Anche l’intelligenza artificiale aiuta gli studiosi a decifrare (e riprodurre) il linguaggio animale. Ma come abbiamo fatto noi umani a “inventare” la parola?
UN ALGORITMO PER TRADURRE L’ANIMALESE
8 Piante carnivore
12
I tunnel elettrici del cuore
15 I numeri della fotografia
16 Facciamo spazio
18 Piccola fisica
20 Amicizie tra fenicotteri
22 Prisma sonoro dossier
TRADURRE L’ANIMALESE
Stiamo provando a capire che cosa “dicono” capre, suini, gatti e cetacei. Con nuovi studi. E con l’aiuto dell’intelligenza
Scoprire e capire il mondo
Cosa c’entra la gobba dei dromedari con i pompieri?
Vuoi dimagrire? Prova a usare l’immaginazione
44 le scoperte del Webb
SERATA DI GALA... SSIE
Le foto del Quintetto di Stephan svelano le dinamiche degli scontri più violenti dell’universo.
46 corpo umano ALTI CONTRO BASSI
I brevilinei sono più sani e inquinano meno?
I longilinei sono più belli e invecchiano meglio? Quanto contano davvero i centimetri.
53 da sapiens a ecosapiens
SFIDA A TRE
Tutti concordano nel dire che il futuro sta nel giusto mix di fonti energetiche non fossili: qui confrontiamo solare, eolico e nucleare, analizzandone vantaggi e punti deboli.
34 I LORO VERSI DIVERSI
Usando le corde vocali o il naso, andando a ritmo, cercando di sedurre il partner... In natura si “suona” con molti strumenti e stili.
38 E L’UOMO INVENTÒ LA PAROLA
Non c’è gruppo umano che non abbia una lingua. Perché? Le teorie sono molte, ma la scienza sta ricostruendo tutte le tappe del linguaggio.
Pagine animate
Animazioni, video, audio... Potete fruire di tanti contenuti aggiuntivi grazie ai QR Code, nelle pagine dove troverete l’icona Focus+. Basta inquadrare il QR Code con la fotocamera attiva (se si usa un iPhone o un iPad), oppure usando Google Lens o una qualsiasi app per la scansione di QR Code (se si ha uno smartphone o un tablet Android). Se invece siete al computer, andate alla pagina del nostro sito, all’indirizzo web segnalato.
60 biologia CARBON TREE - CARBON FREE
Una startup ha creato pioppi Ogm capaci di assorbire il 27% in più di anidride carbonica. È una strategia efficace per combattere i gas serra?
68 storia TUTTE LE STRADE PORTANO ANCORA A ROMA
Le reti stradali dell’Impero romano erano così efficienti che quelle odierne le ricalcano.
74 cifrario spaziale SPAZIO AI SATELLITI
In orbita terrestre ci sono ormai più di 10mila oggetti. Un numero in rapidissima crescita.
76 storia SE NON AVESSIMO INVENTATO L’ATOMICA...
... quale ricatto autodistruttivo avremmo adottato? La ricerca civile ne avrebbe giovato?
82 botanica UNA VISIONE D’IN... SEME
La conquista della terraferma da parte dei vegetali è passata da una rivoluzione verde: i semi, strutture dalle mille possibilità.
90 medicina COME CU-RARE
Anni per avere una diagnosi e poi l’attesa di una terapia, che troppo spesso ancora non c’è. È il percorso irto di difficoltà dei 2 milioni di italiani che vivono con una malattia rara.
98 comportamento SPECCHIO DELLE MIE TRAME
Le dinamiche psicologiche che si nascondono nel guardare la nostra immagine riflessa e nel rapporto che abbiamo con essa.
104 sistema solare PER GIOVE CHE PIANETA!
Il gigante gassoso del Sistema solare riaccende l’interesse dei ricercatori. Per le sue caratteristiche peculiari e per le sue lune ghiacciate.
110 società COME HO TROVATO I MIEI ANTENATI
Con qualche trucchetto e grazie alla tecnologia si può ricostruire il proprio albero genealogico.
114 family economy per Focus/8 INVESTIMENTI SOSTENIBILI
96
Chi ha paura dell’argiope fasciata, meglio nota come ragno vespa?
Come portare valore al proprio portafoglio pensando anche all’ambiente. Ci
Usando
I loro versi DIVERSI
è chi la fa con la bocca e chi con le ali, chi all’aria aperta e chi sott’acqua. Parliamo della musica: la natura, infatti, è un concerto costante. È facile capire perché: il suono è un metodo di comunicazione semplice, che si trasmette senza problemi anche di notte o dove la luce non arriva. Sono pochissimi i vertebrati che non usano una forma di comunicazione sonora e anche tra gli invertebrati la musica – sulla cui definizione torneremo – è spesso fondamentale.
QUEI “CLICK” IN PROFONDITÀ
Suoni e canti, che comunemente indichiamo come versi, sono onnipresenti negli animali, dai grilli ai delfini. Anche se strumenti e stili possono essere diversissimi. Cominciamo da noi mammiferi: nella nostra classe (tassonomica) lo strumento principale per produrre suoni è più o meno sempre lo stesso. Ed è uno strumento a fiato, come ci spiega Andrea Ravignani, del Centro di musica/ cervello dell’Università di Aarhus (Danimarca), direttore del gruppo di ricerca Bioacustica Comparativa all’Istituto Max Planck di Nimega (Paesi Bassi). «Noi e quasi tutti gli altri mammiferi produciamo suoni con un sistema semplice. Ha bisogno di tre componenti. Innanzitutto un mantice, qualcosa che faccia muovere l’aria, quindi i polmoni. Poi le corde vocali, strutture specializzate presenti nella laringe, che possono cambiare posizione e tensione così da trasformare in suono l’aria che passa loro attraverso. Infine c’è la terza componente, il tratto vocale superiore: la lingua, le labbra e le strutture che permettono il controllo fine del suono creato dalle corde vocali. Che a noi umani fanno produrre vocali e consonanti».
Ma ci sono differenze, naturalmente. Su Science uno studio guidato da Peter Madsen dell’Università di Aarhus e un commento firmato da Ravignani hanno appena spiegato come gli odontoceti – delfini, focene, capodogli, orche – abbiano imparato a usare il naso per produrre vocalizzi, anche se in profondità i loro polmoni collassano, l’aria è “schiacciata” e non sembrerebbe possibile avere un flusso sufficiente a produrre quei suoni. «Non è facile studiare gli odontoceti, che vivono sott’acqua e spesso sono enormi. Il modo migliore è registrare con idrofoni i loro richiami, ma non è facile capire come emettano certi suoni. I nuovi studi hanno usato tecniche prese dall’otorinolaringoiatria; il risultato è che siamo riusciti a studiare il loro sistema fonatorio e a capire come emettono certi suoni», continua Ravignani. Si è visto che questi cetacei hanno tre diversi registri vocali, analoghi ai nostri: la voce di petto (la voce parlata, per noi), il falsetto (i suoni più acuti) e il “vocal fry” (il registro laringeo, il più basso). Confermando che sono prodotti non nella laringe, come per gli altri mammiferi, ma nel naso: l’aria viene fatta passare attraverso quelle che si chiamano labbra foniche, che vibrano (v. immagine alle pagg. successive). Anche in profondità, basta l’aria rimasta nel passaggio nasale. Si è visto che «gli odontoceti usano il vocal fry per l’ecolocazione: produce “click” molto veloci che permettono loro di trovare le prede anche a profondità estreme». Gli altri registri sono usati per comunicare.
TROMBONI E VIOLINI
I cantori della natura per eccellenza – gli uccelli – hanno invece sviluppato un organo chiamato siringe (v. illustrazione nella pag. accanto) che
CANTANTI
Molti uccelli producono non solo semplici richiami, ma anche canzoni con struttura complessa. Il canto (qui, un cannareccione in un canneto) ha due funzioni principali: difendere il proprio territorio e farsi notare da potenziali partner.
di Gabriele Ferrarile corde vocali o il naso, andando a ritmo, cercando di sedurre il partner... In natura si “suona” con molti strumenti e stili.
C’
IL SEGRETO DEI VIRTUOSI
Gli uccelli non producono suoni a livello della laringe (come rettili, anfibi, mammiferi), ma alla biforcazione della trachea nei bronchi. Qui si trova la siringe (disegno a destra), organo costituito da una serie di anelli di cartilagine e pieghe, le membrane timpaniformi. Il suono è prodotto dalla vibrazione delle membrane e di una struttura tra i bronchi (pessulus muscoli cambiano tensione delle membrane e apertura dei bronchi, modulando il suono. In alcuni uccelli la siringe è più sviluppata. Ed essendo biforcata, le due parti possono produrre suoni diversi allo stesso tempo.
Muscoli
Membrane
Trachea
Anelli
cartilaginei
Pessulus
Bronchi
SERENATA
Un grillo, a Singapore. I grilli maschi sollevano e muovono le ali anteriori, su cui ci sono due strutture che sfregano una sull’altra.
Alcuni, dagli uccelli ai cetacei, hanno dialetti regionali
DUETTO
Un gibbone dalle mani bianche, primate asiatico in pericolo. Si è visto che possiede il senso del ritmo e può sincronizzarsi in duetti tra maschi e femmine.
si trova alla biforcazione della trachea. Mentre gli insetti possono usare tecniche del tutto differenti come la stridulazione, la produzione di suoni con lo sfregamento di due parti del corpo: è ciò che fanno i grilli, strofinando due parti delle ali. Un violino, insomma, più che le trombe dei mammiferi. Riuscendo a emettere suoni ritmici con una precisione incredibile. «Con pochissimi neuroni producono sequenze ritmiche e riescono a sincronizzarsi in modo più preciso di quanto facciamo noi umani», commenta Ravignani.
Una capacità da non sottovalutare. Non basta infatti emettere suoni per fare musica. Tutti gli animali “sonori” hanno, in misura variabile, una qualche forma di controllo su ritmo, melodia, timbro o tutte e tre le cose insieme. Basta questo per parlare di “musica animale”? «Il discorso è complesso perché lo è la definizione stessa di musica: persino l’opera 4’33’’ di John Cage (oltre 4 minuti di silenzio, ndr) lo è, ma di certo non ci aiuta a definire la musica umana o capire meglio quella animale», puntualizza Ravignani. «Ci sono studi, però, che hanno provato a spezzettare la musica in tutte le sue componenti di base (battito regolare, melodie che si ripetono, percussioni, capacità di sincronizzarsi...). Se confronti questi mattoncini con i suoni prodotti dagli animali scopri che solo gli esseri umani hanno il pacchetto completo, ma che ogni singola componente sembra trovarsi in almeno una specie animale che la usa».
SENTI CHE RITMO!
Questo significa che ci sono per esempio animali con qualità ritmiche. Primati come i gibboni e gli indri, i più grandi lemuri del Madagascar. «Probabilmente non imparano sequenze melodiche, ma la ritmicità del loro canto è una delle più vicine agli esseri umani che abbiamo mai visto». Ravignani ha studiato il senso del ritmo degli indri e, in un’altra recente ricerca, ha visto che maschi e femmine di gibboni dalle mani bianche si sincronizzano in duetti di coppia, emettendo note a
Melvyn Yeo/Biosphoto/Bios Photo/Mondadori Portfoliointervalli regolari che si ripetono. Al contrario, ci sono specie che puntano tutto sulla modulazione invece che sul ritmo: gli elefanti, sia asiatico sia africano, sono un esempio. Possono generare una vasta gamma di suoni di solito nella laringe (la più grande tra i mammiferi), con le corde vocali, ma potendo modificarli attraverso la proboscide. Ma perché impegnarsi tanto per cantare, poi? Saper modulare la voce e produrre melodie permette di avere una gamma espressiva più ampia, e in molti animali (uccelli soprattutto) è anche un segno di fitness e quindi un modo per assicurarsi una compagna. Anche il senso del ritmo può segnalare la propria qualità alle potenziali partner: è il caso per esempio degli iraci del Capo, erbivori diffusi in Africa. I maschi eseguono lunghe e complesse canzoni, per affermare il proprio rango e attirare femmine. E si è visto che hanno un maggiore successo riproduttivo se riescono a tenere meglio il ritmo nell’esecuzione delle loro canzoni di corteggiamento. Andare a ritmo può anche servire per cementare un legame sociale, come avviene nel duetto dei gibboni.
FOCHE “COPIONE”
Per molti animali le vocalizzazioni sono innate. Ma altri imparano la musica: molti uccelli apprendono i loro canti dagli adulti. Mentre non sono tanti i mammiferi capaci di apprendimento vocale. «Negli scimpanzé l’apprendimento vocale è limitato o nullo. Lo mostrano invece gli umani, alcuni cetacei tra cui i delfini, gli elefanti e i pipistrelli. E poi i pinnipedi, cioè le foche», continua Ravignani. Come noi, anche le foche producono suoni usando la laringe ed elaborano questi suoni usando il tratto vocale superiore. Quello che è strano è che riescono a farlo anche quando sono sott’acqua, ad alte pressioni e con i già citati problemi di aria. Come facciano è, per ora, un mistero. Però di sicuro possono apprendere nuovi suoni. Esperimenti condotti con foche grigie hanno mostrato che riescono a copiare sequenze di suo-
Uno studio, pubblicato su Science, ha visto come orche, delfini o focene (sotto) producono suoni in diversi registri usando l’aria nei passaggi nasali, che attraversa le labbra foniche e le fa vibrare.
ni di toni diversi, con movimenti del tratto vocale (come noi, che cambiamo la forma della bocca per pronunciare diverse vocali).
UNA CANZONE PERSONALIZZATA
Fa piuttosto impressione a noi umani, poi, il fatto che alcuni animali abbiano sviluppato diversi “dialetti” regionali. Accade ad alcuni uccelli, in cui le canzoni appaiono leggermente differenti a seconda delle zone in cui vivono. È una conseguenza del già citato apprendimento vocale, con cui gli uccelli imparano dai genitori o dagli altri individui: una variazione nell’esecuzione può essere appresa dagli altri esemplari locali e diventare diffusa. Si è visto che persino un uccello come il diamante mandarino, che personalizza le proprie canzoni a livello individuale per spiccare ancora di più nella competizione per le femmine, ha in realtà sviluppato dialetti locali. Le peculiarità regionali non sono comunque un’esclusiva degli uccelli: casi simili si ritrovano anche nei mammiferi, per esempio nelle orche. Una comunità di orche dell’oceano Pacifico Settentrionale, note come Srkw (Southern Resident Killer Whales), ha addirittura tre dialetti distinti in un gruppo che conta meno di cento esemplari in totale. La natura è fatta dunque di molte musiche diverse, di cui stiamo iniziando a capire similitudini e unicità. «Fino a pochi anni fa c’erano i ricercatori che studiavano i suoni degli uccelli, che non parlavano con quelli che studiavano i suoni degli anfibi o degli insetti. Uno degli obiettivi del mio lavoro è sempre stato quello di unificare gli studi sul ritmo e sulla musica animale, perché è importante avere una visione unitaria dell’evoluzione dei suoni animali», conclude Andrea Ravignani. In fondo ritmo e melodie esistono su questo Pianeta da ben prima che arrivassimo noi a dar loro un nome. E capire che cosa lega il frinire del grillo ai complicati canti degli uccelli è un modo per capire anche qualcosa su di noi, animali musicali e chiacchieroni.
Sopra a sinistra, un grosso maschio di foca grigia su una spiaggia tedesca. Si è visto che le foche sono capaci di apprendimento vocale: una capacità diffusa in pochi mammiferi.
UNA VOCE UN PO’ NASALE IO IMPARO Melone: focalizza i suoni Labbra foniche Getty Images/imageBROKER RF ChristianCon qualche trucchetto e grazie alla tecnologia si può ricostruire il proprio albero genealogico.
di Massimo ManzoCOME HO ANTEN
TROVATO ATI I MIEI
Tra foto sbiadite, simpatici aneddoti e vecchi cimeli conservati in soffitta, ognuno di noi ha una storia familiare da raccontare. Basta andare indietro di qualche generazione, però, e le cose si complicano: in pochi sanno chi erano i propri trisavoli, dove vivevano o che professione svolgessero. “Scalare” la propria genealogia è oggi una moda molto diffusa, tanto che sono sorti come funghi siti (spesso a pagamento) che ci offrono di condurre ricerche simili per nostro conto. Ma è possibile provarci da soli? Per rispondere a questa domanda ho tentato di ricostruire il mio albero genealogico.
PATRIMONIO FAMILIARE
Da una rapida ricerca sul Web, ho notato che esistono numerose fonti attendibili, online e cartacee, che potevano aiutarmi nell’impresa, ma se mi fossi subito addentrato negli archivi senza una “bussola” adeguata rischiavo di finire in un batter d’occhio in un vicolo cieco. Per questo, prima di “innaffiare” il mio albero, ho deciso di partire dai ricordi di famiglia, cercando di acquisire più informazioni possibili sulla sua storia. Nel corso delle mie visite a genitori, zii e prozii, oltre
ARALDICA
Albero genealogico del 1754 di una famiglia milanese. Fare ricerche sui propri antenati è una moda antica.
a raccogliere aneddoti familiari, ho appuntato meticolosamente date di nascita e di morte di ascendenti prossimi, in modo da incamerare dati preziosi per iniziare la ricerca. È stata un’operazione essenziale, grazie alla quale ho compilato uno schema “dal basso” partendo da zii e cugini, acquisendo poi informazioni basilari sui nonni, per esempio dove e quando erano nati o in che città avevano vissuto. Ho dunque deciso di partire dalla data e dal luogo di nascita di Goffredo, il mio nonno paterno: 21 settembre 1910, Trapani. Queste due informazioni erano più che sufficienti per effettuare il primo salto all’indietro nel tempo. Il punto di partenza obbligato è stato l’archivio dello stato civile, che consiste nei “cataloghi” pubblici in cui vengono annotate le principali posizioni giuridiche di una persona all’interno dello Stato, tra cui nascite, matrimoni e morti.
IL PORTALE DEGLI ANTENATI
In Italia, i registri dello stato civile furono introdotti già in epoca napoleonica, nei primi due decenni dell’Ottocento, con date che cambiano a seconda della regione di riferimento (in Sicilia, a partire dal 1820) e sono tenuti dai comuni o dagli archivi di stato provinciali, che detengono in genere quelli più antichi.
Molti comuni hanno digitalizzato tali registri e il ministero della Cultura ha reso possibile la loro consultazione online gratuitamente sul Portale “Antenati” (antenati.cultura.gov.it). Lì, ho potuto trovare alcune “dritte” preziose su come condurre la mia ricerca e su come interpretare il linguaggio burocratico dei funzionari del passato, scoprendo soprattutto che i registri di nascita di Trapani dell’anno 1910 erano stati digitalizzati. Oltre al nome dei nuovi nati, ordinati da gennaio a dicembre,
QUANTO SONO PRECISI I TEST
Da qualche anno si sono diffusi numerosi siti che permettono di “analizzare” il Dna, offrendo di scoprire le nostre origini etniche con il semplice invio di un campione salivare. Tali test, diventati oggetto di un lucroso business, sono diffusi in tutto il mondo e si basano sul sequenziamento del Dna umano oggi possibile in maniera veloce
ed economica. Nella maggior parte dei casi, però, il sequenziamento proposto dalle analisi in questione non riesce a “leggere” l’intero genoma dei richiedenti (i costi del sequenziamento completo del genoma sono molto più alti di quelli richiesti), ma solo una sua minuscola parte, ovvero i cosiddetti “marcatori”, cioè sequenze di Dna
essi contengono notizie sul nome dei genitori, la loro età e la professione. Tutti dati essenziali per ulteriori balzi nel passato. Sfogliando il registro ho quindi scoperto che il nome di mio nonno non era presente il 21 settembre (giorno in cui è venuto al mondo), ma il 25 dello stesso mese, dato che la sua nascita era stata registrata dal padre qualche giorno dopo. Quel giorno, l’ufficiale statale aveva così appuntato: “Nell’anno 1910 addì 25 settembre alle ore 12, nella Casa Comunale […] è comparso il Cav. Luigi Manzo, di anni trentanove, Notaro domiciliato in Trapani in via [...] il quale ha dichiarato che alle ore [...] del 21 del corrente mese, nella casa posta in via [...] da Zichichi Concetta sua moglie seco lui convivente, è nato un bambino dal sesso maschile che egli mi presenta a cui dà il nome di Goffredo”.
GOOGLE ANTE LITTERAM
Dall’età del mio bisnonno, contenuta nella registrazione di nascita del figlio, sono risalito al suo anno di nascita (1871) e spulciando i registri di quell’anno sono riuscito in maniera relativamente semplice a ricostruire un’altra generazione fino ai miei trisavoli, nati nel 1838 e nel 1850 e morti nei primi del Novecento. Negli archivi di stato sono tuttavia riuscito a trovare solo i certificati di morte dei genitori del mio trisavolo. Prima di allora, infatti, lo stato civile non esisteva. A questo punto, bisogna continuare con un “motore di ricerca” diverso. Quale? Gli archivi ecclesiastici, con cui da secoli la Chiesa Cattolica annota i dati dei suoi fedeli. Nel dettaglio, i registri parrocchiali e gli archivi diocesani, nei quali sono registrati in ordine cronologico battesimi, matrimoni, morti con relative informazioni sui parrocchiani. Accedere a questi documenti non è stato semplicissimo: in molti casi bisogna insistere, blandendo chi li custodisce e dimostrando serie intenzioni di studio. Io sono stato fortunato, ricevendo tra l’altro un provvidenziale aiuto da parte dell’archivista. L’ordine alfabetico, nei registri più antichi, è per esempio riferito al nome e non al cognome e il linguaggio con cui furono redatti è il latino.
Una “guida” che li sappia interpretare è utilissima. In tale contesto, ho scoperto che esistono elenchi decisamente curiosi da cui attingere altre informazioni sui nostri antenati, come i cosiddetti Status Animarum o “Censimenti di anime”, registri in cui, dal 1614 in poi, venivano elencati tutti i parrocchiani, ogni anno, per motivi religiosi e fiscali. Grazie a questi, se si trova la pista giusta, possono saltar fuori dati completi su intere famiglie, visto che per ogni nucleo venivano elencati tutti i componenti, annotando età e mestiere. Il percorso è stato lungo, ma con un po’ di intuito e una buona dose di pazienza, incrociando i dati disponibili nei vari registri (soprattutto battesimi, morti e
DEL DNA?
corrispondenti a determinate caratteristiche fisiche. Approssimativi. Non bastasse, la successiva interpretazione dei dati lascia molto a desiderare, soprattutto quando si propone di scoprire da quale parte del mondo provenissero i nostri avi. Se le analisi del Dna rimangono altamente attendibili per stabilire i rapporti di
parentela stretta (tanto da essere largamente usate dagli investigatori) la provenienza geografica dei nostri lontani antenati è una deduzione approssimativa. Al massimo, il test può mostrarci in che zone del globo si trovino persone con una minuscola porzione di Dna simile alla nostra, ma non prova in alcun modo il luogo esatto di provenienza.
matrimoni), mi sono fermato all’inizio del Seicento, trovando i due antenati più remoti: Giuseppe e Prudentia, vissuti all’inizio di quel secolo (le loro date di nascita erano sconosciute). Ogni famiglia fa storia a sé, e ci sono casi in cui è molto difficile arrivare a ricostruzioni soddisfacenti del proprio albero genealogico, soprattutto se i propri antenati provenivano dall’estero, o se si vive in una grande città nella quale l’accesso agli archivi, specie quelli ecclesiastici, può rivelarsi arduo. Non bastasse, nel corso della storia eventi catastrofici, come guerre e incendi, possono aver distrutto parte della documentazione, creando “buchi” incolmabili.
“MINIERA” INASPETTATA
Per superare queste difficoltà esistono anche alcune risorse online. Una delle più utili è Family Search, un portale online nel quale confluiscono oltre 600 milioni di nomi di persone decedute in tutto il mondo. A raccoglierli in decenni di lavoro tuttora in corso sono stati i mormoni della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che hanno fotografato una quantità incredibile di documenti (sia ecclesiastici sia dello stato civile), avvalendosi di volontari ai quattro angoli del globo, dalla Sicilia all’Australia. Il motivo di tale impresa è prettamente religioso: per i mormoni, infatti, se scopro un mio avo, posso farmi battezzare al suo posto e dargli la possibilità di andare in paradiso. Family Search consente una registrazione gratuita e una volta compreso il meccanismo di funzionamento dei vari motori di ricerca all’interno del sito (possiamo partire da nomi, ma anche direttamente dalla tipologia di documenti cercati) potremo scovare i cataloghi che ci interessano e sfogliarli comodamente online. Per testare l’efficacia del sito ho così cercato informazioni sulla parte materna della mia famiglia, emigrata negli Stati Uniti ai primi del Novecento. Il risultato? In pochi minuti ho trovato una serie di atti utili a ricomporre parte della sua storia, come l’elenco dei passeggeri della nave che portò i miei bisnonni a New York e il loro certificato di matrimonio, redatto a Saint Louis (Missouri) e datato 17 dicembre 1914. Niente male, per essere un primo tentativo. Perché non provare allora a esplorare un altro ramo dell’albero? La ricerca continua...
ARCHIVI DIGITALIZZATI
Un atto di nascita del 1848 (in alto) con evidenziati i dati più importanti. Si trova sul portale degli Antenati (antenati.cultura.gov) che raccoglie quasi 133 milioni di documenti consultabili online. Sopra un registro anagrafico statunitense dell’800. Sotto, l’atto di nascita di Napoleone Bonaparte, scritto in italiano.
Gli alunni della 5D, Scuola elementare Gonzaga di Milano
LA DOMANDA DEL LETTOREPerché si crede che la coccinella porti fortuna?
Le origini di questa credenza sono varie. Una di esse rimanda al rosso che caratterizza le coccinelle, o Coccinellidae (dal latino coccineus, “scarlatto”), colore considerato in molte culture simbolo di forza, vitalità e vittoria. Questo, in abbinamento alla forma tondeggiante, rende inoltre la coccinella rara tra i suoi simili (e quindi di buon auspicio), e il fatto che sul dorso spicchino sette punti neri ne ha aumentato il prestigio, essendo il sette, a sua volta, un numero considerato fortunato e connesso al divino. Amore, salute e successo. A Roma quest’insetto divenne persino emblema di una divinità, Lucina, connessa al parto e il cui nome era riferito anche a Giunone, dea protettrice dell’amore coniugale (associazioni simili sono poi state fatte con altre divinità). Non bastasse, le coccinelle sono state sempre ben viste poiché, nutrendosi di parassiti, proteggono i raccolti. Nel tempo, la coccinella è dunque divenuta un simbolo di felicità amorosa e, più genericamente, di benessere e successo: quanto basta per farne un portafortuna con le ali. M . L .
QUANTE NE SAI?
Qual è l’animale con più denti?
L a sua bocca ne può ospitare fino a 9.280: è il pesce gatto, dell’ordine dei Siluriformi, che vive soprattutto in acqua dolce ed è diffuso in più di 3.000 specie in molte aree del mondo, Italia compresa. Le numerose varietà possono distinguersi per determinate caratteristiche: una di queste è la capacità di emettere piccole scariche elettriche, mentre altre specie hanno un aculeo velenoso sulla pinna dorsale e uno nella zona pettorale.
“Aspirapolvere”. Alcune varietà presentano invece l’assortimento record di migliaia di piccoli denti cardiformi, sottili e affilati, distribuiti in file successive subito dietro le labbra. Il pesce gatto può nutrirsi di tutto ciò che gli altri pesci non mangiano, come pesci più piccoli, vivi o morti che siano, larve, uova, crostacei e invertebrati. I suoi denti sono inclinati all’indietro in modo che la preda, una volta in bocca, non possa scappare. Grazie alla loro flessibilità, inoltre, i denti possono raschiare il cibo dalle rocce o fra i ciottoli dei fiumi senza rompersi. R . M .
ARTE E CULTURA
LE10
GROTTE PREISTORICHE PIÙ BELLE DEL MONDO
NELLA MILLENARIA ESPERIENZA DELL’UOMO SUL PIANETA
TERRA, VI FU UN MOMENTO IN CUI I NOSTRI ANTENATI INIZIARONO A RIPRODURRE, ATTRAVERSO DELLE IMMAGINI DIPINTE O INCISE SULLA PIETRA, LA LORO IDEA DELLA REALTÀ CHE OSSERVAVANO INTORNO A LORO. NASCEVA COSÌ, IN EPOCA PREISTORICA, QUELLA CHE OGGI CHIAMIAMO “ARTE”. DI SEGUITO, ALCUNE DELLE PITTURE RUPESTRI PIÙ BELLE.
A cura di Massimo Manzo
ALTAMIRA (SPAGNA)
Con le sue splendide rappresentazioni di mandrie di buoi risalenti al Magdaleniano inferiore (intorno a 15mila anni fa), il primo esempio di arte preistorica venne ritrovato nel 1879 nelle grotte di Altamira, ad appena 30 km da Santander, dallo spagnolo Marcelino Sanz de Sautuola e sua figlia Maria, che allora aveva nove anni.
LASCAUX (FRANCIA)
Definita “la Cappella Sistina della preistoria”, la grotta di Lascaux con le sue pitture rupestri paleolitiche venne scoperta nel 1940 da un gruppo di ragazzi nel Sud-ovest della Francia, presso Montignac. Le pitture risalgono a circa 17mila anni fa e raffigurano con dovizia di particolari scene di caccia ai grandi mammiferi che vivevano in quelle zone.
CHAUVET (FRANCIA)
Scoperta nel 1994 e situata nel Sud della Francia, questa grotta contiene alcuni dei primi dipinti rupestri preistorici mai realizzati, vecchi di 32mila anni. Malgrado la loro età, molti di essi, come il celebre “pannello dei cavalli”, sono realizzati con un’incredibile padronanza degli spazi e della prospettiva.
CUEVA DE LAS MANOS (ARGENTINA)
Avvistata per la prima volta dal missionario Alberto Maria de Agostini nel 1941, la “grotta delle mani” si trova nella valle del fiume Pinturas (Patagonia) e presenta numerose pitture databili da 13mila a 9mila anni fa. La più impressionante raffigura quasi 800 impronte di palmi di mano sulle pareti rocciose.
LE GROTTE DI KAKADU (AUSTRALIA)
Le principali pitture rupestri australiane si trovano nel parco nazionale di Kakadu, nel Territorio del Nord, a 250 km dalla città di Darwin: le più antiche risalgono a circa 20mila anni fa e alcune sono considerate esempi di “arte a raggi X”, raffigurando non solo l’aspetto esteriore, ma anche gli scheletri di persone e animali.
SERRA DA CAPIVARA (BRASILE)
Situato nel Nord-est del Brasile, il Parco Nazionale della Serra de Capivara contiene centinaia di pitture rupestri: molte di queste, dipinte 12mila anni fa, sono tra le più antiche del continente americano e raffigurano scene di vita delle tribù di cacciatoriraccoglitori e figure geometriche.
BHIMBETKA (INDIA)
Dipinte con colori vivaci come rosso, bianco, verde, marrone e nero, queste pitture e incisioni rupestri situate in una località nel Centro dell’India ritraggono animali e persone in scene di vita quotidiana. Alcune, realizzate 10mila anni fa, sono considerate le prime testimonianze di arte preistorica dell’intero Sud-est Asiatico.
LAAS GAAL (SOMALIA)
Tra 5mila e 11mila anni fa, le popolazioni di cacciatori raccoglitori presenti nel Nordovest della Somalia realizzarono numerose pitture con animali dalle forme uniche, forse a fini religiosi. Gli studiosi le considerano tra le pitture rupestri più importanti dell’intera Africa.
VAL CAMONICA (ITALIA)
Tra gli esempi di arte preistorica di maggiore importanza in Italia spiccano le migliaia di incisioni rupestri della Valle Camonica (Brescia), con animali, persone, scene di caccia e guerra: le più antiche, note come “oranti” risalgono al V millennio a.C. e rappresentano uomini stilizzati con le braccia alzate.
MAGURA (BULGARIA)
In questa ricchissima galleria, all’interno di un’immensa grotta carsica nel Nord-ovest della Bulgaria, i graffiti e le pitture con motivi animali e umani risalgono a diverse epoche, a partire dal Mesolitico (8-10mila a.C.). Alcune di queste pitture sono state create usando il guano di pipistrello.
Perché una persona intelligente viene detta “acuta” e una stupidotta “ottusa”?
La risposta è intuitiva e non ha nulla a che vedere con la geometria e la trigonometria. Acuto (dal latino acus, “ago”) è tutto ciò che è aguzzo, penetrante, non soltanto in senso materiale, come nel caso delle armi (tanto più pericolose quanto più acuminate e affilate), ma anche in senso intellettuale; acuto è sinonimo di sottile, perspicace, profondo, intenso, efficiente come può esserlo un’arma pericolosa. Arma spuntata. Ottus a (dal latino obtundere, “percuotere, spuntare”) si dice invece di cosa che manca di penetrazione, che è spuntata come un’arma non acuminata e dunque smussata; per estensione, dunque, persona limitata nelle capacità intuitive e intellettive, lenta nel percepire le sensazioni. A.C.
Quali sono le scritte tatuate più popolari al mondo?
Secondo uno studio commissionato da Perply (piattaforma online per imparare le lingue), i nomi propri sono le parole tatuate più comuni, seguiti dalle semplici lettere e da citazioni famose. Inoltre, se si sceglie un tatuaggio in una lingua straniera, il giapponese è di gran lunga la più frequente, seguita dal cinese e dall’arabo; l’italiano si piazza al nono posto, mentre l’inglese soltanto al decimo. Lo studio ha preso in esame i post pubblicati su Instagram e le ricerche eseguite su Google, scoprendo anche che il persiano è una lingua in forte crescita fra gli amanti dei tatuaggi, e che la pop star Ariana Grande è la celebrità più influente in questo settore, capace di condizionare scelte e dettare tendenze.
Pentiti. I possibili errori di ortografia o di traduzione spingono però tanti a desiderare di cancellare le scritte sulla pelle. A guidare la classifica dei pentiti sono gli statunitensi, Paese in cui si registrano oltre un milione di ricerche sul Web centrate sulla rimozione dei tatoo. In Italia, la città con il maggior numero di pentiti è Milano. M.Fr.
COSA SUCCEDE GUARDANDO UN FILM D’AUTORE?
Ci si allena a comprendere meglio gli altri: cosa pensano, desiderano, che intenzioni hanno, quali emozioni stanno provando. In uno studio dell’Università di Trento alcuni partecipanti hanno assistito ai primi 20 minuti di film hollywoodiani (come Pirati dei Caraibi) altri a film d’autore (come Il pianista). In seguito, i secondi hanno avuto migliori prestazioni a test che misurano la capacità di cogliere gli stati mentali altrui.
DECODIFICA. Nelle pellicole d’autore ciò che viene sperimentato dai personaggi non è scontato ma va analizzato e interpretato. Questo affina la capacità di cogliere ciò che avviene nella mente di un’altra persona. Al contrario, in molti film hollywoodiani lo spettatore vive in prima persona gli stati mentali dei personaggi, senza necessità di decifrarli: le intenzioni sono molto chiare, le battute facilmente comprensibili, le espressioni facciali più marcate e inequivocabili. Una precedente ricerca ha individuato differenze simili tra letteratura d’evasione e letteratura “colta”: quest’ultima, caratterizzata da personaggi più complessi, stimola maggiormente l’abilità di scrutare nella mente altrui. M. Z .
Chi ha inventato la virgola?
Molti dei segni di interpunzione tuttora utilizzati sono apparsi per la prima volta nel XV secolo, cioè quando è nata la stampa. In particolare, la virgola, il punto e virgola e l’apostrofo si sono affacciati nell’italiano scritto in un’opera giovanile dell’umanista Pietro Bembo: il De Aetna (“Libro sull’Etna”), pubblicato nel 1496 dal famoso tipografo veneziano Aldo Manuzio. Gli accenti sarebbero invece più antichi, dato che ricorrono spesso in codici medievali dei secoli X-XII. Il punto esclamativo. Più complessa la storia del punto esclamativo. L a sua paternità è contesa tra il letterato Coluccio Salutati, che lo avrebbe usato in un manoscritto del 1399, e il poeta Iacopo Alpoleio da Urbisaglia, autore del trattato De ratione punctandi, pubblicato nel 1360. È lo stesso Alpoleio ad attribuirsi l’idea di un segno grafico da apporre alla fine di una frase con l’intenzione di esprimere sorpresa, ammirazione o rabbia: il segno in questione si chiamava, non a caso, “punto ammirativo” ed era formato da una barretta leggermente obliqua con due puntini alla base. F.C.
Qual è l’episodio più bello di tutte le serie TV andate in onda?
“Ozymandias”, ossia il 14° e terz’ultimo episodio della quinta (e ultima) stagione della serie TV cult Breaking Bad – Reazioni collaterali. La serie, creata da Vince Gilligan, è andata in onda dal 2008 al 2013 sul canale statunitense AMC. Stando ai voti registrati su IMDb.com, il più grande database online di cinema e televisione, da circa dieci anni questo episodio detiene il primato di gradimento da parte del pubblico globale, con una media approssimata di 10/10 mantenuta nonostante i votanti siano stati oltre 190.000. Nell’episodio, il protagonista Walter White (interpretato da Bryan Cranston) si trova ad affrontare le catastrofiche conseguenze a cui lo hanno portato le sue decisioni.
Dominio Usa. Alle spalle dell’episodio descritto, con una media di 9, 9/10, si trovano ben tre differenti episodi de Il Trono di Spade, altre due puntate di Breaking Bad, una del suo spin-off Better Call Saul, una di Mr. Robot e una – l’episodio finale – di Six Feet Under : tutte serie prodotte negli Stati Uniti. S.V.
A Graceland, per lungo tempo dimora di Presley e sua ultima abitazione (oggi è una struttura aperta al pubblico), si trova un ritratto a colori del cantante da giovane, inequivocabilmente biondo. La foto risale al 1958, quando aveva 23 anni, e fu scattata in Texas, mentre prestava servizio nell’esercito. L’archivista di Graceland, Angie Marchese, ha confermato che la star era nata bionda, con gli occhi azzurri e che si tingeva i capelli di nero perché pensava mettessero meglio in risalto i suoi lineamenti nei film. Nell’esercito non gli avevano però permesso di cambiare colore e così era, temporaneamente, tornato biondo. Tinte diverse. Si dice che la sua tinta preferita fosse un mix di Miss Clairol 51D nelle sfumature “Black Velvet” e “Mink Brown”, mentre Lary Geller, il suo parrucchiere personale, sosteneva che invece amasse molto una tintura L’Oréal. In ogni caso pare che, prima di diventare famoso, Presley usasse del lucido da scarpe. Sembra poi che Elvis non amasse i capelli scuri solo su di sé: avrebbe chiesto a Priscilla di tingersi di nero poco prima di sposarsi. I . P.
È vero che Elvis Presley in realtà era biondo?