rassegnato e addirittura felice della mia vita per quello che era diventata.

doppiare: superare. incappai: mi trovai. gorgo: vortice. amara: dolorosa, triste.

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Capitolo 15 L’allevamento di capre

Durante quell’anno e i successivi lavorai per migliorare le mie abilità di costruttore e, siccome le cose che usavo si stavano consumando o esaurendo, studiai il modo di rimpiazzarle o trasformarle quando era possibile. Divenni sarto, ad esempio, cucendo e adattando i cappotti da marinaio che avevo recuperato dalla nave, e imparando a utilizzare anche le pelli degli animali che catturavo. Poi costruii addirittura un ombrello di pelliccia e, cosa che mi rese felice da non poterci credere, riuscii a produrre un pipa! Brutta, grossolana, ma dura e funzionante. Quanto ero contento! Quando mi resi conto che pure la polvere da sparo stava cominciando a scarseggiare, pensai seriamente a come allevare gli animali, cosa che fino ad allora avevo un po’ trascurato. Dopo vari tentativi, grazie a delle trappole che avevo piazzato, catturai un capretto e due femmine e li portai a casa riuscendo ad addomesticarli.

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abilità: capacità. esaurendo: terminando. rimpiazzarle: sostituirle. piazzato: sistemato.


Per allevarli e proteggerli costruii quindi un recinto, e in un anno e mezzo misi insieme un gregge di dodici capre e montoni, che dopo due anni divennero quaranta. Solo allora mi venne in mente che oltre alla carne queste bestie preziose potevano anche darmi il latte e questo mi rese euforico: perché non ci avevo pensato prima!? Fu così che in poco tempo imparai anche a produrre burro e formaggio, aumentando piacevolmente la varietà della mia dieta. Ormai mi sentivo davvero come un re nel suo regno: avevo cibo, comodità e perfino una specie di famiglia che mi faceva un po’ di compagnia: c’era Poll, il pappagallo, a cui avevo insegnato a parlare, e c’erano il mio cane e due gatti, discendenti di quelli che avevo salvato dalla nave. L’unica cosa che mi mancava era un po’ di umana conversazione.

.euforico: entusiasta, felice.

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Capitolo 16 L’impronta sulla sabbia

Poiché non avevo dimenticato d’avere una piroga, la andavo spesso a visitare per tenerla in ordine e mi venne anche l’idea di costruirne un’altra per averne una in ogni versante dell’isola. Un giorno che stavo appunto andando alla mia barca, mi capitò la cosa più straordinaria tra tutte quelle che mi erano fin lì accadute. Sulla sabbia trovai infatti niente di meno che l’orma di un piede umano!

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Restai fulminato senza sapere lì per lì cosa pensare. Stetti immobile in ascolto, mi guardai intorno, salii su un’altura per vedere più lontano, andai un po’ avanti e indietro sulla sabbia, ma niente, non vidi niente e nessuno, solo quell’unica impronta. Fui allora preso da un improvviso terrore e corsi nel mio castello, come ormai chiamavo la mia casa fortificata, come se avessi il diavolo alle calcagna. Quella notte non dormii, ero troppo spaventato all’idea di chi potesse essere quel piede: se fossero stati selvaggi sbarcati sull’isola? Magari avevano visto la mia barca, avevano capito che l’isola era abitata e sarebbero venuti a cercarmi, uccidermi o prendere tutte le mie cose! Avevo tanto sentito la mancanza di altri esseri umani come me, e adesso ero atterrito all’idea di incontrarne qualcuno! Dopo tre giorni interi che non uscivo di casa per la paura, ripresi coraggio e andai verso la casa di campagna almeno per mungere le mie capre. Non successe nulla e allora rifeci più volte il percorso anche nei giorni seguenti. Arrivai persino a pensare che magari quell’orma l’avevo lasciata io e proprio per questo tornai sulla riva, per metterla a confronto col mio piede. Niente da fare: era più grande. Allora mi tornò ancora più terrore di prima e imparai che la paura del pericolo è mille volte più agghiacciante del pericolo stesso. alle calcagna: vicino, che mi seguiva. atterrito: terrorizzato. agghiacciante: orribile.

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Ero infatti precipitato in uno stato d’ansia tale che avevo quasi deciso di distruggere tutto quello che avevo – i campi, la casa, le greggi – perché non facessero gola a eventuali assalitori. Mi sentii abbandonato perfino da Dio e precipitai in una disperazione nera. Quando finalmente riuscii a recuperare un po’ di calma e a ragionare arrivai alla conclusione che forse ogni tanto arrivavano delle imbarcazioni sulla mia isola ma, non avendo poi motivo di fermarsi, se ne andavano subito. Per questo in quindici anni che ormai abitavo lì non ne avevo mai visti. Allora avrei dovuto solo stare il più possibile attento e prepararmi una via di fuga nel caso fossero sbarcati dei selvaggi. Di lì in poi girai sempre armato, evitando però di sparare per non fare rumore e cercando di stare il più possibile entro i confini dei miei possedimenti, cioè il castello, la casa di campagna, i campi e i recinti delle capre. Capivo che la mia situazione avrebbe potuto essere peggiore e cercai di restare tranquillo. Mi venne anche l’idea di assalire i selvaggi, ma poi abbandonai questo progetto. Per tenere d’occhio gli eventuali arrivi di selvaggi presi l’abitudine di appostarmi sulla collina e scrutare il mare, ma dopo tre mesi in cui andavo là tutti i giorni senza avvistare nulla me ne stancai.

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appostarmi: nascondermi e osservare.


Capitolo 17 Vivere nella paura

Tutto l’anno successivo vissi il più possibile nascosto, sempre ossessionato dal timore di essere scoperto, concentrandomi tutto sul problema della mia sicurezza. Questo mi portò a lasciar perdere le mie invenzioni e costruzioni e a limitare ogni attività. Un giorno, per pura fortuna, non lontano dalla mia casa di campagna trovai l’ingresso di una caverna che pareva piccola, ma che in realtà, dopo un passaggio molto stretto, diventava ampia e confortevole. Decisi allora di trasportare qui le mie cose più preziose e le scorte di armi e polvere da sparo. Nascosto qui, i selvaggi non mi avrebbero mai trovato! Ormai erano ventitré anni che stavo sull’isola, quando un mattino di dicembre avvistai sulla spiaggia le luci di un fuoco. Ma era dalla mia parte dell’isola, dove pensavo che i selvaggi non sarebbero mai arrivati! Questa scoperta mi terrorizzò orribilmente, temevo che i selvaggi avrebbero senz’altro visto i segni della mia presenza e sarebbero venuti a cercarmi. Tornai al castello e attesi qualche ora, ma siccome non succedeva niente, mi arrampicai su una roccia alta che usavo per gli appostamenti. ossessionato: tormentato, preoccupato.

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Decisi di prendere il cannocchiale e spiai quello che succedeva sulla spiaggia. I selvaggi erano attorno a un fuoco e stavano cucinando della carne. Li vidi poi imbarcarsi e partire e allora scesi sulla spiaggia. Davanti ai resti del fuoco pensai turbato che, come erano venuti una volta, potevano venire ancora e ancora, e la mia vita mi apparve incerta e piena di paura.

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Capitolo 18 Il relitto

Passò un anno e mezzo prima che rivedessi i selvaggi. Nel mese di maggio del ventiquattresimo anno però successe qualcosa. Un uragano si abbatté sulla costa e mentre la natura si scatenava io sentii il rombo di un cannone. Capii che doveva esserci una nave non lontana e subito cercai di accendere un fuoco per farmi vedere, non appena la pioggia me lo consentì. Alimentai il falò per tutta la notte, ma al mattino, quando finalmente potevo vedere qualcosa, mi resi conto che la nave doveva essersi schiantata. Si vedeva soltanto un relitto, di una nave spagnola senz’altro, galleggiare non troppo lontano dalla riva. Decisi subito di andare a vedere se per caso qualcuno si fosse salvato. Come lo speravo! Lo speravo così tanto da non riuscire nemmeno a respirare per l’ansia. Oh, avere qualcuno con cui parlare! Una compagnia dopo tanti anni di solitudine!

consentì: permise. alimentai: tenni acceso.

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Mi preparai per affrontare la traversata vincendo la paura delle correnti, e con la barca riuscii ad arrivare fino al relitto. Solo un cane trovai vivo, che nuotò fino a me sfinito di fame e di sete. Per il resto, tutti morti. La mia delusione, di piĂš, la mia disperazione era assoluta: ci avevo sperato cosĂŹ tanto! Pensai di prendere comunque quello che poteva tornarmi utile, trovando che alcune cose non erano state rovinate dall’acqua. Presi dei bauli ancora chiusi, dei vestiti, liquori, polvere da sparo e due caldaie di ottone. Portai tutto nella mia caverna di sicurezza e, una volta aperti i bauli, trovai inutile denaro, vestiti, deliziose marmellate e preziosi fazzoletti.

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Capitolo 19 Una possibile fuga

Ricominciai a vivere con il ritmo di sempre e per un paio di anni la mia vita fu abbastanza gradevole, benché fossi sempre all’erta. Ma intanto qualcosa cambiava dentro di me: invece dell’idea di nascondermi o continuare a vivere contento di quel che avevo, cominciò a venirmi un’invincibile voglia di andare via, fuggire. In questo ebbi la conferma definitiva che soffrivo di quella malattia che spesso affligge gli uomini e cioè l’incapacità di esser soddisfatti di quel che si ha. Mi misi a ripensare ai rischi che avevo corso sull’isola quando ancora non sapevo che spesso la visitavano i selvaggi e a quanto, in confronto a ora, fossi più felice i primi tempi, quando ero ignaro dei pericoli. Pensando ai selvaggi che venivano sull’isola, mi chiesi allora se non avrei potuto invece andare io da loro. Cioè: se loro potevano arrivare sull’isola, perché non avrei potuto io arrivare sul continente? E, dato che questi pensieri ormai non mi abbandonarono più, misi da parte ogni altra considerazione o paura: non volevo più vivere rassegnato alla mia condizione. Volevo solo fuggire. fossi sempre all’erta: stessi sempre molto attento. affligge: tormenta, addolora. ignaro: all’oscuro, non essere a conoscenza. rassegnato: accettare senza reagire.

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E mi venne in mente che per far questo mi serviva un compagno, in particolare uno di quei selvaggi che conosceva la strada e avrebbe potuto farmi arrivare al continente. L’unico modo per fuggire dunque era catturare un selvaggio. Ma come? Non potevo certo affrontarli da solo. In un primo momento decisi di spiare i loro movimenti per sfruttare il momento opportuno. Così mi appostai per un anno e mezzo almeno una volta al giorno sull’estremità ovest dell’isola, ma senza risultato. Questo anziché scoraggiarmi, rafforzò il mio proposito di fuga. Finalmente un mattino avvistai cinque canoe a riva, sul mio versante dell’isola, e restai nascosto per osservare i selvaggi sbarcati. Erano una trentina e, acceso un fuoco, si misero a danzare, come il loro solito. Fecero poi scendere da una barca due disgraziati prigionieri: mentre uno aspettava in disparte, uccisero l’altro con una spada di legno. Ma proprio in quel momento il prigioniero, approfittando del fatto di trovarsi slegato, si mise a correre lungo la spiaggia, proprio nella mia direzione. Provai uno spavento violento: così mi avrebbero scoperto! Ma poi vidi che solo tre uomini lo inseguivano e decisi di aiutarlo. Il selvaggio in fuga era veloce e attraversò una lingua di mare a nuoto. Uno degli inseguitori, non sapendo nuotare, tornò indietro, gli altri due si gettarono in acqua, ma erano molto più lenti. Io agguantai i fucili e mi precipitai da quella parte, mettendomi

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scoraggiarmi: farmi perdere il coraggio. agguantai: presi con forza.


tra gli inseguitori e l’inseguito. Lo chiamai e gli feci segno, mentre avanzavo verso gli altri due. Ero così vicino ormai che ne stesi uno col calcio del fucile per non fare rumore. Ma l’altro stava incoccando una freccia nel suo arco e mi costrinse a sparare, uccidendolo sul colpo. Il fuggitivo, vedendo la scena, restò pietrificato, non capiva cosa fosse successo, probabilmente non aveva mai visto un fucile. Si inginocchiò davanti a me tremando, mentre io cercavo di rassicuralo con gesti e parole. Quello appoggiò la testa a terra mettendoci sopra il mio piede e così accettando di divenire mio schiavo. Io lo rialzai, lo accarezzai e lo rassicurai come potevo. Mi disse delle parole e io quasi scoppiai a piangere per l’emozione: non le capivo, ma per la prima volta dopo venticinque anni udivo il suono di una voce umana che non era la mia. Intanto l’inseguitore che avevo colpito si stava risvegliando e allora gli puntai contro il fucile. Ma il mio selvaggio, così lo chiamavo, mi fece segno di dargli la sciabola e con quella uccise il suo nemico. Quindi mi fece capire che voleva seppellire i due cadaveri, come infatti fece, e poi andammo insieme alla caverna. Qui gli diedi da bere e da mangiare e lo invitai a riposare su un mucchio di paglia.

calcio del fucile: impugnatura. incoccando: preparando una freccia. pietrificato: immobile.

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Capitolo 20 Robinson e Venerdì

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E così dunque ebbe inizio la vita in compagnia del mio selvaggio, il periodo più bello di tutto il tempo passato sull’isola. Il ragazzo era infatti gentile, affettuoso, sincero e dimostrò in fretta d’essermi amico fedele. Io pure gli volli bene da subito e imparai ad apprezzarne le molte qualità. Per prima cosa gli diedi un nome: Venerdì, perché era il giorno in cui lo avevo incontrato. Poi gli insegnai a parlare, desideroso com’ero di scambiare parole con qualcuno. E lui era così intelligente e sveglio che in breve imparò un inglese sufficiente a intenderci senza difficoltà. Poi gli cucii dei vestiti, dal momento che era completamente nudo. E gli insegnai infine tutti i lavori che io stesso avevo dovuto imparare: accudire gli animali, coltivare la terra, costruire le cose. Certo dovetti anche combattere contro certe sue attitudini, o dovrei dire abitudini, che faticai a fargli abbandonare. Per esempio la sua paura del fucile, che evidentemente considerava una specie di oggetto magico e vivo. Passò così un anno durante il quale ci conoscemmo sempre meglio, diventando amici e fidandoci l’uno dell’altro. Lui imparava da me, ma anche io imparavo da lui. Infatti spesso rimanevo stupito e pensieroso di fronte alla sua spontaneità, la sua allegria, la sua ingenuità. Lavorava volentieri e


senza mai stancarsi, imparava con entusiasmo, era sempre grato di quello che aveva e insomma era un costante esempio di come dovrebbero vivere gli uomini. Un giorno che come al solito stavamo amabilmente chiacchierando, gli chiesi se non sentiva nostalgia del suo paese. VenerdĂŹ disse che gli mancava il suo popolo e mi spiegò da dove veniva e quali erano le terre che si avvistavano dalla spiaggia. Capii dunque di trovarmi vicino alla grande isola di Trinidad e, cosa piĂš importante, che non era difficile spostarsi tra la mia isola e le altre vicine, lui l’aveva fatto molte volte.

amabilmente: simpaticamente.

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Mi disse pure che sulla sua terra erano sbarcati degli uomini come me, bianchi e barbuti, che il suo popolo aveva accolto con gentilezza e rispetto. Aggiunse che se fossi andato là avrebbe accolto anche me come un amico, perché lo avevo salvato. Pensai che questi bianchi potessero essere gli spagnoli naufragati davanti alla mia isola e mi venne il desiderio di andare a raggiungerli. Chiesi a Venerdì se mi ci poteva portare e lui disse di sì, avendo una canoa abbastanza grande. Da quel momento in poi non passò giorno senza che pensassi a come fuggire dall’isola col mio buon amico.

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Capitolo 21 Il salvataggio dei tre prigionieri

Ma passarono altri tre anni, piacevoli in verità poiché con Venerdì il tempo correva in armonia e buon umore. Gli insegnai persino a sparare, vincendo la sua paura del fucile, e gli mostrai le mie barche, per capire se si potevano usare per partire. Ma la prima, quella grande, col tempo si era sfasciata e la seconda era troppo piccola. Dovemmo quindi costruirne un’altra e non fu impresa da poco, visto che io volli aggiungere anche albero, vele e timone. Era ormai cominciato il mio ventisettesimo anno sull’isola e quando arrivò la stagione secca pensai fosse giunto il momento di partire. Se non che un mattino avvistammo sulla spiaggia tre canoe zeppe di selvaggi che portavano dei prigionieri, certo con l’intenzione di ucciderli. Decisi di aiutare quei poveracci specie quando mi resi conto che probabilmente uno di loro era uno degli Spagnoli del naufragio. Grazie all’aiuto di Venerdì, e soprattutto alle armi da fuoco, riuscii nel mio intento, almeno per due prigionieri. Gli spari infatti terrorizzarono e misero in fuga i selvaggi, consentendoci di liberare il prigioniero bianco che era già sbarcato sulla spiaggia e un altro che era rimasto sul fondo di una canoa. consentendoci: permettendoci.

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Fu Venerdì a correre verso l’imbarcazione, con l’intenzione di inseguire i selvaggi che erano fuggiti in mare, quando sul fondo trovò il prigioniero sdraiato. Si chinò su di lui e lanciò un grido altissimo: venne fuori che il prigioniero era… suo padre! Non trovo le parole sufficienti per raccontare la gioia dei due nel ritrovarsi, e con quanta tenerezza e affetto Venerdì si occupò di suo padre, circondandolo di mille attenzioni. Quando i due prigionieri liberati furono in grado di camminare li portammo alla mia dimora, dove preparai per loro una tenda esterna, visto che non riuscivano a scavalcare la recinzione fortificata, e un buon brodo di carne. Mangiammo tutti con soddisfazione, soprattutto io che ora potevo contare sull’aiuto di altri due uomini che mi erano grati e fedeli. Nei giorni seguenti lo Spagnolo raccontò del naufragio della sua nave e degli altri suoi compagni che si erano salvati solo per condurre una vita di stenti. Sulla costa dove erano approdati non avevano infatti risorse e a fatica riuscivano a sfamarsi. Disse che se io li avessi accolti sarebbero venuti senz’altro e mi sarebbero stati fedeli, accettando di mettersi ai miei ordini. Così decisi di portarli tutti con me verso la libertà, verso casa. Dopo un periodo passato a lavorare tutti e quattro di gran lena per costruire una barca e coltivare più terra per avere le provviste sufficienti al viaggio, mandai

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stenti: fatiche, difficoltà. gran lena: velocemente, senza sosta.


lo Spagnolo e il padre di Venerdì a prendere gli altri naufraghi, mentre io e Venerdì saremmo rimasti sull’isola a finire i preparativi per la partenza. Dopo otto giorni che erano partiti, però, avvistammo una nave al largo e una barca che veniva verso la riva. Ne sbarcarono degli uomini all’apparenza inglesi che maltrattavano tre prigionieri, anch’essi bianchi. Non mi piacevano per niente questi inglesi per come trattavano quei poveretti, così mi avvicinai di nascosto per capire chi fossero. Riuscii ad arrivare alle spalle di un prigioniero legato a un albero e lo interrogai. Scoprii così che era il capitano della nave che si vedeva al largo e quegli inglesi erano parte del suo equipaggio che gli si era ribellato contro. Un ammutinamento! Giusto questo mancava al lungo elenco delle mie avventure. Decisi di salvare il capitano e i suoi due compagni con l’aiuto di Venerdì, che era ormai diventato un tiratore provetto. Grazie a una piano d’attacco ben organizzato riuscimmo a battere i nostri nemici, uccidendone alcuni e catturandone altri. Ad alcuni di questi prigionieri concessi di aver salva la vita in cambio della loro fedeltà e obbedienza, e così mi ritrovai a capo di un discreto esercito. Per tutti questi uomini io ero come un Re o un Comandante o anche un Governatore. a. mmutinamento: equipaggio che si ribella al capitano e si rifiuta di obbedire gli ordini. tiratore provetto: chi è esperto a sparare con armi da fuoco.

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Un piccolo gruppo di altri prigionieri invece era troppo inaffidabile, a detta del capitano che li conosceva bene, e allora li tenni chiusi nella caverna: avrei deciso piĂš in lĂ cosa farne. Dalla nave al largo intanto si stava avvicinando una barca con degli altri ammutinati venuti a cercare i loro compagni, ma riuscimmo a cattu-


rare anche loro e a prendere perfino la barca. Il mio piccolo esercito così si arricchì di altri soldati; eravamo ormai in dodici, più gli altri uomini che tenevo prigionieri nella caverna. A questo punto non restava che impadronirci della nave. Mentre io rimanevo a terra, il capitano organizzò una spedizione e, cogliendo gli ammutinati nel sonno, riuscì a conquistare la nave senza perdere un solo uomo. Così com’era la offrì a me, con tutto quel che conteneva, uomini e cose. Finalmente! Ora davvero la mia libertà era a portata di mano, con un grande vascello che mi avrebbe portato facilmente ovunque volessi. Ero commosso e felice e per un po’ non fui nemmeno in grado di parlare, tanto la gioia mi chiudeva la gola come un nodo. Il Capitano mi portò dalla nave cibo, bevande e vestiti raffinati e potei vestirmi ancora come un cristiano, io che per tanto tempo ero andato in giro come un vero selvaggio. Insieme stabilimmo di partire al più presto lasciando i nostri prigionieri sull’isola. Diedi loro istruzioni su come coltivare la terra e allevare animali e lasciai loro addirittura armi e polvere da sparo, più una lettera per gli Spagnoli che ancora non erano arrivati. Per farla breve, partimmo dopo pochi giorni e, per ricordo della mia vita trascorsa sull’isola, portai con me il mio gran cappello di pelo, l’ombrello e il mio pappagallo. Era il 19 dicembre 1687 quando mi staccai dalla mia isola dopo avervi vissuto per ventotto anni, due mesi e diciannove giorni.

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Capitolo 22 Di nuovo Inghilterra

Il viaggio verso l’Inghilterra fu tranquillo ma lungo, e arrivai a casa in giugno. Qui mi ritrovai senza molti soldi e quasi senza famiglia dal momento che i miei genitori erano morti. Mi rimanevano solo due sorelle, due nipoti e la vedova del Capitano Inglese, che in tutti quegli anni m’era rimasta amica e fedele. Poiché in Inghilterra non avevo molte prospettive decisi di andare a Lisbona, per vedere se da lì potevo scoprire cosa ne fosse stato dei miei possedimenti in Brasile. A Lisbona trovai il mio vecchio amico, il Capitano Portoghese, che mi aiutò a riprendere contatto con il mio socio brasiliano. Venni così a sapere che la mia piantagione laggiù andava benissimo e che tutto sommato ero un uomo ricco, in verità, tanto che decisi che avrei potuto andare a vivere in Brasile. Prima però volevo tornare in Inghilterra a sistemare le mie ultime cose e decisi di andarci via terra con il mio buon Venerdì, che era rimasto al mio fianco come servitore fedele. Non viaggiavamo da soli, ma in compagnia di altri uomini d’affari e mercanti che dovevano tornare a casa come noi. Durante il viaggio, faticoso e pericoloso, ci toccò addirittura affrontare non meno di trecento lupi (santo cielo, anche i lupi!) e un grosso orso che

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prospettive: possibilità.


venne abbattuto da Venerdì. L’avventura coi lupi fu davvero spaventosa e giurai che avevo chiuso coi viaggi via terra: molto meglio andar per mare anche a costo di avere una tempesta a settimana. Quando fui finalmente di nuovo a casa in Inghilterra mi sistemai così bene che mi passò la voglia di andare in Brasile. Così vendetti la mia piantagione, ricavandone un bel po’ di denaro, presi sotto tutela i miei due nipoti, figli di mio fratello, e mi sposai. Ebbi tre figli, ma poi mia moglie morì e così mi imbarcai per le Indie Orientali con il mio nipote più giovane. Feci in modo di passare dalla mia isola, perché ero curioso di vedere cosa ne era stato dei prigionieri che avevo lascito là e se gli Spagnoli erano riusciti ad arrivarci. E trovai che ora c’era una colonia dove tutti quanti, Inglesi e Spagnoli, vivevano insieme non troppo pacificamente all’inizio, ma capaci di trovare un accordo in un secondo tempo. La colonia era infatti prosperosa e c’erano addirittura donne e molti bambini e allora, per migliorare la loro vita, in seguito mandai là a mie spese provviste, attrezzi e capi di bestiame. Ma per raccontare tutte queste cose e quelle che accaddero nei dieci anni seguenti ci vorrebbero altre mille pagine di diario, perciò mi fermo qui, rimandando a un’altra occasione il resoconto di questa nuova storia. abbattuto: ucciso. presi sotto tutela: mi presi cura. colonia: comunità di persone. prosperosa: in ottime condizioni. resoconto: racconto.

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La tratta degli schiavi

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Robinson Crusoe è ambientato nel 1650 circa e a quel tempo gli uomini non erano considerati tutti uguali: gli uomini neri erano ritenuti inferiori agli uomini bianchi. Gli uomini, le donne e i bambini neri erano ridotti in schiavitù dagli uomini bianchi: comprati e venduti come se fossero animali. Gli schiavi non avevano diritti, erano proprietà di altri uomini: i loro padroni. Il commercio degli uomini neri si chiama tratta degli schiavi. Con questa parola si indica anche la rotta che le navi europee facevano per prendere gli schiavi neri in Africa e poi venderli in America. Le navi negriere si dirigevano in Africa dove catturavano uomini, donne e bambini neri e li riducevano in schiavitù. Gli schiavi incatenati erano ammassati sulle navi e costretti in spazi molto molto stretti per tutto il lunghissimo viaggio verso l’America. Il viaggio, infatti, poteva durare anche tre mesi. Gli schiavi che sopravvivevano e arrivavano ancora vivi in America, venivano venduti ai proprietari delle piantagioni per lavorare nei campi. Verso la fine del 1800 gli Stati europei si impegnarono ad abolire la schiavitù. Anche se la schiavitù è condannata e vietata da tutti gli Stati del mondo, esistono ancora oggi molte persone che purtroppo vivono in uno stato di schiavitù.


Gruppo di prigionieri condotti in schiavitĂš, Londra, Wellcome library, Litografia del 1880 circa.

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Il mondo di Robinson Crusoe 1 Chi racconta la storia di Robinson Crusoe? Colora la risposta giusta. Venerdì Robinson

inson pà di Rob

il pa

il commerc iante portoghese

2 Come descriveresti Robinson Crusoe? Cerchia gli aggettivi giusti. coraggioso

insicuro

determinato

pigro

intelligente

ostinato

creativo

pauroso

sognatore

3 In Brasile Robinson diventa un piantatore di successo, ma non è contento. Perché? Indica con una X le risposte giuste.

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c Viaggiava molto spesso. c Non aveva amici. c Voleva guadagnare più soldi. c Conduceva una vita tranquilla. c Faceva il contrario di quello che a lui piaceva.


4 Dopo il naufragio sull’isola Robinson recupera diverse cose dalla nave su cui era imbarcato. Indicale con una X. c cibo

c attrezzi

c pianoforte

c vestiti

c armi

c polvere da sparo

5 Colora solo le 6 parole che si possono riferire a una nave. albero

ala

ponte

vela

scafo

prua

arco

ciglia

chiglia

6 Com’è l’isola dove fa naufragio Robinson? Indica con una X la risposta giusta. c Deserta, priva di vegetazione. c Verde e lussureggiante, ma priva di animali. c Verde e lussureggiante, abitata anche da diversi animali.

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7 Robinson come trascorre le sue giornate sull’isola? Colora la risposta giusta. Non fa nulla tutto il giorno. Organizza bene le sue giornate. Gira un po’ per l’isola, poi si riposa. • Rispondi alle domande. Cerchia la risposta giusta. 8 Come si sente Robinson quando vede l’impronta sulla sabbia? terrorizzato

triste

stanco

9 Come si sente Robinson quando sente il suono di un’altra voce umana? emozionato

sorpreso

stanco

10 Venerdì ha paura di Robinson? Indica con una X la risposta giusta.

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c Sì, perché Robinson lo tratta male. c No, perché Robinson ha aiutato Venerdì a fuggire. c In un primo momento sì, poi diventa il suo fidato servitore.


• Rispondi alle domande: colora le risposte giuste. 11 Robinson che cosa insegna a Venerdì? a parlare inglese

a leggere

ad accudire gli animali a scrivere

a coltivare a lavorare a sparare

12 Robinson quanti anni rimane sull’isola? 10 anni Meno di 20 anni Più di 20 anni 20 giorni

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13 Robinson come riesce a lasciare l’isola? Indica con una X la risposta giusta. c Costruisce una barca con l’aiuto di Venerdì. c Si impadronisce di un vascello dove c’era stato un ammutinamento. c Un vascello inglese approda sull’isola e lo riporta a casa. 14 Chi rimane sull’isola dopo la partenza di Robinson? Colora la risposta giusta. Venerdì

nessuno

i prigionieri di Robinson

15 Robinson sull’isola impara a sopravvivere e capisce diverse cose nuove. Secondo te quali sono le più importanti? Numera da 1 a 4 in ordine di importanza.

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c I soldi non sono la cosa più importante. c Non si capisce l’importanza di quello che si ha finché non lo si perde. c Vivere soli senza amici è molto difficile. c La necessità aguzza l’ingegno.


16 Che cosa fa Robinson quando arriva in Inghilterra? Indica con una X la risposta giusta.

c Rimane a Londra per diversi anni. c Riparte per Lisbona. c Organizza un viaggio in Italia. c Incontra i suoi genitori.

17 Robinson ritorna sull’isola? c No, non ritorna più. c Sì, perché voleva vedere che cosa ne era stato dei prigionieri che aveva lasciato lì. c Sì, perché vuole tornare a vivere sull’isola. 18 Se fossi tu a naufragare su un’isola deserta a che cosa non potresti mai rinunciare? .................................................................................................... .................................................................................................... ....................................................................................................

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Indice

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3 5 7 11 14 17 19 22 26 28 30 33 37 40 42 44 47 49 51 54 57 62

Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo

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Partenza e prima tempesta I pirati del Marocco Schiavitù e fuga Proposta di un nuovo viaggio L’unico sopravvissuto Il bisogno aguzza l’ingegno Prima perlustrazione dell’isola Robinson fa il trasloco Inventario dei beni e dei mali La vita di ogni giorno Cacciatore ma anche agricoltore Inventore e pescatore Il resto dell’isola Il giro dell’isola via mare L’allevamento di capre L’impronta sulla sabbia Vivere nella paura Il relitto Una possibile fuga Robinson e Venerdì Il salvataggio dei tre prigionieri Di nuovo Inghilterra

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La tratta degli schiavi Il mondo di Robinson Crusoe


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