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LUOGHI NON COMUNI

Mug è un veicolo di feeling come quello che abbiamo verso la nostra mug preferita, tanto per restare in tema, verso quella personal cosiness che ci fa trovare ed apprezzare il bello attraverso il prisma del nostro vero essere. Quindi che amiate il caffè, il the bancha o il latte ora c'è anche una Mug da frequentare. Buoni sorsi - piano, che è caldo…

Uncommon places Rather than in an editorial line, Mug wants to find its own dimension within and around people. It’s an instant dreaming area whose centre of attraction and starting point lies in Lazzari’s space, Treviso. It has countless connections with those who frequent such uncommon places where we can discover items of clothing that have something to tell us about ourselves, where we can feel at one with a work of art, where all that is ‘new’ has solid roots.

Mug is a catalyst of ‘feeling’ akin to the partiality we have for our favourite mug, a feeling leading straight to personal cosiness, when we detect and appreciate the beautiful through the prism of our personality. Therefore, whether you like coffee, bancha tea or milk, you also have a Mug to frequent. Enjoy your drink! (take it easy, though, it’s hot…)

cover: ph. Nicola Facchini

Mug più che una linea editoriale ha una dimensione, dentro e attorno alle persone. Una instant dreaming area con un polo di attrazione e partenza nello spazio Lazzari, a Treviso, Italia, e molti altri punti fermi in chi frequenta luoghi non comuni, quelle dimensioni dove si incontra un capo d’abbigliamento che ci parla di noi, dove si instaura un rapporto con un’opera d’arte, dove il Nuovo ha radici solide.

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NIENTE AGGETTIVI PLEASE Lazzari ha ora un nuovo spazio in pieno centro storico a Treviso. Che sia nuovo lo dicono i biglietti da visita, la carta intestata, i dovuti avvisi. Che sia uno spazio che poco si adatti a qualunque altro aggettivo, è un altro dato di fatto. Si trova nel complesso delle Canoniche Nuove, una delle due case-torri rimaste in città dai primi anni del tredicesimo secolo, che ospita al primo piano la Biblioteca Capitolare, ricca di antichi manoscritti, codici musicali, documenti risalenti fino al 1135 e buona parte dell'archivio storico della città di Treviso. Difficile chiamare “nuovo” uno spazio simile; facile per Lazzari capire al volo il suo spirito e vederlo perfettamente in sintonia con le sue proposte, fuori dalla banalità di un certo presente, dentro le espressioni dell’essere. Le arcate romaniche che danno sul cortile –un angolo dai secoli passati aperto al pubblico, occasione di incontro e di bellezza per la città– illuminano i locali di luce naturalmente soffusa, gli alti soffitti danno una particolare solennità al rito di arricchire e sviluppare il proprio essere. Così portate a nuova vita da Lazzari, infatti, le Canoniche Nuove ambiscono a diventare un punto di ricerca che prenda spunto da abbigliamento, profumi, sapori, suoni, idee d'arredo, arti e contrasti culturali per cogliere idee e fermenti da ogni luogo e proporli come arricchimento personale oltre che estetico. Sarà facile, nello spazio Lazzari, sostituire aggettivi con emozioni. RoomShow! Lo spazio Lazzari delle Canoniche Nuove è diviso in diverse aree, tutte studiate per cambiare aspetto anche completamente secondo lo spirito delle collezioni o delle attività ospitate: banchi freestanding, modularità in ogni elemento, estrema duttilità nell’illuminazione, divisori in tela. Accanto agli ampi spazi dedicati all’abbigliamento c’è un'area per l’oggettistica domestica, con collezioni da tutto il mondo. Novità per Lazzari, poi, è l'introduzione di linee di prodotti per la cura del corpo, in particolare essenze naturali. E tutto diventerà un mix di emozione concreta, da sperimentare e approfondire, che accompagnerà i visitatori nelle sale e fuori. Considerando che lo spazio nella sua interezza viene utilizzato anche come galleria d’arte (vedi a parte), sarà facile immaginare lo spazio Lazzari come luogo di incontro culturale con tutti i crismi, dove quindi la proposta e la valorizzazione di stilisti emergenti e l’offerta di griffe consolidate non sia una semplice questione di “sintonia commerciale” con la clientela, ma sia parte di un unicum di segnali e rapporti coinvolgenti l’intera sfera della personalità.

No adjectives, please. Lazzari now have a new space in the heart of the city of Treviso. Visiting cards, headed note- paper, notices, flyers and the phone book, emphasise it is ‘new’, therefore any other adjective is hardly needed. It is located in the Canoniche Nuove, an early XIII century mansion tower with the chapter Library on its first floor, containing a wealth of ancient manuscripts, musical codices, documents dating from the late Middle Ages and a good share of Treviso’s historical archives. It is hard to call ‘new’ such a place, yet it was easy for Lazzari to get into its spirit and imagine it in unison with their own spirit, above certain present- day trivialities, a chance for one’s personality to express itself. In fact, the space in Via Paris Bordone has immediately become one with the spirit that characterises the fashion Lazzari have presented over the past thirty years. The Romanesque arches looking out on to the yard let into the halls soft natural sunlight; the high ceilings add solemnity to the place and to the rite of enriching and developing one’s own personality. Brought to new life by Lazzari, the Canoniche Nuove aims to become a centre for research; ideas and concepts take their cues from clothing, perfumes, tastes, sounds, furnishing, art and cultural contrasts from all over the world, and are proposed as personal aesthetic enrichment. In the Lazzari space it will be easy to substitute adjectives with emotions. Roomshow! The Canoniche Nuove is laid out in various areas, which have all been planned so as to adapt their aspect to the spirit of the collections or activities each of them is going to hold. Free-standing counters, modular elements, flexible lighting, cloth partitions are only a few of the structural devices planners have fitted in. Besides the wide areas devoted to clothing, there is one for household objects, with collections from all over the world. Something new for Lazzari is the introduction of lines for the body care, natural essences in particular. A world of concrete emotions and sensations that accompany visitors through the halls and yard. The whole space is also used as an art gallery, hence its peculiar flavour of cultural meeting point, where emerging stylists’ and designers’ clothes are displayed not simply to meet customers’ demands, but as signs and relationships involving the whole of their taste.


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Achille Costi, Riflessi a Venezia, bronzo, 1994 Ernesto Marchesini, Esplosione, olio su tela, 40 pezzi 25 x 35 cm Ernesto Marchesini, 1990/2000, olio su tela, 160 x 200 cm Ernesto Marchesini, Immateriali, olio su tela, 36 pezzi 60 x 40 cm Achille Costi, Danze, marmo statuario, 1997 Achille Costi, Francesco d’Assisi, bronzo, 1990

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Ernesto Marchesini È nato a Bassano del Grappa (VI) il 5 maggio 1944. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ha ricoperto la Cattedra di Pittura. Ha esposto alla Quadriennale di Roma nel 1975 e alla Biennale di Venezia nel 1995. Vive ed opera in Via Crosariole a Quinto di Treviso Achille Costi Dopo il Diploma al Liceo Artistico di Venezia e la Laurea in Architettura nel 1962, Achille Costi si è formato presso uno studio professionale e nell’atelier del padre Talete, scultore. Si è in seguito esclusivamente dedicato alla progettazione e alla scultura. Pietra, marmo, legno, gesso e bronzo sono i principali materiali delle opere alle quali lavora ancora intensamente nello studio di Castagnole.

Ernesto Marchesini Was born in Bassano del Grappa (Vicenza) on May 5th 1944. He graduated from Accademia delle Belle Arti, Venice, where he later held the Chair of Painting. He exhibited works at the 1975 ‘Quadriennale’ Rome, and at the 1995 ‘Biennale’ – Venice. Maestro Marchesini lives and works at via Crosariole, Quinto (Treviso). Achille Costi Achille Costi graduated from Liceo Artistico, Venice, and from the Faculty of Architecture, Venice, in 1962. After an apprenticeship with a team of Trevisan architects, and in his father Talete’s sculpture studio, he devoted himself to planning and carving. Stone, marble, wood, plaster and bronze are the main materials he works with in his atelier at Castagnole, near Treviso.

Achille Costi, Danza, marmo statuario, 1997

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LUNGO CIRCUITO ALLA BIENNALE DI VENEZIA –Quest’anno la Biennale di Venezia si presenta come “Platea dell'umanità, Plateau of Humankind, Plateau der Menschheit, Plateau de l'humanité”, come luogo verso il quale si guarda e da dove si è guardati, un luogo nel quale il pubblico è spettatore, protagonista e misura delle cose, un luogo di incontro tra artista, opera e osservatore–. Così Harald Szeeman, direttore della quarantanovesima edizione dell’esposizione lagunare. In redazione abbiamo colto una vicinanza fra tutto ciò e il motivo d’essere di Mug: questa platea in poche parole ci ricordava la dimensione di instant dreaming che tanto ci sta a cuore. Così siamo calati in forze alla Biennale, e vi ci siamo immersi. Dicesi sindrome di Stendhal quel malore che coglie l’osservatore (lo scrittore ne fu prima vittima riconosciuta) davanti ad un’opera d’arte da lui ritenuta meravigliosa oltre il “sopportabile”, o il comprensibile. Un rapporto/catena quindi fra artista, opera e fruitore di questa che ad un certo punto si spezza attraverso l’anello ovviamente più debole, con una specie di corto circuito estetico che interrompe l'esperienza proprio nel momento più alto, sulla

‘Long’ Circuit at the Biennale of Venice –This year the Biennale has been presented as ‘the Plateau of Humankind’, a place to look at and from which to be looked at, where the public is spectator, protagonist and the measure of things, a meeting point for artists, works and viewers–. This is the way Harald Szeeman, the director of the forty-ninth Venetian exhibition, has defined it. The editorial team have grasped how close all of this is to Mug’s raison d’etre: this ‘Plateau’ reminded us of the dimension of ‘instant dreaming’ we love, so a group of us swarmed to the Biennale for immersion. While in the exhibition rooms we did not see anyone faint, preys to Sthendal’s syndrome. We witnessed no aesthetic ‘short-circuit’, when the relationship-chain involving artist, work and viewer breaks at its weakest link, and the very moment the latter’s aesthetic experience is close to its climax, it is denied the dimension where a new communication would be possible.

porta d’accesso ad una dimensione diversa, quella dove i ruoli cambiano e tutto trova una nuova comunicazione. Durante la nostra permanenza nelle sale della Biennale, non abbiamo visto nessuno svenire. Abbiamo però colto tante situazioni dove a quel momento più alto è seguita bellezza palpabile intorno alle persone, aria mossa in modo diverso, movimenti diversi dei corpi intuibili dai vestiti –vestiti che infallibilmente assecondavano tali spostamenti–. Non vogliamo certo dire che una persona va in un negozio di abbigliamento e compra un abito per andare alla Biennale (qualcuno lo farà, ma fan poco numero). Comprerà un abito comodo per determinate occasioni, fra le quali sicuramente visitare una mostra d’arte. Presa coscienza di quest’ottica, verso metà giornata osservavamo globalmente opere e visitatori, rimanendone appagati in modo diverso. Notavamo come l’abito non faccia davvero il monaco: di come spesso gli stereotipi sul come veste la gente di una certa supposta cultura siano come

What we caught were situations in which the viewers’ aesthetic experience went hand in hand with the beauty perceivable around them; different vibrations in the air, matched by the movements in their bodies wrapped in clothes that indulged them. By the middle of the day it came to our mind that ‘the habit doesn’t make the friar’, and stereotypes about what supposedly cultured people wear did not seem to work. Dull-eyed, sore-footed visitors walking among the works on show, a soft drink and chips in their hands, conveyed the idea of a much deeper and more natural personality than it might seem at first sight. Glimpses of humanity against a background on which the artists have lavished the best their personality could afford: which is their aim. What we saw was indeed the Plateau of Humankind, a ‘long’ circuit of mesmerising ideas. The shots we took could catch only a part of it all; what they certainly caught was the full range of colours of the scenes we have described,

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minimo poco precisi. Anche chi passava veloce tra le opere esposte con patatine e bibita in mano, occhio quasi spento e mal di piedi, aveva qualcosa da dire a chi osservasse il luogo tra lui, le opere e l'autore… Qualcosa di diverso e di più di un’annotazione superficiale tipo “che ci verrà a fare alla Biennale, questo qui”, ma brani di personalità profonda, contestualizzata, esposta naturalmente. Sono brani richiamati/risucchiati fuori da un contesto dove artisti hanno dato il meglio di loro stessi a questo livello di profondità –è il loro scopo. In questo senso, quella che abbiamo visto era davvero la Platea dell'umanità. Con buona pace di Stendhal, dunque, al corto circuito preferiamo il lungo, virtuoso circuito di idee allo stato brado (ipnotico?) che nasce e sale in situazioni espositive d’alto livello come la Biennale di Venezia. Le foto scattate nell’occasione catturano qualcosa ma non tutto: ovviamente la cosa va vissuta. Colgono sicuramente, però, la colonna cromatica dei momenti finora descritti, che arriva fino a definirsi come un atto estetico in sè, formato da un clic che solo se stesso vuol rappresentare. I colori fanno parte di diritto delle instant dreaming area intorno ad ognuno, ne sono espressione ancora più profonda rispetto a quella degli abiti vista in precedenza.

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through a click, an aesthetic act in itself. Colours, in fact, are an essential part of the ‘instant dreaming areas’ around everyone, an expression of their personality, an even deeper one than that disclosed in clothing. No room for platitudes here, black is not worn by creative, cultured people only, nor are bright colours a prerogative of those who, after the exhibition are off to the Lido beach, and unnaturally pale complexions prove alive and ready for change as soon as a ‘long’ circuit is set in motion. At the Gardens of the Biennale one willingly buys a ticket to share the emotions from the Plateau of Humankind

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E anche qui i luoghi comuni fanno difetto: il nero non è addosso solo a creativi e ad acculturati, i colori sgargianti non sono esclusivi di chi dopo la visita all’esposizione se ne va alla spiaggia del Lido, certi pallori innaturali si rivelano invece vivi e disponibili al cambiamento quando un lungo circuito si innesca. Cogliere tutto ciò è facile, una volta che, anche al di fuori dei Giardini della Biennale di Venezia, si stacca volentieri il biglietto per far parte della Platea dell’umanità.

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Si ringrazia la Biennale di Venezia in occasione della 49. Esposizione Internazionale d’Arte. Venezia, Giardini di Castello e Arsenale. 10 giugno - 4 novembre 2001 www.labiennale.org


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L’ELEGANZA PUÒ ESSERE DIVERTENTE Così afferma Bruno Bordese. Il suo modo di lavorare lo dimostra: lavora di notte, quando la giornata ha riempito cuore e mente, e si fonde con ieri e la curiosità del domani. Il suo strumento principale è la matita, che delinea una infinità di particolari e dettagli che registrano idee e sfumature con precisione informatica. Già, il computer… Il lavoro di Bordese ha anche un anima high tech, ma è una sorta di handmade tecnologico: dalla matita al CAD i passaggi hanno molto di emozionale, perché il metro per valutare se l’idea funziona è quello di immaginare di indossare quel che si disegna: “Disegno solo ciò che vorrei mettermi ai piedi anch’io, e tutto quello che disegno lo porto perché mi piace”. Probabilmente questa è la chiave per capire questo vulcanico stilista e il suo concetto di eleganza divertente: se il divertimento nasce dal profondo e si riesce a legarlo ad un’espressione allora si dà vita ad un eleganza dinamica, somigliante all’uomo moderno cui Bordese si ispira per le sue creazioni. “Sono convinto” dice “che la moda sarà sempre più confortevole, facile, e prenderà ancora ispirazione dall’abbigliamento tecnico sportivo nelle forme, nei colori, nella praticità”. Ciabatta a lievitazione naturale Spesso l’utilizzo di materiali tecnologici per il mondo fashion viene visto come pura esercitazione formale. Pool però trae molti vantaggi in termini di riduzione dei tempi e dei costi di produzione dall’essere fatta in Wearlight. Ogni Pool, infatti, prende la sua forma definitiva in dimensioni ridotte, che aumentano proporzionalmente, a determinate temperature, fino a quelle della taglia desiderata, come se la ciabatta “lievitasse”. Pool esce dal processo come la vedete in negozio: non ci sono passaggi ulteriori di finissaggio e la colorazione è quella messa in pasta prima dello stampo. Sarà anche croccante?

‘Smartness can be amusing’, says Bruno Bordese. His way of working demonstrates the assumption: Bordese works by night, when the day, having filled his heart and mind, merges with yesterday and the curiosity for tomorrow. His main instrument is the pencil, with which he draws countless features and details, and gives shape to ideas and overtones with computer-like precision. Yes, indeed, the computer… Bordese’s work has also a high-tech soul, but is a sort of technological handcraft: his shift from the pencil to the CAD is very much a matter of emotion, because the yardstick for one to judge if an idea works, consists of imagining wearing what one designs: ‘I design only what I myself would like to wear, and I wear everything I design because I like it’. This is probably the key to understanding this volcanic designer and his concept of amusing smartness: when the enjoyment is heart-felt and you succeed in coupling it with expressiveness, you then give life to a dynamic elegance, the likeness of the modern man, Bordese’s source of inspiration for his creations. ‘I believe’ he says‘ that fashion will be easier and easier, more and more comfortable, and will continue to draw its inspiration from sportswear, its forms, colours and functionality. A self-raising mule The use of new technological materials for the world of fashion is often seen as mere formal exercise, yet the fact that Pool is made of Wearlight offers a number of advantages in terms of production time and costs. Each Pool, in fact, is made in reduced size, which is increased at will at certain temperatures, up to the required size, as if the mules were ‘rising’. Pool is made just as you see it in your shop, without any additional finishing, the colour is the one given to the material before casting. Will it be crusty, too? We wonder!

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Pool Story La ciabatta monoblocco Pool (acronimo di Personal Outer OverLander) è un perfetto esempio di quell’handmade tecnologico che identifica il metodo di lavoro –e i risultati finali– di Bruno Bordese. Il disegno nasce su carta, ispirato alle forme di certi zoccoli per camionisti in auge almeno trent’anni fa e molto interessanti sotto il profilo anatomico. Il disegno diventa un moke-up in legno già a questo livello utilizzabile in grado quindi di dare indicazioni molto precise. Per implementare al massimo queste ultime, la necessaria digitalizzazione a computer viene fatta manualmente, senza passare per lo scanner 3D. Il materiale che si utilizzerà per lo stampo in unica soluzione, che renderà Pool una calzatura priva di

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cuciture, congiunzioni e incollaggi è il Wearlight, un materiale sintetico di nuova generazione derivante dall’industria aerospaziale. Il Wearlight permette a Pool un elevatissimo grado di resistenza al calore, e la mescola è studiata in modo da garantire ottimale aderenza al terreno nei climi aridi come in quelli equatoriali, ricchi di umidità. Potete trovare Pool in quattro misure (S, M, L, LL) che coprono agevolmente ogni numero, ed è consigliabile per la piscina come per l’uso urbano, senza disdegnare il tempo libero anche impegnativo come quello del viaggio. Se in giro poi la vedete illustrata in modo particolare la state vedendo interpretata dall’artista Tristan Galdos del Carpio, che ne ha curato l’immagine dopo aver vinto un concorso internazionale.


ph. Andrea Pancino

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Pool Story Pool (Personal Outer Over-Lander), a single-mould mule, is a good example of the technological handcraft that illustrates Bordese’s working methods and achievements. The design is first made on paper, inspired by the shape of certain clogs for lorry- drivers, in use about thirty years ago, interesting from an anatomical point of view. Next, the design is turned into a ready-to-use wooden model, which will provide precise indications. Maximum implementation of the latter is achieved through manually controlled computer processing without using a 3D scanner. The material to be single moulded is Wearlight, a new synthetic material from the space industry, a material that will turn into a mule, Pool, with no sewn, jointed or glued parts. Wearlight gives Pool a very high degree of resistance to heat, and its texture guarantees an excellent grip both on wet and dry surfaces. Pool comes in three fittings, covering all sizes, and is suitable for the swimming pool as well as for city use, for your spare time and when you travel. If you see Pool advertised somewhere, it will be by Tristan Galdos del Carpio, who was entrusted with the product image after winning an international competition.


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staff international +39 02 58 17 771

ph. jork weismann


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staff international +39 02 58 17 771

ph. jork weismann


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DIPTYQUE: L’ESSENZA DI UN SIMBOLO La fiamma di una candela è simbolo di speranza, di vita, e lo è in modo forte: la sua luce sembra fioca, ma solo perché soffocata da altre fonti di illuminazione. Un simbolismo, questo, noto da sempre e ricorrente in mille maniere nell’immaginario collettivo. Dalla luce di una candela sono stimolate in modo diverso tutte le nostre capacità percettive, ed è forse questa la chiave per capire il fascino delle candele profumate, che chiedono solo un po’ di curiosità, di disponibilità dell’umore e dei sensi per regalare un’esperienza che può andare molto al di là del semplice, quanto sempre benvenuto, relax. Un’esperienza sottile, con sfumature delicate ma ben presenti, che fa riflettere su come il nostro sentire sia bombardato troppo spesso in modo violento e sgraziato anche da esperienze percettive che si definiscono raffinate e appaganti. Una candela profumata in fondo è un’esperienza semplice, molto vera, che ci mette in contatto con parti che magari ascoltiamo poco o le cui voci sono, come la fiamma della candela, a volte soffocate da qualcosa d’altro. Le candele profumate di Diptyque nascono nel 1963 dal genio dei suoi tre fondatori, Desmond Knox-Leet, Christiane Gautrot e Yves Coueslant, che da un paio d’anni producevano tessuti stampati e importavano a Parigi i migliori profumi inglesi. Le candele Diptyque guadagnarono presto fama mondiale per le particolari essenze che utilizzavano, oggi selezionate e lavorate con il rigore di allora:

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Diptyque: the essence of a symbol The light of a candle is a meaningful symbol of hope and life, a symbol that the public imagination has interpreted in countless ways; it may seem weak, but only when it is dimmed by other light sources. Candlelight stimulates all of our perceptions in different ways, hence the magic of scented candles, which demand our curiosity, the attention of our mood and senses, and give us back much more then simple relaxation. A subtle experience, with delicate yet marked overtones, that makes us wish to forget what violent and rough perceptions target our senses. After all, a scented candle is a simple, genuine experience, which puts us in touch with people we sometimes hardly listen to, and whose voices are often muffled by other sounds. Diptyque’s scented candles were created in 1963 by the innovation of the firm’s three founders, Desmond Knox-Leet, Christine Gautrot and Yves Coueslant, who had for some years been making prints and importing the best English scents to Paris. The candles


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olii essenziali come timo, cedro, tiglio e le esclusive fragranze all’aceto, riproposte con successo direttamente dal diciannovesimo secolo. Le candele profumate di Diptyque si presentano oggi in quarantacinque fragranze, e queste essenze sono diventate anche profumi veri e propri, sempre elaborati con viaggi i(n)spiratori in ogni parte del globo. Diptyque si propone quindi come isola appartata e preziosa nel gran mare delle essenze dal quale siamo ormai sommersi. Il negozio Diptyque, al 34 del boulevard St. Germain, è unico in tutti i sensi. Lo spirito non è cambiato da allora, con la sua atmosfera particolare dovuta ai giochi di specchi che riflettono i preziosi legni, le eleganti confezioni delle candele e dei profumi, la sobrietà di ogni particolare che richiama una clientela estremamente selezionata. Diptyque comunque richiama chi, pur non così noto, sa apprezzare fino in fondo la proposta di un oggetto che “nasce” accendendolo e vive instaurando un rapporto olfattivo, visivo, emozionale con chi gli sta vicino.

soon gained world renown for their particular fragrances, today selected and processed as rigorously as ever: thyme, lime-tree and cedar essences, and the exclusive vinegar fragrances, a formula that comes straight from the XIX century. Today Diptyque’s scented candles come in 45 fragrances, available also in spray bottles, and are the result of inspiring journeys all over the world, no doubt a precious island in the vast sea of industrially produced perfumes. Diptyque, Boulevard St Germain, is unique in every sense. Its spirit has remained unchanged since its foundation; the peculiar atmosphere, the mirror-reflected precious woods, the elegant sets of candles and fragrances, the overall simplicity, all combine to attract selected custom. It also attracts less famous women and men who can fully appreciate the charm of an object which is brought to life by simply lighting it, and, while living, engages the senses and emotions of its possessors.

ph. Manuela Piovesan

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Stone Production Architetto Claudio Silvestrin

Marmi Zantedeschi

via Alcide de Gasperi Loc. Spagnole 37015 Domegliara (Verona) tel. 045.6860629/31 fax. 045.6860630 e-mail: marmizantedeschi@tiscalinet.it


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MARTIN MARGIELA BODYMINDLANGUAGE Martin Margiela: bodymindlanguage Each of Margiela’s collections is a surprise for the creativity it expresses and the coherence that pervades it. His progress, year after year, seems to slowly disclose a project that seems predefined in the smallest details: the ever-increasing label numbers, the employment of the same models show after show; the number three characterising every detail of items which have three lengths, weights, leg and neck cuts available, and so on. A conceptual artist, Margiela is never prone to conceptualism, as is proven by his sartorial details, which are excellent even in the items of line 0, or Artisanal, whose reworking of used clothing reaches new heights. Clothing is something to be reinvented day after day, hence every material can be employed, provided it is considered in a different light. So old gloves are sewn into women’s tops, ties are used as brooches, T-shirts put forth shirt sleeves. Margiela’s style has broken clothing conventions in ways that border on the philosophical.

Le collezioni Margiela ora in boutique confermano le misure super large con nuove espressioni del suo unire toni e forme da epoche, culture e professioni diverse. Da notare gli abiti formati pannelli in tessuto con finiture e dettagli presi dall’abbigliamento tradizionale, quelli avvolti in tulle e la consueta, ma sempre nuova, destabilizzazione delle misure “interne” all’abito: lunghezze e tagli particolari instillano dubbi, ad esempio, su gonne che l’occhio ingannato vede allungarsi a vestito intero. Intrigante infine la serie d’abiti dove il volume “abitabile” si riduce per mezzo di una riga di cuciture all’altezza di una spalla, di modo che parte del collo e della linea delle spalle finisca sulla parte posteriore del vestito. Martin Margiela conferma quindi (ma non c’erano dubbi) il suo essere uno stilista concept-no concept, più che un no logo secondo le più recenti accezioni. Le sue idee si esprimono attraverso un sistema di segni che sembrano parlare direttamente al corpo come entità a sè, seppur parte di un essere umano, con un rispetto per entrambi che sa di libertà espressiva contagiosa e illuminante.

Margiela collections now on display come in super large sizes and are characterised by warm grunge-western tones. Absolutely striking are the remakes of used items, with finishing and details taken from traditional clothing, those wrapped in tulle and the customary, ever new destabilisation of the inner measurements: particular lengths and cuts in skirts which tricks the eye into perceiving long dresses. Finally, the intriguing collection of dresses whose inner volume is reduced by a line of sewing at the level of one shoulder, which, so contrived as to make part of the neck and shoulder line, end up on the back of the dress. Martin Margiela is undoubtedly a concept –no concept rather than a ‘no logo’ stylist. His ideas are expressed through a system of signs that seem to directly involve the body per se, albeit a part of the human being, with a respect for both that suggests a contagious and illuminating expressive freedom.

ph. Roland Stoops

Con ogni sua collezione, Martin Margiela sorprende per la creatività espressa come per l’interiore coerenza che la anima. Il suo procedere, anno dopo anno, sembra svelare lentamente un progetto che sembra già definito nei minimi particolari. Molti sono i dettagli che alimentano questa impressione: i numeri che identificano le diverse attività della maison, fermati a 23 con ancora così tante cifre da scoprire; l’utilizzo delle stesse modelle dalla prima sfilata; il numero tre che regola praticamente ogni dettaglio dei capi che, fuor di taglia, hanno tre lunghezze, tre pesi, tre tagli di gamba e di collo disponibili e così via. Artista concettuale Margiela, allora, ma mai fine a se stesso: lo dice soprattutto la cura dei dettagli sartoriali, di eccellente livello anche nei capi della linea 0, o Artisanal, che porta il reworking di capi usati a livelli impensati. Tutto diventa utilizzabile come modulo visto con occhi di un altro luogo, dove il vestire sia qualcosa da reinventare completamente giorno dopo giorno. Nascono così dei top donna fatti di vecchi guanti cuciti, cravatte usate come spilla, t-shirt che vedono spuntarsi maniche di camicia. Lo stile di Margiela ha scisso l’atomo delle regole dell’abbigliamento in modi ai limiti del filosofico: cosa pensare altrimenti di quei capi di un guardaroba da bambola, realizzati a misura d’uomo rispettando il taglio esatto e le sproporzioni?

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ph. Jacques Habbah ph. Roland Stoops

Martin Margiela attended the Royal Academy of Fine Arts at Antwerp from 1977 to 1979. From 1984 to 1987 he worked as Design Assistant for Jean Paul Gaultier. In 1988 in Paris he established the Maison Martin Margiela with Jenny Meirens, and in the same year he presented his first women’s collection. Margiela made himself known and appreciated for his collections and creative ideas. In 1996 his renown spread to Italy where he took part in the Biennale of Florence, held at the Museo Bardini. In 1997 the totally blank labels on the Maison’s clothing started bearing numbers from 0 to 23, and from then on each of them has stood for Margiela’s various collections: 0 for the Collection Artisanal, 6 for women’s basic, 10 for men’s, 22 for footwear, 13 for objects and publications.Obviously, the more projects are carried out, the more numbered labels will follow. In 1999 Hermes’s first ready-to-wear collection designed by Margiela was presented in Paris; in the same year the Maison’s first men’s collection was presented in Milan. In 1999 Margiela created a women’s collection to be sold by mail order through the 3 Suiss catalogue in France and Benelux. The label number was 15. In the same year a book celebrated the Maison’s first twenty collections. In 2000 Margiela, with his recycling of used clothes, his refusal of designer labels and his unconventional creativity, was defined as the true anti-global stylist, so much so that some have defined the Artisanal line as a symbol against industrial production.

ph. Marina Faust

Martin Margiela frequenta dal 1977 al 1979 l’Accademia Reale di Belle Arti di Anversa. Dall’84 all’87 lavora come Design Assistant per Jean Paul Gaultier. Nel 1988 fonda a Parigi, con Jenny Meirens, la Maison Martin Margiela, e nello stesso anno viene presentata la prima collezione donna. Le collezioni fanno conoscere Margiela, che in breve diventa molto conosciuto e apprezzato per le sue idee creative. Nel 1996 espone anche in Italia, partecipando alla Biennale di Firenze, al Museo Bardini. Nel ‘97 l’etichetta completamente bianca che distingueva i capi della maison si ricopre di numeri da zero a 23. D’ora in poi, un circoletto intorno ad un numero indicherà quale parte del lavoro di Margiela l’etichetta indica: 0 per la collezione Artisanal, 6 per il basic donna, 10 per l’uomo, 22 per le calzature, 13 per oggetti e pubblicazioni. Ovviamente, altri numeri saranno evidenziati con il crescere dei progetti realizzati. Nel ‘98, a Parigi, presentazione della prima collezione pret-a-porter di Hèrmes disegnata da Martin Margiela. Nello stesso anno, a Milano, ha luogo la presentazione della prima collezione uomo della maison. Nel 1999 Margiela fonda una collezione donna da vendere per corrispondenza via catalogo 3Suisse, in Francia e nel Benelux. Sulle etichette, il numero evidenziato è il 15. Nello stesso anno un libro celebra le prime venti collezioni della Maison Martin Margiela. Nel 2000 Margiela, con il suo ri-utilizzo di abiti usati, il suo non mettere griffe e la creatività nell’uscire dagli schemi, viene indicato come stilista antiglobal per eccellenza: alcuni si sono spinti a definire la linea Artisanal come un simbolo contro la produzione industriale.

ph. Marina Faust

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L’OMBRA CRISTALLINA DI ENZO MARI Enzo Mari’s crystal shadow I have often wondered whether in a design that is really such, form or function is the more important. The question is perhaps less innocent than it may appear, as it concerns an intriguing aspect of creation, the crystal shadow line where form and function overlap and give life to an object of truly good design. To forget the routine reality we perceive, to get into a world where reality is pure gesture, repetition, a domain alien to the conscious: does all of this mean to find form or to identify the function? And if, as many say, there is tension between form and function, what runs the risk of breaking without our being aware? Can the whole matter be reduced to a conflict between factory and shop to the detriment of creativity? Maybe the key to the problem lies in using our own curiosity, culture and experience without wondering if it is a matter of form or function, and leaving reality at its zero degree and tension at its positive stage. After all,this is what we demand of those who use and appreciate design, who ask but for one solution to each problem. The creed of a designer like Enzo Mari: “the possible form is only one” sounds less lapidary. A statement which is to be read as a rigorous approach to design rather than a narrow-minded one, the will to get deep into life, to really innovate. Mari concentrates on checking and magnifying the use value of the object, and the highest achievement of his work consists in letting the user rediscover gestures, practicality and aesthetic experiences in a realm which is perhaps new to him, a sort of crystal shadow line which Mari’s work allows us to share.

ph. Aldo Ballo

Mi sono spesso chiesta se nel design che voglia davvero definirsi tale pesi di più la forma o la funzione. Credo sia una domanda meno semplice di quello che sembri, perché va a parare furbetta dove il design più mi intriga, cioè in quella zona d’ombra cristallina dove forma e funzione si confondono, dando vita ad un oggetto di vero, buon design. Dimenticare la realtà percepita come quotidiano per entrare con sicurezza dove la realtà è puro gesto, ripetizione, luogo altro dal conscio è trovare la forma o identificare la funzione? E poi: se davvero c’è tensione tra funzione e forma, come molti affermano, cosa va a rischio di spezzarsi senza che noi ce ne accorgiamo? Può ridursi tutto ad una tensione tra fabbrica e negozio, a scapito della creatività? Forse la chiave di tutto è usare curiosità, cultura ed esperienza senza chiedersi se si tratti di forma e funzione, lasciando così la realtà al suo grado zero e la tensione solo al positivo. In fondo, è ciò che si richiede anche a chi il design lo utilizza/apprezza, le persone che a un problema non chiedono che una soluzione. Da una posizione simile, il credo di un designer come Enzo Mari: “la forma possibile è una sola” sembra già meno lapidario. Un aut-aut che va letto non come chiusura ma come estrema rigorosità nell’approccio progettuale, approfondimento del significato dell’esistente, volontà di innovazione vera. Mari concentra il suo impegno nella verifica e nella magnificazione del valore d’uso dell’oggetto, e il risultato più alto è quello di far ri/scoprire all’utilizzatore gesti, praticità ed esperienze estetiche in un luogo per lui forse nuovo, una sorta di zona d’ombra cristallina che il suo lavoro ha reso possibile condividere.

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L’oliera Opasis Opasis è una linea di sei contenitori da tavola per Olio, Pepe, Aceto, Salsa, Insalata, Sale. Qui ci occupiamo del contenitore per l’olio, ma caratteristiche comuni agli oggetti della linea sono quelle di essere delle semisfere realizzate in acciaio 18/10 a specchio, di avere sostegni ed impugnature in sezione semicircolare mentre le varie parti sono unite da saldature elettriche, a garanzia di solidità e perfetta tenuta. L’oliera, dunque, così come l’acetiera, ha alcune peculiarità costruttive che la distinguono: l’usuale gesto del versare l’olio ha richiesto particolari accorgimenti per risolvere il problema della goccia che immancabilmente rimane sul beccuccio una volta che l’oliera è stata utilizzata –problema minimo, in fondo, ma interrogativo di design affrontato spesso superficialmente. Nell’oliera Opasis la goccia che rimane a minacciare la tovaglia viene raccolta nella copertura piana superiore, per poi essere ricondotta al serbatoio principale semplicemente con l’inclinazione dell’intero oggetto. A far capire ulteriormente l’accuratezza del progetto di Mari basterà sottolineare come l’accorgimento resti efficace anche quando il liquido viene versato più volte a brevi intervalli di tempo: la sezione del canale è larga a sufficienza per consentire all’olio di scorrere con la dovuta rapidità. Il beccuccio, per finire, è dotato di un riduttore in materiale plastico atossico per consentire di dosare con estrema precisione il liquido: accorgimento prezioso per chi deve o vuole utilizzare l’olio in modo misurato.

Opasis, an oil cruet Opasis is a line of six table vessels for oil, pepper, vinegar, sauce, salad, and salt. We will here deal with the oil cruet, which shares features with the other objects: they are half spheres made of 18/10 polished steel, with semicircular supports and handles. Their various parts are electrically soldered to prevent leaking and to guarantee compactness. As the oil and the vinegar cruets involve the act of pouring, they require particular devices to solve the problem of unwanted drops spilling out and running along the spout, a slight inconvenience which designers have often handled superficially. In the Opasis oil cruet, however, any drop that threatens to fall onto the tablecloth is collected in the flat lid, from which it flows back into the main container due to its natural inclination. To further understand the accuracy of Mari’s design, it must be emphasised that the device works perfectly even when the liquid is poured again and again over a short interval of time. The pipe section is large enough to let oil flow out, yet the spout is provided with a non-toxic plastic reducer, to allow slow and controlled pouring.


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Lazzari S.a.s. - via Paris Bordone, 14 31100 Treviso, Italia Ph. +39 0422 410771/610169 Fax +39 0422 608636 mug@lazzariweb.it www.lazzariweb.it

PANOPTICA Elettropassaporto “Uno dei vantaggi di vivere alla frontiera tra gli USA e il Messico è l’accesso alla musica di tutto il mondo. Attraverso il confine e trovo negozi di musica indipendente, con le migliori proposte musicali. Fra queste l’elettronica”. Così Roberto Mendoza, leader del progetto Panoptica della Certificate 18, storica label inglese del drum’n’base che ora allarga i suoi orizzonti al panorama elettronico. Panoptica e altri artisti messicani, come il collettivo Mortek, rappresentano la punta di una scena musicale che definire di confine è assolutamente banale anche se mai così vero, facendo base in quella Tijuana sinonimo stesso di confine nell’immaginario storico, letterario, cinematografico di molto mondo occidentale. Confine come crocevia, quindi, e le tracce del CD di Panoptica ricalcano perfettamente questo schema. Il suono è lontano da certa monotonia elettronica, ed è pervaso da influenze mex marcate, dalla musica bandistica agli strumenti tipici del nord del Paese. Pezzi come Kinki Bitsi, Tecnicamanana, El Chivero de Tepatoche tolgono subito ogni preconcetto sulla provenienza esotica, almeno secondo quelle abituali, del sound di Mendoza. Difficile trovare parole per descrivere ciò che si percepisce: il calore messicano si fonde con riff, ritmi e freestyle break di ottimo livello, gli accenni minimi al folklore spesso sono minimi ma ben definiti. Il risultato ha un feeling internazionale con venature latine in sintonia con ciò che ci si può aspettare da Tijuana, Confine per eccellenza, dove lo sperimentare limiti, misure e cuore ora passa anche per Panoptica. Marco Sarto

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Panoptica: an electropassport “One of the advantages of living on the border between the USA and Mexico is that you can enjoy music from all over the world. I cross the border and I find shops of independent music, with the best new music including electronic music.” This is the way Roberto Mendoza puts it, the leader of the Panoptica Plan of Certificate 18, a historic English label of drum’n’base, who have now broadened their horizons to include electronic music. Panoptica and other Mexican artists, like the group Mortek, are the vanguard in the Tijuana-based world of music, which is itself a synonym for the border as a meeting point in the historical, literary and cinematic imagination of the western world. The sound is far from electronic monotony, and is pervaded by marked Mex influences, from band music to the instruments which are typical in the north of the country. Such pieces as Kinki Bitsi, Tecnicamanana, El Chivero de Tepatoche, remove all our doubts about the exotic origin of Mendoza’s sound. It is hard for us to find suitable words to describe what we perceive: Mexican warmth is at one with top level riffs, rhythms and freestyle breaks, and with slight but clear touches of folklore. The final result conveys an international feeling with Latin overtones that match what can be expected from Tijuana, the Border par excellence, where experiment on limits, measures and heart has now found its medium in Panoptica. Marco Sarto

Concept, art direction, ricerca:

Luca Facchini, Nicola Facchini, Carlo Zuccarello, Mauro Mongarli Organizzazione, coordinamento e impaginazione:

Ubis piazza Filodrammatici, 4 31100 Treviso, Italia ubis@ubis.com Consulenza editoriale:

Fabio Brussi Testi:

testimongarli.com Fotografie:

Andrea Pancino, Luca Facchini Fotolito:

Sartori - Treviso Traduzioni:

Mario Crosato, Therese Davies Stampa:

Grafiche Antiga - Cornuda (TV) Thanks to:

Fausto Menici, Franca Zani, Maison Martin Margiela (Axel Keller, Edoardo Dente), Luc Carloven, Italo e Rosy Lazzari, Bruno Bordese, architetti Aldo Parisotto e Massimo Formenton, Matteo Zorzenoni, Marco Zavagno.

Diritti riservati - Riproduzione vietata ©Lazzari 2001


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Viabizzuno srl 8 via fosse Ardeatine I 40061 Minerbio Bologna t +39 0516607911 f +39 0516606197 viabizzuno@viabizzuno.com

Viabizzuno

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maria project claudio la viola


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Photographed by Salim Langatta

premiata@premiata.it

Tel. +39.02.59901164


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