MSOI thePost
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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Giulia Marzinotto, Segretario MSOI Torino
MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di MSOI Torino, desidera proporsi come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulterà riconoscibile nel mezzo di informazione che ne sarà l’espressione: MSOI thePost non sarà, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post
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N u m e r o
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REDAZIONE: Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Timothy Avondo, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Stefano Bozzalla, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Alessio Destefanis, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Simona Graceffa, Luca Imperatore, Andrea Incao, Michelangelo Inverso, Daniela Lasagni, Andrea Mitti Ruà, Giulia Mogioni, Silvia Peirolo, Daniele Pennavaria, Silvia Perino Vaiga, Emanuel Pietrobon, Sara Ponza, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!
SPECIALE ATTENTATI BRUXELLES BRUXELLES SOTTO ATTACCO
L’Europa colpita, ancora una volta, al cuore
Di Matteo Candelari, Corrispondente dal Belgio Sono circa le 8 di mattina di un martedì uggioso come tanti altri a Bruxelles quando due esplosioni ravvicinate devastano una parte dell’aeroporto di Zaventem. Subito si diffonde la notizia sui social e sui siti di tutto il mondo. Non si riesce neppure a realizzare ciò che è capitato e un’altra esplosione, stavolta nei pressi della stazione della metropolitana di Maelbeek, vicino alle istituzioni europee, viene avvertita. Sono circa le 9 di mattina di un martedì uggioso come tanti altri a Bruxelles. La città ben presto si ritrova in mezzo al caos e al panico. Volanti della polizia, ambulanze, pompieri, camionette di militari si riversano nelle strade. Le si-
rene urlano. La gente è attonita, incredula. Cerca di mettersi il prima possibile al riparo, in un luogo sicuro. Ma la cosa non è semplice. I mezzi di trasporto pubblico sono bloccati, le strade sono intasate, il traffico è completamente in tilt. Anche qui, come era a successo a Parigi, i cittadini tramite i social mettono a disposizione la propria abitazione per chi fosse in strada e non si sentisse al sicuro. Il clima che si percepisce è quello di una città sotto assedio. Alla sera il bilancio fornito dal Ministero della Sanità belga è di 31 morti (11 all’aeroporto di Zaventem e 20 nella metropolitana) e sono oltre 250 feriti. Il giorno dopo Bruxelles si risveglia in un clima surreale. La metro e i trasporti riprendo-
no parzialmente a funzionare, le scuole, i negozi e le università sono aperti. Segno di voler continuare a vivere una vita normale o di impreparazione? Il clima che si respira per le vie della capitale è di sfiducia. Molti funzionari della Commissione Europea scelgono di continuare il loro lavoro a casa, parecchi genitori non mandano i loro figli a scuola e anche nelle Università gli studenti che decidono di andare a lezione sono pochi. I cittadini preferiscono non utilizzare i mezzi di trasporto pubblici per spostarsi, chi la possiede, usa l’automobile. Place de la Bourse, una delle piazze centrali di Bruxelles, viene ricoperta di fiori, candele e scritte per rendere omaggio alle vittime. Alle 12 tutto il Belgio si ferma per un lungo minuto di silenMSOI the Post • 3
zio. Le bandiere rimarranno a mezz’asta per 3 giorni. Bruxelles cerca di reagire all’orrore che l’ha investita. Tuttavia, se il giorno dopo gli attentati il pensiero va giustamente al ricordo delle vittime, quello successivo la domanda che ci si pone è se l’attentato fosse davvero così imprevedibile. Gian Paolo Accardo, sulla rivista di Internazionale, scrive che la domanda da porsi non era “se” i terroristi avrebbero colpito, ma “quando”. E lo stesso premier belga, Charles Michel, ha
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ammesso che ciò che il governo temeva si è poi effettivamente avverato. A questo punto viene da chiedersi se siano state prese tutte le misure necessarie per evitarlo e se i servizi segreti e la polizia belga non abbiano commesso qualche evidente errore nella gestione della minaccia terroristica. Già dopo gli attentati di Parigi in Francia molti avevano accusato il Belgio di sottovalutare il problema della sicurezza. La cattura di Salah Abdeslam dopo oltre 4 mesi aveva fatto
gioire le autorità belghe, le quali si erano poco preoccupate però di come fosse stato possibile che l’uomo più ricercato d’Europa avesse potuto tranquillamente nascondersi per tutto questo tempo nel quartiere dove è nato. Insomma il tempo dei “Je suis” ormai è finito, tutti gli europei sono coinvolti. E per combattere il terrorismo, la risposta per molti non può che essere una sola: più Europa, a partire da un servizio di intelligence europeo.
DAESH IN EUROPA, DECOSTRUIRE LO STEREOTIPO Intervista a Lorenzo Vai, Ricercatore presso il Centro Studi sul Federalismo e l’Istituto Affari Internazionali Torino, 24 marzo 2016 Considerando lo scarso impegno belga nello scenario mediorientale, quanto sono concretamente importanti per Daesh gli attentati terroristici in Europa e la loro ripercussione mediatica internazionale? È possibile pensare ad un vantaggio reale che il gruppo Stato Islamico trae da questi avvenimenti? Le rivendicazioni dei recenti atti terroristici non sono mai arrivate subito dopo gli attacchi, ma dopo molte ore - si veda particolarmente il caso di Parigi. Tali “titubanze” sono frutto di particolari strategie? Per capire la situazione odierna in Europa è necessario comprendere ed accertare la relazione esistente tra i terroristi che agiscono nel Vecchio Continente e Daesh. Bisogna chiedersi se vi sia un collegamento reale o se il vertice del sedicente Stato Islamico - come al-Qaeda in passato abbia sfruttato l’opportunità di apporre il proprio marchio su azioni progettate in piena indipendenza ma dalle quali avrebbe tratto un ritorno di immagine. L’ipotesi di gruppi che agiscono per propria iniziativa, ricercando l’approvazione delle menti dell’ISIL in un secondo tempo, potrebbe anche giustificare la rivendicazione tardiva. È stato fino ad ora molto difficile capire la grandezza della rete transnazionale a cui hanno fatto riferimento gli attentatori di Bruxelles e Parigi. In questo senso la cattura di Salah e la sua volontà a collaborare potranno
aiutare molto le intelligence europee (fino ad ora troppo poco coordinate!). Personalmente ritengo sempre più remota la possibilità che i recenti atti terroristici siano stati compiuti da “cani sciolti”. Tuttavia ancora troppi interrogativi sembrano interessare la reale natura di una regia diretta e coordinata da parte dell’ISIL, ed il livello della sua penetrazione in Europa (si pensi al numero di foreign fighters o finti migranti).
Il sedicente Stato Islamico, come qualsiasi gruppo terroristico, ha un vantaggio reale quando si manifesta più potente o più strutturato di quanto sia in realtà (si veda a riguardo l’uso magistrale che fa della moderna propaganda via video social media). La strategia di Daesh diventa sicuramente vincente quando riesce a seminare il terrore e a diffondere sentimenti islamofobi che possano fomentare le divisioni tra cittadini europei ed il conseguente odio sociale di cui si nutre la lotta armata. Questi atti terroristici favoriscono l’immagine che Daesh vuole dare di sé in Europa, ma potrebbero al contempo avere effetti controproducenti per il Gruppo laddove convincano gli Stati europei a rispondere militarmente. È un azzardo che Daesh può attualmente
permettersi poiché pienamente consapevole di quanto sia attualmente difficile che i paesi dell’Ue riescano a convergere politicamente per un intervento. Le difficoltà di un’azione congiunta sussistono per di più nel semplice tentativo di individuare un attore chiaro contro cui rivolgere gli l’azione. Anche se l’Europa fosse unita, chi potrebbe attaccare? La Siria? L’Iraq? La Libia? Quanti attori regionali sarebbero d’accordo a sostenere un tale intervento? E quanti alleati “sulla carta” diventerebbero molto velocemente nemici invisibili “sul campo”? Partendo da Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Russia i nomi da fare sarebbero tanti. È in queste divergenze che trova spazio Daesh. Siamo davanti ad un’altra declinazione del divide et impera, questa volta non solo geografico ma culturale e religioso. Quale influenza avranno questi attacchi sulle implementazioni del recente accordo EU-Turchia? Minima. L’accordo sarà reso operativo e l’influenza degli strascichi politici degli attentati non potrà che riguardare i punti che già erano stati individuati tra le debolezze dell’accordo. Debolezze riconducibili soprattutto alla piena tutela dei diritti umani ed umanitari (in primis all’applicazione del principio del non respingimento per i richiedenti protezione internazionale a cui tutti gli Stati Membri devono far riferimento). Come la Corte europea dei diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia UE hanno già avuto modo di affermare la gestione e l’ospitalità dei richiedenti non è sempre stata all’altezza degli standard richiesti Ci sono dubbi sulla gestione dei richiedenti perché la Grecia, con le attuali infrastrutture, ha
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mostrato molte difficoltà nel riuscire a distinguere in modo efficace ed efficiente chi è un migrante economico da chi che vanta il diritto di poter richiedere protezione internazionale. In migliaia lasciano la Turchia per le coste greche e, secondo il nuovo accordo tra Bruxelles e Ankara, chi fra questi non rispetta i criteri per fare domanda di asilo dovrebbe essere immediatamente respinto. Laddove il desiderio di soddisfare esigenze di sicurezza, sempre più crescenti, soverchierà il dovere giuridico e morale di rispettare le esigenze dei migranti, saranno i richiedenti asilo le prime vittime. L’effetto della paura per questi attentati terroristici non potrà che mettere in secondo piano i diritti e in primo la sicurezza.
del nemico. Quasi sempre gli attori mediorientali ricoprono entrambi i ruoli e c’è una profonda razionalità in questo, un realismo politico molto occidentale! Il Belgio sino ad ora è stato uno dei principali “hub” del terrorismo di matrice jihadista. Sia per la sua collocazione geografica sia per motivi di rilevanza del Paese nella politica internazionale, pensa anche l’Italia potrebbe diventare un obiettivo del terrorismo? Sicuramente, l’Italia rischia, soprattutto per i tanti obbiettivi sensibili che il Paese presenta.
No, c’è molta disinformazione. Soprattutto l’opinione pubblica è scarsamente informata riguardo la struttura e gli interessi economici che gravitano attorno a Daesh.
Il Belgio è un Paese con debolezze peculiari. Innanzitutto le inefficienze del suo apparato statale pagano la forte divisione politica e culturale che caratterizza un paese fortemente diviso in gruppi etnico-linguistici. Divisioni a cui si somma un alto tasso di diseguaglianza sociale e problemi di integrazione sociale simili a quelli riscontrati nelle banlieue parigine. Ritengo che coloro che hanno definito il Belgio come uno “stato fallito” non si sono allontanati molto dalla realtà.
Inoltre, le relazioni che il gruppo Stato Islamico intreccia con gli altri attori del Medio Oriente appaiono spesso poco chiare nel racconto pubblico. Rimane sconosciuto che vi siano Paesi che lo sostengono segretamente, fingendo di combatterlo di fronte all’Occidente. L’Arabia Saudita, in tal senso, ha avuto ed ha sicuramente un ruolo ambiguo, come anche la Turchia per quanto riguarda il suo appeasement con l’ISIL lungo il confine siriano in ottica anticurda Ci sono atteggiamenti ambigui che impediscono di capire chi è un alleato e chi un sostenitore
L’Italia ha sicuramente giovato dalla presenza un minore scontro culturale e religioso legato all’integrazione. Ci sono comunque radici di diseguaglianza sociale anche nel nostro Paese e questa continua ad essere il retroterra fertile per la crescita del terrorismo di matrice jihadista europeo. L’effetto peggiore che potrebbe avere la strategia del terrore sarebbe perciò quello di interrompere il dialogo interculturale. La mancanza di occasioni di confronto ed integrazione, unite alla crisi economica, formano la ricetta perfetta per creare terroristi
Pensa che i media europei ritraggano opportunamente il gruppo Stato Islamico?
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made in Italy. In conclusione, l’Italia rischia come tutti i Paesi europei, quindi la sua risposta - come quella di tutti gli altri Stati deve essere un rafforzamento coordinato delle misure di sicurezza ed intelligence. Ma non può esistere una risposta solo italiana, che sarebbe certamente poco efficace data la transnazionalità del fenomeno. Una strategia comune ed una seria collaborazione a livello europeo rappresentano l’unica seria risposta. Una soluzione alla crisi siriana con una sconfitta militare di Daesh, quali conseguenze avrebbe sulla rete jihadista internazionale che opera oramai anche in Europa? Una soluzione alla crisi siriana comporterebbe enormi progressi, senza dubbio. Bisogna capire che cosa si intende per una sconfitta militare di Daesh. Innanzitutto vi è il problema di identificazione del gruppo che veniva trattato in precedenza. Il secondo problema, laddove ci fosse un intervento e questo avesse successo, è il “cosa fare dopo”. Ovvero: come portare la stabilità in un territorio e in un tessuto sociale martoriato dalla guerra? La Siria necessita di una pacificazione ed una stabilizzazione (prima di tutto per salvaguardare la vita dei suoi cittadini) che coinvolga più parti ed attori regionali possibili. Senza queste premesse nuovi (o vecchi) fattori disgregativi non tarderanno a ripresentarsi dando vita a qualcosa già visto in Iraq, e ad una nuova sigla del terrorismo con cui confrontarsi. La Redazione di MSOI thePost, sezione Medio Oriente
EUROPA 7 Giorni in 300 Parole
FOREIGN FIGHTERS
La proposta UE per combattere il nemico interno atti terroristici “preparatori”.
di Federica Allasia CIPRO “La Turchia deve aprire porti e aeroporti alle imbarcazioni e agli aerei ciprioti e normalizzare le sue relazioni con Cipro, cosa che non fa”. Queste le condizioni poste da Nicos Anastasiades, Presidente della Repubblica Cipriota, affinché non ponga il suo veto all’accordo UE-Turchia sulla crisi dei rifugiati, accordo di cui peraltro lamenta una carenza d’informazione da parte dei funzionari europei.
GRAN BRETAGNA “Il terrorismo potrebbe spaccare l’UE e portare alla brexit”: così titola un articolo sul Daily Telegraph. A seguito degli attentati di Bruxelles, i sondaggi registrano un aumento percentuale dei sostenitori dell’uscita dall’Unione, aumento che porterebbe le chance di brexit al 36%. ”Restare nell’UE è ormai compromettente per la nostra sicurezza” secondo Peter Whittle, candidato UKIP a sindaco di Londra.
“We got him”: così Theo Francken, segretario di Stato belga per l’Asilo e l’Immigrazione, ha commentato l’arresto di Salah Abdeslam, unico sopravvissuto tra gli attentatori parigini del 13 novembre scorso. La stessa frase era stata pronunciata da Paul Bremer dopo la cattura di Saddam Hussein, nel 2003. Salah Abdeslam, però, non è un dittatore, ma un ragazzo di 26 anni nato e cresciuto a Bruxelles, un cittadino europeo che ha consapevolmente scelto di diventare un “combattente straniero”.
Quello dei foreign fighters è un fenomeno sempre più diffuso, capace di fare proseliti non solo tra i giovani musulmani apparentemente integrati nella società europea, ma anche tra gli ultimi a convertirsi, uomini e donne che vedono nel gruppo Stato Islamico e nella jihad un’occasione di rivalsa personale. L’urgenza di contrastare le trasformazioni del mondo islamico attraverso un intervento globale si è riflessa nella Risoluzione 2178/2014, con la quale il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha imposto l’adozione di misure generali e preventive nella lotta al terrorismo internazionale, dirette a combattere l’estremismo violento e ad attribuire rilevanza penale agli
In ambito europeo, il 2 dicembre 2015 è stata presentata a Bruxelles la proposta di direttiva 2015/0281 (COD) del Parlamento Europeo e del Consiglio. Essa sostituirebbe la decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI attualmente in vigore e sarebbe finalizzata a trasporre nell’ordinamento europeo la disposizione dell’ONU per “attuare regole e obblighi nuovi assunti dall’UE a livello internazionale e gestire più efficacemente la minaccia terroristica in evoluzione, rafforzando la sicurezza dell’Unione e dei cittadini”.
Per rendere più incisivo l’intervento europeo è poi necessario uniformare alla disciplina comunitaria le disposizioni di diritto penale già previste dai singoli Stati in tema di foreign fighters. Il codice penale italiano sanziona all’art 270 quinquies l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale, il corrispondente codice francese (art 421.1.2) e quello danese (cap.13) configurano come reato anche il finanziamento di atti terroristici. Il governo tedesco ha disposto l’apposizione di particolari segni sulle carte di identità di presunti terroristi, al fine di renderli riconoscibili ai controlli, e diversi Paesi, tra cui Austria, Belgio e Gran Bretagna, hanno previsto la revoca della cittadinanza a chi abbia combattuto in unità paramilitari straniere. MSOI the Post • 7
EUROPA GRECIA Centri di identificazione o centri di detenzione? Questo il dibattito intorno agli hotspot, le strutture che ricevono, assistono e registrano il flusso dei migranti, a seguito della denuncia da parte dell’Alto commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) . Secondo l’Agenzia ONU in molti di questi centri si assisterebbe ad un vero e proprio fenomeno di detenzione obbligatoria. Pertanto, come ha affermato la portavoce Melissa Fleming, “abbiamo sospeso alcune delle nostre attività”, in particolare i trasporti dei migranti verso questi centri. Continuano invece
ad essere garantiti i servizi di sorveglianza ed informazione. SPAGNA La scorsa domenica si consuma la tragedia che è costata la vita a 13 studenti, di cui 7 italiani, partecipanti al progetto Erasmus a Barcellona. Sono le 6 del mattino, sull’autostrada A-7 nella zona di Tarragona, quando l’autobus che trasportava i ragazzi si scontra contro un camion. Le cause sono ancora da stabilire con precisione, ma sembra si tratti di errore umano. A cura di Fabio Saksida
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DÉCHÉANCE DE LA NATIONALITÉ: COUP D’ARRÊT DU SÉNAT
La mesure déjà controversée a été complètement modifiée par le Sénat Par Michele Rosso, correspondant pour la France. Le 17 et le 22 Mars le Sénat français a bloqué l’inscription de la déchéance de la nationalité dans la Constitution. Cette proposition, très débattue, est l’une des conséquences des attentats de Paris. François Hollande avait en effet manifesté, devant le Parlement réuni en Congrès à Versailles, la volonté de modifier la Charte constitutionnelle afin d’y insérer l’état d’urgence, dans une optique de lutte au terrorisme. Parmi les mesures complémentaires prévues par le projet de révision constitutionnelle présenté le 23 décembre 2015 figurait aussi la déchéance de la nationalité. Cette mesure est à présent réglée par l’article 25 du Code Civil. Parmi les catégories ciblées apparaît celle des citoyens ayant commis «un acte qualifié de crime ou délit constituant une atteinte aux intérêts fondamentaux de la nation». Elle concerne en outre uniquement les Français naturalisés binationaux depuis moins de 10 ans ou 15 ans en cas de terrorisme. Avec la réforme constitutionnelle, François Hollande souhaitait insérer cette mesure dans l’article 34 de la Constitution et l’étendre aux Français nés binationaux. Mais très rapidement des vifs contrastes sont apparus au sein du Parti Socialiste, dont les dirigeants étaient favorables à l’extension de la mesure à tous les Français, pour des raisons
d’égalité. Le gouvernement avait ainsi présenté en janvier 2016 une modification du projet de loi où plus aucune référence explicite n’était faite aux binationaux. En Février, l’Assemblée Nationale est cependant parvenue à adopter les dispositions sur la déchéance de nationalité, en ligne avec la proposition du gouvernement, mais avec une majorité très serrée due à l’opposition de nombreux députés du PS. Toutefois le Sénat- à majorité républicaine- a examiné le texte de l’Assemblée nationale le 17 Mars et a modifié considérablement les dispositions relatives à la déchéance de la nationalité par rapport au texte voté par les députés. En particulier, face aux oppositions qui ont soulevé le problème des apatrides, le Sénat a réintroduit la condition de la double nationalité. Le texte a été adopté par la Chambre haute ce mardi, avec 176 voix en faveur. Etant donné que toute révision constitutionnelle doit être approuvée dans les mêmes termes par les deux Chambres (et doit ensuite être votée par le Congrès à une majorité de 3/5) le vote du Sénat semble éloigner la réforme constitutionnelle et rendre presque impossible l’introduction de la déchéance de nationalité. L’opposition critique d’ailleurs toutes ces initiatives qui ne seraient que des mesures aussi symboliques qu’inefficaces contre la lutte au terrorisme.
NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI
CUBA-STATI UNITI: IL DISGELO Lo storico incontro fra Obama e Raul Castro
Venerdì 19 marzo. Dump Trump, lo slogan simbolo delle continue proteste portate avanti negli ultimi giorni contro il candidato newyorkese. Di Lorenzo Bazzano
Nella città di Salt Lake City, Utah, la polizia locale è intervenuta per sedare gli scontri tra oppositori e sostenitori del magnate. Numerosi contestatori bloccano un tratto di autostrada in Arizona. Arresti effettuati anche nella città di New York. Lunedì 21 marzo. John Kerry incontra a L’Avana la delegazione del Governo colombiano e, successivamente, i vertici FARC, tra i quali spicca Rodrigo Londono, anche conosciuto come Timochenko. Lo scopo dell’incontro è la negoziazione di un accordo di pace che ponga fine al conflitto armato in Colombia. Martedì 22 marzo. Prosegue la corsa elettorale. Clinton e Trump vincitori delle primarie del Western Tuesday in Arizona. Caucus democratici anche in Idaho e Utah, nei quali il candidato Sanders supera la rivale Clinton. Nei caucus repubblicani dello Utah si aggiudica la vittoria il candidato Ted Cruz. Martedì
22
marzo.
Gli
Stati
Il 21 e il 22 marzo si è tenuta la prima visita a Cuba di un presidente statunitense dopo 88 anni. Un’ulteriore, decisiva, tappa del disgelo fra Stati Uniti e Cuba avviatosi il 17 dicembre 2014, quando Obama e Castro annunciarono la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, interrottisi a partire dal 1961 in conseguenza della crisi dei missili. Tra i due presidenti persistono punti di frizione e visioni politiche differenti: basti pensare che durante la conferenza stampa del 21 marzo il presidente Castro ha risposto con visibile irritazione a una domanda di un giornalista della CNN riguardo i detenuti politici. Il Presidente cubano ha dichiarato che in tema di diritti umani non è disposto a “prendere lezioni da nessuno” e sono anzi proprio gli Stati Uniti a dover ancora lavorare sul trattamento di “poveri, minoranze e persone senza assistenza sanitaria”. Il rispetto dei diritti umani resta quindi un terreno particolarmente delicato, oltre ad essere una delle condizioni fondamentali, insieme ai miglioramenti economici, che Obama ha posto per la fine dell’embargo. Nonostante gli attriti è molto probabile che alla fine l’embargo verrà tolto, anche perché molti
investitori americani hanno intenzione di investire nell’isola nei settori più disparati, come il turismo, l’agricoltura, il settore edile, le catene di fast-food e il settore dell’industria mineraria. Il timore di molti cubani è che Castro voglia sfruttare l’embargo per rafforzare e rendere irreversibile il suo regime. La Stampa ha pubblicato a questo proposito un’intervista alla leader del movimento di protesta Damas de blanco, Berta Soler. Ella afferma che lo scopo principale dell’avvicinamento tra Obama e Castro deve essere quello di permettere al popolo cubano di decidere del proprio futuro attraverso elezioni democratiche. Lo storico incontro tra i due leader si è concluso con una partita di baseball tra la nazionale cubana e la squadra statunitense dei Tampa Bay Rays. Un evento non soltanto simbolico: il baseball è uno sport molto amato a Cuba e potrebbe diventare in futuro un autentico punto di incontro fra i due Paesi, un modo per ridefinire le differenze. Del resto, come riporta Peter Kornbluh sul The Nation, già in passato Stati Uniti e Cuba hanno tentato di riavvicinarsi nel segno di una comune passione sportiva, sotto le presidenze di Kissinger e Clinton. Allora i tentativi non ebbero riscontro, oggi le cose potrebbero andare diversamente.
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NORD AMERICA Uniti colpiscono la regione meridionale dello Yemen. Secondo quanto dichiarato da Peter Cook, portavoce del Pentagono, l’obiettivo della missione sarebbe stato un campo di addestramento di alQaeda. Almeno 50 le vittime tra gli affiliati dell’organizzazione terroristica. Non ancora disponibile l’effettivo bilancio delle vittime civili coinvolte.
Giovedì 24 marzo. Il segretario di Stato John Kerry in visita a Mosca per prendere parte all’incontro con il ministro degli Esteri russo Lavrov e il Presidente Putin. Tra le priorità del Governo americano vi è comprendere se vi possano essere ulteriori passi avanti nel processo di transizione governativa in Siria.
USA-IRAN : TENSIONI CRESCENTI? La speranza dell’avvicinamento minacciata da atteggiamenti ostili
Di Simone Poté In occasione del Nawruz, il capodanno iraniano (20-21 marzo), Barack Obama ha evidenziato gli apporti positivi risultanti dal recente accordo sul nucleare tra i due Paesi. Allo stesso modo, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha sottolineato l’importanza di proseguire nell’assunzione di impegni internazionali.
Il clima tra i due Paesi parrebbe dunque più disteso, specie rispetto agli ultimi decenni di forti attriti. Tuttavia, l’ayatollah Ali Khamenei, detentore della maggiore parte dei poteri di Stato in Iran, sembra remare nella direzione opposta.
CANADA Domenica 20 marzo. Tensioni nella città di Quebec dopo una conferenza stampa tenuta da Marine Le Pen. La leader del Front National francese ha definito “un errore” la politica canadese in materia di immigrazione. Ad attenderla, al termine della conferenza, numerosi attivisti e striscioni “Qui, terra di accoglienza. Preferiamo l’arrivo di migliaia di immigrati che l’arrivo di un solo razzista”. A cura di Erica Ambroggio
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Recentemente l’Ayatollah ha imputato agli USA l’impedimento del pieno sviluppo economico del Paese: stando a Khamenei, l’interruzione delle sanzioni grazie all’accordo sul nucleare sarebbe infatti solo su carta. Al contrario, resterebbero de facto grandi problemi legati alle transazioni bancarie con i Paesi occidentali, impauriti dagli USA. Secondo questa accusa, Washington intimorirebbe le grandi corporations e le banche, che per questo motivo esiterebbero nel fare affari con l’Iran.
Inoltre, l’Iran continua a eseguire test di lancio di missili balistici, violando così gli accordi internazionali. John Kirby, portavoce del dipartimento di Stato USA, ha affermato che questi test non violano l’accordo sul nucleare, ma che non rispettano la Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In tutta risposta, l’Iran ha affermato che si tratta di azioni volte a creare un effetto di deterrenza verso gli Stati limitrofi.
A ciò si aggiunge il recente rifiuto del pagamento dei 10,5 miliardi di dollari di risarcimento per i fatti dell’11 settembre. Gli USA accusano, tra gli altri, l’Iran di complicità nella vicenda. Il ministro iraniano degli Esteri, Hossein Ansari, ha definito l’accusa “ridicola”, come ridicola sarebbe stata la scelta di esentare l’Arabia Saudita da ogni forma di pagamento in quanto caratterizzata dall’immunità sovrana. Come se non bastasse, un ulteriore aumento delle tensioni risulta dalle recenti dichiarazioni dei candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti, i quali giudicano gli accordi sul nucleare “catastrofici”; a loro volta, questi sono stati aspramente criticati dall’ayatollah in quanto estremamente ostili all’Iran.
MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole ARABIA SAUDITA Il leader religioso sciita Hussein al-Radi è stato arrestato nella Provincia Orientale per aver esaltato le azioni del gruppo armato libanese Hezbollah. Il provvedimento rientra nelle nuove misure che il governo saudita ha applicato contro il “gruppo terrorista”, e contro i suoi sostenitori, dopo la crisi diplomatica di gennaio con l’Iran, che ha visto diversi Paesi del Golfo ritirare i propri ambasciatori da Teheran.
TURCHIA Il 19 marzo scorso un kamikaze si è fatto esplodere in una via nel centro di Istanbul, provocando 5 vittime e una trentina di feriti, alcuni in condizioni gravi. Il ministro degli interni Efkan Ala ha attribuito l’atto terroristico ad uno jiahdista legato a Daesh e sono stati arrestati altri 5 complici.
Riguardo agli attentati di Bruxelles, il presidente Erdogan ha rivelato che Bakraoui, uno degli attentatori identificati, era stato arrestato in Turchia al confine con la Siria e successivamente espulso in Olanda. Stando a quanto dichiarato dal leader turco, inoltre, Ankara aveva informato l’ambasciata belga sul sospetto che si trattasse di un foreign fighter.
PALESTINA L’ambasciatore palestinese negli USA, Maen Erekat, ha denunciato che il Congresso, grazie a una forte presenza pro-israeliana,
LA MOSSA CURDA DELL’AUTONOMIA DEL ROJAVA Mentre i colloqui di Ginevra proseguono a rilento, i curdi siriani si proclamano federazione autonoma Di Emiliano Caliendo, Sezione MSOI Napoli
In Siria, la popolazione curda costituisce circa il 10% della popolazione, con oltre 2 milioni di abitanti. Nelle aree del nord, la milizia curda meglio organizzata e maggiormente appoggiata a livello internazionale è quella dello YPG, Unità di Protezione Popolare, braccio armato del Partito dell’Unione Democratica (PYD), legato politicamente al Partito dei Lavoratori Curdo (PKK). Il 16 e il 17 marzo, nella città di Rmeilan, 3 delegazioni curde presenti nel Kurdistan siriano dopo il ritiro delle truppe di Assad nel luglio 2012, hanno proclamato la creazione di una regione autonoma: il Sistema Federale Democratico del Rojava, sancendo così la costituzione di un sistema di governo federale costituito dai 3 cantoni curdi di Jazira, Kobane e Afrin. La sorprendente proclamazione è avvenuta in contemporanea con i colloqui di pace di Ginevra. Numerose le reazioni di forte scetticismo e biasimo, in primis dalla Turchia, da sempre spaventata dalla possibilità di uno stato curdo al suo confine meridionale. I gruppi dell’opposizione siriana, sostenuti dall’Arabia Saudita e dalle monarchie del Golfo, hanno considerato l’annuncio inaccettabile, considerandolo come un sabotaggio del processo di pace, mentre
il governo di Damasco ha ribadito la violazione dei principi costituzionali. La reazione di Masoud Barzani, presidente della Regione del Kurdistan Iracheno (RKI), è indicativa delle dinamiche che intercorrono tra curdi siriani e iracheni, già dotati di una regione autonoma: ‘’Il concetto di federalismo si adatta alla situazione in Siria. Ma ci deve essere consenso tra i siriani stessi. […] Il PYD non appare sincero riguardo la democrazia.’’ ha affermato. I motivi del risentimento curdo-iracheno nei confronti del PYD siriano sono da ricercarsi in due ragioni: una strategica, l’altra ideologica. La prima consiste nella possibilità della creazione di un percorso alternativo ed indipendente all’esportazione del greggio, di cui il Kurdistan è ricco, passando da Erbil. La seconda ragione è la realizzazione del Grande Kurdistan, Stato-nazione indipendente, capace di riunire tutti i curdi della regione, in contrasto con il progetto di un federalismo di tipo cantonale, propagandata dal PKK e PYD. Mentre i colloqui di Ginevra sono in una fase di stallo, i curdi siriani forti del supporto materiale e logistico sia russo che statunitense aprono all’ipotesi di una Siria federalista, precedentemente delineata da Sergej Rjabkov, vice ministro degli Esteri russo. MSOI the Post • 11
MEDIO ORIENTE starebbe bloccando la somma di 159 milioni di aiuti accordata precedentemente e destinata all’Autorità Palestinese, perché ritiene che questa sosterrebbe il terrorismo.
UE-TURCHIA
Accordo per la crisi dei migranti ciso di accelerare il versamento dei 3 miliardi di euro e si è detta disponibile a mobilitarne altri 3 entro la fine del 2018, a condizione che i primi aiuti siano già stati utilizzati e gli impegni presi mantenuti. A partire dal 1° giugno 2016 si liberalizzeranno i visti per i cittadini turchi, che potranno circolare in Europa liberamente.
Mentre si attendono eventuali smentite dalla Casa Bianca, l’Amministrazione civile israeliana dei Territori Occupati ha annunciato nuove confische nel distretto palestinese di Nablus.
YEMEN Gli ufficiali del governo riconosciuto a livello internazionale affermano che i ribelli houthi starebbero per scendere a patti e per ritirarsi in tempi brevi dalle zone occupate e quindi consegnare le armi per iniziare la tregua.
SIRIA Con il sostegno dei raid russi coordinati con l’aviazione siriana, l’esercito di Damasco ha raggiunto l’area a sud-est della città di Palmira, dal maggio scorso in mano a Daesh e sede di un importante sito archeologico patrimonio dell’UNESCO.
IRAQ Con l’aiuto aereo della coalizione U.S, l’esercito iracheno ha incominciato nella giornata di mercoledì un’offensiva contro la città di Mosul, centro strategico di Daesh per estensione e ricchezza, che il governo di Baghdad mira a riconquistare entro l’anno.
A cura di Lorenzo Gilardetti
Di Martina Scarnato Il 18 marzo i leader dei 28 Paesi dell’UE hanno firmato un accordo con la Turchia riguardo la gestione dell’arrivo di immigrati irregolari sulle coste greche. Il testo è stato approvato all’unanimità, anche se, come precisato dalla cancelliera Angela Merkel, “solo Ungheria e Slovacchia si sono dette non disponibili al piano di ricollocamenti”. In breve, l’accordo prevede che dal 20 marzo venga attuato il principio dell’Uno a uno (in realtà, Atene ha fatto sapere di aver bisogno di più tempo). L’Unione si impegna cioè a ricollocare un siriano per ogni immigrato irregolare respinto. In totale si parla di un tetto massimo di 72mila persone e la priorità per l’accoglienza verrà accordata a coloro che non abbiano tentato in precedenza di entrare in Europa in modo irregolare, nonché alle donne e ai bambini. Per quanto riguarda i respingimenti, ciascuna domanda d’asilo verrà valutata individualmente dalle autorità greche con la cooperazione dell’UNHCR. Quanto alla Turchia, l’UE ha de-
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L’accordo presenta numerosi punti critici, tantoché si è parlato di “una violazione senza precedenti del diritto europeo alla protezione internazionale e della Convenzione di Ginevra”. Uno dei problema principali, infatti, è che la Turchia non ha ratificato la sopracitata convenzione, mentre la Grecia, che l’ha fatto, non può respingere dei profughi in un Paese che non la rispetta senza violare il diritto internazionale. Per alcune associazioni, tra le quali Human Rights Watch, inoltre, la Turchia non può esser considerato un Paese sicuro secondo i criteri previsti dalle norme dell’UE, giacché non riconosce ai profughi siriani lo status di rifugiato. Oltre a ciò, attuare il principio dell’uno a uno risulta difficile in quanto, se anche esiste una priorità per la concessione dei visti, si teme che non venga rispettata. Infine, si stima che solo nel 2015 circa un milione di profughi abbia tentato di entrare in Europa attraverso la rotta balcanica e dunque il tetto massimo previsto per le accoglienze (72mila persone) potrebbe rivelarsi inadeguato. Dunque, l’accordo potrebbe non riuscire a risolvere la maggior crisi migratoria dalla Seconda Guerra Mondiale.
RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole SERBIA Belgrado. Dopo gli attentati del 22 marzo, il primo ministro Aleksandar Vucic ha rassicurato che non vi è motivo di temere attacchi terroristici in Serbia in questo momento. Il Primo Ministro serbo ha osservato che, a causa della crisi dei migranti, le forze armate serbe sono ancora in stato di allerta e che le autorità esamineranno le misure di sicurezza in maniera più severa. “Il meglio che possiamo fare è di mostrare che non abbiamo paura, prendere provvedimenti, proteggere le persone e distruggere questa piaga” ha detto Vucic. “Il nostro compito è quello di proteggere i confini, le strutture e la popolazione”. Il Premier ha poi aggunto che saranno prese tutte le misure possibili per prevenire eventuali attacchi. UCRAINA 22 Marzo. Il presidente ucraino Petro Poroshenko fa sapere che il governo è pronto a scambiare Nadia Savcenko, condannata a 22 anni di reclusione, con Ievgheni Ierofeiev e Aleksandr Aleksandrov, due militari russi catturati lo scorso maggio nel Donbass dalle truppe ucraine. La top-gun ucraina Nadia Savchenko, ora in Russia, è stata condannata per l’omicidio dei giornalisti russi morti nell’Ucraina orientale e ingresso illegale nel Paese.
BOSNIA- ERZEGOVINA 24 marzo, Sarajevo. In conclusione di un processo durato 6 anni, il
PASSAGGIO A SUD-EST
Nonostante l’accordo ancora incertezze sulla rotta balcanica, strada per l’Europa
Di Lorenzo Bardia Sebbene il 18 marzo sia stato siglato un importante accordo tra l’UE e la Turchia secondo il quale tutti i richiedenti asilo privi di documenti che attraverseranno le acque turche per raggiungere l’Europa saranno respinti, il flusso che coinvolge ormai da diversi mesi la penisola balcanica pare non interrompersi. I rappresentanti del governo ellenico, anche se l’accordo avrebbe dovuto avere effetto formalmente a partire dal 20 marzo, hanno infatti chiarito di non essere ancora in grado di iniziare i trasferimenti verso la Turchia. Nelle ultime ore, secondo l’emittente britannica ITV, almeno altri 12 barconi con a bordo 875 migranti sono sbarcati in Grecia sulle coste dell’isola di Lesbo. Più a nord, la Macedonia ha chiuso e ufficialment i suoi confini. Le autorità di Skopje hanno spiegato che ciò è la diretta conseguenza delle decisioni dei governi di Slovenia, Croazia e Serbia di non accettare più migranti senza documenti validi e di ripristinare il regime delle regole Schengen. Da giorni però, al confine fra la Macedonia e la Serbia, sono bloccati circa 500 migranti e profughi, la maggior parte dei quali provenienti dalla Siria e dall’Iraq, che non possono tornare in Macedonia e allo stesso
modo non possono proseguire il loro viaggio verso l’Europa occidentale. I responsabili locali dell’agenzia specializzata UNHCR, preoccupati dalla precarietà delle condizioni di vita nei bivacchi alla frontiera, hanno lanciato l’allarme: oltre la metà dei migranti bloccati sono bambini. In questo scenario in continua evoluzione, alcuni osservatori hanno evidenziato come ipotesi realistica un possibile spostamento della rotta balcanica sull’Albania. Edi Rama, il primo ministro dell’Albania, si è però affrettato a dichiarare che il Paese non aprirà i confini al flusso dei migranti, aggiungendo che “L’Albania è pronta ad assumersi la sua parte della responsabilità in relazione al problema dei rifugiati, ma non può trovarsi intrappolata aprendo i confini”, definendo inoltre la modalità con cui la crisi è stata gestita nella penisola balcanica “un triste spettacolo”. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dichiarato: “Il flusso irregolare di migranti lungo la rotta dei Balcani occidentali è finito. Non è una questione di azioni unilaterali, ma una decisione comune a 28”. Le incertezze però, in vista dell’imminente bella stagione, permangono: solo i prossimi mesi chiariranno se la risposta europea alle migrazioni di massa sarà stata adeguata o meno. MSOI the Post • 13
RUSSIA E BALCANI Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia dell’Aja ha condannato a 40 anni di reclusione l’ex Presidente della Repubblica Serba, Radovan Karadzic. Egli è stato riconosciuto “criminalmente responsabile” per il massacro di Srebrenica. Era accusato di genocidio, crimini contro l’umanità, nonchè violazione delle leggi e dei costumi di guerra, ai danni di musulmani e croati bosniaci durante la Guerra del 1992-95. È ritenuto responsabile, inoltre, di massacri, stupri, torture e saccheggi. Una pulizia etnica che poteva contare su diversi campi di concentramento, dislocati in 7 comuni della Bosnia.
MACEDONIA Sorgono nuove proteste di migranti e profughi al campo di Idomeni, dove fino a 15mila persone sono rimaste bloccate dopo la chiusura delle frontiere lungo tutta la rotta balcanica. Non vogliono arrendersi e continuano a chiederne la riapertura in modo che possano riprendere il viaggio verso l’Europa occidentale. Questa settimana due profughi siriani si sono dati fuoco nel corso di una protesta a Idomeni. Molte altre manifestazione anche in altre località sulle isole greche dove sostano in migliaia. Come riferiscono i media macedoni, centinaia di migranti hanno bloccato il valico di Evzoni al confine grecomacedone. A cura di Giulia Andreose
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RIVOLUZIONE RUSSA?
Mosca sembra preparare una nuova strategia
Di Giulia Bazzano Dopo 166 giorni, l’intervento russo in Siria sembra essere giunto al capolinea. Un’uscita di scena accompagnata dalle parole di soddisfazione del presidente Vladimir Putin, che afferma: “quasi tutti gli obiettivi prefissi sono stati raggiunti”. “Con il sostegno della nostra aviazione, le truppe siriane hanno liberato 400 aree abitate e oltre 10mila chilometri quadrati di territorio”, ha aggiunto il ministro della Difesa Serghiei Shoigu. I bombardamenti russi sarebbero, infatti, risultati decisivi nel fermare l’avanzata dei ribelli, permettendo così di riprendere il controllo della fascia costiera, dove si concentra la maggior parte degli sciiti alauiti. Resteranno attive la base navale di Tartus e quella aerea di Hemeimeem, nuovo caposaldo di Mosca nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. La base aerea servirà per controllare che il cessate il fuoco del 27 febbraio scorso venga rispettato. Mosca, inoltre, non rinuncerà agli impegni presi, continuando a finanziare assistenza tecnica e armi. Tra le reazioni di fronte a questi cambiamenti nella strategia russa, c’è chi ha parlato di un cambio di rotta e chi, invece, era più scettico di fronte a questa ipotesi. Per molti si sarebbe trattato di una scelta dettata da problemi
economici ormai noti: per un Paese vessato da sanzioni e dalla crisi petrolifera il costo di una guerra potrebbe essere diventato eccessivo. Per altri osservatori, il ritiro delle truppe russe potrebbe essere la conseguenza di una mancata intesa tra Mosca e Damasco: la decisione del Cremlino costringerebbe il presidente Assad a scendere a compromessi nella transizione politica e democratizzazione della Siria richiesta dalla comunità internazionale. Non vi sarebbero solo cambiamenti nelle scelte militari. Mentre Mosca dava l’annuncio del ritiro, l’agenzia di stampa governativa TASS rendeva pubblico l’incontro tra alcuni esponenti di un nuovo gruppo dell’opposizione siriana e alcuni esponenti russi, sottolineando come questa fazione di ribelli non avesse ancora preso parte ai conflitti contro le forze governative. L’apertura al dialogo e il ritiro delle forze militari potrebbero essere decisivi. “Lasceranno più spazio per i trattati di pace”, ha concluso Putin, parlando di una “buona motivazione per riprendere i negoziati”. Il ministro degli esteri Lavrov ha ricevuto una chiara direttiva: intensificare l’azione di Mosca nel processo di pace. La Russia non intenderebbe, dunque, abbandonare il suo ruolo chiave nella risoluzione del conflitto, ma spostare il suo impegno dalla Siria a Ginevra.
ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole CINA Il 22 marzo, in risposta ai media filippini che avevano accusato la guardia costiera cinese di violenze contro dei pescatori filippini, il ministro degli esteri cinese Hua Chunying ha dichiarato che altri pescatori originari delle Filippine hanno bersagliato una nave delle forze di polizia cinesi con degli ordini incendiari. La guardia costiera cinese avrebbe tentato di allontanarli dalla zona per pesca illegale.
Mar cinese meridionale. La Corte dell’Aja sta esaminando il caso riguardante Itu Aba, o Taiping, le isole contese da Taiwan, Cina, Filippine e Vietnam. Se questa minuscola porzione di terra venisse dichiarata ufficialmente isola, chi riuscisse a entrarne in possesso potrebbe far valere il diritto alle 200 miglia nautiche a partire da essa. Secondo la Reuters, la Cina è attualmente in contatto con il Nepal per verificare la possibilità di realizzare una ferrovia che colleghi i due Paesi. GIAPPONE Greenpeace ha dichiarato che una nave con a bordo 331 kg di plutonio per uso militare ha lasciato la mattina del 22 marzo, il porto di Tokai Mura, a bordo della nave Pacific Egret, battente bandiera britannica. Secondo la ONG, il plutonio verrà trasportato negli Stati Uniti allo U.S. Department of Energy’s Savannah River in South Carolina.
MYANMAR, È UN ALTRO PASSO VERSO LA DEMOCRAZIA Il braccio destro di Aung San Suu Kyi è ora Presidente
Di Carolina Quaranta Il Myanmar ad una svolta epocale: dopo oltre 50 anni di regime militare, il 15 marzo il Parlamento ha eletto il civile Htin Kyaw Presidente. Kyaw, che entrerà in carica ad aprile, andrà a sostituire Thein Sein, generale in congedo dell’esercito birmano, che esercita il ruolo dal 2011 e che già rappresentava una svolta. Il regime, infatti, in seguito al referendum costituzionale del 2008 si trovò costretto a favorire una stagione riformista per far fronte alle incalzati sanzioni internazionali. Il neoeletto Presidente appartiene alla Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito che lo scorso novembre ha vinto le elezioni in Myanmar, guidato da Aung San Suu Kyi. La leader politica non poteva essere eletta a causa di una clausola della Costituzione, voluta dalla giunta militare, che impedisce l’elezione di chi abbia familiari o parenti che hanno giurato fedeltà ad un’altra nazione. Kyaw ha ottenuto 360 voti su 652, superando il candidato dell’esercito Myint Swe ed il secondo candidato della NLD di
Suu Kyi, Henry Van Thio. 69 anni, economista ed ex compagno di studi della leader birmana, Kyaw aveva presentato la sua candidatura soltanto una settimana prima dell’elezione. Fino a quel momento, Aung San Suu Kyi aveva tentato con ogni mezzo di aggirare la clausola che le impediva di ricoprire il ruolo di capo dello Stato; ma i militari, autori della Costituzione, non hanno mostrato di voler cedere a trattative. La leader politica aveva allora elaborato una soluzione alternativa, che consisteva nel proporre un personaggio che godesse della sua piena fiducia, per limitarsi poi a governare al suo fianco. Htin Kyaw è infatti uno dei suoi più stretti collaboratori. Il padre, lo scrittore e poeta Min Thu Wun, negli anni ‘90 ottenne un seggio in Parlamento con NLD. La moglie, Su Su Lwin, fa parte dei personaggi storici del partito: figlia di uno dei membri fondatori, è anch’ella parlamentare. Hitn Kyaw aiuta Suu Kyi nella sua causa da anni, dai tempi in cui il premio Nobel girava per il Paese diffondendo i suoi ideali di coscienza democratica.
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ORIENTE L’agenzia giapponese per l’energia atomica (JAEA) non ha voluto rilasciare dichiarazioni a riguardo.
Il primo ministro Shinzo Abe ha recentemente dichiarato che entro aprile entrerà in vigore la legge che promuoverà l’impiego delle donne. Secondo le indagini statistiche di Yomiuri Shimbun, però, solo il 10% delle grandi aziende nazionali ha dichiarato di essere in grado di poter attuare gli obbiettivi del governo per il 2020, che riguardano l’aumento del 30% delle posizioni manageriali occupate da personale femminile. INDIA Gli attivisti di Disha Kendra stanno cercando di insegnare ai lavoratori delle fornaci dello Stato occidentale del Maharashtra quali siano i loro diritti come lavoratori, trattando temi come lo stipendio, la durata della giornata lavorativa e i maltrattamenti. Secondo gli attivisti non si può stabilire quanti lavoratori vivano in condizioni disumane nelle fornaci che producono mattoni in quest’area, anche perché molte sono illegali. Contraendo debiti per poter sopravvivere, i dipendenti finiscono alla mercé dei proprietari delle fonderie, che li riducono in una condizione di schiavitù. Secondo Australia-based Walk Free Foundation in India ci sono la metà dei 36 milioni di lavoratori schiavizzati del mondo. A cura di Emanuele C. Chieppa 16 • MSOI the Post
IL TIBET ALLE URNE
In tutto il mondo, i tibetani hanno votato per il nuovo Sikyong e il Parlamento.
Di Giulia Tempo Sono decine di migliaia i tibetani che domenica 20 marzo si sono recati alle urne per eleggere il Sikyong – il leader dell’amministrazione tibetana – e il Parlamento. Il Parlamento tibetano in esilio ha sede in India, a Dharamsala, ed è l’organo legislativo unicamerale dell’Amministrazione Centrale, i cui membri sono fra i 43 e i 47. Anche se la popolazione considera l’Amministrazione Centrale Tibetana (CTA) come proprio legittimo governo, essa non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Alle urne si sono recati i tibetani di tutto il mondo e 9 seggi sono stati aperti a Dharamsala, dove risiedono il Governo e un ingente numero di rifugiati, esiliati nel 1959 con il Dalai Lama. Questi, guida spirituale del Buddhismo tibetano, ha presentato nel 2011 le dimissioni da Capo del Governo in esilio e da allora i successori sono eletti dal Parlamento. Momentaneamente negli Stati Uniti per ragioni di salute, il Dalai Lama non ha votato. Lobsang Sangay, l’ultimo Primo Ministro, ha concorso nuovamente alla carica e al primo giro di elezioni a ottobre aveva sconfitto 3 candidati. Domenica ha dovuto competere con Penpa Tsering, sebbene le
linee politiche dei due candidati non differiscano sensibilmente, dal momento che entrambi sono a favore di una ricerca pacifica di maggiore indipendenza per la comunità tibetana. Lukar Jam Atsok, eliminato alle elezioni di ottobre, sostiene invece una linea politica aggressiva e ha espresso la propria insoddisfazione votando scheda bianca. I tibetani, in coda dalle 9 di domenica mattina con i documenti, hanno votato anche nella speranza di poter contribuire alla lotta per la completa autonomia del Tibet, che attualmente si trova soggetto al potere cinese. Le elezioni creano uno spazio d’azione libero dalle ingerenze di Pechino. Secondo i tibetani, infatti, le interferenze cinesi non risultano facilmente ostacolabili quando si tratta della scelta del Dalai Lama. “Anche se la Cina tenta di scegliere il prossimo Dalai Lama”, ha affermato Mukherji, professore alla Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi, “i tibetani continueranno ad avere un leader eletto, libero dall’influenza del Partito Comunista”. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lu Kang, ha ribadito che Pechino non riconosce il Governo tibetano e confida che le altre nazioni non siano intenzionate a “fornire sostegno alle attività separatiste tibetane”.
AFRICA 7 Giorni in 300 Parole GUINEA
BRACCONAGGIO E COMMERCIO ILLEGALE DI FAUNA SELVATICA Una delle peggiori piaghe dell’Africa
Dopo l’annuncio del 29 dicembre 2015, che sanciva la sconfitta dell’epidemia di ebola, il 18 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha confermato due nuovi casi in Guinea. Secondo gli esperti il virus potrebbe ripresentarsi. I suoi batteri, infatti, possono rimanere “nascosti” nei liquidi delle persone guarite, per poi manifestarsi nuovamente. Molti scienziati concordano sul fatto che il virus ebola potrebbe diventare un problema perenne per le comunità dell’Africa occidentale.
NIGER Alcuni ufficiali di polizia sono rimasti uccisi in due attacchi separati avvenuti nel Paese. Il primo, avvenuto in un villaggio ai confini con il Burkina Faso, viene imputato al gruppo terroristico di al-Qaeda. Il secondo attacco invece, verificatosi nella regione di Diffa, secondo il Ministero degli interni sarebbe opera del gruppo Boko Haram. Gli attentati hanno riscosso particolare attenzione in quanto avvenuti pochi giorni prima delle elezioni presidenziali tenutesi il 20 marzo, che hanno riconfermato per un secondo mandato Mahamadou Issoufou. La sue rielezione per un secondo quinquennio non viene però
Di Giulia Mogioni Il fenomeno del bracconaggio ha un volume d’affari di 23 miliardi di dollari l’anno. In Africa il commercio illegale di animali selvatici è presente fin dal periodo della colonizzazione europea, ma la globalizzazione ne ha poi agevolato l’espansione. A livello internazionale, la fauna selvatica rappresenta il terzo tipo di contrabbando più redditizio, dopo armi e droga, incentivato dalla domanda proveniente dall’Asia e dalla crescita del mercato nero. La sopravvivenza degli elefanti e dei rinoceronti è fortemente minacciata dal mercato dell’avorio; la Cina, da sola, rappresenta il 70% della domanda mondiale di avorio, ricavato principalmente dalle zanne di elefante, mentre gli Stati Uniti sono il primo mercato mondiale per l’avorio, legale e illegale. L’Africa ha perso più del 60% degli elefanti negli ultimi anni e la richiesta delle corna di rinoceronte ha portato all’estinzione del rinoceronte nero occidentale e sta ora minacciando le specie rimanenti. La situazione è critica soprattutto nell’Africa centrale, ma in questi ultimi
anni la lotta contro i crimini di natura ha preso piede in diversi paesi africani, su diversi fronti. I bracconieri sono ricercati dalle autorità e pene più severe vengono stabilite per i loro crimini. In Sudafrica nel 2015 è nata una squadra di ranger al femminile, la Black Mamba Antipoaching Unit, che sta ottenendo importanti risultati nel contrastare il bracconaggio e il commercio illegale delle specie selvatiche. Sono stati stimati solo 28.000 rinoceronti allo stato brado e circa 25.000 di loro sono in Sud Africa. Questo fenomeno ha portato la morte di ranger e volontari, che lottano per la campagna antibracconaggio. L’ultimo caso è avvenuto in Zimbabwe, due italiani, padre e figlio sono stati uccisi nel parco di Mana Pools. I due uomini stavano partecipando ad una operazione contro i bracconieri e sarebbero stati uccisi per errore. Il bracconaggio, nonostante gli impegni internazionali, sembra una battaglia difficile da combattere soprattutto in quelle comunità africane devastate dalla povertà e dalla violenza, dove zanne, corni e pelli continuano ad alimentare un redditizio giro d’affari.
MSOI the Post • 17
AFRICA riconosciuta dall’opposizione, a cui invece il Presidente ha chiesto di formare un governo di unione nazionale.
MATTARELLA IN AFRICA, L’ITALIA CONFERMA IL SUO AIUTO Incontri in Etiopia e Camerun
SENEGAL Il 20 marzo la popolazione senegalese si è recata alle urne per votare un referendum costituzionale volto a ridurre il mandato presidenziale da 7 a 5 anni. Tuttavia, questo non è l’unico punto su cui è stato richiesto il parere della popolazione. La riforma infatti, si articola in 15 punti, tra cui si ritrova il progetto di “modernizzazione dei partiti politici”, “rafforzamento dei diritti dell’opposizione e del suo capo”, oltre all’“aumento dei membri del Consiglio costituzionale da 5 a 7”. In Benin, Capo Verde e Zanzibar gli elettori, invece, hanno votato per eleggere i loro rappresentanti politici.
CONGO L’ex vicepresidente Jean-Pierre Bemba, rimasto in carica dal 2003 al 2006, è stato condannato dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra. Con tale sentenza, per la prima volta la Corte penale internazionale ha riconosciuto lo stupro di massa come arma da guerra utilizzata da Bemba in Repubblica Centrafricana per difendere il presidente Angel-Feliz Patasse dal golpe di Francois Bozize. La condanna arriva dopo 8 anni di processo, iniziato nel 2007 dopo l’arresto di Bemba a Bruxelles. Nel Paese intanto è stata annunciata la rielezione del presidente uscente Denis Sassou Nguesso, in carica dal 1997, anche se l’opposizione contesta brogli elettorali.
A cura di Jessica Prieto 18 • MSOI the Post
Di Chiara Zaghi “I destini di Italia e Africa sono legati in maniera indissolubile nel futuro”, lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che il 14 marzo è arrivato in Etiopia, a Addis Abeba, accompagnato dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e dal sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro. Mattarella ha discusso di immigrazione con il presidente etiope Mulatu Teshome e il primo ministro Hailemariam Desalegn, auspicando un maggiore impegno da parte dell’Europa. Occorrerebbe, infatti, individuare le condizioni che determinano i fenomeni migratori, trovare strategie che possano tentare di risolvere la situazione nel Paese d’origine. Mattarella ha incontrato il patriarca della Chiesa Ortodossa etiopica Abune Matthias I, inaugurato l’Auditorium “G. Verdi”, incontrato gli alunni della Scuola Statale Italiana di Addis Abeba e si è recato presso la sede dell’Ambasciata Italiana per un incontro con i funzionari e alcuni imprenditori. Il Presidente ha visitato anche la sede locale dell’Unione Africana. Successivamente è stato visitato il campo profughi di TeirkidiKule presso Gambela, al confine con il Sudan. Il campo, gestito dal UNHCR e dall’ ONG Save the Children, ospita più di 100mila rifugiati. L’Etiopia,
come ha ricordato Mattarella, ha accolto più di 800mila profughi, nonostante attraversi un periodo di siccità. Il 17 marzo, Mattarella si è recato in Camerun, a Yaoundé, dove ha firmato accordi bilaterali in campo culturale, scientifico, tecnico, economico e dell’istruzione con il presidente della Repubblica Paul Biya. A Mattarella è stato conferito il titolo di “Professore Ordinario” dell’Università di Yaoundé, dove è intervenuto con un discorso agli studenti. In seguito ha avuto un incontro, presso l’Impresa Sociale Ferrero, con il Ministro del Commercio, Luc Magloire Mbarga Atangana, e con il Ministro dell’Industria, Ernest Gbwaboubou. Mattarella si è recato infine, al Centro Orientamento Educativo (COE) di Mbalmayo, dove ha consegnato i diplomi ad alcuni allievi; successivamente ha consegnato anche i diplomi di laurea in ingegneria a studenti camerunensi di corsi coorganizzati dall’Università Italiana. L’obiettivo del viaggio è stato quello di confermare la volontà dell’Italia di sostenere economicamente e culturalmente Etiopia e Camerun. Secondo il Presidente, per l’Italia sarebbe fondamentale creare occupazione per i giovani per evitare così che siano reclutati dai gruppi terroristici o che intraprendano viaggi verso l’Europa mettendo a rischio la loro vita.
SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole
ARGENTINA Il presidente americano Barack Obama, durante un incontro con Macrì alla Casa Rosada, ha ufficialmente dichiarato l’intenzione di rendere pubblici i documenti militari e di intelligence riguardanti le relazioni tra USA e dittatura argentina. “C’è un sottobosco da ripulire” ha successivamente affermato Obama.
CILE Dopo un acceso dibattito, la Camera de Santiago ha abolito il divieto di aborto. La proposta di legge autorizza l’interruzione di gravidanza solo nei casi di pericolo di vita della madre, malformazione del feto o se la gravidanza è la conseguenza di uno stupro. Affinché la normativa entri in vigore, la proposta di legge (ratificata alla Camera con 66 voti favorevoli e 44 contrari) dovrà essere approvata dal Senato. COLOMBIA L’accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia e il governo è ancora lontano.
IL VENEZUELA RESTA A SECCO
Tra economia e governo s’intromette il clima.
Di Stefano Bozzalla Cassione Sono ferie obbligate queste della settimana di Pasqua in Venezuela, dove si rende necessario contrastare la siccità causata dal fiume El Niño attraverso un innalzamento anomalo della temperatura dell’acqua dell’Oceano Pacifico. Per risparmiare energia elettrica e acqua, il presidente Nicolas Maduro ha, infatti, deciso di indire una settimana di chiusura obbligatoria di tutti gli uffici pubblici, educativi e amministrativi, da sabato 19 a domenica 27 marzo. Un provvedimento motivato dal preoccupante abbassamento del livello delle acque della più grande diga del Paese, sceso a pochi metri dal suo minimo operativo storico. Nel febbraio scorso, il presidente Maduro ha ridotto l’orario di lavoro degli uffici pubblici con lo scopo di risparmiare energia elettrica. Sempre a febbraio, con lo stesso intento, ci sono stati dei black-out programmati nei centri commerciali e l’obbligo di passare a un orario a funzionamento ridotto nel
caso essi non siano in grado di autoprodursi elettricità nelle ore di massimo consumo. Queste misure estreme si sono rese necessarie per contrastare la “forza” del Niño, che, a detta delle autorità venezuelane, ha fatto calare brutalmente le piogge, esaurendo così la capacità di produzione idroelettrica del Paese. Gli esperti, al contrario, sono convinti che la crisi idrica si sarebbe potuta evitare (o per lo meno arginare) se gli investimenti da parte del governo sulla manutenzione e sulla modernizzazione degli impianti termoelettrici fossero stati più puntuali e decisi. La crisi idrica si aggiunge alla crisi economica causata dal crollo del prezzo del petrolio (di cui il Paese è uno dei maggiori esportatori mondiali). Negativa è anche la situazione politica che, con la vittoria dell’opposizione alle ultime elezioni, vede il Parlamento spaccato e il consenso del presidente Maduro in forte diminuzione. MSOI the Post • 19
SUD AMERICA I negoziati, che avrebbero dovuto terminare in data 23 marzo, non hanno prodotto risultati a causa delle enormi differenze sostanziali tra le parti. CUBA Il 22 marzo il presidente americano Barack Obama, dopo 88 anni di gelo tra gli USA e Cuba, è atterrato all’Avana. “Da oggi, gli Stati Uniti d’America cambiano i propri rapporti con il popolo cubano. In quella che è la svolta più importante nella nostra politica in oltre 50 anni, mettiamo fine a un approccio datato che, per decenni, non è riuscito a portare avanti i nostri interessi, e iniziamo invece a normalizzare le relazioni fra i nostri due Paesi” ha affermato il Capo di Stato nel suo discorso. BRASILE Il 18 marzo più di un milione e mezzo di persone sono scese in piazza nelle principali città brasiliane per protestare contro l’impeachment e in segno di solidarietà a Lula. Contemporaneamente si sono verificate altrettante manifestazioni contro il leader brasiliano.
A cura di Sara Ponza
20 • MSOI the Post
LA BANDIERA AMERICANA VENTOLA A L’HAVANA
Il 20 marzo Obama atterra a Cuba: la prima visita di un Presidente statunitense dal 1928.
Di Daniele Pennavaria “Cuba si apre, però solo l’economia. La politica continua uguale”: secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, mentre tutte le attività della capitale sono in fermento nelle ore precedenti all’arrivo di Obama, non sono concessi i fermenti politici. Gli attivisti che hanno preso parte alla manifestazione “Todos Marchamos”, che si riunisce periodicamente entro i limiti delle strette misure del regime per contenere il dissenso, e il collettivo “Las Damas de Blanco” hanno lanciato un messaggio ad Obama perché metta sul tavolo la questione dei diritti umani di fronte alle alte cariche cubane. Le proteste sono state represse mentre l’Air Force One partiva alla volta de L’Havana e una parte dei dissidenti presenti è stata detenuta in carcere. Quando Obama iniziò le trattative per il ricongiungimento con Cuba, ipotizzò una visita solo nel caso in cui fossero stati rispettati i diritti umani nel Paese. Ad oggi questo non avviene, ma la necessità di provare a rendere il processo di disgelo irreversibile prima del cambio alla Casa Bianca potrebbe aver fatto rivalutare le priorità del viaggio presidenziale. Lo scopo del programma delle intense giornate pare sia, più che altro, fare da vetrina ad un Paese che vuole attirare gli
investimenti e il turismo del suo ingombrante vicino a stelle e strisce. Abbiamo assistito a incontri tra i leader – anche se Obama non ha incontrato Fidel Castro, storico oppositore di Washington – ma anche a momenti decisamente più informali, come la partita di baseball tra la nazionale cubana e i Tampa Bay Rays, la squadra della Florida. Sono le basi per il ponte che porterà gli Stati Uniti nell’isola per molto più di 48 ore: su entrambe le sponde già ci si organizza. Catene alberghiere ed esportatori si contendono contatti per lanciare attività e promuovere il brand cubano all’estero, intenzioni confermate dalla grande quantità di imprenditori che hanno viaggiato con Obama. Ufficialmente c’è ancora il problema dell’embargo, che solo il Congresso può annullare, ma intanto si esplorano le possibilità di un’economia da conquistare. Si inaugura con uno spettacolo quello che sembra essere un nuovo corso economico. Sul piano politico, invece, il Paese vive ancora delle contraddizioni di un secolo ormai concluso. Sebbene la promozione della nuova scena cubana sia stata un successo, rimane da porsi una domanda: quanto cambierà di quella politica che ha garantito finora i più alti tassi di alfabetizzazione, ma che è stata caratterizzata da condizioni di vita sicuramente migliorabili?
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