Msoi thePost Numero 38

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Il Settimanale di M.S.O.I. Torino


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MSOI Torino M.S.O.I. è un’associazione studentesca impegnata a promuovere la diffusione della cultura internazionalistica ed è diffuso a livello nazionale (Gorizia, Milano, Napoli, Roma e Torino). Nato nel 1949, il Movimento rappresenta la sezione giovanile ed universitaria della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (S.I.O.I.), persegue fini di formazione, ricerca e informazione nell’ambito dell’organizzazione e del diritto internazionale. M.S.O.I. è membro del World Forum of United Nations Associations Youth (WFUNA Youth), l’organo che rappresenta e coordina i movimenti giovanili delle Nazioni Unite. Ogni anno M.S.O.I. Torino organizza conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari e viaggi studio volti a stimolare la discussione e lo scambio di idee nell’ambito della politica internazionale e del diritto. M.S.O.I. Torino costituisce perciò non solo un’opportunità unica per entrare in contatto con un ampio network di esperti, docenti e studenti, ma anche una straordinaria esperienza per condividere interessi e passioni e vivere l’università in maniera più attiva. Elisabetta Botta, Segretario M.S.O.I. Torino

MSOI thePost MSOI thePost, il settimanale online di politica internazionale di M.S.O.I. Torino, si propone come un modulo d’informazione ideato, gestito ed al servizio degli studenti e offrire a chi è appassionato di affari internazionali e scrittura la possibilità di vedere pubblicati i propri articoli. La rivista nasce dalla volontà di creare una redazione appassionata dalla sfida dell’informazione, attenta ai principali temi dell’attualità. Aspiriamo ad avere come lettori coloro che credono che tutti i fatti debbano essere riportati senza filtri, eufemismi o sensazionalismi. La natura super partes del Movimento risulta riconoscibile nel mezzo di informazione che ne è l’espressione: MSOI thePost non è, infatti, un giornale affiliato ad una parte politica, espressione di una lobby o di un gruppo ristretto. Percorrere il solco tracciato da chi persegue un certo costume giornalistico di serietà e rigore, innovandolo con lo stile fresco di redattori giovani ed entusiasti, è la nostra ambizione. Jacopo Folco, Direttore MSOI thePost 2 • MSOI the Post

N u m e r o

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REDAZIONE Direttore Jacopo Folco Vicedirettore Davide Tedesco Caporedattore Alessia Pesce Capi Servizio Rebecca Barresi, Giusto Amedeo Boccheni, Luca Bolzanin, Sarah Sabina Montaldo, Silvia Perino Vaiga Amministrazione e Logistica Emanuele Chieppa Redattori Benedetta Albano, Federica Allasia, Erica Ambroggio, Daniele Baldo, Lorenzo Bardia, Giulia Bazzano, Lorenzo Bazzano, Giusto Amedeo Boccheni, Giulia Botta, Maria Francesca Bottura, Stefano Bozzalla, Emiliano Caliendo, Federico Camurati, Matteo Candelari, Emanuele Chieppa, Sara Corona, Lucky Dalena, Alessandro Dalpasso, Sofia Ercolessi, Alessandro Fornaroli, Giulia Ficuciello, Lorenzo Gilardetti, Andrea Incao, Gennaro Intocia, Michelangelo Inverso, Simone Massarenti, Andrea Mitti Ruà, Efrem Moiso, Daniele Pennavaria, Ivana Pesic, Emanuel Pietrobon, Edoardo Pignocco, Sara Ponza, Simone Potè, Jessica Prieto, Fabrizio Primon, Giacomo Robasto, Clarissa Rossetti, Carolina Quaranta, Francesco Raimondi, Jean-Marie Reure, Clarissa Rossetti, Michele Rosso, Fabio Saksida, Leonardo Scanavino, Martina Scarnato, Samantha Scarpa, Francesca Schellino, Giulia Tempo, Martina Terraglia, Elisa Todesco, Francesco Tosco, Tiziano Traversa, Fabio Tumminello, Martina Unali, Alexander Virgili, Chiara Zaghi. Editing Lorenzo Aprà Copertine Mirko Banchio Vuoi entrare a far parte della redazione? Scrivi una mail a thepost@msoitorino.org!


EUROPA 7 Giorni in 300 Parole GERMANIA 27 settembre. Due attentati di matrice anti-islamica hanno interessato la città di Dresda. Le esplosioni hanno interessato una moschea e un centro congressi. Non ci sono state vittime, nell’edificio sacro erano presenti solo l’Imam e la sua famiglia, rimasti illesi. Il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maiziere, ha dichiarato che trova “spaventosa la coincidenza degli attentati con il decimo anniversario dalla creazione della Conferenza Islamica Tedesca”. Ancora nessuna rivendicazione a tal riguardo. ITALIA 26 settembre. Il Consiglio dei Ministri, riunitosi a Palazzo Chigi, ha sancito che il referendum costituzionale si terrà in data 4 dicembre. Il premier Renzi si dice soddisfatto della decisione e pronto a lottare affinché venga approvata una riforma “fondamentale per il Paese”. Le opposizioni continuano la campagna per il NO al referendum.

REGNO UNITO 24 settembre. Jeremy Corbyn rieletto leader del Labour Party con il 60% dei consensi. Corbyn, al congresso del partito tenutosi a Liverpool, ha rivolto il suo primo pensiero dopo la rielezione a quelli che sono gli oppositori interni del partito, affermando la volontà di “mettere da parte i contrasti ideologici per raggiungere obiettivi importanti”. Dal partito emerge però un certo scetticismo,

LA CRISI DI GOVERNO SPAGNOLA

Rischio di tornare alle urne per la terza volta sempre più concreto Di Benedetta Albano Dopo la vittoria del Partito Popolare spagnolo alle elezioni tenutesi a giugno di quest’anno, seguite a quelle di dicembre dell’anno scorso, il primo ministro Mariano Rajoy, al governo dal 2011, aveva ottenuto dal re Filippo VI l’incarico di formare il governo. Ad agosto, la votazione del Parlamento necessaria a validare la sua candidatura non ha però dato il risultato sperato: con 180 no contro i 170 sì, la Spagna oggi rischia di andare alle urne per quella che sarebbe la terza volta in un anno.

con i popolari, ma anche la mancanza di accordo fra Ciudadanos e Podemos sul referendum dell’indipendenza catalana, sostenuto dai secondi ma osteggiato dai primi. L’esito delle elezioni del 25 settembre in Galizia e nei Paesi Baschi ha definitivamente sancito la crisi del Partito Socialista. Il voto ha espresso il malcontento popolare per la situazione di stallo di cui Sanchez viene visto responsabile e ha dato a Rajoy una possibilità più concreta di ottenere la maggioranza parlamentare.

Rajoy aveva cercato di ottenere la fiducia contando sull’appoggio di Ciudadanos, il partito di destra popolare, dopo trattative conclusesi una settimana prima del voto. Il no ha prevalso perchè il Partito Socialista di Pedro Sanchez si è rifiutato di sostenere il governo, che ha smantellato il welfare statale ed è coinvolto in innumerevoli scandali di corruzione.

In questo momento di profonda crisi, Pedro Sanchez ha proposto di indire il 23 ottobre un Congresso Nazionale di Partito per l’elezione del nuovo Segretario Generale. Il comitato federale che si riunirà la settimana prossima dovrà decidere non solo su questa proposta, ma anche se continuare o meno a opporsi alla formazione dell’esecutivo Rajoy.

Rispetto alle elezioni di dicembre, il Partito Popolare ha guadagnato più seggi, ma ha dovuto fronteggiare la ferrea opposizione della sinistra spagnola. Essa, a sua volta, è in profonda crisi dopo il fallimento di Podemos, che non è riuscito a diventare il primo partito di sinistra, e la perdita di consensi del Partito Socialista. I contrasti insanabili non riguardano solo il rifiuto, da parte dei socialisti, di qualsiasi alleanza

Se si dovesse arrivare all’elezione di un nuovo Segretario, sfumerebbe definitivamente la possibilità di formare un governo alternativo a Rajoy, poiché Ciudadanos e Podemos non sono intenzionati a negoziare con un partito in crisi. La risoluzione della crisi spagnola sembra dunque lontana, mentre appare vicina la terza elezione annuale, un’eventualità considerata irrealizzabile anche solo un mese fa.

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EUROPA con molti sostenitori convinti dell’inconsistenza di Corbyn come leader. SLOVACCHIA 27 settembre. I 28 membri UE, riuniti nella capitale slovacca per una riunione ministeriale informale, hanno discusso di temi riguardanti la sicurezza comunitari. L’idea di Jean Claude Junker di un esercito europeo ha però trovato la contrarietà del segretario alla Difesa inglese Michael Fallon, il quale ha confermato la “ferma opposizione di Londra nei confronti di un esercito europeo sul modello NATO, con UE perno centrale”. SPAGNA 25 settembre. Il PNV (Partido Nacionalista Vasco) ottiene la vittoria alle elezioni regionali, acquisendo 29 seggi, 9 in meno di quelli necessari per la maggioranza assoluta. In controtendenza rispetto ai Paesi Baschi è invece la Galizia, regione del premier Mariano Rajoy, che si conferma fedele al PP (Partido Popular). Affluenza alta in ambedue le regioni, dove giochi di alleanze potrebbero portare a delle maggioranze assolute. SVIZZERA 25 settembre. Il Canton Ticino dice no ai frontalieri italiani. L’articolo costituzionale Prima i nostri, approvato con il 58% dei voti favorevoli, prevede infatti un controllo su tutti quei lavoratori che, ogni mattina, attraversano il confine italosvizzero per lavorare sul suolo elvetico (circa 60.000 unità). Dure le reazioni dal mondo politico, con il ministro degli esteri Paolo Gentiloni pronto al dialogo con il governo di Berna. A cura di Simone Massarenti

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“PRIMA I NOSTRI”: IL POMO ROSSOCROCIATO DELLA DISCORDIA

In Canton Ticino vincono i sostenitori del referendum antifrontalieri.

Di Federica Allasia La campagna “Prima i nostri”, promossa dalla destra nazionalista UDC e dalla Lega dei Ticinesi si è conclusa lo scorso 25 settembre con la vittoria del sì al referendum finalizzato a porre dei limiti ai lavoratori frontalieri. Si tratta di un progetto dai forti connotati anti-comunitari, che aveva ottenuto un primo importante risultato proprio nel 2014, quando l’iniziativa federale denominata “Contro l’immigrazione di massa” aveva convinto la maggioranza degli elettori a votare per la limitazione del numero di immigrati e lavoratori stranieri in Svizzera. Ciò aveva determinato la riforma dell’articolo 121a della Costituzione federale, ma non un’effettiva riorganizzazione del mercato del lavoro. L’iniziativa referendaria di settembre, che ha ottenuto alle urne il 58% dei consensi, mira a un’ulteriore modifica della Costituzione svizzera per quanto concerne gli articoli 4, 14, 49 e 50. Il fine è porre un limite ai lavoratori stranieri, per la maggior parte italiani residenti a Como e Varese, presenti in Ticino. La parte più controversa della riforma riguarda l’articolo 14, in particolare la lettera

b, che secondo il progetto dei promotori sancirebbe che “sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero (attuazione del principio di preferenza agli Svizzeri)” – cioè gli svizzeri o quanti vivano e paghino le tasse in territorio ticinese. La strenua opposizione ai lavoratori italiani non è dettata da un preoccupante tasso di disoccupazione (che in Ticino si attesta attorno al 3,1%), ma dall’abbassamento dei salari, conseguenza della crescita della concorrenza in ambito lavorativo. Nonostante l’esito del referendum, che per produrre un’effettiva modifica della Carta Costituzionale necessita dell’approvazione del Gran Consiglio del Ticino, i più dubitano che la vittoria del sì determinerà ripercussioni sul mercato del lavoro, dal momento che la regolazione dello stesso è materia di competenza esclusiva del governo federale svizzero e dunque dell’Assemblea Federale sita a Berna. Indipendentemente dalle fondate perplessità circa l’effettiva riforma del testo costituzionale, “Prima i nostri” e “Contro l’immigrazione di massa” rappresentano due iniziative fortemente in contrasto con l’accordo di libera circolazione previsto dall’Unione Europea e siglato nel 2002 dalla Svizzera, come sottolineato, tra gli altri, dal ministro italiano degli Esteri Paolo Gentiloni.


NORD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole STATI UNITI 25 settembre. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riunito a New York, affronta le problematiche relative alle operazioni militari sulla città di Aleppo. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna compatti contro Mosca. Denunciati 150 attacchi negli ultimi giorni. “Esorto tutti i soggetti coinvolti a lavorare di più per porre fine all’incubo”, ha dichiarato il segretario generale ONU Ban Kimoon. 26 settembre. Hillary Clinton si aggiudica la vittoria del primo dibattito presidenziale. In diretta dalla Hofstra University di New York, la candidata democratica è riuscita a mettere in difficoltà l’avversario Donald Trump, conquistando, secondo un sondaggio della CNN, il 62% dei consensi.

27 settembre. John Kerry incontra il presidente venezuelano Nicolás Maduro a Cartagena de Indias, Colombia. Il Segretario di Stato americano ha manifestato la volontà di porre inizio ad un percorso diplomatico soddisfacente ed ha esortato all’utilizzo di soluzioni democratiche per la risoluzione delle controversie interne. L’incontro è avvenuto a margine della firma di un accordo di pace tra il governo colombiano e le FARC, in occasione del quale il Segretario americano, lunedì

LA CORONA INVISIBILE

Il controverso rapporto tra Canada e monarchia

Di Silvia Perino Vaiga Hanno fatto il giro del mondo le immagini del principino George che al suo arrivo all’aeroporto di Victoria ha rifiutato di “dare il cinque” al Primo Ministro canadese Trudeau, pronto ad accogliere la famiglia reale britannica per i suoi 8 giorni di visita ufficiale in Canad . a Ma, al di là del clamore mondano che ha sollevato, questo viaggio ha un particolare valore istituzionale, il cui significato solleva implicazioni profonde. Il Canada, infatti, è una monarchia costituzionale appartenente al Commonwealth, che perciò vede nella regina Elisabetta II il suo sovrano: ne deriva che i duchi di Cambridge sono, a tutti gli effetti, membri della famiglia reale canadese. Lungi dall’essere una mera formalità, questo ha ripercussioni concrete nella vita istituzionale del Paese: tutte le leggi e le sentenze giudiziarie sono emesse in nome della Regina e la Corona è la costante che permea tutti gli aspetti della vita civile. L’autorità del Sovrano è rappresentata da un Governatore Generale - attualmente David Johnston - che ha il potere di sciogliere i governi, nonché di nominare i Primi Ministri. Eppure, come nota l’esperto Nathan Tidridge, solo il 10 o 15% dei cittadini canadesi comprende la portata dell’istituto monarchico: “chiedete al canadese

medio di parlarvi della Corona e lui brontolerà qualcosa su una regina straniera”. Se, infatti, 6 canadesi su 10 si dichiarano contro l’abolizione della monarchia, il 73% vorrebbe un sovrano nato e residente in Canada. Ciò emerge da un sondaggio del 2015, secondo cui solo una minoranza di canadesi vorrebbe il Principe Charles come successore al trono. Tra questi spiccano anziani, conservatori e liberali. Da un punto di vista geografico, le province che maggiormente sostengono la tradizione monarchica sarebbero British Columbia e Alberta. La provincia francofona del Québec è, invece, la più entusiasta sostenitrice dell’abolizione della Corona. Particolarmente sensibili al tema sono le popolazioni delle Prime Nazioni: sopravvissuti a un passato coloniale, gli indigeni sono ora legati alla Regina da trattati volti a tutelarne la sopravvivenza. La visita di William e Kate non ha trascurato questo aspetto: il 26 settembre, i duchi di Cambridge hanno incontrato i rappresentanti della comunità di Heiltsuk. Ma, mentre qualcuno avrebbe sperato in un’apologia dei reali per gli orrori del passato, i più critici hanno constatato che l’incontro non è stato molto più di un siparietto dai toni esotici – l’ennesima occasione per delle ghiotte photo opportunities.

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NORD AMERICA 26, ha guidato la delegazione statunitense.

CLINTON Vs. TRUMP

Un’analisi del primo confronto televisivo

28 settembre. Gli Stati Uniti invieranno ulteriori truppe sul territorio iracheno. Il presidente Barack Obama ed il primo ministro iracheno Haider alAbadi, hanno raggiunto un’intesa sul punto, prevedendo l’invio di aiuti supplementari americani per rafforzare le operazioni di riconquista della città di Mosul. 28 settembre. Respinto il veto del presidente Barack Obama sulla legge che consentirebbe alle famiglie delle vittime degli attentanti terroristici di fare causa ai Paesi ritenuti colpevoli o coinvolti nelle stragi. Il Congresso, a maggioranza schiacciante e per la prima volta in 8 anni di amministrazione, si è opposto ad un veto di Barack Obama. Il Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA) entrerà automaticamente in vigore. CANADA 27 settembre. Il governo federale ha firmato un accordo di 27 miliardi dollari con la società malese Petronas per la realizzazione del progetto Pacific NorthWest LNG. L’investimento porterà alla costruzione, nella provincia della Columbia Britannica, di una pipeline lunga 900 chilometri finalizzata all’esportazione di gas sul mercato asiatico. La società, tuttavia, necessiterà di tempo per analizzare le 190 clausole ambientali poste a limite dell’accordo. Immediate le reazioni degli ambientalisti, i quali accusano il primo ministro Trudeau di non rispettare le promesse fatte in tema di politica ambientale. A cura di Erica Ambroggio

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Di Alessandro Dalpasso La campagna presidenziale statunitense è giunta al rush finale. Lunedì 26 (martedì notte in Italia) si sono confrontati per il primo di una serie di dibattiti televisivi la candidata dem, Hillary Clinton, e il candidato del GOP, Donald Trump. Per capire l’importanza di questo evento basta tener presente un dato: il giorno stesso un sondaggio Reuters/Ipsos ha rivelato che il 50% degli intervistati affiderà a queste discussioni in diretta la decisione di voto, poiché ad oggi non saprebbe chi scegliere come futuro inquilino della Casa Bianca. Di questo primo confronto si è parlato molto e speculato ancora di più. Soprattutto ci si è chiesti chi fosse l’effettivo vincitore. Stando ad alcuni fra i principali sondaggi (CNN su tutti), Clinton sarebbe la vera vincitrice con percentuali considerevoli. In effetti, sul palco l’ex First Lady ha giocato molto sulla sua esperienza. Ha risposto alla provocazione del tycoon sull’essersi prepara-

ta le risposte per il dibattito ribattendo: “un’altra cosa per cui mi sono preparata è fare il Presidente”. Ha portato allo scoperto alcune teorie dell’avversario discusse da molti (secondo Trump il cambiamento climatico sarebbe un complotto dei cinesi per colpire il settore manifatturiero americano). Ha accusato Trump di sostenere pratiche incostituzionali come lo “stop and frisk” (che prevede controlli casuali con perquisizioni da parte della polizia). Per la candidata democratica un’altra questione questione sulla quale puntare per guadagnarsi il consenso degli elettori sarebbe potuta essere l’esperienza in campo internazionale. Il candidato GOP ha però tentato di metterla in difficoltà proprio in questo ambito. Trump ha, infatti, cercato di imputare all’ex Segretario di Stato il consolidamento del sedicente Stato Islamico e il contrasto allo stesso con metodi “quantomeno ” inefficaci . La candidata democratica si è poi dimostrata meno sicura quando incalzata su tematiche economiche.


MEDIO ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole AFGHANISTAN 27 settembre. Un attentato suicida miete 17 vite a Kabul, Afghanistan. ARABIA SAUDITA 26 settembre. In Arabia Saudita viene consegnata al governo una petizione, recante la firma di più di 14.000 donne, che vorrebbe porre fine al sistema di sorveglianza maschile GIORDANIA 21 settembre. Si chiudono le urne in Giordania. Le legislative rivelano una scarsa affluenza, nonostante le aspettative delle autorità. 25 settembre. Viene colpito a morte lo scrittore giordano, cristiano e simpatizzante di Assad, Nahed Hattar mentre usciva dal tribunale di Amman a seguito di un processo intentatogli per offesa al corano. EGITTO 23 settembre. Al largo delle coste egiziane naufraga un barcone con più di 400 persone a bordo. Il bilancio provvisorio delle vittime è di 204 morti.

ISRAELE: 27-28 settembre. Nella notte fra martedì 28 e mercoledì 29 muore l’ex premier e primo ministro israeliano Shimon Perez , all’età di 93 anni. PALESTINA: 21 settembre. Il vescovo italiano, monsignor Piazzaballa viene

LA JIHAD AL FEMMINILE

Quale ruolo hanno le donne nella lotta islamica?

Di Lucky Dalena Nella storia del Cristianesimo, ben poco spazio è dedicato alle donne, in particolare per quanto riguarda i martiri, principalmente uomini. Allo stesso modo, anche nell’Islam moderno, le donne non sono le favorite tra i martiri. Benché negli ultimi anni ci siano state delle donne kamikaze, queste hanno uno spazio praticamente inesistente nei pantheon delle organizzazioni terroristiche. Hezbollah, in Libano (che negli anni ‘80 ha visto una discreta concentrazione di donne sacrificarsi contro Israele), sostiene che il pudore delle donne sia conservato grazie al sangue dei martiri. Le donne non hanno accesso allo spazio pubblico, riservato agli uomini, in cui si celebra l’eroismo dei martiri nella lotta islamica. Nonostante la teoria, però, la partecipazione femminile nel terrorismo non è un fenomeno nuovo, derivante da una discreta apertura al progresso. Ispirate dal Fronte di Liberazione Nazionale algerino durante la guerra di indipendenza (in cui molte donne sono state coinvolte) e dagli episodi durante la guerra del Libano, numerose donne si sono impegnate nella jihad. La ricercatrice Fatima Lahnait ha affrontato la questione indicando che, tra il 1985 e il 2005, sono state registrate circa 220 donne kamikaze, pari al

15% del totale tra gli attentati suicidi. Il fenomeno è particolarmente attivo in Palestina, dove il suicidio di Wafa Idris nel 2002, elogiata da Yasser Arafat, ha portato all’approvazione unanime in tutto il mondo arabo e all’idea che questo atto rappresentasse la nascita di un nuovo femminismo musulmano. Ça va sans dire, non è successo. Nonostante gli elogi a Wafa Idris, è rimasta convinzione diffusa che non sia necessario il sacrificio delle donne, le quali dovrebbero piuttosto restare relegate al loro ruolo materno: fabbricare nuovi jihadisti, non diventarlo. L’esempio più lampante che abbiamo oggi è la totale svalorizzazione del ruolo delle nella società del sedicente Stato Islamico. Reclutate con la funzione principale di assopire i desideri sessuali dei combattenti, vengono convinte del prestigio di essere le mogli di un martire. Se il gruppo ISIS non usa le donne per gli attentati, il gruppo Boko Haram le preferisce, ma per ragioni logistiche: sono meno sospettabili di portare una bomba sotto le loro vesti. Forse non è il caso di considerarlo un vero progresso, visto che parliamo di attacchi terroristici, ma forse un miglioramento della percezione della donna, che sia nella jihad o meno, è auspicabile. MSOI the Post • 7


MEDIO ORIENTE nominato arcivescovo in Terra Santa. Obiettivo del suo mandato sarà la “conciliazione dei popoli”.

VIGNETTE E PROIETTILI

Guida giordana (non ufficiale) per diventare eroi in un giorno

22 settembre. Mohamed Abbas, leader palestinese, di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite chiede che il 2017 sia l’anno in cui si terminerà l’occupazione israeliana. SIRIA 21 settembre. Le Nazioni Unite sospendono le operazioni in Siria a seguito della distruzione di alcuni convogli umanitari in un raid aereo.

24 settembre. Aleppo rimane senz’acqua a causa dei pesanti bombardamenti sulla città. 27 settembre. Il governo Americano promette di stanziare ulteriori 36 miliardi di dollari in aiuti umanitari per la Siria 29 settembre. Gli USA minacciano di congelare la cooperazione con la Russia a seguito dei pensati bombardamenti che hanno colpito gli ospedali delle zone di Aleppo occupate dai ribelli. A cura di Jean-Marie Reure

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Di Martina Terraglia, Corrispondente dalla Giordania Il 25 settembre è stato ucciso ad Amman lo scrittore Nahed Hattar, di fronte al tribunale dove si era recato per affrontare un’udienza per vilipendio alla religione. Hattar era stato arrestato lo scorso agosto a causa di una vignetta condivisa su Facebook che, almeno secondo le autorità locali, era da considerarsi blasfema. In seguito all’evento, è stato reso noto che la vignetta non era stata realizzata da Hattar, ma da un disegnatore marocchino. La morte di Hattar riapre la discussione sulla libertà di opinione in Giordania, dove qualsiasi riferimento polemico alla divinità e al re è severamente punito dalla legge. Eppure, i fatti possono essere osservati anche da un altro punto di vista. Hattar era una figura molto controversa: ateo dichiarato, sostenitore di Al-Assad, detrattore delle politiche a favore dei rifugiati palestinesi in Giordania. Al momento del suo arresto, l’opinione pubblica locale era sembrata favorevole all’incarcerazione di un simile kafir, un miscredente. Ciononostante, domenica scorsa Amman ha incoronato il suo nuovo eroe della libertà di opinione: proteste si sono sollevate in tutta la città; la famiglia si è rifiutata di seppellire la salma; la popolazione ha chiesto

le scuse ufficiali delle autorità,inclusoilre,eledimissioni del governo; si sono addirittura temuti scontri tra le comunità cristiana e musulmana. Simili richieste sono certamente pretenziose, ma andrebbero inquadrate nel contesto del fervore politico che ha caratterizzato le ultime settimane. Il cambio di posizione da parte dell’opinione pubblica nei confronti di Hattar giunge in concomitanza con la conclusione delle elezioni, durante le quali si è assistito a risultati interessanti. In particolare, 2 fatti stupiscono: il gran numero di Ministri del vecchio governo rieletti, tra cui l’ex premier Abdullah el-Mansour, e la bassa percentuale di progressisti, soprattutto tra le donne. A quanto detto va aggiunto che, nelle settimane precedenti le elezioni, una violenta manifestazione era scoppiata ad Amman, costringendo la polizia ad intervenire in assetto antisommossa. Questa manifestazione, le proteste per la morte di Hattar, e il risultato sorprendente e destabilizzante delle elezioni sono eventi da non considerare in maniera isolata: di fronte a una classe politica votata al mantenimento dello status quo, la popolazione è scesa in piazza per il cambiamento, reclamandolo a gran voce. Resta da vedere se il nuovo governo lo ascolterà.


RUSSIA E BALCANI 7 Giorni in 300 Parole BIELORUSSIA 26 settembre. I cittadini dei Paesi che rientrano in un elenco rilasciato dal governo potranno entrare liberamente nello Stato per un numero massimo di 5 giorni, e solo arrivando tramite l’aeroporto di Minsk. Dopo le indiscrezioni trapelate nelle scorse settimane Mikhail Portnoy, ministro per lo Sport ed il Turismo del governo di Lukashenko, comunica ufficialmente la notizia. Si tratterebbe di una iniziativa volta a favorire l’arrivo di turisti e rendere più agevole la partecipazione degli stranieri ad eventi di breve durata.

BOSNIA ERZEGOVINA 25 settembre. La maggioranza assoluta dei votanti (99.81%) si è dichiarata favorevole a mantenere la festa nazionale serba dell’indipendenza del 9 gennaio. Il referendum si è svolto nella regione della Repubblica Srpska, la regione a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina. Secondo il comitato elettorale il referendum è valido poiché è stato raggiunto il 55.95% di affluenza. La Corte Costituzionale di Sarajevo non riconosce la validità della consultazione, anche per la mancanza di osservatori esterni durante le operazioni di scrutinio. La Commissione Europea ha ribadito che il referendum non ha un fondamento legale. RUSSIA 24 settembre. Alexiei Navalni, principale avversario politico del Presidente russo, ha affermato che le elezioni della Duma

AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA L’UNGHERIA

Procedure di accettazione sempre più complesse e violenze nei confronti dei richiedenti asilo

Di Ilaria Di Donato Speranze abbandonate: l’attacco dell’Ungheria ai diritti dei rifugiati e dei migranti. Questo il titolo del rapporto recentemente diffuso da Amnesty International, proprio in prossimità di quel 2 ottobre in cui gli ungheresi saranno chiamati al voto referendario sulle quote di migranti imposte dall’Unione Europea. Il dossier di Amnesty si basa su ricerche svolte in Ungheria, Austria e Serbia, nonché sulla testimonianza rilasciata da circa 140 persone. Ne emerge che i rifugiati vengano trattenuti per mesi in condizioni disumane nei centri di detenzione, oppure vengono respinti in Serbia senza alcuna verifica circa la loro necessità di protezione. Questo “sistema”, a giudizio di Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa, è messo in atto per scoraggiare le richieste d’asilo a Budapest. Lo scorso anno l’Ungheria ha terminato la costruzione di un muro di filo spinato al confine con la Serbia e con la Croazia e ha nel contempo stabilito un esame sommario delle

richieste di asilo da svolgere nelle cosiddette “zone di transito”. Secondo quanto diffuso da Amnesty, “i richiedenti asilo che riescono a superare le zone di transito sono portati in centri d’accoglienza aperti o chiusi, dove le condizioni sono terrificanti: mancano i servizi basilari, i bambini non ricevono istruzione o non svolgono attività e le cure mediche sono scarse”. Le dichiarazioni di Dalhuisen, all’indomani della diffusione del rapporto, non esonerano neppure l’Unione Europea dalle proprie responsabilità: “Nel dicembre 2015, la dimensione della sofferenza dei rifugiati e dei richiedenti asilo al confine e all’interno dell’Ungheria, insieme all’adozione della nuova legislazione sull’asilo, hanno spinto la Commissione europea ad avviare una procedura d’infrazione, tuttora in corso. Invece di provare vergogna per il fatto che vengono portate alla luce le clamorose violazioni del diritto internazionale in corso in Ungheria, il primo ministro le celebra come un esempio da imitare da parte degli altri Paesi. Consentire a tutto questo di andare avanti procurerà altra miseria a persone vulnerabili in fuga dai conflitti”.

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RUSSIA E BALCANI sono da considerarsi illegittime, in aperta contrapposizione con quanto affermato da Putin, il quale ha parlato di una “consultazione onesta”. La stessa presidente della Commissione elettorale, Ella Pamfilova ha dovuto ammettere che non tutto si è svolto regolarmente, di fronte ad alcuni video che mostravano alcuni individui mentre inserivano dei plichi di schede elettorali in un sol colpo.

UCRAINA 28 settembre. La questione del volo MH17 è destinata a complicarsi dopo che la JIT (Joint investigation team), ha reso noti i risultati di 2 anni di indagini. Secondo quanto riferito l’aereo sarebbe stato abbattuto da un missile trasportato dai ribelli nelle zone di conflitto con l’esercito ucraino con lo scopo di depistare le indagini e rendere poco chiaro il mandante del lancio del missile. Questa tesi andrebbe ad avvalorare l’idea di molti osservatori internazionali, secondo i quali i ribelli avrebbero confuso l’aereo della Malaysian Airlines con un aereo militare ucraino La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova afferma che “le conclusioni degli investigatori sono preconcette e politicamente motivate”. A cura di Leonardo Scanavino

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IL SANGUE DEI BALCANI Referendum e conflitti etnici

Di Elisa Todesco Gli anni ‘90 sono stati una ferita dolorosa nel cuore dell’Europa. Il massacro di Srebrenica ha rappresentato l’apoteosi dell’odio etnico e razziale che ha permeato per decenni i Balcani. Oggi quella ferita, parzialmente rimarginata dall’intervento internazionale e dagli accordi di Dayton del 1995, si è riaperta. La situazione, mai veramente risolta, si è acuita in questi anni a causa di diversi fattori. In primis, la crisi migratoria: i Balcani, e in particolare la Macedonia, passaggio privilegiato per l’Europa del benessere, hanno pagato lo scotto della transumanza umana dalla Siria. Inoltre, significativo è stato l’impatto della crisi economica e il protrarsi della chiusura delle porte dell’Unione Europea: tutti i Paesi hanno presentato la candidatura, ma solo la Croazia è riuscita ad accedere. Come se non bastassero queste difficoltà strutturali, un ulteriore fattore destabilizzante è l’irrequietezza delle diverse etnie che coabitano la Bosnia, risvegliatasi di recente. Un segnale chiaro ed evidente di questo malessere è stato lanciato domenica 25 settembre 2016 dalla Repubblica Serba di Bosnia e Erzegovina. Il 58% dei cittadini serbi della Bosnia, infatti, ha votato in favore della proposta del referendum che prevede l’istituzione il 9 gennaio della Festa nazionale e dell’entità statale. Per comprendere la portata e il ruolo di questo referendum è bene spiegare brevemente l’or-

dinamento vigente in Bosnia. La Bosnia Erzegovina è una Repubblica federale costituita da due entità territoriali, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, popolata principalmente da bosgnacchi musulmani e croati, che comprende il 51% del territorio, e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, la cui componente etnica principale è quella serba, che occupa il restante 49% del territorio. Ciascuna di queste entità ha un proprio ordinamento. In questo contesto, il leader della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, ha appunto promosso tramite referendum l’istituzione della festa nazionale il 9 gennaio, ovvero l’anniversario della dichiarazione unilaterale di indipendenza dei serbi bosniaci. L’evento che fu, fra gli altri, causa dell’inizio della guerra in Bosnia (1992-1995). Il messaggio è chiaro: la Repubblica Serba di Bosnia ritiene ancora oggi un errore la separazione dalla Serbia e ha deciso di ribadirlo, nonostante la Corte Costituzionale di Sarajevo abbia dichiarato illegale il referendum, perché discriminatorio nei confronti di bosgnacchi e croati. Le posizioni internazionali sono contrastanti: se, da una parte, Unione Europea, USA e Aleksandar Vucic, il nuovo premier progressista e filoeuropeista della Serbia, sono fermamente contrari, dall’altra parte questa presa di posizione è stata accolta con benevolenza dalla Russia di Putin che, a causa del crescente allargamento della Nato verso Oriente, è sempre alla ricerca di nuovi alleati.


ORIENTE 7 Giorni in 300 Parole

SCARSE, FRESCHE E DOLCI ACQUE In India Meridionale, la disputa per il fiume Kaveri non è ancora stata risolta.

Di Giusto Amedeo Boccheni

FILIPPINE 27 settembre. L’inarrestabile azione del presidente Duterte non conosce tregue: prosegue la sua lotta alla criminalità e allo spaccio, un’azione che secondo fonti governative ha portato negli ultimi due mesi all’uccisione di 1.300 persone sospettate di spacciare o fare uso di droga. I media locali riportano violenti accanimento di polizia e militari contro i sospettati di spaccio, violenze che vedono le forze governative agevolate dall’intenzione di Duterte di garantire a sé stesso e alle forze di sicurezza l’immunità da qualsiasi reato, anche al termine dell’incarico ricoperto, come annunciò prima di essere eletto. Non tutte le azioni compiute sono state accettate di buon grado dalla stampa nazionale e dall’opinione pubblica, che in diversi casi hanno denunciato le eccessive misure intraprese. I violenti metodi utilizzati hanno spinto molte persone a richiedere spontaneamente aiuto per disintossicarsi dall’uso di droghe; questo non ha che rivelato una carenza nelle infrastrutture predisposte per tale scopo. GIAPPONE 28 settembre. Il presidente Shinzo Abe si è recato in visita a Cuba, per primo nella storia dei Presidenti del Giappone; egli

Lo sfruttamento del fiume Kaveri è oggetto di contesa fin dal 1892. Nel 1990 è stato istituito il Tribunale per le Dispute sulle Acque del Kaveri, il quale, nel febbraio 2007, ha determinato la ripartizione delle acque tra Tamil Nadu, Karnataka, Kerala e Pondicherry. A fronte del maggiore sviluppo agricolo del Tamil Nadu, il Tribunale ha riconosciuto allo Stato il diritto alla parte più grande delle risorse. Tuttavia, perché il Tamil Nadu possa usufruirne, è necessario passare per l’amministrazione di Karnataka, nel cui territorio affluisce la maggior parte delle acque. Quest’anno, le scarse pioggie hanno scatenato l’ennesima crisi. A inizio settembre la Corte Suprema indiana ha tentato, senza fortuna, di raggiungere un compromesso. A Karnataka sono scoppiate le proteste e lo Stato si è rivolto alla Corte per ottenere una modifica dell’ordine. I giudici hanno ridotto di poco il quantitativo giornaliero da distribuire, aggiungendo però 4 giorni al periodo di erogazione e di fatto aumentando la quantità complessiva dovuta. Le proteste sono riprese e questa volta vi sono stati due morti. Applicando la sezione 144 del codice di procedura penale, le forze dell’ordine hanno arrestato più di 1.000 persone. Le hanno poi stipate nella già

sovrappopolata prigione di Parappana Agrahara, che ora conta 5.500 detenuti, contro i 2.000 per cui è stata costruita. Il 19 del mese il Comitato per la Supervisione del Kaveri, istituito dalla Corte, ha ordinato un ulteriore rilascio di risorse fino a fine mese. Il 20 la Corte ha rincarato la dose, affinché fossero resi gli arretrati che Karnataka aveva trattenuto, e ha, inoltre, ordinato l’intervento del governo centrale. Una soluzione a lungo termine richiederebbe un più accorto sfruttamento del suolo, per esempio la scelta di sementi a consumo idrico più contenuto. Il fallimento del governo starebbe invece nel creare incentivi opposti tramite il sistema del Minimum Support Price. Karnataka, intanto, chiede di posporre l’attuazione dell’ordine al gennaio 2017. Il 23 il Parlamento statale ha adottato una risoluzione unanime che impedisce l’utilizzo dell’acqua delle riserve, salvo che per dissetare la popolazione. L’obiettivo è convincere i giudici, il 26, che il rifiuto di ottemperare è scusato. Il primo ministro Siddaramaiah ha scritto al premier Narendra Modi per assicurargli il suo desiderio di rispettare la decisione della Corte Suprema, sottolineando però l’impossibilità materiale di farlo. Dal canto suo, il Tamil Namud ha ottenuto un’udienza urgente per il 27.

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ORIENTE ha incontrato il presidente Raúl Castro e il líder máximo Fidel Castro, per portare al Paese un pacchetto di aiuti da quasi un miliardo di euro e circa 10 milioni in aiuti allo sviluppo. La sua visita precede di pochi giorni quella del premier cinese Li Keqiang a La Havana, importante partner commerciale dell’isola; secondo alcune agenzie di stampa, questa tempistica punterebbe a contrastare le influenze cinesi su Cuba, in un’altra delle sfide intraprese dai due paesi orientali sulle sfere d’influenza mondiali.

MYANMAR 21 settembre. La leader birmana Aun Sang Suu Kyi si è recata in visita negli USA, alla fine del mandato presidenziale di Obama; il Presidente americano uscente ha annunciato la reintroduzione delle misure economiche e commerciali a favore dei Paesi che hanno vissuto fasi più o meno lunghe di sospensione dei diritti umani. Queste misure, significative per i vantaggi economici e commerciali che porteranno al Paese, rappresentano soprattutto un passo rilevante nel percorso di reingresso definitivo del Myanmar nel contesto globale internazionale. A cura di Carolina Quaranta

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GLI ACCORDI ENERGETICI TRA UE E NUOVA ZELANDA

Pacific Energy Partnership: continuano i progetti di sviluppo sostenibile nell’area del Pacifico.

Di Emanuele Chieppa Con il Joint Declaration on Relations and Cooperation del 1999, la Nuova Zelanda e l’UE hanno intrapreso un avvicinamento progressivo e continuo, che ha portato nel 2015 all’avvio delle negoziazioni per istituire un’area comune di libero scambio commerciale. Gli accordi con la Nuova Zelanda, prima della Brexit, erano mediati dagli interessi del governo britannico. Lo scorso febbraio il ministro neozelandese del Commercio, Todd McClay, aveva incontrato a Bruxelles il vice presidente dell’Unione Europea per il Lavoro, la Crescita e gli Investimenti, Jyrki Katainen, e il commissario per il Commercio, Cecilia Malmström, per discutere sulla stesura degli accordi. Di questi, ad oggi, non si hanno notizie. La Nuova Zelanda è storicamente legata al Regno Unito, in quanto parte del Commonwealth britannico, ed è difficile stabilire le conseguenze di lungo periodo della Brexit sulla partnership con l’UE. Altri trattati di tipo non commerciale sono comunque stati portati a termine e continuano a dimostrare l’importanza dell’Unione Europea, che fornisce i maggiori aiuti allo sviluppo nel Pacifico. Nel 2013 si è svolto ad Auckland il primo Pacific Energy Summit, in cui sono stati

presi impegni non solo con la nuova Zelanda, ma anche con Australia, Giappone, Emirati Arabi Uniti, la Banca Asiatica per lo Sviluppo, la Banca Europea per gli Investimenti e la Banca Mondiale. Sono accordi che hanno l’obiettivo di creare consapevolezza ambientale e sviluppo energetico, promuovendo l’abbandono dei combustibili fossili. Il partenariato UE-NZ ha contribuito nel 2013 a un investimento di 444 milioni di euro, che quest’anno sono stai portati a 592. Le isole Tuvalu sono state tra le prime a beneficiare di questa partnership. Nel 2013 solo la metà della popolazione aveva l’elettricità, mentre nel 2016 tutte le Tuvalu vi hanno accesso ed entro il 2025 raggiungeranno la piena indipendenza grazie a fonti alternative. Il commissario UE per lo sviluppo Neven Mimica ha rinnovato l’impegno dell’UE per lo sviluppo energetico delle isole del Pacifico. Il 7 giugno, ad Aukland, ha avuto luogo il secondo summit, che ha dato frutti positivi, raggiungendo finanziamenti per il valore di 1 miliardo di euro. Il successo di questi accordi ha spinto quest’anno il commissario Mimica e il ministro degli Esteri neozelandese McCully a firmare una nuova dichiarazione di cooperazione, che riguarda una partnership per lo sviluppo sostenibile.


AFRICA 7 Giorni in 300 Parole CONGO 27 settembre. Gli Stati Uniti hanno sanzionato due generali congolesi per il loro comportamento repressivo nei confronti della popolazione della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Si tratta dei militari Gabriel Amisi Kumba e John Numbi Banza Tambo. Secondo John Smith, direttore dell’organo statunitense competente per questo tipo di sanzioni, ai due militari è rimproverato di aver represso la libertà e i diritti politici dei congolesi, rischiando di peggiorare ulteriormente il clima d’instabilità del Paese. COSTA D’AVORIO 28 settembre. Il Consiglio dei Ministri ha accettato il progetto di una nuova Costituzione per il Paese. Il testo, su cui il governo non ha ancora rilasciato alcun dettaglio, sarà posto in esame all’Assemblea Nazionale mercoledì 5 ottobre. Il ministro Bruno Koné, portavoce del governo, ha chiarito che si tratta di un testo più consensuale rispetto alla precedente Costituzione, un progetto “più semplice, più moderno, più neutrale e più equilibrato”. GABON 28 settembre. Il presidente Ali Bongo, due giorni dopo la sua investitura, ha annunciato di aver scelto il Primo ministro. Si tratta di Emmanuel Issoze-Ngondet, ex ministro in carica degli Affari esteri e con vent’anni di carriera diplomatica alle spalle nelle ambasciate gabonesi in Camerun, nel Regno Unito, in Canada, in Corea del Sud e in Kenya. Ali Bongo ha dichiarato di ritenere Issoze-Ngondet all’altezza del compito assegnatogli, che consiste nel creare uno spazio di dialogo con l’opposi-

IL VALORE DELLA CULTURA

Una sentenza storica della Corte Penale Internazionale

Di Fabio Tumminello Lo scorso 27 settembre la Corte Penale Internazionale ha condannato a 9 anni di carcere Ahmad Al-Faqi Al-Mahdi, un ex-miliziano islamista colpevole di aver distrutto una decina di templi e luoghi sacri, tra cui la moschea di Sidi Yaha, nei pressi di Timbuctù. Al-Mahdi era al comando del movimento Ansar Dine (letteralmente “Ausiliari della Religione Islamica”), un manipolo di ribelli estremisti affiliati ad Al-Qaeda e collegati all’AQMI, il gruppo terrorista di Al-Qaeda nel Maghreb. Il movimento, che si è macchiato di gravi crimini, tra cui torture sulla popolazione civile, stupri ed esecuzioni sommarie, era noto alle Nazioni Unite per la sua partecipazione al conflitto del Mali del 2012: insieme ad altre organizzazioni islamiste e al Movimento di Liberazione Azawad, aveva occupato all’epoca i territori sahariani settentrionali, tra Mali, Algeria e Mauritiana (NdR: o Mauritania?). Durante il conflitto, il gruppo di Al-Mahdi compì numerosi raid su villaggi e insediamenti, in particolare nella zona centro-settentrionale del Paese: in uno di questi distrusse la biblioteca cittadina di Timbuctù (e parte del suo patrimonio letterario e dei suoi manoscritti) e la moschea di Sidi Yaha con la sua

porta, celebre perché, secondo la leggenda, questa non si sarebbe dovuta aprire fino alla fine del mondo. In totale sono 9 i luoghi sacri distrutti da Al-Mahdi e dai suoi miliziani nel luglio del 2012: alcuni di questi santuari erano stati inseriti nella lista dei siti appartenenti al Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO fin dal 1988. La sentenza è storica per due motivi. Innanzitutto, è la prima volta che la Corte Penale Internazionale processa un militante islamista per crimini di guerra. In secondo luogo, nella motivazione della condanna comminata all’ex leader jihadista, la Corte Penale Internazionale ha riconosciuto l’intenzionalità degli atti compiuti dal gruppo e, per la prima volta, ha previsto l’apposita fattispecie di reato di distruzione del patrimonio culturale come crimine di guerra, riconoscendo così la vocazione universale di questi luoghi per il loro valore artistico e storico. Al-Mahdi (che ha comunque ottenuto la pena minima per un reato con condanne previste dai 9 ai 30 anni) si è dichiarato “pieno di rimorsi e rimpianti” e ha invitato la comunità islamica di tutto il mondo a “resistere a questo tipo di azioni”. Starà ora alla giustizia maliana rendere esecutiva la sentenza. MSOI the Post • 13


AFRICA zione che finora si è dimostrata ostile alla collaborazione. MALI 29 settembre. Paul Folmsbee, ambasciatore degli Stati Uniti nel Mali, ha chiesto alle autorità malesi di interrompere “qualsiasi legame pubblico e privato” con il gruppo militarizzato Gatia, definito dal diplomatico statunitense “una milizia armata che non contribuisce a riportare la pace nel nord del Mali”. La richiesta è avvenuta in seguito alla dichiarazione del generale dell’armata malese El Hadj Ag Gamou, che sul suo profilo Facebook ha palesato la sua appartenenza a Gatia, salvo poi ritrattare pochi minuti dopo. Le autorità governative non hanno ancora rilasciato una dichiarazione le ufficia . NIGERIA 29 settembre. Un gruppo di ribelli, i Militants pour une justice sur les terres vertes du Delta (NDGJM), ha rivendicato l’attacco all’oleodotto Unenurhie-Evwreni nel sud della Nigeria avvenuto verso l’una del mattino di giovedì 29 settembre. Questo canale di rifornimento, situato nella regione petrolifera di Delta, era sfruttato dalla compagnia nazionale degli idrocarburi (NNCP). A cura di Francesca Schellino

SUD SUDAN: UNA PACE INCERTA Gli accordi del 2015 dimostrano troppa fragilità rispetto alle tensioni interne

Di Francesco Tosco Il Sud Sudan è afflitto dal 2013 da una guerra interna che vede scontrarsi i due maggiori partiti politici, coincidenti con le due etnie principali del Paese. Attualmente è a capo del Sud Sudan il leader dell’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan, Salva Kiir. Il suo rivale, attualmente in esilio, è Riek Machar. Machar è stato aspramente criticato dall’esecutivo del Paese, appoggiato dal governo americano, per una dichiarazione rilasciata durante lo scorso week-end, che potrebbe minare nuovamente la stabilità del Paese. L’ex Primo Vicepresidente ha infatti esortato il popolo alla resistenza armata contro il governo centrale. L’accusa è di reiterare un attentato alla pace del Paese. Nel luglio 2015 era stato raggiunto un accordo che avrebbe dovuto garantire la pace: esso prevedeva il rientro nella capitale, Juba, di Riek Machar, nonché la sua elezione nell’aprile scorso alla carica di Primo Vicepresidente e, infine, la formazione di un governo di unità nazionale, insieme al Presidente e rivale Salva Kiir.

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Tra l’8 e l’11 luglio scorso si erano però verificati scontri nella

capitale tra le truppe fedeli al Presidente e al suo Primo Vice. L’uso di elicotteri, carrarmati e armi pesanti aveva provocato la morte di circa 300 civili e costretto migliaia di persone a sfollare. Dopo tali scontri, Machar aveva lasciato il Paese insieme ai suoi fedelissimi, rifugiandosi prima nella Repubblica Democratica del Congo e poi in Etiopia (ora risiede a Karthoum). Dopo la fuga, il presidente Kiir gli aveva quindi dato un ultimatum: 48 ore per rientrare nella capitale e mantenere l’accordo di pace concluso mesi prima. Al rifiuto del leader ribelle, il Premier aveva nominato come suo nuovo Primo Vicepresidente l’ex ministro delle miniere, Deng Gai. In seguito alle ultime dichiarazioni in cui Machar esortava la popolazione a imbracciare le armi, per scongiurare una ripresa delle ostilità, l’Unione Africana e l’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD) hanno dispiegato una forza regionale e modificato il mandato alla Missione delle Nazioni Unite (UNMISS), in una forza di intervento. Il ministro degli Esteri sudanese Ibrahim Ghandour ha affermato che a nessun gruppo armato sarà permesso valicare il confine con il Sud Sudan.


SUD AMERICA 7 Giorni in 300 Parole COLOMBIA 27 settembre. Dopo 52 anni, è stata firmata la pace storica tra FARC e il Governo legittimo. “È finita l’orribile notte della violenza” ha affermato il presidente colombiano Juan Manuel Santos. Altrettanto commovente l’intervento del capo delle FARC, Rodrigo Londoño Echeverri che ha chiesto perdono ai colombiani per il dolore causato.

MATRIMONI GAY IN MESSICO

La lotta per i diritti LGBT sostenuta da Peña Nieto

Di Giulia Botta

CUBA 27 settembre. Il presidente degli USA Barack Obama ha nominato il primo ambasciatore statunitense dopo circa mezzo secolo. Il diplomatico disegnato è Jeffrey Delaurentis, che dal 2014 ricopre il ruolo di incaricato d’affari della missione degli USA nella capitale cubana. “Il ruolo di Jeff è stato di vitale importanza per tutta la normalizzazione delle relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba, e la nomina di un ambasciatore è un passo in avanti verso un rapporto più normale e produttivo tra i nostri due Paesi”, ha dichiarato Obama. MESSICO 27 settembre. Nello Stato del Michocan si sono verificate violente proteste. Le tensioni sono state originate dalla manifestazione indetta per ricordare la scomparsa di 43 studenti indigeni fermati dalla polizia due anni fa. Nonostante i fatti non siano ancora chiari, è certo le 49 persone fermate siano state por-

In Messico sono sempre più accese le tensioni circa la proposta del presidente Enrique Peña Nieto di estendere il diritto dei matrimoni omosessuali a livello nazionale. La lotta, a colpi di proteste, striscioni e slogan, vede schierarsi su fronti opposti gli attivisti favorevoli ai diritti LGBT e quelli contrari al matrimonio egualitario, molti dei quali sono legati al cattolico Fronte Nazionale della Famiglia. Dal 10 settembre sono state più di 100 le proteste portate avanti in tutto il Paese da questa organizzazione. I partecipanti, vestiti di bianco, hanno marciato con lo scopo, secondo le parole di uno dei membri, di “svegliare la società e spingerla alla difesa della famiglia e del matrimonio tradizionale tra uomo e donna”. Le manifestazioni infervorano il Messico dal mese di maggio, quando il Presidente ha proposto un disegno di legge per la legalizzazione del matrimonio omosessuale: nel Paese, infatti, sono ancora molto forti i retaggi della religione cattolica. Nieto

si è esposto rispetto all’argomento, comunque appoggiandosi alla sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio gay in qualsiasi Stato del Messico. Il Messico è una Repubblica federale composta da 31 Stati più la capitale e regolata da un codice civile federale. Ogni Stato ha però un proprio codice specifico per l’istituto matrimoniale. Ad oggi, solo in 9 dei 31 Stati e nel distretto di Città del Messico è stato legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In Messico, i vantaggi politici e giuridici della comunità LGBT sono stati acquisiti a fatica nel corso del tempo, a partire dalla modifica dell’articolo 1 della Costituzione, che ha vietato nel 2001 la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Nonostante i passi in avanti, tuttavia, dilaga la violenza e negli ultimi vent’anni si è registrato un forte aumento dei crimini di stampo omofobo, i quali hanno raggiunto il record peggiore tra 1995 e 2005: 387, il 98% dei quali rimasto impunito.

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SUD AMERICA tate nella città di Morelia. NICARAGUA 27 settembre. “Rifiutiamo come violazioni del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, le proposte e iniziative che sono scaturite dalle Camere e sedi degli organismi legislativi degli Usa che sono prassi abituale della politica interventista che, nel corso della storia, è sempre stata applicata nei nostri processi politici, sociali ed economici, soprattutto alla vigilia delle scadenze elettorali”. Replica così il governo nicaraguense alla decisione della Camera Bassa del Congresso degli Stati Uniti di approvare all’unanimità il cosiddetto Nicaraguan Investment Conditionality Act, o Nica Act.

VENEZUELA 27 settembre. L’opposizione chavista venezuelana rilancia con una nuova protesta di massa prevista per il 12 ottobre, oltre a manifestazioni minori quotidiane. “Il referendum destituivo si terrà quest’anno perché è scritto nella Costituzione ed è nostro diritto e ne abbiamo bisogno. Qualsiasi tentativo di bloccarlo implicherebbe la mobilitazione del popolo, la protesta ferma e pacifica sulle strade per ottenere il ritorno all’ordine costituzionale”, ha in seguito, affermato uno dei leader dell’opposizione. A cura di Sara Ponza

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PACE È FATTA.

La Colombia e le Farc siglano la fine di una guerra

Di Daniele Ruffino Le Fuerzas Armada Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo (FARC – EP), nate nel 1964 nelle regioni Tolima e Huila durante l’operazione militare Marquetalia per soffocare le comunità autogestite agricolo-contadine, sono divenute la spina nel fianco del governo colombiano. Per 52 anni hanno condotto una vera e propria guerra civile contro l’establishment, che ha portato a diverse concessioni politico-sociali in favore delle fasce più povere della popolazione. Di ispirazione marxista-leninista, le FARC si sono sempre battute per garantire pari diritti, riuscendo a sopravvivere alla repressione del governo colombiano e a ottenere consensi tra gli strati più poveri e gli ambienti più idealisti del Paese. Il loro fondatore e primo comandante fu Manuel Marulanda, che, reduce dall’operazione Marquetalia, riorganizzò le comunità autogestite dando vita al movimento ribelle più longevo dell’emisfero occidentale. L’impatto sulla classe dirigente fu tanto forte che nel 1984 il governo Betancourt dovette firmare un accordo di tregua, rivelatosi poi inutile. Dopo questo fallimento gli scontri ripresero e la situazione colombiana venne catapultata sulla scena internazionale. Ciò obbligò il governo ad intensificare l’azione repressiva e a rico-

noscere che il fenomeno FARC era fuori controllo. In 52 anni di guerra le forze governative hanno subito ingenti perdite e la spaccatura tra popolo e classe dirigente si è allargata sempre di più. Si è inoltre creata una paradossale situazione: o si entrava nell’esercito del governo o nell’esercito del popolo. Negli ultimi anni, grazie a diverse azioni diplomatiche internazionali, la situazione è migliorata. Dopo l’Agenda Comune per il Cambiamento verso la Nuova Colombia del 2002 vi sono stati sempre più incontri tra le due delegazioni per imbastire un accordo di pace duraturo. Ne sono esempio quello a L’Avana nell’agosto del 2012 e quello a Oslo nell’ottobre dello stesso anno. Il culmine di questo processo è stato l’accordo bilaterale per la cessazione delle ostilità, alla presenza del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, ma anche l’istituzione, lo scorso 27 settembre, di tribunali speciali volti a giudicare i crimini commessi nel conflitto da entrambe le parti. La risposta dell’UE non è tardata ad arrivare. L’alto rappresentante Federica Mogherini ha annunciato pochi giorni fa che le FARC sono state rimosse dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Il Consiglio di Stato della Colombia l’aveva già fatto nel 2015.


ECONOMIA WikiNomics BANCHE: REDDITIVITÀ IN PICCHIATA DAL 2008 Tassi d’interesse troppo bassi o cattive gestioni?

Di Edoardo Pignocco Si potrebbe definire un evergreen. Già, perché le notizie e le analisi relative al settore bancario, purtroppo, non si esauriscono mai. Le banche stanno sempre più denunciando, a partire dal caso Lehman, un profondo tracollo dei ricavi. Andiamo a enucleare le principali cause che hanno portato a questa situazione. Tassi d’interesse. È innegabile che una buona fetta di ricavi persi sia imputabile all’effetto del Quantitative Easing. Quest’ultimo, infatti, ha, di fatto, non solo completamente azzerato i tassi interbancari di riferimento, ma li ha, addirittura, resi negativi. Volendo inscenare un esempio, si ponga la sottoscrizione di un mutuo da parte di una persona con alto merito creditizio. Il tasso d’interesse - quello variabile - è tipicamente composto da: tasso Euribor a 6 mesi e spread fisso in base al rating creditizio del cliente. Il primo è, attualmente, negativo (- 0,06%): un dato assolutamente inedito nel Vecchio Continente! Il secondo,

DEUTSCHE BANK, SUBPRIME E SANZIONI USA Colpi di coda della crisi finanziaria

Di Efrem Moiso

dollari.

Dopo 8 anni esatti dal suo contagio mondiale, la crisi finanziaria del 2008 non ha ancora smesso di diffondere i suoi effetti negativi. I mutui subprime, ovvero i mutui elargiti senza adeguate garanzie ad individui incapaci di rimborsarli, accompagnati da tutti gli strumenti finanziari che hanno contribuito a creare un mercato di titoli tossici ad essi legato sono stati la causa scatenante, ma sono poi intervenuti altri fattori. Se, quindi, a seguito del collasso del mercato immobiliare statunitense le prime a pagare sono state le grandi banche locali, è toccato poi al resto del mondo con un effetto domino devastante. E ora sembra essere giunto il turno delle banche europee.

A seguito di tale richiesta, il titolo è crollato, arrivando a toccare il minimo storico, registrando una perdita del 50% da inizio anno e affondando il DAX. La preoccupazione che seguano ulteriori richieste da parte del DOJ nei confronti di altre banche quali UBS, Credit Suisse e HSBC ha fatto sì che anche i relativi titoli crollassero.

Le too big to fail – Lehman Brothers, Bearn Sterns, Merrill Lynch, Bank of America, Citi, JP Morgan Chase, Morgan Stanley –, giustamente additate come responsabili per l’accensione dei subprime che hanno dato il via alla recessione, hanno in qualche modo saldato il conto tra loro e il Governo statunitense in tempi relativamente brevi. Ora, con la Brexit alle porte, le banche europee dovranno vedersela con lo U.S. Department of Justice, che ha accusato Deutsche Bank di aver venduto titoli tossici prima del crollo finanziario e richiesto il pagamento di una sanzione di 14.2 miliardi di

Sebbene Deutsche Bank detenga asset per circa duemila miliardi di dollari, 2/3 dell’output annuale tedesco, farebbe fatica a pagare autonomamente una multa di simili dimensioni, in quanto l’accantonamento ad essa relativa, spese legali comprese, corrisponde a 6.2 miliardi di dollari. Fino ad ora[,] nessuna banca ha pagato per intero la cifra richiesta, ma, a quanto pare, anche se DB riuscisse a ridurla per mezzo di accordi, potrebbe essere necessario il ricorso ad un aumento di capitale, che implicherebbe l’intervento dello Stato. Angela Merkel, tramite suoi portavoce, ha già dichiarato più volte che un’azione governativa non è stata presa in considerazione e che sarebbe auspicabile un ridimensionamento delle richieste provenienti dagli Stati Uniti, ricordando il trattamento favorevole che l’Europa ha avuto nei confronti di Apple pochi mesi fa.

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ECONOMIA nel nostro esempio, è molto basso, perché il cliente ha dimostrato di poter essere sempre solvibile; si ponga 2%. Di conseguenza, il guadagno netto della banca dall’operazione è pari a (2 - 0,06) % = 1,94%. Si consideri che, prima della crisi immobiliare, il tasso Euribor 6m arrivava a toccare quote come 6%. Dunque, mettendo a confronto i due guadagni netti, si nota, senza difficoltà, il gap di ricavo perso dalla banca. Cattiva gestione. Proprio recentemente, in data 22 settembre 2016, Mario Draghi è intervenuto alla conferenza annuale dello European Systemic Risk Board, sottolineando come la perdita di redditività non sarebbe causata tanto dal QE, ma, piuttosto, da una gestione manageriale non adeguata. Secondo Draghi, dunque, i due punti critici sono i seguenti: overbanking e errato modello di business. Il presidente della BCE, infatti, ha evidenziato come, da un lato, in Europa ci siano troppe banche; dall’altro, che quest’ultime siano molto poco i efficient . Sarebbe necessario - sostiene Draghi - ristrutturare il business model del servizio di credito di alcuni istituti bancari. Questo perché l’elevato numero di banche (per di più mal gestite) provocherebbe un elevato livello di concorrenza e una battaglia di prezzi smisurata. Tale circostanza, infatti, tenderà sempre più a creare maxicluster, derivanti da fusioni bancarie, come accade negli Stati Uniti, per ottenere economie di costo e di ricavo. Tuttavia, bisogna essere sempre consci che, in tal modo, le banche avranno un potere ancora più forte. 18 • MSOI the Post

FELICITÀ INTERNA LORDA Il calcolo economico dello sviluppo

Di Ivana Pesic Ormai da decenni vengono posti dubbi sulla capacità del PIL di esprimere il benessere di una nazione. Le componenti classiche del PIL, rappresentate dalla produzione totale di beni e servizi dell’economia, dal valore totale della spesa fatta dalle famiglie e dalle imprese e dalla somma dei redditi dei lavoratori e dei profitti delle imprese, portano ad una visione della società fondata prevalentemente sul consumo e sul profitto. Una delle principali critiche nei confronti di tale indicatore è quella di trattare tutte le transazioni come positive, cosicché entrano a farne parte anche i danni provocati dai crimini, dall’inquinamento, ecc. In questo modo, il PIL non fa distinzione tra le attività che contribuiscono al benessere e quelle che lo diminuiscono. In altre parole, esso, per esempio, aumenta in caso di calamità naturale grazie alle spese per la ricostruzione, mentre il costo della catastrofe non viene contabilizzato. Per questo, altri indicatori che devono misurare il progresso degli Stati sono allo studio da tempo. L’avvio del processo di superamento del PIL come indice di benessere sociale nasce in Bhutan, piccolo Paese himalayano che, sin dal 1972, ha adottato un differente indice per misurare il suo sviluppo,

sostituendo il PIL con un indicatore che misura lo stato di benessere dei suoi abitanti chiamato, in analogia al PIL, Felicità Interna Lorda (FIL). Il FIL si basa su quattro pilastri fondamentali: 1. l’esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile; 2. la sostenibilità ambientale; 3. la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società; 4. e, infine, il pilastro su cui si fondano tutti gli altri: il buon governo. Il sistema adottato per misurare il FIL non si limita, quindi, al livello di reddito di uno Stato, ma introduce una serie di parametri che affiancano i dati del PIL (non in grado di rappresentare l’effettivo benessere di una nazione) arricchendolo. Aspetti come il livello d’istruzione, l’accesso all’acqua potabile, la sanità gratuita, la percentuale di persone che usufruiscono del sistema fognario, l’aspettativa di vita, la qualità dell’ambiente, il tasso di criminalità, diventano indicatori di benessere sociale. Il FIL, non serve a misurare la felicità, ma ad indicare che il benessere è più importante dei consumi e a sottolineare che la crescita economica non deve essere vista come un fine, ma come un mezzo per rafforzare le capacità fisiche ed intellettuali dei cittadini.


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