I N SPIRED
BY
MOUNTAINS
M Y WAY
[A MODO MIO]
n. 121 dicembre 2018 - bimestrale in edicola dal 10 dicembre
6 euro
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ATTENZIONE: LEGGERE CON MODERAZIONE, CREA DIPENDENZA
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La nostra giacca isolante top di gamma combina l’idrorepellenza del materiale Per tex ® Quantum con la piuma d’oca di alta qualità. La tecnologia Pocket Weave Mammut utilizza sezioni di piumino d’oca che vengono intrecciate direttamente nel materiale, mantenendo basso il peso ed aumentando la ritenzione del calore, ottimizando inoltre la durata del prodotto.
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Sudare o gelare, non ci sono alternative a questo dilemma? Per le attività stop-and-go in montagna con temperature sotto lo zero è indispensabile il giusto equilibrio tra calore e traspirazione. Per la giacca antivento e resistente all’acqua Sesvenna Alpha Jacket da ski mountaineering e speed hiking, utilizziamo una imbottitura in Polartec® Alpha® con termoregolazione attiva. Questo materiale trattiene il calore del corpo ma consente all’umidità prodotta sotto sforzo di passare liberamente verso l’esterno, con una più efficace circolazione dell’aria che riduce i tempi di asciugatura. Questa potrebbe essere la soluzione che cercavate. SALEWA.COM
AD OGNUNO IL SUO SCI
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Moontain Skiing Se avete visto Ryan Gosling diretto da Damien Chazelle in First Man, la storia di Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla luna, non potete perdervi Moontain Skiing (cercate su Youtube). Nel cortometraggio (6’50’’) Enak Gavaggio, alias Rancho, insieme a Cédric Pugin e Mathieu Navillod, parte per un improbabile viaggio con sci e scarponi (no, non i Moon Boot…) per il satellite terrestre. Naturalmente non ci arriva ma, dopotutto, anche sulla terra ci sono i Monti della Luna. Esilarante. Foto ©Dom Daher
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I vote Le recenti elezioni di mid term negli Stati Uniti sono state un vero e proprio referendum pro o contro Donald Trump. E cosa ha a che fare con lo sci? Qualcosa, visto che la politica ambientale di Real Donald non combatte il climate change. Ecco dunque che diversi personaggi del mondo della montagna hanno lanciato un messaggio semplice: andate a votare. PerchÊ solo con il proprio voto si può indirizzare la politica. Nella foto grande lo snowboarder Jeremy Jones e in quelle piccole gli skier Chris Davenport e Michelle Parker. Foto ŠMing Poon Photography
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Patrick Vallençant in azione durante le riprese del film La Pente sullo Yerupaja (PerÚ, 1979)
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Condividere «Un cliente è per prima cosa una persona che nutre aspettative. Chi si rivolge a un maestro o a una guida lo fa anche, e soprattutto, perché ha bisogno di scambi, di calore umano, di comprensione. Ha bisogno che le sue motivazioni prendano corpo, che le esitazioni svaniscano, l’entusiasmo trovi libero sfogo. In lui sono presenti potenzialità fisiche e morali, pronte a venire a galla, che per esprimersi richiedono un terreno e qualcuno che quel terreno lo prepari. Guida e maestro hanno un duplice ruolo: tecnico e umano. Accompagnare un cliente non vuol dire solo tenerlo in cordata o nella propria traccia, ma iniziarlo alla montagna, mostrargli quanto è appassionante, fargli capire che un bivacco è una cosa straordinaria, che incontrare qualcuno là in cima - incontrarlo moralmente - è un’esperienza eccezionalmente ricca e che in quel momento è possibile condividere. Condividere: la parola chiave». Patrick Vallençant da El Gringo Eskiador Mulatero Editore, 2018 224 pagine, 19 euro
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Old school La spedizione in Pakistan raccontata nel film Zabardast è stata innovativa sotto vari punti di vista: l’approccio è stato di stampo alpinistico, con lunghi trasferimenti a 5.000 metri con pelli e slitte su cui traspostare il materiale, ma una volta sul posto, è subentrata una componente freeride in cui la priorità era sciare linee estetiche a tutta velocità. Jérôme Tanon, che ha curato la produzione media, si è distinto ulteriormente, portando con sè una Pentax 6x7, una fotocamera analogica che utilizza pellicole medio formato: ne sono venute fuori immagini con un look decisamente cinematografico e di altissima qualità, alla faccia della compattezza e della praticità dei moderni strumenti digitali. Prodotto da Picture Organic Clothing, Zabardast verrà proiettato in diverse località al festival Montagna in Scena (www.montagnainscena.com).
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R E YEA H T F ng O bindi REERIDE F
2019
TION A V O INN WARD A
FUTURE AT PLAY S/Lab esiste per creare il futuro. Questo era l’obiettivo di Benoit Sublet, Binding Engineer, quando ci siamo riuniti con l’atleta d’élite Cody Townsend per creare S/Lab Shift, un attacco con tecnologia Edge Amplifier per farvi sentire l’esplosione in ogni curva. Al Design Center Annecy, la formula è semplice: Gioco e progresso. Ma i risultati sono incredibili, i risultati sono S/Lab.
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dicembre 2018 \ gennaio 2019
Origami Bianco Nel cuore delle Alpi Giapponesi la neve avvolge tutto, trasformando il paesaggio come l’arte di piegare la carta di Alberto Casaro
©Filippo Menardi
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Lo sci come scusa Alla ricerca di un lembo di neve perenne in Africa, sul Monte Margherita, al confine tra Uganda e Congo di Mary McIntyre
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Tof Henry 100% Chamoniard
Smart, Steep & Deep
Classe 1984, nato ai piedi del Monte Bianco, è l’anello di congiunzione tra freeride puro e sci estremo come pochi in questa era
Le Pale di San Martino: 250 chilometri quadrati di wilderness nel cuore dei Monti Pallidi dove lo sci di canale vive la sua massima espressione
di Andrea Bormida
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La migliore macchina fotografica? Lo smartphone
In copertina Uno scatto del fotografo canadese Reuben Krabbe. Nick McNutt vola sulla neve polverosa di Whistler tra sole e ombra: la magia dell’inverno che è appena arrivato. A modo suo. Buone sciate!
I progressi delle focali di iPhone & co in pochissimi anni sono stati impressionanti di Andrea Salini
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Quanto incide l'attrezzatura? Quattro domande a tre interpreti della nuova generazione di ripidisti per capire come è cambiata e cambierà l’attrezzatura
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Scarpa F1 + Recco: meglio che senza Il noto modello della casa veneta è il primo a montare la piastrina riflettente di Federico Ravassard
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C’eravamo tanto amati Meno gare, fine del boom delle notturne, fenomeno sempre più localizzato in poche valli: lo stato di salute dello skialp agonistico di Luca Giaccone
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Damiano Lenzi 14 stagioni e non sentirle Classe 1987, come Kilian, il portacolori dell’Esercito e della Nazionale affronterà un altro anno ad altissimo livello di Luca Giaccone
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Sportler in Wonderland
La banda del Wayback
Al ritmo del ghiaccio bagnato
Ristoranti, funivie, piscine e aerei: i 22 negozi del marchio altoatesino sono delle piccole Disneyland dello sport e della montagna
Ecco chi sono le Guide alpine che hanno seguito il processo di sviluppo dei nuovi K2 Wayback e come hanno lavorato
di Claudio Primavesi
a cura della redazione
Le superfici gelate con una patina di acqua sono le più pericolose durante le passeggiate invernali: ecco come nasce la tecnologia Arctic Grip di Vibram di Claudio Primavesi
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La Bridge Technology riduce il peso e garantisce la stabilitĂ torsionale e la trasmissione diretta degli impulsi alle lamine. Il Carbon Power Shell, uno strato in carbonio dalla punta alla coda, viene applicato sulla forma 3D del telaio dello sci dove dimostra la potenza naturale del carbonio per uno sci piĂš leggero e piĂš resistente. Gli inserti Vaport Tip nella parte anteriore riducono peso i vibrazioni, creando una forte, leggera e fluida performance.
> Tof Henry affronta un couloir a modo suo ©Daniel Rönnbäck
EDITO d i C L AU D I O P R I M AV E S I
Succede spesso. Ti arrovelli per trovare una parola, una frase che esprima un concetto. Ci pensi per ore, giorni. Skialper 121 è stato immaginato dalla redazione come il numero dell’inconsueto, di ciò che rompe gli schemi. Ecco perché mettere le pelli ad Hakuba, sull’isola principale del Giappone, piuttosto che a Hokkaido, a Nord e molto cool tra i freerider. Oppure Tof Henry che dice Non ho bisogno di una Guida, sono meglio di una Guida. Sono loro che chiedono a me dov’è la neve migliore (lui… forse, se lo può permettere, ma non seguite il suo esempio!); o ancora un effimero ghiacciaio sul Monte Margherita, in Africa, invece della powder champagne dello Utah; e che dire di San Martino di Castrozza e i suoi couloir piuttosto che l’Alaska o, per rimanere in zona, il Sella e la Marmolada? Come definire tutto questo? Ci ho riflettuto, ci abbiamo riflettuto. A me veniva da dire controcorrente forse perché da ragazzo leggevo avidamente l’omonimo corsivo di Indro Montanelli e quel termine mi è rimasto impresso. Ho sempre preferito le partenze intelligenti, i luoghi meno affollati e alla moda, le persone scomode. Andare controcorrente può essere bello, ma non è una scelta facile. Anche nello sport. Quando sei in bici e non hai nessuno davanti che fende l’aria e sei giusto alvento, quel vento che ti batte sulla fronte, è tanto bello quanto faticoso. Poi mi sono imbattuto in una campagna pubblicitaria della località sciistica americana di Aspen: the Aspen way. Una réclame coraggiosa, insolita per una destinazione lussuosa, che invita all’accoglienza, al rispetto dell’ambiente e delle
M Y WAY [A MODO MIO] For what is man, what has he got? If not himself, then he has naught To say the things he truly feels And not the words of one who kneels The record shows I took the blows And did it my way And did it my way
minoranze. Un urlo per ribadire dei valori a volte scomodi. Da parte di chi potrebbe tranquillamente permettersi di guardare solo agli incassi. Lo stile Aspen. Dopotutto rompere gli schemi, andare controcorrente, non è una moda fine a se stessa. E non è per forza un concetto positivo. È solo e semplicemente il coraggio di non farsi omologare, di scegliere la propria strada. Giusta o sbagliata che sia. The Aspen way diventa my way. A modo mio. Come in quella stupenda canzone scritta, tra gli altri, da Paul Anka e cantata da Frank Sinatra…
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Direttore editoriale DAVIDE MARTA davide.marta@mulatero.it MULATERO EDITORE | Via Giovanni Flecchia, 58 - 10010 - Piverone tel 0125.72615 - mulatero@mulatero.it - www.mulatero.it
Direttore responsabile
Collaboratori
Claudio Primavesi
Luca Albrisi, Leonardo
claudio.primavesi@mulatero.it
Bizzaro, Caio, Danilo Noro,
Il nostro team
Salini, Flavio Saltarelli,
Andrea Bormida, Emilio
Davide Terraneo
Luca Parisse, Andrea
Previtali, Federico Ravassard, Guido Valota
Cartografia Marco Romelli
S k i a l p e r. i t Luca Giaccone
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luca.giaccone@mulatero.it
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Amministrazione
Hanno collaborato
Simona Righetti
a questo numero
simona.righetti@mulatero.it
Tatiana Bertera, Alberto Casaro, Fabio Dalmasso,
Magazzino e logistica
Mary McIntyre, Simone
Federico Foglia Parrucin
Sarasso, Giovanni Spitale,
magazzino@mulatero.it
Denis Trento
Segretaria di redazione
Hanno fotografato
Elena Volpe
Ralf Brunel, Dom Daher,
elena.volpe@mulatero.it
Damiano Levati, Filippo
Progetto grafico e impaginazione
Jérôme Tanon, Mary McIntyre,
NEXT LEVEL STUDIO
Daniel Rönnbäck
Menardi, Ming Poon,
info@nextlevelstudio.it
In copertina
TION SELEuCntain
©Reuben Krabbe
mo
2018
Distribuzione in edicola
Numero Registro Stampa 51 del
MEPE - Milano - tel 02 89 5921
28/06/2018 (già autorizzazione del
Stampa
05/12/1995). La Mulatero Editore srl è
STARPRINT Srl - Bergamo
Tribunale di Torino n. 4855 del iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697.
© copyright Mulatero Editore - tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa rivista potrà essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge
PAT R O L E 1 A P 3 0
SCOTT PAT R O L E 1 AVA L A N C H E B AC K PAC K E L E C T R I C AVA L A N C H E S Y S T E M U LT R A- L I G H T - 2 6 7 0 G , B A C K PA C K + S Y S T E M NESSUNA RESTRIZIONE PER I VIAGGI R I C A R I C A B I L E CO N U S B O B AT T E R I E A A
SCOTT-SPORTS.COM © SCOTT SPORTS SA 2018.19 | Photo: Grant Gunderson
T R O VA U N R I V E D I T O R E : ALBY SPORT DI BOLOGNESI ALBERTO
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GVM SPORT S.A.S.
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ALPEN SPORT DI CANUTI STEFANO
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SOC.LO CHALET DI BLANCHET CRISTIANO
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ALTA QUOTA SPORT SAS DI F. RICHETTA
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LA MONTAGNA S.R.L.
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SPORT HOLZER STEFAN
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BOARDROOM S.N.C.
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LAPPONIA SPORT DI CONFORTOLA PIERIN
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CATTI SPORT S.R.L.
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MARISPORT DI ROMANELLI SUSANNA
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FLOWER SNC DI DE SANTI & C.
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ORIZZONTI VERTICALI RCS
TORINO
UNICOSPORT SRL UNIPERSONALE
SAN VENDEMIANO
GIUGGIA SPORT DI GIUGGIA CRISTIANA
SAVIGLIANO
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XL MOUNTAIN S.N.C. DI NORO DANILO
SETTIMO VITTONE
GIUGLAR SRL
SANT AMBROGIO
QUOTA 1224 SPORT SAS
CORTINA D'AMPEZZO
> CONTRIBUTORS Quelli bravi, prima o poi, passano tutti da Skialper Ming Poon
Daniel Rönnbäck
Fotografo pluripremiato (nel 2018 Photo of the Year Award della rivista Powder) con base a Lake Tahoe, in California, si definisce amante degli sport outdoor, del viaggio e del fare la differenza. Collabora con il gotha della fotografia outdoor, da Teton Gravity Research a Backcountry Magazine e Powder, ma non disdegna qualche campagna pubblicitaria, per esempio con Swatch.
Ci sono pochi fotografi in grado di mettersi le pelli ai piedi e raggiungere pendii estremi. Oltre a essere talentuosi. Uno di questi è Daniel Rönnbäck, svedese. Ha iniziato con JP Auclair, poi si è dilettato con Tanner Hall e ora è l’ombra di Tof Henry. Il suo motto? «Per creare qualcosa devi essere pazzo e quindi sono pazzo!».
Mary McIntyre
Damiano Levati
Foto-giornalista dello Utah, usa gli sci, la bici o le scarpe da corsa come mezzo per costruire relazioni. Da quando ha avuto il suo primo passaporto a tre anni è sempre stata in viaggio, in cerca di persone, luoghi e storie. Dall’Himalaya alle Ande e all’Africa. Laurea in geografia, sostenibilità ambientale e francese, ma l’obiettivo è solo uno: documentare la diversità umana.
Piemontese, fotografo, regista, direttore creativo e cofondatore dell’agenzia StorytellerLabs, una delle start-up più attive nella creazione di contenuti editoriali di qualità. Si definisce ciclista e sciatore appassionato, ma anche papà improvvisato e ingegnere mancato. Sì, ingegnere mancato, ma gli studi gli hanno dato quel rigore che non guasta quando si ha a che fare tutti i giorni con la creatività.
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Alberto Casaro Stabilmente nel test team della nostra Buyer’s Guide, Maestro di sci, Allenatore di sci alpino e freeski, Istruttore nazionale, ha la montagna nel cuore ma non nel sangue, visto che è nato in riva al mare, a Riccione. Sciata potente e new school, vanta anche trascorsi nella squadra nazionale di sci alpino, ma soprattutto è un vero e proprio snow-globetrotter.
> BACKSTAGE Storie dietro alle storie che leggerete su Skialper di dicembre
1. Heini forever Siamo entrati nel nuovo Alpine Fagship Store Sportler di bolzano e ci siamo sentiti subito osservati. Decine di statue in legno a grandezza naturale ci guardavano. Sono tutti alpinisti altoatesini, ma poi, a un certo punto, sono spuntati due sci ed ecco… heini holzer. Sì, proprio lui, il protagonista del bel libro pubblicato da mulatero editore. A volte ritornano.
2. Waiting for Tof Appuntamento alle 17, in centro a Chamonix. Sì, ma per essere sicuri di arrivare in orario, code al tunnel permettendo, è meglio partire un po’ prima. O per andare ad arrampicare vista Mont Blanc? La seconda ipotesi deve essere stata molto convincente per Federico Ravassard e Andrea Bormida. D’altrone per parlare di certe cose bisogna pur conoscerle.
3. Matsuda style & ramen Mangiare in Giappone vuol dire tanti piattini (i protagonisti dell’articolo a pagina 62 di fame ne avevano…). E poi anche Matsuda, una marca di latte local. Quella parola, a furia di ripeterla, per Alberto Casaro & co è diventata sinonimo di uno stile esagerato e arrembante ;)
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> Philipp Reiter al Watzmann
L’estate pazzesca degli scialpinisti Salite e discese in velocità nell’allenamento dei più forti atleti delle nazionali
In quasi tutte le discipline sportive sulla neve si è arrivati a un livello di specializzazione tale da richiedere tutti i nove mesi non invernali per allenarsi, in modo da poter rendere al meglio nei tre rimanenti. Questa tendenza si può già riscontrare tra alcuni dei più forti atleti di scialpinismo, anche se non è ancora una regola generale. La polivalenza di molti degli atleti d’élite dello scialpinismo si misura facilmente con i risultati ottenuti nei vertical e nelle skyrace estive più blasonate. Meno conosciute sono però le performance degli skialper che scelgono l’alta montagna per passare l’estate. La distanza dalle Alpi ha sicuramente un po’ limitato l’attività del capostipite dell’alpinismo di matrice sportiva, Kilian Jornet. Non che in Norvegia si faccia mancare gli stimoli: nemmeno il tempo di mettere via gli sci che Kilian era già lanciato verso la traversata in cresta del Romsdalsfjord, 168 chilometri e 22.000 metri molto tecnici
Testo di DENIS TRENTO
scalati no-stop in 56 ore consecutive. Prima della Marathon du Mont Blanc ha rifinito la preparazione per la gara del weekend facendosi una sgambatina dalla Val Veny alla cima del Monte Bianco, via Integrale di Peuterey. La salita è stata portata a termine nel tempo allucinante di 16 ore e 40 minuti. 20 ore e 30 minuti per chiudere il giro a Chamonix. Una performance di assoluto rilievo, considerando che Kilian era a vista
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| Photo M. Reggiani
Alien 1.0. Higher together.
Location > STELVIO (italy)
A sinistra si apre una silente distesa bianca, a destra uno scorcio che rallenta il respiro. Di fronte c’è la linea di partenza. Si sente l’adrenalina riempire i muscoli e gonfiare il petto, per accompagnarti oltre ogni ostacolo. Abbiamo pensato e progettato l’Alien 1.0 per farti vivere il percorso con più passione, più intensità, assieme. SCARPA, compagni d’avventure. •
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e che le condizioni dopo il Pilier d’Angle erano
allenamento estivo, abbiamo chiuso un bell’anello in
secchissime. Ben lontano dall’essere stata una scelta
zona Mezzalama: da Staffal a Staffal passando per i
di ripiego, la traversata integrale delle Grandes
Lyskamm e la cresta Rey alla Dufour: 4.000 metri di
Murailles, in cordata con il superlocal François
salita e 36 chilometri di sviluppo, nel crono di 9 ore
Cazzanelli e in meno di 11 ore da Cervinia a Cervinia,
e mezza.
è indubbiamente un’altra prestazione di grande rilievo a pochi giorni dal Kima, vinto a tempo di
Robert Antonioli ha poi esportato questo stile in
record. Nella settimana successiva, quella prima
alta Valtellina dove, in coppia con lo Junior della
dell’UTMB, Kilian è tornato nuovamente al Bianco,
nazionale di scialpinismo Stefano Branca Confortola,
questa volta passando per la lunga e complessa
ha sorvolato il classico anello delle 13 cime in meno
integrale del Brouillard: soltanto 7 ore e 30 minuti
di 10 ore, con partenza e arrivo nel centro di Santa
dal parcheggio del Freney alla vetta.
Caterina. Grande attività anche tra gli scialpinisti di lingua
Tornando ai terrestri, l’ottima forma di François
tedesca: Philipp Reiter e Philipp Brugger.
Cazzanelli si è confermata con altre salite di
Il Philipp tedesco, Reiter, ha alternato gare di trail
ampio respiro e grande velocità. Tra tutte spicca
running a salite alpine in velocità.
sicuramente quella delle quattro creste del Cervino
Su tutte spicca la parete Est del Watzmann, nelle
in poco più di 16 ore. Come partner per questa
Alpi Salisburghesi.
salita, François non poteva che scegliere un altro
Molto più centrato sull’alpinismo l’austrico Brugger.
scialpinista, grandissimo specialista del Matterhon:
Oltre ad aver macinato vie di gran spessore, lo
la Guida alpina e atleta della nazionale svizzera
skialper austriaco ha dato sfogo ai cavalli in più di
Andreas Steindl. Lo stesso che a inizio settembre ha
una occasione, l’ultima delle quali è stata la salita
fatto segnare il nuovo record di salita e discesa della
della Nord della Zwölferkogel in un’ora e 35 minuti
cresta dell’Hörnli, sul lato svizzero di Zermatt, in
dal parcheggio. Spiccano anche quella in velocità al
meno di 4 ore.
Großglockner, la cima più alta dell'Austria, in un’ora e 37 minuti dal Lucknernhaus; la via Nollen al Mönch
Jornet, Cazzanelli e Steindl non sono gli unici
in cinque ore, con partenza da Grindelwald, e la
scialpinisti che durante l’estate si sono cimentati
salita della Bumiller al Piz Palü in una decina di ore,
in salite veloci in alta montagna. Robert Antonioli
con partenza e arrivo dal fondovalle.
ed io abbiamo sfruttato le giornate di bel tempo a margine dei raduni a Courmayeur della squadra
Pur non avendo nessuna affinità o quasi con tutto
di scialpinismo del Centro Sportivo Esercito per
ciò che è alpinismo e alta montagna, soprattutto
fare alcune belle salite in velocità, partendo e
a causa degli aspetti legati alle levatacce e al
tornando nel fondovalle. In luglio abbiamo salito
camminare, non possiamo dimenticarci di Matteo
l’Innominata al Bianco in 6 ore e 10 minuti, mentre
Eydallin. Lo Steppen oltre a macinare migliaia di
in totale ci sono volute poco meno di 10 ore per
chilometri in sella alla sua bici da corsa, non trascura
completare il giro completo con partenza e ritorno
di aggiungere centinaia di metri di dislivello verticale
al camping La Sorgente in Val Veny, con discesa
scalando in falesia. Forza e resistenza hanno la
dalla normale italiana. A chiusura della settimana
brutta abitudine di limitarsi a vicenda, viene quindi
di allenamento di agosto, non appena tagliato il
da chiedersi fino a dove potrà arrivare in futuro
traguardo della Mont Blanc Skyrace (Courmayeur-
Eyda se con una stagione di cinque mesi di gare a
Punta Helbronner), abbiamo lasciato al rifugio
livello top alle spalle e pedalando anche oltre cento
Torino scarpette e pantaloncini per continuare la
chilometri al giorno in estate riesce comunque a
nostra personale corsa in scarponi e imbrago lungo
rinviare la catena di tiri fino all’8b. Ci sarebbe molto
la cresta di Rochefort, fino alle Grandes Jorasses,
altro da raccontare, ma ormai è già tempo di tirare
ritornando a valle dal rifugio Boccalatte in 11 ore e
fuori gli sci e tornare a dedicarsi al nostro sport
30 minuti complessivi. Infine, nell’ultimo periodo di
preferito!
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Altri exploit MATHÉO JACQUEMOUD ex scialpinista francese e Guida Alpina, in estate sostituisce in discesa gli sci con il parapendio: nel 2018 anche un’avventura di climb & fly nella catena dello Huayash in Perù. DAVIDE CAPOZZI L’interprete del ripido in snowboard non disdegna la mountain bike: dai suoi diari Strava risultano 200.000 metri verticali e 5.000 chilometri percorsi. 15h20’ per chiudere l’anello intorno al Monte Bianco (162 km, oltre 7.000 m D+); 9h30’ per il giro del Grand Combin (117 km, 4.000 m D+) PAUL BONHOMME Guida alpina e interprete dello sci ripido, ha scalato la Dent Blanche (Svizzera) in 6h25’ partendo e tornando da Les Haudères (35 km/3.200 m D+)
DISCOVER THE BACKLAND BACKLAND 107 + SHIFT MNC 13 AR HE YEE T F O SKI FREERID
2019
AR HE YE g OF T E in d bin REERID F
2019
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Aspen invita ad agire contro il climate change
Inserendo l’indirizzo e il codice postale di residenza, infatti, si ottiene il nome del senatore e la valutazione di quanto ha fatto per contrastare il climate change. La campagna pubblicitaria in doppia pagina pubblicata sui principali magazine statunitensi (per esempio Powder e Outside) prevede anche cartoline preaffrancate da spedire ad alcuni membri del Congresso; inoltre, tramite il sito, si può ricevere
La località sciistica ha lanciato la campagna
un testo da leggere al telefono ai senatori cattivi e buoni,
Give a flake per fare pressione sugli eletti
oppure una lettera da stampare e spedire. «Stiamo cercando
nel Congresso americano
di dire: Guarda che dobbiamo agire, stiamo facendo tutti molto come singoli per rendere più verde la nostra vita, ma non basta. Dobbiamo ridurre le emissioni e cambiare marcia, che vuol
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A volte occuparsi di una questione non è sufficiente. Devi fare
dire leggi che rendano più cara l’energia che inquina per dare
qualcosa. Con questo claim che invita chiaramente all’azione
una spinta al mercato delle tecnologie pulite che ci sono
la società che gestisce gli impianti di risalita di Aspen, in
già» ha detto Christian Kaplan, presidente e CEO di Aspen
Colorado, è passata allo step due della sua campagna di
Skiing Company lo scorso settembre a un’assemblea locale.
sensibilizzazione sull’ambiente e sul climate change. Dopo
La campagna di Aspen si inserisce nel flow di quelle di altri
la campagna the Aspen way del 2017/18, nella quale la Aspen
brand americani che hanno preso una posizione su argomenti
Skiing Co. lanciava un segnale forte contro l’amministrazione
politici come Patagonia e Nike, che ha recentemente messo
Trump, portando l’attenzione non solo sui valori
al centro del proprio advertising il quarterback Colin
dell’ambiente, ma anche sui diritti dei gay e degli immigrati,
Kaepernick, fuori squadra perché si è inchinato durante l’inno
il 2018/19 è al ritmo di Give a flake. Il gioco è semplice: si può
nazionale in protesta contro l’ingiustizia razziale. «Qualcuno
inviare ai membri del Congresso un messaggio premiandoli
ha detto: Portate la politica nello sci, e non mi piace, non verrò
con dei fiocchi per quanto hanno fatto come eletti per
da voi e spenderò i miei dollari altrove vedendo la campagna
salvaguardare l’ambiente o al contrario invitandoli ad agire.
dell’anno scorso, ma onestamente sono stati pochi e invece
Lo si può fare tramite la landing page del sito dedicato, sul
tanti clienti affezionati e millennial che non era stati ad Aspen
terreno più congeniale del presidente statunitense: Twitter.
prima hanno reagito dicendo: È bello che abbiate dei valori».
MARKER.NET
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THE NEW MARKER ALPINIST NOT ONLY ALLOWS TO TURN THE PAGE, IT’S BUILD TO WRITE HISTORY.
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Va ’ S e n t i e r o 6.880 chilometri per riscoprire il Belpaese Tre giovani hanno creato un’associazione per valorizzare il Sentiero Italia
Galeotto è stato il GR 20. Sì, dalla Corsica è nata l’idea di valorizzare il Sentiero Italia, il trekking più lungo del mondo, che percorre Belpaese e isole in 6.880 chilometri. «Nel 2016, stavo percorrendo il GR 20 a fine stagione e mi sono perso nella nebbia: sentendo un asino ragliare, ho pensato che seguendo quel suono avrei trovato un pastore e il sentiero giusto, invece ho incontrato dei ragazzi norvegesi che si erano persi come me e, tra una chiacchiera e l’altra, mi hanno chiesto informazioni sul Sentiero Italia, del
> Slow & young Giacomo Riccobono, Yuri Basilicò e Sara Furlanetto, promotori di Va' Sentiero
quale non sapevo nulla». A parlare è Yuri Basilicò (31), una delle anime - insieme a Sara Furlanetto (25) e Giacomo Riccobono (27) - dell’associazione Va' Sentiero, fondata nel maggio 2017 con un obiettivo ben preciso: fare conoscere in tutto il mondo quello che la CNN nel 2015 ha definito
tutte le informazioni tecniche e produrranno materiale
il più grande tra i grandi cammini. Sì perché, dopo essere
foto e video, che condivideranno in tempo reale: il sito
stato inaugurato nel 1995 con l’iniziativa Camminaitalia,
internet e i canali social saranno il cuore dell’iniziativa. A
il Sentiero Italia, come ha ben detto Riccardo Carnovalini
gennaio verrà lanciata una campagna di crowdfunding per
(tra gli ideatori del S.I.), dorme un sonno profondo e lunghi
raccogliere i fondi necessari allo sviluppo del progetto.
tratti, specie nel Centro-Sud, sono coperti dalla vegetazione.
Intanto si può aiutare Va’ Sentiero diventando soci,
Per fortuna a gennaio il Club Alpino Italiano ha annunciato
attraverso il sito internet dell’Associazione. Va' Sentiero
il restauro integrale del Sentiero, che verrà riaperto nel 2019
guarda ben oltre la barriera del 2020 e l’obiettivo di lungo
grazie al lavoro di centinaia di volontari. Intanto Yuri e i
termine è quello di avviare un circolo virtuoso che stimoli
suoi compagni d’avventura non ci hanno pensato su troppo:
il turismo nelle terre alte italiane, sponsorizzando le realtà
nella prossima primavera partiranno per percorrere a piedi
locali che operano all’insegna della sostenibilità ambientale
tutto il SI, da Nord (Muggia, Friuli) a Sud (Santa Teresa
e del chilometro zero. Skialper sarà al fianco di Va' Sentiero
di Gallura, Sardegna) con una pausa nei mesi invernali, di
per tenervi aggiornati sull’iniziativa.
depressurizzazione. Durante il cammino sarà possibile unirsi a
S.I., we can!
loro nelle varie tratte e ci saranno anche diversi testimonial sensibili al mondo dello slow way. Inoltre raccoglieranno
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vasentiero.org
Foto: Roberto Moiola
> login 1. Eleonora Delnevo
2. Kilian & Emelie
Loli back to the top era il motto della raccolta fondi dedicata all’alpinista paraclimber Eleonora Delnevo che, in seguito a un incidente su cascata di ghiaccio nel 2015, aveva perso l’uso delle gambe. Nel mese di ottobre ha ripetuto la via Zodiac su El Capitan, nello Yosemite, in California. A sostenerla in questa impresa c’erano gli amici Antonio Pozzi, Diego Pezzoli e Mauro Gibellini. Wonder woman.
Lo hanno annunciato su Instagram lasciando la comunità dei runner a bocca aperta. I campionissimi Emelie Forsberg e Kilian Jornet metteranno al mondo un bambino. Per Kilian - lo ha dichiarato a una nota emittente radiofonica durante un’intervista - la paternità sarà la sfida più emozionante. Attenzione, i geni promettono molto bene, il nascituro potrebbe essere… uno dei supereroi Marvel.
©Facebook Kilian Jornet
©Diego Pezzoli
FAC T S & F I G U R E S Famosi o meno, hanno fatto cose che non passano inosservate A cura di TATIANA BERTERA
©Dino Bonelli
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©Km Vertical de Fully
4. Michele Graglia
3. Henri Aymonod
Dall’inferno al paradiso e ancora all’inferno. Dopo avere abbandonato passerelle e ritrovi vip, l’ex fotomodello ligure trapiantato negli States, non contento di avere vinto la terribile Badwater Marathon (nella Death Valley) a luglio, a settembre ha traversato il deserto di Atacama, in Perù. Otto giorni, 12 ore e 49 minuti per vincere il luogo più arido del mondo. Desert man.
«Vincere il Km verticale di Fully è qualcosa di emozionante... Farlo due anni dopo il mio amico ed esempio in questa gara Nadir Maguet ancora di più». Vittoria con dedica per il giovane valdostano che nel più famoso vertical del mondo ha lasciato tutti a bocca aperta. Ok, niente record, ma questa è la vittoria che vale una carriera. Vertical man.
BRIVIDI La nuova collana di gialli ambientati in montagna di Mulatero Editore Abercrombie Lewker, attore shakespeariano di Londra con un passato nei servizi segreti, oltre ad essere un bravo alpinista è anche un geniale detective dilettante. Nei romanzi gialli di Glyn Carr, scritti negli anni ’50 e per la prima volta tradotti in italiano, è in prima fila nei misteri che di volta in volta si presentano. «Ricco di colpi di scena, brillante e coinvolgente nella sua trama, stupisce per l’accuratezza delle descrizioni paesaggistiche e alpinistiche che Frank Showell Styles, autore del libro con lo pseudonimo di Glyn Carr e ottimo scalatore inglese, usa per arricchire un libro che potrebbe essere inserito tra i capolavori della letteratura di montagna» Hervé Barmasse
MORTE DIETRO LA CRESTA traduzione di Eva Allione Glyn Carr, 336 pagine, 19 euro Mulatero Editore, 2018
ASSASSINIO SUL CERVINO traduzione di Paola Mazzarelli Glyn Carr, 312 pagine, 19 euro Mulatero Editore, 2018
> login \ brevi
N E WS
film
Treeline celebra la bellezza dello sci nei boschi Le drammatiche notizie arrivate nelle scorse settimane dalla California lo confermano: le foreste sono uno dei patrimoni più importanti e più fragili dell’umanità. Gli alberi offrono riparo, legna per il fuoco, ci fanno compagnia, sono ponti viventi verso lo sconfinato passato del nostro pianeta. Patagonia ha reso omaggio a questi incredibili santuari naturali con il film Treeline: slalom senza fine tra i cipressi sacri del Giappone, gli imponenti cedri rossi della Columbia Britannica e gli antichi pini dai coni setolosi del Nevada, in compagnia di un gruppo di sciatori, snowboarder, scienziati e guaritori. Prossima proiezione al Patagonia Store di Cortina d’Ampezzo il 15 dicembre.
strenne
Caio raddoppia Il vignettista che i lettori di Skialper ben conoscono, come strenna natalizia propone, oltre al tradizionale calendario, un imperdibile poster homo scivolantis (disponibile in tre formati, prezzo 14/15 euro). Indovinate l’argomento? Se siete orientati sul calendario su scialpinismo, arrampicata & co, esiste quello da tavolo (15,3 x 11,3 cm, 11 euro) e quello da parete (29,7 x 42 cm, 15 euro). www.caiocomix.com ©iancorless.com
contest
Lange premia le donne sciatrici Un kit completo sci, scarponi e attacchi e un premio in denaro. È quello che promette il contest Lange What’s Your Goal, riservato alle donne sciatrici. Basta registrarsi attraverso il link whatsyourgoal.lange-boots.com, presentare il proprio progetto sciistico per la prossima stagione invernale e caricare sui propri profili Instagram e Facebook foto o video degli allenamenti e i piccoli traguardi raggiunti. Be one with your goal!
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«Onestamente non ho più la stessa motivazione. Non c’è la stessa eccitazione alla partenza di una gara. Cinque o dieci anni fa vincere tutte queste gare mitiche era un sogno. L’emozione era davvero forte. Oggi sono meno attento quando passo la linea del traguardo. Mi dico che ho vinto, il lavoro è fatto. Non è più la stessa sensazione». Kilian Jornet al sito del quotidiano francese L’Équipe
film
DPS a Engelberg Uno sciatore, sotto la pioggia battente, entra nella secolare abbazia di Engelberg, in Svizzera e si siede sui banchi con tanto di sci e scarponi. Chiude gli occhi e sogna discese nella powder. Finita la contemplazione, basta uscire per trovare le strade ricoperte di neve e fiocchi dal cielo. È il primo dei tre cortometraggi firmati DPS Cinematic che fanno parte della campagna The Shadow. Starring: Piers Solomon, Santiago Guzman, Olof Larsson and…
trail
Anche le Dolomiti alle Golden Series Ci sarà anche la Dolomyths Skyrace nel calendario delle Golden Trail Series 2019, il circuito di gare top voluto da Salomon e inaugurato nel 2018. L’azienda transalpina sta cercando un title sponsor per attirare anche atleti che non corrono con le sue scarpe. Novità anche sul fronte della visibilità, con una televisione europea che probabilmente si occuperà delle riprese video. www.goldentrailseries.com
gare
Dynafit Vinschgau Cup dal primo dicembre Nell’ottica di promuovere il concetto Speedfit, scialpinismo a bordo pista, Dynafit riconferma questo inverno la partnership con la Vinschgau Cup. Il calendario inizia con un appuntamento solo di corsa il primo dicembre a Tarsch. Sulla neve si parte il 27 dicembre a Watles, il 18 gennaio appuntamento a Schöneben, mentre a febbraio prima sfida ad Haider Alm (8), e gran finale il 23 a Langtaufers.
> login \ brevi viaggi
British Columbia, tra skialp ed eliski
Metà vacanza sulle pelli, l’altra metà a cercare la powder con l’elicottero. Una vera e propria Ski Fusion (questo il nome del pacchetto del viaggio) tra scialpinismo ed eliski. Nella wilderness della British Columbia canadese. È quello che propone Darwin Viaggi, che rappresenta in Italia CMH-Heli-Skiing. Nelle sterminate distese di montagne del Canada l’elicottero viene utilizzato come mezzo di avvicinamento per poi salire con sci e pelli (due o tre salite al giorno fino a 800 metri di dislivello), mentre nelle giornate dedicate all’eliski sono inclusi da 11.500 a 17.500 metri di dislivello in funzione della
lunghezza del soggiorno. Si alloggia nei lodge di Galena o Cariboos, chalet con sauna, bagno turco e caldi caminetti raggiungibili solo in elicottero. Dal 27 marzo al 2 aprile una settimana (9 giorni/7 notti) a Galena con tre giorni di heliski e due di scialpinismo, noleggio dell’attrezzatura incluso (sci, scarponi, artva, airbag…), costa 3.560 euro, mentre dal 12 al 21 aprile si replica a Cariboos Lodge (11 giorni/9 notti) con quattro giorni di heliski e tre di scialpinismo. In questo caso la quota è di 4.550 euro. Sono esclusi i voli dall’Italia, che costano circa 900 euro. www.topskiing.it
©CMH/The Public Works
film
test
Ghiaccio per l’integrazione
Movement in prova
Si chiamano Kebba, James, Edward, Seedia, Lamin e Joseph. Sono sei richiedenti asilo che dall’Africa sono arrivati in una valle piemontese e sono in attesa di conoscere il loro futuro. Nel posto climaticamente più lontano dalla loro terra hanno fondato la prima squadra di curling di rifugiati: l’Africa First Curling Team. E sono stati ammessi al campionato nazionale pur non essendo cittadini europei. Ora inizia la vera sfida: riusciranno a trovare una collocazione nella loro nuova vita proprio grazie al ghiaccio, quell'elemento che prima avevano visto solo in un bicchiere di Coca Cola? È questa la bella storia raccontata dal documentario Ghiaccio, diretto da Tomaso Clavarino e prodotto da Acting Out con il supporto di Film Commission Piemonte e Diaconia Valdese. Il film segue le vicende
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del gruppo, tra integrazione e burocrazia, mantenendo l’attenzione sul curling come mezzo di riscatto sociale e umano. Una prospettiva originale per raccontare una storia di integrazione. Però perché sia una storia a lieto fine è necessario il tuo aiuto: per concludere il progetto, infatti, è stata lanciata una campagna di crowdfunding (fino al 14 dicembre) su Indiegogo al link bit.ly/GhiaGo
Se vuoi provare gli sci di Aurelien Ducroz… non ti resta che partecipare a una delle tappe del Demo Tour organizzato da Movement Skis in collaborazione con Mystic Freeride. Dove? Il 16 dicembre a Pila (AO), il 17 febbraio al Passo del Tonale (BS) e il 10 marzo a Canazei (TN). Sarà possibile provare i nuovi sci Movement accompagnati dal team rider Giulio Guadaz Guadalupi. www.mysticfreeride.com
> login \ libri
Opus di Pietro Trabucchi (Corbaccio, 172 pagine, 16 €)
L’uomo è l’unico animale in grado di motivarsi senza ricompense esterne, per il solo fine di migliorare e di puntare alla perfezione. La motivazione è interna all’essere umano e si chiama passione. Ecco spiegato perché è possibile lavorare un’intera vita per una scoperta scientifica. O correre per giorni e notti su e giù per le montagne. Pietro Trabucchi lo sa bene e, dopo avere scritto Resisto dunque sono, indaga nel più profondo dell’animo umano alla ricerca della molla che fa scattare l’ambizione di raggiungere uno scopo.
Non spendete tutto a Natale, comprate per voi questo regalo magnifico, lo sfoglierete fino a consumarlo. K2. Storia della montagna impossibile è una novità vera sugli scaffali delle librerie. Ed è grande non solo per bellezza: misura 38 cm per quasi mezzo metro e le sue pagine, piegate a fisarmonica, si dispiegano fino a sette metri. Racconta con splendide illustrazioni le vicende della seconda montagna del mondo, dalle prime esplorazioni dei topografi inglesi alla vittoriosa spedizione italiana.
K2. Storia della montagna impossibile di Alessandro Boscarino (Rizzoli Lizard, 48 pagine, 45 €)
U LT I M A T E C H A R G E D R I D E
Grande Guerra Bianca di Stefano Torrione e Marco Gramola (Stefano Torrione Photography, 246 pagine, 35 €)
Che cosa sia stata la guerra bianca, combattuta sul fronte trentino nel ‘15-‘18, non è forse stato ben spiegato nemmeno nel centenario del primo conflitto mondiale che va a concludersi. È più chiaro, però, sulle bellissime fotografie di Stefano Torrione in questo grosso volume da lui stesso pubblicato. È il risultato di un lungo lavoro di ricerca e documentazione dal passo dello Stelvio giù fino al Pasubio e poi ancora al Cauriol, alla Marmolada, al Cristallo. Con i testi di Diego Leoni e Paolo Cognetti.
TION SELECrail t
2018
> login \ gare ©Stefano Jeantet/Tor des Géants
Il nuovo Tor Per il decennale una gara di 450 chilometri, una corta e tante altre iniziative nel calendario dei VDA Trailers Testo di SIMONE SARASSO
Un autentico decennale col botto: ecco le novità di VDA Trailers
Se invece avete sempre desiderato di calcare le Alte Vie con un
per festeggiare con tutti i crismi il doppio lustro del TOR. Due gare
pettorale marchiato VDA, ma proprio non ve la sentite di affrontare
invernali, cinque estive e una autunnale, nientemeno.
una ultra (nemmeno una veloce: il 10 settembre al via il TorDret, che
Sono al telefono con Franco Faggiani, direttore della comunicazione
quest’anno cambia nome per uniformarsi al resto del mucchio. Resta
della società genitrice dell’ultratrail più amato e ambito, e non sto più
invariata la distanza: 130 chilometri, partenza da Gressoney Saint
nella pelle. Mentre mi racconta le novità, inizio a fantasticare, e l’idea
Jean e arrivo a Courma, as usual), potete iscrivervi al Tor Malatrà.
di indossare finalmente un pettorale, quest’anno, sembra più vicina che
30 chilometri, da Saint-Rhémy-en-Bosses, attraverso il mitico colle
mai. Già, perché nel 2019 l’offerta agonistica di VDA sarà veramente per
simbolo del Tor. La gara - che parte sabato 14 ed è da sbrogliare in
tutti (anche per chi, come il sottoscritto, non ha gambe da ultra).
giornata - non è a numero chiuso, né soggetta a sorteggio. Tenete
La prima settimana di settembre, i sentieri della valle d’Aosta saranno
d’occhio il sito www.100x100trail.com e iscrivetevi il prima possibile,
decisamente affollati. Il TOR partirà nella sua forma consueta ma,
per evitare l’ingorgo.
al massacrante ultratrail da 330 chilometri, sarà affiancato uno straordinario giro da 450 chilometri, solo per veri esperti.
A completare il gargantuesco pacchetto agonistico, in rigoroso
«Abbiamo allungato il tragitto del TOR - dice Franco - per far godere ai
ordine cronologico, la nuovissima Arrancaslimba da 6 chilometri
trailer più navigati un’esperienza totalizzante». Il nuovissimo Tor des
il 23 febbraio (300 metri di dislivello da affrontare in modalità
Glaciers sarà riservato a coloro che hanno tagliato almeno una volta il
scialpinismo, ramponcini o ciaspole. Sempre col sorriso sulle labbra,
traguardo del Tor des Géants nelle passate edizioni e sarà una gara più
dal momento che si tratta di una gara goliardica. Ma l’avete già intuito
tecnica e, per certi versi, in semiautonomia. «Le basi vita rimangono
dall’impertinente prefisso Arranca, non è vero?), il Winter Eco Trail
le cinque del TOR, ma il percorso prevede 120 chilometri in più. Ci
da 13 chilometri il 9 marzo, il classico GTC il 13 e il 14 luglio, nelle tre
saranno ampi tratti in cui l’uomo - o la donna - e la montagna saranno
formule da 30, 55 e 105 chilometri. E, infine, l’amatissima Arrancabirra
una cosa sola». Si parte venerdì 6 settembre, due giorni prima dei
da 18k il 5 ottobre.
concorrenti del TOR.
Scaldate le suole e affilate i bastoncini: sarà un 2019 da urlo.
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Skimo Race
Skimo Tour
Skimo Nanotech
> login \ libri
Le Alpi Svizzere viste dalle latrine Marco Volken ha curato un curioso libro che ritrae i bagni dei rifugi della Confederazione
> WC
I bagni dei rifugi svizzeri sono decisamente... panoramici
quantomeno curioso: le latrine dei rifugi svizzeri. «Le prime fotografie sono di fatto nate en passant. Con gli anni ne è risultata una collezione, poi un piccolo studio etnografico, che a volte mi ha spinto a esplorare in modo sistematico
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«Le fotografie di questo libro non hanno odore, ma il
determinati angoli di territorio – scrive Volken nell’epilogo
loro soggetto non può non farci ricordare i miasmi che
- Delle costruzioni ritratte, alcune ormai non esistono più,
talvolta ci sono venuti incontro come saluto, arrivando a
o sono pressoché dismesse. E tutte saprebbero raccontare
rifugi posti in luoghi di pur sconcertante bellezza». Inizia
storie interessanti». Storie che le fotografie di queste pagine
così la prefazione di Erminio Ferrari al curioso libro Stille
descrivono meglio di tante parole, ricordando però, come
Orte - Ritirate, un viaggio inedito attraverso la Svizzera (in
scrive Ferrari nella prefazione, che «il nostro è pur un mondo
quattro lingue, italiano incluso, AS Verlag & Buchkonzept,
del quale un terzo degli abitanti non dispone di servizi igienici
disponibile anche su Amazon). Una raccolta di fotografie
e contrae infezioni anche mortali per l’utilizzo di acque
realizzate da Marco Volken con come oggetto un argomento
contaminate dalle feci».
Fuori dal ciclo dei rifiuti e dentro la vostra attrezzatura da neve
P E R C H É B U T T A R L E ?
Il settantasette percento dei nostri capi da neve adesso viene realizzato con materiali riciclati, riutilizzando circa 150 tonnellate di scarti di fabbrica e bottiglie di plastica per la realizzazione delle attrezzature. Oggi è presente una quantità maggiore di materiale riciclato nella nostra linea invernale tecnica rispetto al passato e anche una maggiore attenzione nell’utilizzare materiali riciclati in ogni capo da neve da noi prodotto. Ogni Powder Bowl Jacket è realizzata in tessuto esterno GORE-TEX riciclato al 100% e riutilizza 35 bottiglie di plastica tenendole così lontane dalla discarica.
> login \ iniziative
Fischer Transalp parte da Livigno La tradizionale scialpinistica attraverso le Alpi quest’anno unirà Italia, Svizzera e Austria Ormai è una tradizione: non c’è primavera senza Transalp. E il termine è diventato un neologismo per indicare la grande traversata alpina con gli sci. Che sia da Nord a Sud o da Sud a Nord, l’evento ideato qualche stagione fa da Fischer, il costruttore di sci austriaco, per rinforzare il legame del marchio con il
Fischer Transalp 2019 2-9 aprile
mondo delle pelli, suscita sempre curiosità. E così ecco svelato l’itinerario che i fortunati skialper che
Day 1: Livigno - Val Müstair
verranno selezionati percorreranno insieme alle Guide alpine (e al ricco set di attrezzatura messo a
Day 2: Tschierv - Graun /
disposizione dalla casa di Ried im Innkreis e dagli altri partner). Ad aprile si andrà da Livigno a Innsbruck. Due punti simbolici quelli del via e dell’arrivo, più che in altre edizioni della Transalp: dal Piccolo Tibet alla città olimpica. Per avere la chance di fare parte dei sette fortunati transalper bisogna candidarsi tramite
Val Venosta Day 3: Graun - Vernagthütte Day 4: Vernagthütte Wildspitze - Mandarfen
la pagina web www.fischersports.com/transalp2019 allegando una lettera motivazionale, un curriculum
Day 5: Mandarfen - Längenfeld
con foto e il racconto di una escursione (in inglese). Una giuria di esperti valuterà il materiale inviato e
Day 6: Längenfeld - Franz-
selezionerà i candidati migliori. Uno di loro sarà italiano e noi di Skialper, come nelle passate edizioni, seguiremo da vicino la Transalp e potresti essere proprio tu a scrivere l’articolo della traversata sulla nostra rivista. You are wanted!
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Senn-Hütte - Innsbruck
The boot t h at w i ll alw a y s w ant mo r e t h an y o u c an g i v e.
RANGER FREE Performance al top per freeride, scialpinismo e pista battuta, tutto in un unico scarpone. Un concentrato di tecnologia in soli 1540 grammi di peso: Grilamid rinforzato in carbonio, Grip Walk e l’innovativo meccanismo Ski/Walk assicurano massima versatilità .
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«È nato tutto per caso, davvero, niente di pianificato». Raha Moharrak racconta con estrema naturalezza l’impresa datata 18 maggio 2013, quando raggiunse la vetta dell’Everest segnando un momento storico non solo per lei, ma per tutte le donne arabe: a 25 anni, infatti, Raha è stata la più giovane donna araba e la prima saudita a toccare i mitici 8.848 metri. «Mentre affrontavo la salita non avevo assolutamente idea di questi primati - confida Raha - solo quando ho portato a termine la scalata me l’hanno detto. E penso sia stata una fortuna non avere tutta quella pressione addosso, anche se ovviamente l’ho avvertita dopo». Nata a Gedda, Raha Moharrak, laureata in Visual Communication presso l’American University di Sharjah e art director pubblicitario, ammette di essere un po’ la pecora nera della famiglia con la voglia di affrontare sempre nuove sfide. Una voglia che si materializza nel 2011 con un progetto assolutamente fuori dal comune per una ragazza dell’Arabia Saudita: salire il Kilimangiaro. Un azzardo, una vera e propria sfida, non solo fisica, ma anche culturale: grande appassionata di sport e avvicinatasi all’alpinismo, per Raha uno dei più grandi ostacoli non è stato infatti l’allenamento necessario per affrontare la montagna africana, bensì lo sforzo per far accettare alla propria famiglia e alla società nella quale vive la sua idea di vita. «Il mio spirito ribelle però ha avuto la meglio, così sono salita sul Kilimangiaro... e il resto è storia». Una storia fatta di una passione per le cime che cresceva di pari passo con la sua esperienza: «Non avrei
R a h a Mo h a r r a k oltre gli ostacoli della società
mai immaginato che l’alpinismo potesse trasformarsi in una parte così importante della mia vita - ammette Raha ma ormai è parte di me, di ciò che sono». E il curriculum alpinistico lo conferma: dopo essere salita sul Kilimangiaro (5.895 metri) nel 2011, l’alpinista saudita raggiunge, l’anno successivo, i 5.642 metri del Monte Elbrus (Catena del Caucaso) prima di affrontare l’anno più impegnativo, il 2013, quando inanella ben quattro delle Seven Summits, cioè l’Aconcagua, sulle Ande Argentine, 6.962 metri;
Saudita, prima donna araba sull’Everest, ha trovato nelle pareti delle montagne la propria emancipazione. Ed è diventata fonte d’ispirazione per tante sue coetanee Testo di FABIO DALMASSO
l’Everest, 8.848 metri; il Massiccio Vinson (4.892 metri) in Antartide e il Monte Kosciuszko, in Australia, 2.228 metri. Dopo una pausa di quattro anni, Raha scala anche il Monte Denali - McKinley (6.190 metri), in Alaska, la vetta che le permette di entrare nella storia come la donna saudita che ha conquistato tutte le Seven Summits. La prossima sfida? «Una nuova scalata, ma questa volta dentro di me, con il libro che sto scrivendo».
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SUUNTO 9 •
Durata della batteria fino a 120 ore in modalità Ultra
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Batteria con tecnologia e promemoria intelligenti
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X a v i e r, l ’ u o m o dalle mani blu Thévénard ha vinto per la terza volta l’UTMB indossando i guanti fin dal via per combattere il morbo di Raynaud
Non c’è dubbio che la vittoria di Xavier Thévenard all’UTMB 2018, battendo una concorrenza molto agguerrita, abbia colto di sorpresa molti, pur avendola vinta già due volte precedentemente. Ora che sono passati tre mesi dal successo, a mente fredda, è tempo di scoprire qualche numero e curiosità dietro alla prestazione e all’allenamento dell’atleta del Giura. «Mi alleno circa 1.000 ore all’anno: percorro 5.000 chilometri su sterrato, ma non faccio solo quello perché mi piace anche pedalare fino a 5.000 chilometri l’anno e poi d’inverno raggiungo anche i 2.000 chilometri con gli sci da fondo». Poliedrico e multisportivo Xavier, che aggiunge al menù anche un po’ di kayak, di telemark e di arrampicata in parete. «Ma una cosa non ©Marc Daviet
faccio quasi mai: correre su strada o in pista, per me la corsa è solo montagna! Non faccio allenamenti con i pesi ma preferisco lo sci, la canoa o l’arrampicata per lo
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sviluppo muscolare: in questo modo non ho la sensazione di
ho la sindrome di Raynaud e per questo motivo sono partito
allenarmi veramente». Tanto allenamento nel modo giusto,
da Chamonix già con i guanti indosso». Altro elemento che
ma anche la corretta strategia e una preparazione mentale di
gioca un ruolo fondamentale sono gli occhiali che devono
primo livello. «Una gara ultra è un obiettivo a lungo termine
essere in grado di proteggere gli occhi da sole, freddo,
ed è necessario che il desiderio sia profondamente ancorato
vento, pioggia, rami o qualsiasi altra cosa che potrebbe
nelle proprie motivazioni: se è così, non ci sono problemi
compromettere la visibilità. La scelta di Xavier? «Il mio
a rimanere concentrati per 20, 30 o 40 ore - sottolinea
modello preferito è Aero di Julbo, non ne utilizzo altri: il
Xavier - ed è necessario che questo desiderio sia forte già
criterio determinante per la scelta degli occhiali è che devo
alla nascita del progetto». Nel lungo termine di una ultra
dimenticarmi di averli indosso». Qual è in conclusione il
ci sono tanti imprevisti, come le condizioni meteo avverse.
consiglio di Thévénard? Semplice: «Proteggersi prima di
«Bisogna solo stare attenti e scegliere la giusta attrezzatura,
aver freddo, mangiare prima di sentire la fame e bere prima
in questa edizione della UTMB, per esempio, ho utilizzato
di aver sete e soprattutto essere umile e realista, correre
tre tipi di giacche in Gore-Tex in funzione del meteo che era
ascoltando il proprio corpo, senza mettersi in competizione
stato annunciato in quota, io poi soffro il freddo alle mani,
con nessuno». Se lo dice lui…
www.nov-ita.com
BUFF ÂŽ is a registered trademark property of Original Buff, S.A. (Spain)
> login \ people
©Alexis Courthoud/Tor des Géants
Alessandra B o i f a va o n f i r e Convocazione ai Mondiali e terzo posto al TotDret. Nonostante un’operazione a inizio stagione
È questa l’ora di arrivare? Al che gli ho mostrato la cicatrice. Ma non era bella come adesso, eh. Sembravo Kenshiro…». Sandra è tutta qui, da ascoltare. La fatica ce l’ha tatuata nel DNA. Ha fatto nuoto pinnato per un sacco di anni, si è cimentata con l’Ironman. Ma, da qualche tempo, si è consacrata al trail. Il 2018 è stato decisamente il suo anno: quarta donna al traguardo dell’Ultrabericus in marzo, si è guadagnata un’inattesa convocazione in nazionale per i mondiali in Spagna. A
Testo di SIMONE SARASSO
Penyagolosa, nella gara secca del World Trail Championship 2018, è arrivata trentesima tra le donne e centoventiseiesima
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La prima volta che l’ho vista, sorrideva. Alessandra Boifava
assoluta. La gara della vita mi dice sincera. L’intervista la
sorride quasi sempre. Soprattutto quando c’è da stringere i
registro alla vigilia della tratta più lunga che abbia mai
denti. Era il 22 luglio 2017, e Sandra era pronta per correre
immaginato di correre (almeno fin qui): il Mercantour,
una 80k con un bel po’ di dislivello: la Trans d’Havet, la gara
ovvero l’ultra della Costa Azzurra: 145 km di pura poesia.
di casa. Quella volta è arrivata terza, per mano a sua sorella
È misurata nei gesti e nelle parole, comme d’habitude. Ma
Federica. Anche oggi sorride: è un pomeriggio qualunque,
il fuoco siderale del trail le consuma lo spirito. Sfiamma
siamo in un bar qualunque di Zugliano. È di nuovo estate,
dalle iridi incapaci di chetarsi. Due giorni dopo la nostra
e ho appena attraversato la pianura padana per venire a
chiacchierata, ha chiuso la gara al primo posto di categoria
intervistarla: volevo parlare d’un mondiale capitato per caso,
(nona assoluta). E tanti saluti. In settembre, ci siam rivisti a
e corso alla grande. E invece siam partiti da lontano, da
Courmayeur, dove era appena arrivata col marito per correre
un’altra gara di casa: l’Ultrabericus Winter.
il TotDret. Io non ho fatto neppure in tempo ad abituarmi al
Sandra mi mostra una cicatrice che le ricama l’addome. E
dislivello mentre calcavo le Alte Vie da turista col taccuino,
sorride, come sempre. «M’hanno operato al fegato, quaranta
che ha tagliato il traguardo in terza posizione. Senza paura.
giorni prima della corsa. Teoricamente dovevo star ferma
Sandra è fuoco e fiamme, non c’è nulla di scontato in lei.
quarantacinque giorni, ma dai! L’Ultrabericus Winter l’ho
Sandra è sorrisi di diamante, tendini affilati e resilienza.
camminato. Quando sono arrivata in fondo - neanche
Sandra è unica. E selvaggia. Non a caso, di cognome fa
ultima, nota bene - Pollini (l’organizzatore, ndr) mi fa:
Boifava.
> login \ people
Nadine Wa l l n e r, now or n e ve r La freerider austriaca è passata con disinvoltura dal World Tour all’arrampicata e ancora alle discese in powder ed è protagonista di un divertente film Testo di TATIANA BERTERA
Abbiamo ancora tutti negli occhi le sue evoluzioni offpiste nel film Now or never, appena uscito e recentemente proiettato a Milano Montagna Festival, dove Nadine si racconta in maniera scherzosa e autoironica. Ma chi è Nadine Wallner? Digitando il suo nome sul web e facendo una breve carrellata tra le immagini che compariranno, non la troverete mai con un’espressione seria o corrucciata. ©C.Pally/Learmond
Gli occhi spalancati come se a tenerli aperti ci fossero gli stecchini e una bocca alla Durbans, la Wallner comparirà sempre con un sorriso da far invidia a quelli del dentifricio.
capofitto in una nuova sfida. E tutto per la polvere, per quel white
Scherzi a parte la ventinovenne austriaca potrebbe essere
splendor che da 29 anni a questa parte non smette di stupirla.
definita una nativa freeride. Vive ancora nella famosa regione
Curiosando tra le pagine web la ritroviamo anche nelle vesti
dell’Arlberg, nell’Austria occidentale, dove da bambina è
di climber, elegantemente in equilibrio sui minuscoli appigli di
stata iniziata dal papà al backcountry. Sostenuta tra gli altri
Euphorie (8b+) insieme all’amica Barbara Zangerl, oppure in
dal brand Mammut (e per l’attrezzatura da Marker, Dalbello
tenuta alpinistica sugli strapiombi di un multipitch di grado 7c+.
e Völkl), che ha visto fin da subito in questa giovane atleta
L’arrampicata per lei è una disciplina nuova, che ha iniziato a
una promessa, si è aggiudicata per due anni consecutivi, nel
praticare nel 2015 dopo un incidente in Alaska (ovviamente sugli
2013 e 2014, il titolo del Freeride World Tour. E se un tempo
sci) che l’ha costretta a uno stop forzato ma che, come è evidente,
a emozionarla erano le pareti del Tour e le esibizioni davanti
ha saputo sfruttare al meglio, raggiungendo altissimi livelli in
alla giuria, oggi nelle sue vene scorre la powder senza se e
poco tempo. Falesia o alpinismo? Nadine non esita a rispondere:
senza ma. Una vita spinta al limite, la sua, a partire dalle
«Preferisco le vie classiche in montagna, quelle in cui devi
assenze dai banchi di scuola per calzare gli sci e buttarsi a
proteggerti per progredire». What else?
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> login \ fotografia
La migliore macchina fotografica? Lo smartphone I progressi delle focali di iPhone & co in pochissimi anni sono stati rivoluzionari mentre quelli delle tradizionali macchine sono fermi. Ecco perché per le foto di tutti i giorni il telefonino non ha rivali
Testo di ANDREA SALINI/OUTDOOR STUDIO
Megapixel, gamma dinamica, rapporto segnale/rumore, grafici MTF… In Outdoor Studio siamo fotografi e filmmaker professionisti, sai com’è, abbiamo tutti i nostri termini specifici e le nostre nerdate, forse siamo anche un po’ snob. Noi poi, con le nerdate, ci andiamo proprio a nozze! Abbiamo perfino scritto un libro teorico sulla sensitometria (non scendiamo nei dettagli, ma è spaventosamente nerd). Perché alla fine, si sa, se non hai l’ultimissimo gadget tecnologico non sei nessuno e la bravura di un fotografo si misura in chili di zaino. Poi però, un bel giorno ci è venuto un dubbio! Vuoi vedere che la fotografia non riguarda proprio i megapixel? Forse è più importante quello che racconti, forse aveva ragione Chase Jarvis quando nel 2009 diceva che the best camera is the one that’s with you? Allora abbiamo provato a semplificare il tutto e trovare il modo più rapido e accessibile possibile per scattare foto. Pensandoci, una fotocamera l’abbiamo tutti sempre con noi: il nostro telefono. Ok, abbiamo tirato fuori lo smartphone di tasca e lo abbiamo usato per qualcosa di più di selfie e storie su Instagram, ma per fare fotografia per davvero, assegnandogli la dignità che avevamo riservato esclusivamente alle nostre super reflex full frame.
Foto scattata con iPhone 6
- formato RAW (necessita di post produzione, ma scatena tutto il potenziale del sensore);
Dobbiamo tutti riconoscere gli enormi passi avanti che gli
- 4K;
smartphone hanno fatto dal punto di vista fotografico, fateci
- slowmotion;
caso: tutte le aziende pubblicizzano i propri prodotti proprio
- un software da far impallidire Photoshop;
attraverso la fotocamera. Tutti vogliono fare belle foto col
- la possibilità di condividere tutte le nostre immagini in
proprio telefono e ognuno ha in mano mezzi sempre più
pochissimi istanti!
sofisticati per farlo. Sul serio, avete presente il portrait mode? Quello che Quindi abbiamo:
ti permette di sfocare lo sfondo? Fa venire i brividi! Se
- lenti luminose;
solo esistesse un algoritmo così avanzato in un software
- 2 o 3 lenti con diverse lunghezze focali;
professionale… Il risultato è che il software che gestisce
- autofocus a rilevamento di fase (traduzione: velocissimo);
l’immagine del nostro iPhone è talmente più avanzato di quello
- controlli professionali;
in una fotocamera che l’immagine che puoi ottenere, senza
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Foto scattata con iPhone XS
Obiettivi a confronto iPhone Xs Qualità immagini out of camera
Fotocamera
7/10
7/10
Comodità e rapidità
10/10
6/10
Possibilità di post-produzione
7/10
8/10
Velocità di condivisione
10/10
3/10
Facilità di controllo manuale
4/10
7/10
La strada è decisamente quella, ben asfaltata e a scorrimento veloce. La domanda più comune a riguardo è se abbia senso acquistare una fotocamera compatta da qualche centinaia di euro per evitare di fare foto col telefono. Per questo abbiamo preparato un grafico che confronta uno smartphone con una fotocamera compatta avanzata (diciamo 400 euro di spesa). nessun ritocco, è quasi sempre migliore! Più nitida, più vivida, con
Traete le vostre conclusioni… Sicuramente la comodità e la
un contrasto più naturale e bilanciato. Fino a pochi anni fa i limiti
rapidità di un cellulare che abbiamo sempre in tasca a noi sembra
degli smartphone erano tantissimi ora, con tutte queste innovazioni,
il futuro.
www.outdoorstudio.it
sono sempre meno! Abbiamo davvero dovuto impegnarci per mettere in difficoltà il nostro nuovo iPhone XS. Basta vedere la foto sopra: è scattata con uno smartphone? Esatto! Ma allora, state dicendo che l’iPhone sostituirà le fotocamere
Andrea e Francesco, che curano questa rubrica, sono i fondatori
professionali da 6.000 euro?
di Outdoor Studio | We shoot mountain sports, l’agenzia
Forse no, le fotocamere di alto livello non hanno i giorni contati, ma forse tutto il resto sì!
• 148 g • 100% mohair • extreme resistance • easy to reactivate
specializzata in fotografia e video di sport di montagna. Tutto il loro team è cresciuto in montagna, perché solo chi conosce la montagna la può raccontare.
> login \ contest
Siete tutti scrittori (e artisti)
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Grande successo per il contest organizzato da Skialper con Mizuno. Quattro vincitori, ma tutti i contribuiti inviati erano interessanti Un animale, rosa. Erano questi i due elementi sui quali costruire la storia o il disegno. Per raccontare come è nato il filato Mizuno Breath Thermo di Mizuno, l’unico tessuto sintetico in grado di produrre calore dal vapore acqueo del corpo, come avviene per le pecore che infatti, quando si bagnano, fumano. In palio quattro completi underwear Mizuno.
I VINCITORI Disegno Mauro Sacco (a sinistra)
Max Guadenzi
Un gruppo di esploratori, durante una lontana missione scientifica in un non ben precisato luogo sulle remote montagne asiatiche, vide trasformarsi una nuvola in un mitologico animale. Vano fu il tentativo di catturarlo. Rimasero fra le loro mani alcuni ciuffi del prezioso vello, che venne prontamente tessuto in un'armatura di caldo e prezioso filato in grado di trasformare la fatica in confortevole calore».
«Ho utilizzato il logo Mizuno trasformandolo in una pecora che emana calore (colore giallo) su sfondo azzurro (colore freddo)»
Nel disegno di Max Gaudenzi un plauso all’originalità che ha conservato il rosa ed espresso con altri colori temperature ed emozioni. Originale la trasformazione del Runbird in una pecora. L’opera di Mauro Sacco spicca soprattutto per la bellezza del disegno. Non a caso Mauro fa il disegnatore per lavoro… Ma è una colpa?
Racconto Fabio Poletti
Chiara Pasut
Proteggeva i Samurai, ora le nostre gelide avventure: è la seta del Sakura no Kaiko, così lo chiamano nel paese del sol levante, il leggendario baco che durante l’Hanami si nutre esclusivamente dei fiori rosa di ciliegio per costruirsi poi un caldo baco rosa e resistere al rigido inverno
Dormo sotto le stelle la notte, lenta vago di giorno. L'ipotermia è mia compagna in gelide oscurità, dall'alba scattante corro curioso. Al crepuscolo pecora e roadrunner si incontrarono, si guardarono, si addormentarono, sognarono il Rirì. Essere mitologico, instancabile lungo le cime corridore, dal vello rosa protetto, spinto dall'energia delle stelle.
Quando una pecora e un roadrunner* si incontrarono, scoprirono che insieme potevano andare oltre i propri limiti. Unendo le loro caratteristiche uniche diventarono un Runbird, essere dall'approccio universale agli sport senza limiti di spazio ed energia** Si dice che il RiRì*** sia stato avvistato nel 1906 sui monti che circondano la cittadina giapponese di Ogaki. * roadrunner: Geococcyx californianus dalle caratteristiche termiche uniche o può essere inteso anche come il corridore di strada * *THE HISTORY OF MIZUNO’S FAMED RUNBIRD https://live-bloginsider.mizunousa.com *** da Rihachi e Rizo Mizuno
Abbiamo premiato la fantasia e la liaison con il Giappone, Paese dove ha sede Mizuno, e con il suo simbolo, il fiore di ciliegio, nel racconto di Fabio Poletti (che lo ha corredato anche con una foto dalle tonalità rosa). Nella rima di Chiara Pasut abbiamo apprezzato il lavoro di ricerca sulla storia di Mizuno e del suo logo.
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> login \ contest
Gli altri Impossibile pubblicare tutto il materiale che ci è arrivato, per questo abbiamo deciso di fare una piccola selezione e premiare con la pubblicazione quattro lavori.
Cecilia Bertone
Adriano Ferrio
«Un inverno di tanto tempo fa, in un Paese lontano, nevicò copiosamente ed era freddissimo. Una bambina cominciò a piangere. Un drago rosa con pelo foltissimo la vide e le si avvicinò. Una lacrima gli cadde sul pelo che emanò tanto calore da sciogliere la neve e riportare la felicità».
Rosita Sortino
«Quando gli occhi del cane incrociarono quelli dell'uomo una trama delicata cominciò a tessersi, fatta di soffici fili rosa che intrecciandosi generavano calore e protezione. Un filato intriso di fiducia incondizionata, in grado di proteggere il corpo dalle avversità, mentre si è impegnati a scalare le vette della vita».
Anna Panzeri «Ho disegnato una matrioska, perché mi sembrava bella l’idea di una cosa contenuta nell’altra: giornata di sci al freddo e all’insegna della fatica,il corpo produce vapore acqueo, ma tu hai indossato la pecora che c’è in te Breath Thermo, allora il vapore diventa calore e sarà una bellissima giornata di sci».
Questa è la storia di un giovane uccellino Che sogna di arrivare in vetta al Cervino. Qualche volta ci ha provato Ma il freddo e la neve lo hanno sempre fermato Giacche e piumini sono ingombranti, rendono le sue ali troppo pesanti. Quest’anno un nuovo tessuto è arrivato E caldo e asciutto la vetta ha conquistato.
Le regole Chi ha aderito al contest artistico/letterario ha ricevuto a casa un piccolo tester con un campione del filato, che è rosa all’origine. Doveva servire come fonte d’ispirazione per una storia di fantasia di massimo 50 parole o un disegno per raccontare e illustrare come è nato Breath Thermo. I premi? I completi che trovate qui sotto! Mizuno W's Virtual Body G2 Hight Neck
Mizuno W's Virtual Body G2 Long Tight
Mizuno M's Virtual Body G2 High Neck
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Mizuno M's Virtual Body G2 Long Tight
SPECTRE 2.0 & SPARKLE 2.0 Leggerezza in salita, perfetta manovrabilità e controllo della potenza in discesa. Scafo in Grilamid con Vertebra Technology™ carbon reinforced, 60° di escursione e suola Vibram® bi-mescola a doppia densità. Attenzione: può creare dipendenza da nevi polverose.
> My way
Testo di ALBERTO CASARO - foto di FILIPPO MENARDI
skialp ad Hakuba, lontano da Hokkaido
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O R I G A M I
B I A N C O
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> My way skialp ad Hakuba, lontano da Hokkaido
Nel cuore delle Alpi Giapponesi, sull’isola principale, ci sono linee da sogno e boschi sommersi dalla neve che avvolge tutto, trasformando il paesaggio come l’arte di piegare la carta
Si chiama Tengu, monte Tengu. Dall’ultimo degli impianti abbiamo messo le pelli e ci siamo diretti verso questa vetta, prima su facili pendii e poi su un’affilata cresta fino alla cima. Neanche il tempo di guardare il panorama che una tempesta ci ha avvolti, rendendo nulla la visibilità.
conoscere la strada, fino all’ovvia conclusione sull’orlo di una grande diga che segnava il fondovalle. Quello che è seguito è stato a dir poco epico: l’arrivo in un cimitero deserto all’ombra di un maestoso tempio. Dopotutto l’essenza di Hakuba è tutta qui: linee di livello in ambien-
«C’è qualcuno? Amèlie? Dei vicini che conoscevo appena erano venuti a parlarmi, mi imploravano di partire. Grazie di avere amato il nostro Paese, ma noi giapponesi dobbiamo occuparci delle nostre sciagure da soli. Avevo perso» Pauline Étienne nel film Tokyo Fiancée quando è costretta a lasciare il Giappone a causa del terremoto del 2011
Dopo un leggero saliscendi siamo arrivati all’imbocco di un canale nel white-out più completo: avremo fatto sì e no 500 metri di dislivello e ci siamo preparati alla discesa. Non nascondo i timori e le perplessità che avevo riguardo alla pendenza, la quantità di neve e l’assenza di visibilità, ma dopo poche curve tutto è scomparso. Pura poesia, neve profonda e terreno divertente, neanche la minima traccia di sluff: una lunga discesa in ambiente selvaggio fino al fondovalle. In un luogo totalmente isolato, nel gretto di un fiume, abbiamo ricalzato le pelli e risalito il pendio di fronte, per altri 600 metri, fino a una cresta che ci ha spalancato le porte su una discesa memorabile, in un labirinto boscoso molto vario. Vera meraviglia, orientamento confuso, ma la sensazione di
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te selvaggio, con conclusioni totalmente al di fuori di ogni mappa o resort, in paesi e frazioni non raggiungibili dagli sciatori ordinari. INSIDE HAKUBA Come sciatori e viaggiatori ci sono delle mete che rimangono punti fermi nella cosiddetta lista dei desideri; ne hai sentito parlare, le hai viste nei video, sono leggendarie per le condizioni della neve. Il Giappone entra di diritto in questa lista. L’Hokkaido è un must, le condizioni della neve sono incredibili e quando ci siamo andati nel 2011 ne abbiamo avuto la conferma. Però, dopo anni di esperienze di viaggi e linee, era venuto il momento di tornare in Giappone a fare qualcosa di meglio che grat-
> Terra bianca Lo sconfinato panorama di spines tutte da solcare con gli sci (in apertura) e Michele Valle Da Rin ad Happo (sotto)
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> My way skialp ad Hakuba, lontano da Hokkaido
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> Powder La crew alla ricerca del secret spot e Alberto Casaro sulle south faces di Happo
tare la superficie di un immenso potenziale, che va ben oltre il macinare giri in seggiovia in Hokkaido. L’idea di Hakuba è stata in incubazione per anni ed è una storia fatta di connessioni tra skier sviluppate in molteplici viaggi low cost e d.i.y. A prescindere dalla meta, la nostra filosofia è sempre stata la stessa: cercare condizioni e linee diverse da quelle a cui siamo stati abituati: lo sci deve essere di qualità e per raggiungere l’obiettivo sono giustificati la fatica e il tempo impiegato per raggiungere zone remote. In ogni viaggio abbiamo sempre cercato di muoverci al di fuori della soglia di comfort, studiando quello che poteva offrire la zona e direi con buoni risultati, portandoci a casa delle belle sciate in spot per nulla ovvi. Ad Hakuba avevamo un’arma in più, un amico local che, oltre a essere un grande conoscitore ed esploratore della zona, lavora anche in un lodge della zona. Combo perfetta! Ho conosciuto Matthias a Las Lenas anni fa. Snowboarder infaticabile, vero skibum, parte di una cricca composta da personaggi di spessore. Quando è venuto a Cortina a trovarmi, fu lui a parlarmi di Hakuba; era da un paio di anni che ci andava da dicembre a marzo e, dopo avermi mostrato un video di Jeremy Jones, mi disse che con le pelli era possibile fare le stesse linee, lunghe e ripide, con spines e pillow e soprattutto con pochissima gente. Long story short: dopo una stagione lavorativa soddisfacente, ma penosa per via di neve e progetti personali, Filippo e io ad agosto dell’anno scorso abbiamo prenotato il volo e trovato altri due compagni di viaggio per la nostra crew: Giulia Monego e Michele Valle Da Rin. Obiettivo? Spendere poco, sciare linee pesanti, fare foto e filmare; il tutto in una decina di giorni, appena finite le vacanze di Natale, per sfruttare la bassa stagione e minimizzare i mancati guadagni. Questa è una storia da working class heroes, niente lussi e pochi sprechi, salvo per gli alcoolici, ahimè… Organizzare il viaggio è stato facile, la parte difficile riuscire a far combaciare ogni dettaglio in cosi poco tempo. Il primo è la neve. Sebbene l’innevamento in Giappone
sia sempre molto buono, Hakuba non è l’Hokkaido, non nevica così spesso e le condizioni sono assai variabili. Il sole scalda di più e a volte piove molto, creando grossi distacchi e crepe nella base nevosa fino al terreno. Passare da condizioni da favola a condizioni da incubo può essere questione di una mattinata. Quindi non ci restava che lavorare a testa bassa durante le vacanze e sperare che tutto filasse liscio. Qualche giorno prima di partire comunque un messaggio di Matthias avrebbe cambiato il nostro umore: è bellissimo, un sacco di neve, molto stabile. Perfetto! PACKING, PARTENZA E VIA Finalmente è arrivato il giorno prima della partenza. Non potendoci portare dietro la casa, abbiamo optato per un
jahpow identifica un tipo di polvere rastafariana e situazione ambientale riscontrabile poche volte nelle Alpi che nulla ha da invidiare alla ben più conosciuta, blasonata e penetrata polvere dai fiocchi a mandorla, ovvero la Japan Powder. da Il Nuovo Polverelli Minore, Mulatero Editore, 2018
set up da freeride touring pesante, sapendo che avremmo pellato parecchio e sperando di avere bisogno di un gran galleggiamento. Giunti a destinazione abbiamo potuto constatare che la scelta dei local era la stessa: sci da 120 millimetri con attacchino e scarpe da freeride con walk. Purtroppo però il viaggio non è partito nel migliore dei modi con me e Filippo bloccati un giorno a Helsinki e Michele e Giulia senza sacche degli sci; ancora una volta però un messaggio di Matthias avrebbe calmato le acque: ragazzi, ha piovuto fino a 2.000 oggi, adesso sta iniziando a nevicare, domani non vi perdete nulla. Vabbè, chi vivrà vedrà.
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> My way skialp ad Hakuba, lontano da Hokkaido
Hakuba. Istruzioni per l’uso Prenotando in anticipo si possono trovare voli dall’Europa intorno ai 600 euro, andata e ritorno: l’importante è controllare i chili per ogni collo poi, sia che si arrivi o parta da Haneda o Narita, con treni e bus si raggiunge facilmente il centro di Hakuba. Skipass: se si vuole pellare è possibile risparmiare molto prendendo una tessera a punti, utilizzabile in più giornate. Costa poco meno di 50 euro. Cibo: al di fuori dei centri abitati più commerciali è possibile mangiare pollo fritto e riso con circa 8/10 euro, pare che il sushi sia overrated… Onsen: le terme giapponesi sono molte, più o meno commerciali, il costo non è elevato e comunque si può beneficiare dei buoni che i lodge dispongono. Assolutamente da provare. Pernottamento: la soluzione migliore sono sicuramente i lodge, presenti in quantità, dove oltre alla convivialità e alla condivisione degli spazi comuni con altri ospiti, si può avere una stanza confortevole e una cucina a disposizione. È consigliabile fare la spesa nei supermercati e risparmiare cucinandosi i propri pasti. Noi abbiamo speso 30 euro a notte, a testa, per una camera con quattro letti e il bagno all’esterno. Airbag: nessun problema per i modelli a ventola, ma per gli airbag a gas se, come da contratto con le linee aeree, si svuota la bombola, poi è difficile ricaricarla in loco. Mediamente la vita non costa molto, a patto di muoversi al di fuori dei centri turistici affollati di australiani.
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Arrivare in un posto sconosciuto di sera, dopo un viaggio di 56 ore, è sempre strano; non ti senti a tuo agio, le gambe sono dure e le aspettative altissime, hai bisogno di entrare nel mood giusto. Un lodge confortevole e 50 centimetri di neve in paese hanno reso tutto molto più semplice. LINES, SKINS & SPINES Da subito è stato evidente che grazie al gancio con Matthias e i local avremmo goduto di una linea preferenziale rispetto al novanta per cento degli sciatori e rider del lodge e di Hakuba in generale. Il posto è gremito di turisti che però si riversano tutti nelle solite zone, dove si arriva con i mezzi pubblici e dove è più comodo individuare divertenti fuoripista serviti dagli impianti. Per iniziare, vista la grossa nevicata del giorno prima, abbiamo approfittato anche noi degli impianti, facendo qualche metro a piedi per riuscire a mettere in cantiere più giri possibile. Siamo andati in un piccolo resort dove non c’era troppa affluenza, per certi aspetti molto simile a Niseko, sull’isola di Hokkaido, con la differenza che il boschetto era di 900 metri di dislivello, con un rientro non facilissimo da individuare. Morale? Siamo partiti con una cannonata di giornata e come riscaldamento non potevamo chiedere di meglio: qualità della neve elevatissima, leggera e profonda, discese lunghe e ripide con un terreno movimentato e divertente. La vicinanza del mare non garantisce un meteo molto stabile però le previsioni sembravano buone e quindi nei giorni seguenti avremmo avuto l’opportunità di muoverci verso il cuore delle Alpi Giapponesi con le pelli, per disegnare linee su terreni più aperti, esposti e lontani dai resort. Il giorno dopo, appena le nebbie si sono diradate, lo spettacolo delle Alpi Giapponesi si è presentato in tutto il suo splendore: in lontananza montagne alte quasi 3.000 metri, gonfie di neve e ricche di canali, sciabili (e neanche così spesso) solamente in primavera a causa dell’isolamento e del lungo avvicinamento. Montagne con linee da sogno per ogni sciatore e alpinista che si rispetti. Più vicino a noi, con pellate ragionevoli, intorno ai 600 metri, c’erano delle creste infinite che davano accesso a linee ripide e a incredibili spines, dove dall’alto
> Treeline Alberto Casaro gioca negli immensi boschi giapponesi
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> My way skialp ad Hakuba, lontano da Hokkaido
vale per Happo. Qui si sono disputate le Olimpiadi di Nagano e il Freeride World Tour, proprio quest’anno. Happo è un grande comprensorio con pochissime piante e lunghe discese su creste e ampi pendii, molto divertente e vario, alla portata di tutti, con linee di facile intuizione dove basta alzarsi a piedi dal livello degli impianti per 200 o 300 metri di dislivello per accedere a un terreno più complicato. La montagna è esposta comunque a forti venti ed è necessaria una buona valutazione del manto nevoso per scegliere su quale versante muoversi e se rimanere a quote inferiori tra gli alberi. Alla fine abbiamo sciato sette giorni, sei dei quali in condizioni da favola, lontano dalle tracce e servendoci degli impianti
> Onsen Le terme (Onsen) sono quasi un luogo sacro dove ristorare anima e corpo. Quelle di Omachi meritano una menzione speciale per la solitudine e pace del luogo
è impossibile vedere lo sviluppo della discesa per via dei pillows e della pendenza. Le spines però sono state l’unico neo del viaggio, perché non le abbiamo mai più potute filmare col drone, né sciare a causa del meteo… Senz’altro ci hanno dato un ottimo motivo per ritornare a chiudere i conti! Quello che più ci ha stupito è come la neve (e quanta) rimanesse appiccicata senza che si formassero valanghe. In Europa non è pensabile affrontare certe pendenze su versanti aperti e a dorso di mulo, con così tanta neve nuova e senza brandire un rosario. Ad Hakuba questa è la regola e ci vuole un po’ di tempo per adattarsi e non continuare a fermarsi o a voltarsi per capire se sta per partire una lastra o meno. SKI BUM JAPAN STYLE Tutti i giorni abbiamo pellato e non abbiamo praticamente mai ripetuto le stesse linee, salendo da una cresta, scendendone un versante e risalendo sul pendio successivo, muovendoci da una valle all’altra. Un saliscendi parecchio faticoso per la profondità della neve, ma estremamente gratificante, soprattutto per l’assenza quasi totale di sciatori. Molte discese rimarranno segrete come lo rimarranno nomi e riferimenti, ma questo non
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e delle pelli, esplorando luoghi che senza l’aiuto di Matthias avrebbero sicuramente richiesto una programmazione più laboriosa. Abbiamo conosciuto persone di ogni genere e avuto la fortuna di sciare con chi ha fatto di questo sport uno stile di vita, con passione, ossessione e dedizione totale; moderni ski bum fedeli al vero significato di questo termine, ovvero senza budget e senza piani di riserva. Abbiamo avuto la fortuna di mangiare in posti deliziosi e tradizionali, lontano dai centri turistici, e di ristorare anima e corpo nelle Onsen. Quella della cittadina di Omachi, immersa nelle montagne, merita una menzione speciale per la solitudine e la pace del luogo. Michele, hockeista doc, ha avuto addirittura la possibilità di giocare una partita di allenamento nello stadio olimpico di Nagano! Ma questa è un’altra storia… In conclusione Hakuba è un’esperienza sciistica di livello superiore, per varietà e bellezza delle montagne, come dice Filippo, è l’altro Giappone. Grazie a Filippo, per avere condiviso ogni avventura, per la sua competenza in montagna e per la qualità delle sue fotografie. Grazie a Giulia, per la sua esperienza come pro skier di livello e per la sua attitudine. Grazie a Michele per la sua positività e per avere steso un povero hockeista giapponese di 60 anni. Grazie a Matthias e Lee per tutto il resto. Grazie a Suichi per averci fatto provare le Onsen qui solo giapponesi. Matsuda Style * *leggi a pagina 22 cosa significa
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> My way sciare l’ultimo ghiacciaio africano
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Testo e foto di MARY MCINTYRE
LO SCI COME SCUSA Alla ricerca di un lembo di neve perenne in Africa, sul Monte Margherita, al confine tra Uganda e Congo
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> My way sciare l’ultimo ghiacciaio africano
Essendo cresciuta a Salt Lake City, non ho mai avuto bisogno di viaggiare per andare a sciare. Le Wasatch Mountains sono piene di linee incredibili e per la maggior parte della stagione ricoperte dalla migliore neve della terra. Lo sci è la mia scusa per partire alla scoperta di un mondo diverso. Così, quando scelgo di viaggiare, cerco solitudine e avventura in posti dove non molti altri sono andati. Quando hai tanta bella neve a casa, il viaggio vuol dire esplorare le vette spelacchiate dal vento delle Ande, affrontare i couloir vista oceano dell’Islanda. O sciare uno degli ultimi ghiacciai dell’Africa. Montagne della Luna - Uganda «A me sembra molto spaventoso - dice la nostra guida al Rwenzori, Enock, mentre scuote con decisione la testa - Tutti questi crepacci e la pendenza. Molto spaventoso». Faccio click nei miei attacchi sulla parte più alta del Ghiacciaio Margherita. Si tratta di un caos frammentato di ghiaccio soffocato dai detriti che
savanage declinazione e variante del classico termine ravanage: viene utilizzato per descrivere situazioni e attività di ravanaggio in boscaglia di altezza media. da Il Nuovo Polverelli Minore, Mulatero Editore, 2018
precipita dalla terza cima più alta dell’Africa prima di fondersi in una lussureggiante giungla equatoriale e di fluire a valle per formare il Nilo. Nonostante si sia stia sciogliendo molto velocemente, il Ghiacciaio Margherita è il più grande rimasto in Africa. Il climate change ha ridotto quelli sul Kilimangiaro e sul Monte Kenya a minuscole schegge, semplici ricordi della loro originaria grandezza. Ed è per questo che siamo qui, dopo sei giorni di avvicinamento, a mettere gli sci ai piedi per la prima volta.
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> Grey & green Il verde è il colore predominante della foresta tropicale che circonda le Montagne della Luna (in apertura). Lo spettacolare panorama dall'ultimo rifugio prima della vetta (a destra) e il grigio del ghiaccio sul Monte Margherita (sotto)
Siamo arrivati sulle montagne dopo una settimana di marcia lungo un sentiero appena tracciato nella foresta pluviale dell’Uganda, dove le scimmie gridano nel verde intenso e i camaleonti passano pigramente il tempo su foglie più grandi della mia testa. Le foreste di bambù, vere e proprie ripide scale di fango tra mura di fogliame, sembravano essere state create con il preciso scopo di fare ingarbugliare le punte degli sci che sporgevano dai nostri zaini. Poi sono arrivate le famigerate torbiere verticali, vale a dire un bel trekking nelle pozzanghere che ha occupato i giorni rimanenti, mentre noi alternativamente sprofondavamo fino al ginocchio nella melma o saltellavamo tra i ciuffi d’erba che sporgevano dalla palude. Quando finalmente siamo entrati nella zona più montuosa, il nostro sguardo per un istante è stato catturato, in lontananza, da delle creste ondulate, quasi dei marosi: le mitiche Montagne della Luna. Punteggiato da maestose cime innevate ma dalla vetta rocciosa, un po’ come i Nunatak, questo massiccio che supera di poco i 5.100 metri ha suscitato l’interesse dei viaggiatori già nel 150 d. C. quando Tolomeo, il geografo greco, lo identificò per la prima volta come la sorgente del Nilo. Nei secoli successivi scrittori, scienziati, alpinisti e alcuni sciatori hanno viaggiato per testimoniare quanto siano anomale queste montagne ghiacciate che si ergono sopra una giungla tropicale soffocante. La nostra salita verso la vetta è iniziata alle tre e trenta del mattino. La luce brillante delle stelle si rifletteva sulla cresta frastagliata mentre salivamo su strisce di roccia lucidate da migliaia di anni di scrub glaciale. Gli sci tintinnavano sulle spalle nel buio della notte.
> people
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> My way sciare l’ultimo ghiacciaio africano
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Con me c’erano altri tre sciatori con la vocazione di Tarzan: Brody Leven, Kasha Rigby e Robin Hill. Arrivati a un piccolo ghiacciaio piatto lungo la salita per il Picco Margherita, ecco che ci siamo trovati completamente avvolti nella nebbia e il cielo è diventato scuro. «Nove anni fa ci sarebbero voluti quarantacinque minuti per attraversare le nevi eterne in questo punto» spiega Enock, mentre segue i pali di bambù che segnano il percorso. Il ghiaccio si sta sciogliendo così velocemente che a noi ne bastano quindici. Dopo quello che abbiamo visto negli ultimi giorni, sembra incredibile essere arrivati finalmente su un ghiacciaio. Un bagliore arancione color fuoco filtra attraverso le nuvole mentre ci mettiamo i ramponi e iniziamo a salire verso il punto più alto dell’Uganda. Il ghiacciaio conduce a una cresta sommitale insidiosa, dove facciamo scrambling fino a 5.109 metri di quota e al confine tra l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo. Guardando le valli popolate di foreste impenetrabili, i grandi laghi scuri e le file di cime scoscese e rocciose ornate da sbuffi di nebbia si capisce perché i gruppi estremisti abbiano usato questa regione per organizzare attacchi di guerriglia durante l’ultima guerra civile. È un luogo soprannaturale, spettrale e impenetrabile. L’aria umida proveniente dalla giungla viene trasportata in alto in raffiche calde e, mentre respiro il suo odore, il mio sguardo scivola verso il basso. È finalmente ora di sciare. Mentre taglio le prime curve sulla neve resa soffice dal sole, nella parte alta del ghiacciaio, la mia mente viaggia verso le prime parole che abbiamo scambiato in questo viaggio: «Potrebbe non esserci affatto la possibilità di sciare - ha detto ossessivamente Brody,
antracabol inglesismo maccheronico la cui traduzione è intracciabile, di solito riferita ad un pendio con pessime condizione nivologiche. da Il Nuovo Polverelli Minore, Mulatero Editore, 2018 assicurandosi che fossimo preparati per il peggior scenario possibile - Non voglio che nessuno abbia false aspettative su quello che troveremo». Eppure lo sci supera le aspettative e io sfrutto al massimo il dislivello che siamo riusciti a mettere insieme con tanta fatica. Vicino alla fine del ghiacciaio disegniamo curve proprio sotto formazioni di ghiaccio fantasticamente scolpite. Mi avvicino alla punta del ghiacciaio: un passaggio ripido e ghiacciato che abbiamo salito legandoci. Brody accenna una curva saltata che porta all’amara fine. Le lamine stridono sulla sabbia e sulla roccia incastonate nel ghiaccio antico. Passiamo su lastre di roccia appena rivelate, nascoste sotto una guaina gelata dall’ultima era glaciale e osservando silenziosamente le gocce che si sciolgono formando rigagnoli, quindi ruscelli e laghetti color acquamarina nel loro viaggio a valle. Enock gesticola per mostrarci una scala bianca che ondeggia senza speranza sulle rocce, 15 metri sopra le nostre teste: «Tre anni fa siamo scesi sul ghiaccio, ecco quanto si è sciolto». Guardare questo rudere del recente passato ci lascia attoniti, nella vastità del ghiaccio che è svanita e nel tempo infinitesimale che è bastato per farla scomparire. Tornando al campo base, Enock spiega: «Per noi è una questione di lavoro e di denaro che entra nella comu-
> L'altra Africa Foreste pluviali, ghiaccio, incontri indimenticabili sulla via per il Monte Margherita
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> My way sciare l’ultimo ghiacciaio africano
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«Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5.895 metri, e si dice che sia la più alta montagna africana. La sua vetta occidentale è chiamata, dai Masai, Ngàje Ngài, la Casa di Dio. Dicono che sulla vetta occidentale c’è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo spiegare cosa cercasse il leopardo a quell’altitudine». Ernest Hemingway, Le nevi del Kilimangiaro
nità. E, ancora più importante, acqua». L’altra guida, Edison, ci dice: «Quando ero un ragazzino c’era sempre neve su queste colline. Se si può fare qualcosa per evitare che i nostri ghiacciai scompaiano completamente, se potessimo prenderci per mano e farlo insieme, sarei molto contento». I nostri sci sono al tempo stesso attrezzi e strumenti per creare una liaison con posti come questo. È un modo per incontrare la gente del posto e ascoltare le loro storie, per testimoniare i cambiamenti che stanno attraversando le comunità. L’Uganda è una scelta bizzarra per lo sci primaverile: si possono disegnare curve decisamente più belle con uno sforzo molto minore in quasi ogni altra parte del mondo. Ma questa esperienza è molto più di una discesa sugli sci e ti sbatte contro un muro profondo di tristezza tinta di stupore. Dopo due giorni a ritroso sui nostri passi, inondati da incredibili acquazzoni, abbiamo raggiunto piccoli appezzamenti agricoli che punteggiano le ripide colline sopra il villaggio di Kilembe. I bambini urlavano, offrendoci il cinque e facendoci sorridere con il loro Hel-los! Il sentiero da qui in poi serpeggia sotto cespugli di caffè disseminati di bacche color viola e si aggrappa al fianco della collina tra raccolti di mais, zucca e patate. Le foreste impenetrabili, i fiumi impetuosi e la natu-
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Uganda Per scalare o sciare il Monte Margherita, ci si può rivolgere a Rwenzori Trekking Services (www. rwenzoritrekking.com) che si occupa di tutta la logistica. Gestito da un australiano che ha vissuto per anni nella zona, si affida a guide locali di grande esperienza. È difficile scegliere una stagione per sciare, ma Mary è andata al Margherita nel mese di maggio.
> Black & white Sciare sul Monte Margherita non ha nulla a che fare con il piacere di una curva sulla bella neve
ra selvaggia svaniscono nel ricordo. Enock ed Edison avanzano con orgoglio, un’altra cima nel loro curriculum. Posso solo immaginare gli abitanti del villaggio che discutono sulle strane lance piatte che sporgono dai nostri zaini ed Enock che risponde loro, forse nel modo in cui ha risposto a noi sulla montagna: «A me sembrava molto spaventoso! Questi muzunghi sono pazzi. Hanno portato quelle cose per otto giorni per rischiare di morire scivolando giù per il ghiaccio solo
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per qualche minuto!». Dentro di me sorrido e faccio vedere un video di Brody sugli sci per mostrare loro perché siamo venuti qui. Mi guardo indietro verso le montagne e mi rendo conto che questo momento è solo una parte della nostra avventura. Siamo venuti qui per esplorare, per testimoniare, per imparare. Le Montagne della Luna, e le persone che le chiamano casa, si sono dimostrate più che all’altezza dell’alone di leggenda che le circonda.
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ŠFederico Ravassard
> My way Il Monte Bianco in versione full speed
T O F H E N RY
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CHAMONIARD Classe 1984, nato ai piedi del Monte Bianco, anello di congiunzione tra freeride puro e sci estremo come pochi personaggi. Il suo marchio di fabbrica? Velocità e fluidità portate ai massimi livelli su linee classiche e grandi pareti
Testo di ANDREA BORMIDA - foto di DANIEL RÖNNBÄCK e FEDERICO RAVASSARD
Chamonix è la capitale. Non ci sono scuse, tanto più se si parla di sci. I più forti e ambiziosi sciatori di tutto il mondo vengono da sempre sul versante francese del Monte Bianco. Il paese è una fucina di talenti e meteore che ogni anno spingono lo sci libero verso qualcosa sempre oltre. Questo luogo ha generato il mito stesso dello sci estremo. Tutte le nuove tendenze, i materiali e i modi di interpretare lo sci sono partiti da qui. L’ambiente è dinamico a Cham: ogni anno arrivano nuovi skier affamati di affermazione. Alcuni si fermano addirittura in pianta stabile. A Cham ci sono gli skibum che vengono a fare la
stagione e sciare tutti i giorni vivendo con lavoretti occasionali la sera, a Cham ci sono i local, e poi i super local, ci sono gli inglesi, gli ammerigani che vivono qui da vent’anni, ci sono i finnici dannati mangia pesce che sono dei duri e ogni anno spaccano qualcosa proprio in faccia a qualcuno. Ci sono i pro, i fotografi, i fotografi pro, ci sono un sacco di #hashtag che rompono la quiete di quelli che sciano solo il fine settimana, ma che prima o poi vengono qui per confrontarsi con qualche big line… e trovarla con le gobbe magari. Tutto questo fa sì che la Chamonix che scia sia una vera e pro-
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«Quando in inverno esco dalla stazione di Helbronner durante una nevicata, mi basta sentire la sensazione che mi restituisce il bastone quando lo infilo nel manto nevoso per capire che neve troverò e le condizioni che ci sono». pria comunità. Con le proprie regole, con le proprie crew e le proprie rivalità. Ci si saluta sempre tutti certo, ma più per quieto vivere. A volte, venendo a conoscenza di alcuni retroscena, cresce in me la convinzione che l’abusato ritornello There are no friends in a powder day sia stato coniato proprio da queste parti. La febbre che si respira, quell’aria vibrante delle lunghe code della stazione di partenza della Mama Midi nei giorni post nevicata, non sono una leggenda. Il posto sulla prima cabina e la corsa all’uscita della grotta ghiacciata e al suo cancelletto che immette sulla cresta sono la prassi da queste parti anche per chi ha la possibilità di sciare tutti i giorni e magari ci si aspetta viva più tranquillamente la pressione della prima traccia. Tof Henry, classe ’84, fa parte di questa comunità da anni. Anzi, ci è proprio nato a Cham e in un ambiente così competitivo ha saputo imporre il proprio modo radicale di sciare senza snaturarsi, ma evolvendo come sciatore e come persona. Prima di metterci in viaggio e attraversare il traforo del Monte Bianco, nutrivo il sospetto che mi sarei trovato davanti a uno skier senza compromessi, non solo per il modo di sciare, ma per il suo respirare neve durante tutto l’anno. Sono poche quelle persone che sono davvero un tutt’uno con un qualche elemento naturale. Per certi versi Tof mi ha ricordato i surfisti che si nutrono delle sensazioni che sanno dare le onde. Una volta arrivati davanti all’Elevation Bar, giusto dopo Moo, ci troviamo davanti a questo ragazzone mentre sta finendo la sua birra. Tof è alto. Almeno 190 cm per 85 kg, giusto per sfatare il mito che quelli alti non possono sciare bene. Un saluto, quattro
> Mallory Tof ha sciato la classica linea di ripido il giorno dopo il suo matrimonio...
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chiacchiere lungo la strada e siamo nel suo appartamento in un ambiente cordiale e rilassato. Niente di sfarzoso tipo chalet, ma la casa di uno sciatore con assi dietro la porta del salotto e diversi modelli di Armada ancora da forare per la nuova stagione vicino alla finestra. Una mountain enduro nell’ingresso e qualche immagine storica del Monte Bianco con alcuni ritratti della famiglia. Forse lo avrete capito: Tof Henry è uno Chamoniard. Vero. E noi siamo qui perché scia forte, molto forte. Come pochi in giro oltralpe, come nessuno o quasi qui a Sud delle Alpi. Il suo marchio di fabbrica è la velocità, la fluidità portata ai massimi livelli su linee classiche e le grandi pareti glaciali del Monte Bianco con le migliori condizioni possibili. La ricerca della polvere e di quella neve che ti permetta di osare a fondo linee ripide ed estreme per pendenza e ambiente. Anello di congiunzione tra freeride puro e sci estremo come pochi personaggi, Tof interpreta lo sci in maniera totalizzante seguendo quella sensibilità per l’elemento bianco sviluppata negli anni sui più bei pendii del massiccio italo-francese. Tof Henry un vero Chamonix kid! Per iniziare la nostra chiacchierata è sempre giusto conoscersi un po’ meglio: raccontaci chi sei, da dove arriva la tua famiglia. «Assolutamente! CHX 100%, da quattro generazioni almeno. Essendo dell’84 ormai non proprio un kid, ma un vero Chamoniard. Non arrivo però da una famiglia di montanari: mia madre lavorava in un ufficio turistico, i miei genitori non sono mai stati dei veri appassionati della montagna pur essendo nati e vissuti qui. Ovviamente a sciare, come ogni ragazzino di Cham, ho iniziato con gli sci club, poi verso i quindici o sedici anni mi sono avvicinato al freeride con l’arrivo degli sci fat. Tutto normale insomma. Mi sono fatto un po’ il giro con cui andare in montagna. Ma se devo ricordare una persona in particolare, ti dico il mio amico
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Pif, creatore dei monosci Snowgun. Ho iniziato a girare con lui e devo dire che ho imparato molto da quel modo di sciare e dalle sensazioni che si provano con un monosci. Poi ho conosciuto Nathan Wallace. Lui è un americano che si è trasferito in paese nel 1998 per sciare. Forse la persona con il migliore fiuto per le condizioni di neve di tutta Cham. Era molto più grande di me e io ero solo un ragazzo. C’era un po’ di diffidenza inizialmente. Poi abbiamo imparato a fidarci l’uno dell’altro. In fondo abbiamo avuto una storia simile come skier perché ci siamo un po’ fatti da soli. Nat è stato il mio padre spirituale, Daddy Nat lo chiamo: mi ha aiutato moltissimo a capire le condizioni della neve, a essere nel momento giusto nel posto giusto. Mi portava con lui, capivo come sceglieva i posti e le pareti. Ora abbiamo lo stesso punto di vista su molti aspetti. E adesso sono io che a volte porto lui (ride), ci fidiamo molto uno dell’altro in montagna». È così che nasce la tua passione per il freeski? «Esatto, in quegli anni! Ho sempre adorato essere nella neve. Trovarmici dentro nel vero senso della parola. Ho bisogno della neve. È il mio elemento. Lavoro presso una scuola sci, ma mi prendo il mio tempo per sciare in stagione, per essere pronto al cento per cento quando arriva il momento giusto. Se sto fermo o non mi prendo il tempo per sciare, avverto che poi ci vuole un po’ di tempo per ritornare al top della forma. Quando in inverno esco dalla stazione di Helbronner durante una nevicata, mi basta sentire la sensazione che mi restituisce il bastone quando lo infilo nel manto nevoso per capire che neve troverò e le condizioni che ci sono. Mi capita spesso, non sempre, qualche spavento lo si prende e c’è comunque qualcosa da imparare: per esempio adesso, anche nei giorni di polvere, ho sempre dietro una corda». Un dare e avere con la montagna che vivi, senza tirarti indietro «Eh sì! Al Pavillon durante e dopo le nevicate si deve
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> Velocità Tof ha uno stile che fa di velocità e fluidità le parole d'ordine e sembra driftare sulla neve
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sempre sciare sulle creste, sulle spine. Mantenendosi sul filo il più possibile, nei catini è molto pericoloso. Il terreno sottostante è brutto e devi stare molto attento. Un giorno c’erano condizioni pessime. È superfluo dire che siamo stati troppo confident conoscendo molto bene il posto. Tutti dopo dieci curve, anche gli inglesi, sono risaliti giudicando l’uscita troppo pericolosa. Per noi è stato un mettersi in gioco in modo totale, quasi un combattimento cercando di dare fondo a tutta la nostra esperienza per arrivare in basso. Ci siamo assicurati agli alberi con la corda in alcuni punti per bonificare i pendii. Siamo stati sempre sulle creste. Un gioco, senza dubbio pericoloso, lo so».
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Questo gioco vale la candela? In caso di errore il prezzo è alto. «Concordo nel parlare di errore dello sciatore in caso di valanga. Se succede, vuol dire che si è sbagliata qualche valutazione in merito alla neve, al percorso o al timing. È un gioco per cui il prezzo potrebbe essere altissimo, lo so. Ad esempio non azzardo più sulle discese della Midi, tipo il Glacier Rond, in inverno. Però i giorni di neve profonda sanno regalare sensazioni uniche per le quali vivo. È una domanda difficile». Infatti, specie all’inizio della stagione, la ricerca della polvere, per esempio all’Helbronner, porta a
> My way Il Monte Bianco in versione full speed > Steep Nel repertorio di Tof non mancano le difficoltà alpinistiche. Henry vive in una semplice casa del centro di Chamonix (nella foto sotto è insieme ad Andrea Bormida)
muoversi alla ricerca della prima traccia su certe linee… Come ti poni di fronte al rischio, andando a sciare linee come i Cavi, Cesso, Passerella già durante la nevicata. «È vero, a volte capita che scendiamo quelle linee nelle prime schiarite durante una perturbazione, nella yellow light: quella luce che filtra tra i fiocchi che formano le nuvole, una luminosità che sa regalare una visibilità e un’atmosfera uniche. C’è da dire però che conosciamo molto bene il terreno. Sciamo quelle linee quasi tutti i giorni precedenti la perturbazione e anche durante. In questo modo sappiamo come era la neve e ne percepiamo i minimi cambiamenti, quanta ne ha fatta e come. Spesso sul finire della perturbazione il vento non ha ancora agito. Visti da fuori sembriamo imprudenti, ma calcoliamo molto e spesso torniamo indietro. Ripercorriamo per lo più le nostre tracce del giorno prima e aspettiamo di avere la visibilità. Questo è fondamentale, e l’ho imparato sulla mia pelle». Qualche brutta esperienza? «Risale all’anno scorso. Ci siamo buttati sotto ai cavi di Helbronner con poca visibilità e abbiamo imboccato il pendio in un posto non corretto. Stavo sciando quando ho sentito urlare il mio compagno, mi sono girato, ho visto un’onda di neve arrivare ma non potevo che continuare a sciare il pendio verso destra. Mi ha preso le code, trascinandomi verso il basso. Mi sono trovato trenta metri sopra la barra alta cento che sorregge il pendio. Sono stato fortunato» . Il clima sta cambiando davvero? «Purtroppo sì: le condizioni super che si possono trovare in momenti anomali dell’anno sono solo una manifestazione davvero tangibile di ciò che sta accadendo. Quindici anni fa non si percepiva che qualcosa stava cambiando, ma nelle ultime cinque o sei stagioni è davvero davanti agli occhi di tutti. Durante l’inverno si passa nello stesso giorno da -5° a +15°. Ci sono escursioni molto ampie e inverni sempre meno freddi, perturbazioni più calde e precoci. Le pareti glaciali
erano verdi fino ad aprile solitamente, ora non è raro trovarle ben innevate anche in pieno inverno, come mi è successo sul Couturier alla Verte nel 2018. Diventa sempre più importante il tempismo. Un altro esempio sono le discese dell’Helbronner: qualche anno fa la regola era che fino a febbraio si poteva sciare durante tutto il giorno, dopo solo fino a prima di mezzogiorno, essendo tutto a Sud ed Est. Ora capita di doverselo ricordare anche in pieno gennaio». Tornando alle sensazioni che sa regalare la neve vissuta senza compromessi: si capisce da come interpreti le tue discese, traspare la tua passione estrema per questo elemento e la ricerca della polvere migliore. «È incredibile la sensazione che regala la neve se sciata veloci. La velocità che cerco ti porta a planare sopra grazie alla superficie larga degli sci, le curve le fai driftando sul manto nevoso, ottenendo sensazioni uniche. Ti senti leggero. E puoi sciare a fondo sul pendio». Sciare veloci diminuisce alcuni rischi? «Secondo me in parte sì. I tratti più pericolosi delle linee generalmente sono in alto, sotto i colli o le creste. Spesso con tanta neve mi sforzo di percorrere dritto questi passaggi, il più leggero possibile, avendo cura di individuare preventivamente una via di fuga sicura. Oltre certe velocità plani sulla neve, il drift che ti dicevo prima. Però non è facile e ci si deve esercitare prima su terreni che si conoscono bene, ci vuole tempo per acquisire sensibilità, con tante giornate sulla neve. Inoltre spesso su linee che conosciamo e che prendiamo con gli impianti ormai ragioniamo su come tagliare il pendio preventivamente in determinati punti, per farlo scaricare. Ma… don’t try this at home!». Cham, i pendii del Monte Bianco, la neve, la velocità, la fluidità, qual è lo stile che preferisci e il terreno ideale? «Innanzitutto è più corretto fare una distinzione all’interno del mio modo di sciare: specie d’inverno
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> Ingaggio & velocità Il terreno di gioco di Tof sono couloir e vette del Monte Bianco, dove affronta difficoltà alpinistiche e pendii ripidi a modo suo
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preferisco definire il mio stile full speed, e poi c’è lo steep skiing sulle grandi pareti. Per quanto riguarda il primo, sono tutti quei giorni tra Midi, Helbronner e Grands Montets di sci in polvere. Dove si attendono le nevicate e ci si tuffa a sciare a fondo e al massimo ogni singolo fazzoletto di neve polverosa. Con amici, in modo totale, approfittando delle condizioni. Per quanto riguarda lo steep, sono quelle giornate in cui cerco di sciare una parete ripida con la miglior neve possibile per il mio stile. Il pendio che ritengo perfetto per questo tipo di discesa si trova nel bacino d’Argentière. È il Col de la Verte. È assolutamente fantastico: continuo per linea e pendenze, ripidissimo per lunghi tratti. Spesso su altre discese i tratti oltre i 50° si riducono a qualche metro, al massimo qualche decina. Al Col de la Verte queste pendenze si trovano per qualche centinaio di metri. E poi è tecnico. Sempre nella Mecca dell’Argentière, anche il Col de Droite mi piace molto. Mentre sul versante italiano per me la linea più bella è il Couloir du Diable al Mont Blanc du Tacul. Una linea pura, evidente eppure spesso trascurata e poco frequentata contrariamente alle discese del bacino d’Argentière».
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Un grosso exploit dell’anno scorso è stato la Nord del Triolet, quella resa mitica dalla foto del compianto Philippe Fragnol durante la prima discesa in snowboard del giugno 1995 a opera di Jerôme Ruby e Dedé Rhem. Discesa ripresa in sci solo nel 1998 dalla Guida alpina svizzera Marcel Steurer. «Che giornata sul Triolet! Se devo essere sincero, io e Jonathan Charlet eravamo saliti in Argentière con l’idea di provare il Nant Blanc, pendio mitico che ancora ci mancava. Osservando la parete, ci siamo accorti che alcuni sciatori avevano iniziato la discesa, o meglio a buttar giù doppie collegando tratti in cui curvavano molto controllati. In sostanza, non c’erano le condizioni che cercavamo e comunque, se fossimo andati anche noi, avremmo già trovato delle tracce. Detesto le tracce. Se non sono il primo a scendere un pendio, allora cambio piano. Non mi interessa più. È come se perdesse la purezza. Odio seguire le tracce. Allora siamo andati verso il Refuge d’Argentière con alcune idee in testa, tra le quali guardare il Couloir Lagarde. Però, una volta al rifugio, la vista della parete Nord del Triolet ci ha catturato totalmente con il suo bianco perfetto. Al mattino presto abbiamo risalito il Col des Courtes e,
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©Daniel Rönnbäck
«Odio trovare i pendii tracciati. Voglio essere il primo. Anche su linee che conosco a memoria come il Glacier Ronde alla Midi, se uno degli amici che è con me chiede di poter andare per primo, lo lascio andare, ma dentro di me soffro un po’» una volta in cima, ci siamo trovati davanti al tratto più tecnico e spaventoso della giornata: la cresta che porta in cima al Triolet. Sono poche centinaia di metri, ma espostissimi. Un filo dove è impossibile proteggersi e dove si deve procedere con cautela legati a tutta corda, facendola passare dietro a spuntoni di roccia e neve per avere un minimo di sicurezza. Alle 11 eravamo in cima, ma dovevamo aspettare l’elicottero perché fossero possibili le riprese. Dopo mezz’ora però ci stavamo raffreddando e la tensione della discesa saliva: abbiamo chiamato Daniel dicendo che avremmo iniziato subito la discesa, in fondo eravamo lì per sciare. Il mio socio in tavola davanti, in modo che fosse facilitato, potendosi fermare frontalmente al pendio con le due picche durante l’installazione delle doppie nel ghiaccio sopra ai seracchi. Bisognava scavare nella neve per arrivare al ghiaccio. Quindi le doppie, poi il ripido pendio esposto sotto ai seracchi. L’elicottero nel frattempo era arrivato mentre sciavamo: non amo
il suo rumore, è difficile concentrarsi. Poi le curve sempre più veloci insieme sul pendio basale. Una volta sul ghiacciaio, ci siamo girati indietro insieme a guardare la parete ed è stato bellissimo». Immagino che però ci siano ancora alcune big line che vorresti sciare qui nel Bianco? «Mi piacerebbe prima o poi trovare le condizioni ideali sul Nant Blanc. Poi, passando all’altro versante del massiccio, la Diagonale al Tacul e una linea sulla parete della Brenva, la Sentinella Rossa magari. Fuori da Chamonix ho grosse aspettative per sciare in Kashmir o in Pakistan. Vedremo. Intanto in questi Paesi cerco di scovare delle linee, magari su Fatmap… ma non come quelli che lo usano per scovarle a Chamonix, ahah!». Allora non ti piace solo il Monte Bianco! «No, no, assolutamente. Forse quando ero giovane ero più radicale. Poi ho capito che il mondo è grande ed
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è troppo bello per non visitarlo sciando. Specie con l’esperienza fatta qui a Chamonix. Non ho bisogno di Guide, sono diventato abbastanza autonomo anche nelle manovre alpinistiche. Discorso a parte per il mio socio preferito Jonathan Charlet, che è una Guida. Ma è soprattutto uno che in montagna ha due palle enormi! E poi abbiamo lo stesso modo di pensare: per sciare le big line non devi pianificare troppo, farti delle liste. Non ti lascia tranquillo e perdi lucidità». Qui a Chamonix quando arriva la primavera deduco che ci sia molto fermento per sciare le pareti più belle e prestigiose: storie da ghetto, rivalità e competizione? «Sì, è vero. In inverno è un po’ differente: durante i powder day si è per lo più tutti cordiali, si scia in amicizia. In primavera il discorso cambia. Ci sono tanti
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team, tante crew o piccoli gruppi di sciatori. Gira un sacco di testosterone e più mistero. Come dicevo, odio trovare i pendii tracciati. Voglio essere il primo. Anche su linee che conosco a memoria come il Glacier Rond alla Midi, se uno degli amici che è con me chiede di poter andare per primo, lo lascio andare, ma dentro di me soffro un po’. Per questo spesso arrivo tra primi a mettermi in coda alle funivie, anche solo per essere davanti a tutti sulla cresta della Midi, oltre il cancelletto. È liberatorio! Purtroppo qui a Cham non tutti sono corretti. Chi ha soldi e sponsor ha diritto a priorità sulle cabine. Per non parlare poi degli elicotteri. In tanti hanno la coscienza sporca e a me piace troppo dire le cose come stanno. Per esempio quanto accaduto durante una discesa dell’Aiguille du Plan l’anno scorso, quando dei pro skier con una Guida sono stati portati su in elicottero: ho discusso, come è possibile che delle
> Armada Inside Tof impersonifica lo stile della casa americana. Tra i suoi sci il Tracer 118 e, per il ripido, un prototipo che sta aiutando a sviluppare (a destra)
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Guide propongano questo modo di andare in montagna a cercare le linee? C’è da vergognarsi». Veniamo ai tuoi modelli: uno sciatore che ti ha ispirato? «Se devo fare il nome di un pro skier, posso dirti Seth Morrison. Lo seguivo da ragazzino, poi l’ho visto a Cham e lo guardavo con rispetto e diffidenza. Ma poi siamo tutti skier, ci si capisce e adesso capita addirittura di sciare insieme!». Veniamo alle domande tecniche: per lo sci che pratichi quali sono i tuoi materiali preferiti? «Mi piace utilizzare materiali che mi permettano di sciare bene e forte. Sono supportato da Armada e per i giorni di polvere full speed da quest’anno uso il Tracer da 118 mm sotto al piede e 195 cm di lunghezza, essen-
do alto e volendo cercare la velocità. Sogno una mia versione lunga 205 cm. Attacchi Look Pivot e scarponi Dalbello Krypton o Lupo: preferisco materiale solido e senza sorprese. Adoravo i JJ del 2015, adoro i Tracer e mi hanno sorpreso i Magic J. Per i pendii ripidi utilizzo un prototipo che sto sviluppando con Armada: 192 cm di lunghezza, 115 mm al ponte, camber normale, rocker e bello rigido. La prima versione era meno intuitiva di quello che uso adesso, che è più confortevole. Non mi piacciono gli sci leggeri, perché leggerezza è sinonimo di sciare soft e a me piace sciare duro a tutta. Come attacchi uso i Marker Kingpin. Negli ultimi anni c’è stata una grossa evoluzione delle calzature: per la massima trasmissione devono avere la punta piatta e non stondata anche se facilita la rullata e poi non devono essere troppo basse come quelle da skialp puro.
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Ma per sciare la cosa più importante è l’asse e poi lo scarpone: prendi degli sci veri, solidi anche se più pesanti. Restituiscono migliori sensazioni e sicurezza La leggerezza a tutti i costi va a discapito della sicurezza, specie se ami sciare veloce». Cosa ti piace degli sci che usi e come ti trovi nel team Armada? «Mi trovo molto bene, ormai da quasi sette anni. Seguono il rider nella costruzione e nello sviluppo di nuovi modelli. E poi hanno un team che tocca tutte le discipline, dal pipe al backcountry, dal big mountain
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skiing fino allo street. E c’era JP Auclair: un punto di riferimento che dava un bel supporto ai nuovi, aiutandoli e seguendoli. Infine, se devo essere sincero, quando vedo gli sci con quelle grafiche aggressive… sogno subito di essere in powder! È stato uno dei primi brand a capire l’importanza di creare grafiche emozionali oltre che ottimi attrezzi sviluppati da chi in montagna ci va per sciare davvero». Ok, ora è il tempo di fare qualche foto, magari un po’ urban style, dove andiamo Tof? «Beh, alla Midi, che adesso non c’è coda!»
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> My way Angoli meno battuti sulle Dolomiti
PERCHÉ NO? Testo di GIOVANNI SPITALE/STORYTELLER-L ABS
C’è stato un tempo in cui la neve era fondamentale, qui. Era un sogno: se mancava la neve, mancava tutto. Nelle notti di novembre, sempre più lunghe, i bambini stavano raccolti nelle stalle, a godere del calore di animali e di vecchie favole. Ma i loro pensieri, i loro sogni, i loro desideri volavano fuori, lontano, verso quelle nuvole chiare: il primo fiocco era un evento. Poi si trattava solo di aspettare, e nel giro di poco sarebbe arrivata l’ora di sciare. Sciare, beh, parola grossa. Più che altro si trattava di raccattare un paio di doghe buone da una botte rotta, inchiodargli sopra qualcosa che per quanto improbabile potesse in qualche modo contenere i piedi (delle vecchie pantofole rubate di nascosto a una zia erano perfette, ad esempio), e poi via. Non c’erano impianti di risalita, qui. Non c’erano elicotteri, e nemmeno motoslitte. C’era poco più di nulla. Quello, e queste montagne incredibili. Si saliva a piedi su uno dei pendii appena sopra al paese. Le montagne erano più che altro una cornice: troppo ripide, troppo pericolose, troppo lontane. Poi si scivolava giù, in qualche modo, i più bravi facendo anche le curve. Giù, poi su di nuovo, col fiato che si congelava sulla sciarpa di lana e i vestiti incrostati di neve, poi ancora giù, fino a che bastava il respiro. A tanti bastava così. Tanti, ma non tutti, perché c’è sempre qualcuno che guarda dove gli altri non vedono. Così qualcuno si è chiesto come sarebbe stato sciarci, su quelle montagne così ripide, in quei canali così stretti. Che follia. Arnaud, Aaron ed Eric salgono veloci. Il canale si sta aprendo: ancora poco, poi sarà ora di traversare a sinistra, togliendo gli
> Solitudine Aaron scende da Cima Rosetta, sullo sfondo il Passo di Baal e la parte alta del Vallone delle Scalette in Val di Roda
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sci e tirando fuori picca e ramponi. Sarà ora di seguire quella cresta sottile fino alla cima, sentendo il vuoto tutto attorno come una presenza assordante. È mattina presto. Il sole, appena sbucato sopra all’altopiano, sta iniziando a carezzare la testa alle Pale di San Martino. Qualche raggio fende l’aria tersa; i ramponi, montati su scarponi che non arrivano al chilo e mezzo, schizzano l’azzurro con minuscoli frammenti di ghiaccio. Gli sci costruiti a sandwich, leggeri e performanti, svettano alti sopra alle teste dei tre. Le lamine perfettamente tirate catturano la luce pura del mattino, mordendo soltanto l’aria, per ora.
Andar per canali Lo sci sulle Pale è soprattutto sci di couloir. Il più famoso è il canale del Travignolo. Stretto e ripido nella prima parte (con poca neve richiede una doppia di 30 metri), esposto a Nord, è situato tra il Cimon della Pala e la cima della Vezzana. Raggiunge pendenze di 45-50° e ha un dislivello in discesa di circa 800 metri. Lo si può raggiungere dalla stazione a monte della funivia Rosetta attraverso la Val dei Cantoni e il Passo del Travignolo (2.929 m) o risalendolo dal Passo Rolle. Si finisce nei pressi di Baita Segantini, in
Una volta era diverso. Eh, averli, degli sci veri. Dovevi essere fortunato: se avevi gli amici giusti, quelli che sciavano con gli Alpini, per dire, magari ogni tanto un paio di sci rotti da sistemare saltava fuori. Magari due spaiati, diversi, e magari serviva segarne un pezzo, se erano troppo grandi. Però, eh, rispetto alle doghe delle botti non c’era paragone. Con quegli aggeggi si poteva andare sul serio, filando veloci e precisi come i campioni, come Zeno Colò che andava a centosessanta all’ora giù dal Piccolo Cervino. Bastava mettersi un maglione in più e si poteva iniziare ad andare più in alto, più lontano, in quei posti che prima erano solo una maestosa cornice. Chi lo ha mai detto che in un canale non si può sciare?
zona Passo Rolle. Un'altra bella discesa è quella del canale Nord dei Bureloni. Meno famoso del Travignolo, negli ultimi anni però è stato percorso da un numero sempre maggiore di sciatori, diventando in breve tempo una classica di sci ripido nelle Pale. Normalmente viene percorso prima in salita per valutarne meglio le condizioni e l’accesso, dalla Baita Segantini, raggiungibile in seggiovia dal Passo Rolle, o dal parcheggio Pian dei Casoni, in Val Venegia. Raggiunge pendenze di 45-50° e lo sviluppo totale del dislivello è di 1.000 metri, 600 nel canale. Una variante d'accesso è la salita al Passo delle
Arnaud ha 32 anni e scia da quando è capace di stare in piedi. Si usa così, nella sua famiglia. Prima in Svizzera, sulle montagne di casa. Poi, beh, il mondo è grande. In trent’anni Arnaud ha sciato un po’ dappertutto: dalle Alpi alle Rocky Mountains, dall’Alaska all’Iran. Però non passa anno, da quando ha scoperto le Pale di San Martino, senza che venga ad assaggiarne la neve in compagnia di qualche amico del posto. Non ci sono pendii aperti dove hai la sensazione di poter sciare per sempre, qui: queste sono montagne fatte di dolomia e contrasti. Ma ciononostante, anzi, forse proprio per questo, vale la pena farci un giro. Canali come questi, linee così articolate e giocose, beh, non si trovano in giro. Qui bisogna saper sciare sul serio.
Farangole. Altre opportunità per gli amanti dello sci di couloir sono il Vallon della Manstorna, che scende rivolto a Est verso la Val Canali con pendenza costante intorno ai 45°, e il Canalino della Pala, rivolto a Ovest e raggiungibile comodamente dalla Funivia della Rosetta in un’ora con le pelli, direzione Pala di San Martino. Per chi cerca pendii più facili, da segnalare il Vallone del Sasso Negro, 1.600 metri di dislivello in ambiente canadese per l’innevamento, raggiungibile dalla funivia della Rosetta ma con rientro organizzato in taxi dalla Capanna Cima Comelle almeno fino a Passo Rolle, dove c’è lo ski bus. Nel settore del Sasso Negro meritano anche le discese che si trovano in prossimità della forcella dell’Antermarucol.
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Arnaud Cottet Trentadue anni, nato in Svizzera e cresciuto sulla neve di tutto il mondo. Da quando aveva 16 anni viaggia, sia per le gare di sci (è anche giudice olimpico in gare di freestyle) che per esplorare e raccontare luoghi incredibili. Dall’Alaska all’Iran, dall’Afghanistan alla Nuova Zelanda: Arnaud, testimonial Salewa, ha sciato davvero dappertutto. Inoltre si diverte a dirigere documentari e programmi radiofonici.
Eric Girardini Quarantadue anni, nato a Feltre, ai piedi delle Dolomiti. Scia da quando aveva tre anni, prima sulle piste dietro casa, poi sulle cime delle Pale, in cerca di luoghi ripidi, selvaggi e poco battuti. Lavora come Guida alpina con la scuola delle Aquile di San Martino per far scoprire ad altre persone la magia delle sue montagne ed è testimonial Salewa. www.aquilesanmartino.com
Piero de Lazzer Ottantanove anni (nella foto), è stato letteralmente uno dei pionieri dello sci, scoprendo e percorrendo innumerevoli linee sulle Pale e sui Lagorai. Ha iniziato da bambino, quando la neve era un sogno, l’unico vero gioco dell’inverno, e gli sci non erano altro che doghe recuperate da vecchie botti. Non ha ancora smesso di sciare (e non ne ha la minima intenzione).
Aaron Durogati Trentuno anni, nato a Merano, testimonial Salewa. Cresce circondato da alcune tra le cime più belle dell’intero arco alpino: dall’Ortles al Gran Zebrù, dalle Alpi Venoste alle Dolomiti. Innamorato del volo in parapendio sin da ragazzino, grazie al padre, è diventato un pilota incredibilmente talentuoso, vincendo decine di gare e partecipando a svariate spedizioni esplorative.
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Piero de Lazzer
Aaron Durogati
Ottantanove anni, nato e vissuto all’ombra delle Pale di
Trentuno anni, nato a Merano, A
San Martino, è stato letteralmente uno dei pionieri dello
da alcune tra le cime più belle
sci, scoprendo e percorrendo innumerevoli linee sulle Pale
dall’Ortles al Gran Zebrù, dall
e sui Lagorai. Ha iniziato da bambino, quando la neve era
Innamorato del volo in parapend
un sogno, l’unico vero gioco dell’inverno, e gli sci non
al padre, è diventato un pilota
erano altro che doghe recuperate da vecchie botti. Non ha
vincendo decine di gare e parte
ancora smesso di sciare (e non ne ha la minima intenzione);
esplorative. Negli anni ha alla
le sue passioni sono due. Una: linee ben disegnate. Due: la
proprie passioni, dedicandosi a
velocità che deriva dalla sicurezza sugli sci.
- di recente - all’arrampicata.
Valanghe Come tutte le montagne, le Pale non sono esenti dalle
se ci sono accumuli per le stesse condizioni. Attenzione
valanghe, pertanto è meglio informarsi sempre bene sulle
anche ai pendii Nord Ovest dopo essere usciti dalla valle di
condizioni del manto, partire con una Guida alpina o parlare
Roda principale, prima di entrare nel bosco, che scaricano
con i locali. Ecco alcuni consigli relativi alle tre
sempre dopo le nevicate. Nella traversata numero 3 il Passo
traversate consigliate alla fine di questo articolo. Il primo
dell’Antermarucol lo si può raggiungere con un traverso ai
itinerario, pur essendo abbastanza sicuro, non è esente da
piedi delle Sponde Alte che permette di non perdere quota
pericolo di valanghe, soprattutto nei pendii ripidi dopo il
se la neve è sufficientemente assestata, altrimenti conviene
Passo Canali. Nella seconda traversata meglio evitare il
scendere nelle Buse per risalire fino alla Forcella. Non
Passo Pradidali Alto dopo venti da Nord per la possibile
imboccare il traverso dopo la Malga Valbona nel bosco quando
presenza di accumuli, come è da evitare di passare troppo
scalda il sole nel pomeriggio, per il pericolo di valanghe
alti sotto la Torre Pradidali in salita verso il Rifugio
che scendono dai ripidi canali soprastanti.
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Intonsità Definisce la presenza assoluta di spazi da tracciare da Il Nuovo Polverelli Minore, Mulatero Editore, 2018
Alto Adige. Cresce circondato
e dell’intero arco alpino:
le Alpi Venoste alle Dolomiti.
dio sin da ragazzino, grazie
a incredibilmente talentuoso,
ecipando a svariate spedizioni
argato l’orizzonte delle
assiduamente anche allo sci e
.
Fotografare il vuoto di
Damiano Levati
Fotografare sci è stata da sempre un’ottima scusa per sciare.
stesso modo. Poi, dopo più di venti anni passati a sciare
Anzi, la fotografia nasce proprio dal mio desiderio di stare
un po’ dappertutto, sono arrivato in Dolomiti. Ancora oggi
in montagna il più possibile. Fotografare per lavoro mi
confesso che non mi sono abituato. Non mi sono abituato alla
ha permesso di tracciare le nevi di un po’ tutto il mondo,
verticalità. Una verticalità che arriva all’improvviso. Sul
ma il mio percorso di sciatore fuoripista ha due pilastri
Monte Bianco è un percorso graduale. Nelle Dolomiti, sulle Pale
fondamentali: il Monte Rosa e il Monte Bianco. Sul Rosa
di San Martino ad esempio, un attimo sei tra dolci pendii dove
ho imparato che quello che puoi fare con le nostre amate
sciare rilassato, l’attimo dopo sei all’imbocco di un canale
assicelle non ha quasi confini. Sul Bianco ho imparato che
con il fondovalle sulla verticale delle solette. Però ne vale
esistono luoghi dove appena sceso dall’impianto e messi gli
la pena. Su ogni massiccio delle Dolomiti sei sulla punta più
sci puoi all’istante rischiare di morire. Ho imparato a sciare
alta. Ogni tramonto e ogni alba sono spettacolari. Nelle Alpi
con l’imbrago, chiodi da ghiaccio, discensore e piccozza.
Occidentali bisogna guadagnarseli, mentre nelle Dolomiti sono
Aver frequentato montagne tanto intense mi ha reso sicuro,
straordinaria quotidianità. Inutile dire che le foto più belle
forte dell’idea che nessun altro luogo potesse colpirmi allo
degli ultimi anni le ho fatte proprio lì.
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2.500 X 50 X 89 X 250 X 50 Lo aspettavano a Falcade per una serata con un noto alpinista. Ma a Falcade è arrivato a notte fonda, quando ormai era tutto buio. Cinquanta è il primo numero di questa equazione e sono gli anni del secolo scorso nei quali è ambientata. Ottantanove sono quelli all’anagrafe di Piero de Lazzer, il protagonista. Duemilacinquecento i metri di dislivello in salita (e 3.000 quelli in discesa) che questo insospettabile freerider d’antan percorreva con pesanti sci di legno quando ha completato la prima traversata della Catena Nord delle Pale di San Martino. Qualcosa come San Martino di Castrozza-Cima Vezzana-Val Strut-Cima Bureloni-Passo delle Farangole Pas-
> Rosetta Arnaud si cala in doppia per 20 metri nel canale della Rosetta (fotografato anche in apertura), ripida alternativa alla classica discesa sotto la funivia (a sinistra). Aaron nel canale della Rosetta (sopra). L'altipiano delle Pale di San Martino (doppia precedente)
so Mulaz-Falcade. Solo che a volte non tutto andava per il verso giusto. Appunto, come quel giorno in cui mancò l’appuntamento alla serata di Falcade. A causa della nebbia scesero per oltre 400 metri per la valle delle Galline per poi dover risalire. Fu uno dei primi inoltre, dopo Alfredo Paluselli, a percorrere la traversata delle Dolomiti da San Martino a Cortina. Altri numeri scorrono veloci nella contabilità delle Pale di San Martino. Duecentocinquanta sono i chilometri quadrati di questo gruppo del versante meridionale delle Dolomiti. Cinquanta quelli dell’altipiano che ne occupa la parte centrale. Ecco perché le Pale di San Martino
sono rimaste un mondo a parte nel caleidoscopio del turismo di massa dolomitico. Un piccolo Nord dove ancora oggi c’è (un po’) meno gente a tracciare e a disegnare otto nei canali, la specialità locale. «Rispetto a qualche anno fa i couloir più famosi sono sicuramente più battuti, l’anno scorso è venuto anche Jérémie Heitz a provarne un paio, ma ci sono angoli ancora selvaggi e canali con poche ripetizioni, perché l’avvicinamento è più lungo: l’altopiano è ancora uno spazio dove si può fare esplorazione» dice Eric Girardini, Guida alpina e pioniere della seconda generazione di esploratori del ripido sulle Pale.
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I PRIMI SCI LARGHI Un gruppo di amici con tanta passione per la montagna e il ripido, l’esplorazione alpina e lo sci. Il verbo si diffondeva con il passaparola, niente social. E il fuoripista in Dolomiti era perlopiù vietato. Loro seguivano le orme di Diego Dalla Rosa, che negli anni Ottanta aveva iniziato a frequentare i primi canali ripidi del gruppo delle Pale e delle Vette Feltrine, e suonavano la musica della velocità e del vuoto sotto i piedi. Erano, oltre al Colonnello (Diego Dalla Rosa), Hermann Crepaz, Mauro Rubin, Willy Marin, Leopoldo Barbiroli ed Eric Girardini, poi si sono aggiunti tanti altri amici. Sono stati i primi, nell’era moderna, ad avventurarsi lassù con gli sci larghi, nel cuore delle Pale di San Martino, e ad aprire diverse discese nei canali. Erano anni nei quali in quota fuori dai percorsi classici non incontravi nessuno. Le Pale un paradiso per pochi, pochissimi. «Qui la funivia della Rosetta chiude troppo presto, ad aprile, quando in quota inizia il bello, nelle altre stazioni delle Dolomiti i canali sono ancora facilmente raggiungibili con le funivie, sulle Pale devi sempre pellare» aggiunge Eric. Poi da queste parti, ascoltando l'eco di questi pionieri, sono arrivati anche il fotografo Mattias Fredriksson e Kaj Zackrisson, immortalato in uno dei video dell’Euro Road Trip della Salomon Freerski Tv del 2010 e il contest fotografico-freeride King of Dolomites. Nel 2015 una traversata delle Dolomiti che ha riguardato in buona parte le Pale con Bruno Compagnet, Seth Morrison, Giulia Monego e il fotografo Jeremy Bernard, ma questa è storia moderna.
> Esposizione Aaaron scende il ripido ed esposto canale della Forcelletta a Cima Rodetta
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> My way Angoli meno battuti sulle Dolomiti > Bureloni Un classico delle Pale di San Martino: il canale Bureloni. Bruno Compagnet ha avuto la fortuna di sciarlo tante volte tutto solo. L'anno scorso l'ha provato con la sua compagna Layla ŠLayla Jean Kerley
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BRUNO E I C O RV I D E L L E PA L E
Sulle dita ha tatuato la scritta True Crow, corvo vero. Come uno di quelli che volteggiano sulle forcelle dolomitiche. Chi non lo conosce Bruno Compagnet, originario dei Pirenei? Ma che cosa c’entra con le Pale di San Martino? «La storia è semplice, mi sono innamorato di una ragazza di questi paesi che faceva la stagione a Chamonix, così ho iniziato a frequentare San Martino di Castrozza e le Pale». E naturalmente continua a frequentare queste valli. «Mi si è aperto un mondo, in quota non c’era nessuno, era il paradiso, diverso da Chamonix, dove poter tracciare la tua linea solitaria, senza dover fare la coda per la powder. Le discese nel bosco della Val Cigolera, quando nevicava, erano per pochi intimi». Ora naturalmente non è più così, o meglio, non è solo così. «Le prime guide sul freeride in Dolomiti hanno cambiato il mondo, sono arrivati in tanti» gli fa eco Eric Girardini, uno dei primi compagni di
gita di Bruno sulle Pale. «Oggi la Val Cigolera durante una nevicata si riempie velocemente di scie, i canali del Bureloni, del Travignolo, della Pala sono conosciuti, però quello che mi ha sempre affascinato delle Pale è che rispetto alla Marmolada, al Pordoi, a Gressoney, c’è meno gente, sei un po’ più isolato dal mondo» continua Bruno. Ai tempi delle prime scorribande c’erano tanti divieti. «Il fuoripista era praticamente vietato, poi è stato concesso a patto di avere l’attrezzatura di autosoccorso: ricordo ancora un paio di volte che sono stato fermato, con un finanziere ho fatto finta di non capire l’italiano e sono scappato, voleva sequestrarmi l’attrezzatura». Ma in definitiva perché venire sulle Pale? «Per l’architettura dei canali, per il paesaggio, per il silenzio, non in assoluto per la neve anche se con un po’ di fortuna può essere molto bella, ma attenzione al vento». Parola di Bruno.
E se nevica? Nella zona della Val Cigolera, raggiungibile con gli impianti di risalita del comprensorio San Martino di Castrozza-Tognola, si scia in un bosco rado di larici, su un dislivello che si avvicina ai mille metri. Un’opportunità in caso di maltempo.
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Le 3 traversate delle Pale 1 > Traversata delle Pale - Val Canali La traversata classica della Pale, abbastanza facile, richiede un po’ d’orientamento e di attenzione nel superare l’incredibile dedalo di doline e vallette che si alternano prima di arrivare al Passo Canali. Itinerario: dall’uscita della funivia della Rosetta puntare alle buche sotto all’omonimo rifugio e, indossate le pelli, si risalgono a mezzacosta i pendii che portano all’Altopiano delle Pale di San Martino. Da qui individuare la Fradusta e puntare al vallone che porta naturalmente fino all’evidente cresta Nord-Est che unisce la Forcella Alta del Ghiacciaio con la Cima della Fradusta Stessa. Salire il ripido crinale che conduce alla cresta e seguire quest’ultima fino alla cima. Discesa: scendere tutta la dorsale della cresta Nord-Est fino alla Forcella Alta del Ghiacciaio e continuando nella direzione opposta di quella di provenienza (Nord -Est) si supera un colletto per raggiungere la zona dei Foc di Sopra, si scende l’evidente canalone che porta ai Foc di Sotto, dal quale poi si individua il Passo Canali. Raggiungerlo in leggera spinta per entrare nella Val Canali. La discesa non è obbligata fino all’ingresso nel bosco che conduce con un traverso al Rifugio Treviso (traverso a volte ghiacciato o con poca neve, attenzione a non scendere troppo nel vallone principale che diventa impercorribile nell’individuare l’ingresso nel
bosco). Dal rifugio se l’innevamento lo consente è consigliabile scendere il canalone appena a Sud di questo che porta a fondo valle, altrimenti per il bosco dove corre il sentiero estivo. Continuare poi per la strada forestale fin dove l’innevamento lo consente. È necessario prevedere un transfer per rientrare a San Martino o assicurarsi della presenza dello ski-bus. 2 > Traversata delle Pale - Scalette della Val di Roda per il Passo di Ball L’anello più remunerativo del Gruppo, con lunga discesa verso San Martino. Bisogna farlo nel momento giusto per trovare firn nel vallone Pradidali e polvere stabile in Val di Roda. Itinerario: dall’uscita della funivia della Rosetta puntare alle buche sotto all’omonimo rifugio, e, indossate le pelli, si risalgono a mezzacosta i pendii che portano all’Altopiano delle Pale di San Martino. Da qui con un lungo giro a mezzacosta sotto i pendii della Cima di Roda e di Cima Scarpe ci si porta in prossimità del passo Pradidali Alto. Scendere il ripido pendio che porta alla forcella sottostante e, attraversando a destra sotto le verticali pareti della Pala di San Martino, di Cima Immink e di Cima Pradidali, arrivare alla zona del Lago Pradidali senza però scendere troppo nella valle per non perdere quota. Risalire ora in direzione del Rifugio Pradidali e poi, girando verso Ovest, i pendii sotto al Campanile Pradidali, che con-
ducono in circa 30 minuti al Passo di Ball. Dall’ altra parte della forcella c’è un vallone incassato ed esposto a Nord, con neve spesso molto bella, che scende con pendenza mai eccessiva, aggirando la Torre Felicita. A volte è necessario ricorrere alla corda per superare un breve salto di roccia. Il canale che segue invece è spesso piuttosto stretto e bisogna avere una buona tecnica per poterlo sciare divertendosi. Uscire a sinistra appena i pendii lo consentono per accedere al canale parallelo, perché quello principale è sbarrato da un salto di roccia. Si supera una breve fascia ripida e a volte poco innevata per sciare poi i divertenti pendii nel bosco fino ad arrivare al letto del torrente che dà nome alla Valle. Superati il torrente e i grandi massi erratici, si arriva alla strada forestale. Da qui per tornare al parcheggio della telecabina del Colverde occorre seguire la forestale in direzione Nord prima in leggera salita, poi in discesa. 3 > Traversata delle Pale Sponde Alte/Gares Itinerario poco frequentato ma molto bello e con neve spesso in ottime condizioni per l’esposizione a Nord e per la protezione dai venti. Itinerario: dall’uscita della funivia Rosetta scendere lungo i pendii che portano in prossimità del rifugio Pedrotti, puntando alla sella appena sotto; scendere ancora in direzione delle Sponde Alte, seguendo il sentiero estivo 756 per il Passo dell’Antermarucol fino al punto più basso (2.469 m). Attenzione a non scendere troppo a sinistra verso il Piano dei Cantoni (sentiero estivo n. 703). Seguire ancora la direttrice del sentiero estivo fino a una zona
pianeggiante, individuando il canale che porta alla spalletta tra le Sponde Alte e un colle (quota 2.536 m), salirlo fino a raggiungere il colle più alto sulla sinistra, tenendo le Creste delle Sponde Alte sulla destra. Discesa: spingendo e sciando si arriva al Passo dell'Antermarucol. Qui inizia la vera discesa. Si punta inizialmente al sinistro idrografico del vallone per portarsi poi sul fianco destro e, all'altezza dell'ultimo contrafforte roccioso, si traversa a destra fino ai pendii che sovrastano la Malga Valbona. Non conviene scendere fino alla Malga, ma attraversare verso destra (Est) per tenersi alti e puntare all’estremità inferiore del Sasso Negro (necessarie nevi assestate) andando a riprendere la traccia del sentiero estivo n. 756 (attenzione a non scendere troppo per la presenza di alte barre rocciose). Si continua a traversare in costa nel bosco superando due canali di slavina che scendono da Forcella Cesurette, da dove un ripido pendio boscoso scende verso la piana di Gares. Si possono seguire i tornanti del sentiero estivo o, se l’innevamento è abbondante, al termine del traverso nel bosco c’è uno slargo che scende a Casere Cesurette e poi alla Capanna Cima Comelle nei pressi delle piste da fondo. Attenzione a non scendere troppo presto nel bosco per la presenza di salti nei primi canali. Bisogna prevedere un transfer per il rientro oppure per gli impianti di Falcade da dove, attraverso fuoripista e ripellate, si possono raggiungere la Val Venegia e Passo Rolle e poi la vecchia pista di sci per il paese, ma diventa un itinerario molto lungo. Relazioni a cura di Leopoldo Barbiroli ed Eric Girardini
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QUANTO INCIDE L'ATTREZZATURA? Quattro domande a tre interpreti della nuova generazione di ripidisti Dominik, Cristian, Tommaso. All’anagrafe, rispettivamente, Bartenschlager, Dallapozza e Cardelli. Gli ultimi due probabilmente li conoscete già perché sono anche testatori della nostra Buyer’s Guide e hanno ripercorso le principali discese di Heini Holzer spostandosi by fair means con una e-bike. Dominik, invece, Guida alpina come Cristian
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e Tommaso, tedesco di Blaichach, un passato da agonista nello sci alpino, è uno degli esponenti della nuovelle vague dello sci ripido tedesco con diverse ripetizioni classiche e la discesa del versante Est del Kazbek, tra Georgia e Russia. Tutti e tre fanno parte del team di ambassador di ATK Bindings. Come è cambiato lo sci ripido? TOMMASO: Negli anni Ottanta gli sci erano lunghi, dritti e stretti e gli scarponi rigorosamente da pista così come gli attacchi. Non era raro sentire storie di ripidisti che avevano avvitato gli scarponi direttamente allo sci, per evitare aperture indesiderate dell’attacco. Il ripido era riservato a pochissimi fuoriclasse, molto bravi tecnicamente e con un allenamento eccezionale grazie alla pe-
CRISTIAN: Ciò che fino a qualche anno fa era riservato a pochi, oggi sta diventando quasi un classico. Il peso contenuto degli attacchi fa la differenza quando la cima della montagna bisogna guadagnarsela con le proprie gambe. Per me questo è un fattore molto rilevante, più di tutto. Qual è l’attrezzatura del ripidista moderno? DOMINIK: La cosa più importante è avere sci e attacchi sui quali puoi davvero fare affidamento. Oltre al kit di primo soccorso, pala, sonda e luci io di solito porto con me una corda corta e sottile, un'imbracatura, pelli, viti da ghiaccio, ramponi o una piccozza (o talvolta entrambi). Preferisco prendere tutto il materiale di cui ho bisogno per essere in grado di muovermi velocemente, ma essere comunque al sicuro se qualcosa non va come previsto.
©Giovanni Danieli
CRISTIAN: Io aggiungo che, per quanto mi riguarda, gran parte del lavoro lo fa la testa, ma naturalmente oltre alla preparazione fisica e tecnica, la scelta dell'attrezzatura va curata nel dettaglio. Gli sci non devono essere né troppo larghi né troppo sciancrati o sbananati, meglio attrezzi classici.
TOMMASO: Oggi la maggior parte dei ripidisti usa sci da sante attrezzatura da portare in salita. Oggi l’approccio è freetouring, non troppo pesanti e con performance in dicompletamente cambiato, il livello medio di tanti sciatori scesa veramente alte, scarponi da 1,5 kg e gli ormai insostiè cresciuto e al tempo stesso i materiali hanno fatto un tuibili attacchini tech. enorme passo in avanti, aiutando tutti a giocare in modo Qual è stata l’evoluzione dei materiali? più sicuro e divertente. TOMMASO: Soprattutto l’evoluzione del pacchetto scarDOMINIK: L’evoluzione principale è nella quantità di per- poni-attacchi, che ha permesso di risparmiare tanto peso e sone. La maggior parte delle discese appaiono sui social me- guadagnare in efficienza nella salita senza compromettere dia e non c’è bisogno di troppa fantasia e preparazione per le performance in discesa. Personalmente il passaggio dasciare su terreni ripidi. Seduto sul mio divano di casa posso gli attacchi classici da pista o freeride agli attacchini tech raccogliere molte informazioni affidabili sulle condizioni di ha richiesto molto tempo per adattarmi. All’inizio non era linee come Mallory, Marinelli o simili. Le linee ripide dav- raro avere rotture e sganci improvvisi e ovviamente, su un vero avventurose, non troppo facili da raggiungere o forse terreno dove non è consentito sbagliare, le due cose non andavano d’accordo! solo non molto conosciute, rimangono però intatte.
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> materiali
Tommaso Cardelli ©Giovanni Danieli
©Giovanni Danieli
Cristian Dallapozza
Dominik Bartenschlager
CRISTIAN: Gli scarponi sono migliorati tanto, ce ne sono di molto leggeri ma con ottima tenuta in discesa, ideali per lo sci ripido. L'attacco non va sottovalutato: sappiamo tutti che perdere un attrezzo su determinate pendenze equivale a una scivolata con conseguenze spesso disastrose. Ecco perché voglio un attacco solido, con molle performanti, come ATK Bindings Freeraider 14 2.0. La base d'appoggio larga, lo spacer per la talloniera e la robustezza della struttura garantiscono una bella sicurezza anche su nevi difficili. DOMINIK: Il più grande cambiamento è il peso del materiale. Ora puoi sciare con un set leggero senza preoccuparti della stabilità. Soprattutto gli attacchi a pin sono migliorati enormemente, se necessario puoi semplicemente bloccarli e sentirti sicuro. In terreni veramente ripidi e tecnici non puoi sciare troppo velocemente, quindi questo tipo di attacco funziona perfettamente. Inoltre consente lunghe risalite senza lo sforzo di spostare un equipaggiamento pesante. ATK ha realizzato da tempo il modello ideale per leggerezza e rigidità, che è il mio preferito per lo sci ripido: il Freeraider 14 2.0.
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Come vedi il futuro? TOMMASO: Si sono raggiunti livelli di sicurezza elevati, uno sgancio indesiderato dell’attacco è praticamente impossibile e grazie a uno spacer sotto il tallone anche la torsione laterale dello scarpone sullo sci è diminuita tantissimo. Con Freeraider 14 2.0 non ho mai avuto nessun problema ed è il mio preferito per ogni terreno. Nei prossimi anni nuovi materiali porteranno ancora a una diminuzione del peso a tutto vantaggio di noi malati della neve e del ripido. CRISTIAN: Grazie ai miglioramenti tecnici, il futuro riserverà avventure sempre più estreme: quote maggiori, pendenze al limite della fisica e concatenamenti di grandi montagne. DOMINIK: La popolarità dello sci ripido e i progressi tecnologici potrebbero portare troppe persone sulle discese conosciute e rendere difficile gestire eventuali imprevisti. È importante muoversi all’interno dei propri limiti. Però ci sono molti giovani ambiziosi e talentuosi che hanno la possibilità di spostarsi rapidamente e provare diversi terreni: tante linee intatte verranno sciate.
It’s my nature
PONTEDILEGNO-TONALE BREAKING NEWS www.pontedilegnotonale.com
8 DICEMBRE
28 DICEMBRE - 4 GENNAIO
WINTER OPENING PARTY
FIACCOLATE DI CAPODANNO
Ice music edition
Benvenuto 2019!
La festa che apre la stagione invernale è come sempre in piazza XXVII Settembre, nel cuore dell’isola pedonale, a Ponte di Legno. La serata sarà presentata dai dj di RTL 102.5, Angelo Baiguini e Massimo Alberti. Special Guest: Giovanni Sollima in concerto con il famoso violoncello di ghiaccio, che introdurrà l’Ice Music Festival.
Come ogni anno tornano le tradizionali fiaccolate organizzate in collaborazione con i Comuni di Temù, Ponte di Legno e Vermiglio, con il prezioso contributo delle scuole di sci, che trasformeranno in un caleidoscopio di luci e colori le piste del comprensorio. E dopo l'emozionante discesa, tutti con il naso all'insù per l'immancabile spettacolo pirotecnico in attesa di festeggiare insieme l'arrivo del nuovo anno.
©Pino Ninfa
It’s my nature
©Phototeam
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28 dicembre a Temù Pista Temù animazione con dj e spettacolo pirotecnico; 30 dicembre al Passo Tonale Pista Alpe Alta - musica e vin brulè; 31 dicembre a Ponte di Legno Pista Corno d’Aola a seguire spettacolo pirotecnico; 4 GENNAIO - 9 MARZO ALBA IN QUOTA TRENTINO SKI SUNRISE La giornata inizia presto grazie all’apertura anticipata degli impianti di risalita per raggiungere il rifugio dove ci aspetta una gustosa colazione a base dei prodotti tipici locali, dolci e salati, sulle note musicali di un concerto live. Dopo avere ammirato insieme il sorgere del sole, potremo affrontare le piste immacolate in compagnia dei Maestri di sci. > Venerdì 4 gennaio Corno d’Aola (Ponte di Legno); > Mercoledì 6 febbraio sul ghiacciaio Presena; > Sabato 9 marzo sul ghiacciaio Presena.
19 GENNAIO CASPOLADA AL CHIARO DI LUNA
Appuntamento a Vezza d’Oglio
4 gennaio al Passo Tonale Pista Paradiso - musica e vin brulè.
©Corrado Asticher
28 DICEMBRE - 4 GENNAIO TABIÀ DE NADAL
I mercatini di Natale di Temù Tradizionali mercatini di Natale inseriti negli angoli più suggestivi del centro storico, con l’immancabile vin brulé, degustazioni dei prodotti tipici del territorio, musica, intrattenimento e area dedicata ai bambini. Si potranno trovare i prodotti tipici: dai dolci agli addobbi, dai biscotti alle piccole idee regalo, dalle bambole in pezza alle candele, dalle statue di legno agli oggetti in vetro e ceramica.
Il chiarore quasi magico della luna, il calore emanato dalle numerose fiaccole e falò lungo tutto il percorso, il silenzio maestoso della montagna rotto a tratti dal vociare festoso della gente, gli scenari suggestivi che si aprono a ogni passo fanno di questo evento un’esperienza da non perdere e un appuntamento denso di forti emozioni, giunto alla diciannovesima edizione.
Anche per la stagione invernale 2018-2019 sarà possibile acquistare lo skipass online a un prezzo agevolato sul sito www.pontedilegnotonale.com
> valanghe
Scarpa F1 + Recco: meglio che senza Testo e foto di FEDERICO RAVASSARD
Il noto modello della casa veneta è il primo a montare la piastrina riflettente. Che funziona, come abbiamo potuto constatare in una prova di ricerca con l’elicottero
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«Ma se si ha già un ARTVA addosso a cosa serve il Recco?». Questa, a primo impatto, è stata la domanda che ci eravamo fatti al lancio del nuovo Scarpa F1, modello bestseller delle scorse stagioni ora aggiornato con, appunto, una placchetta riflettente Recco. Un sistema che, in poche parole, permette di captare e far rimbalzare un segnale radio emesso da un dispositivo in dotazione al Soccorso Alpino e ai soccorritori di oltre 800 stazioni sciistiche nel mondo. Nei fatti si traduce in una piastrina contenente un diodo di appena 4 grammi che può essere integrata in capi d’abbigliamento, attrezzatura o, come nel caso dell’F1, nella fascia che assieme alla leva costituisce la chiusura del gambetto. Non richiede energia, non va acceso ed è sempre pronto per essere ricercato: la funzione infatti è quella di fare da riflettore per il segnale emesso dal rilevatore, del quale esistono due versioni. La prima, pensata per i soccorritori a terra, va utilizzata a mano, pesa poco meno di un chilo e permette di ricercare in un raggio d’azione fino a 80 metri in spazi vuoti o 20 metri attraverso la neve, captando allo stesso tempo anche il classico segnale radio di un ARTVA. La seconda, invece, è decisamente più muscolare: una campa-
Photo © Christoph Oberschneider
na di 80 chili (40 di elettronica e 40 di batteria) che viene appesa al gancio baricentrico di un elicottero e permette di cercare lungo un cono di 200 metri volando a più di 50 nodi: in pratica, un’area di un chilometro quadrato può essere sondata in sei minuti, un tempo di gran lunga inferiore a qualsiasi altro sistema. Qualcuno potrà obiettare che l’unico strumento veramente efficace rimane l’autosoccorso tramite dispositivi ARTVA: è vero. Ma esattamente come un’automobile dispone già di freni e airbag, questo non vuole dire che i sistemi antibloccaggio siano inutili, giusto? Il sistema Recco su uno scarpone da scialpinismo (il primo a disporre di questa tecnologia, tra l’altro) va visto come un’ulteriore integrazione del pacchetto sicurezza di cui si dovrebbe sempre disporre oltre al classico kit aps, come lo zaino airbag, il casco, un telo termico e un astuccio del pronto soccorso sempre con sé; nessuno strumento è superfluo quando si tratta di riportare la pelle a casa quando le cose in montagna si fanno complicate. In occasione del lancio, a Courmayeur, abbiamo potuto assistere in prima persona a una prova di ricerca tramite il ricevitore montato su elicottero: decollati dal piazzale di Skyway, il mezzo si è diretto verso la Val Veny, con i passeggeri dotati di auricolari dai quali ascoltare il classico bip-bip che si intensifica quando si sorvola il bersaglio. Questione di una manciata di secondi per una distanza di un paio di chilometri percorsi: non appena il segnale si è fatto più intenso, l’apparecchio ha marcato automaticamente la posizione GPS, da cui, in una reale operazione SAR (Search and Rescue), sarebbero cominciate le operazioni di recupero.
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> sicurezza
CON HERVÉ A SCUOLA DI SICUREZZA Botta e risposta con Barmasse sull’andare in montagna, le valanghe, l’attrezzatura da auto-soccorso Testo di TATIANA BERTERA
A Cervinia Hervé Barmasse si sente a casa e spesso utilizza il comprensorio per organizzare, insieme al Consorzio Cervino Turismo, eventi educational sulla sicurezza. E mentre, sci ai piedi, si sale verso l’alto, si ha anche il tempo di fare due chiacchiere. L’andare in montagna comporta pericoli oggettivi. La montagna in totale sicurezza non esiste. Quanto le persone hanno la percezione di ciò? «In generale poca perché informarsi costa fatica e la maggior parte delle persone non ama leggere bensì sfogliare le belle foto su Instagram da cui traggono ispirazione per cercare di emulare l’alpinista, il corridore o lo scialpinista senza sapere che per diventare un ‘campione’ e assumersi quel tipo di rischio ci sono voluti anni di esperienza e sacrifici». La tv e i media in generale ci hanno abituati a filmati di imprese pazzesche. Le classiche riprese in stile don’t try this at home. Ritieni che la loro diffusione porti a una sorta di esaltazione o emulazione? «No, se si usa l’intelligenza. I filmati possono portare a pensare vorrei farlo anche io, ma non ci vuole troppo impegno per capire che certe imprese non si possono improvvisare. Dunque il problema non sono i filmati ma la nostra capacità di valutazione». Sei papà da poco. È cambiata la tua percezione del pericolo? Ma soprattutto, rimane uguale il modo di affrontarlo? «La percezione è rimasta la stessa. C’è però un senso maggiore
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di responsabilità che non significa osare meno o più paura, ma una valutazione più attenta quando devo prendere delle decisioni in situazioni estreme». Arriva l’inverno e la voglia di calzare gli sci è tanta. Alle prime nevicate sono in molti quelli che rischieranno di sottovalutare il pericolo. Quali aspetti sono di solito maggiormente trascurati? «Ce ne sono molti. La credenza più sciocca è quando si pensa che una volta caduta una valanga non ne possa scendere una seconda. Ti dirò di più, il distacco di una valanga crea maggiore instabilità del manto nevoso e quindi, a volte e in determinate condizioni, aumenta la possibilità che se ne verifichi un’altra. Oppure si pensa, a torto, che dove ci sono i boschi non scendano valanghe. Altro mito da sfatare è conosco bene il posto e quindi posso andarci sempre. Le variabili sono molte e vanno valutate attentamente giorno per giorno ed è buona norma fare un test del manto nevoso, soprattutto se si affronta una discesa che non coincide con la via di salita». Parlando di valanghe, per descrivere il pericolo ci affidiamo alla scala europea redatta da SLF che è una descrizione semplificata della realtà. Ritieni che possa essere fuorviante, soprattutto agli occhi dei meno esperti? «La scala di cui parliamo è una macroscala alla quale bisogna fare sempre riferimento, affidabile e corretta. Poi ci sono anche altri accorgimenti che non dobbiamo dimenticare e che ci aiutano a ragionare nel piccolo durante la nostra gita. Ad esempio (solo per citarne alcune) esaminare attentamente il percorso scelto, l’esposizione dei pendii, la pendenza, le oscillazioni delle temperature che trasformano il manto nevoso e se ha soffiato vento nei giorni precedenti alla gita». ARTVA, sonda e pala sono i tre strumenti per sciare fuori dalle piste. Sono sufficienti? «Sono gli unici strumenti che ti permettono di salvare una vita nei primi minuti dopo il seppellimento di una persona travolta dalla neve. A questo va aggiunto un kit di primo soccorso in un sacchetto trasparente, in modo da poter andare a reperire immediatamente gli oggetti in caso di necessità e negli ultimi due anni, personalmente, aggiungo anche un comunicatore satellitare. Sono molte le zone in cui non prende il nostro telefo-
©Marco Spataro
no e voglio esser certo, in caso di necessità, di poter allertare i soccorsi. Per questo motivo nel mio zaino ho sempre Mini Inreach. Ovviamente la tecnologia in sé non basta, bisogna saperla usare. Questo significa allenarsi nella ricerca ARTVA, nell’utilizzo della sonda e delle tecniche di disseppellimento oltreché un corso di primo soccorso. Le Guide alpine, ma anche aziende come Ortovox con la quale collaboro durante i miei educational, lo fanno da anni e sono molto interessanti, oltre che utili». Che caratteristiche deve avere un buon ARTVA? «Senza addentrarmi nei dettagli, soprattutto per chi è alle prime armi, deve essere semplice e immediato da utilizzare». Come scegliere la pala e la sonda. Spesso si tende a comprare quelle più piccole e leggere, da gara, per questioni di peso, ma sono efficaci come quelle più strutturate? «Partiamo dal presupposto che nelle gare non dovrebbero esserci mai emergenze valanga perché si svolgono su percorsi tracciati e bonificati; per questo motivo l’equipaggiamento leggero è ben accetto. Ma in una vera emergenza su valanga, una pala più pesante e strutturata di quelle race e una sonda robusta fanno la differenza». Come comportarsi in caso di valanga? Cosa fare prima e dopo, in ordine, senza panico? «Mentre il resto del gruppo inizia subito la ricerca ARTVA se possibile si devono subito allertare i soccorsi. Se invece è impossibile perché ci si deve allontanare (ad esempio il cellulare non prende), prima si deve procedere con le operazioni di ricerca su valanga e solamente dopo, una volta ritrovati i sepolti, oppure se siamo soli e non si riusciamo a trovarli, cercheremo aiuto».
Safety Academy Ortovox organizza dal 2008 moltissimi eventi legati alla sicurezza, che è nel dna dell’azienda. Ad esempio Safety Academy, una vera e propria accademia della sicurezza con programmi di formazione uguali su tutto l’arco alpino, studiati e sviluppati da Guide alpine UIAGM sulla base dei protocolli internazionali. Oppure le Safety Night: corsi notturni con cena o brindisi finale in rifugio che si tengono tra metà gennaio e metà febbraio. La partecipazione alle Safety Night è gratuita e l’iscrizione avviene attraverso il sito (Guide Piergiorgio Vidi e Adriano Alimonta: 1 febbraio - Mmove Guida Mauro Girardi: 8 febbraio). Infine i Safety Event sulla sicurezza su neve, generalmente organizzati per un livello base e legati all’iniziativa di negozi tecnici: Sportway, Alpe Arza (Verbania): 9 febbraio - Pesavento Sport, Rifugio Larici (Asiago): 16 febbraio - Seven Summits, Rifugio Vittoria (Lago Santo Modenese): 23 febbraio. Per info e iscrizioni www.ortovox.com
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C’ERAVAMO TANTO AMATI Meno gare, fine del boom delle notturne, fenomeno localizzato in poche valli, vendita di attrezzi in calo: lo skialp agonistico, dopo i fasti di un lustro fa, non è più di moda. Ma i numeri del mondo giovanile sono in crescita Testo di LUCA GIACCONE
Come sta lo skialp agonistico in Italia? Azzurri sempre protagonisti tra Coppa del Mondo e La Grande Course, ma qual è la situazione del movimento sulle nostre montagne? Partiamo da un dato: in Federazione Italiana Sport Invernali non esiste un numero ufficiale dei tesserati per lo skialp. In realtà non c’è di nessuna specialità, perché nel momento in cui mi tessero non devo specificare il settore. In seconda battuta abbiamo sentito il centro elaborazioni dati della FISI per capire se fosse possibile risalire al numero dei partecipanti partendo dalle graduatorie delle società. Anche in questo caso porte chiuse: si prendono in considerazione solo i risultati di chi fa punti, non di quanti erano in gara. Però ci hanno assicurato che dal prossimo anno, o meglio da fine stagione, il nuovo sistema FisiOnline e soprattutto le recenti indicazioni del CONI sul registro delle società obbligheranno i club a specificare quale disciplina praticano gli associati. Detto questo, abbiamo provato a fare un calcolo empirico attraverso un’analisi della situazione riguardando graduatorie, calendari, classifiche degli ultimi dieci anni.
lo di un concentramento dell’attività in sempre meno club. Nel 2008 nelle prime dieci posizioni c’erano società come Ski Team Fassa o l’Aldo Moro, nel 2009 il Cervino Valtournenche era terzo per l’attività giovanile. Già in quegli anni Brenta Team e Alta Valtellina si contendevano il primato (nel 2011 addirittura erano primo e secondo davanti all’Esercito), ma nel corso delle stagioni le sigle ricorrenti erano sempre le stesse: SO, TN, al massimo qualche AO, BL, BS, LC. Arriviamo al 2018 e i nomi sono sempre di più gli stessi con la Valtellina a farla da padrone: Alta Valtellina seconda, Albosaggia terza, Sondalo sesta, Valtartano ottava, Lanzada tredicesima. E ancora tante Alpi Centrali con Adamello Ski Team, Premana, Gromo, 13 Clusone, Valle Anzasca: in totale dieci club nelle prime venti posizioni. Predominio ancora più marcato ristringendo il discorso all’attività giovanile: degli otto club che superano i 100.000 punti, ben sei sono lombardi. Tiene il Trentino con il Brenta Team (quarto assoluto e sesto tra i giovani) e il Bogn da Nia, la Valle d’Aosta è rappresentata solo dal Corrado Gex (terzo per l’attività giovanile), in Veneto Dolomiti Ski-Alp e Sci CAI Schio. Negli GRADUATORIE - Se i numeri tutto sommato tengo- altri Comitati un calo evidente: nelle Alpi Occidentali no, controllando i punteggi, il dato che emerge è quel- c’è il solo Tre Rifugi Mondovì (ma numeri bassissimi
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> agonismo G R A D UAT O R I E F I S I S C I A L P I N I S M O Club in classifica
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110
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50
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80
Sci Cai Schio 1910
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Dolomiti Ski-Alp
150
Adamello Ski Team
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Lanzada
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As Premana
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Gromo
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Bogn Da Nia Val De Fasha
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C13LClusone ASSIFICHE Totale
75 1.340
*primi 15 sci club nella graduatoria Fisi 2017/2018, escludendo Centro Sportivo Esercito e Sud Est Ski Team Aetna (sci club organizzatore Campionati Europei) ** numero indicativo di agonisti, compresi i giovani, fornito dai club
per l’attività sui Giovani), stesso discorso nel FVG con l’Aldo Moro, solo impegnato a livello Senior. CALENDARI - Un altro dato significativo sul movimento è quello di controllare il calendario FISI degli ultimi anni. C’è stato un calo: un aspetto che può anche non essere letto in senso negativo, considerando che con meno gare ci sono meno
contemporaneità e dunque più partecipanti ai singoli eventi, e considerando anche che in Paesi tradizionalmente forti nello skialp come Francia e Svizzera si arriva alla metà delle gare nel calendario nazionale rispetto e quello italiano. Ma c’è anche un altro punto: fino al 2015 le tre gare LGC italiane, la stessa Sellaronda e moltissime notturne erano dentro, mentre adesso per motivi diversi sono extra FISI. Fatta questa precisazione, resta
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un dato evidente: il Comitato che tira il movimento è quello delle Alpi Centrali. Un numero di gare costante, tantissime prove che riescono a dare continuità, neve permettendo (in primis il Parravicini, poi Valtellina Orobie, Presolana, Valtartano, Valle di Rezzalo, Pizzo Tre Signori, Pizzo Scalino, Tour del Monscera, Scialpinistica dell’Adamello), altre che fanno ricambio (come Rosa Ski Raid, Mario Merelli c’è, ValcanUp…). «Direi che la situazione è in crescita in alcuni settori - spiega Ivan Murada, anima della Polisportiva Albosaggia e tecnico della squadra del Comitato Alpi Centrali - in calo in altri. I club lavorano molto sui giovani, anche sui più piccoli e non a caso da noi si fanno molte gare per le categorie promozionali. Non c’è stata la concentrazione in poche società, ma tutte portano avanti
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il loro progetto, magari cercando di collaborare su certi aspetti. Così anche se in alcuni club erano rimasti in pochi, quei pochi hanno portato altri ragazzi e ragazze a fare skialp. Altro discorso, e parlo della Valtellina più che della Bergamasca, per i Senior: anni fa tutte le notturne erano super-partecipate, adesso c’è un calo notevole». Stesso discorso in Trentino. Meno gare certo, ma le storiche (Dolomiti di Brenta o Lagorai Cima d’Asta) tengono botta e nuove ne arrivano. Anche in Alto Adige poche ma buone e più o meno sempre le stesse (Valle Aurina, Val Martello, Tre Cime): si è perso il Tour de Sas, è entrato il Feuerstein. In altre aree la situazione è certamente meno brillante. Su tutte le Alpi Occidentali nel 2008 c’erano ben cinque gare lunghe (Tre Rifugi, Tre Valloni, Trofeo Besimauda, Alta Val Tanaro e prima ancora il Giro del Viso, tutte nel Cuneese, oltre a Periplo del Monte Rosso), nell’ultima stagione, dopo la parentesi di tre anni di Coppa del Mondo sul Mondolè, è rimasta solo la gara biellese. E pensare che ci potrebbe essere il traino (soprattutto a livello giovanile) di ben quattro azzurri da Lenzi (che è vero che è ossolano, ma adesso vive nel Cuneese e si allena sul Mondolè) a Eydallin, da Barazzuol a Katia Tomatis, senza dimenticare la base di tanti appassionati. Discorso analogo in Valle d’Aosta. Ci sono le due prove regine, Mezzalama e Rutor, altrimenti sono rimasti i soli Grand Paradis e Rollandoz che hanno deciso per la biennalità, alternandosi ogni stagione, mentre altre in ambiente (Fiou, Miserin, Fillietroz) non hanno trovato continuità. Vale quanto detto per il Piemonte: i valdostani forti ci sono, il Corrado Gex lavora tanto sui
> agonismo Giovani, ma alla fine in Comitato adesso ci sono solo tre atleti. Rimanendo a Nord-Ovest, pur tra mille difficoltà (la viabilità prima di tutto, con i segni dell’alluvione del 2016) si rivede la Coppa Kluedgen Acquarone, unica gara ligure, anche se adesso trasferita sulle montagne dell’Alta Val Tanaro, nel Cuneese. Anche il Veneto però soffre un po’: prove come la TransCivetta prima e come la Pitturina più recentemente hanno alzato bandiera bianca, rimane forte solo la TransCavallo. «Quando abbiamo deciso di fare i tre giorni - racconta Vittorio Romor - è stata una scommessa, ma alla fine siamo riusciti a vincerla. Ci siamo riusciti dando continuità ai tracciati: la macchina organizzativa è ormai rodata, gli atleti sanno che percorsi dovranno affrontare. Se cambi spesso diventa più difficile: i volontari, che sono la base di una gara, non sanno come muoversi sul territorio, gli stessi atleti non si affezionano. Per questo la Misurina Ski Raid, che organizzavamo come club e per tre anni di fila abbiamo dovuto rinviare per mancanza di neve, abbiamo deciso
di trasferirla da noi e siamo riusciti a farla ripartire. I numeri? In questi anni ci siamo stabilizzati, ma vedo ancora poco ricambio generazionale. Le squadre dei Comitati tengono i ragazzi e le ragazze fino agli Espoir, ma dai 23 anni, vuoi per studio o per lavoro, li perdiamo. Magari tornano dopo, spesso perché hanno maggiori disponibilità economiche. Ribadisco quello che dicevo quando ero nella Commissione FISI: va bene premiare i Master, ma non è dai Master che si mettono le basi del futuro». Nel FVG a Claut, dopo la parentesi mondiale, si è po’ fermato tutto, gare in ambiente ci sono ancora, ma vengono inserite nel calendario regionale e non in quello nazionale. Manca all’appello l’Appennino: solo due gare FISI in Abruzzo in questi anni. CLASSIFICHE - Rivisti i calendari, siamo andati a spulciare le classifiche, almeno di alcune delle gare che hanno mantenuto una certa continuità negli ultimi anni (neve e meteo permettendo ovviamente). Spicca un dato: i numeri sono abbastanza stabili, ma
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si impennano ovviamente quando la gara è prova di Campionato italiano o almeno di Coppa Italia, mentre negli altri anni restano molto territoriali. E allora, visto che queste prove storiche non possono essere tutti gli anni tricolori, perché non si consorziano per offrire comunque un confronto ancor più elevato? Una sorta di circuito interno dentro il calendario FISI: un progetto simile proposto qualche anno fa da Luca Salini con il Trofeo Crazy, che poi non ha avuto seguito. Perché non riproporre un circuito delle grandi classiche un po’ come avviene nel ciclismo con il Prestigio delle granfondo riservato tutto agli amatori? Molte di queste gare hanno ospitato la Coppa del Mondo, ma solo chi ha le spalle larghe va avanti e può trarne beneficio. Diversi organizzatori dopo l’esperienza internazionale hanno ridotto, se non bloccato l’attività. Qualche nome? Pitturina, Tour de Sas, Transclautana, Tre Rifugi… Meglio allora individuare delle gare che vogliano (e possano) ospitare la Coppa del Mondo che a turno entrino nel calendario ISMF. Potrebbe essere anche un vantaggio per la federazione internazionale che avrebbe così finalmente delle classiche in calendario, come nello sci alpino o nel fondo. Altro aspetto, quello dell’esplosione delle gare che sono entrate nella LGC: l’Adamello Ski Raid nell’anno che è passato nel circuito ha raddoppiato gli iscritti, continuando a crescere negli anni. «Noi al Mezzalama - spiega il direttore di gara Adriano Favre - abbiamo da tempo fissato un blocco alle 300 squadre. Se alcuni anni
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fa avevamo avuto qualche problema di overbooking, adesso la situazione si è stabilizzata. Arriviamo sempre alla quota massima, ma c’è stato, è vero, un calo delle iscrizioni delle squadre italiane compensato dall’aumento degli stranieri in gara». Stesso discorso per la Sellaronda che ha continuato ad aumentare il numero delle squadre al via, pur limitando il numero per gli italiani. Nel 2018 ha fatto il nuovo record: 638 squadre, 1.286 atleti, 133 donne. La sensazione è quella che gli skialper (visti anche gli aumenti dei costi, tra viaggi e attrezzatura) facciano sempre più una selezione. E la facciano a favore di quelle gare eroiche che fanno curriculum. E poi numeri da sempre chiamano numeri. Se la neve, come negli ultimi anni, arriva tardi, l’allenamento continua in bicicletta e sempre di più nel trail. La concorrenza del running è evidente: correre è più facile, magari ti alleni fino a dicembre e quando la neve arriva hai già in calendario la prima gara di corsa in primavera. Al massimo vai in pista. Una situazione che si sta modificando negli ultimi anni con sempre più località che hanno aperto le piste agli scialpinisti in alcuni giorni e orari della settimana dopo anni di chiusura totale. In alcune zone, pensiamo al caso più eclatante, quello del Monterosa Ski, ci sono tracciati permanenti e sicuri per le pelli. Così fai il Sellaronda che è in pista, duro, ma tecnicamente più accessibile, con il fascino della notturna. Ma se la neve arriva presto come in questo 2018, la scimmia riprende gli skialper, che sono in tantissimi a mettere le pelli a
> agonismo CLASSIFICHE Anno
*coppie **squadre di 3 ***campionato italiano/coppa Italia ****LGC *****Coppa del Mondo (F) donne
Tour du Grand Paradis*
Tour du Rutor*
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Adamello Ski Raid*
Sellaronda*
Lagorai Cima d’Asta
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107 (8F)
239 (26F)***
386 (27F)
170 (15F)***
97 (6F)
133 (9F)
496 (16F)
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502 (25F)
187 (12F) individuale
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214 (40F)*****
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228 (30F)***
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88 (7F)
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606 (20F)
166 (15F)*** individuale
53 (2F)
167 (22F)***
632 (22F)
81 (8F)***
62 (3F)
109 (16F)
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198 (10F) individuale
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186 (25F)***
2010/2011 2011/2012
106*** (6F)
91 (18F)* 106 (10F)
n.d.
232 (16F)****
50 (6F)*
2012/2013 2013/2014
147 (10F) 123 (11F)
334 (25F)****
2014/2015 2015/2016
312 (28F)****
2016/2017 2017/2018
330 (23F)****
348 (23F)****
173 (35F)***** 129 (15F)
120 (10F)
327 (21F)****
48 (6F)*
113 (6F)
287 (17F)****
326 (25F)****
164 (17F)
inizio novembre: se ci fosse una gara in ambiente a metà dicembre crediamo che farebbe il botto. Un po’ come se ci fosse un lungo agonistico a inizio stagione mentre stai preparando una maratona.
Transcavallo*
Skialprace Ahrntal
Ultimo punto, i giovani. La Coppa Italia riservata solo alle categorie giovanili è sicuramente un passo avanti interessante, e dovrebbe essere valorizzata ancora di più. Lo skialp ha un’anomalia tutta sua: uno Junior fondista non fa la Coppa del Mondo,
FINISHER GARE NOTTURNE Anno
Trofeo Leonardo Follis Gressoney (AO)
Stralunata Aprica (SO)
Revolution Lizzola (BG)
Ai Piedi del Vioz Peio (TN)
Monte Agnello Trophy Stava di Tesero (TN)
2010
218
414*
159
723
320
2011
181
258*
173
800
363
2012
148
351*
171
757
223
2013
204
194
n.d.
836
166
2014
176
282
179
646
176
2015
162
214
137
896
215
2016
166
223
162
970
178
2017
164
235
163
914
144
2018
145
139
151
1320
un Cadetto dello sci alpino non va ai Mondiali. Nello skialp sì. Portare gli Junior in Coppa costa (soprattutto se vai in Cina), fare un circuito di Coppa del Mondo solo per gli Junior costerebbe ancora di più. Resta il fatto che adesso i giovani vanno in Coppa e la convocazione in azzurro arriva spesso e volentieri direttamente dal club. Manca un po’ il passaggio della squadra del Comitato che in FISI è la norma per sci alpino, fondo o biathlon. Non che le squadre regionali dello skialp non ci siano, anzi spesso sono fondamentali perché mettono insieme ragazzi e ragazze che altrimenti in certe regioni sarebbero da soli nel loro club, ma manca un passaggio intermedio prima del salto a livello internazionale. ALTO LIVELLO - Nel 2007, guardando la classifica generale di Coppa del Mondo, si trovano quattro azzurri nelle prime quattro posizioni (Dennis Brunod, Manfred Reichegger, Hansjorg Lunger e Guido Giacomelli) e tre azzurre nelle prime tre (Roberta Pedranzini, Francesca Martinelli, Gloriana Pellissier): insomma un dominio assoluto. In campo maschile poi c’è stato un certo Kilian Jornet, oltre a William Bon Mardion, ma l’Italia è tornata alla grande: dal 2014 la sfida per la coppa di cristallo è stata un discorso tutto azzurro: Lenzi, due volte, poi Boscacci, Antonioli e ancora Boscacci. E dal 2011, quando è nata La Grande Course, la lotta per il circuito ha visto solo azzurri sul gradino più alto del podio con Lenzi, Eydallin e Boscacci. E alle spalle dei vecchi i giovani ci sono: Maguet, Magnini e Nicolini, primi assoluti da Junior e Espoir, nonostante una crescita, tecnica ma anche numerica, delle altre nazioni in Coppa del Mondo. Altro discorso nelle gare rosa: lì è arrivata Laetitia Roux. Ha dettato legge per anni, anche perché era l’unica vera
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professionista. Dopo le bormine c’è stato un vuoto, ma con l’arruolamento in Esercito di Alba De Silvestro, Giulia Compagnoni e Giulia Murada (che hanno vinto un po’ tutto da Junior) l’Italia potrà sicuramente riprendersi lo scettro. NOTTURNE E RADUNI - Il mondo delle notturne è quello degli amatori. Non solo di loro per carità, visto che molti nazionali spesso e volentieri sono al via come allenamento, ma è il luogo classico per affrontare le prime gare. Una decina di anni fa c’è stato un boom di questi circuiti in tutto l’arco alpino: dallo Skialp sotto le Stelle e il Sole, al Piemonte Ski Alp e addirittura al Cuneo Ski Alp, a Nord-Ovest, alla Coppa dell’Appennino nell’Appennino Tosco-Emiliano, ma ce n’erano anche in Alta Valtellina o nel Cadore. Adesso la situazione si è ridimensionata: anche il circuito più famoso, il Dolomitisottolestelle (che pure non faceva una classifica finale) ha alzato bandiera bianca anche se per motivi diversi dalla mancanza di iscritti. Ma il celebre libretto che metteva insieme tutte le gare del territorio non c’è più. Certe prove storiche continuano a vivere senza circuiti, come la Stralunata all’Aprica (che è stata anche campionato italiano), ma dai 520 partecipanti del 2010 si è passati ai 128 del 2018. Vale il discorso fatto in precedenza: se la stazione sciistica non ti ha concesso di allenarti in pista, una selezione arriva di sicuro. Chi resiste? Alcune gare storiche, per esempio il Trofeo Leonardo Follis a Gressoney (che fa parte adesso il del Tour di SkiAlp, circuito di gare valdostane dove non c’è comunque una classifica unica, ma che quest'anno è a forte rischio annullamento) che ha mantenuto costanti i suoi numeri (115 finisher nel 2011, 124 all’arrivo nel 2018,
> agonismo anche perché le gare in valle sono diminuite drasticamente, ma gli atleti ci sono e vogliono comunque gareggiare). Allo Sci e Luci nella Notte, nelle vallate bergamasche, la sfida è sempre tiratissima. Nelle Dolomiti sono rimasti il 4 Valli e la Raida Ladina, ma non si arriva ai 100 finisher nel 2018 (86 nel primo, 96 nel secondo). Chi cresce? I due circuiti altoatesini, per esempio, oppure il Raduno ai Piedi del Vioz che nel 2018 ha fatto il record con 1.300 partecipanti… (e che il primo novembre ha già aperto le iscrizioni della prova che andrà in scena tre mesi dopo, il primo febbraio). Ecco, appunto, un raduno. Forse questa è la strada: meno tutine e più festa. Nei due circuiti in Alto Adige c’è la classifica Hobby, in Trentino una gara - che pure ha mille metri di dislivello - è ormai diventata una festa dello skialp, alla quale partecipano tutti. MATERIALI - Quello dei numeri, in Italia, lo si sa, è un tabù. Difficile, se non impossibile, avere un dato che dia la dimensione del mercato dell’attrezzatura. Quello di partenza sono le indagini di mercato. La più recente è firmata Skipass Panorama Turismo E nel 2016/17 stimava i praticanti dello scialpinismo in poco più di 90.000, in crescita del 6%. Il Pool Sci Italia (che riunisce i fornitori delle nazionali di sci) realizzava un’indagine su dati reali tra le
VAUDE ECO PRODUCT
ditte, che si ferma al 2014/15. Il segmento scialpinismo pesava per il 3% sul totale delle vendite di sci e per il 5% di quelle di scarponi (in questo caso probabilmente ci sono anche modelli da freeride con inserti per i pin), in pratica circa 5.300 sci e circa 9.600 scarponi. Dati parziali, in quanto buona parte delle aziende specializzate nello skialp e nell’agonismo non fanno parte del Pool. Più recente il dato comunicato dalla FESI (Federazione Europea Articoli Sportivi). Nel 2017/18 l’1,3% degli attacchi venduti in Italia sono stati da skialp, per un totale di poco più di 2.000 unità e gli scarponi il 2,7% del totale, circa 5.400. Anche in questo caso si tratta di dati lacunosi per un segmento specifico come quello dello scialpinismo. «Si tratta di un segmento stabile, per alcuni marchi meno specifici del nostro in calo, sicuramente però non c’è più il fermento di qualche anno fa: le gare sono diminuite, gli agonisti anche - dice Adriano Trabucchi di Ski Trab - La riflessione da fare è dove sono finiti quelli che hanno smesso di fare gare, perché probabilmente non sono usciti dal mondo delle pelli, per esempio fanno escursioni con attrezzatura e stile veloci». «Sicuramente, rispetto a cinque-sei anni fa, quando c’è stato il boom delle notturne, è un segmento che è calato e dalle nostre parti non è ancora decollato il mondo delle risalite in pista perché
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T E S S E R AT I I S M F ISMF
Totale
M
F
Italiani
2008/2009
311
225
86
40 (11F)
2009/2010
295
213
82
38 (9F)
2010/2011
293
211
82
35 (11F)
2011/2012
220
153
67
32 (10F)
2012/2013
268
193
75
28 (8F)
2013/2014
230
159
71
28 (11F)
2014/2015
304
211
93
38 (15F)
2015/2016
260
186
74
35 (13F)
2016/2017
312
213
99
40 (14F)
2017/2018
315
218
97
31 (11F)
AT L E T I I N C L A S S I F I C A F I N A L E L A G R A N D E C O U R S E ISMF
Mschile
Femminile
2013-2014
1556
161
2017/2018
1720
165
LA GRANDE COURSE Anno 2013/2014
Vincitori Damiano Lenzi e Matteo Eydallin
2015
Damiano Lenzi, Matteo Eydallin e Michele Boscacci
2016
Michele Boscacci
2017/2018
Matteo Eydallin e Michele Boscacci
ci sono poche località che lo supportano con serate, itinerari e rifugi aperti, è un mondo dove si è andati sempre più verso l’alto livello e se vuoi essere competitivo devi avere motore e attrezzatura da marziano, però sta arrivando una generazione di giovani e credo che potrà esserci, in parte, una ripresa» gli fa eco Massi dell’omonimo negozio del cuneese. Quello dello polarizzazione verso l’alto livello è un fenomeno osservato da molti, così gli amatori vanno verso le semplici serate in pista o i raduni perché sono stufi di arrivare dietro. «Noi siamo specializzati nell’agonismo e rimane la fetta del leone, però è stabile, mentre lo scialpinismo turistico aumenta» dice Diego Amplatz che gestisce l’omonimo punto vendita di Canazei. Da sensazioni e dichiarazioni, senza numeri veri, l’idea che ci si fa è quella di un segmento che rappresenta percentuali al massimo con un uno davanti allo zero sul totale del mercato scialpinistico, con una contabilità annua di attrezzi appena dentro il mondo delle migliaia. In un mercato dello skialp che dovrebbe essere di qualche decina di migliaia di pezzi. Un mercato, quello agonistico, a macchia di leopardo, con valli dove tiene e altre dove
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cala, più o meno vistosamente. In un momento in cui lo scialpinismo cresce ancora, bene. Anche nelle isole felici per le tutine. CONCLUSIONI - Difficile fare dunque una stima, si va per sensazioni. Partiamo dai numeri, allora: se al Mezzalama ci sono 300 squadre, al Sellaronda 638, possiamo stimare, confortati da alcuni operatori, che in Italia il movimento possa contare dai 2.000 ai 2.500 agonisti in senso stretto. In quelle due gare classicissime, una in ambiente, l’altra in pista, è vero che è forte la quota straniera, ma possiamo comunque compensarla con le presenze degli skialper italiani che avrebbero potuto partecipare e, vuoi per distanza, costi o semplicemente perché non si sono iscritti, non l’hanno fatto. E chi fa un Mezzalama qualche individuale deve pur metterla in agenda, lo stesso vale per il Sellaronda, qualche apparizione in pista ci vuole, perché altrimenti ai cancelli ti fermano. Qualcuno partecipa a entrambe, ma alla fine la somma degli iscritti alle due prove può essere un dato abbastanza attendibile. Che potrebbe anche raddoppia-
> agonismo C O P PA D E L M O N D O Anno 2007/2008
2008/2009
Overall
*Youth World Cup
Individuale
2
1
Senior (Dennis Brunod e Roberta Pedranzini)
Cadetti (Robert Antonioli)*
Vertical
Sprint
1 Senior (Manfred Reichegger)
2009/2010
1
3
Senior (Roberta Pedranzini)
Cadetti (Silvia Piccagnoni), Junior (Michele Boscacci)*, Senior (Roberta Pedranzini)
2010/2011
2 Cadetti (Gian Luca Vanzetta), Espoir (Michele Boscacci)*
2011/2012
2 Cadetti (Giulia Compagnoni), Espoir (Elisa Compagnoni)*
2012/2013
2013/2014
2014/2015
2015/2016
2016/2017
2017/2018
4
3
3
Junior (Alba De Silvestro e Nadir Maguet), Espoir (Robert Antonioli ed Elisa Compagnoni)
Junior (Alba De Silvestro e Nadir Maguet), Espoir (Elisa Compagnoni)
Junior (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Espoir (Elisa Compagnoni)
3
1
3
Junior (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Senior (Damiano Lenzi)
Junior (Alba De Silvestro)
Junior (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Senior (Damiano Lenzi)
4
3
1
3
Junior (Giulia Compagnoni e Davide Magnini), Espoir (Nadir Maguet), Senior (Damiano Lenzi)
Junior (Giulia Compagnoni e Davide Magnini), Espoir (Nadir Maguet)
Junior (Giulia Compagnoni)
Junior (Giulia Compagnoni), Espoir (Nadir Maguet), Senior (Robert Antonioli)
3
3
3
1
Junior (Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro), Senior (Michele Boscacci)
Junior (Giulia Compagnoni e Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro)
Junior (Giulia Compagnoni e Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro)
Senior (Robert Antonioli)
5
5
5
1
Junior (Giulia Murada e Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Senior (Robert Antonioli)
Junior (Giulia Murada e Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Senior (Matteo Eydallin)
Junior (Giulia Murada e Davide Magnini), Espoir (Alba De Silvestro e Federico Nicolini), Senior (Damiano Lenzi)
Senior (Robert Antonioli)
4
4
2
1
Junior (Andrea Prandi), Espoir (Alba De Silvestro e Davide Magnini), Senior (Michele Boscacci)
Junior (Andrea Prandi), Espoir (Alba De Silvestro e Davide Magnini), Senior (Robert Antonioli)
Junior (Andrea Prandi), Espoir (Alba De Silvestro)
Senior (Michele Boscacci)
re o avvicinarsi ai tre zeri se guardiamo i numeri di certi raduni e se vogliamo far rientrare tra gli agonisti chi mette una volta sola un pettorale insieme ai duri e puri, o utilizza certe forme di skialp come allenamento invernale per due ruote e running. Non è facile un paragone con dieci anni fa, soprattutto con un lustro fa, quello di massima gloria per il mondo delle tutine, ma ci sono ancora delle sensazioni. La prima è quella che ci siano sempre più Senior tendenti al Master. Spieghiamoci meglio: guardando le classifiche ci sono atleti dai 35 anni in su, sempre meno della fascia dai 25 ai 30. Inizi a fare skialp dopo, oppure finito un passato agonistico da giovane (non solo nello skialp, naturalmente: quanti sono gli sciatori o i fondisti che conoscete che si sono convertiti alle pelli?) torni alle gare quan-
do hai terminato gli studi e ti sei stabilizzato nel lavoro. Le altre tendenze: polarizzazione su alcune zone, veri e propri zoccoli duri del movimento skialp, fine del boom delle notturne, meno gare e, comunque, anche un calo del numero complessivo di agonisti, seppur non drammatico. Che però non sono usciti dal mondo skialp, ma probabilmente si sono dati in parte al light touring, in parte allo speedfit in pista. Cosa accadrà in futuro? Se lo skialp approdasse alle Olimpiadi sarebbe sicuramente un traino per i giovani, ma lì si parla di altissimo livello. Per quelli del gruppone servono forse un maggior numero di gare che diano qualcosa in più di un pettorale e un bel gadget. Ma la vitalità delle categorie giovanili è un segnale positivo, che rende meno grigio il panorama.
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> gare
©Adamello Ski Raid/Federico Modica
A DA M E L L O SKI RAID La classica del circuito La Grande Course andrà in scena domenica 7 aprile. Con tanto di diretta streaming
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Domenica 7 aprile 2019 ritorna l’appuntamento mondiale con lo scialpinismo sui ghiacciai dell’Adamello, nel comprensorio Pontedilegno-Tonale, in un teatro che già a metà novembre si presentava in condizioni d’innevamento davvero eccezionali. Sopra i 2.300 metri di quota infatti sono caduti più di 200 centimetri di neve assestata che garantiranno le migliori condizioni su tutto il percorso. I tecnici dell’Adamello Ski Team, grazie a questa situazione ottimale di innevamento, si metteranno presto al lavoro effettuando sopralluoghi e cercando sempre nuove soluzioni per i punti focali del percorso. Dal 30 gennaio sarà possibile effettuare l’iscrizione sul sito www.adamelloskiraid.com ma già da questi giorni su questo sito, oltre ai canali social Facebook e Instagram, verranno postati foto e video dei sopralluoghi. Il percorso, ormai diventato un classico, prevede la partenza alle 5.30 in località Cà de Poi, a 1.600 metri, poco sopra l’abitato di Ponte di Legno. Si sale ai 3.000 metri di passo Presena
e alle prime luci dell’alba ci si tuffa fino ai 2.493 metri del lago Mandrone, passando per il rifugio Città di Trento. Da lì inizia la seconda salita verso il passo Tre Denti e, dopo avere aggirato il Corno di Bedole, i concorrenti si affacciano sul famoso Canalino Ski Raid. Dopo l’impegnativa discesa si attraversa il ghiacciaio del Pian di Neve e, una volta lasciato alle spalle il rifugio Lobbia Alta, si sale fino a Cresta Croce, percorrendola fino al cannone Ippopotamo. Una bellissima discesa porta di nuovo ai piedi del ghiacciaio che verrà attraversato ancora fino al raggiungimento del punto più alto dell’intero percorso: la vetta dell’Adamello, a quota 3.539 metri. Dalla cima, attraverso il Passo degli Italiani, il Passo Venezia e il Passo Bedole, gli atleti termineranno la gara e potranno togliere finalmente le pelli per l’ultima volta per tuffarsi verso il palazzetto dello sport di Ponte di Legno con una fantastica discesa di 2.000 metri di dislivello. Un percorso affascinante con uno sviluppo di circa 45 chilometri e un dislivello di 4.200 metri in salita e di 4.500 in discesa.
L’arrivo delle prime squadre è previsto alle 10.30 mentre per accogliere l’ultima bisognerà aspettare le ore 16. Alle donne l’ASR riserva come sempre un’attenzione particolare con una partenza in rosa dedicata a loro, dai 2.585 metri di passo Paradiso alle 6.10. La novità dell’edizione 2019 sarà la diretta streaming sul sito della gara, che documenterà i passaggi dei concorrenti in diversi punti del percorso. «Con grande piacere abbiamo registrato l’intervista rilasciata alla famosa rivista sportiva francese L’Équipe da Kilian Jornet Burgada che ha dichiarato che parteciperà solo alle gare del circuito La Grande Course, il circuito internazionale di cui fa parte l’ASR - commenta il presidente del comitato organizzatore, Alessandro Mottinelli - Visto l’elevato montepremi, che ammonterà a 17.400 euro, oltre naturalmente ai ricchi premi tecnici degli sponsor dell’ASR, sicuramente la griglia di partenza vedrà schierati tutti i big dello scialpinismo mondiale». Vi teremmo informati anche su skialper.it
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> people
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DA M I A N O LENZI Q U AT T O R D I C I S TA G I O N I E N O N SENTIRLE Classe 1987, come Kilian, il portacolori dell’Esercito e della Nazionale affronterà un altro anno ad altissimo livello con la nuova attrezzatura Dynafit
Testo di LUCA GIACCONE
Rilassato e determinato. Anno nuovo, vita nuova si potrebbe dire. Perché nella vita di Damiano Lenzi sono cambiate tante cose in questo ultimo anno: il matrimonio con Sara, una casa e, nel lavoro, il passaggio a Dynafit. Oltre all’arrivo di Bud, un cagnolino che li segue sempre. Tanti tasselli che si sono sistemati e che hanno regalato grande serenità. Entriamo da Lence e Sara: ci sono le coppe di cristallo sulle mensole, il Trofeo della Pierra Menta, una fotografia del Mezzalama in formato gigante appesa alla parete, ma non sono esibite, si inseriscono - come dire, naturalmente - nell’ambiente di casa. Una casa che trasuda montagna, tanto amata da entrambi: «In realtà a me - ci dice Sara - andava bene anche un alloggio nella parte alta di Mondovì, ma lui non ce l’ha fatta a non vedere le montagne dalla finestra». Così hanno trovato casa sulla collina vicina, dove le montagne si vedono tutte. Ma non una fatta e finita: aveva solo la struttura ed era tutto da sistemare. E Lence l’ha messa a po-
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> people
sto. «Io ho detto che potevamo anche chiedere aiuto a qualche ditta, invece niente - sorride Sara - Lo sai, è un testone». Falegname, muratore, scialpinista. Con una cura del dettaglio e un recupero dei materiali sempre da professionista. «Vedi questo legno? Arriva da una vecchia segheria della mia zona, ci sono ancora i segni. L’ho fatto ripulire e assemblare da Geronazzo, sai quello dello sci club di Valdobbiadene, e sono diventate le ante dei mobili della cucina. Vedi quelle pietre? Sono le ultime rimaste di una cava di un amico che adesso ha chiuso. Gli ho chiesto espressamente di tenermele e mi sono messo lì con mio padre a tagliarle e sistemarle per la scala interna. Se ne rompo una, non c’è il ricambio, sono finite». Un grosso pezzo di un vecchio tronco è il sostegno dei lavandini del bagno, lo zoccolo dei pavimenti è stato ricavato da un antico pavimento della sua Ceppo Morelli. Dalla finestra di casa si vedono le montagne, ma non bastava: le piastrelle della cucina non sono come tutte le altre, sono in marmo nero con il profilo delle stesse montagne che si vedono della finestra, dal Mindino al Mondolè, dal Monviso sino ovviamente al suo Monte Rosa. Invece di parlare di sci e pelli, parliamo di stufe. Una stube, quelle in ceramica oppure in pietra? Io ho scelto quella in ceramica perché la ritengo più adatta a una casa in Piemonte, Lence e Sara guardano anche i modelli in pietra che meglio si adattano allo stile di casa. Su una cosa concordiamo però, il prezzo è una fucilata, ma il calore di una stufa in casa è impagabile. Vabbè, ma non siamo qui a parlare di scialpinismo? Il passaggio a Dynafit segna un cambiamento importante, adesso è lui l’uomo di punta del marchio del leopardo delle nevi. «Sono stato quasi sorpreso della loro richiesta di ingaggio, una grande occasione per me per le prossime stagioni. Mi hanno convinto i prodotti innovativi e performanti che sanno offrire, ma anche la strategia che stanno seguendo per il mondo gare: come atleti avremo ad esempio a disposizione un manager dedicato che ci darà assistenza durante le competizioni. Non sarò solo atleta con loro, ma potrò portare anche la mia esperienza nello sviluppo dei materiali: cosa che ho
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sempre fatto e chi mi piace moltissimo. Il materiale che ho iniziato a usare è di altissimo livello, cercherò comunque di portare i giusti feedback per renderlo ancora più performante». Un rapporto a 360 gradi che Lence ha sposato appieno. C’è un progetto estivo sulla corsa, sta lavorando sui social («lì voglio cresce nel migliore dei modi…»), ma lui ha già le sue idee da portare in azienda. «Con Dynafit c’è anche un freerider come Hoji: perché non organizziamo una sfida, in salita con i miei sci, in discesa con i suoi, magari sulle montagne della British Columbia?». Prima c’è la stagione alle porte, amici comuni mi hanno detto che ti stai allenando duramente e che i problemi fisici sono un lontano ricordo. «La scorsa stagione è stata condizionata dalla schiena che faceva un po’ le bizze. Ho saltato le ultime gare e mi sono concentrato sulla fase di recupero. Oltre al matrimonio (ride, guardando Sara). Ho saltato la stagione sulle due ruote, o almeno non l’ho fatta con la stessa intensità del passato, poi qualche corsa a piedi, ma diciamo che ho concentrato le mie attenzioni sull’avere una buona condizione fisica. Duramente sì, ma non così duramente, quando arriverà più neve sulle nostre montagne farò molto di più con gli sci ai piedi». Nella bacheca di casa c’è tutto, proprio tutto quello che uno skialper agonista vorrebbe vincere. «Delle gare che avrei potuto vincere mi mancano una medaglia mondiale nel vertical e l’Altitoy… Quest’anno il mio obiettivo è fissato: i Mondiali e poi La Grande Course, Adamello e Mezzalama. Una bella sfida, ma ci proverò. Mondiali e aggiungo Coppa del Mondo che credo che saranno una questione tutta in casa azzurra. Gli svizzeri probabilmente vorranno fare bene nei Mondiali in casa, magari Palzer troverà maggiore continuità, come ha fatto Herrmann lo scorso anno, ma non c’è più Kilian; ci sono i francesi, è vero, ma di solito non ci sono tante sorprese: si sa quali sono i favoriti e alla fine vincono sempre quelli. E allora i rivali più agguerriti saranno i miei compagni di Nazionale ed Esercito. Discorso un po’ diverso per La Grande Course, ma lì possiamo mettere in campo la nostra esperienza in gare del genere». Già, con il compagno di sempre Eydallin? «Beh, la composizione della squadra
Nel box di Lence Che materiali usa Damiano Lenzi in gara? • Scarponi DNA by Pierre Gignoux, ma anche DNA Pintech, soprattutto per vertical e gare veloci non troppo lunghe in abbinamento con l’attacco P49 (insieme sono il set up più leggero al mondo). • Come sci sceglie il DNA da 162 cm, con tuning 0.5 e lamine 88° • Attacco, bastoni e casco della linea DNA • Zaino Race Pro E per gli allenamenti? • Scarpone Carbonio by Pierre Gignoux per un maggiore comfort, 80 grammi in più non si sentono • Tutina RC Racing E per la corsa due le scarpe utilizzate: Alpine Pro e Feline Up Pro
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> people
non la decido io, e sarà fondamentale vedere come andrà la prima parte della stagione. Certo con Eyda sappiamo benissimo cosa fare in gara, abbiamo ormai un ritmo per la gestione che potrei dire consolidato. Lui è fatto per quelle gare, ha un motore tarato giusto. Per carità, anche io credo di avere un buon motore, ma devo allenarlo molto di più rispetto a lui per raggiungere certi livelli. Però alla fine ci compensiamo e troviamo il feeling perfetto, basta uno sguardo e cambiamo passo se dobbiamo recuperare oppure controlliamo e non rischiamo se siamo in vantaggio». Coppa del Mondo nella stagione 2013/2014, bissata l’anno successivo; stesso copione nella Grande Course, vinta nelle medesime stagioni, salendo sul gradino più alto del podio di Trofeo Mezzalama, Pierra Menta, Tour du Rutor, Patrouille des Glaciers. E poi le medaglie mondiali, con
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tanto di doppietta a Tambre nel 2017, individual e team race, sempre con Eydallin, bissando quella di due anni prima a Verbier, ancora con Eyda. Ma come si trovano ancora le motivazioni? A 31 anni, alla tua età, Kilian (sono entrambi classe 1987) ha deciso di concentrarsi su altri aspetti agonistici… e diventa papà. «Sai, quando raggiungi un certo livello, punti a vincere il massimo. Ti poni un obiettivo, riesci a ottenerlo e allora ti dici: proviamo a ripeterci. Ci riesci di nuovo e allora non è facile ripartire per rifare un’altra volta una stagione con gli stessi traguardi. Non dico appagamento, piuttosto difficoltà a trovare stimoli. In fondo ho avuto la fortuna di confrontarmi, e spesso battere, fuoriclasse del calibro di Kilian o Bon Mardion. Un livello altissimo, non so quante gare di Coppa Kilian abbia vinto, alla fine trovarmi davanti a lui nella generale
di Coppa del Mondo o della Grande Course mi rende ancora più orgoglioso di quello che ho fatto. Ormai è la quattordicesima stagione con pelli (la prima vittoria da Junior nel vertical dei Mondiali, guarda caso quelli andati in scena nel Cuneese) ripeto, non sempre è facile riprendere la routine della stagione agonistica, ma quest’anno è diverso, vuoi che sto finalmente bene, vuoi che la nuova avventura con Dynafit mi ha dato nuovi stimoli. Come andrà non lo so, di sicuro ce la metterò tutta, concentrandomi su obiettivi ben precisi. Certo, se mi convocano per la Cina ci andrò, farò il massimo, ma tutto in prospettiva Mondiali prima e La Grande Course dopo. Kilian papà? Beh, io ho pronta una cameretta in più, adesso c’è tutto il mio materiale, tra qualche anno chissà…». E questa volta sorride Sara.
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Pierra 20 e i suoi fratelli Millet propone una collezione completa di zaini per le gare di skialp. Che abbiamo fatto provare agli atleti della squadra ASIVA-Valle d’Aosta Foto di FEDERICO RAVASSARD
Sugli zaini non si sbaglia, know-how e tradizione Millet sono una garanzia. Difficile che ci sia qualcosa fuori posto o qualche dettaglio che crea problemi. Però i prodotti specifici per le gare di scialpinismo sono un mondo a parte e gli aspetti da considerare davvero tanti. Per questo abbiamo chiesto un parere su Pierra 20, il modello centrale della collezione, e sui due zaini da 10 e 25 litri agli atleti della squadra del Comitato valdostano, che hanno proprio Millet come sponsor tecnico. Loro il Pierra 20 lo hanno usato con molta intensità già nella scorsa stagione, mentre erano al primo contatto con Pierra 10 e 25, che adottano diverse soluzioni simili. Chi può conoscere
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meglio vizi e virtù di prodotti tanto specifici? Pronti via, lo scorso 21 novembre, giusto in tempo per mandare in stampa questo numero della rivista, siamo saliti a Pila dove Emanuel Conta, allenatore della squadra regionale, stava rifinendo la preparazione di Sebastien Guichardaz, Alberto Gontier e dell’aggregato Alessandro Mantega per l’Adamello Ski Raid Junior. Mancavano all’appello Fabien Guichardaz e gli aggregati Davide Coslovich ed Emil Busso. C’è stata subito tanta curiosità, soprattutto per il modello da 10 litri, quello più minimalista e appetibile soprattutto (ma non solo) in chiave vertical. Uno zaino davvero light, quasi un gilet ma, come tutti gli altri, con un corretto rapporto leggerezzarobustezza. Per intenderci, quelli di Millet sono modelli che magari pesano qualche grammo in più di alcuni concorrenti, ma non sono di carta. Una caratteristica che si ripercuote positivamente su due aspetti fondamentali: stabilità e durata. «Con gli sci in spalla questo zaino da 10 litri è stabilissimo e, pur avendo uno schienale non rigido e destrutturato rispetto al modello da 20 litri, non sentiamo differenze» hanno detto Fabien, Alberto e Alessandro. Il gancio per fissare gli sci è molto funzionale e facile da inserire, l’anello per la parte bassa ben protetto, al limite da stringere un attimo con certi attacchi. In corrispondenza dello sci tutti gli zaini sono realizzati in un resistente Dyneema, mentre altre parti sono fatte con
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> Zaini Pierra Ment’ 20 (che ha vinto l’Ispo Gold Award 2017) ha lo scomparto per ramponi, un porta sci supplementare e l’anello per assicurare il compagno di gara. Anche in questo caso fischietto e porta flask, ma c’è anche lo schienale staccabile per ridurre il peso (in ordine di marcia sono 320 gr). Costa 119,95 euro. Pierra 25 pesa 550 gr e ha comparto porta corda e ramponi, vano per sacca idratazione, sonda e pala, fischietto di emergenza, porta flask sullo spallaccio, porta sci, piccozza e casco esterni. Costa 149,95 euro. Infine Pierra Sprint 10, da 200 grammi, ha fischietto, piccolo porta flask sullo spallaccio, vano compatibile con sacca idrica con zip interna e key ring. Costa 99,95 euro. www.millet-mountain.com
> Gruppo Da sinistra, Sebastien Guichardaz, l’allenatore Emanuel Conta, l’aggregato Alessandro Mantega e Alberto Gontier
tessuti più leggeri e anche la patella per proteggere il corpo dagli attacchi è ben studiata. A meno di non correre davvero veloci, vista la stabilità, probabilmente non serve neppure. «Per una gara dove non è richiesto l’uso dei ramponi usereste il Pierra 10?» chiede coach Emanuel. «Certamente sì». Ecco la principale differenza tra il 10 e 20 litri, con il secondo che ha un comodo scomparto per i ramponi apribile con una striscia
di fettuccia che libera la chiusura a velcro. Pierra 25, invece, ha uno scomparto più ampio diviso in due per ramponi (protetto) e corda, con tradizionale apertura a zip. In definitiva si tratta di un modello a metà tra gare, magari in stile populaire, ed escursionismo veloce. Ben fatti gli schienali e gli spallacci, con un foam a canali per la traspirazione che occupa tutta la superficie, più rigido sui litraggi 20 (in questo caso asportabile per ridurre il peso) e 25. In definitiva? Approvati dai nostri campioncini che l’anno scorso, sui primi prototipi del Pierra 20, avevano riscontrato qualche apertura indesiderata del velcro dello scomparto porta-ramponi. Ora è tutto perfetto: built to last.
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M I KY’ S WA Y Dopo la stagione perfetta (e altre due ad altissimo livello) Michele Boscacci si presenta al via con la scomoda etichetta di uomo da battere. Ma non sembra preoccuparsene Testo di CL AUDIO PRIMAVESI - foto di MATTEO PAVANA
«Alla Pierra Menta ho avuto un bel regalo, devo ammetterlo, senza Kilian è stato più facile, avrei preferito vincerla con lui in gara, però fa parte del gioco». Michele Boscacci sta tornando in auto dal Diavolezza, dove macina metri di dislivello e inizia a fare lavoro di qualità a metà di un mese di novembre che ha già alternato in pochi giorni nevicate copiose a temperature quasi estive. La mente va a quell’incredibile mese di marzo dell’ultima stagione quando, nell’arco di tre settimane, ha vinto Epic Ski Tour, Pierra Menta e Tour du Rutor. E prima c’erano state la Mountain Attack vinta con record e la vittoria al vertical dei Campionati Italiani. Con la ciliegina sulla torta di una Coppa del Mondo overall portata a casa al fotofinish davanti a Robert Antonioli, della vittoria nel circuito La Grande Course e di una Patrouille des Glaciers da record. Altro che triplete. Che poi il tre ci sta, perché Miky arriva da un trittico di stagioni tutte ad altissimo livello, con una precisione da orologio svizzero. Nel 2016 la prima overall, poi nel 2017 comunque un secondo posto nella generale e il Mezzalama. Nello sport professionistico confermarsi a questi livelli è impresa difficilissima, come fare dieci giri con lo stesso tempo in Formula Uno. «Nel 2016 non mi aspettavo di andare così forte, poi nel 2017 ero convinto dei miei mezzi e mi sono allenato al meglio, stavo bene, anche meglio dell’anno prima, e non si può dire, nella pro-
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spettiva di un atleta, che sia stata una brutta stagione, però a gennaio mi sono preso un’influenza e ho iniziato ad avere problemi ai denti - dice Miky - L’anno scorso mi sono allenato duramente ed è andato tutto perfettamente, fin nei minimi dettagli». Perché sono i dettagli che fanno la differenza. Gira tutto a mille nel motore del valtellinese di Albosaggia al via della stagione 2019, gli è arrivata anche l’Audi che la FISI riserva agli atleti top e La Sportiva, lo sponsor storico, ha rinnovato per altri cinque anni, ampliando la collaborazione alla stagione estiva della corsa tra i monti e coinvolgendolo nello sviluppo non solo dell’attrezzatura, ma anche dell’abbigliamento, oltre naturalmente a vestirlo total look, summer & winter (e a fornirgli gli accessori). Se poi aggiungiamo che si è fidanzato con Alba De Silve-
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stro, cosa chiedere di più? «Beh, effettivamente avere la fidanzata che fa il tuo stesso lavoro non è male perché quando vai ad allenarti, anche se non possiamo fare quattro ore insieme perché abbiamo ritmi diversi, però un po’ si sale insieme e poi durante il viaggio in auto possiamo parlare» scherza Miky. Si fa più professionale invece quando parla del rapporto con la casa di Ziano di Fiemme: «Con La Sportiva e soprattutto con Macha, Lorenzo e Giulia (Delladio, rispettivamente presidente e AD di La Sportiva e strategic marketing director, ndr) ho un rapporto che va oltre la collaborazione aziendale e ho praticamente sempre usato scarponi Laspo: mi hanno dato il primo modello in carbonio che ero ancora Junior e con l’ultima firma messa chiuderò la carriera di alto livello sempre con lo stesso marchio». Una dichia-
razione d’amore che va oltre il reciproco interesse e una volontà, quella del rinnovo, che è stata subito messa su carta quando Boscacci ha ricevuto offerte importanti per cambiare casacca. Ma i soldi, nella vita, non sono tutto. Ecco una prima regola della filosofia Boscacci. Poi, oltre al cuore, c’è la testa. «Il segreto per fare tre stagioni così al top? Ci sono tanti dettagli, credo però che la testa conti tanto, conta soprattutto quando sei in un periodo no, perché per atleti come noi è veramente un attimo passare dal primo al quinto posto e quando succede è una botta pazzesca per il morale: non bisogna mollare e soprattutto riconoscere che gli avversari forti sono tanti e non si può sempre vincere». E poi c’è la preparazione, anche in questo Miky ha le sue idee, ben precise. Negli ultimi anni non ha cambiato molto, l’idea
di fondo è allenarsi tanto soprattutto in autunno, con gli sci, macinare metri su metri per ridurre un po’ la quantità e andare verso la qualità soprattutto da metà novembre. Senza naturalmente sovraccaricare. Facile a dirsi, meno a farsi. Eppure Miky è convinto che ci sia un collegamento tra il lavoro fatto e la capacità di mantenere un livello di forma elevato per un periodo relativamente lungo e nel cuore della stagione agonistica. E c’è tanta farina del suo sacco. «Non ho veramente qualcuno che mi segue, ho imparato ad ascoltarmi, a capire quando sono troppo stanco e quando lo sono troppo poco». I dettagli contano e da qualche tempo Boscacci cura particolarmente l’integrazione. «Ho iniziato a usare prodotti Enervit, che è un mio sponsor personale e anche della nazionale. È un dettaglio ma
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non di poco conto: nel nostro mondo non c’è ancora la cultura dell’integrazione, invece ci sono momenti nei quali hai bisogno di aiutarti con proteine e sali minerali assimilandoli velocemente e spendendo meno energie». A tavola, però, non si fa mancare nulla, dai carboidrati (meglio a pranzo), a una buona colazione e alla carne (magari la sera). E, tolta la tuta del Centro Sportivo Esercito, non rimane con le mani in mano. Anche questo, dopotutto, fa parte della filosofia Boscacci. «Mi sono sempre piaciuti gli animali ma, a parte mio bisnonno, in famiglia non avevamo una stalla, poi da quando sono nell’Esercito sono diventato anche allevatore e ora ho una decina di mucche: è un lavoro duro, ma mi aiuta a staccare perché altrimenti finisci sempre col parlare di allenamenti e poi è il mio modo di sentirmi legato alla montagna e di viverla in pieno». Tra le mucche della stalla ce ne sono alcune della razza Bruno Alpina, a rischio di estinzione e Michele può contare sull’aiuto di nonno Umberto: «Senza di lui, che mi segue anche alle gare più importanti, non ce la potrei fare…». Con tutti questi impegni, difficile pensare che a Miky rimanga troppo tempo per fare sul serio (si fa per dire) in estate, anche se, vista la versatilità tra le varie discipline dello skialp e il motore, potrebbe dire la sua anche nella corsa tra i monti. Per intenderci, fatte le dovute distinzioni, a partire dall’età, come Davide Magnini. «Ho sempre fatto attività, dalla bici alla corsa, ma non voglio bruciarmi: qualche gara ci vuole perché stare senza pettorale per così tanti mesi mi annoia e voglio mettermi alla prova con il motore che fa qualche giro in più di allenamento, per avere un obiettivo in più, ma preferisco dare il 100% in una stagione e l’altra usarla per allenarmi piuttosto che farne due all’85%». Appunto, e la prossima stagione come sarà? «Difficile darsi degli obiettivi, io però continuo a lavorare e non mi faccio influenzare emotivamente, se ci sarà qualcuno più forte mi inchinerò. Però un sogno nel cassetto ce l’ho: la medaglia individual ai Mondiali, mi manca ancora, mentre quella Europea c’è. Nella pratica è la stessa cosa, ma il valore è diverso. So che non sarà facile, perché è una gara secca in un giorno preciso, ma se devo mettere qualcosa prima di tutto questa è la mia scelta». Good luck Miky.
Ai piedi di Miky Michele Boscacci, come tutti gli atleti top, usa lo scarpone La Sportiva Stratos Hi-Cube. Un modello che ha contribuito a sviluppare (e all’Ispo 2019 verrà presentato il nuovo Stratos V, del quale Michele tiene tra le mani un prototipo nella foto), full carbon da meno di 500 grammi che, al momento del primo lancio, nel 2008, ha rivoluzionato il mondo delle tutine. Miky ci ha rivelato che già da Junior aveva a disposizione il suo full carbon, però da questa stagione c’è una interessante novità in chiave giovani (visto che i regolamenti ISMF vietano l’utilizzo dei modelli integrali in carbonio tra i Cadetti): Racetron. Realizzato in Grilamid, pesa 820 grammi. Il sistema di chiusura a leva singola con l’esclusivo meccanismo CavoBike Lever Pro brevettato, permette il passaggio dalla modalità walk a quella ski in un unico rapidissimo movimento svincolando totalmente il gambetto. La patella superiore con triplice regolazione e la chiusura inferiore Spider Buckle Evo permettono la personalizzazione massima del fit e di poter scaricare in sicurezza la potenza in fase di discesa. Adotta inoltre la piastrina frontale S4 Insert che facilita l’inserimento nell’attacco come mai prima d’ora. Anche lo sci di Miky è un La Sportiva Gara Aero World Cup by Ski Trab.
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And the winner is… Katia Fori
> Nelle foto Katlia Fori all'UTMB (a destra) ©Martina Valmassoi e in versione apripista alla Tartufo Trail Running ©Davide Ferrari (sotto)
Dopo la bella prestazione all’UTMB la parmense si ripete nel Trofeo BPER Banca Agisko Appennino Trail Cup Testo di LUCA GIACCONE
L’appuntamento al telefono è nell’ora buca: alle 18.30, finito il lavoro, poco prima della corsetta quotidiana. Katia Fori è una delle più forti trail runner italiane, eppure l’attività principale resta sempre quella di direttrice di banca e l’allenamento di tutti i giorni è nel Parco della Cittadella della sua Parma. La vita di tutti i giorni, anche dopo una stagione incredibile. È appena tornata da Lanzarote, il premio per aver vinto l’anno scorso il Trofeo BPER Banca Agisko Appennino Trail Cup, circuito riconquistato anche nel 2018. «Questa volta non ho gareggiato, ho solo fatto gli ultimi trenta chilometri insieme a mio marito (Nicola Alfieri, ndr): diciamo che è stata una vacanza con un bel gruppo di amici». Insomma, correre in Appennino ti piace ancora… «Beh sì, l’anno scorso ho partecipato a cinque gare del circuito. Sono andata anche al Gran Sasso. Diciamo che non sono più tanto le mie distanze, ma una 60/70 chilometri è un bell’allenamento per quelle più lunghe». Che sono l’UTMB; facciamo un passo indietro di qualche mese: rabbia o rammarico? «Mah, andiamo con ordine. Erano cinque anni che non andavo a Chamonix: se mi avessero detto il piazzamento finale prima del via ci avrei messo la firma. Basta pensare che c’erano ben ventiquattro atlete meglio classificate di me come punteggio ITRA. In gara, è vero, ho migliorato di quasi un’ora il personale, ma quando mi sono trovata là davanti, il sogno di finire sul podio l’ho accarezzato davvero, poi sono arrivati i problemi muscolari e sapete come è andata a finire. Un po’ di rammarico, certo».
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Allora ti tocca riprovarci. «Non ho ancora fatto il programma 2019, stavo pensando alla TDS, ma alla fine mi sa che cado di nuovo sulla UTMB: in quella gara ci sono davvero tutte le più forti e a me piace mettermi sempre alla prova». Come è cambiato il lavoro, non è che ti vedremo testimonial della tua banca? «Vivo tutto con molta discrezione, è un po’ nel mio carattere. Ci sono alcuni colleghi-amici che sono molto orgogliosi di me, qualche cliente mi riconosce e mi fa i complimenti. Ma finisce tutto lì. Rimane la solita vita di prima». Eppure gli sponsor ti cercano. «Davvero non è cambiato nulla. Anche entrando nel team Columbia non posso certo pensare di essere una professionista. Con loro c’è un ottimo rapporto, diciamo che mi offrono molte possibilità. Che per me sono impegni in più! Ma dietro a tutto c’è la passione per quello che faccio». Pensavi di arrivare a questi livelli? «Io amo la montagna e questo è il mio modo di vivere la montagna. Adesso non mi vedo passeggiare con uno zaino da dieci chili per i sentieri, devo correre, almeno fast and light, come si dice. Ma non perdo mai lo spirito con cui ho iniziato, il
Tartufo Trail Running L’ultimo atto del Trofeo Bper Agisko Appennino Trail
divertimento, la voglia di correre, di condividere le emozioni, la fatica. Il risultato è chiaro che è importante e fa piacere, ma per me conta arrivare. Infatti non mi sono mai ritirata».
Cup è andato in scena con la Tartufo dello scorso 7 ottobre. E nell’Appennino Parmense è stata lotta serrata per il primato nella graduatoria maschile del circuito. I primi tre in classifica (nell’ordine Marco Franzini, Pietro Ferrarini e Alberto Ghisellini) erano tutti al via della 50 km. La vittoria è andata a Davide Cavalletti, davanti ad Alberto Ghisellini ed Enrico De Ferrari, con quarto Marco Franzini e quinto Pietro Ferrarini. Un piazzamento, quello di Ghisellini, che gli ha permesso di scavalcare gli altri due contendenti e chiudere primo con mezzo punto su Franzini. Sarà lui a volare a Malta per l’Xterra Gozo Trail Run. Al femminile affermazione nella generale per Katia Fori (assente alla Tartufo) davanti a Moira Guerini, prima nella 50 km. Una Tartufo che ha battuto tutti i record, con
E d’inverno? «Mi piacerebbe tornare a gareggiare nello skialp. Il Mezzalama e il Rutor li ho fatti, all’Adamello invece ero rimasta bloccata e non l’ho finito. C’è quest’anno, chissà. Oppure la Pierra Menta. Di sicuro per me, vivendo a Parma, non è facile fare dislivello: mi ricordo ancora le tappe per preparare il Mezzalama, era un continuo partire alla ricerca della neve nel fine settimana. Chilometri e chilometri; per carità sono in posto strategico, non ci impiego moltissimo a raggiungere la Valle d’Aosta, dove mi piace allenarmi, oppure le Dolomiti, ma comunque bisogna sempre essere in viaggio. Anche se ormai è quasi una routine, alla fine ci sono solo i fine settimana per fare i lunghi e spesso andiamo in alta montagna».
pettorali sold out e sempre più internazionale. Nelle altre distanze affermazione, nella gara regina di 68 km, di Emanuele Ludovisi su Giulio Piana e Andrea Offer, mentre nelle gara rosa successo di Monia Fontana su Silvia Motta e Raffaella Musiari. Nella 28 km a segno il ruandese John Hakizimana (su Corrado Ramorino e Massimo Gazzotti), e Valentina Odaldi (su Laura Gavazzi e Clarissa Salviati).
Sogno nel cassetto, pensando alla corsa? «Vorrei fare anche qualche prova in più dell’Ultra Trail World Tour. L’anno scorso ne avevo in programma tre, poi la LUT è saltata per infortunio. Sì, magari anche qualche classica americana. Se riesco a trovare il pettorale. E se riesco a prendere ferie per quel periodo…».
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> INFO PR
Crazy, the original
> Zip La zip sul fondo schiena, comoda e pratica, è l’ultima novità di Crazy per la Skinny Suit woman
Molti marchi sventolano la bandiera della competenza. Secondo il marchio valtellinese che ha inventato la tutina per lo skialp e i capi da skyrunning sono spesso solo chiacchiere e distintivo
Solo chiacchiere e distintivo. Con questa celebre frase, pronunciata da Robert De Niro nel film The Untouchables, Luca Salini, sorridendo, identifica il tipo di comunicazione che utilizzano alcuni brand non specialistici o recentemente inseriti nel mondo dell’abbigliamento skialp. Valeria e Luca sono i titolari di Crazy, l’azienda che ha inventato l’abbigliamento per lo skialp e lo skyrunning; è stata la prima in questo mondo, quindi hanno sicuramente un punto di vista privilegiato e certamente non omologato. Valeria ci spiega che lo skialp, sia esso gara che turismo, è uno sport molto tecnico praticato in ambiente ostile. Conoscere come i tessuti reagiscono all’utilizzo intensivo e la funzionalità di molti dettagli tecnici, va oltre il marketing e la comunicazione ed è determinante per non ingannare gli appassionati ed essere credibile da chi davvero vive e respira la montagna. «I produttori di abbigliamento per lo skialp sbandierano sempre più la propria competenza come fosse un riconoscimento certificato e comunemente approvato - dice Luca -. Seguendo questo concetto quando devi acquistare un prodotto per le tue uscite in montagna ti dovresti sentire rassicurato, ma è davvero così? È sufficiente che loro stessi ti dicano che sono tecnici e competenti? È sufficiente vedere pubblicità, promozioni o sponsorizzazioni per farti scegliere un brand piuttosto che un altro? Crazy, ha prodotto negli anni oltre 800 forniture per società sportive, con i propri atleti ha vinto, tra le altre, 7 Mezzalama, 15 Pierra Menta, la prima volta nel 1990, salendo per ben 31 volte sul podio. Siamo sempre stati i primi a introdurre idee e dettagli che tutti ormai danno per scontati. La ghetta conformata, le tasche porta-pelli, l’inserto in polipropilene sulla schiena, sono alcuni esempi delle innovazioni inserite da Crazy e in seguito utilizzate da tutti gli altri. Prima di Crazy
non esisteva, a dire il vero, neppure l’abbigliamento specifico per lo skialp, per questo noi ci definiamo The original ski touring clothing, gli originali. Nessun’altra azienda ha mai aggiunto nulla a quanto noi abbiamo proposto sul mercato e ogni anno lavoriamo per progettare il futuro dell’abbigliamento da skialp». Comunicare che il proprio brand è competente quindi non basta, è solamente un’autocelebrazione, spingere in questa direzione investendo in pubblicità e sponsorizzazioni non mette certo tranquillo chi ha scelto di fare un acquisto di prodotti tecnici, il cliente oggi è accorto e preparato. «Chiacchiere e distintivo è un’affermazione ironica che però ben rappresenta quello che succede nel mercato, non solo dell’abbigliamento per lo skialp. È una frase buona - sostiene Luca - per chi non ha sufficienti argomenti veri e reali rivolti davvero a te che stai cercando di capire quale è il prodotto che risolve il tuo problema di comfort, affidabilità e appunto…. competenza. Abbiamo oltre 100 dealer tecnici in Italia e altrettanti all’estero».
Fabio Meraldi e Adriano Greco 1ST PLACE PIERRA MENTA 1989 Nelle prime gare di sci alpinismo utilizzavamo una semplice tuta da riposo di una società di Atletica, una normale tuta a 2 pezzi. Ognuno si arrangiava nel migliore dei modi con quello che aveva, le problematiche ovviamente erano moltissime. Un giorno, era il 1989, io e Adriano Greco, mio compagno di squadra storico, decidemmo di contattare Valeria per progettare una tuta da gara che avesse tutte le caratteristiche di cui avevamo bisogno. Valeria, che vedeva lontano, non esitò a darci supporto e iniziammo così lo sviluppo e la progettazione della prima tuta da skialp. Iniziò così la produzione e l’innovazione non solo della tuta, ma anche di tutto l’abbig liamento tecnico per lo sci alpinismo. Il vero primo passo per affrontare la montagna in un modo nuovo. Quel giorno, con la prima tutina da sci alpinismo, nasceva l’abbigliamento per lo skialp, e nasceva Crazy. Fabio Meraldi - 10 volte vincitore della Pierra Menta
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Sportler in wonderland Ristoranti, funivie, statue di legno, piscine e aerei: i 22 negozi del marchio altoatesino sono delle piccole Disneyland dello sport e della montagna. A partire dal nuovissimo Alpine Flagship Store di Bolzano Testo di CL AUDIO PRIMAVESI - foto di RALF BRUNEL
L’imprinting l’aveva già dato Georg Oberrauch, fondatore nel 1977 di Sportler insieme al fratello Heiner (oggi a capo di Oberalp, che controlla, tra gli altri, i marchi Salewa e Dynafit). Un imprinting quasi ossessivo: i negozi devono essere tutti diversi. A più di 40 anni dall’apertura del primo punto vendita in via Portici 37, nel cuore di Bolzano, e dopo avere passato la guida del brand al figlio Jakob, la bellezza e originalità di ognuno dei 22 store sparsi tra Nord-Est e Austria è ancora uno dei must del marchio altoatesino. Marchio che, a sentire i rumour dei bene informati, si prepara a sbarcare a Milano. Funivie, seggiovie, piscine, aerei, elicotteri, ristoranti. Nei negozi Sportler c’è di tutto, ma non è un cliché pre-impostato. Come nell’architettura di Luigi Vietti che nei propri progetti, a partire dalla Costa Smeralda, ha sempre voluto case diverse nei colori e negli stili, perché sembrassero veri paesi. A conti fatti si può dire che il visual merchandising oggi tanto di moda nel marketing sportivo lo abbiano inventato qui. E forse è anche il motivo per cui, proprio mentre questo numero di Skialper va in stampa, Sportler è finalista in ben tre categorie al prestigioso premio Retail Awards, contro colossi del calibro di Maserati, Benetton o Mondadori. E una nomination arriva proprio per l’Alpine Flagship Store di Bolzano, fresco di restyling a maggio del 2018. È un cerchio che si chiude, perché qui è iniziato tutto. Nel 1977 il padre di Georg e Heiner, Heinrich Oberrauch (morto nel 2017), acquistò questa casa del centro storico di Bolzano e i due giovanissimi figli (Georg
> Bolzano Alcuni scorci dell'Alpine Flagship Store del capoluogo altoatesino e il corner temporaneo dedicato a Dynafit Hoji (a sinistra)
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> negozi
> Il benefit si chiama Yay Day o Tesla Il termine incuriosisce: Yay Day. È un giorno di lavoro all’anno che viene retribuito per permettere ai dipendenti di praticare il loro sport preferito. È solo uno dei benefit di cui usufruisce chi lavora in Sportler. Non basta? Nel parcheggio aziendale c’è una Tesla S, la spettacolare auto sportiva con motore elettrico. È a disposizione di chi lavora qui, gratuitamente e per il tempo libero. Bisogna solo prenotarsi. Se poi un’auto elettrica la si vuole comprare, Sportler aggiunge 2.000 euro all’incentivo previsto dalla Provincia Autonoma di Bolzano.
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aveva 21 anni e Heiner 19) misero la prima pietra di quello che oggi è diventato uno dei principali attori della GDO sportiva. Otto piani messi insieme con pazienza, unendo diversi palazzi e appartamenti, 2.500 metri quadrati con un chiostro coperto e ingresso su due vie, due terrazze sui tetti del centro storico, più un ristorante gourmet. Parte da qui la sfida al futuro di Sportler, dal concetto di Alpine Flagship Store. Ce ne sono solo due, l’altro a Innsbruck, dove è di casa l’alpinista David Lama. Qui invece sono di casa il re del ripido Heini Holzer e Reinhold Messner. Più che altro perché le loro statue in legno a grandezza naturale, realizzate dagli artigiani della Val Gardena, sono tra quelle degli alpinisti ospitate nei diversi reparti. Gli Alpine Flagship Store sono i negozi vetrina del marchio che vendono solo articoli da
Q&A Jakob Oberrauch - CEO Sportler Gli Sportler store sono arrivati a quota 22 più lo shop online, avete in previsione altre aperture nel prossimo triennio? Quali saranno le aree geografiche su cui punterete? «La nostra intenzione è di espanderci a Ovest, in Lombardia e Piemonte, nei capoluoghi regionali». Quanto pesano nel vostro fatturato Italia e Austria? «Per quanto riguarda il gruppo Sportler e Bergzeit (marchio bavarese acquisito nel 2012 attivo nella vendita online di articolo sportivi per la montagna) il fatturato è diviso tra Germania, Austria e Italia, con le prime due che insieme pesano circa il 50%, se consideriamo solo Sportler, l’Italia vale il 70%». La vendita online riveste sempre più importanza, quanto pesa sui vostri fatturati e quali sono le
> Negozi o attrazioni? Alcuni Sportler store, con elicotteri, piscine, ice bar e tanto altro (a sinistra). Thomas Mattivi, store manager dell'Alpine Flagship Store di Bolzano, è scialpinista e arrampicatore (sopra)
principali strategie in questo segmento? «Unendo Sportler e Bergzeit l’online vale il 40%, per Sportler il 10%. Però abbiamo l’obiettivo di diventare leader nei nostri mondi principali come montagna, neve, running, fitness e bike». Lo shopping diventa sempre più un fenomeno esperienziale, in questo senso i vostri punti vendita, soprattutto i flagship store, sono un ottimo esempio. A quali principi si ispira la diversificazione e quali sono gli obiettivi nella realizzazione dei prossimi store? «Se puoi trovare tutto online, il negozio fisico deve
montagna, trekking, alpinismo, scialpinismo e freeride. «Scherzando, dico che qui si parla di montagna dove bisogna anche salire» dice Thomas Mattivi, da 14 anni in Sportler e da una decina responsabile del punto vendita. Oltre che, come l’addetto tipo del marchio altoatesino, assiduo praticante degli sport che vende. E anche questo è un punto di forza del brand, che può vantare commessi con esperienza pluridecennale nei propri negozi e un management in buona parte di formazione interna. Gli altri concept firmati Sportler sono gli Alpin Store, negozi che vendono le stesse categorie merceologiche, i Flagship Store, punti vendita vetrina del gruppo, e gli Sport Store, dove sono esposti articoli per altre attività sportive o non solo ‘alpini’. I negozi fisici convivono con un fornito shop online (www.sportler.com)
offrire un’esperienza speciale, trasmettendo tante emozioni sportive ma anche inserendo degli show element come per esempio il ristorante di Bolzano. L’obiettivo finale è che il cliente si trovi bene, che gli store diventino un luogo d’incontro per la community. Questo vale per tutti i punti vendita, i flagship store si differenziano ulteriormente grazie ai marchi ancora più prestigiosi». Anche Sportler, con Meru, Kaikkialla, Hot Stuff e Get Fit commercializza prodotti con marchi propri, i cosiddetti private label o love brand, come amate definirli, qual è l’obiettivo di vendita? «Il 25% per cento, non oltre».
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> negozi
e la suddivisione rivendica l’origine alpina di Sportler, ma i settori trattati si ampliano allo sci su pista, bike, running, fitness, sport acquatici e di squadra. Quello della bellezza dei negozi non è un argomento solo per la vendita: «I primi a essere felici e motivati sono i nostri commessi e forse è anche per questo che qui in via Portici ci sono persone che da 25 anni lavorano in Sportler» dice Mattivi. Tecnica e look sono un connubio inscindibile: «In estate, per esempio, gli zaini li dividiamo per colore, poi all’interno delle tonalità interveniamo sulle capienze». Anche il mix soft good-attrezzatura è equilibrato e l’offerta uomo è separata da quella donna. Due spazi sono dedicati a negozi nel negozio: lo shop in shop Salewa, che occupa due piani, e il corner temporaneo all’ingresso, che al momento della nostra visita era allestito da Dynafit con un focus sullo scarpone Hoji. Un punto vendita storico ma al tempo stesso avveniristico come quello del cuore di Bolzano (a pochi metri c’è anche il Flagship Store che vende gli articoli degli altri sport) è un osservatorio privilegiato su comportamenti e tendenze del mercato. «La prima osservazione è che negli ultimi anni il consumatore non si fa più condizionare dal meteo: quando c’è poca neve aumentano la vendita di ramponcini e scarpe invernali, per esempio; lo scialpinismo è ancora un segmento in crescita, mentre si sono fermate le vendite delle racchette da neve». Consumatori che cambiano e soprattutto sono sempre più informati. «Arrivano già con le idee chiare dopo avere letto buyer’s guide e consultato siti internet e soprattutto vogliono provare, per esempio sul sentiero che abbiamo creato per testare le scarpe, o magari nei grandi Sportler Test Days che facciamo a inizio stagione invernale ed estiva, sul campo». Ma sempre con un imperativo, almeno per chi sceglie questa insegna: spendere bene, non necessariamente poco. «Quando le aziende mi propongono prodotti primo prezzo, li rifiuto sempre: fanno male al consumatore, al mercato e a chi li vende perché non ti diverti e durano meno. Non spingiamo la proposta di prezzo, ma di convenienza: i nostri prodotti sono di qualità e costosi, non cari». Come dice il proverbio, chi spende poco spende tanto.
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> Il pranzo è servito 37 - alpine eating, piccolo ma raffinato, è il ristorante che occupa l’ultimo piano dell’Alpine Flagship Store. Una saletta a metà tra vecchia stube (di un ristorante di Merano) e contemporaneità del cemento e dell’acciaio nero, una magnifica terrazza con vista sul Catinaccio e i tetti del centro storico, una saletta per riunioni o serate tra amici (curiosità: è stato il primo ufficio del fondatore Georg Oberrauch). E poi la cucina alpina altoatesina rivisitata con un tocco contemporaneo dal giovanissimo (23 anni) ma talentuoso chef Matthias Lanz. Il 37 è aperto per un caffè, a pranzo e a cena, con ingresso separato.
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CERCA IL SIGILLO ARANCIONE DYNAFIT garantisce una prefetta interazione scarpone-attacco grazie agli inserti D Y N A F I T c e r t if i c a t i m o n t a t i d a i v a r i m a r c h i s u i p r o p r i s c a r p o n i Gl i s c a r p o n i c o n i n s e r t i c e r t i f i c a t i D Y N A F I T s i r i c o n o s c o n o d a l s i g i l l o a r a n c i o n e s u l l a p u n t a.
Black Diamond skis Handmade in Austria Il marchio americano propone 13 attrezzi dal freeride allo scialpinismo tecnico, realizzati nello stabilimento austriaco di Mitterstill
Il freerider Thomas Gaisbacher ha avuto la possibilità di visitare la fabbrica dove vengono prodotti gli sci Black Diamond, che sono realizzati negli stabilimenti di Blizzard, a Mitterstill, in Austria. Un concentrato di tecnologia ma soprattutto di esperienza e manualità. Le sue parole esprimono il concetto più di tanti cataloghi e comunicati stampa. «Mucchi di blocchi di legno segnano il punto di partenza della linea di produzione. Un’ampia varietà di spessori e composizioni ha dato un piccolo assaggio di quale modello di sci stavamo guardando: Route, Boundary Pro o Helio. Prima di visitare la fabbrica dove vengono prodotti gli sci Black Diamond per me
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fare uno sci poteva essere come produrre un missile. Invece tutte quelle varietà di legno, unite a sandwich per formare una grande asse, sono qualcosa di diverso. Il legno non è come il metallo: è molto difficile determinare con precisione come si comporterà. A seconda della grana e di quanto è cresciuto l'albero prima di essere tagliato, ogni pezzo è diverso, così come il flex. Ecco perché ogni sci viene prodotto come un singolo pezzo. Solo alla fine del processo di produzione una macchina misura la flessibilità e la rigidità per abbinare gli attrezzi corrispondenti. Le serigrafie sono tagliate al laser da pannelli di grandi dimensioni, inclusi loghi e design. Tutto viene messo su un carrello, con vari scomparti. Più il carrello si muove attraverso la fabbrica,
> materiali HELIO Helio è sinonimo di fibra di carbonio abbinata a legno di Balsa. In questo modo si ottengono attrezzi leggeri ma con una buona rigidità torsionale e un flex equilibrato. Helio Carbon Ski è disponibile in larghezze al centro da 76, 88, 95, 105 e 116 millimetri, con i più stretti indicati prevalentemente per discese tecniche e nevi dure e i più larghi per quelle soft. Early rise tip & tail e pesi da 1,05 chili nelle misure più corte dei modelli sottili a 1,65 chili nelle più lunghe e larghe. Prezzi a partire da 725 euro. Nella foto qui accanto Helio 88.
più si riempie. È incredibile contare il numero di componenti di uno sci. Qui viene prodotto anche il top sheet. Quando tutti i pezzi sono sul carrello di produzione, si inizia ad assemblare manualmente l’attrezzo. Dietro a ogni parte ci sono decenni di esperienza: quale colla, temperatura, tempo nel forno... tutti dettagli importanti. Poi, alla fine, vengono affilate le lamine e testato il flex. Da questo particolare capisci la qualità del prodotto. Per esperienza gli sci che escono dalla fabbrica hanno bisogno di un set up per andare sulla neve, invece questi sono perfetti, con le lamine affilate e il giusto angolo». LA GAMMA BD Black Diamond commercializza 13 diversi modelli sci, divisi in tre linee: ski mountaineering, touring e freeride. Nel concetto della casa americana ski mountaineering, vale a dire la linea Helio, significa sci alpinismo con la parola alpinismo in evidenza, montagna vera, discese tecniche, mentre touring è lo skialp tradizionale, quello delle haute route e delle gite tra bosco e quota.
ROUTE Lo skialp tradizionale in casa BD si chiama Route. Disponibili in tre larghezze al centro, 88, 95 e 105 mm, questi sci sono costruiti per avere più sostanza e un occhio alla durabilità, grazie all’anima in legno di Pioppo con inserti in fiberglass. Semirocker tip e camber tradizionale per un utilizzo misto su nevi soft e hard. Il peso va da 1,3 chili a 1,8 ad asta scalando dai più stretti e corti ai più lunghi e larghi, mentre i prezzi partono da 550 euro. BOUNDARY Lo sci freeride per eccellenza di BD, disponibile anche nelle versioni Pro, create con e per gli skier del marchio. Queste ultime, disponibili nelle larghezze al centro 100, 107 e 115 mm, sono un po’ più rigide per prestazioni più hard. Il 115 senza il suffisso Pro è invece lo sci da freeride centrale della collezione, un 4x4. Costruiti con legno di Pioppo e fiberglass hanno un tip & tail traditional camber e, in funzione del modello, sono indicati prevalentemente per nevi dure o soft. Pesi da 1,8 a 2,3 chili ad asta, prezzi a partire da 495 euro e da 600 euro per la versione Pro. Nella foto qui accanto Boundary Pro 107. eu.blackdiamondequipment.com
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> Gilles Sierro Lo sciatore svizzero in azione ŠDavid Carlier
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> materiali
la banda del wayback Ecco chi sono le Guide alpine che hanno seguito il processo di sviluppo della nuova linea K2 Wayback e come hanno lavorato per creare attrezzi leggeri ma con grandi doti di sciabilità
«Mi hanno sempre chiesto il mio feedback, ma per lo sviluppo della nuova linea Wayback siamo stati coinvolti molto prima - esordisce Francesco Tremolada, Guida alpina in Val Badia - Ci abbiamo messo due anni solo per identificare le esigenze specifiche dei diversi tipi di utilizzatori. Poi abbiamo combinato queste esigenze con la nostra idea di come lo scialpinismo classico possa essere spinto verso la prestazione senza aggiungere peso e mantenendo quel feeling K2 tanto apprezzato». Dietro alle scelte aziendali ci sono obiettivi di mercato, non potrebbe essere diversamente, ma a volte ci sono anche degli uomini. Ed è quello che è successo nel momento in cui in K2 hanno deciso di mettere mano alla linea Wayback. Operazione non facile, perché da quando nel 2005 è stato lanciato lo sci Shuksan e successivamente con la linea di accessori Backside è stata creata un’opzione molto caratterizzata nello ski touring e nel freeride touring, con attrezzi dall’inconfondibile stile di sciata. Insomma, il feeling K2 non doveva essere sacrificato sull’altare del peso, ma l’obiettivo dichiarato era di alleggerire le strutture. Ed è così che, fedeli al motto aziendale la passione guida l’innovazione, al quartier generale di Seattle hanno pensato di coinvolgere in tutto il processo di sviluppo dei nuovi prodotti (fatto raro) quattro Guide alpine attive nelle località più simboliche del mondo per skialp e freeride, quattro professionisti con almeno 150 giornate
sugli sci a stagione, buona parte con i clienti. «Ho lavorato allo sviluppo dei Wayback per tre anni, ma avrei approvato solo uno sci potente che sciasse bene come quelli che avevo già usato dice Hans Solmssen, che dal 1983 ha messo casa a Verbier - Però volevo anche uno sci spaventosamente leggero. Ho sciato con Cody, un ingegnere K2, un buon numero di giornate sulle Alpi, in ogni condizione di neve e con ogni attrezzo di altri marchi, cercando la perfetta combinazione. Siamo ritornati sui nostri passi tante volte e abbiamo fatto molte modifiche, ma alla fine ne è valsa la pena». Probabilmente sì, visto che Wayback 88 ha vinto l’ambito award Ski of the Year 2019 nella sezione ski touring della nostra Buyer’s Guide e Wayback 106 è nella Selection nella sezione freetouring. «Il focus della nuova costruzione sta nell’utilizzo di legni leggeri come la Paulownia o la Balsa, con inserimento molto accurato di laminati compositi in fibra di carbonio o vetro, senza rinunciare all’inserto in titanal sotto il piede - dice Guido Valota, responsabile tecnico della nostra Buyer’s Guide - questo ha permesso una netta riduzione del peso, una performance sciistica realmente all-terrain, e una speciale manovrabilità nelle nevi difficili. La grande agilità caratteristica dei nuovi Wayback non compromette il grip sul fondo e la lamina è tutta giù al lavoro. Si passa con facilità disarmante su tutti i fondi». Yes we can. Sì, si può avere uno sci perfetto per sciare, ma anche per salire.
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> materiali
Gilles Sierro
quasi tutti i terreni. Volevo uno
permettono di non avere problemi
sci simile al leggendario Coomba,
quando ho un cliente veloce e
ma con migliori sensazioni di
disposto a fare un paio di migliaia
divertimento senza perdere di vista
di metri di dislivello. Light non
le prestazioni. Il nuovo design
vuol dire non resistenti: vanno
tip/tail e il laminato T3 TI Spyne
sempre bene, anche dopo settimane e
hanno proprio questa funzione.
settimane di uso intensivo».
Nelle misure più lunghe il gap è
Aka gillesleskieur, ha 39 anni e
ancora più evidente: è alla pari
vive in una piccola comunità alpina
con i migliori sci da freeride sul
nel Vallese svizzero, Hérémence.
mercato, ma pesa meno».
Guida alpina UIAGM da dieci anni, ha al suo attivo diverse prime discese di ripido.
Miles Smart
Cosa rende gli sci K2 particolari?
Trentottenne, statunitense, Guida
«K2 non è salito sul carro del
UIAGM dal 2004, vive a Chamonix.
vincitore quando lo scialpinismo
Dopo avere fatto esperienza
è diventato così popolare, perché
Hans Solmssen
faceva già parte dell’eredità e
Nato a Waimea, nelle Hawaii,
ha trascorso anni sciando con
dello spirito aziendale. Chiunque
sessantenne, dal 1983 chiama
Doug Coombs a La Grave prima di
lavora in azienda, dall’impiegato
Verbier, in Svizzera, casa. Guida
stabilirsi definitivamente ai piedi
del marketing all’ingegnere,
alpina dal 1961, oltre allo sci ama
del Monte Bianco dove dirige gli
pratica scialpinismo. E il prodotto
il wave kitesurf, le grandi barche
Steep Camps.
lo racconta. Quando facciamo un
a vela, la bici da strada, la
brainstorming su un nuovo approccio
mountain bike e arrampicare.
arrampicando nello Yosemite,
Cosa rende gli sci K2 particolari? «Sono sci divertenti, versatili e
o prodotto, non devi spiegare i concetti due volte. Parliamo la
Cosa rende gli sci K2 particolari?
dalla reazione prevedibile, pensati
stessa lingua. K2 guida - come noi
«Sono sempre stati non solo
dalle Guide per grandi prestazioni
Guide alpine - e gli altri seguono».
concreti e affidabili, ma anche
scialpinistiche».
divertenti da sciare: danno tante Quali erano le tue aspettative per
risposte brillanti, senza essere
Quali erano le tue aspettative per
Wayback 80 e il 106 e come le hanno
mai troppo rigidi e fastidiosi per
i nuovi Wayback 88 e 96 e come le
esaudite gli ingegneri K2?
le ginocchia».
hanno esaudite gli ingegneri K2?
«Volevo proprio uno sci per i lunghi
«Il nuovo Wayback 88 è un deciso
traguardi, davvero agile durante
Quali erano le tue aspettative per
passo avanti rispetto alla vecchia
la salita, ma che ispirasse sempre
Wayback 88 e 96 e come le hanno
versione. È più leggero, ma più
sicurezza sui terreni più esposti.
esaudite gli ingegneri K2?
solido al piede, inoltre ha un
Quindi non proprio lo sci più
«Sia Wayback 88 che 96 sono gli
raggio più lungo combinato con
leggero possibile, ma quello meno
attrezzi che uso a Verbier quasi
un profilo rocker raffinato, che
pesante con le migliori prestazioni
tutto l'inverno. In primavera di
lo rende più stabile, prevedibile
in discesa. Con Wayback 80 ci siamo.
solito scio sull'88 per la sua
e divertente da sciare. Per i
Il suo peso piuma è semplicemente
polivalenza su tutti i tipi di
lunghi tour nelle Alpi occidentali
incredibile. È difficile credere che
neve, da quella ghiacciata del
probabilmente il miglior rapporto
questo sci sia la prima incursione
mattino alla pappa pomeridiana. Nel
peso/prestazioni! Il nuovo 96
di K2 in questa categoria light
cuore dell'inverno so che il 96 mi
garantisce ancora più controllo del
touring. Wayback 106 è il mio sci
fa galleggiare in tutto quello che
suo predecessore, che era famoso
per tutti i giorni, un attrezzo ben
il cielo ci ha concesso durante la
per questa dote: è divertente e
bilanciato di cui mi posso fidare su
notte. Entrambi sono leggeri e mi
giocoso ma pesa decisamente meno».
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La famiglia Wayback
©Brey Photography
WAYBACK 80 è la risposta K2 al trend light touring: solo 967 grammi nella misura 163 cm. Sciancratura 11380-100 mm, raggio 18 m, è disponibile nelle misure 163, 170 e 177 cm. Prezzo: 749,95 euro. WAYBACK 88 è un modello ski touring moderno e pesa 1.212 gr nella misura 167 cm. Sciancratura 121-88-109 mm, raggio 18 m, è disponibile lungo 160, 167, 174 e 181 cm. Prezzo: 584,95 euro. WAYBACK 96 è l’alternativa ski touring più larga. Pesa 1.325 gr nella misura 170 cm e ha sciancratura di 12896-115 mm. Disponibile in lunghezza 170, 177 e 184 cm. Prezzo: 639,95 euro. WAYBACK 106 è un puro freeride touring: raggio 22 m e peso 1.550 gr nella misura 179 cm. La sciancratura è 136-106-124 mm e le lunghezze disponibili 172, 179 e 186 cm. Prezzo: 694,95 euro.
proviamo, ma è difficile esprimerlo
in condizioni di neve primaverile.
a parole. Provi un nuovo modello e
Anche per il freeride con impianti
dopo un paio di giri ti sembra di
sono semplicemente fantastici,
sciare con un vecchio amico...».
perché durante le brevi salite si beneficia del peso ridotto, mentre
Francesco Tremolada
Quali erano le tue aspettative per
le prestazioni in discesa sono
Quarantottenne, nato a Padova,
i nuovi Wayback 88 e 96 e come le
così buone che i miei modelli da
risiede a Corvara in Alta Badia, nel
hanno esaudite gli ingegneri K2?
freeride più pesanti sono rimasti
cuore delle Dolomiti. Ha iniziato
«Nell'ultima stagione abbiamo
in cantina. Il Wayback 96 è la mia
a lavorare come Guida 20 anni fa e
avuto ottime condizioni di neve,
arma preferita quando la salita
oggi vive esclusivamente portando i
con molti giorni di polvere
è lunga e la discesa ripida e
clienti in montagna. È appassionato
perfetta. Ho quasi sempre sciato
tecnica. In queste condizioni
di fotografia, in particolare della
con Wayback 106. Grazie alla sua
fa valere la sua versatilità
fotografia di viaggio e ha già
leggerezza, la salita è stata
e potenza. Probabilmente è il
collaborato con Skialper.
quasi un piacere. Ben presto mi
modello top Wayback, perché
sono reso conto che il mio amato
funziona alla grande in qualsiasi
Cosa rende gli sci K2 particolari?
88 l’avrei utilizzato solo per le
condizione ed è incredibilmente
«C'è qualcosa di speciale che tutti
classiche escursioni più lunghe o
leggero».
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> materiali
©Pally/Learmond
Marker e Völkl Dimensione skialp & free I marchi tedeschi, controllati dalla stessa proprietà, propongono due tra le più interessanti novità della stagione, il nuovo sci Mantra M5 e l’attacco a pin Alpinist
La tradizione è un valore importante. In Marker, lo storico brand che ha rivoluzionato il mondo degli attacchi da sci, e Völkl, da sempre sinonimo di curve tagliate e sci belli solidi, lo sanno. Ed ecco che per il 2018/19 i marchi che, insieme alla casa produttrice di scarponi Dalbello, sono controllati dalla stessa proprietà, lanciano due interessanti novità: la rinnovata versione dello sci da freeride Völkl Mantra M5, dal 2005 un’icona del mondo free, e il nuovissimo Marker Alpinist, che segna l’ingresso nel mondo dei full pin. Alpinist Marker non si limita a ripercorrere soluzioni già viste, ma anche in un mondo collaudato, come quello degli attacchi a pin, porta qualche interessante elemento di
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Alpinist 12 Peso: 245 gr (335 gr con brake) Valori DIN: 4-9 e 12 Regolazione lunghezza: 15 mm (+- 7,5 mm, versione noleggio con regolazione 35 mm) Larghezza ski-stopper 90/105/115 mm Compatibilità rampanti All Pin Tech: 80, 90, 105, 120 Prezzo: da 349 euro
www.marker.net
> materiali POWER ON THE EDGE
LIGHT & STRONG CARBON.TIPS STRENGTH FOR THE MOUNTING PLATFORM
DAMPING OVER THE FULL LENGTH
novità che vale al nuovo attacco l’ambito riconoscimento binding of the year ski touring della nostra Buyer's Guide 2019. «Tra le funzionalità ci piacciono la base allargata della torretta rotante; la vite longitudinale lungo la slitta da 15 mm utili con ammortizzazione attiva degli accorciamenti degli sci che si piegano nelle buche - e booster in risposta; la foratura allargata a 38 mm; gli inserti in gomma morbida nelle aree più soggette alla formazione di ghiaccio, sistema adottato sui ramponi per scuotere la neve che tende a fare zoccolo o ghiaccio» il lusinghiero giudizio del nostro staff tecnico. Altra caratteristica importante: i braccini del puntale e della piastrina di base (che dispone finalmente di una dimensione e di una distanza dei fori di montaggio sullo sci di 38 millimetri, ideati per l’uso con aste più larghe dei classici sci race) sono rinforzati con carbonio a fibra lunga che garantisce il 30 per cento di rigidità in più rispetto a un attacco in solo metallo. Questa rigidità supplementare fornita dal carbonio consente di mantenere Alpinist leggero e snello, con due sole molle di bloccaggio sotto l’avampiede. È disponibile con molle di sgancio da 4-9 DIN o 6-12 DIN, c’è lo ski-stopper opzionale ed è compatibile con tutti i rampanti All Pin Tech, i quali sono a loro volta compatibili anche con gli attacchi Kingpin.
Mantra M5 Sciancratura: 134/96/117 mm Raggio: 19,8 m (177 cm) Lunghezze: 170, 177, 184, 191 cm Peso: 2.160 gr Anima: Multi Layer Woodcore Prezzo: 719 euro www.voelkl.com
Völkl Mantra M5 Il focus degli ingegneri dello stabilimento di Straubing per lanciare il nuovo Mantra, vera e propria bandiera del segmento Allmountain Freeride, era di ottenere uno sci ancora più agile e leggero del suo predecessore. Obiettivo raggiunto soprattutto grazie alla tecnologia Titanal Frame che concentra delle sottili lastre di titanal solo dove serve: un frame da 0.6 mm è stato inserito sotto al sidewall, in prossimità della coda e della shovel, un altro da 0.3 mm in prossimità dell’attacco. La coda è in carbonio per ridurre il peso e aumentare la rigidità torsionale. Mantra inoltre diventa anche femminile con la versione Secret, leggermente più stretto al centro e ancora più agile. «Sci strong e tradizionale, una putrella che va molto bene su nevi dure e compatte o trasformate, adatto a gite impegnative sia in salita che in discesa. Il camber è reattivo e permette di sciarlo in maniera dinamica anche nello stretto di un canale senza titubare» il giudizio della nostra Buyer’s Guide, dove è stato inserito nella categoria Pro Model e indicato per canali ripidi e mix pista/fuori.
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> materiali Daniele Trabucchi con Toni Palzer
La filosofia Ski Trab per l’attacco TR2 è stato per molti aspetti un attacco rivoluzionario, che ha aperto la strada alle proposte di altri marchi, ma anche Gara Titan Wc e Titan Vario propongono soluzioni molto particolari. Ne abbiamo parlato con Daniele Trabucchi, product manager dell’azienda bormina
Come mai Ski Trab dieci anni fa ha deciso di produrre anche attacchi da scialpinismo? «Prima di tutto per la passione per la meccanica e il materiale tecnico, nello specifico l'esigenza è nata dal fatto che non c'erano attacchi che garantissero un buon controllo dello sci. Ero stanco di spiegare che lo sci leggero poteva dare buone e importanti prestazioni in discesa, ma serviva un sistema scarpa-attacco che migliorasse nettamente il controllo dello sci. Ecco perché è nato l'attacco Ski Trab e in particolare il TR2».
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Come mai dieci anni fa sei arrivato alla soluzione della talloniera del TR2 con due ganasce al posto delle tradizionali due spine, mentre l’anteriore è sostanzialmente simile a quello degli altri attacchi a pin (seppure più robusto)? «Per controllare al meglio lo sci, dallo sciatore devono partire i comandi e gli impulsi senza che ci siano dispersioni di forza nel sistema scarpa-attacco. Per questo motivo, come nello sci alpino, non si può prescindere dal fatto che il tacco scarpone sia fissato sullo sci dall'attacco in maniera più stabile possibile. Il sistema classico offre un tacco sospeso con movimento laterale che comporta giochi elevati e non favorisce il controllo sci. Quindi non rimaneva che avere un posteriore senza sgancio laterale, con fissaggio solido sulla base dello sci e un possibile sgancio laterale sul puntale. A questo punto si è studiato il primo puntale sul mercato con sgancio laterale, come nello sci alpino, ma con addizionale sistema PIN per permettere la camminata». Come mai TR2, nonostante sia utilizzato da alcuni dei più forti freerider, non ha incontrato un successo commerciale di grandi numeri? «Il sistema necessita di uno tacco scarpone speciale e quindi l'offerta è commercialmente più limitata. Solo La Sportiva offre questo sistema incorporato con classico sistema tech».
> materiali Gara Titan Wc e Titan Vario hanno un puntale al contrario. Invece di avere un ponte che rimane in posizione aperta e va chiuso quando si inserisce lo scarpone, il puntale lavora su una singola molla in titanio che è chiusa e bisogna agire su una leva per fare pressione e inserire lo scarpone. Perché? Quali sono i vantaggi di questa soluzione? «Ora stiamo parlando della seconda importante innovazione portata avanti dal nostro staff. Oggi sull'attacco leggero - dai 100 ai 250 grammi per intenderci - non abbiamo ancora alternative al sistema pin-tech con posteriore con classiche forche e sgancio laterale. Ma sul fronte anteriore siamo arrivati (dopo anni di esperienza con la classica versione) a una grande novità: far gestire l'apertura e chiusura dei pin da un unico elemento, una molla in titanio al posto di un sistema meccanico simmetrico a due leve. Il nostro attacco Titan, oltre a essere più semplice e di facile gestione, anche pensando alla sua manutenzione e uso, offre un leverismo di apertura e chiusura dei pin che lavora in maniera opposta rispetto ai classici attacchi leggeri. Se si analizza nel dettaglio il sistema, questa soluzione di leverismo porta un cambiamento sostanziale della curva di forza di pinzatura dei pin sullo scarpone. Questa forza di pinzatura è incrementale rispetto alla tradizionale, che invece ha una curva della forza decrementale. In pratica, miglior presa dello scarpone soprattutto in fase di movimento laterale scarpa. In certe situazioni possiamo camminare anche con l'attacco in posizione aperta di sicurezza. Inoltre il sistema e la molla in titanio permettono ai due pin di essere elasticamente indipendenti tra loro e anche questo aspetto migliora la presa della punta scarpa, riducendo gli sganci accidentali». Perché il Vario non ha la possibilità di regolazione dei valori DIN? «La regolazione è sicuramente un valore aggiunto ed è molto richiesta dagli utenti. Analizzando però le esigenze tecniche e quanto richiede la normativa ISO sullo sgancio attacco, abbiamo preferito concentrarci su elementi che consideriamo basilari e prioritari rispetto alla semplice regolazione di una molla. Questioni come l'elasticità dello sgancio laterale, o la necessità di avere un valore di sgancio laterale stabile anche con sci flesso e la necessità di un carrello elastico su cui far muovere la talloniera; meno attriti possibili tra stopper e rotazione posteriore o uno stopper con buona qualità e forza sono per noi priorità. In poche parole, ci siamo concentrati sulla qualità dello sgancio, proponendo dei pacchetti di molle (talloniere) con tre livelli di sgancio, in grado di soddisfare tutte le richieste».
La talloniera del Tr2
Valori DIN, durezza delle molle… in un mondo di norme e regolamenti sempre più stretti, come si può pensare che l’utente regoli correttamente l’attacco. E il negoziante? «Domanda molto interessante e attuale. In effetti gli attacchi in questione come tutti gli attacchi leggeri non sono certificati e quindi presumibilmente nessuno a oggi soddisfa la normativa ISO riguardante lo sgancio di sicurezza. Però normalmente gli attacchi hanno numeri di regolazione o riferimenti a cui difficilmente il consumatore e lo stesso rivenditore sanno dare un significato preciso. Non ci risulta ci siano dei riferimenti documentali o tecnici che aiutino il cliente o rivenditore a decidere con esattezza come regolare l'attacco. La responsabilità è in mano a chi utilizza per ultimo il cacciavite, scegliendo il valore di regolazione sgancio». Qual è il next step nell’attacco da scialpinismo? «Continuare a lavorare sul controllo dello sci che parte dal sistema scarpa-attacco e migliorare la qualità sgancio seguendo quanto stabilito dalla normativa di riferimento».
Titan Vario
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> materiali
Dimentica la sciolina Phantom 2.0, firmato DPS, è un prodotto che rende lo sci scorrevole per sempre Se ne è parlato molto l’anno scorso nella community degli sciatori di montagna. E potrebbe essere davvero un’invenzione game changer, per due motivi. Phantom di DPS promette di aprire una nuova era nel mondo delle scioline. In pratica il prodotto, lanciato nel 2017 e ora arrivato alla versione 2.0, è un’applicazione a base di polimeri che penetra in profondità nella soletta ed è permanente, eliminando la necessità di sciolinare sci e snowboard. È applicabile su attrezzi nuovi ma anche usati, in un negozio specializzato oppure a casa, perché il procedimento è semplice e ben spiegato. Ed è ecologico, in
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quanto, a differenza dei prodotti tradizionali, realizzato con ingredienti che, secondo i primi studi realizzati per conto di DPS, non inquinano e sono più green delle scioline a base di soia. La versione 2.0 è leggermente più veloce su tutti i tipi di neve e ha ridotto notevolmente i tempi di attesa per l’assorbimento dopo l’applicazione. Per vedere come funziona siamo stati da XL Mountain di Settimo Vittone, che prepara tutti gli sci della nostra Buyer’s Guide, e lo abbiamo fatto applicare su un paio di attrezzi. Nei prossimi mesi vi diremo quali sono stati i risultati. Danilo di Xl Mountain, che ha già iniziato a provarlo, ci ha dato un primo riscontro positivo: «Sicuramente non hai mai la sensazione di secchezza della soletta che con altri trattamenti avverti dopo qualche giro». Stay tuned. Phantom 2.0 è in vendita nei negozi specializzati e sul sito www.dpsskis.com
> materiali 1
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DIY - Do It Yourself Foto 1 e 2). La confezione di Phantom 2.0 costa 99,99 euro e comprende quattro bustine (soluzione A e B, una per sci) a base di polimeri, guanti da lavoro, tampone, spazzola con tampone in sughero. Foto 3) Prima di
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trattare lo sci bisogna passarlo in mola oppure pulirlo bene con una soluzione wax remover che si trova in commercio e un panno. Foto 4) Applicare la bustina di soluzione A a spirale e spargere gli avanzi ai lati, successivamente applicarla uniformemente e con più passate con il
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tampone in dotazione. Foto 5) Lasciare assorbire
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polimerizzare il prodotto per un’ora a temperature superiori agli 0 °C e sotto i raggi del sole. L'esposizione può essere ripresa anche successivamente se arrivano le nuvole. Foto 6) Ripetere 7
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l’applicazione con la bustina di soluzione B (anche in un'altra giornata) e lasciare assorbire come per la soluzione A. Foto 7 e 8) Spazzolare bene la soletta e tamponare con il sughero. Gli sci così trattati possono essere comunque sciolinati e usati con le pelli
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> materiali info pr
Pelli Colltex 50 anni di innovazione La casa svizzera che ha inventato l’adesivo acrilico festeggia mezzo secolo con una collezione di tessilfoca completa
Nel 1968 Hans Fischli a Tödi, nel cantone svizzero di Glarus, sostituì la cera adesiva con un adesivo sensibile alla pressione, che rimaneva solo sulla tessilfoca e poteva essere riutilizzato più volte. Quell’invenzione ha permesso al marchio Colltex di festeggiare 50 anni di attività e ancora oggi il marchio è sinonimo di prodotti innovativi. A testimoniarlo i tanti atleti e professionisti che utilizzano le pelli svizzere, dalla Guida Andreas Steindl, che ha recentemente battuto due record di velocità sul Cervino, agli scialpinisti Rémi Bonnet, Victoria Kreuzer, Jennifer Fiechter e Werner Marti, passando per Mathéo Jacquemoud. Colltex è importata in Italia da Panorama Diffusion (www.panoramadiffusion.it).
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LA PELLE SENZA COLLA Il prodotto che ha fatto più parlare è la famosa pelle senza colla Clariden Whizz, con un adesivo acrilico che non appiccica ed è rinnovabile a freddo grazie all’accessorio Whizz tape. In pratica le pelli non si incollano quando piegate, non c’è la rete di protezione, montaggio e smontaggio sono ultraveloci e facili, senza perdita di adesione e sono resistenti a temperature estreme. Clariden fa parte dei modelli da tagliare ed è un mix 65% mohair - 35% polyamide. GLI ALTRI MODELLI Tra le pelli da tagliare anche la Combin, 100% mohair, leggera (148 gr) con adesivo in silicone facilmente riattivabile, la Mix (stessa composizione della Clariden) e la Palu, 100% mohair. I modelli dritti comprendono invece le veloci Colltex Race PDG, con colla e trama studiate per le gare, e la Mix Tödi, 65% mohair - 35% polyamide, entrambe con colla standard. Esiste anche un modello pretagliato nella parte anteriore e posteriore, Ready Tödi Mix, con composizione mista, come le altre tessilfoca che combinano mohair e polyamide. I GANCI Tre i tipi di ganci proposti da Colltex. Il gancio 41, usato sulle pelli dritte, è una barra in acciaio di 72 mm di larghezza con possibilità di montaggio sull’80 per cento degli sci. Ace è un nuovo sistema di gancio anteriore compatibile con tutti gli sci. In più si può staccare la pelle velocemente dalla parte anteriore dello sci in ogni situazione. Infine Camlock è il sistema di aggancio per pelli su misura, senza rivetti e solo incollate. Di plastica indistruttibile.
> materiali
info pr
Arva Axio tre antenne in contemporanea L’apparecchio di ricerca in valanga top di gamma del marchio francese utilizza l’innovativa tecnologia Spheric Search
BCA Tracker 3 Software
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5 anni con registrazione sul sito arva-equipment.com
Funzioni e particolarità: commutatore automatico per valanga secondaria auto test - test di gruppo - marcaggio - gestione delle interferenze - scrolling per ripartizione selettiva in multivittima
Fine della modalità antenna principale in ricerca principale, antenna secondaria in ricerca secondaria e terza in ricerca finale. Il modello top di gamma del marchio francese Arva, Axio, utilizza infatti una innovativa tecnologia Spheric Search che fa funzionare le tre antenne in modalità simultanea per una ricerca del sepolto più efficace. Inoltre Axio lavora su corrdoi di ricerca molto ampi di 60 metri e dispone di alcune interessanti funzionalità come il test di gruppo e Interference management, un sistema operativo per gestire al meglio le interferenze esterne. Axio costa 349,90 euro. Arva commercializza anche Neo+ (279,90 euro), tre antenne con sistema Isotech che garantisce uguale performance sulle due antenne principali ed è ora disponibile con nuovo software con profondità di ricerca 70 metri, ed Evo4, entry level al costo di 209,90 euro, unico sul mercato ad avere l’esclusione del segnale della vittima trovata, funzione fondamentale. Inoltre Neo+ ed Evo4 hanno l’utilissimo sistema Clip for Safe che accende automaticamente l’apparecchio nel momenti in cui lo si indossa e allaccia. Un dettaglio banale, ma assolutamente importante.
www.panoramadiffusion.it
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BarryHeart 3.0 Arriva l’aggiornamento per gli ARTVA Mammut Upgrade da dispositivo a dispositivo, ottimizzazione delle interferenze, ricerca alternativa e altre nuove funzioni
Mammut ha appena rilasciato il nuovo firmware BarryHeart 3.0 per i dispositivi ARTVA Barryvox, in gran parte basato sui feedback ricevuti dagli utenti e migliorativo rispetto alla precedente versione. L’upgrade è disponibile sia per Barryvox che, in forma più completa, per Barryvox S ed è gratuito recandosi presso i punti vendita autorizzati entro il 31 dicembre 2018.
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LE NUOVE FUNZIONI Viene introdotto l’aggiornamento da dispositivo a dispositivo che può essere effettuato molto facilmente e indipendentemente dall’accesso alla rete o a un punto di servizio. Il requisito di base è la carica della batteria in entrambi i dispositivi maggiore del 30%. È possibile eseguire un solo aggiornamento per volta nello stesso ambiente o entro un raggio di 50 metri e solo tra dispositivi della stessa regione w-link. Il test di gruppo avviene mediante facili istruzioni animate e può essere attivato rapidamente e facilmente per controllare la frequenza di trasmissione dei vari dispositivi all’inizio di un tour assicurandosi in questo modo che tutti i dispositivi siano in modalità send. Con la conferma di trasmissione send, se ci troviamo in uno spazio ristretto che impedisce il classico test, è possibile ora verificare in ogni caso che tutti gli apparecchi siano in trasmissione anche sotto il metro di distanza. Su Barryvox S c’è anche la possibilità di un test più completo, Barryvox S Pro Check: consente il calcolo rapido e preciso della frequenza di trasmissione e della durata e intensità dell’impulso di un ARTVA. Questa funzione fornisce un’ulteriore sicurezza al gruppo, soprattutto se si utilizzano dispositivi datati a una o due antenne. Aiuta quindi a identificare immediatamente ARTVA non conformi agli standard richiesti dalla norma EN 300 718-1. Barryvox S introduce anche la modalità di ricerca alternativa: nove livelli di amplificazione ottimizzano l’impiego del tono analogico durante la ricerca in modo preciso ed affidabile. Vengono mostrate sul display distanza e direzione del soggetto travolto con il più forte segnale, riproducendo il tono di ricerca analogico. BarryHeart 3.0 lavora inoltre sull’ottimizzazione delle interferenze: meno disturbi da dispositivi elettronici quali smartphone o gps durante la ricerca, evitando l’apparizione di segnali fantasma. Il nuovo software garantisce infine maggiore precisione e velocità nell’analisi del segnale; migliore affidabilità di marcatura in caso di sovrapposizione dei segnali; visualizzazione della direzione ottimizzata dopo la ricezione del primo segnale (comportamento migliorato in caso di rotazioni di 180°); struttura dell’elenco dei soggetti travolti migliorata e velocizzata visualizzazione della durata della batteria.
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Calze GM Sport Merino Super Extra fine e Seta hi-tech
Seta Race Fis 1360 A chi vuole una calza che sia una seconda pelle è dedicato il modello top di gamma in seta, ultrasottile e leggerissimo. La superficie leggermente scivolosa aiuta la calzata di scarponi stretti, mentre le zone resistenti all’abrasione danno il giusto grip all’interno della scarpa. Le cuciture piatte in punta sono realizzate a mano, il polsino studiato per vestire bene e non stringere. Prezzo: 35,90 euro. Peso: 35 gr.
Il marchio trentino produce calze sportive dal 1960 e ben cinque modelli da scialpinismo con diversi pesi e proprietà Quando nel 1960 Giorgio Montagni inventò la calza tecnica italiana, dovette affidarsi ai primissimi macchinari tessili inglesi Bentley per eseguire la lavorazione innovativa dell’interno in spugna. Sono passati quasi 60 anni e quei macchinari sono stati sostituiti con quelli elettronici italiani; Calze GM Sport ha fatto parte per 30 anni del Pool Sci Italia, vincendo 8 medaglie d’oro olimpiche; è salita su tutti i 14 ottomila e ha depositato il primo brevetto per le calze a struttura anatomica differenziata asimmetricamente per il piede sinistro e destro. Il presente e il futuro per l’azienda trentina sono all’insegna della specializzazione (è uno dei pochi marchi che continua a produrre solo calze) e della sostenibilità e la sfida è quella di utilizzare le fibre naturali (recentemente si è aggiunto anche il cashmere) rivisitandole in chiave hitech. Calze GM Sport ha definito e adottato il protocollo Love our planet, confermando la scelta di continuare a produrre in Italia con filati dal mondo, tutta la filiera è tracciabile secondo gli standard delle Camere di Commercio italiane. Lo standard Oeko-Tex 100 inoltre certifica che i filati utilizzati non rilasciano sostanze nocive in quantità superiore ai limiti previsti. E per lo skialp ci sono ben cinque modelli. Ecco tre consigli per avere sempre piedi caldi e asciutti. www.calzegm.com
Ski Alp Light Touring 1410 Per le gare di scialpinismo e gli allenamenti, è realizzata con un blend di lana Merino Extra fine e filato tecnico. La costruzione ergonomica differenziata destro/ sinistro garantisce sensibilità, pur mantenendo la resistenza nei punti di maggiore stress. Ampi pannelli in rete favoriscono la traspirazione, mentre il tallone e la punta sagomata sono in tessuto antivesciche NanoGLIDE. Prezzo: 31,90 euro. Peso: 64 gr.
Ski Alp Thermo 1430 Per il grande freddo (e per il piede femminile, più sensibile) le doti termoregolanti della lana Merino Super Extra fine, presente in cuscinetti in spugna che hanno anche potere ammortizzante. Morbide e resistenti, più sottili di una normale calza in Merino, soprattutto sempre asciutte grazie a uno speciale trattamento che impedisce quella spiacevole sensazione di bagnato e freddo. La fascia elastica su tutto il piede assicura una perfetta stabilità di calzata. Prezzo: 34,90 euro. Peso: 90 gr.
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BCA AmericAN Way La filosofia della casa americana punta molto sulla formazione e sull’importanza dell’intervento dei compagni di gita Tra i produttori di ARTVA ce n’è solo uno statunitense, Backcountry Access (BCA). Indipendentemente dalle valutazioni tecniche sui prodotti, che sono stati testati in parte anche nella Buyer’s Guide 2019, c’è una filosofia di base che è interessante approfondire. Backcountry Access è molto attenta alla formazione di chi acquista i propri prodotti e dedica un’ampia e molto interessante sezione del sito - in lingua inglese - a questo argomento: backcountryaccess.com/learn-avalanche-safety/. Ci sono diversi tutorial molto pratici. «Le considerazioni di partenza del marchio, supportate da statistiche e testimonianze, sono che è fondamentale la ricerca effettuata immediatamente dai propri compagni di gita, prima dell’arrivo dei soccorsi, e che la gestione dei seppellimenti multipli va affrontata come se fossero diversi seppellimenti singoli, uno dopo l’altro» dice Andrea Costa di The Group Distribution, agenzia per l’Italia del marchio. Curiosando nella sezione learn del sito Back Country, ci sono alcuni dati a conferma di questo assunto. Se la vittima viene liberata nel giro di 15 minuti le possibilità di salvarla sono del 92%, in 35 minuti si scende al 37% e poi drasticamente. Altri interessanti dati arrivano da uno studio di Bruce Elderly (fondatore e parte del gruppo internazionale di ricerca in valanga) sugli incidenti da valanga attraverso i social media. Si scopre che,
BCA Tracker 3
L’ARTVA va usato in combinazione con sonda (Stealth 270 o 300) e pala (B-1 EXT). BCA ritiene che la comunicazione sia una parte importante dell’autosoccorso, per questo produce anche le radio a due direzioni BC Link, che sono perfettamente integrabili con lo zaino Float 22.
sulla base di 97 incidenti, il 40% di quelli che si sono risolti con la ricerca da parte dei compagni di gita, sono rimasti fuori dalle statistiche ufficiali (mentre solo il 12% di quelli che hanno coinvolto organizzazioni di soccorso risultavano non catalogati). Il 63% dei casi riguardano proprio casi di autosoccorso, mentre solo il 17% di soccorso organizzato.
backcountryaccess.com
BCA Float 22
Antenn 3
Peso
Prezzo
299,95 euro
Volume
22 l
310 gr
Prezzo
499,95 euro
Peso con custodia Autonomia in trasmissione Dimensioni
250 ore 11,5 x 7,1 X 2,4 cm
Funzioni: commutatore automatico per valanga secondaria - marcaggio/ soppressione temporanea del segnale - modalità big picture, che mostra le distanze e le direzioni di tutti gli apparecchi - inversione automatica search/send
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2.992 gr con bombole
Specifiche: portasci diagonale - portasnowboard verticale - compatibile con sistema di idratazione - scompartimento per pala e sonda - porta casco
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Garmin, Arriva inReach Mini È la versione compatta del gps satellitare bidirezionale e sta nel palmo di una mano Compatto, tanto da stare nel palmo di una mano, leggero, con un peso di soli 120 grammi, ma altamente tecnologico: Garmin inReach Mini è il nuovo comunicatore satellitare bidirezionale concepito per vivere le attività outdoor in totale sicurezza. Tramite copertura satellitare globale Iridium, sottoscrivendo un abbonamento dedicato, inReach Mini consente di avere una comunicazione in doppia direzione da ogni luogo del mondo, sia in mezzo all’oceano che in vetta a una montagna. Oltre a inviare e ricevere messaggi di testo ed e-mail, dispone di una funzione SOS attiva 24/7 direttamente collegata al centro di coordinamento emergenze internazionale
il negozio di fiducia Giuliano Bordoni, Ph: Daniele Molineris
GEOS, garantendo così assistenza e soccorso immediato in caso di necessità, ovunque ci si trovi. InReach Mini è resistente agli urti e impermeabile (IPX7) e integra una batteria ricaricabile al litio che garantisce ampia autonomia: dalle 50 ore con invio del rilevamento ogni 10 minuti, fino a 20 giorni in modalità di risparmio energetico. Inoltre scaricando l’app Earthmate sul proprio smartphone o tablet, tramite Bluetooth, può essere associato a dispositivi compatibili per accedere comodamente a mappe e immagini aeree. Il prezzo al pubblico consigliato è di 349,99 euro.
www.garmin.com/it
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Cappuccio ben regolabile, anche per il casco
Dynafit Radical GTX Va bene come strato esterno nelle giornate piovose e ventose e con un buon isolamento sotto nei giorni piĂš freddi. Costa 450 euro. I pant Radical GTX costano 400 euro.
Zip di ventilazione sotto manica Inserti riflettenti
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Gore-Tex C-Knit Backer A prova di skialp Abbiamo fatto provare a François Cazzanelli il completo Radical di Dynafit che utilizza la tecnologia a tre strati con membrana pensata appositamente per lo scialpinismo e il freeride Foto di FEDERICO RAVASSARD
Non sa stare fermo. Non c’è dubbio che François Cazzanelli, Guida alpina di Cervinia, sia uno dei migliori testatori per prodotti studiati appositamente per attività che richiedono una buona intensità aerobica. Dopo un passato agonistico di alto livello (è stato anche in nazionale), infatti, François ha preso con decisione la strada dell’alpinismo nouvelle vague, vale a dire in velocità e leggerezza. L’ultima estate, come scrive con qualche dettaglio in più Denis Trento in questo stesso numero di Skialper, lo ha visto protagonista di due exploit fast&light non privi di difficoltà alpinistiche, prima in compagnia di Kilian Jornet sulle Grandes Murailles, poi con il collega svizzero Andreas Steindl alle creste del Cervino dove, in poco più di 16 ore, hanno battuto un record di Kammerlander e Wellig che resisteva da 26 anni. Ecco perché quando abbiamo deciso di provare uno dei completi top di Dynafit che utilizza la tecnologia di prodotto Gore-Tex C-Knit™ Backer, indicata per hiking, trekking, freeride e condizioni meteo variabili, abbiamo pensato a lui. Detto, fatto: l’appuntamento era a casa sua, ai piedi del Cervino e, grazie al buon innevamento di inizio stagione, abbiamo potuto provare a fondo, in salita e discesa, il completo giacca e pantaloni Dynafit Radical GTX. Prima le nuvole basse, poi il nevischio e un’umidità relativa piuttosto alta hanno contribuito a creare un campo prove particolarmente valido. «Finalmente una giacca che ti lascia libertà di movimento, perfetta per lo scialpinismo: la membrana Gore-Tex è leggera, una buona via di mezzo tra un capo con membrana estiva e uno per condizioni estreme» è stato il primo commento di François alla fine del test. «La consiglierei per scialpinismo con clima non troppo freddo e anche per il freeride con un buono strato isolante sotto, il fit è valido sia in salita che in discesa e ho trovato il cappuccio ben regolabile, anche con il casco: personalmente avrei preferito una tasca Napoleone, vicina alla zip centrale, oltre ai due tasconi laterali,
> François Cazzanelli classe 1990, ex atleta della nazionale di scialpinismo, Guida alpina, ha al suo attivo diverse salite sulle grandi classiche delle Alpi e alcuni record alpinistici in velocità oltre a numerose spedizioni dalla Patagonia all’Himalaya. Se volte fare una gita con lui: franzcazzanelli@yahoo.it
ma è questione di abitudini e gusti». Comodi anche i pantaloni, con un fit abbastanza largo e tasche pratiche. GORE-TEX C-KNIT™ BACKER La tecnologia utilizzata su questa giacca si inserisce nei prodotti a tre strati firmati Gore. Per il tessuto esterno Gore usa tessuti in nylon morbidi a trama liscia. A seconda dell'utilizzo finale previsto, i tessuti esterni possono essere da molto sottili e leggeri a più pesanti e robusti. Posizionata tra il tessuto di protezione interno e il tessuto esterno, la membrana Gore-Tex bicomponente, affidabile e collaudata, realizzata in ePTFE, as-
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Non solo water e wind proof
Perché GORE-TEX, che è sinonimo di impermeabilità unita alla traspirabilità, ha deciso di creare un marchio dedicato anche a prodotti, in particolare i guanti, dove non è richiesta
Gore-Tex ha appena lanciato la linea di prodotti che non
l’impermeabilità?
richiedono l’impermeabilità GORE-TEX INFINIUM™,
«L'offerta di prodotti Gore non impermeabili è disponibile da
contraddistinti dal logo con diamante bianco, che trova
tempo, commercializzati con il marchio WINDSTOPPER, e
applicazioni interessanti nei guanti, dove la tecnologia si chiama
continueranno ad esistere sotto l'ombrello del nuovo marchio
GORE-TEX INFINIUM™ STRETCH. Una combinazione di
GORE-TEX INFINIUM™. Il lancio dei prodotti fa leva sul
struttura 3D preformata ottenuta con processo di termoformatura,
brand GORE-TEX, riconosciuto da anni dal consumatore
tessuti elastici e un numero inferiore di cuciture per migliorare la
finale come sinonimo di qualità e innovazione. Inoltre,
vestibilità e la tattilità dei prodotti. Parlando di guanti abbiamo
essendo GORE-TEX INFINIUM™ dedicato a prodotti
chiesto qualche informazione in più su questa novità (della quale
dove l'impermeabilità non è richiesta, ma il comfort e la
abbiamo parlato a pagina 157 del numero scorso di Skialper) a
performance sono gli attributi principali, la scelta di estendere
Leonardo Cappelletti, Leader Global Business della Unit Guanti di
il marchio ci dà la possibilità di sviluppare prodotti innovativi
W. L. Gore & Associati.
per completare l'offerta dei nostri clienti e soddisfare i bisogni
Zip a prova di neve
solve alla sua funzione rimanendo perfettamente solidale con gli altri due strati. I prodotti GORE-TEX C-KNIT™ BACKER, in particolare, sono molto vestibili, soffici e leggeri, poco ingombranti e naturalmente, oltre che garantiti impermeabili nel tempo, sono traspiranti (hanno valori RET inferiori a 9) e windproof.
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+ GORE ACTIVE PER LE MANI È importante che il giusto microclima avvolga tutto il corpo, anche le mani… GORE-TEX propone quattro categorie di prodotti specifici per i guanti pensate per ogni esigenza, ma tutte con il duplice obiettivo di permettere la traspirazione della mano, contenendo la sudorazione, e proteggere dall’azione di
dei consumatori finali. Nei guanti l'esempio di innovazione è la tecnologia
Antivento, caldi, altamente traspiranti e stretching, oltre che tattili. Quali di
GORE-TEX INFINIUM™ Stretch che si aggiungerà ai prodotti con tecnologia
queste caratteristiche ritenete più importante?
WINDSTOPPER».
«I guanti GORE-TEX INFIUNUM™ Stretch hanno come value proposition il fitting combinato all’eccellente traspirazione e l'effetto protezione dal windchill. La tecnologia
Quale quota di mercato prevedete per i guanti Infinium all’interno
applicata consente di non togliersi mai i guanti durante l'attività, dando maggiore libertà
dei prodotti GORETEX INFINIUM™? E per la Business Unit Infinium
nei movimenti. La termicità non è il fattore principale».
all’interno del mondo GORETEX? «Potenzialmente i guanti GORE-TEX INFINIUM™ Stretch technology
Ci può spiegare meglio le particolarità dei quattro pesi di tessuto previsti per i
aprono scenari molto interessanti in categorie di utilizzo che oggi Gore non ha
guanti GORE-TEX INFIUNUM™ Stretch?
approcciato, prevediamo una spinta positiva nel mondo outdoor migliorando il
«I nostri laminati hanno pesi che vanno da un minimo di 242 g/m2 a un massimo di
comfort e la performance. Penso allo scialpinismo in fase di salita, arrampicata,
310 g/m2 e sono tutti certificati Oeko Tex e Bluesign nel rispetto delle più restrittive
trail running invernale, hiking in generale. Già da oggi i guanti The North Face
regole concernenti la sostenibilità e l'ambiente. Le altre particolarità sono relative
con GORETEX INFINIUM™ Stretch technology sono disponibili in diversi
alla parte estetica e all'utilizzo finale. In base al peso del laminato si possono avere
punti vendita nel mondo. Per l'invernale 2019/2020 abbiamo più di 25 clienti
guanti più caldi e resistenti o leggeri e adatti ad attività aerobiche. La collezione si
che stanno sviluppando i campionari».
sta allargando in modo da dare ulteriore libertà di interpretazione ai nostri clienti».
elementi esterni come vento, acqua e neve. Per chi pensa al grip ci sono, +Gore Grip e +Gore 2 in 1, che prevede due guanti in uno. Nell’involucro calore con isolamento le dita restano più calde, mentre nell’involucro grip l’isolamento è solo sul dorso della mano: questo garantisce un’ottima sensibilità al tatto, una maggiore traspirabilità e un facile rilascio di calore su tre lati. Per chi soffre il freddo +Gore Plus Warm è pensata per offrire un isolamento superiore, grazie alla sinergia di tutti gli elementi, dalla fodera alla membrana e al materiale esterno. Per chi infine è alla ricerca di un prodotto molto traspirante e allo stesso tempo caldo c’è la tecnologia +Gore Active. L’intero sistema, costituito da una fodera interna, una membrana e il materiale esterno, garantisce che durante un’attività ad alto impatto aerobico (come lo scialpinismo) si accumuli meno calore e lo strato isolante trattenga meno umidità, rimanendo così più asciutto. LOBSTER O CINQUE DITA? Le prime nevicate stagionali ci hanno permesso di mettere a confronto due guanti con tecnologia +Gore Active: Down Spirit GTX di Reusch e I-Thunder GTX di Level. Si tratta di due proposte abbastanza diverse nei presupposti. Reusch infatti punta su un prodotto soft shell molto piacevole al tatto e soprattutto nella tipologia lobster, vale a dire una via di mezzo tra moffola e cinque dita, con indice e pollice a parte. A nostro avviso si tratta di un ottimo compromesso tra il maggiore calore della moffola e la mobilità di un cinque dita. In particolare Down Spirit si è dimostrato veramente valido per chi passa tante ore sulla neve come Guide alpine e professionisti della montagna, molto piacevole per il suo feeling soft, caldo. La cinghia regolabile permette una buona regolazione del fit, l’anello in fettuccia elastica per il polso è comodissimo e la pelle di capra sul palmo aiuta
Level I-Thunder GTX costa 99,95 euro
Reusch Down Spirit GTX costa 140 euro
tanto il grip. Soluzione diversa per Level, che punta su un classico cinque dita (ben caldo) che ha ottime doti di sensibilità. Il tessuto principale è Stretch Water Resistant e la parte interna delle dita in pelle. Più essenziale l’anello per il polso, in fettuccia di piccole dimensioni, che potrebbe dare qualche fastidio. Comoda ed efficace la cinghia di regolazione del polso.
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Salewa Winter Train Dopo i modelli estivi arriva uno zaino studiato appositamente per garantire il miglior comfort climatico agli scialpinisti
Alzi la mano chi non l’ha provata quella spiacevole sensazione di umido sulla schiena. Durante le salite con le pelli, il corpo suda per abbassare la propria temperatura che tende ad aumentare per l’intensità dello sforzo e tra lo zaino e la giacca si crea una patina di acqua. Con il rischio di colpi di freddo o ipotermia. Salewa ha un know-how specifico nella ricerca di soluzioni per ottenere zaini con schienali che facilitino il comfort climatico, a partire dai modelli estivi. Ora è arrivato anche Winter Train, zaino specifico per lo scialpinismo. COME È NATO Avvalendosi dell’utilizzo di immagini termografiche, il team di ricerca e sviluppo degli zaini Salewa è arrivato alla soluzione: un sistema combinato di schienale e spallacci, denominato Contact Flow Fit. Questo sistema è basato sul principio di ridurre l’area dello zaino a contatto diretto con il corpo senza compromettere il controllo del carico e integrare un sistema di ventilazione meccanica in grado di favorire la circolazione dell’aria sulla schiena. In questo modo, dopo soli 15 minuti di utilizzo, la temperatura della schiena è inferiore di 1,6 °C rispetto a uno zaino convenzionale. STOP & GO Durante lo skialp le soste prolungate o frequenti sono il momento in cui è più facile prendere freddo. Per questo il team di R&D di Salewa ha dotato il nuovo Winter Train anche di soluzioni intelligenti per ridurre le soste al minimo. La cerniera stagna a tre vie permette di accedere al comparto principale da qualunque lato sfilando un solo spallaccio, mentre il compartimento con
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cerniera a lampo sul fondo è accessibile senza dover togliere lo zaino, per tenere a portata di mano le pelli o i ramponi. Inoltre il sistema di trasporto degli sci con fibbia magnetica sullo spallaccio consente di agganciarli con i guanti, mantenendo lo zaino sulle spalle. ERGONOMIA Durante le fasi di arrampicata e la discesa in neve fresca, la libertà di movimento e la stabilità del carico sono essenziali. Gli spallacci ergonomici Split Should Straps dal design sdoppiato o il Twin Compression System, che consente di eliminare il volume inutilizzato e avvicinare il baricentro del carico alla schiena, sono aiuti non di poco conto. La cinghia del Twin Compression System si manovra facilmente con una mano e consente di agganciare stabilmente il casco in cima allo zaino. Winter Train è realizzato in tessuto Robic in nylon ad alta tenacità, un materiale del 60% più robusto e resistente agli strappi del nylon convenzionale che non aggiunge peso.
SKIALPER > Caratteristiche principali • Spallacci sdoppiati Split Shoulder Straps • Schienale Contact Flow Fit • Sistema di stabilizzazione del carico Twin Compression System • Attacco per il casco • Cerniera stagna a tre vie di accesso al comparto principale • Comparto separato e rinforzato sul fondo, unibile al comparto principale • Attacco diagonale degli sci con fibbie magnetiche • Attacco per la piccozza e per i bastoncini • Tessuto Robic ad alta tenacità • Aggancio sullo spallaccio per il sistema di idratazione Salewa Flask System • Volume: 22 litri (donna) e 26 litri (uomo) • Peso: 840 gr (26 l); 760 gr (22 l) • Colori: Black/Pumpkin • Prezzo: 135 euro www.salewa.com
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Al ritmo del ghiaccio bagnato Le superfici gelate con una patina di acqua sono le più pericolose durante le passeggiate invernali, ma ora una innovativa tecnologia applicata alle suole delle scarpe garantisce un grip da ventosa
Testo di CL AUDIO PRIMAVESI - Foto di FEDERICO RAVASSARD
Centoquaranta. Centoquaranta battiti al minuto. Non è il ritmo del cuore ma quello dei piedi, in un ipotetico tip tap che sancisce la sicurezza o meno di una scarpa sul ghiaccio. Almeno questo è uno dei metri di giudizio che si applicano nel test center Vibram di Albizzate. Se la suola scivola al di sotto dei 140 battiti, non viene considerata all’altezza degli standard di sicurezza. Sì, ma ghiaccio secco o ghiaccio bagnato? Dovendo scegliere, bagnato, perché la peggiore insidia quando si cammina in inverno è quella patina di acqua sopra a una lastra di ghiaccio che si sta sciogliendo. La lucidità della superficie ghiacciata unita alla scivolosità dell’acqua crea un cocktail micidiale. La soluzione, fino a qualche anno fa, è stata il ramponcino (non il rampone tecnico da alpinismo, ma quello con denti piccoli, catene e in frame materiale plastico), un ausilio importante per la sicurezza, ma non sempre pratico: alla lunga camminare su superfici dure non innevate affatica e si rischia di toglierlo e non accorgersi in anticipo quando ci sono le condizioni per metterlo. Inoltre non si può tenerlo quando si entra in un negozio, se lo si indossa in città. Perché dunque non avere sempre ai piedi qualcosa che ci dia sicurezza nelle camminate
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outdoor invernali? «Dai test di laboratorio risulta che le scarpe con suole Vibram Arctic Grip prima di scivolare debbano sopportare almeno il triplo della forza rispetto ad una calzatura normale». A parlare è Alessandro Caltagirone del tester team Vibram, quel piccolo esercito di ricercatori che lavorano qui ad Albizzate in uno dei tre test center (gli altri due sono in Cina e negli Stati Uniti) dell’azienda fondata nel
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Vibram Portable Performance Sole Sul packaging c’è scritto… in case of wet ice. In caso di ghiaccio bagnato. Si tratta dell’ultima novità targata Arctic Grip: una sovrasuola fissabile tramite lacci in gomma e gancetti e ripiegabile su se stessa per occupare pochissimo spazio. È in vendita nello shop online del sito www.vibram.com
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1937 da Vitale Bramani. Più di tanti numeri impressiona vedere il test della frizione. Il gioco è semplice: una persona indossa la scarpa con suola Arctic Grip su un piano ghiacciato che si inclina. In questo modo viene misurato il coefficiente di attrito dinamico, in pratica si determina la pendenza alla quale la scarpa perde aderenza e la velocità di scivolata. La piastra diventa sempre più ripida e la scarpa rimane incollata. «Nella tecnologia Arctic Grip si arriva anche ad avere prodotti che sono il 59 per cento più sicuri, nel senso che permettono di eseguire, su superfici ghiacciate (soprattutto quando il ghiaccio inizia a sciogliersi, diventando più insidioso), movimenti come cambi di direzione, frenate, accelerazioni che con calzature non dotate di suole Arctic Grip sarebbero impossibili o molto rischiosi» aggiunge Caltagirone. Oltre al test della frizione, gli altri due che vengono effettuati in laboratorio sono quello della cella di carico, che determina appunto la forza massima oltre la quale il grip diminuisce a tal punto da non garantire più stabilità durante il movimento e lo step test (quello del
> Persone dietro la tecnologia Alessandro Caltagirone del tester team (a sinistra), Moira Bevilacqua del reparto design (sotto) e Alessandro Landini, responsabile vendite outdoor (in basso). In apertura uno dei test di laboratorio su superficie ghiacciata
battito!) che misura la frequenza di passi al minuto: la tecnologia Vibram Arctic Grip nello step test ha una soglia di accettabilità di 140 passi al minuto. I test su superficie ghiacciata sono però il penultimo step (poi ci sono quelli in esterno) di un processo molto lungo, di anni. «La tecnologia Arctic Grip è nata nel 2015, ma lo sviluppo ha richiesto un paio di anni, se si è fortunati si può accorciare il processo a un anno, ma mai meno» dice Alessandro Landini, responsabile vendite del comparto outdoor. Un processo che non si ferma quando il prodotto viene lanciato sul mercato: «dal 2015 a oggi abbiamo fatto diverse modifiche al design delle suole con tecnologia Arctic Grip sulla base dell’esperienza di utilizzo intensivo dei prodotti, al fine di ottenere un design che contribuisca sempre più
ad esaltare la performance della tecnologia» aggiunge Moira Bevilacqua del reparto design. Per capire la sua affermazione bisogna fare un passo indietro. Si parla infatti, a differenza del ben noto Megagrip che ogni trail runner conosce, di tecnologia e non di mescola della suola. Tecnologia perché si tratta del complesso abbinamento della mescola Vibram Icetrek (precedente allo sviluppo del progetto Arctic Grip e adatta all’utilizzo in condizioni invernali generiche) con dei tasselli in Arctic Grip di dimensioni generose che sono posizionati solo in alcune parti strategiche della suola, dove ci sono i punti di pressione più importanti per la stabilità e la trazione. Questi punti vengono individuati con un test effettuato sulla pedana baro-podometrica. Il risultato del test è un riferimento importantissimo per il lavoro dei designer: è fondamentale per far capire le aree della suola più indicate per il posizionamento dei tasselli in Arctic Grip e quella dove, invece, è più importante far lavorare la mescola Icetrek. Un design ben concepito consente di enfatizzare la performance
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3 scarpe con Arctic Grip
Dolomite Tamaskan
Nitro Capital Boot
Scarpa Haraka
Modello impermeabile con ghetta
Questa scarpa da snowboard
Modello lifestyle ispirato alle
protettiva pensato per attività
con tasselli a fiocchi di neve
scarpe da approach, interessante
invernali come passeggiate sulla
all’avampiede e nella parte
per passeggiare invernali in
neve e ciaspolate. I tasselli
posteriore è la prima applicazione
montagna ma anche per andare al
triangolari, disposti in modo
in ambito sport invernali di
lavoro in città in inverno. I
da opporsi reciprocamente,
Arctic Grip. E potrebbe essere
tasselli in Arctic Grip permettono
contribuiscono a ottimizzare le
l’apripista per uno scarpone da
un’ampia area di contatto con il
proprietà di trazione.
skialp…
terreno e sono disposti in punta, sulla pianta e a corona interna, sull’area del tacco.
della tecnologia Arctic Grip e della suola in generale. La sfida principale è nel compromesso che ogni volta si deve trovare tra il design più funzionale e la salvaguardia della durata della suola. Nella tecnologia per l’outdoor i tasselli hanno degli inserti blu, mentre nelle scarpe da lavoro gli inserti sono gialli (e si utilizzano di base mescole specifiche per il segmento PRO), inoltre la parte della scarpa con mescola Icetrek viene realizzata inserendo dei piccoli brillantini. «Non si tratta di elementi che hanno una funzione tecnica, ma di comunicazione, per rendere evidente la presenza della tecnologia al consumatore» ci tiene a precisare Landini. Nell’ambito sport, la tecnologia Vibram Arctic Grip lavora sfruttando caratteristiche della Vibram Icetrek, una mescola che non irrigidisce a basse temperature e pertanto riesce ad avvolgere sempre bene la superficie, ma sarebbe banale ridurre il discorso alla composizione chimica, perché è tutta la tecnologia
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e la complessa costruzione della suola a determinare il risultato finale. Che, è importante sottolinearlo, non può sostituire l’utilizzo del rampone tecnico. E infatti la tecnologia non viene applicata sulle scarpe per alpinismo tecnico. Trattandosi invece di modelli da usare per un trekking o una passeggiata invernale, ma anche nella vita di tutti i giorni, come si comportano le suole in termini di usura? È noto infatti che - per usare un paragone automobilistico - le gomme termiche invernali perdono di efficacia all’aumentare delle temperature e soprattutto si deteriorano velocemente. Non è così per Arctic Grip: naturalmente si tratta di prodotti studiati per altre condizioni, che danno il meglio con il ghiaccio, però il grip rimane valido anche con il caldo e non è stata riscontrata un’usura particolare. Come lo si è scoperto? Tenendole ai piedi in estate, perché non tutte le risposte arrivano dal laboratorio!
Q&A > Paolo Manuzzi Global General Manager Vibram Come è nata l’esigenza di un prodotto come Arctic Grip? «Da una valutazione interna e da un input del consumatore. Vibram ha nella stagione estiva il suo core business: siamo specializzati nella produzione di suole tecniche per gli sport di montagna, dal trekking all’arrampicata e all’alpinismo estremo. Arctic Grip ci sta dando una spinta per crescere anche sull’invernale. Il prodotto però è nato sulla base di ricerche di mercato che indicavano una precisa esigenza degli utenti e l’obiettivo era creare una tecnologia che funzionasse davvero in ambiente invernale, che facesse sentire subito la sua azione». Arctic Grip può essere un volano invernale come lo è stato Megagrip nel mondo del trail, dove Vibram non era affermata e ora è leader della fascia alta del mercato? «Certamente sì, anzi credo che possa aprire un mercato più grande di quello del trail perché le applicazioni di Arctic Grip sono più ampie, anche in una fascia di mercato meno tecnica come quella del lifestyle e della scarpa invernale da città. Quello che Arctic Grip ha in comune con Megagrip e con la nuova tecnologia della leggerezza senza compromessi Litebase è l’innovazione, che fa parte del nostro DNA». Si dice spesso che le aziende italiane non fanno innovazione. Quanto investite in ricerca e sviluppo e si tratta di un processo che avviene in Italia o nei reparti R&D che avete in Cina e Stati Uniti? «Investiamo circa il 10% del fatturato. Per
The Weight Is Over
quanto riguarda il luogo, posso dire che il punto di partenza è sempre il nostro headquarter di Albizzate. Poi la decisione di continuare a ingegnerizzare prodotti e tecnologie in Italia piuttosto che negli Stati Uniti dipende soprattutto dal principale mercato per quel prodotto: l’idea è quella di produrre dove ci sono i marchi che utilizzeranno la suola, per minimizzare gli effetti negativi di un lungo viaggio in termini ambientali e di costi».
Roxa con la sua tecnologia R3 si posiziona come leader di mercato nell'innovazione e nella progettazione di scarponi da sci tecnici. I modelli R3 sono stati sviluppati utilizzando le più avanzate tecnologie di modellazione e prototipazione 3D, consentendo agli ingegneri Roxa di ottimizzare il rapporto tra lʼintegrità strutturale ed il peso. Questo combinato con lʼutilizzo di polimeri avanzati come Grilamid e Desmopan 900, si concretizza in uno scarpone dalle elevate prestazioni, con massa ridotta e ultra-leggero. Il modello top di gamma, lʼR3 130 TI, è lo scarpone alpine ad elevate prestazioni più leggero mai offerto, pesando 1520 grammi!
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La giacca anti-abrasioni Tessuto a triplo strato con membrana in poliuretano impermeabile traspirante e antivento, ma soprattutto resistenza alle abrasioni della roccia delle Pale grazie al tessuto esterno rinforzato in Cordura per la Salewa Powertex 3L Shell Jacket che costa 420 euro.
Piccozza con poggiamano scorrevole Quando avanzi su terreno misto, il poggiamano scorre in alto mentre arrampichi. Se sei su ripido, roccia o ghiaccio, si blocca quando caricato, per il massimo supporto. Ecco una chicca della piccozza Salewa North-X, che pesa 540 gr e costa 180 euro.
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Qualche informazione in più sui materiali che appaiono in questo numero
Sci da Jahpow… Lasciando da parte il termine del Nuovo Polverelli, che
... Sci da Africapow E per sciare gli effimeri ghiacciai africani? Che sci si
sci si usano nella powder del Giappone? I protagonisti del
usano? Black Crows ORB Freebid e Salomon MTN Explore 88,
servizio di questo numero hanno messo ai piedi K2 Pinnacle
of course! Se poi anche qualche animaletto decide di
118, Black Diamond Helio 116, Salomon Quest 118 e Salomon MTN Lab da 115 mm al centro.
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farsi uno slalom…
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MUST HAVE Tre chicche per i regali di Natale
Spot Gen 3 È un rilevatore della posizione che può inviare messaggi di soccorso. Da tutto il mondo. Si possono inviare sms o email e messaggi personalizzati con la localizzazione o fare partire
Patagonia Capilene Air Bottoms
la richiesta di aiuto alla rete di soccorso Geos nei casi più gravi. C’è anche il tasto ok
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essere sempre localizzati su una
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