SOLO EMILIO VEDOVA
Alternando mostre che attingono dai depositi ad altre esposizioni volte ad ospitare personalità altrimenti non presenti in collezione, il progetto, risponde alla duplice necessità di costruire nuove narrazioni attorno agli artisti e di integrare il percorso espositivo del museo.
Emilio Vedova, Plurimo 1962/63, n. 7, ‘Opposti’, 1962 – 1963, Collezione civica Museo Novecento, Raccolta MIAC
Solo è un ciclo espositivo costruito a partire dal patrimonio delle collezioni civiche fiorentine che intende offrire un breve ritratto di alcuni grandi maestri del novecento. Alternando mostre che attingono dai depositi ad altre esposizioni volte ad ospitare personalità altrimenti non presenti in collezione, il progetto, realizzato in concomitanza con il riallestimento del Museo Novecento curato dal nuovo direttore artistico Sergio Risaliti, risponde alla duplice necessità di costruire nuove narrazioni attorno agli artisti e di integrare il percorso espositivo del museo, in un avvicendamento che consente di colmare le lacune che caratterizzano le collezioni civiche fin dalla loro prima costituzione. Con cadenze regolari, il Museo Novecento si concentrerà sulla figura di un singolo artista, scegliendo di raccontare un aspetto peculiare della sua carriera grazie all’esposizione di una o più opere presenti nelle raccolte del Comune di Firenze o concesse in prestito da altre collezioni, unite a documenti e apparati di vario genere. Il primo appuntamento, a cura di Luca Pietro Nicoletti,
è dedicato ad Emilio Vedova. La mostra riunisce il significativo nucleo di dipinti giovanili della Collezione Alberto Della Ragione, eseguiti nel 1942 e dedicati a un libero esercizio di copia e rilettura dei teleri di Tintoretto per la Scuola Grande di San Rocco. A questi si affianca una selezione di dipinti, esemplificativi della ricerca di Vedova nella sua resa qualitativamente più alta ed emblematica, che consentono di ripercorrere le tappe salienti del suo percorso artistico: dalla memoria del futurismo riletto in chiave astratta attraverso cupe campiture monocrome ed esatte, fino all’esplosione di gesto e colore sulla superficie della tela. Snodo centrale dell’esposizione è costituito dal Plurimo 1962/63, n. 7, “Opposti”, 1962-1963, opera donata da Emilio Vedova nel 1966 su invito di Carlo Ludovico Ragghianti per il costituendo Museo Internazionale d’Arte Contemporanea, che esemplifica la fase matura dell’artista nei suoi addentellati con la cultura di protesta e con la dimensione scenico-musicale, nonché l’approdo compiuto della sua ricerca informale.
Museo Novecento museonovecento.it
Piazza Santa Maria Novella 10, 50123 Firenze
n°12 - Maggio 2018
#museonovecento
TUTTO È CONNESSO
L’inaugurazione del 25 maggio completa l’apertura del nuovo Museo Novecento, che intende proporsi come istituzione dinamica, in grado di recepire e generare molteplici pratiche ed esperienze. Le collezioni novecentesche del Comune di Firenze, che costituiscono il nucleo generativo delle raccolte del museo, rappresentano il fulcro di questa seconda fase, incentrata sul riallestimento della Collezione Alberto Della Ragione e di altre importanti donazioni. Attraverso un percorso tematico, è oggi possibile rileggere gli interessi e le scelte del collezionista genovese, che ha generosamente deciso di lasciare alla città di Firenze le opere raccolte con passione nel corso della sua vita. Mecenate coraggioso, Della Ragione (Piano di Sorrento, 1892 – Santa Margherita Ligure, 1973) offre il proprio supporto anche ad artisti giovani, talvolta trascurati dal mercato e dalla critica ufficiale, rispondendo all’istanza etica “di non passare ad occhi chiusi tra l’arte del proprio tempo, ma di dare all’opera dell’artista vivente il legittimo conforto di una tempestiva comprensione”. Con un taglio trasversale, il nuovo allestimento si sofferma su temi e motivi ricorrenti, mettendo in luce alcuni aspetti del gusto di Alberto Della Ragione e della sua vocazione al collezionismo. Al centro di un programma di valorizzazione che varca i confini cittadini – si pensi ad esempio al progetto Italianissima, che vede ora una sele-
zione di opere della collezione in mostra a Salò (BS) – la Raccolta Alberto Della Ragione viene riproposta insieme al Lascito Ottone Rosai, in un percorso che prevede, in futuro, l'esposizione a rotazione di altre raccolte, tra cui le Donazioni Magnelli, Cagli, Basaldella e De Pisis-Palazzeschi. La riapertura al pubblico delle collezioni viene corredata dall’inaugurazione di altri cicli e progetti speciali dedicati ad artisti. Con il focus su Emilio Vedova a cura di Luca Pietro Nicoletti, che prevede una sintetica ricostruzione della sua attività dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, prende avvio la stagione di SOLO, ciclo dedicato a singoli artisti presenti – o non presenti – in collezione. Alle opere del maestro dell’informale italiano, che rilegge la tradizione di Tintoretto aprendosi all’astrazione e alla violenta vitalità del gesto e del colore, si affiancano quelle di Eliseo Mattiacci, ponte ideale tra le sale del Museo Novecento e gli spazi del Forte di Belvedere, che dal primo giugno ospitano la mostra antologica GONG, dedicata a questo grande rappresentante dell’arte italiana. Le opere di Mattiacci inaugurano la sezione CAMPO APERTO, che vede protagonista anche la fotografia di Luciana Majoni, con la sua intensa riflessione sulla bellezza e sul rapporto tra uomo e natura. I nuovi progetti integrano quelli inaugurati lo scorso 20 aprile, tra cui si ricordano la grande scritta in facciata,
firmata da Paolo Parisi, e gli innesti contemporanei nell’architettura rinascimentale delle Ex Leopoldine ad opera di Remo Salvadori, Paolo Masi, Marco Bagnoli e Maurizio Nannucci. Fino al 12 luglio prosegue anche la mostra nelle sale al primo piano dedicata al Disegno dello scultore, con l’inedito accostamento di opere di Adolfo Wildt, Jacques Lipchitz, David Smith, Louise Bourgeois, Luciano Fabro, Rebecca Horn e Rachel Whiteread. Sono inoltre visibili fino al 21 giugno i plastici e i progetti di Mario Cucinella, parte del ciclo Paradigma. Il Tavolo dell’architetto, a cura di Laura Andreini, e le opere dell’artista tedesca Ulla von Brandenburg, che nella personale Di un sole dorato, a cura di Lorenzo Bruni, “duella” con il dipinto Il nudo giallo (1945) di Felice Casorati in Collezione Della Ragione. Ci sarà invece tempo fino al 20 settembre per la rassegna video Il corpo è un indumento sacro, ideata da Beatrice Bulgari per In Between Art Film e curata da Paola Ugolini. Al fine di porsi come luogo di narrazione e contemplazione, oltre che di scoperta e di formazione, il nuovo Museo Novecento intende raccogliere la sfida di una città aperta al contemporaneo proponendosi quale istituzione capace di problematizzare la sua stessa identità e di superare la rigidità dei modelli, con nuove idee in grado di creare feconde connessioni tra passato e presente.
NASCITA DELLA COLLEZIONE PERMANENTE di Antonella Nesi Curatrice Collezioni del Novecento, Comune di Firenze
CAMPO APERTO ELISEO MATTIACCI
La genesi della collezione del Museo Novecento inizia dalla Raccolta per il Museo Internazionale di Arte Contemporanea, nata all’indomani dell’alluvione del 1966 su iniziativa del Comune di Firenze, che raccoglie la proposta di Carlo Ludovico Ragghianti di invitare artisti, collezionisti e istituzioni a donare alla città una propria opera per contribuire alla creazione di un museo dedicato all’arte del proprio tempo. Oltre alle opere riunite nella mostra Gli Artisti per Firenze, organizzata nel febbraio 1967 in Palazzo Vecchio, e alle donazioni pervenute dal quotidiano Paese Sera, dall’Istituto d’Arte Kulturni Centar di Belgrado e da un gruppo di artisti cubani, nel 1970 si concretizza il lascito di Alberto Della Ragione: un'importante raccolta di 241 fra dipinti e sculture collezionati nel corso di una vita, a proposito della quale lo stesso Alberto Della Ragione dichiara nell’atto notarile "che la gioia di averla formata, e il piacere di averla lungamente e intensamente goduta, gli fanno desiderare la futura integrale conservazione […] e la sua destinazione a beneficio della comunità; e che, conoscendo ed apprezzando la alta e nobile attività del Prof. C. L. Ragghianti intesa a far sorgere a Firenze un Centro Promozionale d’Arte Contemporanea, onde rifare della Città una viva capitale d’arte, desidera affiancare tale iniziativa a concorrere al suo successo, offrendo la sua raccolta d’arte". La Collezione Alberto Della Ragione, per la sua organicità e la qualità indiscussa delle opere, rappresenta il nucleo più importante del patrimonio artistico del ventesimo secolo di proprietà del Comune di Firenze. Altri lasciti si uniranno ad essa nel corso degli anni Settanta e degli anni Ottanta, tra cui quelli di Corrado Cagli, Alberto Magnelli, Mirko Basaldella, Severo Pozzati. Alla fine del 1979, grazie ad un accordo stipulato con l’Università degli Studi di Firenze, confluisce inoltre nelle raccolte civiche una preziosa selezione di dipinti realizzati da Filippo De Pisis, già appartenuti al poeta Aldo Palazzeschi. A completamento del patrimonio novecentesco del Comune di Firenze resta inoltre da segnalare la donazione degli eredi di Ottone Rosai, avvenuta nel 1963 e pertanto antecedente all’attività di Ragghianti, costituita da tre temi cari al Maestro: I Tondini, Gli Amici di Rosai, La Firenze di Rosai. Il progetto di Ragghianti non vedrà mai la luce, naufragando in circa quarant’anni di progetti e dibattiti. Dal 2014 queste collezioni trovano tuttavia una propria collocazione nella cornice del Museo Novecento, grazie ad una selezione esposta all’interno di un percorso cronologico. Oggi, a partire da un nuovo allestimento di tipo tematico, è possibile gettare nuova luce sulla storia delle raccolte, che pur nella loro complessità e varietà, appaiono unite dalla generosa volontà di rinnovare la vocazione di Firenze al contemporaneo.
Massimo Campigli (Max Ihlenfeld), Testa di donna, 1932, Collezione civica Museo Novecento, Dono Alberto Della Ragione
Giorgio De Chirico, Les bains mystérieux, 1934-1936, Collezione civica Museo Novecento, Dono Alberto Della Ragione
Eliseo Mattiacci, Per Cornelia, 1985, acciaio, alluminio, ferro, bronzo
In occasione della mostra antologica di Eliseo Mattiacci, GONG, al Forte di Belvedere, il Museo Novecento ospita alcune opere esemplificative della fase matura dell’artista, tra cui la scultura Per Cornelia (1985) e il grande disegno Occhio del cielo (2005). Tra i pionieri dell’avanguardia italiana della fine degli anni Sessanta, Mattiacci è artefice della sperimentazione e del rinnovamento in scultura, proponendosi quale ispirato inventore di iconografie cosmologiche e di nuove relazioni spaziali e concettuali tra arte e natura, tra uomo e ambiente. Il suo è un esercizio pressoché sciamanico, volto ad esplorare il sublime del cosmo, le orbite planetarie, i ritmi e le geometrie che appartengono all’universo infinito, tracciando mappe stellari che adesso, come milioni di anni fa, funzionano in termini simbolici e rituali. Lo stesso artista dichiara: “Mi sento attratto dal cielo con le sue stelle e pianeti e, al di là, dalle nostre galassie, è una immaginazione che va oltre, come a voler sfidare la fantasia stessa, come in un sogno. Mi piacerebbe lanciare una mia scultura in orbita nello spazio. Sarebbe davvero un bel sogno sapere che lassù gira una mia forma spaziale”. Le opere esposte al Museo Novecento costituiscono un’anteprima della grande retrospettiva organizzata alla Fortezza di San Giorgio, sancendo una stretta correlazione scientifica e progettuale tra i due spazi. Come afferma Sergio Risaliti, curatore della mostra e direttore artistico del museo: “Con questa esposizione […], tutta Firenze rafforza la sua immagine di città contemporanea che assieme agli artisti riflette sulla storia civile e sul patrimonio artistico, sui grandi lasciti culturali del passato e sulla società attuale, sulla scienza e la spiritualità, soprattutto su poiesis e techne. E lo fa offrendo all’ammirazione di cittadini e turisti le opere di uno tra i grandi maestri del nostro tempo, creatore di forme scultoree e tracciati grafici che hanno la forza di coniugare la dimensione del materialismo con quella del sogno metafisico, il mondo ctonio e quello degli infiniti spazi
siderali. Una traiettoria, quella di Mattiacci, di coerenza e di libertà esemplari, di generosa resistenza e lirica potenza, una presenza indispensabile alla storia dell’arte a partire dai primi lavori con i quali ha sposato, da artista e poeta, il lavoro della terra e la tecnologia con la riattivazione dei miti e la contemplazione degli astri, per giungere alle sue opere e installazioni più recenti con le quali l’artista marchigiano ha voluto consegnare al mondo la sua idea di cosmo, proseguendo un viaggio di scoperta e di meraviglia all’interno della natura e dell’universo che accomuna Lucrezio e Galileo Galilei, Giacomo Leopardi e lo stesso Mattiacci, poeti e artisti di ieri e di oggi”. In Per Cornelia, opera dedicata alla figlia, la leggerezza e il movimento sono retti da un equilibrato chiasma. La base concava dell’opera suggerisce il movimento ondulatorio di una culla o di un dondolo. La sfera, come un pianeta, dà il senso della scoperta. La forma, in sé, richiama una clessidra ed evoca il tempo. Il calendario umano, la nascita, le prime parole si collegano agli astri e ai pianeti. Parallelamente alla realizzazione delle sue sculture, Mattiacci porta avanti nel corso della sua opera l’attività di disegnatore, nella quale si distingue per il tratto poetico e vibrante. Nel disegno preparatorio Occhio del cielo, la purezza delle forme si mescola al registro poetico dato dalle cromie essenziali. La pupilla apollinea coincide con le orbite celesti. Nel corso degli anni Settanta, Mattiacci sviluppa l’attività performativa, testimonianza della sua versatilità verso tutte le forme di espressione. In Richiami, filmato da Luciano Giaccari, l’artista prova differenti richiami per uccelli. È uno stare nella natura, immedesimandosi con il linguaggio altro degli animali; un rito sciamanico nei modi della performance, con il quale Mattiacci partecipa a “Critica in atto” (1972) in occasione degli Incontri Internazionali d'Arte, incentrati sull’uso del linguaggio sociale.
TUTTO È NATURA LA FOTOGRAFIA DI LUCIANA MAJONI di Serena Trinchero Luciana Majoni (Cortina d'Ampezzo, 1947) esplora le plurime sfaccettature della bellezza, con fotografie nelle quali unisce sapienza formale e conoscenza della storia dell'arte. Grazie ad una puntuale sintesi visiva i suoi lavori esaltano particolari inusuali e piccole sensazioni, spaziando dai paesaggi ai ritratti, dalle nature morte a visioni di interni. Anche l'aspetto oggettuale dell'opera viene continuamente interrogato usando differenti tipologie di stampa e formati, fino alle installazioni site specific, e giocando con il concetto di originalità attraverso l'intervento diretto sul negativo o sulla stampa.
Giorgio Morandi, Natura morta, 1932-1935, olio su tela, Collezione civica Museo Novecento, Dono Alberto Della Ragione
Trasferitasi a Firenze nel 1968 per iniziare il corso di studi in pittura presso l'Accademia di Belle Arti (1972-1976), Majoni vive in prima persona il vitale ambiente culturale toscano degli anni Settanta, segnato dal sorgere dell'arte concettuale e da nuove modalità espressive, oltre che dalle fortunate vicende espositive della Galleria Schema di Alberto Moretti (1972-1994) e di Zona non profit art space (1974-1985). Queste esperienze concorrono a plasmare il suo approccio artistico e ne favoriscono l'avvicinamento al mezzo fotografico. Negli stessi anni Majoni incontra i suoi primi maestri, tra i quali Giuseppe Chiari, da cui trae l'aspetto musicale dello scatto; oltre ad apprendere il valore della serialità come forma del divenire nel tempo, come in 20 scatti per 20 minuti (1976) dove le immagini di Venezia, prese da un vaporetto, accompagnano l'osservatore nella notte. Anche l'arte antica ricopre una valenza fondante nella sua pratica, in particolare dagli anni Ottanta quando diviene riferimento costante e tra i soggetti prediletti del suo obiettivo. Pur essendo in piena stagione post-modernista, Majoni decide di non cimentarsi con l'appropriazione, preferendo piuttosto velate citazioni o tentativi di ridare significato ad opere ormai appiattite dalla loro valenza iconica.
La fotografa infatti, nel rapporto con i maestri, si pone spesso come un'interprete che compartecipa alla creazione donando la sua personale visione, come quando la materia di studio è il David, attraverso cui Majoni dialoga a viso aperto con Michelangelo. Il rapporto con il passato è anche un confronto sulla validità del proprio operato e una strategia per arricchire di sfumature il vocabolario formale: dalle nature morte fiamminghe, alla statuaria neoclassica fino ai primi maestri della fotografia come Edward Steichen e Julia Margaret Cameron, tutto è utile a costruire un lessico fatto di chiaroscuri e guizzi di colore. Basti pensare a Light painting, I, una piccola rosa (2009), in cui si fondono riferimenti a Gerard van Honthorst e a Henri Fantin-Latour, al fine di valorizzare l'aspetto pittorico dell'immagine fotografica. Nella selezione di fotografie presentate al Museo Novecento emerge ciò che muove la sua ricerca fin dagli esordi: il bello, in senso classico, dove l'estetica si unisce ad un'attitudine etica. Majoni cattura e celebra una bellezza vitale e palpitante, che diviene un elemento unificante per l'umanità, il mondo naturale e l'arte: i suoi scatti colgono infatti la croccante leggerezza di un cespo di insalata (Kallimachos, 1, 2004), la tenerezza neoclassica di un volto di donna (Volto, 2, 2004), la monumentalità di un cedro (Natura morta con cedro, 2009), la sfrontatezza negli occhi di una bambina (Alice, 2007). Il percorso espositivo si sofferma sul ritratto, tema che la fotografa affronta a partire dal 1999/2000 con la serie Volti e che indaga nel corso del decennio con diverse declinazioni e spunti, dai ritratti più tradizionali alle interpretazioni più liriche. Tutte le immagini si contraddistinguono per un curato bianco e nero dove la figura, e in particolare lo sguardo, emerge dallo sfondo scuro o dal denso effetto flou realizzato con la tecnica dell'aerografo. Un apparire dalla tenebra, talvolta fantasmatico, che ricorda il prendere forma in “levare” michelangiolesco.
Luciana Majoni, Plumbago, 2003, stampa lambda