Museo n8

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Museo Novecento museonovecento.it

Piazza Santa Maria Novella 10, 50123 Firenze

n°8 - Aprile 2018

#museonovecento

IL DISEGNO DELLO SCULTORE ADOLFO WILDT, JACQUES LIPCHITZ, DAVID SMITH, LOUISE BOURGEOIS, LUCIANO FABRO, REBECCA HORN, RACHEL WHITEREAD — 21.04-12.07.2018 di Sergio Risaliti Direttore Artistico Museo Novecento

Tutti hanno disegnato, almeno una volta durante la loro esistenza, hanno tracciato segni con la matita sul foglio, hanno provato l’ebbrezza dell’apparizione di forme e contorni più scuri sul bianco arcipelago della carta. Solo gli artisti hanno però studiato il disegno, si sono impadroniti lentamente di quest’arte, che è il “luogo della trattativa più delicata fra mano, occhio e mente” come spiega James Elkins in una lettera all’amico John Berger descrivendo cosa accada nella trasmissione di dati dal cervello alle dita fino alla punta del lapis. Acquisire abilità grafica ha significato, da un certo punto in poi della storia dell’arte occidentale, arrivare a possedere il segreto della creazione, e ciò è accaduto da quando l’attività artistica è stata giudicata alla pari delle altre attività liberali, distinguendola così dall’artigianato. Disegno è una parola polisemica, descrittiva e metafisica a un tempo, e deve intendersi in una doppia versione: come prodotto della mente, idea, schematismo concettuale, e come risultato visibile, immagine nata da un movimento della mano eseguito all’interno dell’atelier con materiali specifici – matite, penne, carboncino – su carte o altre superfici – pergamene, muri, pelli. E nella mente, come sulla carta, non si formano e riproducono solo le percezioni, perché affiorano idee, si materializzano fantasmi, si depositano ispirazioni e visioni, anche tramite i sogni trasmessi all’anima provenendo dall’aldilà. I grandi artisti, si sa, hanno scarabocchiato fin dai primi giorni della loro vita. Giotto, Andrea del Castagno, Pablo Picasso, Paul Klee e tanti altri. I primi writer disegnavano sulle pareti delle caverne. Il disegno è, infatti, iniziatico. È sempre un inizio anche quando è espressione autonoma perché non appartiene alla categoria del definitivo, del concluso, del tempo finito. Essendo fatto di linee e di macchie sembra sempre sul momento di

sorgere e di farsi. Appartiene al divenire piuttosto che all’essere, è più simile alla musica e alla danza che alla fotografia o alla pittura. Se ha senso prendere in esame il disegno dello scultore, è perché lo scultore è interessato al tempo nella forma, al movimento nella pietra, alla relazione tra corpo e immagine in modo assai più diretto che il pittore. Quello dello scultore è sempre un disegno tridimensionale. È dal disegno che nacque la scultura come ricorda Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, riportando l’episodio del vasaio Butade Sicionio a Corinto. Con una mostra dedicata al disegno, il Museo Novecento intende dare conto della creatività artistica in ‘casa’ dello scultore, presentando studi, progetti, schizzi e bozzetti di artisti di diverse generazioni, in un arco cronologico che dagli inizi del novecento giunge sino alla contemporaneità̀. La mostra analizza e rimette in gioco fondamenti e modelli propri dell’esperienza artistica, ospitando: dalle prove ‘simboliste’ di Adolfo Wildt - maestro di Lucio Fontana e Fausto Melotti -, a quelle cubiste di Jacques Lipchitz, dalle invenzioni segniche-gestuali di David Smith - principale scultore della generazione dell’Espressionismo Astratto -, ai disegni ‘propedeutici’ di Rachel Whiteread - erede della grande tradizione plastica anglo-sassone, per la quale “i disegni sono il diario quotidiano del lavoro”. Completano il percorso i disegni di Louise Bourgeois, la cui verve grafica trascina sulla carta psicosi e ossessioni tipiche anche della sua scultura; i disegni privati e poetici di Luciano Fabro, per il quale il disegno è una ginnastica della mano e della mente, del tatto e dello sguardo; e le creazioni immediate e libere di Rebecca Horn. Accanto alle opere grafiche, alcune sculture e una selezione di film aiutano a contestualizzare i disegni sia all’interno della ricerca e della pratica dei singoli autori, che in una riflessione più ampia sul rapporto tra invenzione ed esecuzione.

DISEGNARE E SCOLPIRE di Laura Lombardi Drawings spread on the living room floor of David Smith’s house, Bolton Landing, New York, September 1959. Photograph by David Smith

Nella Naturalis Historiae, Plinio il Vecchio narra l’aneddoto del vasaio Butade, di Sicione in Grecia, vissuto nel VII-VI secolo a.C., cui si attribuisce la prima creazione di ritratti fittili. Butade, infatti, a Corinto, riempie e plasma con l’argilla il profilo del giovane amato dalla propria figlia, la quale ne aveva contornato l’ombra del volto proiettata da una lucerna sulla parete per conservarne il ricordo dopo la partenza. L’origine della scultura è dunque connessa da Plinio in maniera stretta al disegno, quale risultato di un atto “performativo” capace di restituire fisicità e presenza in maniera meno illusoria della pittura. Quanto al disegno, la sua importanza nella creazione artistica, sia questa tramite il dipingere o lo scolpire, è sottolineata, tra XIV e XV secolo, da Cennino Cennini nel suo Libro dell’arte, e ribadita da Giorgio Vasari nelle Vite (1550, 1568) assegnando il “primato” del disegno alla scuola fiorentina (e soprattutto alla Accademia del disegno fondata a Firenze nel 1563), in contrapposizione alla veneta dove invece è la maestria del colore a prevalere. Vasari pone quindi il disegno a fondamento di tutte

le arti: “Perché il disegno, padre delle tre arti nostre architettura, scultura e pittura, procedendo dall’intelletto cava di molte cose un giudizio universale simile a una forma overo idea di tutte le cose della natura…”. Queste riflessioni intorno al “primato del disegno” si calano in un dibattito molto vivo nelle pagine dei maggiori trattatisti del Cinquecento, da Baldassar Castiglione a Pietro Aretino, Ludovico Dolce e Paolo Pino, tra cui le Dispute riguardanti “la maggioranza e nobiltà delle arti” di Benedetto Varchi, che, nelle lezioni tenute all’Accademia fiorentina nel 1546, affronta la questione mettendo a confronto i maggiori artisti del tempo, interpellati per iscritto a pronunciarsi “su quale sia più nobile, la scultura o la pittura”. Tra questi Leonardo, che proclama l’assoluta superiorità della pittura quale scienza, comprensione fenomenica della natura, rappresentazione che si avvicina al gesto divino della creazione. Varchi sottopone poi quei pareri a Michelangelo, il quale afferma che, pur sorelle, la scultura e la pittura hanno un rapporto simile a quello tra sole e luna: la prima illumina la seconda.

La polemica resta aperta e assumerà toni esacerbati proprio in occasione delle esequie del Divino Michelangelo, nel 1564, quando Benvenuto Cellini manifesterà la sua ira per il ruolo destinato alla personificazione della Scultura nell’apparato effimero allestito per la cerimonia in San Lorenzo. Di disegno e di scultura tratta Anton Francesco Doni nella lettera indirizzata, nel 1549, al Montorsoli. Qui, oltre a rifarsi a Michelangelo nel ribadire l’argomento della superiorità della scultura in quanto arte capace di rappresentare più punti di vista (cosa negata alla pittura, sofistica, ingannevole), Doni definisce il disegno come “potenza, previsione dell’universo” [..] “da parte della prima causa” […] “innanzi che venisse all’atto del rilievo e del colore” (Il Disegno, Diceria del Doni a M. Giovann’Angelo scultore, in Scritti d’arte del Cinquecento). Infine affermando “E tutti gli uomini disegnano”, sottolinea il carattere universale dell’atto grafico, cui conferisce una funzione generativa molto alta, quasi mitica. [estratto dal saggio pubblicato nel catalogo della mostra]


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