In OMAGGIO
TEMPO DI SALIRE
UP&DOWN
Il magazine delle gare di ski-alp e trail running
Inizia la stagione delle grandi classiche per lo ski-alp touring e PER Il calendario agonistico
MATERIALI
ANTEPRIMA 2014
Ski Trab Magico e Gara Aero WC Movement Fish-X, Pro e Gold Pierre Gignoux Morpho 400
88
ITINERARI TOP > DALLA VAL D'AYAS AL PASSO DI VERRA 2.300 M D+ ALPI LIGURI > SKI-ALP CON VISTA MARE NELLA CONCA DI MONESI DOLOMITI > POWDER E CANALI SUL VERSANTE NORD DEL CRISTALLO AROLLA > SKI-ALP, ALPINISMO E RIPIDO, 5 PROPOSTE PER OGNI LIVELLO HALL OF FAME > LÉON ZWINGELSTEIN, IL VAGABONDO DELLE MONTAGNE TECNICA AGONISTICA > I CAMBI D'ASSETTO SPIEGATI DA OMAR OPRANDI ALLENAMENTO > I CONSIGLI PER SOPPORTARE LA FATICA
MARZO 2013
mensile n.88 I € 6,00 MADE IN ITALY @skialper
ISSN 1594-8501
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alpine
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Edito di Davide Marta
Mainstream Sarà anche vero che gli americani arrivano sempre prima di noi e che tutte le tendenze, le mode e le più grandi rivoluzioni partono da loro, che hanno inventato la Coca Cola, il baseball, Facebook, la bomba atomica e l'iPhone. Però l'ultima polemica che impazza sui social network ha un qualcosa di familiare… Già, perché la 'bibbia' degli amanti del fuoripista Backcountry ha pubblicato a inizio marzo un articolo che titolava più o meno 'Ma perché diavolo si ostinano a chiamarlo scialpinismo?' in slang stretto e un po' volgarotto, rivolto ai pionieri delle gare di ski-alp negli States. L'articolo toccava tematiche assolutamente nuove per noi italiani (da quanti anni sentiamo questi discorsi!?), tipo la sovranità di chi ama andare in montagna per il gusto di essere da solo con la natura, al proprio ritmo, senza fretta e senza percorsi prestabiliti. Al contrario puntava il dito contro questi 'assatanati' delle tutine aderenti e degli sci stretti e leggerissimi che si danno battiaglia in un'arena di gladiatori su piste più o meno tracciate e con chiasso e clamore tutt'attorno. Escursionisti contro tutine, ci risiamo… Naturalmente è scoppiata la polemica e i (pochi) atleti canadesi e americani che gareggiano nel continente, ma anche in Europa, hanno risposto con commenti piccati e risentiti su Twitter. L'articolo in questione è poi scomparso dal sito: cliccando sul titolo appare la richiesta di registrarsi per accedere al contenuto, ma anche una volta fatta questa operazione, impossibile leggere. Beh, una volta tanto gli yankees sono arrivati dopo, almeno nella polemica. La stessa rivista Backcountry, giorni dopo, ha pubblicato un articolo a firma di Jared Hargrave che analizzava da vicino il crescente fenomeno delle gare nello Utah, dove si disputa da qualche stagione il Wasatch Citizen Skimo Series. L'autore parla di «evento che mette in luce il crescente interesse nella regione per una forma di scialpinismo agonistico in chiave europea». Ma c'è di più. Uno degli atleti intervistati parla di questa disciplina - definita 'skimo' - come di una sorta di 'fitness touring'. «Alla gente piace, perché ognuno può tranquillamente fare la sua risalita in pista senza paura delle valanghe, senza bisogno di essere accompagnato e senza competenze tecniche troppo elevate. E poi le gare sono divertenti, consentono a molti che nella bella stagione gareggiano nel running di tenersi in forma e conservare alta la tensione agonistica». Ma non finisce qui… Lo stesso atleta, di fronte alle perplessità del giornalista che si domandava (o auspicava) se questa resterà sempre e solo una piccola minoranza di scialpinisti, risponde che «il fenomeno credo che diventerà presto molto più ampio di quello che ora può sembrare. In fondo lo scialpinismo è l'unico settore in costante crescita e quello delle gare potrebbe diventare un vero mainstream». Mainstream? Ho letto bene? Fenomeno di massa, modo di pensare diffuso e condiviso per citare ilRagazzini, quello di cui si parla sui giornali nei cambiamenti epocali, tipo l'uso di Twitter in campagna elettorale… Addirittura? Ok, e dunque? Una conferma, al massimo, di ciò che sapevamo già da anni. Lo scialpinismo, inteso come touring, freeride, esplorazione, è un fenomeno in espansione globale. Lo 'skimo', per dirla all'americana, o ski-alp race, è una piccola nicchia con grandissimo potenziale. Per ora molto localizzata in Italia, Francia e Svizzera, ma con piccoli germogli che stanno spuntando un po' dappertutto. Oggi può far sorridere pensare a questo sport in chiave olimpica, con gare in cui italiani e francesi si giocano tutte le medaglie e brasiliani, turchi e cinesi che devono essere riportati al traguardo in elicottero. Però il fenomeno non va sottovalutato e il modello italiano, di cui siamo fieri di essere portavoce, potrebbe essere punto di partenza per arrivare al mainstream di cui parlava l'agonista americano. Vuoi vedere che una volta tanto non sono i cugini americani a fare tendenza? @davmarta
La traccia dritta di Kilian in mezzo a tante curve di freerider ©Sindy Thomas/Zoom Agence
Photo W. Cainelli LA SPORTIVA ® is a trademark of the shoe manufacturing company “La Sportiva S.p.A” located in Italy (TN)
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MOUNTAIN RUNNERS CORRERE, CAMMINARE, AFFRONTARE ROCCE E FANGO, NEVE E POZZE D’ACQUA. MUOVERSI VELOCEMENTE TRA GLI ELEMENTI NATURALI, SENTIRLI, AFFRONTARLI. LA SPORTIVA MOUNTAIN RUNNING COLLECTION: SPIRITO OFF-ROAD. S C O P R I L A S U W W W . L A S P O R T I VA . C O M
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numero 88 - marzo 2013
FREERIDE MOUNTAINEERING Dolomiti freeride adventure
Canalini e tanta powder sul versante Nord del Cristallo a due passi da Cortina e da Misurina da pagina 50
testo e foto di Niccolò Zarattini proposta itinerario di Paolo Tassi
Scialpinismo e montagna a 360° \ rivista, web, social network, iPad, smartphone IL SITO
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In omaggio
Seconda uscita del nuovo magazine dedicato alle gare di ski-alp, trail e sky running. Up&Down è un allegato gratuito realizzato dalla redazione di Ski-alper
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ALL'interno ATLETA DEL MESE Un mese di febbraio 'full gas' per Damiano Lenzi, in grande crescendo di forma SPECIALE MONDIALI SKI-ALP PELVOUX 2013 8 pagine di cronaca, commenti e analisi tecniche per rivivere i Campionati del Mondo di Guido Valota - foto Sindy Thomas/Zoom
INDIPENDENTI ANCHE DAL TEMPO CON LA NOSTRA PROTEZIONE ANTI-INTEMPERIE ALTAMENTE TRASPIRANTE
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MADE IN ITALY Direttore responsabile: DAVIDE MARTA davide.marta@mulatero.it Vice-direttore: CLAUDIO PRIMAVESI claudio.primavesi@mulatero.it Marketing e pubblicità: SIMONA RIGHETTI simona.righetti@mulatero.it
SKI ALP TOURING
MATERIALI
Un racconto di confine
Viaggio nel futuro di Ski Trab
Freeride mountaineering con vista mare a Monesi e grantour classico sul Marguareis. Proposta per un week-end sulle Alpi Liguri a pag 20
Anteprima 2014 sulla neve dei nuovi Gara Aero World Cup e Magico da pag 86
Aria fredda di Mezzalama
Movement Fish 2014
30 km e 2.300 metri di dislivello dalla Val d'Ayas al Passo di Verra ripercorrendo in parte le tracce del Trofeo Mezzalama a pag 28
Abbiamo provato in anteprima mondiale la nuova gamma Fish di Movement, con la novità Gold da pag 90
Arolla, ski-alp paradise
Ice Bug Anima BUGrip
Cinque proposte che spaziano dall'itinerario classico, allo sci ripido fino alle varianti in chiave alpinistica a pag 42
Test su terreno misto, neve e ghiaccio per le 'chiodate' adatte al running invernale da pag 96
Segretaria di redazione: ELENA VOLPE elena.volpe@mulatero.it
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Area test e materiali SEBASTIANO SALVETTI sebastiano.salvetti@mulatero.it
Oggi Campione, domani ski-alper
Area ski-alp race: GUIDO VALOTA guido.valota@mulatero.it
Intervista all'olimpionico di canoa slalom Daniele Molmenti da pag 64
Progetto grafico e impaginazione: BUSINESS DESIGN info@business-design.it Cartografia SARA CHIANTORE arasdis@libero.it Webmaster skialper.it: SILVANO CAMERLO Contributi fotografici: Ralf Brunel, Umberto Isman, Samuel Pradetto
32 'Zwing' il vagabondo della montagna Léon Zwingelstein nel 1933 ha attraversato le Alpi, andata e ritorno, sci ai piedi da pag 32
Collaboratori: Lorenzo Bortolan, Leonardo Bizzaro, Renato Cresta, Giorgio Daidola, Giorgio Ficetto, Luca Giaccone, Umberto Isman, Fabio Menino, Omar Oprandi, Fabrizio Pistoni, Flavio Saltarelli, Aldo Savoldelli, Niccolò Zarattini
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Il 24 aprile in edicola Più di 200 pagine, oltre 130 gare recensite e 100 prodotti testati a pag 112
Hanno contribuito a questo numero: Massimo Mercuriali, Matteo Tagliabue, Piero Trabucchi, Enrico Zenerino In copertina: Kilian Jornet in azione ai Mondiali di Pelvoux 2013 ©Sindy Thomas/Zoom Agence
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Distribuzione in edicola: MEPE - Milano - tel 02 89 5921 Stampa: REGGIANI - Brezzo di Bedero (VA) Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 4855 del 05/12/1995. La Mulatero Editore srl è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697. © copyright Mulatero Editore - tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa rivista potrà essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge
Lo scialpinista gentiluomo Intervista a Manfred Reichegger, 'capitano' della nazionale italiana da pag 76
Una giornata con gli addestratori di cani da valanga da pag 60
PER FAVORE RICICLA QUESTA RIVISTA MULATERO EDITORE Via Principe Tommaso, 70 10080 - Ozegna (To) tel 0124 428051 - 0124 425878 fax 0124 421848 mulatero@mulatero.it www.mulatero.it
Il migliore amico… dello scialpinista
LE RUBRICHE DI SKI-ALPER
Lettere alla redazione (pag.8) - Pareti di carta (di Leonardo Bizzaro, pag. 10) - Pensieri bizzarri (di Leonardo Bizzaro, pag. 18) Fauna alpina (di Giorgio Ficetto, pag. 40) - Neve e diritto (di Flavio Saltarelli, pag. 54) - Neve e valanghe (di Renato Cresta, pag. 56) - Preparazione (di Aldo Savoldelli e Pietro Trabucchi, pag. 70) - Tecnica agonistica (di Omar Oprandi, pag.72) - Area tecnica (di Sebastiano Salvetti, pag 80) - Alimentazione (di Fabio Menino e Paolo Conti, pag. 98)
APPUNTAMENTO IN EDICOLA IL 10 MAGGIO CON SKI-ALPER 89, L'ULTIMO DELLA STAGIONE INVERNALE
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Lettere alla redazione skialper@mulatero.it
LETTERA DEL MESE
/skialper
@skialper
EMOZIONI Un numero su uno zaino può raccontare molte cose. Può raccontare di un'emozione vissuta per la prima volta, quella che si prova quando ci si rende conto di far parte di qualcosa di grande, di un evento vissuto prima d'ora solo sulle pagine di una rivista. Lo sogni, lo immagini e oggi gli sei talmente vicino che quasi ti vergogni di farne parte, quasi come se non ne fossi degno. Incredibile. Un anno fa scendevi a spazzaneve nella pista baby e oggi sei qui: Coppa del Mondo, World Cup… quasi vorresti scusarti con i volontari lungo il percorso e con la gente che ti incita per esserci anche tu. Un numero sullo zaino può raccontare dello stupore che hai provato nel vedere i campioni di questo sport che si comportano come se fossero i tuoi compagni di allenamento da sempre, niente trattamenti particolari per loro, così può capitare che ti trovi a parcheggiare la macchina proprio vicino al furgone della Nazionale. Può raccontare anche dell'ansia dell'attesa, della paura di non farcela, del pensiero insistente che forse «è troppo presto, sai a malapena sciare…», ma anche della voglia di esserci e di portarla a termine. Ora che tutto è passato, quello zaino e quel numero sembrano guardarti sorridendo e quasi ti rincresce togliere le spille, perché ti sembra di porre la parola fine ad una giornata che ti ha regalato emozioni che comunque non torneranno, perché sono le prime, come fosse un primo bacio… Ora sei tu che puoi raccontare un'emozione: quella di esserci stato, tra gli ultimi, ma di esserci stato fino in fondo! Grazie SkiAlp3! Guido Damiani
PERCORSI PIU' UMANI... Ormai in quasi tutte le gare c'è un percorso ridotto per le categorie Junior e Cadetti. Perché non si permette anche agli adulti di partecipare sullo stesso percorso ridotto? Ci può essere chi non è talmente allenato da fare gli sviluppi e i dislivelli disumani che si propongono, ma sarebbe invece in grado di fare un giro più alla portata. Si fa già così nello sci di fondo, nella corsa, nella bici. Grazie Marco Colaianni MAL DI SCHIENA Salve, sono un ragazzo di 21 anni e pratico scialpinismo da tre. All'inizio di quest'anno ho cominciato ad allenarmi con continuitá. Solo che adesso mi si è letteralmente bloccata la schiena (zona lombare). Io ho sempre praticato sport a livello agonistico (ho fatto ciclismo fino ad un anno e mezzo fa) ma non ho mai avuto di questi problemi, per fortuna. È un problema comune a molti scialpinisti? Ci sono esercizi specifici? Può essere causato da una postura scorretta durante la salita? Scusate il disturbo. Grazie mille in anticipo per l'eventuale risposta. (lettera firmata) Uhm… Che il mal di schiena sia specificamente un problema degli scialpinisti, potremmo risponderti di no. Però sottoporremo anche ad un ortopedico specializzato la tua domanda. Per ora pubblichiamo il tuo quesito, così vediamo se qualche altro collega-garista dovesse farsi avanti manifestando gli stessi problemi.
Jaume Planella Hola, soy Jaume Planella, corredor Andorrano, júnior que he corrido esta mañana. Haveis publicado los resultados, i con ello una foto de un junior bajando. Soy yo. Me la podriais pasar a xx@hotmail.com que es mi correo por fabor? Gracias
LaSportiva @lasportivatwitt @skialper Grande numero quello di Febbraio!
Guido Damiani @guidodamiani @skialper lo leggo a piccole dosi, così mi dura di più!
Denis Allegri Buongiorno, volevo congratularmi per tutti i cambiamenti che state apportando, che a mio avviso sono eccezionali. Bellissimo il sito che guardo regolarmente e veramente fantastico il calendario on line con classifica, siti e costo gare. È stata un'idea geniale, che facilita la ricerca delle gare in programma che prima era fastidiosamente scomodo. Vorrei chiedervi se in futuro potreste affiancare alle gare già presenti le competizioni degli stati vicini, Svizzera, Francia, Austria. Sarebbe bello almeno per le gare più importanti.
facebook.com/skialper Daniel Bosio Ski-alper porta sempre la neve.
Ciao Denis, è già in programma per la prossima stagione. Vedrai quante novità nella sezione calendario, quest'anno era solo un antipasto! Marco Guizzetti Grazie alla redazione di ski-alper siete forti, continuate così! Fabio Corbellini Complimenti per la rivista appena uscita! La sezione dedicata all'agonismo è perfetta! Fulvio Adoglio Buonasera, sono un vostro fedelissimo lettore da parecchi anni. Le parti che più mi interessano sono le interviste ai grandi dello skialp, le lezioni di tecnica, i test e soprattutto le cronache delle gare. Finora ho sempre archiviato scruposlosamente in ordine cronologico tutti i numeri della vostra bella rivista e amo di tanto in tanto andarmi a rivedere le gare degli anni scorsi. Scopro ora a malincuore che con l'allegato Up&Down tutto questo non sarà più possibile e ne sono profondamente deluso. Già non ero d'accordo per l'allegato dei test separato, ma ora anche togliere le relazioni delle competizioni non mi trova d'accordo. Mi auguro vivamente che al più presto possiate tornare al formato originale della vostra ex bella rivista. Fulvio, vedrai che ti affezionerai anche ad Up&Down. In fondo l'abbiamo ideato per dedicare più spazio alle gare, anche quelle minori. Si potrebbero fascicolare per annate, penseremo ad una copertina per contenerli, magari!
@skialper
Paolo C @paolonervitesi
@skialper inizio stasera... ottima iniziativa. :-)
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Dario C @cinco84
@skialper Nuovo arrivato.. tutto da leggere!! #skialper
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Pitturina Ski Race @Pitturina @skialper Subito in cerca di ciò che più ci interessa;-) Mitici!
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H) att (C u m r e Z arnea G s Spot: e v er: Y graph o t o h P
Christian Voyat Ciao, ottimo reportage sui Mondiali e bellissime foto! Complimenti... Curiosità, gli sci che aveva il Lence sono i nuovi Dynastar del prossimo anno? Così come i Trab azzurri e neri? Ciao Christian, risposta esatta. Dei Trab trovi anche la prova sul campo in anteprima su questo numero. Andrea Fergola Grazie! Sono l'amico di Ski-alper numero 1000 :D Giancarlo Venturini Un caro saluto dalla montagna Pistoiese. Grazie per l'amicizia. Un buon inverno da un vostro assiduo lettore!
Xavier Maillard @runslack
@kilianj @skialper I am pretty sure that ski alpinism is one of the hardest endurance sport on earth !
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PARETI DI CARTA testo: Leonardo Bizzaro
VERSANTE OCEANO di Isabelle Autissier e Lionel Daudet Edizioni Mare Verticale 304 pagine
25 euro
CHARAMAIO MAI EN VAL MAIRO
(nevica ancora in val maira)
di Bruno Rosano L’Artistica Editrice 320 pagine
29 euro
SCIALPINISMO NEL TRENTINO di Ulrich Kőssler Tappeiner-Cierre Edizioni 144 pagine
16,90 euro
SCIALPINISMO IN DOLOMITI di Enrico Baccanti e Francesco Tremolada Edizioni Versante Sud 336 pagine
31 euro
SCIALPINISMO IN COL NUDO-CAVALLO di Stefano Burra e Andrea Rizzato Idea Montagna 288 pagine
23,50 euro
FRAUEN IM AUFSTIEG di Ingrid Runggaldier EditionRaetia 328 pagine
52,50 euro
Sull'acqua e sulla neve Apriamo con un volume che non può non entusiasmare i patiti dello sci di viaggio. Lo firmano una velista e un alpinista di primo piano, Isabelle Autissier e Lionel Daudet, lo pubblica una casa editrice veneta specializzata in mare che ha cominciato ad allargarsi alla montagna: il nome dice già tutto. Il teatro del racconto è la Georgia del Sud, luogo mitico per gli amanti dell’avventura. È stata la meta finale della fuga verso la vita di Ernest Shackleton, dopo il 'magnifico disastro' antartico. Una piccola spedizione prima sull’acqua, poi sulla sua versione solida, la neve e il ghiaccio. Da imitare.
Scialpinsimo all'occitana Tra i libri di scialpinismo più belli della stagione, anche se la prima edizione risale al 2004, c’è senz’altro questa guida, dal poetico titolo occitano, agli itinerari in Val Maira. Opera di un profondo conoscitore della zona che è stato capace, grazie a interminabili vagabondaggi, di suggerire perfettamente ogni gita in fotografie di grande formato su pagina doppia (non si tratta dunque di un repertorio da zaino). Non solo: ogni descrizione è suddivisa in tratti più brevi, con un riferimento puntuale sull’immagine. Scialpinismo moderno, con molte discese sul filo dei 45°, valutate secondo la pratica scala Volo.
Skialp a volo d'uccello È inesauribile lo scrigno delle guide scialpinistiche di Tappeiner, in coedizione con Cierre per la traduzione italiana. In questa scende in pista Ulrich Kőssler, volto noto dello sci di montagna in Alto Adige, che sciorina sessanta itinerari nel Trentino, dall’Alto Garda al Lagorai e alle Dolomiti fassane, dall’Adamello e Presanella al Brenta fino all’Ortles Cevedale. Le mete sono quelle classiche, ma le eccezionali foto aeree, che sono un marchio di fabbrica dell’editore sudtirolese, permettono, grazie all’ottima stampa, di scoprire e studiare nuove mete.
Non per tutti Sta sul versante opposto, rispetto alla precedente, la guida di Baccanti e Tremolada, quest’ultimo già autore di 'Freeride in Dolomiti' che aveva avuto l’impatto di una valanga nel panorama dei repertori scialpinistici. Sul versante opposto non tanto geografico, quanto di impegno. Sessantacinque grandiosi itinerari nell’area centrale dolomitica, dominata dalla Marmolada, con gran copia di canali ripidi e pareti adrenaliniche e una predilezione per le traversate. E tre raid di grande respiro. Attenzione, non per tutti.
Alpago forever Area amata dagli scialpinisti quella del gruppo del Col Nudo e Cavallo sul limite meridionale delle Dolomiti, per la comodità di accesso dalla pianura veneta e friulana e la bellezza degli itinerari. Una zona che sta tornando di moda, vista anche la recente uscita di 'Scialpinismo in Alpago' di Vascellari. Questo, dell’attento editore Idea Montagna, è un bel repertorio “moderno” (quasi metà degli itinerari sono su pendii molto ripidi e al limite dell’estremo), con valutazioni secondo le scale Traynard e Blachère, foto panoramiche e d’azione.
Alpiniste con la gonna È un peccato che il tedesco sia una lingua poco frequentata in Italia, perché il grosso volume di Ingrid Runggaldier sulle 'donne in ascesa' dovrebbe entrare in qualsiasi biblioteca degli appassionati di montagna. Non è una banale raccolta di ritratti di alpiniste, ma un saggio a tutto tondo che spazia dallo sport alla letteratura, dalla musica alla pittura, con un apparato iconografico impressionante che Runggaldier - regista, giornalista, scrittrice gardenese - ha raccolto negli archivi di mezzo mondo. Un affresco dell’altra metà del cielo in montagna più denso di una storia dell’alpinismo tout court.
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L’ESSENZA DELLA TECNOLOGIA
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BAGLIORI NELLA NOTTE Mille scialpinisti, qualcuno correva per stare sotto le tre ore e mezza, qualcuno per superare i cancelli orari. La diciottesima edizione del Sellaronda è stata l'ennesimo successo, una via di mezzo tra festa, raduno e competizione ad altissimo livello. Il foto-racconto della serata visto da un obiettivo d'autore foto: ralf brunel
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1. Neve per i tratti di collegamento a fondo valle. 2. Ready for Sellaronda? 3. Un sorriso per mascherare la tensione. 4. Le 'Crazy girls' Laura Besseghini e Raffaella Rossi prima della partenza. 5. Concentrazione sulla linea di partenza per Thomas Trettel e Marco Facchinelli. 6. Beccari e Kuhar sulla linea di partenza 7. I mitici fratelli Fazio pronti al via. 8. Stretching prima della gara 9. I guidatori delle motoslitte sembrano preoccupati di riuscire a tenere il passo dei primi del gruppo. 10. Il plotone di scialpinisti lascia Arabba, ci si rivede tra tre ore. 11.Si parte, tutti i pi첫 forti davanti allo start di Arabba. 12. Subito forcing nella prima salita verso il Pordoi: ecco Moletto-Bazzana e Follador-Pedrini.
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13. Tadei Pivk, grande protagonista di questo Sellaronda. 14. Il Sellaronda è anche questo. 15. Cambio d'assetto per Raffaella Rossi. 16. Mireia Mirò in azione. 17. Pippo e Nejc al cambio assetto. 18. Martina Valmassoi. 20. Un tratto di raccordo. 20. Stretta di mano tra il Becca e il Folla. 21. Soddisfazione sul traguardo. 22. L'esultanza di Besseghini e Rossi per il secondo posto. 23.Il senatore Olivo Micheluzzi con Enrico Degiampietro. 24. Interviste dopo gara per Dennis Brunod.
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25. Il podio maschile, con Pivk-Brunod davanti a Beccari-Kuhar e Follador-Pedrini. 26. La gioia di Mireia Mirò e Francesca Martinelli, nuova coppia record del Sellaronda. 18
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PENSIERI BIZZARRI testo: Leonardo Bizzaro Leonardo Bizzaro, torinese da vent’anni, è nato a Trento nel 1958. Nella redazione di Repubblica sotto la Mole scrive di spettacoli e cultura, ma l’attenzione maggiore la dedica alla montagna. Ha collaborato con le riviste del settore, scritto libri, è stato per lungo tempo nel consiglio direttivo del Filmfestival di Trento, colleziona smodatamente libri, e non solo, dedicati alla sua passione. Alpinista, con e senza gli sci, ha salito vette e attraversato ghiacciai in varie parti del mondo, dalla Patagonia all’Himalaya.
La gara più antica del mondo Piccola storia delle competizioni con sci e pelli, dalla Coppa Figari alla giovanissima Pierra Menta
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o sci non è nato ieri, lo sanno tutti. Ha origini che risalgono alla preistoria in certi angoli di mondo, la Scandinavia ad esempio, o la Mongolia. Ma per una di quelle coincidenze storiche che ogni tanto avvengono, è arrivato sulle Alpi e non le ha più lasciate solo nell’ultimo scorcio di Ottocento. In Francia, in Svizzera, in Germania e Austria, in Italia lo sci si diffonde nella buona borghesia del tempo grazie a un libro, il resoconto della traversata della Groenlandia di Fridtjof Nansen. Sembra una favola, ma così è. Nello scorso numero di Ski-alper, un lettore era incuriosito dalla storia delle gare scialpinistiche. Quale si è corsa per prima, tra quelle più blasonate? Occorre intanto stabilire che cosa si intende per scialpinismo. Se tale è la salita e la discesa con i soli propri mezzi, allora tutto era scialpinismo all’inizio, quando non esistevano gli impianti e nelle competizioni i concorrenti salivano sci in spalla, o ai piedi, fino alla partenza. E se la data di nascita dello sci in Italia rimane il 1896, quando Adolfo Kind provò a Torino i famosi attrezzi fatti arrivare dalla Svizzera, la prima gara è quella del 16 marzo 1903 dal Cugno dell’Alpet, in val Sangone, tra un gruppetto di soci dello Ski Club Torino. Ma lo scialpinismo non è solo quello, lo sappiamo. E dunque occorre andare al 1910, quando Bartolomeo Figari, vicepresidente della sezione genovese del CAI, immagina di propagandare l’uso degli sci in montagna con una gara disputata su un tragitto di venti chilometri e un dislivello di mille metri in salita. In spalla, i concorrenti avrebbero dovuto portare uno zaino del peso di quattro chili. In palio la Coppa Figari. Il 19 febbraio 1911 si corre la prima edizione sull’Appennino ligure, da Sassello ai monti Tremo ed Ermetta, a Vereira e di nuovo a Sassello. Si sfidano cinque atleti, quella volta, e vince Giuseppe Crocco in 3 ore 18’50”. Fino al 1955 se ne corrono venti edizioni, prima individuali, dal 1932 per pattuglie di tre elementi, anche femminili. La Coppa Figari non esiste più, nel 1929 è un’altra sezione ligure del CAI, quella di Imperia, a organizzare una gara di scialpinismo, oggi Coppa Kleudgen-Acquarone, che ha più di un punto di contatto con la precedente. Prima singola, poi in squadre di tre (infine a coppie), metteva in palio la Coppa voluta dal vicepresidente della sezione, Acquasciati, che la chiamò poi Kleudgen in ricordo di un amico morto in montagna. Oggi si è aggiunto il nome di Federico Acquarone, fondatore e presidente della sezione Alpi Marittime. Si disputa tuttora - è stata sospesa dal 1947 al 1954 - perlopiù sul percorso MendaticaMonte Fronté-Colle Tanarello-Monesi. È questa dunque la gara più antica, ma non si può dimenticare il Mezzalama. Ma il 28 maggio 1933 quattordici squadre sono alla partenza del Trofeo Mezzalama, organizzato dallo Ski Club Torino in ricordo del socio Ottorino Mezzalama, travolto da una valanga sulle Alpi
Nella foto. Un'immagine della prima edizione della Coppa Kleudgen (©CAI Imperia)
Breonie nel 1931. La prima ipotesi era stata una gara dal Sestriere a Clavière, ma si optò poi per il massiccio del Rosa, dal colle del Teodulo all’Alpe Gabiet, e fu un successo altalenante. Nel senso che il Mezzalama morì e rinacque due volte. Ucciso dalla guerra dopo l’edizione del 1938, ripartì nel 1971 per arenarsi di nuovo nel 1978 e ridiventare dal 1997 la gara più importante, più frequentata e più longeva del mondo scialpinistico. Uno sguardo alle carte d’identità delle altre: il Trofeo Parravicini, organizzato dallo Sci Club Bergamo, è del 1936; la Patrouille des Glaciers è nata nel 1943, soppressa nel 1949 dopo la morte di tre partecipanti e riorganizzata dal 1984; la Scialpinistica del Monte Canin del 1947; il Trofeo dell’Etna del 1949; il Trofeo Pilati del 1953, come la data di nascita della Tre Rifugi. La Pierra Menta, giovanissima, è partita nel 1986. P.S. Lo scorso mese, su questa stessa pagina, abbiamo scritto di come le attuali normative sull’andar per montagne siano lacunose, se non palesemente inapplicabili. L’ultima dimostrazione arriva da una bella inchiesta di Federica Cravero pubblicata il 2 febbraio sull’edizione torinese di Repubblica. Che ha raccontato come nella legge regionale piemontese ci sia di tutto, dalla necessità del casco per gli sciatori minorenni all’obbligo di avere con sè Artva, pala e sonda, ma senza specificare dove, né prevedere una sanzione. Follie, cui si aggiunge il commento dell’assessore Alberto Cirio: «Un risultato epocale questa legge l’ha avuto perché ha permesso di superare il vincolo europeo degli aiuti di Stato consentendo di sostenere con denaro pubblico l’innevamento artificiale». Ecco, a questo serve la legge sulla montagna in Piemonte. Grazie assessore, sentivamo la mancanza di un suo illuminato parere.
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3 ore e 40 minuti
Milano - Monesi
68 km²
Superficie di Triora
44°n 7°e
Coordinate di Monesi
Testo : Emiliano Previtali Foto: Damiano Levati
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MONESI DI TRIORA
Qui sotto in senso orario. Marco Clemenzi nei fuoripista di Monesi. In salita lungo la cresta verso Cima della Garlenda. Piaggia, il paese sul versante opposto della valle rispetto a Monesi. Il rifugio Sanremo sulla cresta tra il Monte Saccarello e la Cima della Garlenda A lato. Paolo Ramò nella powder di Cima della Garlenda.
Q
uesto è un racconto di confine. Confine tra mare e montagna, tra Italia e Francia, tra Piemonte e Liguria, tra vecchio e nuovo, tra freeride e scialpinismo. Il racconto comincia a Monesi, paese di confine, appunto, ma più ancora di frontiera. Monesi è un frazione di Triora, comune in provincia di Imperia, ma è più di tutto un avamposto sul confine col Piemonte e con la Francia. Il Monte Saccarello, che domina il paese con la sua enorme statua bronzea del Redentore, è infatti punto triconfinale, oltre che la più alta elevazione della Liguria. Ma Monesi è un luogo di frontiera non solo geografica. Ve ne accorgete arrivando in auto dal Colle di Nava, lungo una strada che per chilometri pare fuggire definitivamente dalla civiltà per addentrarsi in luoghi via via più selvaggi. Invece improvvisamente vi appare la sagoma dell'Albergo Redentore, qualcosa che capite al volo che non può che essere di un'altra epoca, con la sua architettura sovradimensionata, 'finto-montana', modulare e prefabbricata. La sintesi insomma di quello che avvenne nel 1952, quando il conte
Federico Galleani di Alassio ebbe l'idea di creare dal nulla la stazione sciistica di Monesi. La storia me la racconta Gigi Galleani, il nipote, seduti al bar dell'albergo ristorante La Vecchia Partenza, dove appunto partiva la prima seggiovia. «Il nonno era un banchiere. Ad Alassio curava gli interessi degli inglesi, soprattutto quelli che vivevano in India e, dopo la dichiarazione di indipendenza del 1947, invece di tornare nella madrepatria, cercarono un paese con caratteristiche climatiche simili a quelle a cui erano ormai abituati. Era un cacciatore e già alla fine degli anni venti aveva rilevato la casa di caccia delle Navette (una località vicino a Monesi). Decise quindi di costruire l'Albergo Redentore e la seggiovia, che ai tempi era la più lunga d'Europa: 2.400 m totali divisi in tre tronconi. Poi alla fine degli anni '60 furono realizzati due skilift, uno dei quali con illuminazione notturna, la pista di pattinaggio, la piscina e la discoteca. Monesi raggiunse l'apice dello splendore e della frequentazione. A un certo punto per vari motivi le cose cominciarono ad andare male e gli im-
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INFORMAZIONI
Monesi Quella descritta nell'articolo è una proposta weekend che unisce freeride e scialpinismo in ambienti selvaggi e poco frequentati. È ovvio che può essere declinata e modificata in vari modi. Informazioni generali Le Alpi Liguri fanno da primo sbarramento alle perturbazioni atlantiche che arrivano da sud/ ovest, rendendo in inverno la zona piuttosto nevosa. Nello stesso tempo la vicinanza al mare determina una rapida trasformazione del manto nevoso e un più veloce scioglimento rispetto ad altre zone alpine. Tutto il comprensorio è percorso da numerose strade militari e dalla Via Marenga ('che porta al mare'), in epoca sabauda di grande importanza strategica e commerciale. Fu detta anche Via del Sale per i frequenti passaggi di carovane che ne trasportavano grandi quantità alla volta del Piemonte. A Monesi, ogni due anni, viene organizzata la gara scialpinistica 'Coppa KleudgenAcquarone', con percorso che si sviluppa nell'ambito del comprensorio e una bella discesa finale molto selvaggia dalla Cima Garlenda. La prima edizione risale addirittura al 1929. Per informazioni e foto storiche: www.caiimperia.com
pianti alla fine furono ceduti a quelli che erano già prima i proprietari dei terreni, i fratelli Toscano, il cui padre aveva a sua volta fatto fortuna in Sudamerica. Molti degli edifici vennero abbandonati, così come le infrastrutture, e Monesi è come la vedi adesso, semi abbandonata, con quella nuova seggiovia e un progetto di costruirne un'altra, secondo me senza senso. Pensando a quello che aveva realizzato il nonno, sinceramente mi piange il cuore». La nuova seggiovia, è lì che mi porta subito Marco Clemenzi, la guida alpina che mi accompagna in questa esplorazione di Monesi. «Monesi è quello che vedi, un luogo strano» mi dice Marco senza alcuna vena nostalgica o polemica. «È prima di tutto un catino naturale di montagne su cui con gli sci ti puoi davvero sbizzarrire. Certo gli impianti sono quello che sono. La nuova seggiovia è della provincia, gestita da un amico di Scajola (l'ex ministro). Per anni non c'è stato accordo con i fratelli Toscano, che invece sono proprietari dello skilift che sale fino alla
cresta. Dallo scorso anno sono finalmente riusciti a istituire un unico skipass, ma le gestioni sono separate e lo skilift apre solo nei weekend. E poi la seggiovia è in provincia di Imperia e lo skilift in quella di Cuneo». Sfortuna ma anche fortuna di questo luogo, mi viene da pensare. Perché se solo le cose negli anni fossero andate 'bene' Monesi si sarebbe quasi certamente trasformata in una delle tante stazioni sciistiche divoratrici di territorio. Marco lo sa, è lui stesso un prodotto di questa strana evoluzione o, meglio, involuzione. Involuzione che però oggi, 2 marzo 2013, ci permette di buttare giù le larghe spatole 'rockerate' dei nostri sci verso linee che decidiamo noi e che la powder onnipresente non fa altro che assecondare. 'Freeride Paradise' si chiamerebbe altrove, ma in un'accezione che sottintende il superamento e l'inevitabile convivenza con una storia e una mentalità 'pistaiole'. Monesi invece è un luogo di frontiera tra passato e presente, dove ci si sente ancora pionieri, attrezzati come nel futuro, ma sempre pionieri. Dove il freeride è esplorazione e non una gara a
Periodo consigliato Il periodo adatto allo scialpinismo e al freeride è molto lungo e, a seconda delle quote e dell'esposizione dei pendii, va da dicembre ai primi di maggio. Dove alloggiare Se si fa base a Monesi esiste un unico albergo–ristorante, La Vecchia Partenza (tel. 0183.326574), ma ha poche camere e occorre prenotare con anticipo. Altrimenti per sistemazioni nei dintorni si può consultare la pagina web www.monesiditriora.it/ricettivita. php Accesso Provenendo da nord, autostrada Torino-Savona con uscita a Ceva. Altrimenti dalla A10 GenovaVentimiglia con uscita tra Albenga e Imperia. Guide alpine Vista la complessità degli itinerari e l'ambiente assolutamente selvaggio il consiglio è di farsi accompagnare da un guida alpina esperta della zona. Noi ci siamo affidati all'Ufficio Guide Finale (www.ufficioguidefinale.it/ - tel. 329.9566307) e ci siamo trovati molto bene.
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Nella foto. Un suggestivo scatto del selvaggio vallone sotto il versante nord di Punta Marguareis
chi trita prima i pendii. E poi c'è questa lunga cresta, l'orlo del catino, che separa dalla Francia e dal mare, là in fondo, dove nelle giornate limpide si vede persino la Corsica. Ogni metro della cresta è buono per buttarsi di qua o di là. Di là, verso sud, non proprio ogni metro è buono, ci sono rocce e passaggi stretti e ripidi, e poi bisogna sempre risalire con le pelli. Ma di qua è un catino, appunto, un imbuto, e ogni linea riporta in paese o alla base dello skilift. Da consumato frequentatore di ogni luogo dove si usino gli sci, di qualunque genere, butto l'occhio su chi mi sta intorno. C'è di tutto, dal 'carvatore' al 'Tomba style', dal 'tavolaro' a chi di tavole ne ha quasi due, una per gamba. In mezzo molti scialpinisti che, mi viene da pensare, danno un ulteriore perché a questo racconto per Ski-alper. Sono uno che sostiene che il bello dello scialpinismo è la salita, più che la discesa, ma qui a Monesi perché no? Perché non lasciarsi tentare dagli impianti per discese che in fondo hanno ancora il sapore della scoperta e della traccia solo tua? So che mi attirerò gli strali dei puristi, ma spero un po' meno se racconto dell'ultima discesa con Marco, Paolo e Gil. Ennesima risalita con lo skilift, tratto di cresta in discesa verso est e poi pelli dove la cresta comincia a salire. A destra il mare, a sinistra la lunga teoria di cime delle Liguri. Al tramonto. Raggiungiamo la Cima della Garlenda, la superiamo e molliamo le punte degli sci nel ripido e rado bosco di larici, unici e intriganti ostacoli alla nostra libertà di disegnare solchi nella polvere intonsa. Monesi ci raccoglie per un après-ski non indispensabile e una notte tranquilla. Troppo tranquilla, secondo la ragazza che gestisce uno dei due bar. Ma così è. PUNTA Marguareis Paolo di cognome fa Ramò, non so perché ma ci metto un po' a memorizzarlo. Fa il falegname a Pornassio, appena sotto il Colle di Nava, dove è anche nato. È uno che tutto quello che fa gli viene bene. Ha partecipato a gare estreme in mountain bike vincendole, arrampica e apre vie in montagna su difficoltà altissime, è stato un pioniere dello snowboard estremo e scia, ovunque, maledettamente bene e veloce. Uno così lo vedresti bene in giro per il mondo e invece no, sta qui, non ha neanche tanta voglia di andare in vacanza, mi dice. Il perché lo
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Qui sopra, in alto da sinistra a destra. Carnino Superiore, partenza della gita a Punta Marguareis. Sulla sinistra Punta Marguareis visto dalla cresta di Monesi. Un camoscio lungo la salita a Punta Marguareis. L'imbocco del canale dei Torinesi
capisco il secondo giorno della mia permanenza sulle Alpi Liguri. È Paolo, con alcuni amici, che mi accompagna alla Punta Marguareis, questa volta vero scialpinismo. Gente ligure, che viene da Imperia e dintorni, che alla mia domanda se si sentono più di città o di montagna risponde secca: i liguri sono montanari. E le loro montagne le conoscono come pochi; lo percepisco dalla discussione preliminare alla gita. È una domenica di sole di inizio marzo, le condizioni di innevamento sono perfette e il pericolo di valanghe basso. Il parcheggio di una qualunque gita alpina di questo livello sarebbe pieno già dalle prime ore del mattino. Invece nel piazzale del piccolo borgo di Carnino Superiore ci stanno in tutto cinque auto e
quando arriviamo noi intorno alle 9 è completamente deserto. Inutile dire che la traccia è tutta da fare, pane per i denti di Ramò. Intorno a noi solo camosci, da tutte le parti, e pendii illibati ovunque. Fino in cima, ancora una volta sul confine con la Francia, ma più che altro su un vero e proprio confine tra lo scialpinismo di massa e questa roba qua, che non mi ricordavo da tempo, almeno sulle montagne dove non bisogna prendere l'aereo per andarci. E la discesa? In genere si seguono le tracce, quelle sulla neve, ma qui al Marguareis oggi non ci sono, ci saranno domani, le nostre, ma poi nevicherà e chissà quando tornerà qualcuno. Seguiamo quelle impresse nella mente dei montanari liguri e, credetemi, c'è da fidarsi.
Anello di Punta Marguareis (2.651 m) Accesso: da Ponte di Nava si imbocca l'Alta Val Tanaro (Val Negrone) e dopo Viozene si prende sulla destra la piccola strada che entra in Val Carnino Partenza: Carnino Superiore (1.397 m) Dislivello: 1.550 m (1.300 m fino alla cima e 250 m di risalita sull'altro versante) Sviluppo totale: 16 km Tempo medio complessivo: 5/6 ore Difficoltà: OS Pendenza massima: 40° Esposizione: sud la salita, nord-est e poi di nuovo sud la discesa Periodo: febbraio-aprile Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica Cartografia: Cartoguida AsF n° 2 Moyenne Roya - Val Nervia e Argentina ed. CAI-CAF 1:25000
CHIMERA SKIS
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Itinerario. Attraversato il piccolo villaggio, si segue la traccia della mulattiera estiva sul versante destro (sud) della valle. Con alcuni traversi che richiedono neve assestata si supera la Gola della Chiusetta alla testata della valle e si giunge a una zona meno impervia. Si continua fino a un'ampia spianata che si attraversa tralasciando il primo vallone sulla destra e piegando poi verso nord-ovest per imboccare il secondo vallone. Si è ora in vista della cima, ancora lontana. Si percorre un susseguirsi di dossi e vallette in direzione nord, per poi continuare in un ampio avvallamento tra cime minori. Piegando leggermente a sinistra si giunge infine in vista del pendio sommitale, che si affronta in genere passando dal colle sottostante, sci ai piedi fino in cima. La discesa più remunerativa e tecnicamente interessante è quella dal versante nord. Da ovest a est ci sono tre canali percorribili: quello dei Genovesi, quello dei Torinesi e quello dei Savonesi, probabilmente in onore dei primi che li percorsero sci ai piedi. Il canale dei Genovesi si trova a ovest della cima, il suo ingresso non è banale e richiede spesso una calata di corda. Gli altri due sono invece a est della vetta, ma quello dei Savonesi ha anch'esso un ingresso delicato. Più semplice è quello in mezzo, dei Torinesi, il cui imbocco si raggiunge sciando appena a sud della cresta con un ultimo tratto ripido che richiede condizioni sicure. Il canale comincia ampio e facile, per poi restringersi a metà e riallargarsi in fondo. L'esposizione nord consente in genere alla neve di mantenersi polverosa. Raggiunto con bella sciata il fondo del selvaggio vallone, si risale verso destra a un primo colle (Porta Marguareis, 2.275 m), per poi traversare, piegando a destra, gli ampi pendii che conducono al Colle del Pas (2.350 m). Da qui la discesa è tutta sul versante sud, su neve in genere molle o trasformata. Si passa dal rifugio Saracco Volante (2.209 m, dotato di locale invernale) e si attraversa la conca di Piaggia Bella, famosa per le grotte e i fenomeni carsici. Si raggiunge poi il Passo delle Mastrelle (2.023 m) e si affronta un vallone ripido e incassato che porta ai pendii sottostanti, dove ricomincia la vegetazione. Si cerca quindi di tagliare il più possibile in quota verso sinistra, per ricongiungersi infine con l'ultimo tratto di mulattiera che riporta a Carnino Superiore.
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PASSO DI VERRA
A ria f re d d a d i M e z z alama Con gli sci dalla Val d'Ayas al Passo di Verra: 30 chilometri e 2.300 metri di dislivello ripercorrendo in parte il tracciato del mitico trofeo che si correrĂ il 27 aprile TESTO: Massimiliano Mercuriali e Enrico Zenerino FOTO: Enrico Zenerino
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È
il giorno 15 del mese di febbraio e io e il mio amico Enrico siamo in vena di avventure sportive. Dopo un pomeriggio di attenta pianificazione abbiamo deciso il nostro itinerario, l’indomani mattina si parte per la Valle d’Aosta. Alle 7 e mezza siamo dunque a St. Jacques, in Val d’Ayas, nella frazione Blanchard. La temperatura è di -12°, la quota 1.750 m: calzati gli sci possiamo dare inizio al nostro percorso. Superiamo pochi tornanti sulla strada che porta al vallon di Nana, arrivati all’altezza di Alpe Gavene giriamo a destra per il vallone di Courtod. Oltrepassiamo l’Alpe Crest e arriviamo all’Alpe Cortoz, ormai siamo a quota 2.014 metri e immersi nel più totale silenzio; la zona abitata è dietro le nostre spalle, siamo solo noi, gli sci e la freschezza dell’aria che respiriamo. Risaliamo dal fondo del vallone, immersi nella più totale assenza di tracce umane, e ci teniamo a sinistra seguendo l’itinerario 5a della Val d’Ayas fino al Colle Inferiore delle Cime Bianche: 2.896 metri sul livello del mare. Di colpo ritorniamo alla 'civiltà' del comprensorio di Cervinia, dopo ben due ore trascorse tra lastre di neve compatta e scivolosa alternata a sastrughi, opera del vento furioso che quest’anno è stato più abbondante della neve. Fa più freddo, l’arietta del ghiacciaio del Ventina penetra gli indumenti sudati e arriva a solleticare la pelle; meglio proseguire. Costeggiando le piste, arriviamo al Colle Superiore delle Cime Bianche (2.982 metri), incrociamo la pista che sale da Cervinia verso il muro del Ventina e continuiamo a salire. Non c’è una nuvola in cielo, l’aria è molto fredda come se fossimo di prima mattina. Un senso di nostalgia mi rapisce per un momento. Siamo passati di qui due anni fa, in cordata e spronati dalla paura di non riuscire a passare il cancello del Breithorn. Superiamo con fatica il 'muro' per arrivare al rifugio Guide del Cervino a 3.480 metri. La quota si fa sentire. L’aria è tersa, il freddo pungente, lo stesso che abbiamo patito al Mezzalama del 2011, ma oggi siamo qui in libertà, senza un cronometro minaccioso che condizioni il nostro ritmo. Di lì a poco raggiungiamo il colle, dove il bisogno di un po’ di calore diventa impellente: Enrico ha le mani intorpidite e il sole non ci basta più. Urge una pausa! Il Bar Kleine Matterhorn è proprio a portata di sci e oggi fortunatamente non dobbiamo superare nessuno. Pranziamo e ci ritempriamo rapidamente per tornare subito sulla nostra via, siamo a quota 3.883. Ci leghiamo e ci prepariamo a intraprendere una lunga e solitaria traversata del colle del Breithorn. Il terreno non è dei più agevoli: le piccole onde di ghiaccio rendono impossibile tenere un’andatura rapida, gli sci scorrono poco e inciampano. Una volta arrivati al traverso in direzione della Porta Nera però tutto cambia. La discesa diventa rapida e, grazie alla protezione dei Breithorn, anche il freddo sparisce. Rimettiamo le pelli sotto il bivac-
In apertura. Quota 2.800 sullo sfondo, da sinistra, Cime Bianche (3.003 m), Gran Sommetta (3.166 m ) e Cervino (4.478 m). Qui sopra dall'alto verso il basso. L'imbocco del Vallone di Courtod e la risalita nel vallone di Courtod, alla sinistra il Monte Roisetta (3.334 m)
co Rossi e Volante, a 3.570 metri di quota, per raggiungere la base della cresta sud del Polluce. È una meraviglia, l’imponenza di queste montagne riesce a farci sentire in cima al mondo. Sicuramente una volta scesi all’altezza popolata dagli esseri umani ritorneremo a vedere i problemi della vita reale, ma adesso no, siamo in una dimensione di perfetta armonia, sopra le nuvole. Solo qui i nostri pensieri possono essere più leggeri della neve portata via dal vento. Togliamo le pelli, torniamo alla realtà, corriamo sotto i muri di ghiaccio in cerca dei passaggi dove le placche sono più solide, diretti al rifugio Guide d’Ayas. Non ci fermiamo, scendiamo ancora, verso il rifugio Mezzalama; adesso però dobbiamo fare una scelta: quale delle lingue del ghiacciaio percorrere? Scegliamo la parte più a ovest, quella che attraversa il grande ghiacciaio di Verra verso la Rocca, dove la neve è migliore. Arriviamo nell’avvallamento del Lago Blu che troviamo completamente ghiacciato: lo attraversiamo senza problemi, il ghiaccio appare al tocco più solido del suolo della morena che ha ospitato la nostra discesa. Dopo i piani di Verra inferiori siamo quasi arrivati a St. Jacques, dove ci aspetta una meritata merenda. Abbiamo percorso più di 30 chilometri con gli sci ai piedi, con 2.300 metri di dislivello distribuiti tra Val d’Ayas e Valtournenche, attraverso luoghi tra i più belli delle nostre montagne. Il mio pensiero ritorna al Trofeo Mezzalama, sogno e grande aspirazione di tutti gli scialpinisti. Auguri a tutti quelli che questo sogno riusciranno a tirarlo fuori dal cassetto!
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PASSO NUOVA DI VERRA ZELANDA Itinerario Saint Jacques - Colle Superiore di Cime Bianche (2.982 m) - Piccolo Cervino (3.883 m) Passo Di Verra (3.845 m) È un itinerario di grande sviluppo che si svolge in ambiente grandioso sulle pendici sud del gruppo del Monte Rosa. La salita è indicata a scialpinisti allenati e abili a muoversi in ambienti con dislivelli importanti su pendii anche ripidi e su ghiacciaio. Generalmente la stagione più favorevole è la primavera ma, in situazioni di scarso innevamento come questa stagione, è fattibile anche con un po’ di anticipo rispetto al periodo consigliato. Partenza: Saint Jacques (1.689 m) frazione di Champoluc (Ao) Dislivello: 2.189 m Tempo medio salita: 6-7 ore Difficoltà: OSA Esposizione: sud Periodo: marzo-maggio Attrezzatura: imbraco, corda, piccozza e ramponi Arrivati a Saint Jacques, oltrepassare la piazza principale e raggiungere la frazione di Blanchard (1.750 m). Si può parcheggiare in corrispondenza di un piccolo spiazzo per 4-5 auto. Calzati gli sci, si percorrono alcuni tornanti immersi nel bosco della strada interpoderale per il vallon di Nana e, raggiunta una radura, si tende a destra e si arriva dapprima l’Alpe Gavene e poi, tenendosi al centro del Vallone di Courtod, all’Alpe Crest e all’Alpe Cortoz. Si prosegue sempre al centro del vallone, tendenzialmente sul lato sinistro. In prossimità di una selletta ai piedi del Colle Inferiore delle Cime Bianche (2.896 m) si incontrano gli impianti di risalita del comprensorio di Valtournenche. Lasciato sulla sinistra il Colle Inferiore delle Cime Bianche bordeggiando le piste battute, si raggiunge il Colle Superiore delle Cime Bianche (2.982 m) e poi, sempre a bordo pista per non incorrere in sanzioni, si raggiunge Plateau Rosà (3.480 m). In questo tratto si ripercorre in parte il tracciato del Trofeo Mezzalama con il temuto e duro muro del Ventina. Qui la pendenza si fa sentire e bisogna cercare di far aderire bene le pelli. Lasciato Plateau Rosà, puntiamo verso il Piccolo Cervino (3.883 m) punto più elevato del percorso. Qui tiriamo fuori la corda e ci leghiamo: stiamo per addentrarci sul
ghiacciaio di Verra accedendo dal Passo del Breithorn (3.831 m), il famigerato primo cancello orario del Trofeo Mezzalama. Sfiliamo a destra della catena di 4000 formata dai tre Breithorn e affrontiamo un tratto in discesa fino a quota 3.650 ai piedi del Breithorn Orientale. Sempre in cordata si rimettono le pelli e si risale costeggiando la Roccia Nera e il Polluce, puntando al Passo di Verra (3.845 m) dove termina la parte in salita. Tolte le pelli percorriamo il primo tratto di discesa ancora legati. Imboccato il Grande Ghiacciaio di Verra, ci si tiene sulla destra sotto le imponenti seraccate che uniscono la Gobba di Rollin alla Roccia Nera. Passiamo a destra scendendo del Rifugio Guide d’Ayas (3.394 m) dove ci sleghiamo.
Tenendo sempre la destra si raggiunge la morena del Grande Ghiacciaio di Verra che noi abbiamo oltrepassato togliendo gli sci e percorrendo una decina di metri di dislivello per portarsi alla base della Rocca di Verra in direzione del Lago Blu. Questa scelta di abbandonare il letto centrale del ghiaccio tra le due morene è stata imposta dallo scarso innevamento. Raggiunto il Lago Blu (2.220 m) lo si oltrepassa alla sua sinistra e si scende per pendii dolci e molto sciabili fino al Pian di Verra Inferiore (2.050 m). Da qui ci si riporta al punto di partenza con una bella discesa nel bosco, in alternativa si può percorrere la strada interpoderale, che è battuta per i ciaspolatori, facendo attenzione a chi sta risalendo.
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LÉON ZWINGELSTEIN testo: Giorgio Daidola
HALL OF FAME
'ZWING'
il vagabondo della montagna Nel 1933 è stato il primo a compiere la traversata delle Alpi sci ai piedi, andata e ritorno: 2.000 chilometri in 90 giorni. Storia di un personaggio unico, precursore degli 'skibum'
Ecco i volumi utilizzati nella stesura di questo articolo: 'Le chemineau de la montagne' di Jacques Dieterlen, pubblicato da Flammarion nel 1938 e ripubblicato da Arthaud nel 1996 e 'Carnet de Route', ristampa anastatica del diario di 'Zwing' pubblicato da Glénat nel 1989.
lzi la mano chi ha già sentito parlare di Léon Zwingelstein! Pur limitando questa domanda agli appassionati di scialpinismo non credo che sarebbero molti a farsi avanti... Eppure 'Zwing', questo il suo bel diminutivo, che per comodità adottiamo in questo articolo, è stato davvero un grande, anzi un grandissimo, dello scialpinismo. Io ne ho sentito parlare per la prima volta 27 anni fa grazie a un breve articolo di Paolo Gobetti pubblicato sull'annuario Dimensione Sci del 1986. Nell'articolo venivano forniti i dati della grande traversata delle Alpi in solitaria con gli sci che Zwing fece nel lontano 1933. Andata e ritorno in sci (sì proprio così, anche il ritorno, e per un altro itinerario, per non ripetersi!) dal Mediterraneo all'Austria, in tre mesi. Un'impresa straordinaria, e non solo per quei tempi. Le altre traversate delle Alpi in sci di cui si ha notizia sono di molti anni dopo. Mi riferisco a quelle di Walter Bonatti e Lorenzo Longo (14 marzo confine jugoslavo-18 maggio Colle di Nava); dei fratelli Detassis e A. Righini e di L.Dematteis e A. Guy, tutte e tre del 1956; a quella in solitaria di Jean Marc Bois del 1970 (30 gennaio St. Etienne de Tinée-25 aprile Badgaastein); a quella di Angelo Piana e compagni in tre tappe annuali (1975, 1976, 1977); a quella dei fratelli Hubert e Bernard Odier del 1977; a quella con sci da telemark di Paolo Tassi e Mauro Girardi del 1996, infine a quella, prima invernale e solitaria, dell'architetto cuneese Paolo Rabbia (29 dicembre 2008 Forcella della Lavina al Mangart nelle Alpi Giulie-28 febbraio 2009 Garessio, Alpi Liguri). Tutti raid in sci di indubbio valore, che solo sciatori alpinisti completi non solo nel fisico ma anche nella mente possono permettersi. Zwing però è stato il primo a concepire una traversata del genere e l'ha fatta senza risparmiarsi, quasi sempre da solo, andata e ritorno (l'unico!) con
tutto il necessario nello zaino, senza aiuti durante il percorso, con un'attrezzatura di altri tempi. È di lui e di questo suo capolavoro che vorrei parlarvi in questo articolo. Le fonti bibliografiche Come al solito le cose da dire su di un personaggio complesso come Zwing sono veramente tante e dovrò limitarmi all'essenziale per tentare di farvi entrare nel suo mondo magico. Così forse vi succederà cosa è successo a me che, rapito dal suo fascino profondo e discreto, dalla sua forte sensibilità unita a una modestia, una riservatezza e a una meticolosità fuori dal comune, non ho potuto fare a meno di leggere tutto quanto ho trovato scritto da lui e su di lui, per seguirlo passo dopo passo nella sua vita travagliata e nelle sue esaltanti traversate. Purtroppo, al di fuori dell'articolo su Dimensione Sci sopra citato, non ho trovato altri articoli in italiano. È probabile che qualcosa sia stato scritto su di lui sulle riviste del CAI in quegli anni Trenta ma in tutta sincerità non ho fatto ricerche in questa direzione. Zwing era francese e quindi ho preferito riferirmi alla documentazione d'oltralpe e procurarmi due volumi che da soli permettono di scoprire l'uomo e le sue fantastiche traversate. Ho usato il plurale perché leggendo le due opere ho scoperto che le grandi traversate di Zwing non sono una ma due. La seconda, denominata 'la crociera bianca', non è certo meno importante della prima e la completa: insieme le due traversate rappresentano un vero monumento al grande scialpinismo. I volumi a cui faccio riferimento sono: la biografia su Zwing di Jacques Dieterlen dal titolo 'Le chemineau de la montagne', ovvero 'Il vagabondo della montagna', pubblicata da Flammarion nel 1938 e ripubblicata da Arthaud nel 1996; i diari di Zwing, pubblicati dall'editore Glénat nel 1989 con il nome 'Carnet de
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LÉON ZWINGELSTEIN
La delusione d'amore
«Ho conosciuto ogni tipo di sofferenza: la fame, la sete durante la guerra, il dolore fisico nel mio letto di ospedale dopo le ferite provocate dai gas. Sono scampato alla morte con Loustalot, sull'Ailefroide. Un'altra volta sono stato sorpreso dalla tempesta e ho pensato di scavare la mia tomba facendo un buco nella neve... tutte queste sofferenze non sono nulla a confronto di quelle di cuore... Sei anni, sei anni con lei, durante i quali io avevo tutto per poter sperare!.. Ho perso tutto ciò che possedevo, ma questo non importa, era solo denaro. Cosa ho perso ora è tutta la mia vita, tutto ciò che da sei anni dava un senso ad essa».
route'. Dieterlen è entrato nel personaggio Zwing in modo esemplare, grazie a una lettura attenta dei suoi taccuini e delle lunghe lettere che lui inviava ai suoi pochi amici. Ne è stato talmente affascinato da ripercorrere con gli sci, con la scusa di documentarsi a fondo, molte parti del grande raid. Il risultato, più che una biografia, è il romanzo di una vita perdutamente vissuta in completa simbiosi con la montagna e lo sci. 'Le chemineau de la montagne' ha fatto sognare generazioni di scialpinisti in Francia e per questo è stato ristampato, diventando un classico della letteratura alpina. Cogliamo l'occasione per ricordare che Dieterlen, romantico cantore della neve e dello sciare, è anche autore di quell'inno allo sci di primavera che è 'Ski de Primtemps', edito da Flammarion nel 1937. Il 'Carnet de Route' pubblicato da Glénat nel 1989 è la ristampa anastatica del diario di 62 pagine scritto a mano in una bella calligrafia, piccola e regolare, dallo stesso Zwing. Il diario riguarda i giorni del grande raid, dal 31 gennaio al 2 maggio del 1933. Zwing lo scrisse nella sua camera di Grenoble sulla base degli appunti presi rapidamente durante il raid, impreziosendolo con 21 piccoli e bellissimi disegni realizzati a penna con inchiostro nero. In essi Zwing rappresenta con delicatezza e trasporto rifugi, cime, persone incontrate nella sua grande avventura. Il volume di Glénat è la fedele riproduzione del prezioso manoscritto con i disegni, che è conservato nella biblioteca municipale di Grenoble. Oltre a queste due fondamentali opere ci sono i quattro articoli scritti da Zwing per la rivista 'La Montagne' del Club Alpino Francese sulla traversata. La rivista li pubblicò nel 1934, con alcune fotografie (alcune di J. Legrand, che accompagnò Zwing nel tratto della haute route classica Chamonix-Zermatt) ma stranamente senza i di-
A sinistra, un'immagine al Col du Chardonnet del 4 marzo 1933, a destra Zwing al rifugio Dupuis il 6 marzo 1933
segni. Altri articoli di Zwing sono apparsi sulla rivista Ski-Sports d'Hiver: sull'alimentazione in montagna, sul numero di novembre/dicembre 1933; sullo 'skicamping e la tecnica del raid', sul numero di febbraio/ marzo 1934; sulla 'Crociera Bianca', sul numero di novembre/dicembre 1934. Un articolo in memoria di Zwing è stato inoltre pubblicato sulla rivista 'La Vie Alpine' del novembre 1934. Bene, con tutte queste opere lette e sottolineate sulla nostra scrivania, possiamo partire alla scoperta del nostro eroe. La vita Léon Zwingelstein nasce il 16 ottobre 1898 a Rennes da una famiglia benestante, frequenta il liceo e ha una fanciullezza agiata e felice. Poi arrivano i giorni tristi. A 15 anni perde il padre, poco dopo la madre. Come tutti i giovani della sua generazione nel 1918 deve partire per il fronte della Champagne, dove è vittima di un bombardamento tedesco con i gas. Segue un periodo in ospedale e una lunga convalescenza. Per guarire completamente si trasferisce a Grenoble, vicino alle montagne, e frequenta l'Istituto Elettrotecnico, diventando ingegnere. In quegli anni scopre la montagna e lo sci con un gruppo di amici, gli stessi a cui scrive successivamente le numerose lettere che permettono a Jacques Dieterlen di rendere avvincente la sua biografia. I vari componenti del gruppo amano chiamarsi con nomi di
fantasia. Ci sono 'Philosophe' e 'Chimiste' per i loro studi universitari, c'è il servizievole 'Révérend', c'è il lento 'Escargot', ovvero lumaca, c'è Loustalot 'il pirenaico', che è il capo del gruppo, puro e duro. Lui, Zwing, viene chiamato 'Cuistot' perché sa cucinare bene anche nelle situazioni più difficili. Queste gioiose amicizie dimostrano che Zwing non è affatto un tipo chiuso e introverso, come la successiva scelta di ascetica solitudine potrebbe far pensare. Bellissime le pagine in cui Dieterlen narra come il gruppo di giovani scopre la montagna e le meraviglie dello sci. I giovani, ragazzi e ragazze, utilizzano attrezzature militari recuperate e vestono pantaloni trovati nei vecchi armadi, usano guanti da camionisti. Ignorano del tutto la tecnica sciistica ma questo non li preoccupa minimamente, improvvisano curve a telemark e quando capita tentano il misterioso cristiania. E si divertono moltissimo. C'è in loro il piacere del provare, dello scoprire da soli la gioia di scivolare con gli sci, non importa come. Le scarse capacità non impediscono loro di lanciarsi in lunghe gite, senza paura e senza prudenza, con cordini sotto gli sci al posto delle introvabili pelli di foca. In estate è l'arrampicata a galvanizzare il gruppo, il massiccio dell'Oisans il campo d'azione preferito. Zwing e Loustalot sono i migliori e realizzano anche alcune prime, fra cui quella della Pierra Menta, un nome destinato a diventare famoso nel mondo dello scialpinismo.
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ECCO COSA SI POTEVA TROVARE Nello zaino di Zwing tenda 1.350 grammi ramponi piccozza pelli di foca viveri per 8 giorni 4.000 grammi corda 18,5 metri biancheria di ricambio fornello a benzina (serve anche per sciolinare gli sci a caldo) benzina litri 1 borraccia litri 1 pentola, cucchiaio, forchetta, coltello chiodi da ghiaccio n. 3
L'abitudine a fare ginnastica facilita molto i progressi di Zwing sia come arrampicatore che come sciatore. Ha anche modo di conoscere il famoso alpinista ed esploratore inglese Longstaff con il quale scala il Mont-Aiguille. Longstaff è noto per aver partecipato a molte spedizioni alpinistiche fra le quali quella vittoriosa del grande Harold Tillman al Nanda Devi, record di altitudine nel 1929 con i suoi 7.880 metri. Uno dei colli più impervi della zona porta il suo nome. In quegli anni felici l'amore puro di Zwing per la montagna si unisce a quello per una ragazza del gruppo. Insieme trascorrono lunghi periodi estivi vagabondando con tenda e zaino in spalla fra le montagne del Delfinato. Zwing raggiunge il massimo di felicità a cui un uomo può ambire, coniugando il suo grande amore per la montagna con un altrettanto grande amore per una donna. Poi, dopo sei anni, tutto finisce. È lei a lasciarlo e lui cade in una profonda depressione. Finite le belle notti nella loro tendina illuminata, piccola macchia gialla sul plateau de la Maye, finiti per sempre i suoi sogni per una vita insieme, finita questa felicità senza confini che lui, credente, pensava non dovesse finire mai... La crisi, che lo porta vicino al suicidio, è resa ancor più drammatica dalla sue scarse risorse finanziarie e, terminati gli studi di ingegneria nel 1923, dalla mancanza di un lavoro stabile. Zwing tenta di mettersi in
proprio senza successo. Le proposte di lavoro dipendente stentano ad arrivare e le poche offerte non lo soddisfano. Forse è un tipo troppo indipendente per accettare una vita da mediocre e così i vari tentativi di ingresso nel mondo del lavoro non hanno successo. Bisogna ricordare che siamo in piena crisi economica, la grande crisi degli anni trenta, per tanti versi simile a quella odierna, e quindi le offerte di lavoro sono scarse se non addirittura inesistenti. Zwing è insomma un disoccupato cronico, che si sente sempre di più abbandonato dal mondo. Il suo capitale si riduce un po' per volta, lasciando spazio a un situazione vicina alla miseria. La crisi esistenziale tocca il fondo con la morte del suo caro amico Loustalot e della moglie Yvette durante una salita all’Aiguille Verte, il 9 luglio 1928. Nei due anni successivi il troppo sensibile Zwing si chiude in stesso. Non va più in montagna e i suoi diari rimangono vuoti. Riprende a sciare solo nell’inverno 1930. Zwing vive a Grenoble, sua città di adozione, in una camera in affitto del centro storico, in Rue Bayard 13. In quella camera fredda passa le notti a cucire il proprio abbigliamento per la montagna e il proprio zaino, a preparare una tenda del peso di 1.350 grammi che porterà sempre con sé, a controllare minuziosamente sci, bastoni, scarponi, ramponi, piccozza, corda, fornello a benzina. Il suo zaino, viveri compresi, non deve pesare più di venti chilogrammi... La montagna e lo sci, già così importanti
per lui, a 35 anni sono diventati l'unica ragione della sua vita. Lo sciatore alpinista Secondo Paolo Gobetti Zwing è stato, insieme a Ottorino Mezzalama, il grande interprete dell'età d'argento dello scialpinismo. Dopo la scoperta degli sci come meraviglioso strumento per vivere l'alpinismo invernale dei leggendari pionieri dell'età d'oro dello scialpinismo, da Paulckle a Marcel Kurz ( è vero, non abbiamo ancora dedicato a loro degli articoli, colmeremo al più presto questa grave lacuna!) con Mezzalama e con Zwing si fa strada 'il fascino dei lunghi percorsi, dei lunghi soggiorni intesi a esplorare il rapporto più intimo fra uomo e neve'. Questi percorsi non si svolgono sui piatti deserti bianchi dell'Antartide o sulle dolci colline del grande nord, ma in severi ambienti alpini di alta montagna, dove le salite si alternano alle discese. Mezzalama e Zwing scoprono tutta la gioia di una libertà che si conquista contando esclusivamente su se stessi, lontano da un mondo a cui sentono sempre meno di appartenere. Scoprono insomma il fascino profondo e il segreto delle grandi traversate solitarie con gli sci. Lo fanno con una notevole dose di coraggio e di intelligenza, unita a una meticolosa preparazione tecnica e fisica. Per loro è importante sia la salita che la discesa, il piacere del raid è la sintesi di una e dell'altra.
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LÉON ZWINGELSTEIN
I pionieri dell'età d'argento dello scialpinismo sono dei dilettanti, non dei professionisti della montagna. Pur facendo del mondo delle nevi il loro mondo non rinunciano mai allo status di 'amateur', di nobili cavalieri erranti degli spazi bianchi, lontano dai disastri e dalle impurità del mondo degli altri. Paolo Gobetti definisce Zwing non troppo elegantemente un 'professionista della disoccupazione'. Altri, come un Gian Piero Motti o un Ugo Manera, lo avrebbero probabilmente inserito fra i 'Falliti' o fra i 'Parassiti' dei loro magistrali articoli. Non è difficile notare le profonde analogie che esistono fra questi depositari dell'età d'argento dello scialpinismo e il modo di essere dei migliori freerider estremi di oggi. Zwing, pur non dando molta importanza allo stile e alla tecnica di sciata, non è affatto refrattario ai piaceri della discesa, come dimostra questa descrizione di Dieterlen della sua 'run' dal Dome de Neige des Ecrins tratta da 'Le chemineau de la montagne'. «Fu una sciata meravigliosa, soprannaturale, una volata sulla parte bassa del Glacier Blanc, senza il minimo urto, senza la minima scossa, in una neve polverosa che migliorava man mano che scendeva. Girando abilmente per diminuire la velocità, poi lasciando nuovamente correre, le ginocchia appena piegate, Zwing sentiva la voluttà della lunga discesa silenziosa salire dentro di lui ed inebriarlo... Il suo corpo si rilassava come in un bagno raffinato. Egli si abbandonava, era come ubriaco di piacere. I bei pendii stendevano il loro tappeto lucente fino alle pareti bianche che chiudevano lontane l'orizzonte. Non un rumore. Nemmeno un rumore di ali. Solo il fruscio impercettibile degli sci a rompere il silenzio dei bianchi spazi. Egli raggiunse la capanna... ora è lì solo nel rifugio Caron... seduto sulla terrazza. A torso nudo mangia un po' di frutta secca e guarda lontano…». Una cosa sicura è che per Zwing i piaceri della discesa non devono avere come conseguenza il degrado dell'ambiente alpino. Un ambiente che deve rimanere naturale, evitando di diventare simile a quello delle città, o a un 'circo equestre', come dice lui. Per questo motivo nei suoi scritti non manca di esprimere il suo disgusto e la sua voglia di fuggire dalle kermesse dei lunapark in quota. È infatti in quel periodo che nascono le prime stazioni di sci, che vengono costruite le prime ardite funivie. Zwing mal sopporta le conseguenze, in termini di frequentazione della montagna, che generano queste intrusioni tecnologiche. Lo dimostra ad esempio il suo atteggiamento quando arriva al Monginevro da Nizza durante la sua traversata delle Alpi e si trova nel bel mezzo di una gara di sci di allora, con la montagna invasa da paletti colorati, la folla che assiste ai salti dal trampolino, la banda dei Chausseur des Alpes che suona rumorosamente, auto dappertutto, la gente che schiamazza. O quando si trova a Davos e sale con la funicolare al Parsennn (una salita costosa dice lui, 7 franchi svizzeri per 1.030 m di dislivello!) per poter effettuare senza il pesante zaino sulle spalle la famosa discesa. Il pendio
Montagna come sport e montagna come passione
«La montagna, in qualsiasi modo la si pratichi, sci o alpinismo, non è uno sport ma una passione. Sport e passione sono due concetti che si contrappongono. La montagna intesa come sport non ha che una stagione, la giovinezza; come passione dura tutta la vita»
Zwing e l'avvento dello sci di massa Zwing, arrivato da Nizza al colle Gondrand sopra Monginevro, scopre una serie di bandierine nella neve che segnano una pista preparata per una gara. La segue con difficoltà senza gustare alcun piacere nella discesa, tanto la neve battuta è dura e gelata. Arriva giù a Monginevro e gli sembra di essere piombato in un anticipato Carnevale. Bandiere, gente che schiamazza, musica del reggimento dei 'Chausseurs des Alpes', archi di trionfo, folla tipica da stadio, automobili dappertutto. Dopo tanto silenzio, dopo le notti passate nelle stalle insieme ai montanari o nella fredda tendina gialla, si sente inquieto e spaesato, vorrebbe fuggire ma non ne ha più le forze. Qualcuno lo riconosce e lo invita a partecipare alla festa. Non sa dire di no perché è un tipo timido e gentile ma assistendo alla gara, esclama: «mi sembra di essere al circo, non in montagna! Questi non sono sciatori ma artisti da circo! Mi spiace per loro, perché sono in montagna ma non hanno capito cos'è la montagna». «Era un inguaribile utopista - commenta Jacques Dieterlein nella sua mirabile biografia - chissà cosa avrebbe pensato dello sci se avesse visto cosa è successo solo qualche anno dopo! Davanti al trionfo di tanta superficialità avrebbe ammesso la sua sconfitta. Ma quel giorno invece scrisse nel suo diario: 'devo finire il mio raid, devo far capire a tutti che cos'è un vero sciatore!'».
è invaso da centinaia di sciatori urlanti, ci sono tracce dappertutto e la pista gelata è insciabile... che delusione! In queste situazioni Zwing si sente a disagio, da timido quale è reagisce goffamente, cerca di nascondersi, di fuggire appena può. Non è però uno sciatore solitario a tutti i costi. Non è affatto alla ricerca di un exploit in questo senso. Nella sventura della sua marginalità Zwing ha semplicemente una grande fortuna, che molti non hanno: quella di avere il tempo per sviluppare i suoi grandi progetti. È quindi un solitario per necessità in quanto ha difficoltà a trovare amici con il tempo per seguirlo nei suoi lunghi pellegrinaggi bianchi. Quando se ne presenta l'occasione è ben lieto di effettuare qualche tappa del suo raid in compagnia di un amico o di uno sciatore alpinista locale, incontrato per caso in qualche rifugio delle lunghe Alpi. Lo 'skibum' degli anni trenta L'idea nasce il 15 giugno 1932 in punta alla Barre des Ecrins. Guardando tutte quelle cime ancora bianche, Zwing ha come un'illuminazione: mollare tutto e andar via, fare un lungo viaggio sugli sci, solo, con la sua tenda, attraverso queste montagne a perdita d'occhio. L'idea diventa presto un'ossessione. Ecco come Zwing racconta il senso della sua impresa: «Avere uno scopo, concepire una cosa grande, anche sproporzionata alle proprie forze, soprattutto sproporzionata alle proprie forze; darsi uno scopo impossibile, straordinario, fuori da ogni buon senso, e lanciarsi un giorno per raggiungerlo, senza compromessi. Il novantacinque per cento degli uomini vivono senza uno scopo. Essi immaginano di fare qualcosa; in realtà non sono che dei burattini i cui fili sono nelle mani dell'abitudine o del bisogno. Riuscire a crearsi di colpo un obiettivo, non importa quale, il più pazzo possibile, e partire per raggiungerlo, non avere altro per la testa... che meraviglia! Non si può immaginare com'è bello poter pensare a una cosa sola. Si perde la vita a correre dietro a trentasei lepri alla volta. Avere una sola idea in testa e consacrarsi a questa idea; avere un solo cammino diritto davanti a noi, con distante, molto distante, lo scopo, il sogno, la grande follia... Ah! Ecco la vita... Tutto il resto è nebbia e vanità». Ho riportato queste parole di Zwing perché le ho trovate straordinariamente attuali, straordinariamente simili alle confessioni di alcuni moderni skibum, ossia di quei giovani freerider a tempo quasi pieno che erano di moda fino a pochi anni or sono (ora si dice siano già superati ma io non ci credo!), che vivono facendo lavoretti soprattutto d'estate per permettersi dei grandi inverni vagabondi sulla neve. A ben vedere Zwing è l'antesignano di questi skibum, un'espressione di libertà vera negli anni tetri della grande crisi. Una cosa sicuramente Zwing e skibum hanno in comune: il desiderio di fuggire da un mondo sbagliato in cui si sentono perdenti, per vivere i piaceri intimi
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Nelle foto, a sinistra Zwing sulla morena del ghiacciaio di Z'Mutt. Nella pagina accanto Zwing in un'immagine del 1934 al Pic d'Olan
del lungo inverno bianco sugli sci, con tutti i suoi rischi. Con la voglia di raccontare ad altri se stessi, più o meno discretamente. Deve essere chiaro che l'analogia, se esiste, è fra Zwing e gli skibum, non fra Zwing e i freerider dell'ultimissima generazione. Questi ultimi considerano superato il modo di vivere fra il romantico e il bohémien degli skibum, perché in contrasto con la dura realtà di una crisi senza via di uscita. I tristi eredi degli skibum sono bravissimi sciatori super allenati e preparati, ma disperati. Arrivano a rischiare la vita a ogni discesa, in modo frenetico, non hanno né il tempo né la voglia di vagabondare per le montagne, sono alla ricerca dell'adrenalina pura, della roulette russa, di quei pochi attimi di gioia estrema. La felicità di una vita per loro è la somma di quegli attimi, talvolta davvero pochi. Tutto il resto è grigia sopportazione. Zwing, lo skibum degli anni trenta, superata la crisi depressiva e lanciato verso la traversata della sua vita, non ha nulla a che fare con loro. Lo dimostrano le pagine del suo carnet in cui scrive: «sono abituato a fare le gite da solo, m'impongo una saggia lentezza in discesa, in modo da ridurre al minimo i rischi di incidenti. Devo solo temere le valanghe e i crepacci, che sono i rischi abituali dello scialpinismo». La partenza La sua camera in Rue Bayard diventa sempre di più simile a un laboratorio. Grazie all'uso del tessuto di un vecchio paracadute Zwing riesce a ridurre il peso della sua tenda canadese a 1.350 grammi. Lavora molto sull'alimentazione e conclude che per essere razionale essa «deve comprendere albumine, grassi, carboidrati, sali minerali forniti dai vegetali, vitamine, in totale sono 560 grammi al giorno, con un minimo di 2.630 calorie». Studia le carte e stima che il tempo massimo fra due punti di approvvigionamento può essere ridotto a quattro giorni, il che significa 2.240 grammi di cibo nello zaino. Come sci non ha
scelta, prende gli unici che possiede, in hickory, lunghi 'appena' due metri per risparmiare peso, rinforzi in lamiera in punta e in coda, attacchi con tenditori a molla, pelli di foca da incollare, rare a quei tempi, le migliori secondo lui. Poi fissa allo zaino i ramponi, da utilizzare solo per attaccare agli sci e non ai piedi, perché lo sciatore alpinista deve poter sempre mettere o togliere velocemente gli sci in qualsiasi situazione. La giacca a vento in tela oleata è quella confezionata da lui, con maschera incorporata per la tormenta con due buchi per gli occhi. Le cuciture del vecchio zaino vengono rinforzate. Nulla insomma viene lasciato al caso, la meticolosità tipica dell'ingegnere si esprime a livelli eccelsi. L'attrezzatura comprende anche: una punta di ricambio, sciolina, farmacia, kit per cucire, macchina fotografica, fornello a benzina modificato con attrezzo per sciolinare, piccozza, corda per doppie, chiodi da ghiaccio, biancheria di ricambio, carte, duvet. La ricerca del rapporto ottimale peso-solidità gioca un ruolo chiave. Pesa e ripesa, Zwing toglie il maggior numero di grammi possibile, perché «il raid è una questione di grammi…». Lo zaino, salvo rare eccezioni, non deve superare i 20 chilogrammi sulle spalle. Alcune cose, come le carte e altri documenti, verranno rispediti a Grenoble quando non servono più. Eccezionalmente lo zaino può arrivare a 26 chilogrammi. Zwing conclude che il suo zaino non può che essere pesante, perché deve contenere, oltre alla sua casa, almeno quattro giorni di viveri e quindi «altrettanti giorni di indipendenza e di felicità!». Nella preparazione, e anche durante il raid, Zwing non ama lasciarsi influenzare dai consigli dei tanti, troppi esperti. Le Cassandre poi lo infastidiscono davvero. Non sottovaluta affatto il grande ineliminabile rischio delle valanghe in una avventura di tre mesi come questa ma, con una certa dose di maliziosa ironia, dice di temere «soprattutto i cani e... i poliziotti!». Dopo tanto lavoro, il 31 gennaio 1933 scrive sul suo
diario: «Ho finito i preparativi! Domani mi lancio nella grande avventura…». Il grande raid: 1 febbraio-1 maggio 1933 Tanto per cominciare, per provare i materiali e se stesso, Zwing parte da Grenoble, o meglio da La Grave, dove arriva la corriera, per raggiungere Nizza con gli sci, punto di partenza del suo raid. Non si tratta affatto di una passeggiata ma di un grande raid di una settimana in una zona fra le più selvagge e affascinanti delle Alpi. Dopo essersi riposato alcuni giorni al mare, in casa di amici a Cannes, il 12 febbraio riprende la traversata, questa volta in direzione nord, senza ripassare da Grenoble ma puntando dritto su Montgenèvre, Modane, Chamonix. Zwing è un vero vagabondo, dorme dove capita, nei rifugi, nelle stalle insieme ai montanari o nella sua tenda che può montare ovunque, quando decide di fermarsi. Zwing racconta anche dei rischi che corre, dell'impossibilità di evitare certi pendii pericolosi, di tutta la gente che incontra e che gli dà del matto. Da Chamonix, dove arriva il 26 febbraio, riparte il 2 marzo per la classica haute route fino a Zematt in compagnia dell'amico Legrand, che lo ha raggiunto da Parigi. Prosegue quindi da solo, attraverso il Vallese, le Alpi Lepontine, il Ticino, i Grigioni, l'Engadina. Infine arriva alla meta: l'Austria. Vorrebbe arrivare da solo in Tirolo ma un alpinista che ha dormito con lui alla Tuoiihutte, ultima tappa svizzera, si offre di accompagnarlo. Il 6 maggio, superato il confine austriaco, si sente in un altro mondo. Incontra per la prima volta da mesi gruppi numerosi, anche di trenta sciatori alpinisti accompagnati da guide. Scopre che le capanne austriache sono confortevoli alberghi in quota. Alla Wiesbadenerhutte trova «un centinaio di sciatori turbolenti e felici... e la sala da pranzo è piena all'inverosimile, è un vero caravanserraglio sportivo, in cui si sentono parlare tutte le lingue dell'Europa».
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LÉON ZWINGELSTEIN
IL SENSO DELLA RIPETIZIONE
«Ripetere più volte la stessa gita non significa provare sempre le stesse sensazioni perché sia la montagna che il nostro stato d'animo sono sempre diversi».
Nella foto. Sul versante est della Cime du Vallon
In Austria lo scialpinismo era molto diffuso e rappresentava già allora un modo di vivere lo sci tutt'altro che marginale. Zwing non resiste molto in questo ambiente che ai suoi occhi appare come uno scialpinismo di massa e senza riposarsi nemmeno un giorno riparte per... il viaggio di ritorno! Segue un itinerario più a nord, perché vuole attraversare il Silvretta, passare per Davos, Andermatt e approdare infine a Briga da dove, a metà aprile, può raggiungere quell'Eldorado dello scialpinismo in quota che è l'Oberland Bernese. Esce dal pianeta Oberland il primo maggio e ritorna a Briga. Il brutto tempo lo convince a finire qui il suo raid, anziché rifare nuovamente la Haute Route in senso inverso da Zematt a Chamonix. In alto è caduta troppa neve e le condizioni sono troppo pericolose. E forse, diciamo noi, forse anche uno come lui, dopo tre mesi con gli sci ai piedi, sente il bisogno dei prati verdi della primavera. Con il treno raggiunge Chamonix e quindi Grenoble sotto la pioggia battente. Il grande raid è finito e si può così sintetizzare: 2.000 chilometri con gli sci di cui 270 su ghiacciai, 23 colli tra i 2.000 e i 3.000 metri, 22 tra i 3.000 e i 3.800 metri, 50 ghiacciai attraversati, 58.500 metri di dislivello, 90 giorni di avventura. Niente di eccezionale, penserà qualche moderno scialpinista da 1.400 metri di dislivello all'ora! E ha ragione, salvo per il fatto che l'attrezzatura di Zwing era molto diversa dalla sua, lo zaino molto più pesante, il percorso da cercare e la traccia da fare. Inoltre occorreva muoversi con qualsiasi tempo, accettare il rischio valanghe, dimenticare ogni confort alla fine delle tappe. Piccoli particolari insomma! Il nostro eroe è ovviamente soddisfatto di quanto ha fatto ed è cosciente che «avrebbe potuto attirare l'attenzione sul suo viaggio, farsi ricevere, essere incoraggiato». Invece ha preferito «passare in incognito». E continua: «Ho compiuto questo raid in
un isolamento reale, con un contatto solo apparente con gli uomini. Non contavo che su di me!». Conclude infine i suoi carnet con una poesia in cui manifesta il desiderio di ritornare fra le sue care montagne dell'Oisans, che l'hanno visto nascere come alpinista e come sciatore. E che lo vedranno morire. La crociera bianca del 1934 Zwing è un uomo che ha due facce, un diritto e un rovescio. Un diritto quando è in montagna e un rovescio quando è in città. Quando è in città è come un cane abbattuto, che incute pietà e compassione. Il suo sorriso è spento e c'è tristezza nei suoi occhi. A 36 anni sembra molto più vecchio di quanto è. I soldi sono ormai finiti e per non dover pagare l'affitto accetta di andare a vivere a casa del vecchio amico 'Chimiste' che, a differenza di lui, è diventato ricco e potente. Anche l'amico 'Escargot 'cerca di aiutarlo proponendogli un lavoro ma Zwing ha nella mente troppe montagne bianche per mettersi a fare un lavoro normale. Cerca di mettere a punto un orologio elettrico da lui inventato per commercializzarlo ma è un altro fiasco. Zwing sta diventando un asceta, si avvicina allo yoga, si chiude sempre di più in se stesso. È da sempre credente e vede nella montagna un modo di ascendere a una spiritualità superiore. Vuole raggiungere, attraverso lo sci e la montagna, la pace interiore. Ormai ha capito di cosa si tratta, crede in essa, e quindi vuol dedicare tutte le sue energie a raggiungerla. Scrivendo i carnet sul grande raid del 1933 non può non sentire forte il desiderio di ripartire... Sa bene che solo quando è in montagna i pensieri tristi e le amarezze si dissolvono. Scrive all'amico 'Philosophe': «Voi mi chiedete cosa divento. Sono sempre qui in attesa di un lavoro... nell'attesa sto mettendo a posto il racconto del mio raid... e ne
preparo uno nuovo in Vallese e in Oberland con 18 cime di oltre 4.000 metri. Se non trovo lavoro potrò partire a fine marzo…». È chiaro che Zwing non vuole un lavoro, vuole poter essere libero di partire! E così, con i suoi sci e il grande zaino sulle spalle, il 29 marzo 1934 parte da Grenoble per quella che ha battezzato «La crociera Bianca». Si tratta di un grande itinerario che unisce Vallese e Oberland, un completamento alla grande, 'in altitudine', del suo raid dell'anno precedente. Da notare che Zwing non è affatto allenato, l'allenamento lo farà cammin facendo, ripetendo la classica Chamonix-Zermatt. Il 30 marzo monta la sua tendina sopra Tour nell'alta valle di Chamonix e scrive felice: «in basso è la primavera dei fiori e dei poeti, in alto è la primavera delle nevi e degli sciatori!». Zwing è nuovamente nel suo elemento, fra le sue montagne, nel suo 'diritto'. Da solo, può seguire i suoi ritmi, «essere lento», fermarsi quando è stanco «a dormire sotto un tetto infinito cosparso di stelle». Per poter avere un'autonomia di ben otto giorni il suo zaino è più pesante di quello del grande raid: circa 23 chilogrammi. La crociera bianca termina il 7 giugno a Chamonix, dove è cominciata, con l'ascensione del Monte Bianco. Zwing è in piena forma. In 64 giorni ha percorso circa 1.120 chilometri sugli sci di cui 540 su ghiacciaio, superando 42 colli di oltre 3.000 metri e raggiungendo la cima di 17 quattromila. Ritornato a Grenoble scrive all'amico 'Philosophe': «sono rientrato ieri… senza entusiasmo, per niente stanco o sazio di solitudine... ma prima di tutto, caro Philosophe, la solitudine esiste?». Il tragico epilogo Il 13 luglio 1934, pochi mesi dopo la Crociera Bianca, Zwing trova la morte con Pierre MartinMorel scendendo dal Pic D'Olan, a causa di un fulmine. Ha solo 36 anni. I due alpinisti si erano conosciuti per caso il giorno prima e avevano deciso di scalare insieme la montagna dal versante del Valgaudenar. Viene sepolto a Grenoble, nel cimitero di Saint Roch. Poco prima di morire aveva scritto all'amico Philosophe di aver trovato la pace interiore. Secondo Dieterlen sentiva che i suoi vagabondaggi alla ricerca di una dimensione trascendente erano finiti, perché avevano raggiunto lo scopo. Aveva raggiunto quest'ultima cima come si raggiunge un porto dopo una lunga traversata. Era nelle montagne del suo caro Oisans.
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PERNICE BIANCA & C. testo: Giorgio Ficetto FOTO: Samuel Pradetto
Bianchi nel bianco La pernice bianca, la lepre variabile e l’ermellino cambiano abito in inverno per mimetizzarsi. Alcuni sono molto difficili da vedere, altri, come l’ermellino, sono curiosi ma non è facile fotografarli
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arwin nel suo trattato sull’evoluzione delle specie era stato chiaro: a sopravvivere non sono i più forti, ma quelli che si sanno meglio adattare alle condizioni avverse. Questa affermazione, ovviamente, riguarda gran parte della fauna che vive in ambienti estremi, la quale ha dovuto nel corso dei millenni ‘specializzarsi’ per le condizioni di vita critiche dell’habitat che occupano. Molte volte ci dimentichiamo che le nostre Alpi, oltre una certa quota, rappresentano dei veri e propri ambienti di vita estremi e come tali sono abitati da specie animali con caratteristiche eccezionali. Sugli espedienti per passare i mesi invernali la natura si è sbizzarrita: le marmotte cadono in un sonno profondo in tane sotterranee, riemergendo solo in primavera, i caprioli e i cervi si spostano verso quote ed esposizioni più calde, gli stambecchi cercano di diminuire il proprio metabolismo basale per ‘bruciare’ meno risorse possibili. Altri hanno deciso di entrare a far parte del mondo immacolato della neve e cambiano abito, diventando bianchi…
Nelle foto: Un esemplare di pernice bianca si mimetizza nella neve
La pernice bianca La pernice bianca è un regalo portato dalle ultime glaciazioni. Con il ritirarsi dei ghiacciai è risalita continuamente di quota cercando di seguire il proprio habitat ottimale e oggi la troviamo sulle nostre Alpi a partire dai 1.900 metri di quota. Per non tradire la sua origine glaciale normalmente frequenta versanti esposti a nord con vegetazione rada, ghiaioni e pareti rocciose. Solo nel periodo invernale può fare brevi spostamenti a quote lievemente inferiori.
Le dimensioni sono quelle di un colombo e anche il volo lo ricorda in parte. Nel periodo estivo la colorazione del piumaggio è grigiastra, estremamente mimetica con le rocce: in volo risalta il bianco delle ali e il nero delle piume della coda (timoniere). Avvicinandosi al periodo invernale, un meccanismo fisiologico tarato sulla diminuzione delle ore di luce giornaliere innesca la muta del piumaggio e a fine novembre le nostre pernici sono già completamente bianche, a eccezione delle penne nere della coda. Un segno distintivo è il caratteristico verso che emette al momento di prendere il volo: un gutturale crooc - crooc, molto simile al gracidio delle rane. Lo stesso verso viene emesso dai maschi durante il periodo dei corteggiamenti nuziali nel mese di maggio-giugno alle prime luci dell’alba. Durante le ultime gite primaverili non è raro ascoltare il loro richiamo sulle morene. Una caratteristica interessante è la presenza di piume lungo i tarsi, che donano alle zampe un aspetto simile a quelle di una lepre, da cui il nome latino Lagopus = piede di lepre; questa caratteristica è fondamentale per muoversi sulla neve, aumentando la superficie di portanza del piede. La pernice bianca ha bisogno di neve. Durante le lunghe nevicate si ripara sotto anfratti rocciosi e si lascia coprire dalla coltre bianca: può rimanere sepolta per giorni, scavandosi cunicoli a contatto con il terreno e limitando gli spostamenti. In questo modo si isola termicamente dai rigori invernali grazie allo spessore del manto e, rimanendo a contatto con il terreno, riesce a trovare qualche elemento vegetale per nutrirsi. Noi scialpinisti dobbiamo fare attenzione: per questi animali l’inverno è un periodo estremamente delicato, ogni sforzo può co-
Nelle foto: sotto una pernice bianca, a destra in alto un esemplare di ermellino ©O.Giordano. Più in basso la traccia sulla neve della lepre variabile ©Giorgio Ficetto
stare caro sul bilancio energetico… ogni volo, ogni fuga in inverno si paga in termini di risorse bruciate e difficilmente rimpiazzabili. Alcuni studi stanno dimostrando come l’attività di sci fuoripista nei grossi comprensori alpini sia causa di un importante disturbo per queste specie, portando in alcune aree a un declino delle popolazioni. La lepre variabile La lepre variabile non è certo un animale facile da incontrare. Sicuramente chi la battezzò scientificamente tenne conto di questa sua ‘invisibilità’ e decise di chiamarla Lepus timidus. Parente molto stretta della più conosciuta lepre comune o europea, questa specie frequenta soprattutto le fasce sopra i 1.300 - 1.500 metri di quota, spingendosi più in basso nei mesi invernali. La particolarità è la variabilità del mantello, il quale nei mesi autunnali muta da grigio a un bianco completo a eccezione della punta delle orecchie che rimane nera. Questo cambio d’abito non è legato alla presenza o meno di neve al suolo ma, come accade nella pernice bianca, da un ciclo fisiologico attivato dalla diminuzione delle ore di luce giornaliere. La lepre bianca lascia tracce particolari sulla neve, tracce che sicuramente ogni scialpinista ha visto migliaia di volte durante le escursioni: l’impronta dei quattro arti traccia una Y sulla neve inconfondibi-
le! Un altro segno di presenza sono gli escrementi, rappresentati da palline sferiche delle dimensioni di circa un centimetro di diametro. Nel periodo invernale è facile trovare questi segni di presenza soprattutto lungo le creste spazzate dal vento, dove emergono ciuffi di erba secca, alimento molto amato in questi mesi di digiuno. Come già detto è una specie estremamente elusiva: ha abitudini prevalentemente notturne e di giorno tende a nascondersi in anfratti tra le rocce, rendendosi praticamente invisibile, per cui avvistarla è un evento fortunato. La quantità di tracce che possiamo vedere sulle nostre montagne dimostra però che è presente con popolazioni stabili. L’ermellino Chi ha avuto la fortuna di osservare in montagna l’ermellino, avrà sicuramente sviluppato un senso di simpatia per questo piccolo abitante delle Alpi. Carnivoro di piccole dimensioni (lungo circa 20 centimetri), lo troviamo lungo tutto l’arco alpino a partire dai 1.000 metri di quota, dove colonizza preferibilmente ambienti rocciosi, praterie alpine e boschi di conifere, spesso con rocce e macereti. È un predatore temibile, specializzato nel dare la caccia ad arvicole e piccoli roditori, anche se non disdegna di cacciare piccoli uccelli alpini. Anche lui rientra nella categoria ‘cambiamoci d’abito’: in
inverno passa dal pelo estivo bruno scuro con pancia bianca a un bellissimo manto completamente bianco con l’eccezione della punta della coda che rimane nera. Un adattamento molto particolare ai climi estremi lo ritroviamo nelle sue dinamiche riproduttive: dopo l’accoppiamento, tra maggio e giugno, l’ovulo fecondato posticipa di circa 280 giorni l’impianto in modo da permettere ai piccoli di nascere nella primavera successiva, dato che la gestazione dura appena poco più di una ventina di giorni. Avvistare un ermellino non è così raro, si tratta di animali molto curiosi che a volte si avvicinano a breve distanza solo per il gusto di controllare gli intrusi nel loro territorio! Fotografarli? Se riuscite a farli stare fermi… si muovono con una velocità incredibile, non si fa in tempo a inquadrarli che scompaiono dalla vista per ricomparire sul sasso vicino! Purtroppo la pelle degli ermellini è fin troppo visibile sulle stole degli abiti papali e dei giudici della corte di Cassazione… retaggi di un passato che forse sarebbe il caso di mettere nel dimenticatoio. Il comportamento sempre impettito di questo animale e la bellezza del suo mantello sono addirittura ricordate nel Don Chisciotte dove si narra che «Un ermellino in abito invernale inseguito da una muta di cani preferisce consegnarsi a essi piuttosto che imbrattare il suo pelo immacolato…».
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AROLLA
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s k i - al p p ara d i s e La località svizzera è un punto di riferimento per lo scialpinismo d'alta quota. Cinque proposte che spaziano dall'itinerario classico, allo sci ripido, alle varianti in chiave alpinistica testo E FOTO : Matteo Tagliabue
piccolo villaggio di Arolla è formato da una manciata di case e alberghetti incastonati, a quasi 2.000 metri di altitudine, in una vallata splendida che costituisce l'estrema propaggine della Val d' Hérens, che sale da Sion, nel Vallese, e verso la sua fine si biforca in due rami. Uno, a ovest, costituisce la valle di Arolla e l'altro, la valle di Ferpècle, a est, è dominato dalla mastodontica vetta del Dent Blanche. Simbolo di questa vallata è il Pigne d'Arolla, costituito da due cime separate da unA sella che danno al monte la caratteristica forma a M, se visto da sud. Il toponimo 'pigne, pigno' è da collegare a 'peigne' che significherebbe pettine, il pettine di Arolla, anche se a dir la verità questa montagna non presenta da nessuna angolazione questa forma.
Arolla è invece un vocabolo comune al patois, ossia il dialetto valdostano e vallesano, per indicare il pino cembro, ricchezza di queste valli alpine. Questo paesino svizzero ha un enorme potenziale scialpinistico. Oltre alla notorietà data, non a caso, dal fatto che alcune sue cime e rifugi sono tappa della mitica Haute Route Chamonix-Zermatt e dal fatto che il suo nome è legato alla famosa Patrouille des Glaciers, Arolla offre una scelta di itinerari scialpinistici di alta montagna che sicuramente trova pochi eguali sulle Alpi. Senza dimentica-
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AROLLA
re che la maggior parte delle gite iniziano sci ai piedi praticamente dal paese stesso. Ogni genere di scialpinista, qualsiasi palato, anche il più raffinato, può trovare la salita e la sciata più adatta ai suoi gusti. A cominciare dalle gite più classiche, come il Pigne d'Arolla o il Monte Blanc de Cheilon, che oltre agli itinerari che corrono sulle normali possono offrire interessanti spunti in chiave più alpinistica, dove unire il binomio sci in spalla e via di ghiaccio. Le pareti nord di queste due bellissime vette sono annoverate tra le più interessanti salite di ghiaccio delle Alpi Pennine, inoltre entrambe sono state discese con gli sci. Altre due vette davvero interessanti, sempre in quest'ottica più alpinistica, dove lo sci fondamentalmente diventa un mezzo utile
per l'avvicinamento e una discesa più rapida, sono il Mont Collon (3.637 m) con il suo couloir nord-ovest e il Petit Mont Collon (3.555 m) che presenta un'interessante parete nord. Per quanto riguarda le discese un po' più tecniche e il ripido, Arolla può offrire un parco giochi di prim'ordine. Le possibilità di sciare couloir molto attraenti sono davvero tante e non sarebbe cosa affatto semplice descriverle tutte. Il modo migliore per rendersi conto della varietà che la valle può mettere a disposizione agli amanti di questo genere di scialpinismo è quello di trascorrerci qualche giorno e sciare su e giù per gli innumerevoli pendii e canali. Alcune linee sono davvero molto evidenti e invitanti e si notano subito entrando nel paesello di Arolla. Una su tutte l'Aiguille
de la Tsa, che con i suoi 3.668 m è soprannominata il Cervino di Arolla per la sua caratteristica cuspide finale che ricorda la forma della Grande Becca. Qui c'è un bellissimo canale con ben quattro varianti di uscita, tutte sciabili, in base naturalmente alle condizioni. Trattandosi di itinerari di alta montagna, che si sviluppano dai 2.000 metri di quota in su, il periodo migliore è senza dubbio da marzo in poi, ma si sa che le stagioni non sono più quelle di una volta e non è detto che anche in altri periodi un po' più inusuali non ci scappino le condizioni giuste per certe gite. I due rifugi e punti di appoggio più noti sono la Cabane des Vignettes e la Cabane des Dix, rispettivamente basi di partenza per il Pigne d'Arolla e il Mont Blanc de Cheilon ma non solo. La prima sorge a 3.157 metri in posizio-
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ITINERARI DA NON PERDERE
Svizzera Periodo consigliato: Vista la quota, i mesi migliori vanno da fine marzo a giugno. Tuttavia, in base alle esposizioni degli itinerari, soprattutto quelli che prendono sole più di altri, non è detto che le condizioni giuste non si possano trovare anche prima. Può essere utile consultare il sito www.arolla.com, dove si possono reperire informazioni utili e vedere le webcam. Altro indirizzo da visitare è www.arolla.org, oltre a quelli dei rifugi: www.cabanedesvignettes.ch e www. cabanedesdix.ch. Accesso: Dall'Italia sono due i percorsi principali. Il primo, un po' più lungo, ma sicuramente meno dispendioso in termini di pedaggi, è quello che percorre il passo del Sempione, scende a Briga e prosegue lungo l'autostrada A9 verso Lausanne/ Sion/Lotschberg. A Sion, prendere l'uscita Sion-Est verso Val d'Hérens/Ayent/Savièse. Da qui in poi è impossibile sbagliare, basta proseguire sempre verso il fondovalle fino ad Arolla. Altra possibilità, più veloce ma sicuramente più dispendiosa, è quella di percorre l'autostrada fino ad Aosta, imboccare il tunnel del Gran San Bernardo, proseguire verso Martigny, seguire le indicazioni per Simplon/Sion e uscire come precedentemente descritto a Sion-Est verso Val d'Hérens/Savièse/Ayent.
ne spettacolare ed esposta (quasi una terrazza naturale) poche decine di metri a est del Col des Vignettes, con vista sulla parete settentrionale del Petit Mont Collon, sulla grossa mole del Mont Collon e su tutta la catena di confine oltre il Col de Chermontane. È stata edificata intorno al 1950 sul luogo dove si trovava una piccola capanna in legno chiamata Refuge Jenkins, fatta costruire nel 1924 da Alexander Stuart Jenkins, alpinista americano che per parecchi anni dedicò la sua attività alpinistica in particolare a questa regione. La Cabane des Dix, costruita nel 1928, sorge a 2.928 metri sulla riva sinistra del Glacier de Cheilon, proprio di fronte alla spettacolare parete Nord del Mont Blanc de Cheilon. Questo posto, immerso tra le montagne del Vallese, è di sicuro la meta ideale per ogni
scialpinista e da dicembre a giugno può offrire un'ampia gamma di alternative: anche il 'garista' può trovare qui una location perfetta per trascorrere qualche giorno ad allenarsi. Se decidete di andarci non preoccupatevi, un posto per dormire e mangiare lo si trova sempre, anche all'ultimo. Tutta la Val d'Hérens vive di turismo e ci sono numerosi alberghi e pensioni non solo ad Arolla, ma anche nei piccoli paesi che la precedono. La strada da percorrere per arrivare fino a questo paradiso dello scialpinismo non è di certo poca ma di sicuro il paesino del Vallese vale ogni chilometro di strada che si percorre e ogni euro di benzina che si spende. Se non ci credete, andateci!
Dormire e mangiare: Oltre ai vari rifugi, sempre aperti nei periodi che maggiormente interessano lo scialpinismo, ad Arolla è possibile trovare diverse sistemazioni. Anche gli altri piccoli paesi della valle offrono molti alberghi e pensioni e la possibilità di affittare appartamenti. Alcuni siti utili: www.hotel-kurhaus.arolla.com, www.hoteldupigne.ch, www.hotelduglacier. ch, www.hotel-arolla.com, www.latza.ch, www. hotelmontcollon.ch/fr, www.arolla.org , www. arolla.com , www.evolene-region.ch/ Cartografia: Sicuramente indispensabile la carta scialpinistica di Arolla di Swisstopo in scala 1:50.000. Bibliografia: Per quanto riguarda lo scialpinismo più classico si consiglia 'Scialpinismo in Svizzera, 411 itinerari scelti' - F. Scanavino e F. Gansser - CAI CAS. Per chi fosse interessato al lato più alpinistico si consiglia, anche se non facile da reperire, 'Alpi Pennine volume II' - Gino Buscaini Guida dei Monti d'Italia CAI TCI. Info meteo e valanghe: www.meteosvizzera.ch e www.slf.ch.
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AROLLA
Itinerario 1 In salita verso il Pigne d'Arolla subito dopo il Col des Vignettes
Itinerario 1 Pigne d'Arolla (3.790 m)
Gita classica lungo la via normale, occorre neve sicura sulla diagonale dopo il Col des Vignettes. Accesso e partenza: da Arolla (1.998 m) seguire la strada verso il fondo valle fino a un cartello di divieto di circolazione, possibilità di parcheggio Dislivello: 1.800 m Esposizione: nord-est fino al Col des Vignettes, sulla pala finale sud Tempo medio di salita: 4-5 ore Difficoltà complessiva: PD Difficoltà sciistica: PD S3 2.2 Periodo: gennaio - maggio Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica, eventualmente imbrago e ramponi. Itinerario. Da Arolla seguire le piste da sci fino a circa 2.150 m per poi piegare a sinistra in direzione sud-sud/ovest verso l'evidente cresta della morena glaciale, in alternativa dal fondo valle seguire il sentiero estivo che porta allo stesso punto, cartelli e frecce segnaletiche per la Cabane des Vignettes sono evidenti. Risalire la cresta della morena per immettersi poi nel vallone che conduce agli ampi pendii del Glacier de Pièce che si salgono fino all'evidente Col de Vignettes, dove si trova l'omonima Cabane. Dal colle (3.157 m) attraversare verso sud la base del Pigne d'Arolla e poi innalzarsi sul suo versante est. Il primo pendio è abbastanza ripido e, se ghiacciato, conviene scendere un
poco verso sud, aggirare tre speroni di roccia quasi paralleli e risalire l'ampio canale che si trova nascosto dietro di essi. Si prosegue poi sul ghiacciaio fino alla lieve depressione della cresta sud, dalla quale in breve si arriva direttamente alla vetta. Discesa per l'itinerario di salita. Itinerario 2 Pigne d'Arolla parete nord
Itinerario molto attraente in un'ottica di salita con sci in spalla. Parete di difficoltà variabile in base alle condizioni della neve, sicuramente abbinabile agli sci che possono essere molto utili per avvicinamento e discesa. La prima salita è di Alfred G. Topham con la guida Jean Maitre il 5 agosto 1889 e nello stesso anno questo itinerario venne addirittura percorso in discesa dall'inglese C. M. Gardner con due guide di Arolla. Accesso e partenza: da Arolla come per la normale scialpinistica sopra descritta Dislivello: 1.800 m di cui 300 m della parete finale vera e propria Esposizione: nord-est Difficoltà: D Tempo medio di salita: 7 ore circa Periodo: aprile - giugno Attrezzatura: normale dotazione per una salita su ghiaccio. Eventualmente materiale per attrezzare soste su roccia Itinerario. Da Arolla si segue l'itinerario che sale verso il Col des Vignettes, come prima descritto per la normale, fin dove si giunge all'ampio Glacier de Pièce. Da qui si
nota sulla destra la parete. Portarsi fino sotto le rocce della Loitecondoi, ossia il grande sperone roccioso che scende verso nordest dal Pigne d'Arolla e separa il Glacier de Chesière Neuve, a ovest, dal Glacier de Pièce, a est. Circa 250 m prima della base della parete nord-est, prendere un largo canale che sale a destra e porta sull'ampia e comoda cresta. La si segue e, superata una successiva spalla (3.356 m), si arriva alla base del pendio finale (prevedere 3-4 ore). Da qui si attacca la parete finale, senza percorso obbligato, che si impenna negli ultimi 250 m, e si sbuca direttamente in vetta (7 ore circa). Discesa per la via normale. Itinerario 3 Mont Blanc de Cheilon (3.869 m) cresta sud-ovest (via normale) couloir ovest
Da considerarsi tra le montagne più belle delle Alpi Pennine, offre un itinerario scialpinistico di gran classe che termina nell'ultimo tratto con la bella cresta sud-ovest, non difficile ma estetica e affilata, che sicuramente aggiunge quel qualcosa in più alla gita. Accesso e partenza: da Arolla (1.998 m) seguire il percorso del sentiero estivo in direzione Pas de Chèvres e Cabane des Dix, oppure risalire le piste da sci nella medesima direzione. Dislivello: 1.870 m (930 m alla Cab. des Dix + 940 alla vetta) Esposizione: ovest, sud-ovest Tempo medio di salita: 8 ore (3,30 fino alla Cab. Des Dix) Difficoltà complessiva: PD passi di II°
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Itinerario 2 La parete Nord del Pigne d'Arolla alle prime luci della mattina
grado sulla cresta finale Difficoltà sciistica: PD S3 Periodo: marzo - maggio Attrezzatura: normale dotazione scialpinistica, imbrago, ramponi, piccozza Itinerario. La salita in giornata da Arolla è abbastanza lunga sia come dislivello che come sviluppo, consigliabile il pernottamento alla Cabane des Dix, spezzando la salita in due giorni. Da Arolla si risalgono le piste da sci, o in alternativa si seguono le indicazioni per il sentiero estivo, e si giunge fino all'arrivo dello skilift di Tsijiore Nouve; si prosegue poi nella medesima direzione sud-ovest nel vallone che costeggia la morena sul lato sinistro orografico del Glacier de Tsijiore Nouve. Dal piccolo pianoro a quota 2.540 dirigersi verso ovest per raggiungere il Pas de Chèvres (2.855 m). Qui si scendono le rocce sfruttando due scalette metalliche e una cengia e ci si porta sulla riva destra del Glacier de Cheilon (da Arolla circa 3 ore fino al passo). Attraversare il ghiacciaio in direzione sud-ovest e salire alla capanna posta su un promontorio roccioso che si distacca a sud della Tete Noire (circa 3,30 ore). Dalla Cabane des Dix raggiungere facilmente, in direzione sud-ovest, il Col de Cheilon (3.243 m). Dal colle si segue poi per la cresta ovest, aggirando il primo salto roccioso sul Glacier de Gietro (se si tiene il filo di cresta, alcuni passi di II° grado). Una volta sul ghiacciaio superiore lo si risale in direzione della sella nevosa (3.785 m) posta tra la cima e una grande gobba nevosa (3.827 m). Dalla sella si segue la cresta sud-ovest, all'inizio molto affilata, con passi di II° fino in vetta (4,30 ore dalla Cabane des Dix). Discesa per lo stesso itinerario di salita.
Itinerario 3 Pigne d'Arolla, Mont Blanc de Cheilon, Pointes de Tsena Réfien
Itinerario 4 Aiguille de la Tsa (3.668 m) couloir ovest
Itinerario di ripido tra i più classici di Arolla. Bellissimo canalone che non presenta pendenze estreme e permette sempre un'ottima sciata. Nella parte alta si biforca in ben quattro diverse uscite con pendenze più elevate e non sempre sciabili. Questa montagna, soprannominata il Cervino di Arolla, offre qualcosa in più a chi volesse davvero rendere completa la gita, ossia la scalata della parete est della sua breve cuspide
finale con alcuni tiri di IV° grado. Accesso e partenza: da Arolla (1.998 m) nei pressi dell'albergo Mont Collon, possibilità di parcheggio Dislivello: 1.600 m di cui 600 m solo per il canale Esposizione: ovest Tempo medio di salita: 3-4 ore Difficoltà sciistica: D+ 5.1 S5 Pendenza: 45° Periodo: febbraio - maggio Attrezzatura: piccozza e ramponi, se si intende scalare la cuspide finale materiale da arrampicata
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AROLLA Sopra, itinerario 4. Aiguille de la Tsa, il couloir ovest classico è il primo da sinistra, seguono poi le altre varianti. Sotto, itinerario 5. Pointes des Vignettes e rispettiva Cabane, subito dietro parte il cuoloir Est
Itinerario. Da Arolla è impossibile non notare, sulla sinistra rivolti al fondo valle, l'evidente Aiguille de la Tsa e l'ancor più evidente couloir. Si parte nei pressi dell'albergo Mont Collon e si scende per alcune decine di metri per attraversare il fiume. La salita è poi molto evidente e rettilinea, nonostante il discreto dislivello lo sviluppo non è molto. Si salgono i pendii abbastanza sostenuti, puntando direttamente al canale e all'inconfondibile guglia, sempre ben visibili. Il canale rettilineo sbuca sull'ampio pianoro soprastante, proprio di fronte al Dent Blanche. Eventualmente sono possibili diverse uscite, tutte più a destra del classico canale, seguendo le evidenti diramazioni, sempre condizioni di neve permettendo. Se si vuole scalare la cuspide finale per la sua paretina est, dal pianoro all'uscita del canale ci si dirige a destra verso l'evidente cuspide rocciosa che costituisce la vetta vera e propria. La parete è alta poco più di 100 m e sono possibili diverse varianti con difficoltà che non superano il IV°+. La discesa avviene in doppia, con passaggi corti, ed è sufficiente una sola corda. Itinerario 5 Pointe des Vignettes (3.194) couloir est
Discesa tecnica ed elegante in un couloir stretto e incassato che richiede anche alcune calate in corda doppia. Partenza dal Col des Vignettes, dove sorge l'omonima capanna. Partenza e accesso: da Arolla (1.998 m) come per la normale scialpinistica al Pigne d'Arolla Dislivello: 1.200 m fino alla Cab. des Vignettes, 700 m di discesa per il couloir Esposizione: est-sud/est per la prima parte di couloir, est-nord/est per la seconda parte Tempo medio di salita: 2,30 ore circa fino al Col des Vignettes Difficoltà sciistica: TD 5.3 S5 Pendenza: 45°-50° con brevi passaggi a 55° Periodo: febbraio - aprile Attrezzatura: piccozza e ramponi per ogni evenienza, una corda da 60 m, cordini da abbandono per le calate, eventualmente qualche chiodo per rinforzare le soste comunque già presenti, un paio di viti da ghiaccio potrebbero tornare utili Itinerario. Da Arolla seguire l'itinerario già descritto per la normale scialpinistica al Pigne d'Arolla fino al Col des Vignettes. Pointes
des Vignettes non è altro che la cima sotto la cui sommità sorge la Cabane des Vignettes. Dal colle (3.157 m) si segue la cresta verso sinistra, fino a raggiungere in breve la capanna; l'ingresso del couloir est è posto subito alla sua sinistra. La prima parte di canale è molto ripida a causa anche delle grosse cornici quasi sempre presenti. In genere è consigliabile scendere i primi metri con picca e ramponi o allestire una breve doppia di 10 metri; in caso di annate molto nevose si può entrare direttamente con gli sci. Subito dopo segue una sezione di 100 m a 45° che diventano più ripidi in prossimità del primo salto di ghiaccio; scendendo sulla sinistra è attrezzata la sosta per la calata (10 m). Questa calata può essere evitata in anni molto nevosi con un traverso esposto verso sinistra se la neve copre sufficientemente il ghiaccio. Successivamente
il canale si fa molto ripido (55° 50/60m) e molto stretto, continuando così per circa 100 m e con un passaggio tra le rocce largo circa 1.8 m, per poi allargarsi e arrivare alla seconda calata. Sosta attrezzata sulla sinistra su due chiodi e nut incastrato e calata di 20 m circa in funzione dell'innevamento. Dopo la calata il canale cambia esposizione, si allarga e le pendenze diminuisco (45°-40°) per circa 250 m fino a raggiungere la terza e ultima doppia. Sulla sinistra si trova la sosta (chiodo e cordino incastrato intorno a un sasso). Qui mancano gli ultimi 100 m che conducono ai pendii sottostanti il Mont Collon (prestare attenzione a destra della fine del canale, zona valanghiva). Scendere fino in fondo per 300 m e poi piegare a sinistra seguendo l’evidente valle (si vede chiaramente il letto del fiume) che riporta verso Arolla.
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VAL FONDA
Dolomiti f reeri d e a d v ent u re
Testo : Emiliano Previtali Foto: Damiano Levati
Le forcelle sul versante nord del Cristallo, a due passi da Cortina e Misurina, sono un autentico paradiso per gli amanti della powder. Soprattutto quest'anno, con la neve abbondante testo: Niccolò Zarattini FOTO: Niccolò Zarattini
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sud, dove due impianti renderanno molto più agevole il trasferimento in quota.
È
un inverno carico di neve sulle Dolomiti d’Ampezzo, da dicembre ci sono state numerose nevicate e, nonostante il primo tepore primaverile, sulle pareti nord la neve è ancora come appena caduta. I ricordi della scorsa stagione, quando nei canali c’erano più rocce che neve e gli sporgenti mughi in quota si aggrappavano agli sci provocando dei rovinose cadute, sono ormai lontani. È bello poter tornare a percorrere gli itinerari di sempre, con tutta questa neve ci si sente un po’ come nei film girati in Alaska o in British Columbia, quando a ogni curva ci si immerge fin sotto alle ascelle. Dal primo giorno di febbraio è stata finalmente riaperta 'al pubblico', ovvero agli sciatori non accompagnati da una guida, anche la seggiovia del Son Fuorca, che costituisce l’accesso fondamentale per sciare sul versante nord del gruppo del Cristallo. Questo imponente ammasso di dolomia e neve, per chi non lo conoscesse, è il piccolo paradiso del freeride che si staglia sopra a Cortina e ogni inverno i suoi canaloni vengono solcati da numerosi appassionati del fuori pista. Per percorrere queste vallate è doveroso organizzarsi con due auto: è infatti necessario lasciare una macchina alla base del versante nord, mentre con l’altra ci si dirigerà sul versante
Appena si arriva in cima alla datata seggiovia a due posti che risale il ripido canalone Staunies (sud), si avverte immediatamente tutta un’altra energia. È il momento in cui si lasciano alle spalle gli impianti e tutto il trambusto delle affollate piste da sci e ci si prepara per affrontare i mitici canaloni e tutto il 'bendidio' che offre questo fantastico massiccio. Si percepisce che tira un’altra aria già dal primo incontro che si fa a monte, ovvero con l’operatore che supervisiona l’arrivo della seggiovia: trascorre gran parte dell’inverno lì, a quota 3.000 metri, perché questo bizzarro impianto di vecchia concezione si aziona soltanto dalla cima. È un personaggio interessante e 'fuori dalla norma' ed è sempre utile scambiare due chiacchiere con lui prima di dirigersi verso il proprio itinerario. L'uomo dell'impianto è anche incaricato di censire gli sciatori che scollinano per andare a sciare sull’altro versante e di controllare che abbiano nello zaino l’Artva, la pala e la sonda. Bene, a questo punto si è pronti per partire. Unico quesito: dove andare? Le possibilità sono davvero abbondanti, si contano una decina di canaloni con larghezze e pendenze per tutti i gusti. Chi ad esempio fosse alla ricerca di un percorso in stile alpinistico, potrebbe optare per il canale Vallençant, al quale si accede attraverso una bella ferrata in cresta e negli inverni scarsi di neve necessita di una piccola calata in doppia a circa tre quarti del suo percorso. Oppure per chi volesse starsene più tranquillo l’itinerario normale delle 'Creste Bianche' offre gran divertimento e neve ugualmente buona con pendenze decisamente più dolci. O ancora c’è il
famoso canalone Adriana, o Staunies nord, una lingua di neve dai 10 ai 15 metri di larghezza che con i suoi impressionanti 1.000 metri di dislivello attrae ogni inverno molti sciatori che muoiono dalla voglia di trovarlo completamente vergine. Proprio in quest’ultimo, in una giornata di splendido sole, volevamo dirigerci assieme alla guida Paolo Tassi e alcuni suoi clienti, nella speranza di trovarlo immacolato, o almeno nelle migliori condizioni possibili. Purtroppo non è stato così. Le recenti nevicate avevano attirato una mole inaspettata di sciatori e, una volta sporti dalla ringhiera che costituisce la partenza del canale, abbiamo realizzato che avremmo dovuto cambiare parte dell’itinerario. Poco male, come già detto le possibilità sono molte e, conoscendo la zona o avendo una guida, si può agilmente cambiare percorso. È così che abbiamo agito e il risultato è stato a dir poco esaltante. Abbiamo optato per il 'canale n.1', dove fortunatamente c’erano soltanto un paio di tracce a serpentina molto stretta lasciata probabilmente da qualche austriaco. Una gioia per noi amanti dei curvoni larghi, che abbiamo potuto dar sfogo finalmente alla nostra 'febbre da polvere' godendoci la discesa in tutto il suo splendore. Ma ovviamente non è finita, questo è solo l’inizio, ed è qui che si vede il vero conoscitore, l’artista degli itinerari! Arrivati nella Val Fonda, infatti, ci si rende conto che è in questo vallone che convergono alcuni dei canali che scendono dal Cristallo. È allora che si può intrecciare, concatenare e sbizzarrirsi con le mille combinazioni disponibili! Basta scegliere. Noi abbiamo messo le pelli e, attraverso una splendida salita con pochissime tracce, ci siamo catapultati nuovamente in cima a un altro splendido canale. Insomma la giornata del perfetto freerider: duemila metri di dislivello in discesa con poco più di seicento metri di dislivello in salita. Unico accorgimento, la giusta scelta dell’itinerario, che può essere fatta an-
54 > freeride mountaineering
VAL FONDA
Nella foto. A sinistra uno scatto del mitico impianto del Suon Forca, in basso il ripido canalino iniziale che precede l'apertura alle Creste Bianche, qui sotto una Salita con le pelli verso il canale Michele.
che poco prima di avventurarsi nella discesa prediletta. Per questo un consiglio doveroso a chi dovesse decidere di recarsi sul gruppo del Cristallo per una bella sciata alla ricerca della neve migliore è sicuramente quello di informarsi su uno dei tanti siti che contengono numerose recensioni o di comprare una guida (ad esempio 'Freeride in Dolomiti' di Francesco Tremolada che contiene un intero capitolo dedicato al Cristallo). Una saggia decisione per chi dovesse arrivare da lontano è di non cercare invano un alloggio economico a Cortina, ma piuttosto di recarsi nella ben più semplice Misurina, che risulta ancora più comoda per organizzare le due macchine alla base dei due versanti. Le Dolomiti sono un po’ una Chamonix in miniatura, con tutti i loro canali, le pendenze a volte ripidissime, le mille torri e rocce che fanno da contorno. Senza esagerare, si può affermare che sono ancora un paradiso inesplorato del freeride, dello sci ripido estremo e dello sci fuoripista. Purtroppo è molto più facile avvistare gruppi di austriaci superequipaggiati addentrarsi nelle discese più belle, piuttosto che italiani motivati a tracciare la prima linea sulle proprie montagne. Ad ogni modo, l’importante è essere ben informati e prendere tutte le precauzioni necessarie prima di avventurarsi su itinerari del genere. È vero, che noia, sempre le stesse prediche. Però intanto anche quest’inverno sono morte due persone sepolte da una valanga nella forcella Verde, a due passi dalla nostra proposta ma con un’esposizione completamente diversa. Nella maggior parte dei casi per evitare la disgrazia è sufficiente recarsi all’ufficio delle guide alpine locali per chiedere loro qualche parere utile e leggere il bollettino meteo (in questo caso disponibile su www.arpav.it) che viene quotidianamente aggiornato e riporta le altitudini e i versanti più a rischio. Poi ci si può dedicare anima e corpo all’enorme mole di powder. Che quest’anno c’è.
Nelle foto, in questa pagina a destra Salita con le pelli verso il canale Michele. Nella pagina accanto, in alto attacco del canale Michele. In basso 'Paolino' Tassi si gode la powder
Accesso freerider: dagli impianti del Cristallo per Staunies nord o i canali della Val Fonda fino al 'salto'. Dislivello salita 686 m, discesa complessiva 2.090 m Accesso tradizionale: da Carbonin con le pelli di foca, dislivello salita/discesa 1.250 m Tempo di salita: si entra in un campo che varia molto dall'attrezzatura, nel nostro caso 2 ore Difficoltà: OSA
I CONSIGLI DELLA GUIDA di Paolo Tassi
Forcella Cristallino/ Forcella Michele (2.642 m)* *(viene indicata come forcella Michele sulle mappe Tabacco ma in realtà è forcella Cristallino)
Esposizione: salita alla forcella est, sud/est; discese nord Attrezzatura: consigliati i rampant o i ramponi per alcune sezioni della salita Periodo consigliato: freerider, quando è aperto l'impianto; scialpinisti, da gennaio ad aprile
PARTNER
UFFICIALE
JEAN ANNEQUIN / GROENLAND
Pascal Tournaire
Se consideriamo l'approccio freerider allo scenario scialpinistico nel gruppo del Cristallo, bisogna assolutamente essere bravi sciatori, infatti la discesa da forcella Staunies (punto culminante degli impianti) ai versanti nord è molto ripida. Il solo canale di accesso alle Creste Bianche richiede talvolta l'uso della corda e dei ramponi sia per la salita che per la discesa. Non è neanche da sottovalutare la difficoltà a calzarsi gli sci nel punto più alto. Per i canali che accedono in Val Fonda dalle Creste Bianche (sono 5 e per i più visionari 6) è consigliabile scendere presto al mattino, visto che incombe sopra la loro uscita rivolta ad ovest un catino di neve sospeso che talvolta si trascura. Consigliamo di effettuare la discesa prima che il sole sia alto, soprattutto nel mese di marzo. Se invece si decide di scendere il canale di Staunies nord, attenzione che non sia troppo tracciato, può diventare una trappola ghiacciata che non ammette errori. Entrambi gli itinerari conducono al famoso salto che divide la Val Fonda dalla morena e dal ghiacciaio soprastante. Superato il salto (a volte sono utili i ramponi) ci si trova davanti a un'infinita serie di opportunità scialpinistiche che richiedono solo una buona lettura del manto nevoso per poter godere al meglio della neve che in questa sorta di banca del freddo è spesso polverosa. Esiste un numero di forcelle e salite notevole, dal più classico Passo del Cristallo al più estremo canale Innerkofler, un vero e proprio circolo con una playlist di opportunità sciistiche che può soddisfare i classici scialpinisti in camicia e i più moderni freerider con la 'braga molla'.
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56 > opinioni
NEVE E DIRITTO testo: FLAVIO SALTARELLI Flavio Saltarelli, classe 1963, avvocato civilista, pratica scialpinismo dall’età di 18 anni. Si occupa per passione delle problematiche legate alle responsabilità connesse agli sport in ambiente montano e ha partecipato a diverse competizioni di ski-alp. Per eventuali quesiti: studiolegalesaltarelli.grassi@fastwebnet.it
Freeride più pericoloso dello skialp… per legge Rispetto allo scialpinismo è ancora più arduo difendersi in caso d’incidente e fattispecie di reato in cui possono incorrere gli scialpinisti e i loro accompagnatori durante le escursioni in montagna sono 'a soggetto libero' e dunque configurabili anche da coloro che stiano praticando fuoripista nelle vicinanze degli impianti, eliski oppure freeride, dopo essere saliti in quota con l’ausilio di mezzi meccanici. Da un’analisi dei principi cardine sviluppati da giurisprudenza e dottrina in materia emerge inoltre come, in caso di sinistro, sia ancor più difficile rimanere indenni da condanne in sede penale e/o civile viste le peculiarità di queste discipline che generalmente hanno in comune con lo scialpinismo la sola fase della discesa. Vediamone le ragioni. Nel caso di distacco di valanga, il reato (cosiddetto di pericolo astratto in quanto per configurarsi non è necessario che ci sia un danno a qualcuno o a qualcosa) si configura qualora il distacco avvenga in zone antropizzate in modo da realizzare la condizione di «porre in pericolo la pubblica incolumità». Fuoripista e freeride spesso si svolgono all’interno o nelle immediate adiacenze di comprensori sciistici, in aree frequentate da terze persone; è raro dunque potersi difendere sostenendo di non aver posto, anche potenzialmente, in pericolo la salute di qualcuno o di qualche manufatto. Il reato di valanga colposa si perfeziona nell'ipotesi di violazione di norme o precetti. Non è raro che chi scende fuoripista dopo essere salito in quota con gli impianti sia uscito dai tracciati battuti, ignorando i cartelli di divieto posti dai gestori a bordo pista al fine di evitare ogni rischio di distacco. Nel caso d’incidente abbiamo più volte precisato in questa stessa rubrica come sia responsabile il più esperto del gruppo, l’istruttore o la guida; il soggetto, in buona sostanza, in cui la persona ferita o deceduta aveva riposto fiducia, avendo ragione di ritenerlo più esperto. Questa regola ha un fondamento nel cosiddetto principio giuridico 'dell’affidamento'. Responsabilità dalla quale il capogruppo potrà liberarsi solo dimostrando di «aver fatto tutto il possibile per evitare il danno»; di aver scelto il percorso più idoneo non solo in base alla capacità dei partecipanti, ma anche sulla scorta di una attuale e continua indagine sulle condizioni dell’itinerario. Nel caso di gita scialpinistica la guida o l’accompagnatore, risalendo il pendio, ha la possibilità di vagliare passo per passo il percorso, facendo la microtraccia più opportuna e decidendo di ritornare a valle nel caso di riscontri negativi strada facendo. In caso di freeride o eliski queste valutazioni sono di certo più difficili, come è più difficile decidere di 'abortire' la gita in fieri valutando impreviste condizioni nivologiche, dovendo dipendere dagli altri (e dalle condizioni meteo) per il recupero. Questi accertamenti sul percorso dovranno pertanto essere stati portati a termine prima dal capogita, dimostrando di aver assunto ogni precauzione
per limitare il rischio ai partecipanti, tra cui quella di scendere per primo ogni pendio. Altro fattore da non trascurare per la pratica di queste attività nel periodo primaverile è l’orario di discesa. È noto che, mentre in inverno generalmente le condizioni di sicurezza legate al consolidamento della neve si mantengono costanti durante la giornata, in primavera il pericolo valanghe subisce mutamenti, aumentando nelle ore più calde della giornata per i metamorfismi. Chi si dedica al fuoripista in primavera deve pertanto tener conto che, in caso di incidente da valanga, sarà ben più difficile dimostrare la propria estraneità qualora il distacco si sia verificato durante una discesa nelle ore più calde. Gli impianti, generalmente, non consentono di portarsi in quota all’alba… Sulla scorta delle considerazioni sopra emerse, si comprende come, a parità di reati, chi pratica freeride e fuoripista non sia meno a rischio degli skialper durante la frequentazione della montagna innevata, anzi come sia ancor più arduo, in sede giudiziale, predisporre una linea difensiva. Allo stesso tempo sarà più difficile riuscire a ottenere effettiva copertura assicurativa qualora si sia stipulata una polizza per queste eventualità.
CATEGORIA AMATORI NELLE GARE DI SKI-ALP Ciao Flavio, sull'annoso discorso della responsabilità degli organizzatori di gare di scialpinismo di cui avevamo già avuto uno scambio di opinioni negli anni passati, ti chiedo questo: posto che noi come Trofeo Crinale facciamo la gara con due categorie, una per agonisti iscritti FISI e una per non agonisti o amatori, ritieni che in quella per amatori convenga comunque chiedere il certificato medico agonistico o può essere superfluo? Pensavamo di fare anche una polizza assicurativa generale a copertura eventuali incidenti. Beppe Nizzoli Ciao Beppe, indire una manifestazione di scialpinismo per la categoria amatori non assolve gli organizzatori da eventuali responsabilità connesse ad incidenti per totale inidoneità fisica dei partecipanti o per assenza del materiale necessario (Artva, pala, sonda, ramponi se del caso), a maggior ragione ove vi sia una classifica ed un percorso oggettivamente 'race'. Pertanto non esiterei a pretendere per l’iscrizione almeno un certificato, se non di idoneità alla pratica scialpinistica agonistica, almeno all’attività sportiva in generale, come in uso nelle palestre. Si potrebbe inoltre richiedere una sottoscrizione da parte dell’amatore di presa visione di un modulo riportante le caratteristiche tecniche del percorso, affinché si abbia la certezza che sia consapevole di affrontare un itinerario che può richiedere capacità tecniche (ramponage, ad esempio) particolari. Per quanto riguarda le polizze assicurative, ben vengano, tenendo però presente che in ipotesi di sinistro rispondono solo qualora non vi siano comportamenti di colpa grave attribuibili agli organizzatori. Flavio Saltarelli
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NEVE E VALANGHE testo: renato cresta Renato Cresta è nato a Genova nel 1936. Arruolato come ufficiale degli alpini, ha prestato servizio presso reparti di Alpini Paracadutisti ed ha comandato il Plotone Atleti della Scuola Militare Alpina. Istruttore militare di sci e di alpinismo, maestro di sci, sia di fondo che di sci alpino. Lasciato l’Esercito con il grado di Capitano, si è dedicato alla libera professione come direttore
sportivo della stazione di Macugnaga e, successivamente, degli impianti del Passo dello Stelvio. Attualmente opera come consulente in materia di neve e valanghe, occupandosi prevalentemente di sicurezza in ambienti innevati. È richiesto come insegnante ai Corsi di Formazione professionale per maestri di sci e per responsabili della sicurezza delle stazioni di sport invernali.
Il popolo degli ski-alper Una interessante inchiesta realizzata in Alto Adige svela numeri e abitudini di scialpinisti e 'racchettatori'. Ski-alper ha rielaborato i dati per ottenere ancora più informazioni sui frequentatori delle solitudini bianche ©Klaus Kranebitter
P
er una volta eccomi ad affrontare un argomento che non riguarda le valanghe e il manto nevoso in maniera scientifica. Muovendomi per i monti durante la stagione invernale, mi è facile l’incontro con numerosi individui appartenenti alla mia stessa specie di 'Homo hibernalis', quella specie del genere Homo che comprende i frequentatori della montagna invernale, coloro che percorrono in lungo e in largo i pendii innevati. Secondo la classificazione proposta da Linneo, la specie conta tre sottospecie: 'Homo hibernalis ssp. skiatorius', 'Homo h. ssp. tabulatus' e, infine, la sottospecie scoperta di recente, la 'Homo h. ssp. reticulatus'. La sottospecie identifica il mezzo di cui si avvale l’individuo per galleggiare sulla superficie della neve, rispettivamente, gli sci, la tavola da snowboard e le racchette da neve. Negli scorsi tre numeri di Ski-alper abbiamo parlato delle nevi dell’Italia ed è ormai giunto il momento di parlare di chi si muove su queste
nevi: gli escursionisti L’idea di affrontare questo argomento mi è venuta leggendo un articolo dal titolo 'Conosciamo meglio gli escursionisti invernali', pubblicato sul numero 76 (agosto 2012) della Rivista Neve e Valanghe (Ed. AINEVA). L’articolo, che mi è sembrato molto interessante, ha fornito un compendio dei dati che, sintetizzando molto, ho ripreso nei punti che mi sono parsi più stimolanti. Proprio come si procede per il censimento delle specie animali che popolano un territorio, nel corso del 2011 sulle montagne altoatesine è stato condotto un censimento degli escursionisti prendendo in considerazione una 'settimana tipo'. Le squadre dei volontari incaricati della raccolta dei dati sono state dislocate in 22 località, punto di partenza per le escursioni più 'gettonate' delle montagne atesine e, nel corso della settimana da lunedì 14 a domenica 20 febbraio 2011, hanno intervistato 5.576 persone. Il censimento ha la validità dei 'censimenti a campione' che, pur senza valore statistico assoluto, forniscono informazioni di base sulla natura di un fenomeno, nel nostro
caso l’escursionismo invernale. Il periodo di metà febbraio, scelto come 'settimana tipo', si è rivelato azzeccato per numero di frequentatori e per le condizioni nivo-meteorologiche che, fortunatamente, sono state favorevoli all’attività in montagna: manto nevoso ben assestato e tempo bello. Il livello di pericolo d’inizio settimana (grado 1), verso metà settimana è salito al grado 2 (localmente a 3) a seguito di nevicate di moderata intensità, ma le mete raggiungibili dai punti di partenza sede del censimento non presentavano caratteri di particolare pericolosità. Ciononostante, lungo un itinerario non compreso tra quelli censiti, sabato 19 si è verificato un incidente da valanga con una vittima. Come già detto, dai numerosi parametri rilevati dagli addetti al censimento, estraggo quelli che mi sono sembrati più interessanti e, lo ammetto, più facili da commentare. Per contro, ho provato a rielaborare alcuni valori secondo miei criteri, che citerò di volta in volta, e ho trasformato i dati di alcune tabelle in grafici di maggior effetto visivo.
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Suddivisione per classi di età Numero di frequentatori Il censimento ha raccolto informazioni da 5.576 persone, che sono state suddivise in due categorie: scialpinismo (4.333) e racchette da neve (1.243). Sebbene non sia precisato nel testo, ritengo che la categoria scialpinismo comprenda chi si muove con i mezzi di scivolamento sulla neve, quindi anche gli escursionisti con snowboard; questo in alternativa a chi si muove con mezzi che favoriscono solo il galleggiamento, come le racchette da neve. Trasformando i numeri in percentuali, più facili da comprendere, abbiamo una relazione del 78% di sciatori contro il 22% di racchettatori, con un rapporto di 3,48 sciatori per ogni racchettatore. Il che ci fa comprendere che, sebbene di gran lunga inferiore, non è per nulla trascurabile il numero di appassionati che preferiscono un’attrezzatura leggera, abbastanza economica e di modesto impegno tecnico per muoversi sulla neve. Le mete saranno forse meno ardue, ma non per questo meno soddisfacenti. Ripartizione per sesso Il grafico 1 mostra la ripartizione degli escursionisti per categoria e per sesso. Gli escursionisti di sesso maschile sono nettamente in maggioranza rispetto alle colleghe di sesso femminile: il 65,5% delle presenze totali maschili raggiunge quasi il doppio del 34,5% delle presenze femminili, e la proporzione è eguale in entrambe le categorie. Questo è il dato grezzo, ma ho provato a fare il calcolo percentuale suddividendo le presenze dei rappresentanti dei due sessi tra i giorni lavorativi e quelli di fine settimana, ottenendo questi rapporti: • giorni lavorativi: maschi 64% - femmine 36% • fine settimana: maschi 67% - femmine 33% Chissà perché le donne che vanno in montagna
2%
<18
40-49
10%
19-29
50-59
22%
30-39
>60
nei giorni di 'libertà' diminuiscono del 3% rispetto a quelle che la frequentano nei giorni di lavoro. Forse perché, per alcune, gli impegni di famiglia si fanno più pressanti nei giorni di fine settimana. Ripartizione per fasce d’età Il grafico numero 2 mostra la ripartizione per fasce d’età; è una suddivisione condotta brutalmente, secondo i numeri, senza alcuna distinzione di sesso e di specializzazione sci - racchette, che sarebbe molto interessante. Ho provato a suddividere gli escursionisti in giovani (< 40 anni) e anziani (> 40 anni) e, con molta sorpresa, ho scoperto che i vecchi non mollano. Infatti la fascia d’età che conta il maggior numero di praticanti è quella compresa tra i 40 e i 49 anni, seguita dalla fascia immediatamente più anziana, che comprende gli entusiasti (come definirli altrimenti?) tra i 50 e i 59 anni.
Suddivisione % degli escursionisti in sciatori e racchettatori
sciatori
51%
27%
14% racchettatori 8%
32%
22%
12%
Aggiungendo a questi anche i 'vecchioni super 60' si ha un totale del 66,5%, che è esattamente il doppio del 33,5% raggiunto dagli appassionati più giovani, quelli di età compresa tra 18 anni (o più giovani) e 39 anni. È curioso osservare che questa maggioranza si ripete sia nei giorni lavorativi, sia in quelli di fine settimana. Di fronte a questi dati, rifiutandomi di credere che lo scialpinismo non attragga più i giovani, ho pensato a queste opzioni: la mancata suddivisione per specializzazione potrebbe favorire percentualmente le categorie più stagionate che, forse, includono pochi sciatori e un consistente numero di racchettatori; solitamente chi si dedica a prove agonistiche si allena alla sera, lungo itinerari sicuri a bordo pista e, nei fine settimana, non compie gite di tipo classico perché scende in gara. Questa congiuntura, escludendo dal computo un consistente numero di validissimi giovani, potrebbe impoverire statisticamente le categorie dei praticanti lo scialpinismo classico di leva più recente. La combinazione delle due ipotesi può esaltare il risultato finale. Profilo settimanale della frequentazione Anche questa evidenza statistica è rappresentata nel grafico numero 3. Il diagramma segna un leggera flessione nei giorni di mercoledì e giovedì, in cui il tempo è peggiorato e mostra, come era prevedibile, l’impennata del fine settimana, favorita dal ritorno del bel tempo. Tuttavia il divario di fine settimana tra le due categorie è notevole. Ho perciò provato a calcolare la ripartizione delle presenze nei giorni lavorativi e nei giorni del fine settimana, ottenendo rispettivamente 31% e 69%, con un rapporto del 2,20. In altri termini: nei due giorni di fine settimana il numero di praticanti è più del doppio di quanti possono dedicarsi a questa attività nei cinque
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Distribuzione settimanale della frequentazione 1702 un paio d’ore di cammino, uscivi dal bosco e davanti ti si aprivano i pascoli di un alpeggio e il profilo ancora scuro dei monti, che si stagliava contro un cielo che stava impallidendo. Potevi spegnere la lampada, con la batteria ormai agli sgoccioli, ma non ti fermavi finché non eri raggiunto dai primi raggi del sole, che non ti scaldavano ancora, ma ti rallegravano. Era questo il momento di posare il sacco sopra gli sci appaiati per non farlo affondare nella neve fresca, il momento di guardarti intorno e rallegrarti per il panorama che il sole ti scopriva lentamente davanti, come in una dissolvenza cinematografica. Poi, dimenticato l’incanto, estraevi la borraccia di pelle in cui avevi versato una miscela di caffè e vino e ne tiravi un lungo sorso ristoratore. Caffè e vino o, per alcuni, vino e caffè, in un rapporto molto flessibile, a scelta dell’utilizzatore: era la bevanda energetica, l’integratore salino, il reidratante di quei tempi. A qualcuno dà il voltastomaco? A noi faceva piacere e si badava bene a versare la bevanda ancor calda nella 'gourde' di pelle perché questa, a sua volta, era riposta nel sacco in modo che venisse a trovarsi a diretto contatto con la schiena; questo accorgimento permetteva che, dapprima, fosse lei a scaldarti il dorso e, poi, era il calore della tua groppa che conservava tiepida la bevanda. Nella borraccia di alluminio, che non potevi tenere a contatto del corpo perché ti avrebbe spaccato la schiena, ogni bevanda diventava un blocco di ghiaccio. Altri tempi, altri comportamenti. Gli appassionati dello scialpinismo hanno cambiato abitudini, ma non hanno mutato la masochistica consuetudine di fare fatica per divertirsi e, quanto più intensa è la fatica, tanto maggiore è il divertimento. Nel prossimo numero analizzeremo altri risultati di questo censimento, in particolare quelli che prendono in considerazione le misure di sicurezza.
Sciatori
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423 236
216
188
124 113
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Lunedì
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Ripartizione delle provenienze Questa ripartizione, basata sul bacino linguistico di provenienza, mostra che i locali raggiungono il 47% contro il 19% dei provenienti dal bacino di lingua italiana e il 33% dei provenienti dal bacino di lingua tedesca (Austria, Germania e Svizzera). Resta un modesto 1% di provenienze da altri bacini. È ovvio come questa statistica rivesta un valore locale, ma può essere utile a un ente di promozione turistica per sapere in quale direzione orientare i messaggi di richiamo. Sarebbe certamente interessante ripetere il censimento in altre regioni e scoprire, ad esempio, quanti svizzeri praticano escursionismo invernale sui monti dell’Ossola o quanti francesi scelgono di visitare le Alpi Marittime del bacino italiano o le montagne della Valle d’Aosta. Fascia oraria di partenza Quella degli orari di partenza è una statistica curiosa, che mostra tuttavia un cambiamento di tendenza e non ha bisogno d’interpretazione. Basta osservare il grafico numero 4, che ho ricavato trasformando in percentuale il numero degli escursionisti, come invece riportato nella tabella dell’articolo: la maggior parte degli escursionisti parte nelle ore in cui, ai miei tempi, si raggiungeva la vetta o il colle da scavalcare. Forse hanno ragione gli escursionisti di adesso
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giorni lavorativi. Le due curve del diagramma mostrano anche un andamento nettamente diverso tra le due categorie: la curva dei racchettatori è piuttosto piatta, con un rialzo nel fine settimana che raggiunge solo il 18%; la curva degli sciatori si tiene sempre a un livello più elevato ma, mentre nei primi cinque giorni viaggia parallela a quella dei racchettatori, nel fine settimana si impenna per un incremento degli appassionati che raggiunge il 165%, ossia più di due volte e mezzo il numero dei praticanti dei giorni feriali.
Racchettatori
Venerdì
Sabato
Domenica
che, probabilmente, vanno più veloci di quanto fossimo capaci di andare noi; ma noi facevamo la gita senza fretta, avevamo il tempo per una sosta in vetta e cura di scendere con la neve ancora in buone condizioni. Infine, per maggiore tranquillità, cercavamo di aver sempre un paio d’ore di luce di riserva. Leggendo questa statistica ho provato un poco di 'magone' ricordando le partenze alla fioca luce delle lampade frontali di una volta, quelle entrate in uso subito dopo l’uscita di produzione della lampada di Aladino. Con gli occhi del ricordo, rivedo il buio della notte, fatto ancora più fitto dal bosco, che ti si apriva davanti per scoprirti solo un paio di metri di sentiero, rammento le brevi soste per trovare la via dove, in una curva, svaniva nel gioco delle ombre degli alberi alla luce della lampada. Nel frattempo sentivi qualcuno dietro che 'porconava' perché aveva perso una pelle, oppure aveva infilato uno sci sotto un ramo nascosto e non riusciva a tirarlo fuori… Finalmente, dopo
Distribuzione delle partenze per fasce orarie 9%
prima delle 8
29%
dalle 8 alle 9
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dalle 9 alle 10
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dalle 10 alle 11
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dalle 11 alle 12
dopo le 12
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PROWINTER 17 - 19 aprile 2013 | Bolzano
13A Edizione Unica fiera B2B in Europa
DEl NOlEggIO E DEI SERvIZI PER glI SPORt INvERNAlI
Fiera internazionale del noleggio e dei servizi per gli sport invernali
Lâ&#x20AC;&#x2122;appuntamento di fine stagione
mer-gio: 9.00-18.00 | ven: 9.00-17.00
DA NON PERDERE
253 espositori DA 15 PAESI
9.300 visitatori DA 24 NAZIONI
Forum
PREMIAZIONI & CONFERENZE FOCUS
lars.it
Skitouring
www.prowinter.it
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CANI DA VALANGA testo: Sebastiano Salvetti FOTO: Sebastiano Salvetti
Il migliore amicoâ&#x20AC;Ś di chi va in montagna Cani da soccorso in superficie e in valanga. Come vengono selezionati, lâ&#x20AC;&#x2122;addestramento in base alle razze, gli interventi e il rapporto con il conduttore. Un viaggio nel mondo degli angeli custodi a quattro zampe. E una serie di consigli per agevolarne lâ&#x20AC;&#x2122;operato sul campo
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HANNO COLLABORATO
Fabrizio Manuelli veterinario regionale del Soccorso Alpino Speleologico Piemontese
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alano dall’elicottero con il verricello. Appena a terra si mettono in moto. Percorrono la valanga in lungo e in largo. Non si lasciano distrarre da ciò che accade attorno a loro. Mirano a un unico obiettivo: salvare vite. Incuranti delle condizioni meteo, dell’instabilità del manto nevoso, del rischio di un secondo distacco. Cercano. Ininterrottamente. E quando arrivano sull’obiettivo… abbaiano e scavano! Sono i cani del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Angeli custodi a quattro zampe che, grazie al proprio fiuto, costituiscono un supporto irrinunciabile alla ricerca tanto dei dispersi in superficie quanto dei sepolti in valanga. Andiamo a conoscerli meglio. Pastori, Labrador, Golden e Border «Il cane ideale per la ricerca è di media o grossa taglia e a pelo fitto - spiega Fabrizio Manuelli, veterinario regionale del Soccorso Alpino Speleologico Piemontese -; nel primo caso per favorire la progressione e lo scavo in neve profonda, nel secondo per la resistenza al freddo intenso. In aggiunta è richiesta una morfologia a muso lungo. Bulldog e Boxer, ad esempio, hanno olfatto pari alle altre razze, ma devono fronteggiare maggiori difficoltà respiratorie a causa delle cannule nasali ristrette. Fino ad alcuni anni fa il
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Stefano Basso Istruttore della Scuola Nazionale Unità Cinofile
Gli albori La Scuola Nazionale Unità cinofile da Ricerca in Valanga (UCV) ha una storia tanto tragica quanto affascinante, che risale all’aprile 1960. Nei dintorni di Solda, in Alto Adige, Mohrele, un cane meticcio appartenente a una guida alpina del luogo, cominciò a mostrare segni d’inquietudine mentre il padrone lavorava nei pressi di una grande valanga che nel gennaio precedente aveva travolto il parroco della località mentre faceva ritorno in paese. L'insistenza del piccolo cane fece sì che la guida alpina si convincesse a scavare nel punto indicato: la neve restituì il corpo del parroco, cercato invano per giorni e giorni da numerosi volontari. Da questa intuizione nacque il primo corso nazionale per cani da ricerca in valanga del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino. Era il 1966. Dal 1987, la Scuola Nazionale UCV è riconosciuta come garante delle Unità Cinofile in interventi di Protezione Civile.
ceppo più gettonato era il Pastore Tedesco, ora vengono introdotte razze più socievoli, meno aggressive, quali i Labrador Retriever, i Golden Retriever e i Border Collie. Questi ultimi di taglia medio/piccola ma in grado di compensare la minore prestanza con l’agilità e velocità sul
Silvano Odasso Guida alpina e istruttore nazionale del Soccorso Alpino
campo, subendo meno le sollecitazioni articolari tipiche di un cane da lavoro. Stress fisico che limita la vita operativa a 7-8 anni, scandita da verifiche periodiche (ogni 12 mesi) per valutare le condizioni di salute tanto del cane quanto del conduttore». Addestramento in base alle razze I cani vivono in famiglia con il conduttore e con esso costituiscono una coppia inscindibile; non a caso si parla di ‘unità cinofile’. La preparazione inizia fin da cuccioli, quando l’animale ha circa due mesi, favorendo l’abitudine all’ambiente montano e la socializzazione in vista del lavoro in team. L’addestramento, con esercitazioni a cadenza quindicinale, dura due anni e porta al conseguimento del brevetto per la ricerca in superficie oppure in valanga. Al primo attestato viene abbinato il secondo, la cosiddetta bivalenza, dopo un ulteriore anno di preparazione. «Formare un cane da ricerca - racconta Stefano Basso, istruttore della Scuola Nazionale Unità Cinofile - significa adattare il metodo d’insegnamento alle caratteristiche di ogni razza. Strumenti diversi in funzione di caratteri diversi: i Golden, i Border, i Pastori Tedeschi e i Flat Coated Retriever amano il gioco. L’istinto alla ricerca viene così sviluppato mettendo in palio l’oggetto stesso del gioco, ad esempio una pallina. Diverso procedimento con i Labrador, fana(Foto 1) Preparazione su misura L’istruttore Stefano Basso in addestramento; il gioco permette di capire il carattere del singolo esemplare e adattare i metodi d’insegnamento. Oltre che in funzione della razza, la preparazione viene personalizzata in base alla tempra dell’animale e al feeling con il conduttore. (sequenza foto 2A-2B-2C)Buca prima aperta, poi chiusa L’addestramento prevede inizialmente la ricerca in buca aperta, ovvero un nascondiglio parzialmente sepolto nella neve, per passare quindi a situazioni di buca sempre più chiusa, fino a simulare il seppellimento.
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(Foto 3) I coni d’odore Ogni essere umano perde una miriade di cellule dell’epidermide che portano con sé un odore specifico, percepito dal cane. Nel caso dei sepolti in valanga, il calore corporeo risale, infiltrandosi nei blocchi del manto nevoso. I ‘coni d’odore’ così creatisi guidano il cane durante la ricerca. (Foto 4A-4B-4C) Unità d’intervento L’unità minima d’intervento in valanga è composta da TE (tecnico di elisoccorso), operatore cinofilo e cane da ricerca. Il primo ispeziona gli accumuli principali mediante Artva, i secondi si dedicano alla ricerca di un cono d’odore.
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(Foto 5) DOPPIA VELOCITà Mentre TE e operatore cinofilo devono ancora entrare in valanga, il cane è già in cerca del cono d’odore. (Foto 8) L’aiuto umano I sondaggi favoriscono la fuoriuscita dal manto nevoso dei coni d’odore. (Foto 9) Doppia abilitazione Le unità cinofile si dividono in unità cinofile da ricerca in superficie (UCRS) e unità cinofile da ricerca in valanga (UCV). In Piemonte, ad esempio, è obbligatoria la doppia abilitazione, mentre nelle regioni del Sud Italia è richiesto l’attestato per la sola superficie. Attività in superficie dove, data la vastità dei territori interessati, il cane è utilizzato soprattutto per escludere una zona di ricerca, così da concentrare l’attività nelle restanti aree.
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tici del cibo, che anelano a una ricompensa ‘concreta’. La ricerca del gioco o del cibo avviene inizialmente mediante piccoli esercizi di ritrovamento quindi, raggiunti i 5/6 mesi di vita e la dentizione completa, attraverso marcaggi (rilevamenti dell’obiettivo) di 50/100 metri. Questa attività sfocia nell’attestato di Classe A, identificativo di un cane che su brevi distanze giunge sul figurante (vittima) autonomamente, senza curarsi del conduttore». Conduttore, cane e tecnico di elisoccorso Durante la stagione estiva i cani risiedono nelle rispettive case, l’attività è infatti circoscritta alle ricerche in superficie, mentre d’inverno, data la rapidità degli interventi in valanga, basti pensare che dopo 15’ dal seppellimento le probabilità di trovare una vittima in vita diminuiscono del 50%, stanno presso le basi dell’elisoccorso. Gli animali si ‘abituano’ all’elicottero in modo empirico, realizzando che, mentre all’esterno regnano caos e fattori di disturbo, in abitacolo torna la pace. L’intervento tipico in valanga prevede l’arrivo, o la calata dall’elicottero, di un TE (tecnico di elisoccorso) e di un’unità cinofila composta da cane e conduttore. TE e Cinofilo hanno priorità diverse: nel primo caso la ricerca di un segnale Artva, nel secondo di un cono d’odore. «Sia il TE sia l’operatore cinofilo - spiega Silvano Odasso, guida alpina e istruttore nazionale del Soccorso Alpino - sono dotati di sonda. Si dirigono inizialmente verso gli accumuli primari, di maggiori dimensioni, dove è più pro-
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babile che si trovino i travolti. L’azione con la sonda ha il compito, oltre che d’individuare i corpi, di favorire la fuoriuscita dei coni d’odore. In presenza di Artva l’intervento si chiude in massimo 4/5 minuti dall’arrivo del TE. In assenza di apparecchiature, l’olfatto del cane diventa l’unica risorsa». Il comportamento dei sopravvissuti Valanga. Alcuni scialpinisti travolti. Altri illesi e in grado di muoversi. Come comportarsi all’arrivo degli operatori del soccorso? Dato che il cane è addestrato alla ricerca di persone sepolte o comunque immobili, la prima regola è non stare fermi ma camminare lungo la valanga alla ricerca di reperti, così che l’animale escluda i soggetti in movimento dal novero delle possibili vittime. In seconda battuta, non distrarsi e comunicare al TE il punto di scomparsa/travolgimento delle vittime, così da focalizzare la ricerca nelle zone di probabile giacenza dei corpi. Aspetto spesso sottovalutato, è importante non lasciarsi travolgere dalle emozioni. Il cane percepisce la tensione del conduttore, vivendo già di per sé una situazione di stress che è bene non venga acuita dai fattori legati all’ambiente circostante. Al contempo, nessun contatto con l’animale. Potrebbe leggere questa interazione come una fase del gioco, abbandonando il ‘divertimento’ primario, ovvero la ricerca dei sopravvissuti. In sintesi, aiutiamo i cani ad aiutarci. Lasciamoli lavorare e, piuttosto, forniamo informazioni a conduttore e TE. Saranno loro a prendere in mano la situazione.
(Foto 6) Coda e scavo Il cane, una volta individuato il sepolto, scava muovendo la coda freneticamente. È il segnale dell’avvenuto ritrovamento. Diverso approccio in caso di ricerca in superficie, dove l’abbaio sostituisce l’escavazione. (Foto 7A-7B-7C) Il disseppellimento Non appena il cane individua il sepolto, l’operatore cinofilo sonda la valanga alla ricerca del corpo. Quindi, autonomamente o con l’aiuto del TE, provvede allo scavo per disseppellire la vittima.
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STORIE testo: Fabrizio Pistoni foto: Matteo Mocellin/Gonfen
BIO Daniele Molmenti è nato il primo agosto 1984 e risiede a Pordenone, in Friuli Venezia Giulia. Canoista in forza al Gruppo Sportivo della Forestale il primo agosto 2012, nel giorno del suo ventottesimo compleanno, ha vinto la medaglia d'oro olimpica nel K1 slalom a Londra. Nel suo palmarès anche 6 medaglie ai Mondiali (un oro, tre argenti e due bronzi), 13 medaglie europee (5 ori, 4 argenti e 4 bronzi) e 23 titoli italiani tra assoluti e di categoria. Nel 2010 ha vinto anche la Coppa del Mondo. In poche parole: l'unico al mondo di sempre a vincere tutti i titoli piÚ prestigiosi della canoa slalom.
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Oggi Campione domani skialper La vittoria di Daniele Molmenti a Londra 2012 nella canoa slalom è stato uno dei momenti più esaltanti dell'Olimpiade. Cosa c'entra con una rivista di scialpinismo? C'entra, c'entra…
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ervinia, Cieloalto. Basta la parola, altrimenti si può sempre aprire la brochure dell'azienda di soggiorno: sole, figone in piscina dopo una giornata di sci, massaggio, aperitivo, e poi tutto il resto... Chiusa la brochure resta la realtà: sono le sei di sera, nevica, tira vento, fa un freddo porco e ho mollato la macchina un chilometro più in basso perché non avevo voglia di mettere le catene. Perché sono qua? Perché collaboro con Ski-alper e voglio presentarvi una persona interessante. Il problema è che l'unico comun denominatore tra gli argomenti che tratta questa rivista e il tipo che sto per incontrare è la neve che ho nelle scarpe, nel senso che quando questa si scioglie lui passa all'azione: è un canoista. Forse è un po' poco. Così i piedi (freddi) mi rimandano all'espressione (gelida) del direttore quando scoprirà che ho scritto di uno che va in canoa. Potrò convincerlo spiegando che il canoista va in montagna, patrocina pure gare di scialpinismo, ma sfuggirei il punto: mi intriga il suo 'come'. Il tipo ha uno stile, ha ottenuto dei risultati e credo valga la pena saperne di più; questa sera è a Cieloalto per definire le ultime modifiche al prototipo di una barca da torrente (direttore, chiuda un occhio: è l'equivalente fluviale di uno sci da ripido). In realtà si tratta di un incontro tra amici che un mese fa hanno fatto fiumi tosti in Messico. Ho un conto in sospeso con questo signore, perché il giorno 1 Agosto 2012 l'ho visto vincere alle Olimpiadi di Londra. Grazie a lui mi sono emozionato nel
vedere una bandiera, in quel momento anche mia, salire un po' più in alto delle due che aveva a fianco. Finita la premiazione, con Stefano - l'amico che mi aveva regalato quello spettacolo - abbiamo atteso il 'nostro' Campione Olimpico, appostandoci nei pressi del cancello che separava chi faceva la gara da chi la guardava. Sembravamo due sbarbine di guardia fuori dal camerino della rockstar di turno. Il fatto che quell'attesa non avesse un senso era un'ottima ragione per restare. E poi non eravamo soli, c'erano altri sei italiani e una coppia di americani con bimba di otto mesi da tener tranquilla. Loro erano tutti amici di Campione e l'attesa ci servì per ascoltare qualche storia su di lui; quella che mi colpì di più la raccontò Jason che, insieme a Cameron e alla piccola Nora, aveva attraversato l'oceano per viver quel momento. Scelta azzeccata visto che il suo amico aveva vinto e lui, un americano, in quel momento indossava la maglia della nazionale italiana di Pechino 2008. Si trattava di un regalo di Campione e Jason ne era molto fiero. Io intanto mi godevo lo spettacolo, lo sport era riuscito in ciò che nessun esercito ha mai realizzato: abbattere le frontiere. Se non bastasse quel rimando alle Olimpiadi di Pechino, vendicava proprio quella finale di quattro anni prima, rovinata per un attimo andato storto. Già, perché la canoa fluviale è così, specie lo slalom: una sequenza di attimi, di automatismi sempre diversi, in balìa di un elemento, l'acqua, che non sta mai fermo e non aspetta. Occorrono forza e tecnica ovvero tanta testa, il tutto condito con l'acido lattico che il corpo produce nel tempo della discesa, l'equivalente di un 800 in pista, la gara che in atletica
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STORIE
rappresenta la coesistenza tra i primi 40 secondi di potenza pura e ciò che segue, uno sforzo di resistenza, aerobico, da allenare come tale. Jason era diventato amico di Campione perché questi, durante un giro in moto, gli era caduto davanti volando fuori strada. Forse per deformazione professionale era finito nel fiume cinque metri sotto... Il volo, una parabola tra alberi e massi in agguato, si era concluso in una pozza d'acqua che gli aveva risparmiato il peggio. Jason soccorse quel ragazzo, chiamò l'ambulanza, lo accompagnò in ospedale e intanto comprese che giù dal ponte quello aveva buttato una carriera costruita con gare stra-vinte o straperse, in entrambi i casi sempre per eccesso di foga. Peccato che la storia di quell'amicizia sia rimasta a mollo nella pozza in cui nacque poichè il gruppo, stufo di aspettare Campione (assediato dai giornalisti) era passato ai saluti. In fondo è per la curiosità di conoscere il seguito del racconto che sono venuto fin quassù, a Cieloalto. Adesso Campione è qui davanti a me, si chiama Daniele, non se la tira, anzi mi offre una birra e inizia subito a raccontare la parte meno epica dell'unica storia che conosco su di lui: l'uscita dalla pozza che gli aveva salvato la pelle nel 2007, le sensazioni mica tanto belle provate mentre tentava di tirar su la moto, la decisione di chiamare l'ambulanza, il viaggio in ospedale, i 90 giorni di immobilità che gli hanno imposto mentre gli altri si facevano le gare preolimpiche e tutto il resto. Tre mesi sono lunghi, come impiegarli? Due possibilità: rodersi il fegato e inveire contro se stessi oppure - ed è la scelta di Daniele - iniziare a impostare il recupero studiando il proprio corpo, scoprendone le risorse. In fondo questo percorso di ricerca, di esperimenti, è sempre stato il suo, e non l'ha mai tradito: è fatto di 'perché ?' che richiedono una spiegazione per ogni consiglio ricevuto, e non per diffidenza, giusto per raddoppiarne l'efficacia con quel moltiplicatore incredibile che è la consapevolezza. Già, la consapevolezza: il giorno di Londra lo osservavo mentre si scaldava sul laghetto prima della finale, gli altri 9 concorrenti che si sarebbero contesi il podio non so dove fossero finiti. In quel lago c'era solo lui e quello era l'ultimo ripasso di un copione scritto molto prima. Non stava solo scaldando i muscoli. Quando è partito, alla terza e alla quinta porta, l'acqua gli ha preso per un attimo la coda della barca e la punta si è alzata. Sembrava l'impennata di un quattordicenne in vena di esibizioni e ho temuto l'ennesimo eccesso di foga. Adesso gli rievoco quei due fuori-programma chiedendogli se li ha temuti, mi risponde che era tutto sotto controllo, perché in quei momenti non puoi essere in balia di ciò che ti accade «se no tocchi» (…
«…nel periodo invernale ho sempre fatto sci da fondo e discesa, ma recentemente ho scoperto lo scialpinismo come unico vero modo di vivere la neve. La fatica della salita ripagata dallo spettacolo della natura ti ricorda come ogni risultato viene dal lavoro e dalla volontà. E le discese ne sono il premio, tecnica e fisico che scatenano adrenalina pura…»
la palina, e sono 2 secondi di penalità, ndr). Tutto doveva esser già assimilato durante la preparazione della gara. Lui l'aveva fatto da lunga data e per completare l'opera gli bastava un ambiente tranquillo; la sera della vigilia si è guardato un film, non un video del percorso. Per esperienza so che la storia viene scritta dai vincitori e, visto che ne sto ascoltando uno, temo che anche la ricostruzione di quella giornata di grazia subisca lo stesso destino. Dovrei esser diffidente eppure ho una voglia matta di credergli: Daniele ha vinto l'oro di Londra per il percorso iniziato 5 anni prima, in tutto ciò che mi racconta c'è struttura, metodo. Basta vedere il suo curriculum da Pechino in poi per capirlo: un titolo mondiale, tre titoli europei, una coppa del mondo, tre anni al numero 1 nel ranking mondiale. Mentre lo ascolto penso a quegli inventari del patrimonio nazionale che si utilizzano per ricordare quanto gli italiani siano bravi nel dimenticare in
cantina ciò che altrove verrebbe valorizzato, e mi chiedo se l'esempio che Daniele incarna non stia subendo lo stesso destino. Dopo i fasti della vittoria olimpica chi si ricorda ancora di lui? Trovo ingiusto che i Coniugi Televisore-Sempreacceso non sappiano nulla del ragazzo che ho di fronte e tutto del calciatore divenuto famoso grazie al fidanzamento con la velina di turno. Ma niente è casuale: dopo la medaglia di Londra anche Daniele ha ricevuto la proposta per un contratto come testimonial di qualsivoglia prodotto purchè stabilito dalla controparte, il Procuratore Mangiafuoco. Nel forfait c'è tutto: partecipazioni a Ballate sotto le Stelle e Isole dei Fumosi, qualche flirt con la donnina assegnata, parecchi soldi, la conquista dello status di personaggio pubblico. Per come mi narra la storia immagino abbia rinunciato a tutto pur di non perdere la sua libertà di scegliere. Non che viva d'aria, mi racconta che per allenarsi spende 25.000 euro l'anno, e gli piacerebbe poterlo fare senza intaccare il suo stipendio da Forestale.
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Daniele Molmenti in azione nella straordinaria finale olimpica di Londra 2012 in cui ha conquistato l'oro nella canoa slalom ŠGetty Images
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STORIE
«...sono stato testimonial di diverse gare, l’ultima è stata la Transclautana. È stata davvero stupenda, la location è incantevole: pendii e creste di una bellezza unica, natura ancora incontaminata dove poter lasciare la firma con gli sci. Non c’era atleta scontento. Mi piacerebbe fosse una tappa più importante nel calendario internazionale, la passione dei ragazzi dello sci club Valcellina è davvero tanta…»
Per descrivermi cosa possa implicare il legame con un procuratore mi racconta gli ultimi quattro anni di Schwazer, il marciatore oro nella 50 km a Pechino 2008, un talento naturale che per qualche anno ha assecondato i desideri del suo burattinaio; ad un certo punto si è sentito prigioniero degli impegni sottoscritti in precedenza e gli si è rotto qualcosa 'dentro'. Per reggere la parte ha mangiato la mela proibita, quella che ti fa andare forte anche se non ne hai più voglia. La fine della storia è nota, ed è triste: scacciato dall'Eden, rinnegato da chi forse gli è stato complice, abbandonato dagli sponsor che gli hanno fatto causa. Sperando che almeno il corpo non presenti il conto perché con l'EPO non si scherza. Daniele, che stando ai giornali aveva commentato con durezza quella squalifica, me ne parla con compassione lasciandomi intuire che il doping non è solo una scorciatoia per la vittoria, proprio il caso di Schwazer è la dimostrazione che la chimica proibita può rappresentare il rimedio disperato al deficit di motivazione di un atleta stufo di essere tale. Salendo a Cervinia mi ero ripromesso di parlare di doping. Non avevo idea di come riuscirci, potevo mica chiedergli: «Scusa, sei un bombato?». Le repliche di Armstrong (prima che le evidenze lo costringessero al Grande Mea Culpa del 17 gennaio 2013) sono la dimostrazione che anche un dopato ha la sua regola da rispettare: «negare sempre e comunque». Allora come affrontare l'argomento ? La descrizione che Daniele mi fa della crudele parabola vissuta da Schwazer potrebbe già esser l'implicita risposta alla domanda-che-non-possofare, ma sono un curioso e lo lascio parlare convivendo intanto con il mio '?' mentre descrive la mole di sacrifici necessari per conquistare la medaglia di Londra, dal cui spettro si è liberato quando gliel'hanno messa al collo. Liberato, sì.
Perché quel fantasma gli ha condizionato ogni azione, dal volo nella pozza in poi. Cinque anni di rinunce sono lunghi e mentre Daniele me li racconta penso a cosa ha fatto una volta sceso dal podio: i fiumi in Messico, roba tosta, discesa per puro piacere. Un comune amico, Cecco, mi aveva mostrato dei video di quei giorni: alla fine di ogni rapida Daniele cacciava un urlo liberatorio, lo stesso che avevo sentito a Londra al termine della sua discesa: uno
@DanieleMolmenti Tu sei là dentro! Esci dall'ipocrisia della società nella nebbia e sali in alto, dove anima e cuore trovano felicità!
così ama il suo sport, quell'urlo mi persuade più di cento test antidoping con esito negativo. Per rispetto verso chi legge queste righe è giusto che lo dichiari: sto scrivendo in base alle impressioni che provo; potrebbe essere il segno che l'intuito ha già percepito ciò che la ragione scoprirà chissà quando ma, fossi un buon cronista, dovrei spulciare il passaporto biologico di chi ho di fronte. Invece mi accontento di guardarlo negli occhi. Intanto Daniele, che non sa nulla del mio cambio di approccio, prosegue la descrizione della preparazione. A un certo punto accenna alle catene cinetiche, sinergie muscolari che se attivate producono una forza superiore alla somma delle singole contrazioni. Mi spiega che la propulsione in canoa coinvolge la stessa muscolatura che si attiva camminando con i bastoncini. Così lui, per fare i lavori di fondo aerobico necessari per sopravvivere all'ultimo minuto di gara, se ne va in montagna a camminare o a fare scialpinismo. Non solo: quando può, e lo fa spesso, dorme in quota. Parla della montagna come dell'ambiente che custodi-
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sce i valori importanti, anzi - per riprendere un suo tweet letto mentre preparavo l'incontro -: «… è il luogo dove anima e cuore si incontrano». Anima e cuore...
bravo in qualcosa di particolare. Appesa la pagaia al chiodo vorrei darmi allo scialpinismo». Il tuo rapporto con il pericolo? «Non ho mai azzardato niente di troppo pericoloso, cerco mete che sono sicuro di raggiungere. Spesso però è il banale che frega, per disattenzione metti un piede in fallo e allora… Diciamo che sfido il mio corpo, non la natura».
Bisogna vincere le Olimpiadi per poterne parlarne? Mentre me lo chiedo sbircio il televisore immenso che fa da sfondo alla chiacchierata. In onda c'è l'ennesimo talk show ricco di insulti e arido di informazioni. La TV ormai è questo: dà ciò che la gente cerca, con il minimo sforzo e senza costi apparenti. Altro che Anima e Cuore. È lo scontro a fare audience, almeno quanto il successo. Successo: cos'altro rappresenta una medaglia olimpica? E se Daniele si mettesse a parlare di Anima e Cuore in televisione? C'è un gran bisogno di inceppare il meccanismo infernale che porta i media a inseguire l'attenzione di chi li segue. Lui potrebbe riuscirci... Daniele tace ma ha lo sguardo di chi chiede «ma dove vivi?». Accenna ai testi che gli passano con noncuranza prima delle interviste televisive, alle risposte che dovrebbe recitare a memoria e alle sue finte amnesie per tentare di non finire nel Tritacarne Mediatico. Con queste ultime rischia il dimenticatoio: altri prima di lui hanno fatto quella fine. Eppure non è un rivoluzionario, non me lo vedo all'assalto del Palazzo d'Inverno, credo gli basti invitare la gente a chiedersi il perché delle proprie scelte. Così mi descrive il suo andare a zonzo per il villaggio Olimpico nei panni del curioso interessato a scambiare esperienze con gli atleti di altri sport, non importa di che nazione. A volte ci resta male: come nella vita, anche nello sport esistono persone educate ad eseguir tacendo, magari a tredici anni e con un corpo che già ne dimostra dieci di più per i carichi di lavoro a cui è stato sottoposto. Daniele racconta senza fare morali. Però agisce. Ha radunato un gruppo di atleti che condividono i suoi valori: il gusto del confronto, del rispetto per sé e per l'avversario. Quando possono vanno a parlarne nelle scuole. Accenna all'iniziativa con pudore, sembra che voglia star lontano dal buonismo di facciata che infesta tanto no-profit. Quando lo invitano a patrocinare un'iniziativa, non si tira indietro ma chiede di dare un'occhiata al bilancio dell'associazione, se trova eccessivo l'ammontare delle spese di rappresentanza o dei rimborsi lascia perdere. Mi accenna solo l'esistenza di un sito internet (http://lasquadradellasperanza.it) .Vi invito a collegarvi e mi fermo qui. Ogni ulteriore commento sarebbe retorico, ridondante. Posso solo augurare a chi legge di incontrare Daniele da qualche parte, magari in montagna. Ci va spesso.
Botta e risposta su sport, montagna, allenamento Fondo, corsa, sci, scialpinismo, arrampicata: cosa preferisci ? «Ho cominciato con semplici camminate nel parco delle Dolomiti Friulane, ne sono testimonial dal 2004, poi mi è venuta la curiosità di andare a vedere il mondo sempre più in alto. Quindi arrampicata, dalla falesia a qualche uscita con Mauro Corona, il mio più alto ispiratore nella vita in montagna. Nel periodo invernale ho sempre fatto sci da fondo e discesa, ma recentemente ho scoperto lo scialpinismo come unico vero modo di vivere la neve. La fatica della salita ripagata dallo spettacolo della natura ti ricorda come ogni risultato viene dal lavoro e dalla volontà. E le discese ne sono il premio, tecnica e fisico che scatenano adrenalina pura». Hai mai fatto gare in montagna? Di che tipo? «Per le ultime gare con gli sci devo tornare indietro di secoli! Se gareggio lo faccio per vincere e ora non posso dedicarmi ad una preparazione diversa da quella per la canoa slalom». Hai patrocinato qualche gara di ski-alp mi pare, ci dici qualcosa? «Sono stato testimonial di diverse gare, l’ultima è stata la Transclautana. Sopra Claut, nella Valcellina: sotto le cime del Resettum c’è un paradiso per lo scialpinismo! Il sabato ho fatto il percorso con le squadre dell’organizzazione e della Forestale per la ricognizione, mi sono reso conto quanto lavoro di volontari ci deve essere per una competizione con più di 130 iscritti. È stata una gara davvero stupenda, la location è incantevole: pendii e creste di una bellezza unica, natura ancora incontaminata dove poter lasciare la firma con gli sci. Non c’era atleta scontento. Mi piacerebbe fosse una tappa più importante nel calendario internazionale, la passione dei ragazzi dello sci club Valcellina è davvero tanta». Che gare ti piacerebbe fare? «Non ci ho mai pensato e non penso di essere
Spedizioni, viaggi… Ti interessano queste cose? «Con Luigi Savaglia, un giovane calabrese che tenta i seven summit, siamo stati nei Gruppi del Rosa e del Gran Paradiso. Per lui era allenamento, per me le prime uscite. Come atleta CONI non posso osare cose più estreme al momento, ma mi sto preparando. Adesso sono in partenza per il Colorado, tre settimane di sport tra canoa e canyon, vedremo cosa ne uscirà!». Dove vai di solito ad allenarti in montagna? «Le mie montagne sono il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane. È tutto nella provincia di Pordenone, la terra di Mauro Corona tra la diga del Vajont e il lago di Barcis. Li sono a casa, conosco ogni sentiero». Vai da solo? Hai un socio fisso? «A camminare vado spesso da solo, è difficile trovare coetanei che hanno voglia di far fatica». Che tipi di allenamenti fai in montagna? «Non faccio un vero e proprio allenamento, faccio fatica per il corpo e sollievo per l’anima. Uso i bastoncini per salire perché ricordano la catena cinetica della canoa, quindi è comunque molto allenante anche per la mia disciplina». Per quanto tempo? «Dalle 2 alle 12 ore. Le incastro con la richiesta di cambiare sport nei giorni di recupero dalla canoa. Salgo il sabato pomeriggio per fare la notte sopra i 2000 e scendo poi la domenica». Quando ci dai dentro, che volumi di allenamento fai? «Arrivo a 12/14 allenamenti alla settimana, 6/8 ore al giorno. D'inverno faccio molta palestra e lavori di trasformazione con la barca. Durante la stagione agonistica tanta tecnica in canoa e lavori a corpo libero. Ogni week-end e quando posso vado tra i monti per lavori aerobici (nordic walking o scialpinismo). Quando riesco dormo in quota». Alimentazione, segui una dieta particolare? «Seguo i principi base della dieta a zona, un bilanciato regime di carboidrati, grassi e proteine. In vetta però spesso porto solo 'pan e formai'». Trucchi rivelabili? «È tutto scritto nei libri di Mauro Corona. Rispettare e capire la natura è fondamentale per amare la fatica ed esserne ripagati nel migliore dei modi».
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PREPARAZIONE testo: Aldo Savoldelli e Pietro Trabucchi
VUOI ESSERE SOGGETTO DI UNO DEI PROSSIMI STUDI? Siamo alla ricerca di scialpinisti che siano disposti a fare almeno tre competizioni (sicuramente un Vertical e una Coppa Italia). Requisiti: possedere un orologio cardiofrequenzimetro e GPS. A chi sarà disposto a diventare soggetto di questo studio sarà offerta una valutazione nei nostri laboratori di Rovereto. Contattaci a cerism@univr.it oppure allo 0464 483502.
SOPPORTARE LA FATICA Negli sport endurance non è importante solo la preparazione atletica, ma anche quella motivazionale. Il nostro cervello è in grado di 'spingere il motore' in situazioni al limite dal punto di vista motorio, purché sia allenato
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a capacità di sopportare la fatica rappresenta uno dei principali fattori che influenza la prestazione nello scialpinismo. Tendiamo a credere che l’ordine di arrivo nelle gare endurance rifletta solo le capacità metaboliche degli atleti. Bene, non è così. Immaginate questa scena, molto comune in tanti sport di resistenza come lo sci di fondo: il vincitore raggiunge il traguardo e crolla a terra esausto. Se abbiamo in testa solo il punto di vista bioenergetico, le capacità metaboliche, possiamo spiegarci l’evento solo dicendo che tutta l’energia dell’atleta è finita lì. Arriva il secondo, e anche lui crolla a terra. La stessa cosa avviene per il terzo. A questo punto quello che è avvenuto risulta incomprensibile se ragioniamo solo in termini di mitocondri e sub-strati
energetici. Vorrebbe infatti dire che si è prodotta l’incredibile coincidenza di tre atleti che hanno terminato completamente la benzina esattamente nello stesso punto del percorso, né un metro prima, né un metro dopo. Se la fatica fosse solo un problema periferico, di carburante nei muscoli, come spiegare gli atleti sfiniti che riescono a fare lo sprint finale quando vedono lo striscione d’arrivo? Se davvero la fatica fosse solo questione di benzina terminata, questo non dovrebbe essere possibile. In realtà c’è dell’altro e i fisiologi dell’esercizio più attenti lo avevano capito da anni. Già Wilmore nel 1969 aveva osservato che il tempo di esaurimento di un atleta impegnato in un test massimale sul tappeto si allunga se corre affiancato a un competitor. Sono in gioco fattori mo-
tivazionali che scompigliano il quadro basato semplicemente sui dati metabolici. Una fortissima motivazione permette di reclutare livelli metabolici non ordinari. L’aspetto emotivo è il meno conosciuto ma anche il più interessante della prestazione sportiva. L’evoluzione umana ha portato allo sviluppo di aree cerebrali specializzate che mantengono attiva la motivazione verso l’obiettivo nonostante le difficoltà e la sofferenza presente. Queste aree sono molto meno sviluppate negli animali rispetto all’uomo. Non è un caso che nelle sfide di corsa prolungata uomo-cavallo (come quella che si tiene tutti gli anni a Prescott in Arizona), l’uomo prevalga spesso sull’unità fantino-cavallo; questo nonostante il cavallo abbia un vantaggio metabolico notevole dato da un più favorevole rapporto massimo consumo di ossigeno/kg. È la capacità
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di soffrire e di fronteggiare la fatica prolungata a fare la differenza. Gli umani rappresentano quindi l’apice della creazione non tanto per il possesso del pensiero razionale e del linguaggio astratto, quanto per l’accesso a potenzialità motivazionali ignote a tutte le altre specie. La percezione della fatica dunque non è oggettiva, non è una misura puntuale di ciò che succede a livello fisiologico? Assolutamente no. La sensazione di fatica è un dato costruito, il frutto di una serie di interpretazioni. Il nostro cervello assembla una miriade di dati provenienti dalle fibre muscolari, dal tasso nel sangue di alcune sostanze, dalla frequenza del battito cardiaco, dal livello di alcuni gas durante gli scambi respiratori e da molti altri dati; prende tutto ciò e lo miscela, dando origine a una sensazione finale che arriva in coscienza come dato unitario: «Ne ho ancora» o piuttosto «È finita, sono morto!». Ma il 'colore' della sensazione finale viene prodotto non solo con il contributo dei dati corporei, ma anche in base a fattori esterni o a elementi psicologici: il senso di autoefficacia dell’atleta (quindi per esempio il sentirsi superiore o inferiore agli avversari), l’essere in testa o essere molto indietro come posizione, l’esperienza pregressa di stati di affaticamento simili e i risultati a cui hanno portato… Ad esempio, se a parità di battito cardiaco supero sei concorrenti, oppure vengo superato, vivo lo stesso sforzo a livello fisiologico: ma la sensazione di fatica sarà ben diversa! Gli esseri umani non sono passivi destinatari della fatica: interpretano e costruiscono significati partendo dai puri dati sensoriali che, presi isolatamente, non avrebbero senso. Questo non vale solo nel caso della fatica, ma anche per tutti i dati riguardanti i nostri stati interni. Accade, ad esempio, anche per le emozioni. Da un punto di vista della frequenza, il cuore accelera nello stesso identico modo quando si ha paura o si è innamorati. Da un punto di vista fisiologico
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Chi è Pietro Trabucchi Pietro Trabucchi si occupa da oltre due decenni di psicologia dello sport e in particolare del tema della motivazione e della resilienza (la capacità dell'uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente). È docente presso la facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Verona, è stato lo psicologo della squadra olimpica Italiana di Sci di Fondo alle Olimpiadi di Torino 2006 e psicologo delle squadre nazionali di triathlon. Attualmente è psicologo delle squadre nazionali di ultramaratona. È autore di diversi libri sul tema della resilienza e dell’allenamento mentale, tra i quali 'Resisto quindi sono' (Corbaccio) che ha vinto nel 2008 il premio letterario del CONI ed è stato presentato nell’ambito del programma televisivo 'Che tempo che fa'. L’ultimo libro 'Perseverare è umano', uscito all’inizio del 2012, è già alla quinta edizione. Appassionato di sport di resistenza, è stato più volte finisher del Tor des Geants e dell’Ultra Trail del Monte Bianco. www.pietrotrabucchi.it
il lavoro cardiaco è identico: è l’interpretazione cognitiva a dare un significato completamente diverso, a seconda dei casi, a quel batticuore. Livelli estremamente intensi e prolungati di fatica presentano un alto 'affective load' come lo definiscono alcuni ricercatori, cioè un carico emozionale molto forte. Il termine emozione qui non va inteso in senso classico: vuol dire che la sofferenza della fatica spaventa e produce ansia, soprattutto quando c’è poca familiarità con
essa. L’aspetto di 'allarme emozionale' vissuto ad alti livelli di fatica non è qualcosa di 'immateriale' perché invisibile. Al contrario, esso produce effetti fisici misurabili che peggiorano la prestazione. Per esempio, se l’atleta si concentra sulla sofferenza che sta provando e va in ansia, metterà in circolo troppe catecolammine (adrenalina, noradrenalina); questo, a propria volta, significherà vasocostrizione periferica (meno ossigeno alle fibre), aumento della frequenza cardiaca in rapporto al lavoro, accelerazione nel consumo del glucosio epatico e muscolare. Quali indicazioni pratiche si possono ricavare da queste conoscenze? Innanzitutto che l’atleta deve 'familiarizzarsi' il più possibile con la sofferenza che caratterizza alti livelli di fatica. Questo, anche se va in controtendenza rispetto alla filosofia della 'comfort zone', significa che inserire regolarmente allenamenti ad alta intensità può essere sempre sensato, anche se si lavora su ritmi che possono essere troppo veloci per la gara che specificamente si sta preparando nel periodo. Oggi sappiamo con certezza che il cervello si adatta all’affective load della fatica. Gli studi sugli ultramaratoneti stanno dimostrando che le aree specializzate nel mantenimento della motivazione, se allenate, rimangono attive nello stimolare il motorio anche in carenza di glucosio o con alti livelli di fatica periferica. In parole semplici, il nostro cervello può gestire livelli enormi di sofferenza atletica ma va allenato per esprimere le sue potenzialità. Su come tecnicamente si possa farlo ne potremo parlare in altre occasioni.
centro di ricerca 'sport montagna e salute'
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Centro di Ricerca 'Sport Montagna e Salute' è uno dei pochi in Europa fortemente indirizzato alla pratica sportiva in ambiente montano. Oltre a sviluppare filoni di ricerca nell’ambito dell’attività fisica in montagna, la sua naturale collocazione ai piedi delle Alpi e la sua forte presenza sul territorio Trentino ha reso possibile l’incontro, sempre auspicato ma spesso difficile, tra il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ricerca universitaria. Il CeRiSM collabora con diverse e importanti aziende vicine al mondo dello sport, mettendo a disposizione il proprio know-how, i propri laboratori e attrezzature. L'obiettivo è quello di sviluppare in piena sinergia progetti di ricerca per la valutazione, lo sviluppo e il marketing dei prodotti sportivi, con particolare riferimento all’uso nelle reali condizioni di utilizzo. I progetti di collaborazione interessano aspetti biomeccanici, fisiologici e neurofisiologici (come il comfort termico), sottoponendo i prodotti delle aziende a prove di utilizzo in laboratorio e simulando la pratica sportiva nelle situazioni climatiche più critiche. I test vengono svolti all’interno di una camera nella quale è possibile ricreare le condizioni che si trovano fino a 9.000 metri di quota e a temperature da -20 a +40 gradi centigradi. PER INFO CERISM@UNIVR.IT TEL. 0464.483511
Una prova del confort termico in scarponi da sci alpino. Viene simulata una discesa per 5 minuti alternata a 5 minuti di riposo a -10° C.
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TECNICA AGONISTICA TESTO: Omar Oprandi foto: Sebastiano Salvetti
CAMBI C D'ASSETTO Come prepararli, la sequenza dei movimenti, le varianti, i trucchi e i segreti per passare nel più breve tempo possibile dalla salita alla discesa e viceversa
ostituiscono un passaggio obbligato in ogni gara di ski-alp classico. Un gesto tecnico grazie al quale si può perdere o vincere, recuperare energie oppure andare in affanno. Sia fisicamente sia mentalmente. Decine di competizioni vengono decise dalla rapidità e precisione nel passare dalla configurazione di salita a quella di discesa e viceversa. L’applicazione e rimozione delle pelli, il bloccaggio e svincolo del gambetto, l’appoggio a terra dei bastoncini, l’azione sugli attacchini fanno parte della preparazione di ogni agonista. Vediamo come perfezionare ogni passaggio.
Arrivare ai cambi preparati, non prepararsi ai cambi La transizione dalla salita alla discesa non ha inizio all’interno della zona cambio bensì prima, quando si scorge l’area destinata alla rimozione delle pelli. Abbassare la cerniera della tuta, così da riporre successivamente le tessilfoca, e sfilare i laccioli (o svincolare i guantini) dei bastoncini sono operazioni da realizzare antecedentemente all’entrata in piazzola. Dove diviene fondamentale poter fare affidamento su guanti da gara non troppo abbondanti e imbottiti, così da non inficiare precisione e sensibilità. Al contempo, la tuta dovrebbe presentare tasche sia interne sia esterne per le tessilfoca.
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PHOTO TUTORIAL NUMBER 1 Dalla salita alla discesa
1) La preparazione allâ&#x20AC;&#x2122;entrata nella zona di cambio. 2) Bastoncini a terra e piegamento del busto. 3) Bloccaggio del gambetto degli scarponi. 4) Sollevamento dello sportellino degli attacchini. 5/6) Rimozione della prima pelle. 7/8) Rimozione della seconda pelle. 9/10) Corretta impugnatura delle pelli per lâ&#x20AC;&#x2122;accoppiamento. 11/12) Incollaggio delle pelli colla contro colla. 13) Incollaggio delle tessilfoca in caso di vento. 14) Stivaggio delle pelli nella tuta.
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PHOTO TUTORIAL NUMBER 2 Dalla discesa alla salita 2
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Le prime più sicure in caso di discese ‘rocambolesche’, e più calde, a tutto vantaggio della tenuta della colla, le seconde più immediate da sfruttare in quanto non richiedono l’apertura della cerniera. Entrati nella zona cambio ha inizio la sequenza vera e propria di variazione d’assetto, da replicare in allenamento fino a farne un’abitudine. È buona regola individuare una porzione di terreno perfettamente piatta, così da non scivolare inavvertitamente una vol-
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ta rimosse le pelli, avvicinandosi fin da subito all’uscita, per non trovarsi, pronti per la discesa, intruppati tra quanti ancora armeggiano. In seconda battuta i bastoncini vanno appoggiati al suolo, preferibilmente tra gli sci per evitare che altri concorrenti impattino con essi. Bastoncini che trovano collocazione in corrispondenza delle punte delle aste, pronti per l’uscita: durante il cambio, infatti, si avanza inevitabilmente di alcune decine di centimetri.
1) Bastoni a terra nella piazzola di sosta. 2/3) Sbloccaggio del gambetto degli scarponi e contestuale sgancio del puntale di un attacco per togliere il primo sci. 4) Sci ‘a braccetto’ e separazione delle pelli estratte dalla tuta. 5) Innesto dell’elastico della pelle nell’inserto in punta all’asta. 6/7) Primo punto di pressione nell’applicazione della pelle lungo la soletta. 8) Secondo punto di pressione. 9) Sci invertito e appoggiato al suolo con la spatola anziché la coda per completare l’incollaggio. 10) Rotazione dell’asta e chiusura dello sportellino degli attacchini. 11) Innesto degli scarponi nelle ganasce del puntale
Ogni gesto un’unica volta Ogni atleta deve creare la propria ‘scaletta’. Il principio cardine è compiere ogni operazione un’unica volta. Tradotto in pratica, abbassarsi in una sola occasione realizzando tutte le azioni possibili; iniziando da ciò che le mani incontrano per prime fino ad arrivare a quanto più lontano. In sequenza: bloccaggio del gambetto degli scarponi, sollevamento dello sportellino degli attacchini, rimozione delle pelli. Queste
Sci scalzati contemporaneamente Una variante nel cambio assetto dalla discesa alla salita consiste nel togliere contemporaneamente gli sci. Le aste vanno piantate nella neve o appoggiate a un supporto. Una volta separate le pelli, la prima viene applicata, la seconda appoggiata lato pelo attorno al collo per non intralciare i movimenti.
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Calzare gli attacchi in zona cambio
Una V tra pollice e indice Sgancio ‘volante’ Nel passaggio dalla discesa alla salita lo sgancio degli attacchini, oltre che sci a terra, può avvenire in condizione di ‘equilibrismo’, alzando a mezz’aria un piede e chinandosi solo parzialmente per agire sulla levetta del puntale. In questo caso i bastoni, regolamento permettendo, vengono impugnati entrambi nella mano opposta per non perdere l’equilibrio.
ultime da levare e stivare nella tuta all’unisono oppure singolarmente. Tendenzialmente suggeriamo la rimozione di entrambe le tessilfoca, così da riporle accoppiate colla contro colla anziché piegate individualmente. Escamotage che in occasione del cambio successivo rende necessaria un’unica trazione per la separazione. La presenza di vento in quota può però rendere difficoltosa questa pratica. In questo caso è possibile rimuovere singolarmente dalla soletta le tessilfoca e piegarle individualmente, oppure, senza rinunciare alla rimozione in un’unica azione, avanzare con una gamba mantenendo una pelle sulla sinistra e una sulla destra della coscia, così che non incorrano in incollaggi accidentali. Quindi, con un unico passaggio della mano, accoppiarle colla contro colla. Solo a questo punto viene completato l’assetto di discesa innestando le forche della molla a U degli attacchini negli inserti dello scarpone. Operazione rimandata fino ad ora così da agevolare la rimozione delle pelli. Questa avviene protendendosi verso l’asta corrispondente al braccio con cui si agisce, afferrando l’elastico della prima tessilfoca, scalzandolo dall’innesto in punta e quindi esercitando un’energica trazione latero-posteriore mentre si avanza lo sci. Afferrata la seconda pelle si replica il gesto. L’impugnatura finale dei bastoncini, raggiunti in posizione avanzata a causa dei passi compiuti durante lo scalzamento delle pelli, può avvenire al di fuori della zona cambio, duran-
te la fase iniziale della discesa, a meno di fronteggiare immediatamente passaggi particolarmente tecnici. Dalla discesa alla salita La preparazione al cambio d’assetto dalla discesa alla salita è più agevole: provenendo da monte risulta facile individuare la piazzola di sosta, sfilare i laccioli (o svincolare i guantini) dei bastoni, a meno che si renda necessario un tratto d’avvicinamento in passo pattinato, e aprire la zip della tuta per l’estrazione delle pelli. Qualora la discesa ‘entri’ dolcemente nella piazzola di sosta è possibile, a patto di disporre di un’ottima tecnica, sbloccare il gambetto degli scarponi prima di arrestarsi. La sequenza da realizzare è la seguente: appoggiare i bastoni lateralmente, togliere gli
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Riferimenti sugli inserti Per agevolare la calzata degli attacchini nel cambio dalla discesa alla salita molti atleti sono soliti tracciare un segno con un pennarello indelebile in corrispondenza degli inserti in punta allo scarpone. Così da verificare immediatamente e a vista il corretto allineamento con i perni delle ganasce del puntale.
L’innesto delle forche della molla a U negli inserti dello scarpone, ovvero la calzata degli attacchini in vista della discesa, avviene preferibilmente all’interno della zona cambio. Specie in presenza di neve soffice in uscita. Le coltri cedevoli possono infatti rendere difficile questa operazione, assorbendo l’impulso dall’alto verso il basso che l’atleta esercita sullo scarpone e, conseguentemente, sulla molla a U.
sci, applicare le pelli, calzare nuovamente gli attacchi. Lo sgancio degli attacchini, nel dettaglio, avviene sci a terra, così che rialzandosi si abbia già un’asta in mano. Questa viene presa ‘a braccetto’, ovvero appoggiata all’incavo generato dal braccio sinistro per i destri, destro per i mancini, in modo da avere entrambe le mani libere per separare le pelli. Si inserisce l’elastico nell’innesto in punta, si procede all’applicazione della tessilfoca per una quindicina di centimetri e si genera, con la mano opposta a quella adibita a tendere la pelle, un primo punto di pressione lungo la soletta. Quindi si procede per ulteriori 30/40 centimetri, generando un secondo punto di pressione. A questo punto lo sci viene appoggiato al suolo con la spatola anziché in coda, completando l’incollaggio. Due/tre passate di mano nel senso del pelo garantiscono la presa della colla. Identico procedimento per la seconda asta. Mettendo gli sci a terra si innestano gli scarponi nelle ganasce dell’attacchino, avendo cura di appoggiare una mano lungo le aste, 20 centimetri a monte del puntale, per mantenere l’equilibrio. Una possibile variante consiste nel togliere contemporaneamente gli sci, abbassandosi una sola volta. A patto di poterli piantare nella neve o appoggiare a un supporto, ad esempio una staccionata. Anche in questo caso, una volta separate le pelli, la prima viene applicata, la seconda appoggiata lato pelo attorno al collo, così da non intralciare i movimenti. Recuperati i bastoni si riparte.
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MANFRED REICHEGGER testo: Guido Valota
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entile e disponibile come sempre, Manfred Reichegger ci ha dedicato un pomeriggio nella settimana dei Mondiali di Pelvoux 2013. Una settimana intensa, piena di gare in cui bisogna dare tutto e qualcosa in più. Una settimana aperta subito da una lunghissima e dura Team Race nella quale ha conquistato con Matteo Eydallin l'ennesima medaglia mondiale con una gara regolare e senza un errore, subito dietro al team francese, in questo momento imbattibile: i primi degli umani, quindi. E poi tutte le altre gare, quasi ogni giorno. Eppure Manfred non ti mette mai in difficoltà. Nello sport, sul campo e fuori, trasmette questo equilibrio fatto di pragmatismo, passione, professionalità, correttezza, educazione e disponibilità verso tutti. Il risultato è che nell'ambiente è un riferimento per chiunque. Il suo non cercare di essere 'personaggio' ne ha fatto invece il personaggio positivo. Ascolta ed è ascoltato: è l'allenatore in campo. A fine gara si cambia e torna subito lì a commentare con gli altri, li ascolta e trae la sintesi: un de-briefing vero. Ma prima parla, consiglia, eccome se lo fa. Durante la staffetta che chiudeva i Mondiali passava continuamente da tutti i compagni per incitarli a crederci e a non mollare: «Quello che è successo a noi può succedere anche a loro, no?». E infatti è puntualmente successo, l'Italia si è rifatta sotto e alla fine ha rischiato di vincere la staffetta. Non ce l'ha fatta per qualche decimo, ma ha primeggiato nella classifica per nazioni, in Francia… Manfred, com'è la situazione del professionismo sportivo nel sistema italiano dei gruppi sportivi militari? «Il sistema italiano sarebbe ottimo. Un buon numero di ragazzi avrebbero la possibilità di essere selezionati dalle gare giovanili per poi continuare ad allenarsi bene, senza il pensiero di guadagnarsi da vivere. Il tutto a costi bassi per la collettività. Ma ora, con la crisi, i gruppi sportivi sono stati ridotti al minimo, in generale solo con gli atleti di squadra nazionale. Anche nell'Esercito solo due ragazzi sono 'fuori squadra'. Noi dello scialpinismo esistiamo perché c'è il colonnello Mosso, costiamo poco e l'addestramento alla montagna fa parte dei compiti delle truppe alpine». Sei entrato nell'Esercito come fondista… «Avevo 18 anni, Marco Albarello correva ancora, Gaudenzio Godioz era uno dei nostri atleti di punta e ci allenava Paolo Riva. Io andavo meglio in skating, ma non ero tra i più forti: alle Nazionali Giovani mi piazzavo appena dopo il decimo
posto e poi in Coppa Italia dopo il ventesimo».
Manfred Reichegger è nato a Brunico (Bz) il 6 gennaio 1977 e vive a Selva dei Mulini (Bz). Corre per il Centro Sportivo Esercito di Courmayeur, dove è inquadrato come volontario in servizio permanente con il grado di caporalmaggiore capo scelto. Il suo palmarès è sterminato. Non è possibile riassumerlo più di così: 2 Coppe del mondo Overall 3 Coppe del mondo Team 4 Coppe Europa 4 titoli mondiali staffetta 2 medaglie d'argento Mondiali Team 3 medaglie di bronzo Mondiali Team 3 titoli europei staffetta 1 titolo europeo individuale 1 titolo europeo Team 3 medaglie d'argento agli Europei 2 medaglie di bronzo agli Europei 3 vittorie alla Pierra Menta 1 vittoria al Trofeo Mezzalama 3 terzi posti al Trofeo Mezzalama 1 vittoria allo Sky-ski Mont Blanc 18 titoli italiani assoluti, in tutte le specialità 73 medaglie ISMF Senior Corre con sci SkiTrab, scarponi Scarpa, attacchi e vestiario Montura, pelli Pomoca, attrezzi e casco Camp, occhiali Julbo. È sostenuto anche dalla regione Sudtirol.
«…i giovani adesso sono tutti bravi, i club lavorano bene e se una volta cercavano lo scialpinista tra i fondisti, oggi io lo scialpinista forte lo vedo tra i discesisti...»
E così, quando lo ski-alp ha preso piede... «Alla fine della stagione delle gare di fondo si facevano quelle due o tre gare con le pelli, ma solo in Valle d'Aosta, a raspa e con gli sci da fondo. La prima per me è stata il Trofeo Fiou... arrivavo giù con i gomiti a sangue! Poi con Godioz sono passato subito agli sci larghi e a Courmayeur abbiamo creato il nucleo di scialpinismo con Conta e Invernizzi. Erano i tempi in cui vincevano Greco, Meraldi, Pedrini. Alle gare le prendevamo e venivamo criticati perché eravamo pure professionisti. Ma noi partivamo da zero. Dovevamo imparare tutto. Poi siamo andati avanti: in coppia con Dennis Brunod facevamo la differenza in salita e gestivamo in discesa». Siete tutti d'accordo che 'gli altri' fanno la differenza in discesa. È vero: arrivate tutti insieme, e poi... Ma allora cosa bisogna fare? Magari almeno voi, che da professionisti rischiate il sovraccarico con tanta preparazione alle resistenze, non potreste diminuire il carico da una parte e trasferire risorse sulla discesa? «L'allenamento vero per la discesa dello scialpinismo non è scarico. Una settimana di discesa non è scarico! Io stesso ammetto che non mi alleno in discesa o comunque troppo poco. Come tutti, tranne Robert. All'inizio ho seguito per tre anni il corso di sci 'della naia', a Cervinia, sulle piste. Mi è servito, io che ero fondista ora sono istruttore militare di sci e di roccia. Di specifico facciamo un Toula ogni tanto con lo scopo dell'allenamento. Io mi comporto sempre così: il cronometro lo schiaccio quando arrivo giù, non quando sono su. I giovani adesso sono tutti bravi, i club lavorano bene e se una volta cercavano lo scialpinista tra i fondisti, oggi io lo scialpinista forte lo vedo tra i discesisti. Anzi, ora iniziano proprio con lo scialpinismo come primo sport, mentre finora provenivano dal fondo o dalla discesa. Però la differenza vera in discesa tra noi e i francesi è che loro riposano mentre scendono. E comunque devi riuscire anche a sciare in sicurezza perché a queste velocità rischi di farti male. E di spaccare! Guarda l'Eyda, oggi (è il pomeriggio della Individual Race, ndr). Sarà la prima volta che cade, ma ha pestato duro». Come ti sei trovato passando dall'allenamento per il fondo a quello per lo scialpinismo? «Da civile, fino ai 18 anni, lavoravo. Pochi allenamenti, pochi raduni, insomma mi allenavo troppo poco. E così all'inizio, nei primi anni come fondista nell'Esercito, ero sempre stanco. Poi mi sono fatto furbo, perché in gruppo si ten-
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de a esagerare: soprattutto all'inizio, quando non vuoi restare indietro e vuoi dimostrare che anche tu riesci a fare tutto... E anche con lo scialpinismo mi sono fatto furbo. In generale sono tutti ammalati di dislivello, ma si fanno fuori. Io spezzo sempre, due volte a settimana, con gli sci da fondo». In questi anni, quali cambiamenti tecnici nello ski-alp race giudichi più significativi? «Il passo è cambiato completamente, il carbonio ha reso tutto diverso. E l'allenamento in pista va fatto assolutamente». Come la vedi la prospettiva olimpica? «Io dico che siamo fortunati a essere così: niente Olimpiadi, niente soldi, niente tentazioni. Ho paura che se dovessero cambiare le cose, entrerebbe il doping, mentre finora siamo riusciti a tenerlo fuori bene. E poi il livello è ancora troppo basso, bisogna cambiare un po' di cose. Guarda lo slalom nelle porte della Sprint: facciamo ridere... che spettacolo facciamo vedere, la gente che vien giù a spazzaneve?». Cosa non ti piace dello ski-alp race attuale? «Troppe regole». Cosa vorresti cambiare, se potessi? «Ci vogliono più gare a coppie. È quella la gara regina e invece la stanno pian piano eliminando. E poi, lo so che è difficile, ma invece della Sprint io vedrei una prova di circa 15': veloce ma molto più simile allo scialpinismo». Cosa ti piace invece? «Il clima della squadra. La devi scrivere questa cosa: Oscar Angeloni... quell'uomo si sbatte come un matto per due lire, lo criticano tutti e invece ha fatto un gran lavoro. Prima la squadra era divisa, i valtellinesi da una parte e tutti gli altri dall'altra. Adesso questa divisione non c'è più». Passi molto tempo a Courmayeur, ma alla gara in Valle Aurina era evidente quanto tu sia legato alla tua terra. Che progetti hai per il futuro? «Sono nell'Esercito da 18 anni, ma tornerò a casa. Cioè in una caserma vicino a casa. Lì ci sono tutti i miei fratelli, che non sono sportivi, e i miei genitori. Per ora in pratica io vivo a casa con i miei. Mi sto guardando attorno per cercare un terreno. A proposito, mio padre ha 70 anni e nel Vertical Km che organizziamo a Selva dei Mulini questa estate è salito in 48'. Con i bastoncini di legno presi nel bosco!».
Manfred in azione nella scorsa edizione della Pierra Menta. In apertura, durante la presentazione atleti alla Pitturina Ski Race ©lapitturina.it.
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Area Tecnica skialper@mulatero.it
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Sci ripido: Atomic Aspect, Elan Alaska o Ski Trab Ripido? Caro Ski-alper, sono alto 190 cm e peso 82 kg. Scio a un buon/ottimo livello e prediligo itinerari sui 2.000 m D+ abbinati spesso a discese lungo pendii ripidi, anche nell’ordine dei 50°. Cerco uno sci con una buona portanza ma di peso contenuto (sotto i 1.500 g), lungo circa 180 cm. Vorrei un compromesso tra leggerezza ed efficienza sul ripido. Osservando gli Atomic Aspect in negozio ho avuto la sensazione che fossero ben strutturati e forti di una notevole rigidità torsionale. Mi assale però il dubbio che la curvatura rocker sul ripido con neve dura non renda al meglio. Considerando esclusivamente il peso, gli Elan Alaska, specie in versione Pro, sarebbero perfetti, ma nutro perplessità su lunghezza e struttura. Non ho invece mai ‘saggiato’ gli Ski Trab Ripido che, se non sbaglio, sono privi di rocker. Help me! 8883, dal forum tecnico di Skialper.it Caro 8883, la sua analisi sul carattere degli Atomic Aspect è corretta. Sono caratterizzati da una grande resistenza alla flessione, indice di una struttura ‘tosta’, non a caso all’anima in legno si accompagnano rinforzi in laminati di titanio, e da una eccezionale rigidità torsionale. Tenendo conto dei suoi ‘dati tecnici’ (190 cm x 82 kg) sarebbero perfetti nella misura 176 cm. Escluderemmo la misura 182 cm per non andare a incidere eccessivamente sul peso. La massa rilevata su 170 cm si attesta già a 1.390 g: non irrilevante. Unica vera controindicazione il marcato rocker in punta (5,0°) che non agevola la fase d’inserimento lungo terreni trasformati e ghiacciati, rendendo la spatola poco incline a incidere la neve. Mancanza che limita l’efficacia lungo pendii particolarmente ripidi. Veniamo a Elan Alaska e Alaska Pro: i migliori sci da escursionismo rispettivamente del 2012 e 2013, perfetti per uscite con marcati dislivelli. Non ideali, però, per lo sci ripido. La struttura è morbida, la punta caratterizzata da marcate torsioni; prediligono superfici non troppo ghiacciate. Dovendo affrontare 50° di pendenza è meglio orientarsi altrove. Se decidesse di concedere qualcosa al peso, non disdegneremmo i Dynastar Altitrail Mythic Light: 1.662,5 g su 178 cm, assenza di rocker, struttura cap/sandwich e straordinarie sensazioni in discesa. L’agilità nell’inversione degli spigoli li rende adatti ad affrontare canalini, passaggi stretti e terreni impegnativi. Ed eccoci dunque alla nostra scelta: Ski Trab Piuma Evo Ripido. Sci ‘da canalino’, reattivi e leggeri (1.395 g rilevati su 178 cm), hanno carattere da vendere, specie negli spazi stretti e con fondi difficili, crostosi, ghiacciati. La curvatura è tradizionale (nessun rocker), la sciancratura non particolarmente generosa (122,5/87,7/108,3 mm rilevati) e la superficie di contatto molto estesa, a tutto vantaggio dei cm di lamina che mordono la neve. Flessione e rigidità torsionale non sono da record, ma non deludono nei passaggi tecnici. Prediligono archi brevi grazie alla rapidità di svincolo e inversione degli spigoli. Sono ideali per sciatori potenti in possesso di un’ottima tecnica. Diremmo che… sono i suoi sci! Ski Trab Piuma Evo Ripido
Kit race per la sola salita Caro Ski-alper, vorrei dei consigli sull'attrezzatura race più adatta per affrontare esclusivamente le salite: sci, scarponi, attacchini, bastoni e pelli. Vi ringrazio e aspetto i vostri consigli. Giamby, dal forum tecnico di Skialper.it Caro Giamby, salita fa rima con leggerezza allo stato puro e massima reattività. Per quanto concerne l'ambito sci opteremmo per Movement Fish-X Pro (610,5 g), Merelli Race 160 (643,5 g) oppure Lighter Strudel Race (686,5 g). In questo caso il rapporto prezzo/leggerezza più favorevole è appannaggio di Merelli (730,00 euro). Ciò restando in ambito ‘sci universali’. Se invece volesse prendere in considerazione modelli specifici da Vertical, allora potrebbe rivolgersi, ancora una volta, a Merelli, che per il modello VRT dichiara 590 g, oppure all'artigiano di Predazzo Bosin, che dichiara 545 g per i suoi STP575V. Capitolo scarponi: non
possiamo non pensare ai La Sportiva Stratos Cube (542 g taglia 26,5 MP). In seconda battuta Merelli M3D e Pierre Gignoux XP 444 Ultimate (rispettivamente 577 e 625 g nella taglia 27,5 MP). Gli attacchini? In ambito ‘tradizionale’ leggerezza estrema fa rima con ATK Race. Nel dettaglio, i modelli SL World Cup (126 g) oppure i nuovi Revolution WC (103 g dichiarati). Questi ultimi però disponibili solo a partire dalla prossima stagione. Parlando di attacchi non convenzionali spiccano Pierre Gignoux Ultimate (86 g viti incluse) e Maruelli M2 Hyper Light (48 g dichiarati). Le pelli? Colltex Race PDG: 94 g su 150 cm (larghezza di 60 mm). Eccezionali nello scorrimento, in accelerazione e tenuta. Oppure Ferrino Mezzalama Race (95 g ma prestazioni lievemente inferiori). Infine, per quanto riguarda i bastoni, un’ottima scelta è rappresentata da ATK Race Carbon Kevlar (85 g/metro). Pierre Gignoux Ultimate
Atomic Ultimate
Atomic Ultimate per iniziare? Caro Ski-alper, ho scovato un paio di Atomic Ultimate a prezzo interessante. Costituiscono una buona scelta per iniziare a cimentarsi nelle gare? Non sono un ottimo sciatore, sono alto 170 cm e peso 67 kg. Ale, dal forum tecnico di Skialper.it Caro Ale, gli Atomic Ultimate MY 2012-2013 sono degli ottimi sci sia per agonisti esperti sia per quanti, come nel suo caso, vogliono cimentarsi nelle prime competizioni. Il rocker in punta favorisce la maneggevolezza e l’ingresso in curva, mentre la coda rigida gioca a favore della stabilità in velocità. Unica avvertenza, per sfruttarli al meglio è necessaria una buona centralità. Nel complesso sono sci assolutamente gradevoli, dal buon feeling e dal peso nella media della categoria (724 g rilevati). Low Tech Race: la torretta ruota… anche troppo Caro Ski-alper, vorrei un parere in relazione a un problema che ho riscontrato nell'attacco da gara Low Tech Race di Dynafit. L’inconveniente riguarda la sin troppo facile rotazione della talloniera. In caso di nevi difficili o polverose, quando si carica maggiormente la torretta arretrando il baricentro per mantenere le punte sollevate, quest’ultima, a inizio curva, ruota costringendomi a riagganciare lo scarpone. Forse questo fenomeno è aggravato dal fatto che peso quasi 85 kg, ma ciò non toglie che vorrei evitare simili sciagure. Esiste un metodo per aumentare la durezza di rotazione della talloniera? Anche i vostri testatori, del resto, avevano segnalato la sin troppo agevole rotazione. Si tratta di un ‘difetto’ del modello in questione, oppure è solamente il mio attacco a soffrire di queste problematiche? Cado, dal forum tecnico di Skialper.it Caro Cado, purtroppo un metodo per rendere meno scorrevole la rotazione della torretta non esiste. Ciò non toglie che quanto accaduto sia effettivamente strano e possa essere legato a due diverse cause: un problema tecnico del singolo esemplare oppure un errore in fase di montaggio. Nel primo caso il suggerimento è di recarsi presso un centro specializzato, magari un Dynafit Competence Center, dove far smontare il componente per una verifica delle parti interne. Nel secondo caso, il rischio è che non siano state rispettate in fase di montaggio le tolleranze tra scarponi e talloniera. Fenomeni simili sono spesso sintomo di una scarsa penetrazione delle forche della molla a U negli inserti della scarpa. Con conseguente scarsa tenuta ed eccessivo effetto ‘leva’. La gamma Dynafit prevede una distanza scarpa/torretta di 6 mm per i modelli grantour (TLT Radical ST/
‘All Dynafit’ in chiave freeride mountaineering
IL FORUM TECNICO DI SKI-ALPER Hai curiosità, dubbi o semplicemente vuoi un parere sulla tua attrezzatura da ski-alp o un consiglio per i futuri acquisti? Registrati al nuovo forum di Ski-alper, potrai sottoporre le tue domande alla redazione tecnica e confrontarti con altri lettori che hanno gli stessi problemi o che cercano le tue stesse risposte. skialper.it/ForumTecnico La torretta degli attacchini race Dynafit Low Tech Race manu
FT e TLT Vertical ST), 4 mm per i gara, o derivati dall’agonismo, Low Tech Race, Low Tech Radical e gamma TLT Speed. Nei nostri test, in realtà, non avevamo lamentato l’eccessiva facilità di rotazione della talloniera, quanto piuttosto l’instabilità dello sportellino, portato a sollevarsi durante le fasi di salita in caso di bruschi contraccolpi. Ci tenga informati sullo sviluppo della vicenda. Elan Karakorum: tuttofare dal prezzo aggressivo Caro Ski-alper, dovendo sostituire i miei Blizzard Mountain Free Cross avrei notato delle buone offerte per degli Ski Trab Freerando Light. Sono però indeciso, avendo letto le entusiastiche recensioni dedicate a Elan Alaska. Non disdegnerei nemmeno gli Elan Karakorum, alla luce del prezzo molto invitante. Sono alto 165 cm per 63 kg, pratico lo scialpinismo con dislivelli nell’ordine dei 1.000/1.600 m e non disdegno le risalite in pista come forma d’allenamento. Possedendo un unico paio di sci, lo vorrei polivalente e divertente in
discesa. I fondi che mi mettono più in difficoltà sono caratterizzati da neve crostosa non portante. Per il resto mi piace sia portare in conduzione gli sci in velocità, sia inanellare serpentine veloci. Ci sono altri modelli adatti a me, restando nell’ordine dei 350,00 euro di spesa? Franco, dal forum tecnico di Skialper.it Caro Franco, in sostanza cerca degli sci polivalenti, performanti e non troppo impegnativi nelle croste. Le opzioni elencate sono tutte valide. Ski Trab Freerando Light ed Elan Alaska sono entrambi grantour d’alto livello. Nel corso dei test 2012, sebbene più pesanti, abbiamo preferito gli Elan per reattività, feeling e facilità d’utilizzo, in quanto in grado d’assecondare qualsiasi raggio di curva. Questo sebbene gli Alaska risultassero 171 g più pesanti dei Freerando Light a parità di lunghezza. Il favore verso i granturismo sloveni non è cambiato nel corso dei test
Caro Ski-alper, sono felice possessore di un paio di Black Diamond Cult 177 cm, attacchi Dynafit TLT Speed e scarponi Dynafit TLT 4. Cimentandomi in escursioni caratterizzate da dislivelli moderati (circa 1.000 m) ma abbastanza lunghe, ho sempre apprezzato la leggerezza di questo kit. Ora vorrei acquistare un nuovo set d’attrezzatura per brevi uscite che prevedano sia discese in neve fresca sia giornate in pista con la famiglia. Tenendo conto che sono alto 185 cm e peso 85 kg, pensavo a una soluzione ‘all-Dynafit’ tipo sci Manaslu 178 cm, attacchi TLT Radical FT e scarponi Titan TF-X. Cosa ne pensate? Paolo, dal forum tecnico di Skialper.it Caro Paolo, il set indicato è bilanciato e proporzionato per un utilizzo freeride mountaineering ‘spinto’. Analizzando l’ambito sci, i Manaslu nella lunghezza 178 cm pesano, secondo quanto dichiarato, 1.490 g e hanno una sciancratura di 122/95/108 mm. Sono dei freeride mountaineering ‘tosti’, dalla notevole superficie sotto il piede, forse persino sovradimensionati per l’uso al quale intende destinarli. Specie alla luce del peso di questi attrezzi e del tipo di gite che vai ad affrontare, lunghe pur se non contrassegnate da grandi dislivelli. In aggiunta, i 95 mm sotto il piede non agevolano la conduzione e gli archi brevi in pista. Per un utilizzo allround che strizzi l’occhio al freeride mountaineering ci sembrano più indicati i grantour Mustagh Ata Superlight: la predilezione per le coltri profonde è comunque presente, come dimostrato dagli 85,7 mm sotto il piede, la struttura è tutt’altro che cedevole e il peso (1.335 g su 178 cm), a parità di lunghezza, inferiore di 155 g ai Manaslu. In sostanza, le suggeriamo un’evoluzione in chiave ‘light’ del kit cui aveva pensato. Evoluzione che si completerebbe con la sostituzione degli scarponi Titan Ultralight (1.750 g dichiarati nella taglia 27,5 MP) con i più moderni Mercury TF (1.600 g nella misura 27,5 MP).
Elan Karakorum
Le pelli da skitouring scelte dalla Squadra Nazionale Scialpinismo e da molti professionisti della montagna.
pomoca.com
Dynafit Mercury TF
84 > rubriche Grantour o freeride mountaineering?
Caro Ski-alper, con il finire della stagione si trovano a prezzi più accessibili alcuni degli sci cui sarei interessato. Ad esempio Movement Bond-X, oppure Dynafit Mustagh Ata Superlight, oppure ancora i più pesanti Atomic Aspect o K2 WayBack. Tralasciando il costo e il peso inferiore dei Bond-X rispetto ai Mustagh Ata SL, secondo voi qual è il modello migliore su neve dura o ghiaccio? Restando prossimi a una massa di 1.300-1.400 g, quali sci moderni, ovvero caratterizzati da un buon galleggiamento e curvatura rocker, hanno una struttura più favorevole per la tenuta sul duro abbinata a un raggio di curva contenuto? Ho 39 anni, scio da una vita, pratico ski-alp dal 2006 e i miei ‘dati tecnici’ sono 173 cm per 65 kg. Vorrei un unico modello da utilizzare da novembre ad aprile, incluse uscite estive nel Gruppo del Rosa, non troppo penalizzante in vista di qualche risalita in pista e adatto alle classiche gite con dislivelli di 1.000/1.800 m. Prediligo il corto raggio. Stefano, dal forum tecnico di Skialper.it
Dynafit Mustagh Ata Superlight
Caro Stefano, i Movement Bond-X rappresentano il ‘ponte’ ideale tra grantour e freeride mountaineering. Leggerissimi qualsiasi sia la categoria nella quale vengono inseriti, sono facili e maneggevoli. Nonostante la superficie di portanza non eccezionale eccellono nel galleggiamento, risultando sotto tale aspetto superiori persino ai ‘fratelli’ Logic-X. Merito sia della coda più strutturata, che agevola l’emersione della spatola in condizioni di neve crostosa, sia della generosa curvatura rocker. Rovescio della medaglia, la struttura ‘a culla’ non favorisce la stabilità sui fondi duri e al crescere della velocità. Sul ripido brillano per rapidità d’inversione degli spigoli, da riferimento tra i freeride mountaineering, a patto di sciare in presenza di superfici cedevoli; sul duro la spatola non incide immediatamente la neve e richiede un discreto lavoro di caviglie per essere indirizzata con precisione. I Dynafit Mustagh Ata Superlight, anch’essi adatti a sciatori di qualsiasi livello, sono più stabili dei Bond-X, garantiscono un feeling immediato, sebbene l’inversione di spigoli non sia fulminea quanto i rivali svizzeri a causa della superiore larghezza sotto il piede (85,7 mm contro 83,5
2013, tanto da eleggere migliori grantour gli ‘eredi’ di Alaska, ovvero Alaska Pro, caratterizzati da un peso di 1.149 g su 170 cm: 171 g inferiore ad Alaska. Quindi identico a Freerando Light (171 cm). I Karakorum appartengono a una categoria inferiore, essendo degli entry level. O meglio, i migliori entry level del 2013: facili, maneggevoli, stabili e con un buon galleggiamento. In tal caso il peso si attesta a 1.289,5 g (170 cm). Superiore ad Alaska Pro e Freerando Light, ma inferiore ad Alaska (1.320 g). Una possibile alternativa è rappresentata dai Dynafit Mustagh Ata Superlight (1.269 g su 169 cm). La generosa superficie sotto
mm) e, come accennato, sono caratterizzati da un peso decisamente superiore: 1.255 g (169 cm) anziché 1.084,5 g (177 cm). Pur prediligendo nevi profonde, su ghiaccio e neve trasformata sono più performanti i Mustagh Ata, forti di un’anima ‘tosta’ e di una notevole rigidità torsionale. Se non avesse aggiunto la postilla ‘tenuta sul ghiaccio’ avremmo suggerito gli Hagan Chimera 1.0! 1.370,5 g su 176 cm, rocker di 5,0° in spatola e 0,5° in coda, raggio calcolato di 15,6 m, performanti nei canalini e in archi brevi. In aggiunta, forti di un’ampiezza di 86,5 mm sotto il piede, a tutto vantaggio del galleggiamento in coltri profonde. Neve fresca che, del resto, è il terreno prediletto dei Chimera, al contrario dei terreni ghiacciati e trasformati, dove perdono lievemente in precisione. Se fosse disposto a ‘tralasciare’ l’aspetto rocker, gli sci ideali potrebbero essere gli Ski Trab Piuma Evo Ripido: 1.395 g su 178 cm, ampiezza sotto il piede di 87,7 mm e, soprattutto, un notevole carattere negli spazi stretti, nonostante il raggio calcolato di 21,2 m, e con fondi difficili, crostosi, ghiacciati. Amano i passaggi tecnici e ripidi. Si esprimono al meglio in archi brevi grazie alla notevole rapidità d’inversione degli spigoli.
il piede (85,7 mm) favorisce il galleggiamento, la spatola è rapida in inserimento e la coda tutt’altro che cedevole, a tutto vantaggio dell’emersione in neve ventata. Non disdegnano la conduzione e, sebbene non rapidissimi negli spazi stretti, assecondano la realizzazione d’archi brevi. Il prezzo di listino è di 500,00 euro, ma in tempo di saldi è possibile risparmiare. Gli Elan Alaska Pro sono invece offerti a 429,00 euro. Guardando ad attrezzi meno impegnativi, comunque performanti, spiccano i Dynafit Seven Summits (400,00 euro, 1.237,5 g su 170 cm e grande maneggevolezza), oppure i citati
Elan Karakorum. Questi ultimi agevolano nelle croste, grazie anche a 79,5 mm sotto il piede, e favoriscono il raggiungimento della conduzione. Sul ghiaccio si difendono. Tradotto in pratica, ci si trae d’impaccio sempre e in ogni caso, ma qualora si forzi la chiusura degli archi di curva la struttura risponde meno rapidamente e la stabilità è inferiore ad Alaska (Pro). Al di là di questo, sono dei veri ‘tuttofare’ e a parità di prezzo (269,00 euro) non esistono sci altrettanto performanti. Date le sue esigenze e il peso tutt’altro che elevato (63 kg), inizieremmo a pensare quali pelli abbinare ai Karakorum…
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ANTEPRIMA TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti
Pierre Gignoux Morpho 400
Gignoux riconquista il primato della leggerezza tra gli scarponi race: i nuovi Morpho 400 pesano 518 g nella misura 27,0 MP. Scocca, da tradizione, in carbonio ed eccezionale mobilità dichiarata del gambetto: 78°. Sul prossimo numero di Ski-alper la prova completa
518 g rilevati nella misura 27,0 MP. E una mobilità dichiarata del gambetto di 78°. Pierre Gignoux stupisce ancora. Gli inediti race in carbonio Morpho 400 sono il modello da gara più leggero al mondo. Sopravanzano sia le ‘piume’ La Sportiva Stratos Cube (542 g nella taglia 26,5 MP), sia i ‘fratelli’ XP 444 Ultimate (625 g con scarpetta tradizionale - 27,5 MP), lasciando a distanza siderale rivali quali La Sportiva Stratos Evo (658 g con scarpetta bikini - 27,0 MP), Dynafit Dy.N.A. Evo (710 g) e Scarpa Alien 1.0 (713 g). Merito della scarpetta in due pezzi… sempre che di scarpetta si possa parlare, dato che la parte superiore del gambetto è semplicemente ricoperta da un sottile strato in gomma. Gomma estesa anche all’inserto anteriore in plastica cui è demandato, analoga-
mente a XP 444, il compito di sostenere le tibie. I Morpho 400, il cui nome trae origine da uno studio volto a garantire un alloggiamento particolarmente anatomico del piede, condividono con i noti XP 444 la scocca in fibra di carbonio, il sistema ski-walk mediante leva posteriore da innestare in un perno, in questo caso però senza elastomeri integrati che attutiscano le sollecitazioni, e la leva a cricchetto sul collo del piede. Cambiano, invece, la conformazione della scarpetta e l’ancoraggio della stessa all’interno dello scafo, demandato a un sistema a cavetto simile all’allacciatura (Quick Lace) delle scarpe da trail running Salomon. Come si comportano sulla neve? Per saperlo non perdete la prova completa sul prossimo numero di Ski-alper!
1.400 euro
I nuovi Pierre Gignoux Morpho 400 costano 1.400 euro. La ghetta dedicata, dal peso dichiarato di 40 g, è proposta a 60 euro. La scarpetta bikini è realizzata dalla francese Palau.
Nelle foto. In alto in grande, lo scarpone Pierre Gignoux Morpho 400, qui a lato due particolari, nel primo da notare la leva posteriore, in basso la leva a cricchetto sul collo del piede.
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ISPO 2013 TESTO E FOTO : Sebastiano Salvetti
Nuova luce Sebbene non muti sostanzialmente la gamma ski-alp Black Diamond, le grafiche rinnovate riassumono lo spirito dell’ISPO 2013: un caleidoscopio di novità, specialmente per il freeride mountaineering.
EDITOR's CHOICHE
ATK Race Raider 12 Inediti attacchini grantour. Pesano 330 g, consentono di adattare longitudinalmente la talloniera di 25 mm e sono corredati di alzatacco (2 livelli) e ski-stopper integrati (con ampiezza da 75 a 117 mm). Valori di sgancio da 6 a 12 e innesto per i rampanti integrato. Costano 488,00 euro.
Diamir Zenith 12 Rivoluzione in casa Diamir! I nuovi attacchi grantour abbandonano la storica soluzione con telaietto solidale agli scarponi in favore dei perni e delle forche low tech. Peso dichiarato di 499 g. Sgancio laterale del puntale e frontale della talloniera. Rampanti sfruttabili con ogni livello di alzatacco. Passaggio dalla salita alla discesa (e viceversa) senza togliere gli sci.
Ski Trab TR 2 Peso dichiarato di 580 g (ski-stopper inclusi) per gli attacchi grantour valtellinesi. Sgancio frontale della talloniera e laterale del puntale (disattivabile) con valori di ritenuta da 7 a 13. Abbinati agli scarponi dedicati Scarpa Spirit TR 2 promettono un bloccaggio del tallone più saldo rispetto ai ‘comuni’ attacchini. Passaggio dalla salita alla discesa (e viceversa) senza togliere gli sci. Alzatacco e innesto per i rampanti integrati.
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Italia trendsetter Lo scialpinismo internazionale si conferma orientato al freeride mountaineering. Mentre alcuni marchi storici dello sci alpino debuttano timidamente nello ski-alp, il mondo segue l’esempio del nostro Paese, guardando alla leggerezza. Grandi novità tra gli attacchi e gli sci grantour Fino a pochi anni fa visitare l’Ispo di Monaco, fiera internazionale dell’attrezzo e degli sport invernali, significava imbattersi in una folla vociante accalcata attorno agli stand dedicati allo sci alpino. Tutto questo è un lontano ricordo. Oggi sono i prodotti da ski-alp a riscuotere le maggiori attenzioni. Il mondo si è svegliato, scoprendosi scialpinista. E confermando la rotta del 2012, saldamente indirizzata verso il freeride mountaineering. O, se si preferisce, il backcountry. Tradotto in pratica, salite di medio/bassa difficoltà seguite da lunghe discese. Queste ultime non contorno ma piatto forte di giornata, con le pelli a rappresentare l’antipasto. Ecco allora proliferare sci extra large e scarponi a quattro ganci con plastiche la cui rigidità strizza l’occhio ai modelli da sci alpino; si veda il debutto di K2 in questo settore. Lo scorso anno ci chiedevamo se tutto ciò sarebbe stato il futuro. Ora possiamo affermare che lo sarà, ma con sempre maggiore attenzione alla leggerezza. E lo sarà… per chi avrà un futuro. Il mondo si è svegliato scialpinista; in alcuni casi, però, si è anche improvvisato scialpinista. Marchi senza tradizione nello ski-alp adattano modelli da pista al freeride mountaineering. Masse e rigidità strutturali appaiono proibitive. Nella speranza di sbagliarci, attendiamo al varco questi prodotti, che metteremo a dura prova nella Guida all’acquisto 2014.
Diamir: non solo telaio Nel 2012 l’Italia appariva come un pianeta a parte, dove la leggerezza rappresentava un valore irrinunciabile. Nulla è cambiato. Non ci siamo adattati al resto del mondo. È stato il resto del mondo ad avvicinarsi a noi. Esempi eclatanti sono rappresentati da Diamir, che alla storica configurazione a telaio degli attacchi affianca una soluzione con forche e perni low tech, Völkl, che con gli sci V-Werks Katana adotta per la prima volta nella propria storia scialpinistica una struttura cap in fibra di carbonio, Movement, che comunica un peso inferiore a 1.500 g per i freeride mountaineering Shift da 98 mm sotto il piede, e Hagan, che dichiara 1.180 g su 173 cm e una sciancratura di 130/87/100 mm per gli inediti Chimera Wai Flow. E ancora, Ski Trab svela i Magico, di cui trovate in questo numero di Ski-alper un’anteprima sul campo, grantour da 1.030 g su 171 cm e 83 mm sotto il piede, diretti rivali degli inediti Dynafit Cho Oyu (125/88/111 mm e 1.080 g su 174 cm). Modelli che introducono la tendenza del futuro: sci dalla maggiore portanza, polivalenti, sempre più leggeri e adatti a escursioni di ogni difficoltà. Nel 2014 scieremo meglio, con maggiori soddisfazioni e con minore impegno fisico sia in salita sia in discesa. Hagan Chimera Wai Flow e Cirrus 1.180 g su 173 cm e sciancratura di 130/87/100 mm: dati eclatanti per gli inediti freeride mountaineering Chimera Wai Flow. Merito dell’anima in legno di Paulownia con rinforzi superiori e inferiori in fibra di vetro e carbonio. Generoso rocker in spatola. I grantour Cirrus affiancano i noti X-Ultra: rispetto a questi ultimi il peso dichiarato scende da 1.000 a 940 g su 163 cm. Sciancratura di 113/75/98 mm (163 cm).
ATK Race: 103 g per i race Revolution WC Il settore che registra le novità più eclatanti è quello degli attacchi. A Diamir si affiancano le novità ATK Race in ambito gara: i Revolution WC sono accreditati di 103 g, mentre in ambito grantour gli inediti Raider 12 hanno una massa di 330 g; per il telemark alpinismo i rivoluzionari Newmark pesano 285 g e derivano dagli SL-R World Cup. Ski Trab, in collaborazione con Scarpa, lancia con TR2 la prima integrazione scarpone/attacco, mentre nel settore freeride mountaineering Dynafit introduce Beast 16, serie limitata dal prezzo elitario, e Plum presenta Yak, modello da 600 g con ski-stopper integrati per sci di oltre 95 mm di larghezza sotto il piede. In assoluto meritano un plauso La Sportiva, che con gli scarponi Stratos Cube in Carbon Kevlar (542 g rilevati nella misura 26,5 MP) promette di rivoluzionare il mondo gara, Ski Trab, che rinnova l’intera collezione sviluppando non solo i modelli più ‘nobili’ (si veda l’anteprima su questo numero dei Gara Aero WC) ma anche gli entry level Freedom e Tour Rando XL. Da segnalare anche Dynafit, che con gli scarponi TLT6 mira a riconquistare lo scettro tra i grantour, e, in ultima battuta, The North Face, autrice di una collezione d’abbigliamento interamente dedicata allo ski-alp.
Völkl V-Werks Katana Prima struttura cap in fibra di carbonio nella storia scialpinistica di Völkl. Sciancratura ‘monstre’ per i freeride mountaineering Katana: 143/112/132 mm e peso di 1.885 g nella misura 184 cm. Marcato rocker sia in spatola sia in coda. Sfidano gli altrettanto impressionanti Dynafit Huascaran e Lighter Sacher.
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ANTEPRIMA TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Niccolò Zarattini
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Viaggio nel futuro
di Ski Trab Come a poker, il marchio valtellinese scopre le carte in vista del 2014 puntando forte su Magico e Gara Aero World Cup. I primi, grantour da 1.030 g su 171 cm e 83 mm sotto il piede, derivano dai Maestro e prediligono le coltri profonde. I secondi confermano le doti del precedente modello, richiedendo però minore impegno fisico e tecnico intera gamma stravolta in vista del 2014, rispondendo a tono a quanti muovevano accuse di eccessivo immobilismo. Senza rinnegare le tradizioni, anzi partendo da capisaldi quali l’architettura del leggero, la costruzione a 14 strati e l’anima in aramide. Attingendo a piene mani a soluzioni tecniche al debutto quest’inverno con Maestro. Ski Trab presenta una raffica di novità, le cui punte di diamante sono i grantour Magico e i race Gara Aero World Cup. Abbiamo portato entrambi sulla neve per una prima presa di contatto…
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ANTEPRIMA
Gara Aero World Cup: 15 g più leggeri Hanno vinto ovunque, sia conquistando la fama di race affidabili, sia ottenendo il riconoscimento di Ski-alper quali migliori sci da gara del 2013. I Race Aero World Cup erano considerati un classico pressoché intramontabile, ma… sono cambiati! Radicalmente. Nell’aspetto, nel nome, ora Gara Aero World Cup, e nelle soluzioni tecniche. La punta è più lunga che in passato, così da favorire il galleggiamento, e condivide con Maestro il concetto di flessibilità progressiva. Vale a dire la differenziazione della risposta elastica in funzione delle diverse aree dell’attrezzo, così da ottenere una spatola particolarmente morbida e fluida nelle reazioni che porti in dote gli stessi, quando non superiori, effetti della curvatura rocker, ma senza i risvolti negativi connaturati. Cambiamenti che si accompagnano a una struttura complessivamente più morbida rispetto al vecchio modello e all’arretramento del punto di contatto tra spatola e neve. Mutano così la sciancratura, da 96/64/78 mm a 91/64/80 mm su 164 cm e, soprattutto, il raggio, che si riduce da 23,5 a 21,5 m. Cambia inoltre, dato tutt’altro che trascura-
bile, il peso dichiarato: da 720 a 705 g nella misura 164 cm. Diverso anche l’inserto per le pelli, ora ‘double face’: compatibile sia con il classico top fix a elastico sia con l’inedita soluzione Ski Trab mediante tirante e linguetta metallica. Ciò che non muta è la struttura cap con l’anima, in composito alveolare in aramide, avvolta da compositi a disposizione quadriassiale, così come il duplice laminato di rinforzo in carbonio e la coda Duo Tech a doppia ‘pinna’. Sulla neve è… evoluzione piuttosto che rivoluzione. Il feeling immediato resta una costante, al pari di maneggevolezza e stabilità. Crescono facilità d’utilizzo e rapidità di riposta su nevi soffici. In sintesi, se sul duro le prestazioni ricalcano il passato, fatta eccezione per la fase d’inserimento lievemente meno rapida, in presenza di coltri profonde si beneficia di una maggiore immediatezza in chiusura di curva. Senza nulla perdere in stabilità, anche in caso d’arretramenti, grazie alla coda che sostiene efficacemente. I nuovi race Ski Trab mirano a confermare la supremazia conquistata nel mondo gara, a prezzo di un minore impegno fisico e tecnico: concorrenti avvisati… così come le tasche! Il prezzo cresce da 879,00 a 919,00 euro.
Coda Duo Tech e punta più lunga Analogamente al precedente modello, la coda dei race Ski Trab adotta la conformazione Duo Tech a doppia ‘pinna’. Cambia, invece, la spatola, caratterizzata da una conformazione più affusolata, dalla punta più lunga e dal punto di contatto con la neve arretrato rispetto al passato.
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Top fix dedicato Gli inserti per le pelli di Magico si abbinano sia al classico top fix con elastico sia all’inedita soluzione Ski Trab composta da tirante e linguetta metallica in corrispondenza della punta, tampone in gomma da inserire a incastro tra le ‘pinne’ Duo Tech in coda. Ammortizzante Attivo Analogamente ai grantour Maestro, i Magico adottano il sistema ammortizzante Attivo forte d’inserti polimerici collocati longitudinalmente, lungo il piano sci e in corrispondenza delle lamine, nella parte sia anteriore sia posteriore delle aste. Rispetto a Maestro mutano sciancratura (116/83/104 mm anziché 107/76/94 mm su 171 cm), raggio (18,5 m contro 19,9) e peso dichiarato (1.030 g invece di 940 g).
Magico: i Maestro diventano grandi Parti dai Maestro, tra i migliori sci da escursionismo al mondo, ne riprendi i ritrovati tecnologici e incrementi sia l’ampiezza sotto il piede sia la superficie di portanza. Ecco la ricetta dei Magico, inediti grantour dal peso prossimo a 1.000 g. Nel dettaglio, sono accreditati di una massa di 1.030 g su 171 cm e una sciancratura di 116/83/104 mm con raggio di 18,5 m. Per un confronto a parità di misura, i Maestro possono contare su 940 g dichiarati, 107/76/94 mm e 19,9 m. Non mutano soluzioni tecniche quali la struttura a 14 strati, l’anima in composito alveolare in aramide, la flessione progressiva, la conformazione Duo Tech in coda e l’HiBox: una gabbia in carbonio a trama sottile che avvolge internamente la struttura dello sci, conferendogli rigidità torsionale. HiBox che costituisce uno dei principali plus tecnologici al debutto con Maestro, al pari del sistema d’ammortizzazione Attivo. Quest’ultimo forte d’inserti polimerici collocati longitudinalmente, lungo il piano sci e in corrispondenza delle lamine, nella parte sia anteriore sia posteriore delle aste. Inserti che hanno il compito di assorbire le vibra-
zioni proteggendo oltretutto dagli impatti laterali. Dalla teoria alla pratica, con Magico la parola d’ordine è maneggevolezza. Stupiscono la reattività in archi di curva brevi e la rapidità nell’inversione degli spigoli, specie considerando gli 83 mm sotto il piede. In presenza di coltri cedevoli la morbidezza della spatola agevola l’emersione, la flessione è progressiva e la risposta elastica vigorosa. Prediligono nevi leggere, farinose, ma si disimpegnano efficacemente anche nelle croste. Tanta brillantezza non viene meno al crescere della velocità, a patto di disporre di un’ottima tecnica. Se in presenza di coltri profonde i Magico, proposti a 879,00 euro, sono adatti anche a scialpinisti in evoluzione, sui fondi duri, specie spingendo sull’acceleratore, è necessaria abilità per mantenere la conduzione. Una volta ‘perso’ lo spigolo, ad esempio realizzando curve in slide, la stabilità si riduce ed è necessaria una buona preparazione sia fisica sia tecnica per gestire lo sci. Nel settore dei grantour superleggeri dalla generosa portanza i nuovi Ski Trab sfideranno gli inediti Dynafit Cho Oyu (125/88/111 mm e 1.080 g su 174 cm). Nessun dubbio in proposito: nel 2014 vedremo scintille!
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PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Guido Salvetti
Movement
Fish 2014
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*categoria Race
I VOTI DI SKI-ALPER
Peso
FEELING
Maneggevolezza
Stabilità in velocità
Rapporto qualità/prezzo
Tutta la nuova gamma Movement Fish-X e Fish Pro-X sono un gradino sopra i vecchi modelli. I Pro, sebbene più pesanti di 45 grammi rispetto al passato, si confermano tra i race più leggeri al mondo e crescono in stabilità. Gli inediti Gold appartengono alla categoria performance: sci da allenamento per agonisti d’alto livello oppure compagni di gara per racer forti sia fisicamente sia tecnicamente «Tutti i modelli della Serie-X 2014 beneficiano di un’inedita ‘calza’ in carbonio nella zona d’avvitamento degli attacchi. Soluzione che replica una scatola di torsione e amplifica la tenuta delle viti…». Così abbiamo scritto sul numero 87 di Ski-alper, senza grandi aspettative. Sbagliavamo. Questa modifica strutturale, abbinata a inediti listelli in legno di pioppo disposti orizzontalmente sotto il piede, ha cambiato il carattere dei race Movement Fish-X e Fish Pro-X, cui si aggiunge la novità Gold Fish-X. Pro-X che, come in passato, si differenziano dal resto della gamma per densità e orientamento del carbonio, adattati in base alle diverse aree dello sci rinunciando ai collanti. Nel dettaglio, rispetto al vecchio modello il peso cresce da 610,5 a 655,5 g: risultato comunque al vertice della categoria, dato che solo i full carbon Merelli Race 160 fanno meglio (643,5 g). Ciò che cambia maggiormente, però, sono la rigidità torsionale e la resistenza elastica. Nel primo caso passando da una deformazione in punta, centro e coda rispettivamente di 30,0°, 3,0° e 29,5° a 27,0°, 2,5° e 24,5°. Nel secondo caso facendo registrare una flessione di 10,5 anziché 11,2 cm. In sintesi, i Fish Pro-X model year 2014 (MY14), che condividono sostanzialmente i rilevamenti in flessione e torsione con i ‘fratelli’ Fish-X MY14, hanno un carattere più ‘tosto’ rispetto al passato. Valori, specie in spatola e coda, ai vertici quando non da riferimento per la categoria. Capitolo a parte gli inediti Gold. Caratterizzati, a parità di misura (160 cm), da una sciancratura decisamente più generosa, da un raggio calcolato molto contenuto (16,6 m contro 21,5 m, media della categoria race) e da una portanza impensabile per i tradizionali modelli gara (1.155 cm² contro, ad esempio, 1.097 cm² di Fish Pro-X e 1.059 cm² di Ski Trab Race Aero WC).
Struttura pseudo sandwich
Top Feature 24° Grande rigidità torsionale in coda
La gamma Fish condivide la struttura pseudo sandwich con anima in legno lamellare di Karuba e pioppo avvolta con fibre di carbonio a disposizione biassiale e triassiale, rinforzata con piastre in Carbon Kevlar. La finitura superiore mediante polimeri lavora all’unisono con la struttura, così come la pressatura a caldo del film serigrafico, plasmato sul fianco dell’attrezzo sigillandolo. Un’essenza lignea anziché il comune materiale termoplastico è destinata alla realizzazione dei ‘fianchetti’.
SCHEDA TECNICA* Movement Fish-X www.movementskis.com Costruzione: pseudo sandwich Anima: legno di Karuba e pioppo con laminati di carbonio Soletta: grafite P-Tex 5000 WC Lamine: acciaio Sciancratura: 98/65/79 mm Raggio: 24,0 m (162 cm) Peso: 720 g (162 cm) Lunghezze: 156, 162 cm Prezzo: 799,00 euro *dati dichiarati IDENTIKIT LUNGHEZZA dichiarata LUNGHEZZA rilevata SCIANCRATURA rilevata CAMBER ROCKER in punta SUPERFICIE DI CONTATTO SUPERFICIE DI PORTANZA RAGGIO calcolato PESO rilevato TORSIONE in spatola TORSIONE al centro TORSIONE in coda FLESSIONE
162 cm 163,0 cm 97,6/65,3/78,7 mm 6,8 mm 0,0° 143,9 cm 1.104 cm² 22,7 m 697,5 g (693 g - 702 g) 27,0° 2,5° 24,0° 10,5 cm
PRO ............................................................................Rapporto prezzo/prestazioni CONTRO............................................................Lieve instabilità ad alta velocità
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PROVE SUL CAMPO *categoria Race
I VOTI DI SKI-ALPER
Peso
FEELING
Maneggevolezza
Stabilità in velocità
Rapporto qualità/prezzo
Top Feature 655,5 g Tra i gara, solo i Merelli Race 160 sono più leggeri (643,5 g)
Fish Pro-X MY14: camber ridotto Oltre a peso e rigidità cambia il camber di Fish Pro-X, ridotto dai 9,8 mm dei MY13 agli attuali 6,0 mm. A tutto vantaggio del contatto tra pelli e neve e dei cm di lamina che ‘mordono’ il terreno. La superficie di contatto, non a caso, passa a parità di lunghezza da 142 a 143,5 cm.
La nostra scelta
La nostra scelta? Fish Pro-X. Prezzo elitario come in passato, ma leggerezza e prestazioni ai massimi livelli. Sono cresciuti in stabilità e precisione. Da non perdere.
SCHEDA TECNICA* Movement Fish Pro-X www.movementskis.com Costruzione: pseudo sandwich Anima: legno di Karuba e pioppo con laminati di carbonio Soletta: grafite P-Tex 5000 WC Lamine: acciaio Sciancratura: 98/65/79 mm Raggio: 24,0 m (160 cm) Peso: 630 g (160 cm) Lunghezze: 150, 160 cm Prezzo: 1.099,00 euro *dati dichiarati IDENTIKIT LUNGHEZZA dichiarata LUNGHEZZA rilevata SCIANCRATURA rilevata CAMBER ROCKER in punta SUPERFICIE DI CONTATTO SUPERFICIE DI PORTANZA RAGGIO calcolato PESO rilevato TORSIONE in spatola TORSIONE al centro TORSIONE in coda FLESSIONE
160 cm 160,6 cm 97,1/65,1/78,5 mm 6,0 mm 0,0° 143,5 cm 1.097 cm² 22,7 m 655,5 g (655 g – 656 g) 27,0° 2,5° 24,5° 10,4 cm
PRO ...................................................................................................................Leggerezza CONTRO................................................................................................. Prezzo elevato
In aggiunta, beneficiano di oltre 70 mm sotto il piede, laddove i performance Dynafit PDG possono contare su 64,7 mm, e portano in dote un lieve rocker in punta (0,25°). Gold tutt’altro che cedevoli: la grande rigidità torsionale, specie in spatola (20° contro i 27° di Fish-X/Fish Pro-X, i 26,5° di PDG e i 23° di Merelli Race 166), si accompagna a una notevole risposta elastica. La flessione si attesta infatti a 8,3 cm. E il peso? Con 757 g si difendono tra i race, collocandosi, se inseriti nella più corretta categoria performance, alle spalle dei soli Merelli Race 166 (681 g), sopravanzando Dynastar Pierra Menta Rocker (1.013,5 g su 169 cm) e Ski Trab Duo Race Aero (826 g su 164 cm). SULLA NEVE 2014: si volta pagina. Fish-X e Fish Pro-X si collocano un gradino sopra i precedenti modelli. Specie la versione Pro che conferma le doti di maneggevolezza e rapidità d’inversione degli spigoli andando a correggere, almeno parzialmente, la principale smagliatura del passato: l’instabilità in velocità. In presenza di fondi ghiacciati la spatola non denota le indecisioni di un tempo e ‘morde’ con tenacia la neve. Le vibrazioni in punta di Fish-X Pro MY13? Un lontano ricordo. La coda invece conferma il solido supporto in caso d’arretramenti. Se in vista del 2014 Ski Trab ‘cala l’asso’ con i nuovi Gara Aero WC, Movement
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*categoria Performance
I VOTI DI SKI-ALPER
Peso
FEELING
non fa una piega: i Fish Pro-X sono pronti alla sfida. Quanto ai neonati Gold, eguagliano la maneggevolezza dei fratelli race, cui sommano una notevole rapidità in chiusura di curva. Complici la generosa sciancratura e il raggio contenuto, sono immediati in inserimento, specie su fondi duri trasformati dove emerge la notevole rigidità della spatola. Spatola che, rovescio della medaglia, non agevola in presenza di terreni irregolari, specie nevi smosse o crostose, richiedendo esperienza per gestirne le reazioni. Ne risente il feeling: i Gold Fish-X richiedono un discreto apprendistato per essere interpretati al meglio. Vietato arretrare in presenza di avvallamenti o cunette: la riposta elastica diventa esplosiva. Prediligono, in sintesi, fondi regolari; sia cedevoli, in forza della notevole portanza, sia compatti, grazie alla rapidità in inserimento. Non amano terreni smossi o ‘rovinati’. Sono indicati quali attrezzi da allenamento per agonisti d’alto livello, oppure come compagni di gara per racer pesanti, forti fisicamente e in possesso di un’ottima tecnica. Rientrano nella categoria performance piuttosto che race e, analogamente ai rivali Dynafit PDG, non costituiscono un’alternativa ai modelli grantour; nemmeno per escursionisti ‘fanatici’ della leggerezza. Sebbene disponibili anche nella misura 168 cm, l’impegno fisico e tecnico richiesto ne suggerisce un utilizzo esclusivamente 'race oriented'.
Maneggevolezza
Stabilità in velocità
Rapporto qualità/prezzo
SCHEDA TECNICA* Movement Gold Fish-X www.movementskis.com Costruzione: pseudo sandwich Anima: legno di Karuba e pioppo con laminati di carbonio Soletta: grafite P-Tex 5000 WC Lamine: acciaio Sciancratura: 109/71/90 mm Raggio: 18,0 m (160 cm) Peso: 750 g (160 cm) Lunghezze: 160, 168 cm Prezzo: 815,00 euro *dati dichiarati IDENTIKIT LUNGHEZZA dichiarata LUNGHEZZA rilevata SCIANCRATURA rilevata CAMBER ROCKER in punta SUPERFICIE DI CONTATTO SUPERFICIE DI PORTANZA RAGGIO calcolato PESO rilevato TORSIONE in spatola TORSIONE al centro TORSIONE in coda FLESSIONE
160 cm 159,5 cm 108,7/71,1/89,2 mm 8,7 mm 0,25° 135,8 cm 1.155cm² 16,6 m 757 g (760 g - 754 g) 20,0° 2,0° 23,5° 8,3 cm
PRO .....................................................................................................Chiusura di curva CONTRO................................................................................ Non perdonano errori
Gold Fish-X: rocker in punta
La scritta ‘Rocker 6’ identifica la lieve, anzi lievissima curvatura a culla in punta (0,25°).
Gold Fish-X: portanza generosa
108,7/71,1/89,2 mm: nessun race può vantare dimensioni generose quanto Gold Fish-X. Anche guardando alla categoria Performance, nulla possono Dynafit PDG (98,9/64,7/79,6 mm su 160 cm), Dynastar Pierra Menta Rocker (95,5/64,8/78,3 mm su 169 cm) o Merelli Race 166 (98,2/66,0/78,4 mm su 166 cm). Analogo discorso quanto a superficie di portanza: 1.155 cm² contro, rispettivamente, 1.080, 1.017 e 1.123 cm². Risultato ancor più eclatante considerando la lunghezza contenuta e il rocker in spatola dei Gold.
Top Feature 1.155 cm² Portanza da record sia tra i race sia tra i performance
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PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Alain Seletto
Dynafit PDG U
na copia carbone dei race Dy.N.A. Almeno apparentemente. I PDG condividono con il modello da gara Dynafit sciancratura, lunghezza, raggio, curvatura, superfici di contatto e portanza. Fatta eccezione per la serigrafia e lievissimi scarti dovuti a tolleranze in fase di costruzione, sembrerebbero un duplicato dei race. Ciò che cambia, infatti, è sottopelle. La struttura si compone di un’anima in legno di Paulownia, analogamente a Dy.N.A., abbinata a rinforzi in fibra di vetro e carbonio anziché esclusivamente in carbonio. Una differenza marginale? Tutt’altro. Tale cambiamento, che comporta la ridefinizione degli spessori dei laminati, inquadra i PDG nella categoria ‘performance’ anziché ‘race’ e porta in dote una crescita di peso da 710,5 a 782,5 g (+72 g). Categoria Performance che si posiziona tra race e grantour, ovvero tra il mondo dell’agonismo senza compromessi e la dimensione che, proprio del compromesso fra duttilità e prestazioni, fa un’arte. Non a caso 782,5 g da un lato collocherebbero i PDG tra i race più pesanti sul mercato: solo Bottero Ski Bec Agus (794 g), Kreuzspitze Trail Race (796,5 g) e Blizzard Mountain Attack R (803 g) farebbero peggio. Dall’altro li eleggerebbero tra i grantour più leggeri, secondi solamente ai full carbon Merelli Race 166 (681 g). Per inquadrare i PDG è necessario guardare a modelli d’analoga estrazione quali i citati Merelli e, soprattutto, Dynastar Pierra Menta Rocker (1.013,5 g su 169 cm) e Ski Trab Duo Race Aero
(826 g su 164 cm). Oltre alla massa, ciò che distingue nettamente i PDG dai ‘fratelli’ race Dy.N.A. è la rigidità torsionale, decisamente più elevata. La deformazione in spatola, centro e coda si attesta rispettivamente a 26,5°, 2,5° e 27,5° anziché 35,5°, 3,0° e 36,5°. Valori in assoluto discreti, considerando che Merelli Race 166 e Ski Trab Duo Race Aero fanno rispettivamente registrare 23,0°, 1,5° e 20,0° e 26,0°, 1,5° e 29,5°. Infine un elemento da non sottovalutare: il prezzo decisamente aggressivo. I PDG costano 550,00 euro contro gli 850,00 euro di Dy.N.A. SULLA NEVE Da un lato confermano la facilità dei race Dy.N.A. in qualsiasi condizione di neve, brillando per maneggevolezza, specie ad andature intermedie, e perdono dell’errore, consentendo anche a sciatori dalla tecnica non eccelsa di alternare senza affanno archi di curva di raggio diverso, dall’altro correggono una delle principali smagliature dei ‘fratelli’ da gara. In velocità, infatti, la spatola non va in crisi, a tutto vantaggio della stabilità, e risulta più agevole chiudere le curve, complice la superiore rigidità torsionale. Frangente, quest’ultimo, nel quale ri-
chiedono un’azione di caviglie meno marcata rispetto, ad esempio, ai concorrenti Dynastar Pierra Menta Rocker. Anche qualora caricati con decisione non scappano da sotto il piede. Unico appunto, la risposta elastica è sin troppo votata alla progressività piuttosto che all’esplosività. Se paragonati ai Dy.N.A. non mutano rapidità in inserimento, flessione tendenzialmente morbida e capacità di copiare il terreno favorendo l’assorbimento delle sollecitazioni e il contatto tra lamine e fondo. Sono indicati quali attrezzi da allenamento per agonisti d’alto livello, oppure come compagni di gara per racer dalla tecnica non eccelsa, alla ricerca di sci intuitivi e dal feeling immediato che non creino difficoltà nei frangenti più delicati. Possono rappresentare una valida scelta per escursionisti ‘fanatici’ della leggerezza? Facilità e perdono dell’errore suggerirebbero una risposta positiva, ma la lunghezza molto contenuta, così come galleggiamento e facilità d’emersione dalle croste decisamente inferiori alla media dei modelli grantour, consigliano un utilizzo esclusivamente 'race oriented'.
I concorrenti Dynastar Pierra Menta Rocker Derivano dai race Pierra Menta Rocker Carbon, con i quali condividono la sciancratura di 96/65/79 mm. Risposta elastica poderosa. A parità di lunghezza (160 cm contro 161) sono nettamente più pesanti di Dynafit PDG (958,5 g anziché 782,5 g). Disponibili anche in misura superiore (169 cm) e caratterizzati da un discreto rocker in spatola (1,5°), sono lievemente più stabili in velocità, ma decisamente meno intuitivi e maneggevoli dei PDG. Costano 598,00 euro. www.dynastar.com
Merelli Race 166 Massima espressione della leggerezza: 681 g su 166 cm e peso specifico di 4,13 g/cm contro i 4,86 g/cm di PDG. L’unica differenza rilevante rispetto al modello race da cui derivano consiste nella lunghezza (166 cm anziché 160). Maneggevoli e rapidi nell’inversione degli spigoli, si adattano a qualsiasi raggio di curva. Monoscocca 100% in carbonio. Rigidità torsionale superiore a Dynafit, non così la resistenza alla flessione (10,3 cm invece di 8,8 cm). Prezzo più elevato: 730,00 euro contro i 550,00 euro di PDG. www.merelliski.it
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I VOTI DI SKI-ALPER
Top Feature Rinforzi in fibra di vetro e carbonio
4,86 g/cm: secondi a Merelli Il peso specifico dei PDG si attesta a 4,86 g/cm contro i 4,13 g/ cm dei full carbon Merelli Race 166. Un ottimo risultato alla luce del prezzo sensibilmente inferiore (550,00 euro anziché 730,00) e considerando che i rivali Dynastar Pierra Menta Rocker e Ski Trab Duo Race Aero fanno registrare rispettivamente 5,99 g/cm e 5,08 g/cm.
Peso
FEELING
Maneggevolezza
Flessione simile a Dy.N.A. Rispetto ai race Dynafit Dy.N.A. non muta sostanzialmente la rigidità strutturale, dal momento che la flessione rilevata si attesta a 8,8 cm anziché 8,5 cm. Dynastar Pierra Menta Rocker, Merelli Race 166 e Ski Trab Duo Race Aero fanno rispettivamente registrare 6,4, 10,3 e 8,2 cm.
Spatola generosa Con una larghezza rilevata di 98,9 mm la spatola dei PDG è tra le più ampie della categoria Performance. Sopravanza, seppur di poco, Dynastar Pierra Menta Rocker (95,5 mm), Merelli Race 166 (98,2 mm) e Ski Trab Duo Race Aero (95,5 mm).
Ski Trab Duo Race Aero Lunghezze e sciancratura dichiarate (96/64/78 mm su 164 cm) identiche ai race Ski Trab Duo Race Aero WC. Analogamente a Dynafit, la rigidità torsionale è superiore al modello da gara dal quale derivano. Peso più elevato rispetto sia ai ‘fratelli’ World Cup (826 g contro 715 g su 164 cm) sia ai PDG (782,5 g su 161 cm). Rispetto a questi ultimi sono allineate la resistenza tanto alla flessione quanto alla torsione. Prezzo nettamente superiore: 729,90 euro contro 550,00 euro. www.skitrab.com
Stabilità in velocità
Rapporto qualità/prezzo
Coda a punta Analogamente ai race Dy.N.A., la conformazione a punta della coda agevola l’inserimento degli sci nei laccioli dello zaino.
SCHEDA TECNICA* Dynafit PDG www.dynafit.it Costruzione: sandwich/cap Anima: legno di Paulownia con laminati in fibra di vetro/carbonio Soletta: grafite sinterizzata Lamine: acciaio Sciancratura: 99/65/80 mm Raggio: 25,5/20,0 m Peso: 800 g Lunghezze: 161 cm Prezzo: 550,00 euro *dati dichiarati IDENTIKIT LUNGHEZZA dichiarata 161 cm LUNGHEZZA rilevata 161,0 cm SCIANCRATURA rilevata 98,9/64,7/79,6 mm CAMBER 7,0 mm ROCKER in punta 0,0° SUPERFICIE DI CONTATTO 140,3 cm SUPERFICIE DI PORTANZA 1.080 cm² RAGGIO calcolato 20,0 m PESO rilevato 782,5 g (783 g – 782 g) TORSIONE in spatola 26,5° TORSIONE al centro 2,5° TORSIONE in coda 27,5° FLESSIONE 8,8 cm PRO ...............................................................................................Recupero dell’errore CONTRO.........................................Risposta elastica lievemente appannata
Condizioni del test Luogo: ................................................................................................ Cervinia (AO) Temperatura: .............................................................................da -11°C a -8°C Condizioni atmosferiche: ..................................................................... sereno Neve: .........................................polverosa, a tratti parzialmente ventata Attacchi:........................................................Dynafit Low Tech Race Manu Pelli:.........................................................................................Dynafit Race Ready
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PROVE SUL CAMPO TESTO E FOTO: Sebastiano Salvetti TESTATORE: Fabrizio Pistoni
Ice Bug Anima BUGrip
Top feature 2,5 mm
chiodi dalla notevole lunghezza
19 chiodi per correre ovunque. Nonostante la suola apparentemente dedicata ai soli fondi innevati, garantiscono elevate prestazioni anche in presenza di terreni morbidi e roccia. Leggerissime, si avvicinano al minimalismo: grande reattività ma ammortizzazione limitata Diciannove chiodi. Quasi un record per le scarpe svedesi da trail running invernale. Basti pensare che le rivali Salomon Spikecross 3 CS e Inov-8 Oroc 280 sono dotate ‘solamente’ di 9 chiodi, mentre le Asics GelArctic 4 WR si attestano a 10. Nonostante ciò il peso è da riferimento: 297 g nella misura 42,5 EU. Un valore degno di una scarpa da corsa su strada di categoria A3 (massimo ammortizzamento), inferiore alle citate Spikecross 3 CS (329 g taglia 42 2/3 EU) e a concorrenti non chiodate quali La Sportiva Crossover GTX (376 g - 42 EU) e Scott eRide Aztec3 (338 g - 41 EU). Leggerezza favorita dalle dimensioni decisamente contenute: 287 mm di lunghezza anziché i 310 mm di Spikecross 3 CS o i 295 mm di Crossover GTX. L’allacciatura mediante stringhe tradizionali è asimmetrica e si accompagna a una calzata singolare, caratterizzata da volumi generosi nella zona dell’avampiede cui fanno da contraltare spazi interni decisamente aggressivi in corrispondenza di arco plantare e tallone. L’ampiezza dell’alloggiamento tallonare, ad esempio, si attesta a 54 mm contro i 60 mm di La Sportiva Crossover GTX e i 62 mm di Salomon Spikecross 3 CS. Disponibili anche in versione lady, sono dotate di un inserto antishock in foam ‘annegato’ nell’intersuola in corrispondenza del tallone. OFF ROAD Fittamente chiodate sì, ma all’insegna della polivalenza. Le Anima BUGrip hanno nella duttilità e capacità di adattarsi a diversi tipi di terreno il principale punto di forza. Contrariamente alla maggioranza dei modelli dotati di chiodi, garantiscono una corsa naturale tanto
lungo fondi innevati e ghiacciati quanto in presenza di superfici meno estreme come fango, terreno umido e rocce montonate. Specie in presenza di pietre, nonostante la rilevante lunghezza dei chiodi (2,5 mm contro gli 1,5 mm di Salomon Spikecross 3 CS), non creano problemi di stabilità e feeling. Merito soprattutto dell’intersuola che consente un limitato ‘arretramento’ dei tasselli chiodati, adattandosi al fondo senza ripercussioni sul comfort. La calzata richiede un minimo di assuefazione, dati gli ampi volumi all’avampiede cui si contrappongono spazi risicati in corrispondenza di tallone e arco plantare. Configurazione che favorisce la circolazione sanguigna e la fase di spinta, ma che limita
in parte il feeling nei traversi più tecnici. Ottime, invece, sensibilità e reattività, a tutto vantaggio della trasmissione degli impulsi. Dedicate a qualsiasi trail runner? Più che a ogni corridore, sono dedicate a ogni terreno. L’impostazione discretamente minimalista, ovvero con un limitato sbalzo (8 mm dichiarati) tra lo spessore ammortizzante in corrispondenza del tallone e dell’avampiede, rende Anima BUGrip adatte soprattutto a runner dall’appoggio orientato verso mesopiede e avampiede. Quanti adottano la rullata tradizionale, ovvero la transizione tacco, pianta, punta, potrebbero lamentare un’eccessiva trasmissione delle sollecitazioni in fase d’impatto con il suolo.
Le concorrenti Salomon Spikecross 3 CS I nove chiodi garantiscono un grip molto elevato, permettendo di correre ‘in spinta’ anche su roccia. Il feeling con il terreno è inferiore a IceBug, così come reattività e precisione nella trasmissione degli impulsi. In compenso l’ammortizzazione nella zona tallonare risulta decisamente superiore. Pressoché identiche, quindi non da riferimento, precisione e stabilità nei traversi. Nella misura 42 2/3 pesano 329 g: 32 g più di Anima BUGrip. Costano 160,00 euro. www.salomonrunning.com
Inov-8 Oroc 280 Votate al natural running, ovvero all’appoggio in corrispondenza di mesopiede e avampiede, non puntano affatto sull’ammortizzazione quanto piuttosto su reattività e trasmissione degli impulsi. La vocazione minimalista è sensibilmente più marcata rispetto a IceBug Anima BUGrip. Sbalzo tra spessore ammortizzante in corrispondenza del tallone e dell’avampiede pari a 6 mm dichiarati. Sono dotate di 9 chiodi. Il peso, secondo la Casa, si attesta a 280 g nella misura 42 EU. Costano 130,00 euro. www.inov-8.com
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I VOTI DI SKI-ALPER
Peso
REATTIVITà
Ammortizzazione
Trazione
SCHEDA TECNICA* Ice Bug Anima BUGrip www.icebug.se Tomaia: mesh in Nylon + laminati di poliuretano Fodera: mesh in Nylon e foam Intersuola: Eva a iniezione Sottopiede: foam Allacciatura: asimmetrica mediante lacci tradizionali Suola: Ice Bug in gomma monomescola + 19 chiodi Peso: 275 g (42 EU) Misure EU: da 40 a 47 Colori: verde/nero, giallo/nero Prezzo: 201,00 euro *dati dichiarati IDENTIKIT MISURA 42,5 EU LUNGHEZZA 287 mm LUNGHEZZA ALLOGGIAMENTO PIEDE 265 mm PESO 297 g PESO ESOSCHELETRO 277 g PESO SOTTOPIEDE 20 g SPESSORE SOTTOPIEDE 4,5 mm (ant.) / 4,5 mm (post.) AMPIEZZA APPOGGIO ANTERIORE 105 mm AMPIEZZA APPOGGIO ARCO PLANTARE 53 mm AMPIEZZA APPOGGIO POSTERIORE 80 mm AMPIEZZA ALLOGGIAMENTO AVAMPIEDE 90 mm AMPIEZZA ALLOGGIAMENTO ARCO PLANTARE 60 mm AMPIEZZA ALLOGGIAMENTO TALLONE 54 mm ALTEZZA TOMAIA AI MALLEOLI 60 mm TASSELLI LUNGO LA SUOLA 50 (19 chiodati) PROFONDITÀ TASSELLI ANTERIORI 5,2 mm – 7,7 mm con chiodi PROFONDITÀ TASSELLI POSTERIORI 5,2 mm – 7,7 mm con chiodi MADE IN Cina PRO..............................................................................................Trazione su qualsiasi terreno CONTRO................................................................................................. Precisione nei traversi Condizioni del test Luogo:............................................................................................................................. Andrate (TO) Temperatura:.......................................................................................................... da -2°C a +1°C Condizioni atmosferiche:..............................................................................nuvoloso, neve Terreno:......................................................................neve, fango, erba, rocce montonate
Asics Gel-Arctic 4 WR Acquistabili online, sono dotate di 10 chiodi (sostituibili). La tomaia è in mesh e pelle sintetica. Forti di un generoso sistema ammortizzante in gel in corrispondenza sia del tallone sia dell’avampiede, sono ideali per quanti hanno uno stile di corsa tradizionale, basato sulla comune rullata. Pesano, in base a quanto dichiarato, 371 g nella misura 42 EU. Ben 73 g più di Anima BUGrip! Costano 120,00 dollari (circa 91 euro). www.asicsamerica.com
Stabilità nei traversi
qualità/prezzo
Linguetta ‘a velo’ La linguetta, sottilissima, è caratterizzata da inserti traspiranti.
Inserto tallonare antishock L’inserto ammortizzante in foam, materiale sintetico a struttura alveolare, ‘annegato’ nell’intersuola in corrispondenza del tallone. Favorisce l’assorbimento delle sollecitazioni in fase d’appoggio.
Tasselli evocativi I 19 chiodi da 2,5 mm sono innestati in evocativi tasselli in gomma a forma di ‘insetto artico’, identici al logo dell’azienda svedese.
Sottopiede ‘piatto’ Il sottopiede in foam idrorepellente è decisamente ‘piatto’ alla luce di uno spessore di 4,5 mm sia anteriormente sia posteriormente. Un indizio della discreta vocazione ‘minimalista’ di Anima BUGrip.
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ALIMENTAZIONE testo: Fabio Menino e Paolo Conti
Parola d'ordine: bere! Come integrare le energie perse durante un trail? Ecco cosa mangiare e le esperienze di alcuni atleti. L'importanza dell'idratazione
C
ome abbiamo visto nel numero scorso sono circa 700 le kcal all’ora consumate da una persona di 70 kg che corre ai 10 km/h. Aumentando la velocità, per esempio ai 12 km/h, il dispendio energetico, sempre nell’unità di tempo di un’ora, salirà a 840 kcal. Uno studio effettuato da O’Brien nel 1993 (Carboydrate dependence during marathon running) indica che, a seguito di una corretta alimentazione generale, e in particolare di quella che precede la gara, possiamo disporre mediamente di circa 2.000 kcal provenienti dagli zuccheri, un numero elevatissimo di kcal provenienti dalle scorte di grassi e una piccola scorta di kcal dalle proteine. Queste sono quindi le scorte di energia disponibili che possiamo avere alla partenza di una gara. Relativamente alle kcal dei grassi, è necessario però premettere due aspetti molti importanti; i grassi possono essere consumati solo insieme agli zuccheri e il loro utilizzo influisce negativamente sulla prestazione
finale a causa della maggior richiesta di ossigeno per caloria prodotta rispetto agli zuccheri. Esaurire la scorta di zuccheri durante una competizione sportiva genera inevitabili cali di rendimento o addirittura il probabile ritiro. Per una competizione di 40 chilometri, e sempre per l’ipotetico atleta di 70 chili, ne deriva che sarà necessario sopperire alle 800 kcal mancanti (700 kcal + 4 ore = 2.800 kcal – 2.000 kcal). Ipotizzando un consumo regolare durante l’intera competizione, questo si traduce in 400 kcal all’ora per chi corre ai 20 km/h e 200 kcal all’ora per chi invece corre ai 10 km/h. Per una gara di lunga distanza come l’UTMB (160 km) il calcolo del consumo complessivo supera le 11.000 kcal e per una come il Tor des Géants (330 km) addirittura le 23.000. In questi casi la corretta integrazione in gara assume un ruolo più che fondamentale. Quali alimenti sono più adatti per far fronte a questo fabbisogno e, in definitiva, per avere una condotta di gara efficiente?
Ristori o autosufficienza? Abbandonando i calcoli empirici e i relativi numeri che ne conseguono, alcune precisazioni sono d’obbligo. Il cibo assunto in gara deve necessariamente avere alcune caratteristiche peculiari e queste devono assecondare il più possibile le soggettività proprie di ciascun individuo. Un alimento può avere un’importanza dal punto di vista energetico ma la può avere anche da quello psicologico e questo elemento non è da sottovalutare in particolare man mano che si allunga il tempo di percorrenza. Nelle ultra distanze, per esempio, avere la possibilità di assumere il proprio cibo preferito in una condizione psicofisica particolarmente difficile, può costituire un aiuto che va oltre la corretta assunzione di energia e di relative kcal utili. Una buona regola di base è quella di sperimentare la tipologia di cibi durante gli allenamenti per valutarne le caratteristiche principali come l’efficacia, il gradimento, la digeribilità, il relativo deperimento a determinate temperature ed eventuali controindicazioni che possono appunto variare da individuo a indivi-
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Nelle pagina accanto. Un rifornimento durante la Dolomites Skyrace ©Ralf Brunel Qui sotto, in senso orario dall'alto a sinistra. Un momento di sosta nell'ultima edizione dell'UTMB, i preparativi dello zaino prima della partenza dell'UTMB, un punto ristoro e un altro momento di sosta nell'ultima edizione dell'UTMB. ©TNF UTMB/Pascal Tournaire
duo. Per una corretta pianificazione del regime alimentare da adottare in gara è inoltre necessario considerare altri aspetti fondamentali quali la distanza della prova, la possibilità o meno di avere un’assistenza personalizzata e il numero e la tipologia di ristori messi a disposizione degli organizzatori. Questi due aspetti generano necessariamente differenti strategie in merito all’alimentazione. Nel panorama delle corse outdoor troviamo infatti distanze comprese tra i 2 chilometri dei vertical, dove il tempo di percorrenza solitamente è inferiore all’ora, e gli oltre 300 chilometri delle prove più lunghe a tappa unica che richiedono uno sforzo prolungato per più giorni. Per quanto riguarda la tipologia di ristori, invece, si va dall’assistenza completa alla totale autosufficienza alimentare. Questo aspetto esprime sostanzialmente la filosofia degli organizzatori. Si può andare, per esempio, da una classicissima skyrace come il Giir di Mont, con 11 ristori tra liquidi e solidi in 33 chilometri di gara, alla storica ultra Le Porte di Pietra che prevede 5 ristori unica-
mente liquidi in 71 chilometri. Nel primo caso, anche se nessuno vieta a un concorrente di correre con il proprio zainetto o marsupio per portarsi dietro la riserva alimentare, la gara è impostata per offrire una completa assistenza. Nel secondo caso, invece, a meno che non si abbia un’assistenza personalizzata lungo il percorso, è necessario provvedere all’aspetto legato all’alimentazione e integrazione. Ed è proprio in questa tipologia di manifestazioni che una corretta pianificazione assume un ruolo strategico e fondamentale. È quindi buona norma studiare attentamente i regolamenti delle singole manifestazioni cercando di comprendere al meglio quale tipologia di ristori metterà a disposizione dei concorrenti l’organizzazione. Abbiamo chiesto ad alcuni atleti di raccontarci le loro abitudini alimentari in alcuni frangenti specifici. Ne esce fuori un quadro molto variegato che comprende praticamente tutte le casistiche possibili, da chi utilizza quasi esclusivamente i ristori, a chi si porta la riserva alimentare e a chi non utilizza nulla.
L'integrazione degli atleti in gara Un interessante esempio di integrazione in gara ci viene fornito da Massimo Tagliaferri, classe 1969, decimo classificato all’UTMB 2008 in 24h 24’ 22’’ e ultimo italiano a essere riuscito a ottenere un risultato simile nella prestigiosa gara francese. Massimo ha curato la gestione dell’alimentazione e della reidratazione per l’UTMB in modo scrupoloso nei mesi prima della gara. Si è avvalso dell’assistenza di sua moglie Moira, pianificando nel dettaglio ogni singolo ristoro. Per le prime ore di gara ha utilizzato barrette 'a zona' che avevano anche un discreto contenuto proteico. Successivamente ha iniziato ad alternare barrette a gel e, dal chilometro 100 circa, quasi esclusivamente gel più qualche pezzo di formaggio. Oltre a trarne beneficio fisico, Massimo ha sostenuto che erano le uniche cose che riusciva a introdurre. Dalle sue parole emergono degli aspetti molto importanti: «Nel complesso credo di essermi alimentato bene. Negli ultimi 20 chilometri ho trascurato un po’ l’apporto alimentare, cosa che mi ha
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ALIMENTAZIONE A sinistra. Un rifornimento all'ultima UTMB ©TNF UTMB/Pascal Tournaire. A destra il vincitore dell'ultima edizione Francois D'Haene a un punto sosta. ©TNF UTMB/Franck Oddoux
Cosa fare • assumere sempre alimenti di qualità • bere e o mangiare a intervalli più regolari possibili, senza aspettare di avvertire la sensazione di sete e o di fame • salvaguardare le scorte di sali minerali con un integratore idrosalino specifico (sport drink) • tenere il cibo più vicino possibile al corpo in modo che, quando viene assunto, non sia troppo freddo • portare sempre una quantità di nutrienti leggermente superiore di quella stimata. Questo vi permette di gestire un’eventuale situazione di deficit energetico non previsto • durante la corsa pensate alla scorta di alimenti che vi rimane. Avrete così sempre sotto controllo mentalmente la vostra disponibilità di cibo
Cosa non fare • assumere alimenti 'nuovi'. Non sapendo come può reagire l'organismo di fronte a un cibo mai provato, è bene 'testarlo' prima in allenamento • non aspettate di avere sete o fame per bere o mangiare • se in corsa si preferisce bere acqua, evitare comunque quelle povere di sodio • evitare di mangiare nelle fasi finali della corsa a meno che non si tratti di alimenti sotto forma di gel
causato una crisi, poi superata con dei gel ad assorbimento rapido. In ogni caso penso che non si riesca comunque ad assumere abbastanza cibo rispetto alle calorie bruciate. A fronte di un consumo medio di 800kcal/ora, credo di avere integrato al massimo 300-400kcal/ora e i 6 chili persi a fine gara lo dimostrano». Per la reidratazione, inoltre, Massimo ha preparato un mix di sali, malto-destrine e aminoacidi in soluzione bilanciata, ma soprattutto gradevole al gusto personale. «Credo di avere assunto più o meno un litro di liquidi ogni ora, che equivale a circa 24 litri complessivi». Ha fatto inoltre uso di molta Coca Cola, a lui molto gradita in qualsiasi momento, così come di caffè e qualche sorso di sali misti a polvere di Guaranà. A riprova di quanto scritto precedentemente sull’aspetto personale, Massimo sintetizza questo concetto: «Sono scelte molto personali, consiglio quindi a ognuno di provare e riprovare fino a trovare quello che più soddisfa e soprattutto non crea problemi a se stessi». Un approccio completamente diverso ci viene offerto dallo svizzero Marco Gazzola, classe 1972, conosciuto ai più per la sua performance spor-
tiva di altissimo livello durante il Tor des Géants 2011. Marco tende a utilizzare quasi esclusivamente quanto offerto nei ristori. Questa abitudine è costruita durante la fase di preparazione dove «già in allenamento bevo acqua, al massimo con una pastiglia di sali, e mangio barrette di cereali semplici, biscotti, pane» ed è propria di una sua filosofia sportiva. «Se in gara dovessi mangiare solo cose mie dovrei avere qualcuno che me le porta, ma sono contrario a questa pratica, o a portarmele nello zaino fin dall'inizio (peso inutile) e quindi cosa c'è di meglio del farsi sorprendere e scoprire cosa l'organizzazione offre? Biscotti, pane, cioccolato, prodotti locali e se c'è pane e Nutella ancora meglio». Marco utilizza inoltre saltuariamente delle barrette energetiche, purché non siano 'ciccose', dolci e quindi nauseanti e raramente i gel. Sceglie cosa mangiare ai ristori principalmente sulla base della digeribilità, anche quando il desiderio va in un’altra direzione: «Se guardassi la gola, opterei per pane e salame, ma preferisco mangiarlo all'arrivo con una bella birra». Sempre a riguardo del Tor des Géants, un’altra esperienza ci arriva da Giuliana Arrigoni, classe 1965,
che l’ha concluso nel 2011 in terza posizione con 102h 25’ e meno di due settimane dopo aver terminato l’UTMB. Giuliana ha cercato di ottimizzare al meglio i tanti ristori dislocati lungo il percorso e in particolare le basi vita dove è possibile rifornirsi nel modo adeguato e anche dormire. «Durante il percorso i ristori sono veramente tanti e, oltre a quelli ufficiali, ci sono quelli dei simpatizzanti. La mia strategia è stata quella di fare pasti regolari nelle basi vita dove mi fermavo circa un’oretta anche per il cambio, la doccia e un riposino». In questa sua lunga avventura Giuliana nelle basi vita ha quasi sempre optato per pasti leggeri con pasta o brodo, formaggio e mocetta e un dolce, con alcune varianti sul tema. «Mi ricordo che in un punto vita mi hanno appositamente preparato del riso bianco». Negli altri ristori ha fatto dei piccoli spuntini più per soddisfare la testa che il fisico: «A un rifugio ho mangiato una crostata fatta in casa da leccarsi i baffi mentre in un bivacco ho apprezzato tantissimo del formaggio grana, sembrava la prima volta che lo provavo in vita mia». Oltre all’acqua, ha poi bevuto regolarmente del tè e ha portato del cioccolato o della frutta secca,
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come nel periodo pre-gara, anche in corsa l’elemento energetico principale da considerare è rappresentato dai carboidrati. Durante la gara, inoltre, il cibo deve avere alcuni requisiti che nascono dal seguente principio: dal momento in cui l’atleta ha in mano l’alimento, al momento in cui quest’ultimo inizia a essere assimilato, deve passare pochissimo tempo. Quindi deve essere: di facile gestione (l’atleta, per evitare di scomporsi e di deconcentrarsi, deve prendere il cibo e portarlo alla bocca nel più breve tempo possibile); facilmente masticabile (la cavità orale, nel pieno sforzo fisico, ha bisogno di essere libera per una respirazione ottimale); di facile digeribilità e di rapida assimilazione (due requisiti che, se mancano, penalizzano fortemente la resa atletica). Infine, ovviamente, il cibo deve essere energetico! È difficile trovare alimenti che soddisfino in pieno tutte le richieste sopra riportate, considerando anche che il grado di digeribilità è soggettivo, per cui lo stesso cibo può risultare per alcuni facilmente digeribile e per altri no. Cibi potenzialmente validi sono rappresentati da frutta secca, banane, latte condensato, piccoli panini, che devono essere assunti, per quanto possibile, a intervalli regolari e in funzione delle necessità dell’atleta e del suo grado di preparazione. Un approccio più sistematico alla gestione delle energie in corsa lo si può invece ottenere con l’uso di integratori specifici che offrono maggiori garanzie in termini di praticità di utilizzo e di resa energetica. «qualcosa di energetico che nel caso di bisogno poPersonalmente consiglio, sulla base della mia espeassumere in gara. Come per l’articolo pubblicato sul tesse venirmi in aiuto». Un caso alquanto anomarienza sia come atleta che come nutrizionista, quelli numero 87 di Ski-alper, abbiamo chiesto alcuni lo ci viene invece offerto dall’americana Stevie in forma di gel, per una serie di vantaggi quali il consigli pratici a Paolo Conti, biologo nutrizionista, Kremer che la scorsa estate ha vinto la Jungfrau packaging (tascabile, resistente ma deformabile), l’ediplomato in naturopatia e collaboratore del progetto Agisko Natural Sport Nutrition. «Dal punto di levata trasportabilità e la praticità di consumo. ParMarathon di 42 chilometri, con il tempo di 3h 22’ ticolarmente valido, a mio parere, è l’Agisko Gel vista nutrizionale, gli elementi fondamentali per 42’’, laureandosi campionessa del mondo di corsa (Bioearth), la cui consistenza e composizione, tra una resa di gara ottimale sono tre: equilibrio glicein montagna su lunga distanza e sfiorando per mico, equilibrio salino e giusta idratazione. Così l’altro, non si alterano alle basse temperature. Un poco più di un minuto il record della corsa. Stevie, atleta allenato ne deve assumere una busta ogni circome è ormai sua abitudine in gara, non si è alimentata e non ha utilizzato i punti di ristoro preca 45’-60’ di gara. La dose va aumentata se il grado senti sul percorso neanche per bere. Non aveva di allenamento non è ottimale. Infine, molto importante è la corretta idratazione per mantenere liun’assistenza personalizzata e si è quindi costruita velli ottimali di acqua e di sali minerali (è ormai il titolo mondiale in completa autonomia. Silvia noto che un deficit di sali minerali è in stretta relaSerafini, classe 1989, durante l’Endurance Challenge di San Francisco di 80 chilometri, dove è LO SAPEVATE CHE... zione con il crampo muscolare). In questo caso è • il freddo può incrementare l’utilizzo dei carboidrati, arrivata quinta con il tempo di 7h 11’ 58’’, a consigliata l’assunzione di un integratore idroa opera di modificazioni endocrino-metaboliche salino specifico. Recenti studi dimostrano differenza del solito non ha avuto un’assistenza personale in gara. Riguardo al suo • è il glicogeno muscolare che non deve calare per avere che il comportamento spontaneo non riesce una buona tenuta nelle fasi finali della gara regime di integrazione ha detto: «A San a garantire una condizione di idratazione • la risposta insulinica all’ingestione di carboidrati durante Francisco ho mangiato solo barrette che ideale, deve quindi esserci attenzione verso l’attività fisica è bassa e quindi parlare di indice glicemico alto mi ero portata io nel marsupio e ho bevula cura dell’idratazione e per questo motito uno o due bicchieri di sali a ogni ristoo basso perde di significato vo si consiglia, in generale, di bere il più ro, ristori che erano abbastanza frequen• una diminuzione del 5% di acqua nell’organismo è causa possibile, compatibilmente con lo svolgersi ti, circa ogni cinque miglia». di crampi. Una riduzione superiore al 7% può causare della gara. Quindi, se nel giorno che preceallucinazioni e morte de la gara l’uso di integratori specifici può • l’Agisko Drink (Bioearth), bevuto in corsa, è in grado essere una scelta, durante la competizione Cosa mangiare di coprire tutte le richieste idrosaline dell’atleta diventa quasi una necessità. In effetti la loro Analizzate le regole di base e fatto tesoro delle • è il sodio lo ione che si perde in maggior praticità e il loro apporto energetico è tale da esperienze di alcuni atleti, proviamo adesso a quantità durante la sudorazione renderli preferibili al normale cibo». capire quale sia la tipologia ottimale di alimenti da
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AZIENDE MONTURA
Quando la natura Opere fatte con elementi naturali, che si inseriscono nel paesaggio e nel ciclo vitale. Sono quelle di Arte Sella, esposte anche all'Alpstation di Schio
A sinistra. Uno scorcio della Alpstation di Schio Sotto. Un particolare di 'Cerca'
arte vive anche fuori dai musei e dalle gallerie. Arte Sella ne è la prova più appassionante ed originale. È infatti dal 1986 che la Val di Sella in Borgo Valsugana (Tn) è diventata un’esposizione a cielo aperto, un luogo dove opere di arte contemporanea vivono dentro una natura fatta di prati e di boschi, di sassi e di acqua. Ora, complice Montura, Arte Sella si fa vedere anche fuori dalla valle dove è nata. Per averne un assaggio basta andare all’Alpstation di Schio (Vi), dove si può ammirare l’opera ‘Cerca’ dell’artista Roberto Conte. Questo affascinante intreccio di rami, nato inizialmente proprio per Arte Sella, è adesso nel negozio vicen-
tino che grazie ad esso è diventato una vetrina di cultura. «Il mio lavoro tra i boschi - spiega Conte descrivendo la sua opera-, è immaginato come incontro con qualche cosa che è da attraversare con lo sguardo, per andare con gli occhi oltre il sentiero, al di là della valle, anche al di là di noi, attraverso l’apparente vuoto nell’aria del nostro scorgere di solo un momento prima». ‘Cerca’, così come tutte le opere di Arte Sella, mostra un tipo di arte che è contemporaneamente prodotto e processo creativo. Tutto ciò che è esposto in Arte Sella si basa infatti su un profondo rispetto della natura e dei suoi tempi, le creazioni sono inserite non solo dentro la natura ma anche dentro i suoi ritmi stagionali. Create con sassi, rami, foglie,
tutte le opere vivono il loro naturale declino, rovinandosi con gli anni, senza l’arroganza di voler imporsi sul luogo che le ospita, scegliendo piuttosto di inserirsi umilmente dentro il ciclo vitale. La collaborazione con Arte Sella testimonia ancora una volta quanto sia fondamentale per Montura il rapporto tra ambiente ed arte. E tale filosofia aziendale trova un ulteriore spazio anche all’interno del Trento Film Festival dove quest'anno, dal 25 aprile all’8 maggio, viene patrocinata una mostra fotografica su Arte Sella. Il tutto mentre a Schio ci si aspetta già che altre opere tratte dalla Val di Sella vengano esposte nel locale Alpstation, destinato a diventare sempre www.montura.it più un luogo di cultura.
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Nelle immagini. In alto a sinistra. Giuliano Mauri, Cattedrale Vegetale, 2001 ©Arte Sella - foto Giacomo Bianchi Sopra. Paul Feichter, Rotazione, 2011 ©Arte Sella - foto Giacomo Bianchi In basso a sinistra. Alois Steger, Spirale, 2011 ©Arte Sella - foto Giacomo Bianchi Sotto. Anton Schaller, Rifugio, 2011 ©Arte Sella - foto Giacomo Bianchi In basso a destra. Urs Twellmann, Bosco Geometrico, 2012 ©Arte Sella - foto Giacomo Bianchi
Il 'credo' di Arte Sella 1. L’artista non è più il protagonista assoluto come avveniva solo con l'esperienza della Land Art, caratterizzata da segni fortemente "impressivi" nel territorio; 2. La natura va difesa come scrigno della memoria dell’individuo; 3. Il rapporto con l’ecologia si modifica: la natura non è più protetta, ma interpretata nella sua essenza, è una fonte di sapere e di esperienza; 4. Le opere vivono dentro una spazio e un tempo precisi, e sono create privilegiando l’uso di materiali organici, non artificiali. Esse escono dal paesaggio, lo abitano per poi tornare, secondo i tempi della natura, a farvi parte. Arte Sella prevede un vero e proprio percorso 'ArteNatura' e due spazi espositivi: Malga Costa e gli Spazi Livio Rossi, nel cuore di Borgo Valsugana. www.artesella.it
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karpos TESTO: Guido Valota FOTO: Manrico Dell'Agnola
KARPOS
Alessandro Follador È uno degli atleti più forti in ambito ski-alp race, al punto da aver anche vestito la divisa della nazionale. Ma è soprattutto un amante della montagna a tutto tondo, a cui dedica la sua vita e su cui basa i progetti per il futuro
aveva detto il 'Becca': «Se devi intervistare qualcuno bravo, vai a sentire il 'Folla'! Guarda che lui è fortissimo e quest'anno si è preparato davvero bene». In effetti ci ricordavamo del suo nome nelle squadre del fondo e poi era sbucato anche nella classifica del terribile Vertical di Fully del 2011, al quarto posto tra gli specialisti. E così abbiamo seguito il consiglio e siamo andati a conoscere meglio Alessandro Follador.
to questo stile di vita che è lo ski-alp, questo modo di andare dove voglio, non riesco più a rientrare in un anello per il fondo e a girare su una pista battuta». Segui programmi di allenamento con metodo? «No, faccio di testa mia. Dopo tanti anni di allenamenti si acquisisce una certa consapevolezza e si capisce da soli cosa è giusto fare. Questa estate ho lavorato tanto e bene, ma ora sto seguendo un corso per il soccorso alpino in Guardia di Finanza e mi resta poco tempo per allenarmi».
Un altro ex-fondista! Quando sei passato alle pelli? «Avevo provato con qualche garetta notturna l'anno precedente e poi nel 2008 ho partecipato alla mia prima Transcavallo. Sempre nel 2008 ho partecipato alla Patrouille des Glaciers con due amici che erano rimasti senza socio: è stato solo un divertimento, ci abbiamo messo 12 ore!».
Gareggi anche nelle altre stagioni? «Una volta gareggiavo molto nella mountain bike. Ora la bici l'ho messa un po' da parte, anche se non è del tutto abbandonata. Trovo ancora il tempo per qualche gara, un po' con la mountain bike o per una granfondo su strada».
E poi niente più sci di fondo? Neanche per cambiare ogni tanto? «No! Mi sono bastati tutti quegli anni. Ho iniziato da bambino, come tutti. Poi da giovane sai com'è, magari ti butti anche troppo in una sola cosa e tralasci il resto. Ora che ho impara-
Qual è il tuo allenamento preferito? «Partire e stare in giro tanto. In montagna, fuori dalle piste; e adesso che il sole è più alto, la neve più stabile, io vado molto meglio. Se capita e ho tempo, esco anche due volte al giorno. E poi c'è il telemark, che mi piace».
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Nelle foto. Alessandro al Col Margherita
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Karpos
Quindi tanta montagna, anche oltre le gare. «Soprattutto montagna! È la mia vera passione. Trovo il modo di girare con gli sci nelle mie zone, sulle Pale, sull'Antelao. Se c'è neve bella qui abbiamo dei bei canali ripidi e lunghi. Con le gare che finiscono tardi è difficile riuscire ad andare anche in posti lontani da casa per vedere montagne nuove, ma ho diversi progetti nel cassetto per i prossimi anni. Magari qualche gara in meno e un po' di montagna in più. È dura, se c'è neve bella e bel tempo, restare fermi perché il giorno dopo c'è la gara! Poi mi piace arrampicare su roccia. Vie classiche, da proteggere: riesco a viaggiare sul VIVII dolomitico, il mio grado è quello. Sì, la mia vera passione è la montagna, quindi anche nel tempo libero e con Giorgia si va in vetta. E poi lei è bravissima, mi asseconda, mi segue e mi sostiene, però non arrampica molto, perché è un po' timorosa. Anche al mare deve esserci un po' di roccia vicino alla spiaggia. Come la vacanza con il Becca e le morose in Sardegna, ad arrampicare a Cala Goloritzè».
In questa pagina. Alcuni scatti di Alessandro Follador in allenamento e un'immagine dell'edizione 2013 del Tour de Sas ©tourdesas
Che tipo di gare preferisci? «Quelle fuori pista, abbastanza lunghe. Vedo che sulla distanza lunghissima perdo. Tranne che al Mezzalama: lì non ho sofferto la quota e ho finito bene». Su quale terreno vai meglio? Sei un discesista o preferisci la salita? «Sono abbastanza equilibrato: vedo che perdo lo stesso da quelli forti sia in salita che in discesa!». Alessaandro scherza e non si prende troppo sul serio. Eppure in questa stagione ha già dimostrato di essere tra i più forti e le grandi classiche di fine stagione lo potrebbero vedere tra i protagonisti.
Alessandro Follador Alessandro Follador è nato il 18 aprile 1983 e vive a Falcade (Bl). È appuntato finanziere e sta seguendo un corso interno di specializzazione nel soccorso alpino. Fa parte da tempo del CNSAS civile (soccorso alpino) come volontario. È maestro di sci di fondo specializzato nel telemark, corre per Dolomiti Ski Alp con sci e attacchi Ski Trab, scarponi Scarpa, attrezzatura Camp, vestiario Karpos ed è sostenuto anche da Bellus Music Shop. Nel suo palmarès spiccano il quarto posto al trofeo Mezzalama 2011 con Thomas Trettel e Nejc Kuhar, il terzo posto alla Sellaronda 2013 con Daniele Pedrini, il secondo posto al Campionato Italiano Vertical 2011 al Nevegal dietro a Dennis Brunod. In precedenza aveva corso con gli sci da fondo, fino a essere convocato in squadra nazionale Junior tra il 2001 e il 2003, conquistando numerosi podi in gare nazionali su distanze medie e lunghe, con preferenza per lo skating.
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Dove batte Il centro ricerca dell'azienda dolomitica è guidato dall'ex ciclista professionista Andrea Peron arpos, la linea outdoor di Sportful, si è ritagliata in questi anni uno spazio sempre più definito nel mondo outdoor, in particolare il suo animo race palpita con grande forza nello scialpinismo, diventando punto di riferimento. La creazione nel 2009 del Race Department sotto la guida di Andrea Peron, ha consentito di capitalizzare le conoscenze e sinergie maturate fino a quel momento con FEDME (Federazione Spagnola di Sci Alpinismo) per dar vita a un gruppo di lavoro che fin da subito ha visto coinvolti alcuni fra i migliori atleti al mondo: Alain Seletto, Didier Blanc, fino ad aggiungere nell’ultimo anno anche il prezioso contributo di Alessandro Follador. Il vero collante e motore di questo centro ricerca è la figura di Andrea Peron, race performance director di Karpos, che dopo la lunga esperienza di professionista nel mondo del ciclismo ha potuto dare sfogo alla sua innata passione per la montagna coltivata da sempre e non ancora espressa. Proviamo a conoscerlo un po’ di più. Ogni anno qualche novità nel Team Karpos, questa volta è Alessandro Follador... «Alessandro è molto vicino a noi, non solo in termini geografici, in quanto abita a pochi chilometri dalla nostra azienda, ma proprio per il suo modo di sentire e concepire la montagna e lo scialpinismo. Un atleta completo, scrupoloso e un amante delle nostre Dolomiti. Un prezioso collaboratore del nostro Race Department che comprende oltre a Didier ed Alain anche Xavier Gachet, Erwin Deini, Mauro Darioli». So che lavorate molto anche con il settore giovanile. Cosa ci dici in proposito? «Verissimo, stiamo cercando di far crescere un gruppo di giovani atleti che potranno essere i campioni del domani. Ne sono una riprova gli ottimi risultati ottenuti da Davide Magnini, recente Campione del Mondo a Pelvoux». Perché è nato il Karpos Race Department? «Perché vogliamo praticare la nostra passione appieno e per fare questo creiamo i nostri strumenti di lavoro, i capi, con la cura e l’attenzione tipici di un’artigianalità che solo aziende manifatturiere come la nostra possono avere. Tutto questo diventa per noi un’experience da condividere con chi pratica questo sport che ci fa battere il cuore».
Una vera mission, ma come nascono i capi della Linea Race di Karpos? «Nascono ovviamente sul campo. Sul campo di allenamento e di gara. Mi capita spesso di allenarmi con gli atleti del team e anche di gareggiare assieme a loro. Ci confrontiamo continuamente e raccolgo ogni singolo spunto, lo rielaboro e poi lo trasformo, una volta rientrato in azienda, in nuove soluzioni, nuovi capi che poi testiamo per settimane, con le condizioni meteo più disparate. Un capo Karpos prima di essere inserito in collezione viene provato sia in allenamento che in gara da molti atleti per essere certi di aver realizzato un prodotto che dia valore a chi poi lo sceglierà». Cosa avete realizzato di recente? «All’ultimo Ispo abbiamo presentato il completo Alagna: Pant e Jacket. Si tratta di capi da allenamento, versatili e comodi, che sostituiscono la tuta, o come per la Jacket, che possono essere indossati sopra la tuta, la Race Suit, nelle giornate fredde». Abbiamo notato che i vostri prodotti richiamano spesso nomi di località. Come mai?
«Non è una regola, ma piuttosto una consuetudine che ci siamo dati in azienda per connotare il terreno su cui vengono preferibilmente utilizzati i capi. Nella collezione outdoor prendiamo spunto dalle vette delle nostre Dolomiti. Per la collezione Race rendiamo omaggio al gruppo del Monte Rosa, dove lo ski-alp si pratica da dicembre a giugno, e in quest’anno di Mezzalama ci sembrava un ulteriore motivo per celebrarlo. Quindi abbiamo chiamato Alagna questi due capi perché hanno un taglio race, ma al contempo sono molto confortevoli, senza tralasciare quei dettagli tecnici quali il collo alto e avvolgente per proteggere dal vento, le tasche interne per le pelli, quella di sicurezza per l’Artva, la tasca con zip per le barrette energetiche. Tutti elementi indispensabili in un capo per gli allenamenti, o per lo ski touring». Cos’altro sta 'bollendo in pentola'? «Abbiamo in cantiere svariati progetti, alcuni particolarmente stimolanti che potrete scoprire a breve, magari proprio addosso ai nostri atleti. Teneteli d’occhio!».
Alagna Jacket & PANT Tasche e reti interne per le pelli Thermodrytex Double
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PESO 405g ISOLAMENTO: PROTEZIONE NEVE: PROTEZIONE VENTO: TRASPIRABILITÀ:
Thermodrytex PL+ Giacca secondo strato, tecnica, realizzata con tessuti termici ed elastici, con taglio e vestibilità race. Estremamente flessibile nell’utilizzo, amata dagli atleti per allenamenti frequenti e dagli appassionati di montagna e dello scialpinismo ogniqualvolta ci siano condizioni meteo non esasperate.
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AZIENDE DYNAFIT
La scelta Conosciamo meglio Alba De Silvestro, la Junior veneta protagonista in Coppa del Mondo e ai Mondiali di Pelvoux
i è rivelata al mondo dello scialpinismo vincendo a inizio stagione le due prove di Coppa del Mondo in Valle Aurina, sbaragliando la concorrenza delle avversarie nella categoria Junior, ma gli addetti ai lavori, già dal suo esordio lo scorso anno, erano pronti a scommettere su di lei. Alba De Silvestro,18 anni da compiere il prossimo ottobre, si divide tra gli studi all’Istituto Tecnico per Periti Edili di Pieve di Cadore e la preparazione allo scialpinismo: «Mi alleno cinque, a volte sei giorni alla settimana, comprese un paio di uscite di corsa a piedi - commenta la giovane bellunese - ma sono gli allenamenti con sci e pelli che prediligo». Certo, le sedute con l’attrezzo specifiche sono le più importanti: «Ho scelto Dynafit perché cercavo uno scarpone che non mi creasse problemi e così ho scoperto DyNA Evo, ottimo e affidabile e da lì allo sci il passaggio è stato rapido e soddisfacente, perché il Dy.N.A. si comporta bene anche in neve fresca». E lo dice a ragion veduta, lei prima di approdare al mondo dello skialp ha avuto un trascorso agonistico nello sci alpino. «La scelta dell’equipaggiamento è importante, soprattutto in una disciplina tecnica come lo scialpinismo: per esempio mi trovo molto bene con le pelli Pomoca, sia per tenuta che per scorrimento». Cresciuta in una famiglia di sportivi appassionati ma non agonisti (la sorella Martina, di tre anni più grande, è maestra di sci), Alba si gode i recenti successi ai Mondiali di scialpinismo in Francia, nella categoria Junior, dove ha conquistato ben tre ori nelle gare Individuale, Vertical e staffetta e un argento nella Sprint. «Sì, sono davvero felice e soddisfatta. Ho raggiunto i miei obiettivi stagionali» ha commentato la ragazza di Padola. Ma cosa spinge una ragazza di 17 anni a scegliere lo scialpinismo? «A me piace perché lo posso fare anche da sola e, soprattutto, lo posso praticare
A sinistra. Alba De Silvestro in azione ai Mondiali di Pelvoux ©Zoom Sotto. Alba De Silvestro sul podio della gara individuale dei Mondiali ©Zoom
quando ho voglia: bastano la neve e un paio di pelli e io sono felice - sorride mentre ci spiega l’attrazione fatale con la disciplina, e aggiunge - non devi aspettare che aprano gli impianti». Non è un lupo solitario: Alba è una teenager come tante, lei stessa si definisce 'una ragazza normale'. Ma di certo quando inforca sci e scarponi la normalità lascia il posto alla determinazione. Ne sentiremo parlare, potete scommetterci. www.dynafit.it
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EVENTI PROWINTER
Appuntamento Grande interesse per lo scialpinismo a Prowinter di Bolzano, che per il secondo anno consecutivo dedicherà ampio spazio a questa disciplina, con un programma dedicato e numerosi appuntamenti con aziende e istituzioni. Dal 17 al 19 aprile
ppuntamento a Prowinter, la fiera internazionale del noleggio e dei servizi per gli sport invernali, dal 17 al 19 aprile a Bolzano. Un evento pensato per i professionisti del noleggio, un mercato sempre più importante nel panorama degli sport invernali, che dall'anno scorso ha dedicato una sezione specifica allo ski-alp. Prowinter Skitouring si configura come una gallery espositiva dedicata, con una sezione apposita sul sito della manifestazione, a cui si può accedere cliccando alla voce 'Eventi', con un programma collaterale di appuntamenti che coinvolgono le associazioni e le realtà più importanti del mondo dello scialpinismo nazionale e estero. Tra le categorie merceologiche in mostra troviamo in primis attrezzature e materiali per lo scialpinismo, l’alpinismo e la sicurezza, abbigliamento tecnico per scuole, club, associazioni, appassionati e sportivi professionisti, libri, guide, accessori, gruppi e associazioni di categoria. Tra le partnership istituzionali più significative, quella con ISMF, la federazione internazionale dello scialpinismo, capofila di tutte le competizioni ufficiali di Coppa del Mondo di scialpinismo. La federazione terrà una conferenza stampa mercoledì 17 aprile alle 10. Di notevole interesse anche la collaborazione con Trento Film Festival, il noto festival internazionale di film di montagna, esplorazione e avventura, che lo scorso anno durante la fiera ha riproposto spettacolari filmati e immagini mozzafiato tratte dal proprio archivio cinematografico.
INFO Data di svolgimento: dal 17 al 19 aprile 2013 Orari di apertura: mercoledì e giovedì dalle ore 10.00 alle ore 18.00 - venerdì dalle ore 10.00 alle ore 17.00 Ingresso: riservato agli operatori Costo del biglietto: 12 euro; sconto del 50% con registrazione via Internet Informazioni: www.prowinter.it
I NUMERI Prowinter, numeri alla mano, ha saputo confermare il proprio successo anche in occasione della scorsa edizione insieme ad Alpitec, la fiera internazionale dedicata alla tecnologia alpina: 9.300 visitatori provenienti da 24 nazioni, 253 espositori in rappresentanza di 15 Paesi e un ragguardevole 99,3% di visitatori soddisfatti. L’inserimento dello scialpinismo come focus dedicato è frutto di una scelta ben precisa maturata all’interno del project team di Prowinter, scaturita dall’analisi delle tendenze e dello sviluppo del mercato degli sport invernali. Lo scialpinismo, in particolare, identifica un trend in crescita continua che, secondo recenti statistiche condotte nell’ambito dell’Osservatorio della montagna di Skipass Panorama Turismo, parla di un notevole incremento di praticanti: dai 33.000 della stagione 2010-2011, ai 36.500 del 2011-2012, ai 41.000 del 2012/13, pari a un + 12,33%.
ANCHE SKI-ALPER A PROWINTER Non poteva mancare in quest'occasione la rivista di riferimento del settore scialpinismo. Un piccolo stand ospiterà infatti la redazione di Ski-alper nei giorni della fiera e a turno tutti i nostri giornalisti saranno presenti. Vi invitiamo a venire a trovarci, per commentare i servizi che sono stati pubbliciati nella stagione, per proporre idee e collaborazioni, insomma per parlare della grande passione che abbiamo in comune per questo sport e per la montagna.
Un circuito targato Prowinter Per il secondo anno consecutivo la fiera ha avuto anche un circuito intitolato, la cosiddetta Prowinter Cup, grazie alla collaborazione con gli organizzatori dell’associazione ‘Dolomiti sotto le stelle’. Un circuito che includeva sette prove, dal Trentino all’Alto Adige, passando per il Veneto. La vittoria finale è andata a Melanie Ploner e Giovanni Lastei nella categoria Junior, Carla Iellici e Ivo Zulian nei Senior, Silvano Zorzi nei Master. La premiazione avverrà proprio nei padiglioni della fiera giovedì 18 aprile alle 16.
Noleggio e soddisfazione Anche lo scialpinismo sta entrando nel circuito del noleggio attrezzatura. A questo proposito è interessante analizzare i dati di un sondaggio sul renting realizzato dal Pool Sci Italia. Secondo quanto emerso, oltre il 60% delle persone consultate dichiara di aver usufruito almeno saltuariamente di servizi di noleggio sci (46,9% raramente, 10,7% spesso, 3,2% sempre), l’85,1% dei quali si dice completamente soddisfatto del trattamento ricevuto. Tra le motivazioni che spingono gli appassionati al noleggio troviamo, al primo posto, la comodità (30,2%), seguita dalla ricerca di un modello sempre attuale (28,2%), per finire con l’economicità (6%). Dalla quota restante, ‘altro’ (44,9%), emerge la volontà di provare prima di acquistare o trovare lo sci adatto a condizioni di neve particolari. Di gran lunga inferiori le percentuali per quanto riguarda il noleggio di scarponi che totalizza un 19,7% (16% raramente, 1,8% spesso, 0,9% sempre), cui corrisponde anche una minor percentuale di clienti soddisfatti, il 57,8%.
114 > trail running
ANTEPRIMA *dati riferiti alle sole gare italiane in Guida
278.022
105
m D+
schede tecniche
11
4.600,24
38
18.783
56
1.050
km
Vertical race
finisher
Sky Race
dati atleti
Trail Race
(posizione, nome, nazionalità e tempo)
Guida trail & sky running 2013 La redazione tecnica è al lavoro per preparare un numero speciale con la recensione di tutte le gare in calendario e il test dei migliori prodotti sul mercato IL TEST DI 100 PRODOTTI & Sky Running 2013, in edicola il 24 aprile, è un 'Baedeker' che non può Qualcuno ci dice che siamo fissati con i test. Può darsi, ma questo fa parte mancare nella biblioteca di chi ama correre. Un lavoro immenso, pensato per della tradizione della rivista. E così mentre stiamo chiudendo questo numero chi deve decidere a quale competizione partecipare, per programmare la stadi Ski-alper, il magazzino strabocca di scatole e scatoloni, ma con una forma gione e avere una panoramica completa del calendario agonistico. Ma anche diversa da quella slanciata dei cartoni che siamo abituati a ricevere e che conper sognare, porsi degli obiettivi, immaginare un proprio calendario come tengono sci. Si tratta di scarpe, bastoni, zaini idrici e borracce: un totale di un fanno gli atleti di vertice. Le 105 gare 'imperdibili' sono trattate in pratiche centinaio di prodotti, da quasi 50 diverse aziende. Tutto schede con tutti i dati essenziali: lunghezza, dislivello ciò che di meglio offre il mercato, suddiviso nelle categopositivo, altimetria, materiale obbligatorio, costi di rie trail running, sky running e minimalismo. Insomma, iscrizione, premi, tempo record, classifica dell'ultima siamo pronti per il test, che nel metodo e nell'obiettività edizione… Per gli appuntamenti più importanti anche riprenderà in tutto e per tutto il lavoro fatto per la guida una descrizione del percorso e l'albo d'oro della manifeinvernale, quella dedicata a sci e scarponi, che ha avuto stazione. E naturalmente tutti gli indirizzi internet, un enorme successo in allegato al numero di novembre email, social network, foto. Siamo andati oltre la semdella rivista. Prove di laboratorio e dinamiche, valutazioplice informazione, abbiamo dato anche delle valutane a secco, test sul campo con team separati per settore zioni sulle varie gare, sia degli aspetti tecnici che paesagcomposti da alcuni dei migliori atleti su scala nazionale. gistici… perché anche l'occhio vuole la sua parte. Il magazzino sommerso da scatole «I testatori sono stati scelti per competenza, professionaE poi tutto il calendario completo, con altre 200 gare. di scarpe pronte per il test. lità, esperienza, ma soprattutto in base alla disciplina Siete stanchi di correre solo in Italia? No problem, abpraticata e alle distanze che abitualmente percorrono in gara e allenamento, biamo inserito nella guida le 30 gare internazionali da sogno! Volete decidere perché il giudizio possa essere più tecnico e oggettivo possibile» è il commento in base alla vicinanza a casa? Anche in questo caso non ci sono problemi: abdel coordinatore del progetto Sebastiano Salvetti. biamo inserito le gare in ordine di data ma c'è un pratico indice per zona geografica. Insomma, non resta che aspettare il 24 aprile e correre in edicola! LA RECENSIONE DI 300 GARE La Guida Trail & Sky Running 2013 sarà disponibile in tutta Italia e resterà in Trecento gare: trail, ultratrail, skyrace, skymarathon, vertical. Trecento occadistribuzione per l'estate intera, fino ad esaurimento. Vista la grande attesa, sioni per correre in montagna e nella natura, non solo per il risultato, ma anconsigliamo di prenotarla alla vostra edicola di fiducia per essere sicuri di avere che per il piacere di fare sport. Gara con gli altri e con se stessi. La Guida Trail la vostra copia.
Alfio Bonanno - Lumaca Copyright Arte Sella