MI - Ottobre 2020

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ottobre/novembre 2020

Mozart a Bologna 250 anni dopo Musica Insieme celebra il viaggio di Wolfgang con quattro eventi straordinari

Bimestrale n. 2/2020 – anno XXIX/BO - ₏ 2,00

Guardare avanti: Alessandra Scardovi ringrazia il pubblico, gli sponsor e le istituzioni

Il Trio di Parma a Bologna Modern un ritratto in tre concerti












SOMMARIO n. 2 ottobre / novembre 2020 Editoriale

Eventi straordinari di Fulvia de Colle

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Il saluto della Presidente

Guardare avanti di Alessandra Scardovi

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L’intervista

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Intervista doppia

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StartUp

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Carlo Fontana di Riccardo Puglisi

Antonio Pappano e Luigi Piovano Quando c’è la stoffa... Matteo Cimatti, Federica Lanari

Teatro Comunale di Bologna

Un autunno per ricominciare

Il ricordo

Maria Teresa Liguori Bubani di Loris Azzaroni

I luoghi della musica

Il Regio di Parma di Maria Pace Marzocchi

Storie della musica

Aaron Copland di Brunella Torresin

Mozart a Bologna 1770 > 2020

Amadeus è stato qui di Fulvia de Colle Un ragazzino all’Accademia di Sandro Cappelletto

Bologna Modern #5 / Articoli e interviste

Uno, due... trio Ivan Rabaglia, Alberto Miodini, Enrico Bronzi Filippo Perocco Stefano Gervasoni

MIA - Musica Insieme in Ateneo 2020

Ascolti ritrovati / Baraccano, Spronk e Loperfido

Per leggere

Karajan, Bach, Mozart di Chiara Sirk

Da ascoltare

Pappano/Piovano, Bidoli, Faldi di Roberta Pedrotti 10

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Carlo Fontana

Sandro Cappelletto

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Quartetto Alla Maniera Italiana

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Filippo Perocco

Stefano Gervasoni

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In copertina: Trio di Parma (foto di Francesco Fratto)

Anton Spronk




EDITORIALE

EVENTI straordinari Con gli occhi e il cuore ancora pieni delle Vite straordinarie di artisti come Pollini, Rostropovič e Richter, raccontati all’Oratorio di San Filippo Neri dalle pellicole di Bruno Monsaingeon, vogliamo accostarci all’autunno pronti a vivere eventi straordinari, come quelli che ci accingiamo a presentare nelle prossime pagine. Inutile nasconderci che proveniamo da mesi di grande difficoltà e incertezza, e l’incertezza permane ancora, pur avendo gettato il cuore oltre l’ostacolo con la nostra prima “apertura al chiuso” dopo il lockdown, il concerto Open Up! al Teatro Manzoni. Un concerto che ci ha visto anche ospitare in anteprima nazionale il duo d’eccezione formato da Luigi Piovano e Antonio Pappano e il loro nuovo cd, che presentiamo in queste pagine. Ma come ci hanno dimostrato le vite straordinarie narrate da Monsaingeon, il (difficilissimo) segreto è “imparare a ballare sotto la pioggia”, senza aspettare necessariamente che passi la tempesta. Di tempeste ne ha vissute certamente tante, nella sua sfolgorante carriera, un amico di Musica Insieme come Carlo Fontana, che in questo numero ci racconta come abbia sa-

13 settembre 2020: Carlo Fontana presenta “Vite straordinarie” all'Oratorio di San Filippo Neri

puto animare di competenza e spirito imprenditoriale la vita artistica dei principali teatri italiani. E ne ha vissute un’amica di Musica Insieme che da poche settimane ci ha lasciati, ma lasciando una scia lunga di azioni e pensiero per il bene della musica: Maria Teresa Liguori Bubani. Abbiamo chiesto al Presidente dell’Accademia Filarmonica, Loris Azzaroni, di ricordarla per i nostri lettori, e ne è nato un ritratto che delinea la profondità della passione e la compostezza di una Signora della Musica. Ma lasciamo spazio come di consueto anche ai racconti al futuro, quelli dei protagonisti di Start Up!, giovani talenti dell’arte e dell’imprenditoria, che ogni giorno lavorano per dar vita ai loro sogni, e quelli delle rassegne che annunciamo in questo numero, Mozart a Bologna 1770 > 2020, e Bologna Modern, che riempiranno l’autunno di Musica Insieme. Ma non dimentichiamo la Stagione dei Concerti, quella futura, che siamo ansiosi di presentare al nostro pubblico, e i numerosi recuperi, che ci consentiranno di completare fra novembre e dicembre l’edizione 2020 di MIA – Musica Insieme in Ateneo e di riprogrammare nella prima parte del 2021 ben quattro dei sette concerti annullati a causa dell’emergenza epidemiologica. La forza di guardare sempre avanti ce l’hanno data gli amici, dal pubblico ai sostenitori, alle istituzioni, e noi ricambiamo nell’unico modo che conosciamo: con energia e creatività, come dimostrano le parole della nostra pasionaria Presidente Alessandra Scardovi, che dà il via al nuovo numero del magazine di Musica Insieme. Anche questa pubblicazione, e la ripresa delle nostre “conversazioni musicali” dopo tanti mesi sospesi, è per noi una notizia straordinaria. Fulvia de Colle

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Il saluto della Presidente

GUARDARE N

avanti

di Alessandra Scardovi

el suo saluto ai lettori, la Presidente di Musica Insieme ci offre una panoramica sulle iniziative che la nostra Fondazione ha realizzato e metterà in campo per un autunno denso di emozioni.

Lo abbiamo voluto chiamare Open Up!, simbolo di rinascita, o ancor meglio, di “rinascenza”, l’evento con cui il 19 settembre Musica Insieme ha riaperto, in tutta sicurezza, le porte del Teatro Manzoni alla musica classica e al suo pubblico. Un concerto speciale, quello dei Maestri Antonio Pappano e Luigi Piovano, che abbiamo voluto proporre alla città di Bologna e a tutti gli amici di Musica Insieme. Riprendere dopo questi mesi così difficili e incerti non è stato facile, e non sarebbe stato possibile se al fianco della nostra Fondazione non avessimo avuto le Istituzioni, gli Sponsor e i nostri Abbonati e Amici appassionati. Vorrei ringraziarli tutti, uno ad uno, per esserci rimasti vicini. Del resto chi segue le attività di Musica Insieme condivide con noi l’amore per la grande musica, e spesso rimanere in contatto è stata la naturale e spontanea conseguenza di questo comune sentire: anche semplicemente facendoci un po’ di compagnia nel corso delle tante conversazioni telefoniche, che ci hanno fatto sentire davvero uniti e un poco più forti nei momenti bui. Ed è proprio questo spirito di partecipazione che ci ha dato la “spinta” a non fermarci e a continuare nella nostra programmazione, studiando nuove modalità di fruizione, in linea

Il Quartetto Indaco nel cortile del Baraccano per Musica con Vista

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con le normative ministeriali, e nuove rassegne. Sono nate così, ad esempio, SANMARtime e Musica con Vista, due progetti che hanno animato le serate di luglio, partecipando al cartellone di Bologna Estate 2020, promosso e coordinato dal Comune e dalla Città metropolitana di Bologna. SANMARtime ha visto avvicendarsi sul palco del Chiostro di San Martino alcuni tra i più talentuosi giovani musicisti del nostro territorio, che si sono alternati ad altrettanti talenti della Stand-up Comedy. Protagonisti di Musica con Vista sono stati poi il Quartetto Indaco e il Quartetto Scimemi, che hanno fatto risuonare i cortili di due meravigliosi palazzi bolognesi come il Teatro del Baraccano e l’Archiginnasio, con l’intento di affiancare il momento musicale alla scoperta, o alla riscoperta, di “luoghi del cuore” della nostra città. Il festival Musica con Vista è stato organizzato nell’ambito del Comitato AMUR che, costituitosi proprio durante il periodo di emergenza Covid, riunisce nove importanti società concertistiche del territorio nazionale, da Trieste a Milano, da Perugia a Napoli, e del quale sono orgogliosa di essere Vicepresidente. Obiettivo del Comitato è la valorizzazione e il rilancio del nostro patrimonio culturale attraverso rassegne ed eventi, e al contempo la creazione di una rete di condivisione progettuale che unisca con un’unica linea tante città della Penisola. Perché, se è indispensabile trovare un punto dal quale ripartire, Musica Insieme lo ha individuato proprio nel patrimonio artistico e culturale della nostra città e del nostro Paese. Ed è in questa ottica che ho il piacere di presentare ora un autunno fitto di impegni musicali, oltre al già citato Concerto straordinario dei Maestri Pappano e Piovano. Si partirà quindi ad ottobre con una rassegna dedicata al viaggio in Italia di Mozart, del quale ricorre il 250° anniversario ed a cui dedicheremo quattro appuntamenti: “apriremo le danze” con la presentazione dell’ultimo libro di Sandro Cappelletto, Mozart – Scene dai viaggi in Italia, per dedicare poi al giovane Wolfgang un concerto in San Domenico (lo stesso giorno, nello stesso luogo in cui egli si esibì all’organo, appena quattordicenne), ma anche la rievocazione di una


cena dell’epoca, in collaborazione con l’Istituto “Scappi” di Castel San Pietro Terme, e la proiezione del film Noi Tre di Pupi Avati al Cinema Lumière, complice la Cineteca di Bologna. Si proseguirà poi con Bologna Modern, nato ormai cinque anni fa dalla collaborazione, o meglio dall’amicizia della nostra Fondazione con il Teatro Comunale di Bologna: l’edizione 2020 vedrà svolgersi in San Filippo Neri cinque concerti incentrati sui più celebri compositori del Novecento e oltre, con ritratti inediti, antologie e prime esecuzioni. Tutti imperdibili gli appuntamenti, dal “ritratto in tre concerti” del Trio di Parma alle sonorità originalissime dell’Ensemble L’arsenale, ai giovani talenti, che Musica Insieme sostiene già da diversi anni, della Call for Young Performers del progetto

europeo IDEA del Divertimento Ensemble, quest’anno impegnati ad eseguire Stefano Gervasoni, che sarà anche presente alla serata finale del nostro festival per conversare col pubblico. Infine, se di futuro stiamo parlando, non può certo mancare la nuova stagione de I Concerti 2021, che sarà annunciata entro novembre. Come tutti voi cari amici sapete, abbiamo dovuto ripensare completamente il calendario, ma siamo fieri di potervi preannunciare una stagione che, seppure in un momento così particolare, manterrà una qualità eccezionale sia negli interpreti che nei programmi. Ci auguriamo che il nuovo cartellone incontri il vostro gradimento e contiamo di ritrovarci presto tutti insieme, a condividere e apprezzare la Grande Musica.

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L’intervista

“CARO dottor Fontana...”

Oggi al suo terzo mandato come Presidente dell’Agis, Carlo Fontana ci parla della sua intensa vita professionale, iniziata da giovanissimo e costellata di incarichi di grande prestigio e responsabilità, tra cui la lunga permanenza al Teatro alla Scala giunta dopo l’indimenticata Sovrintendenza del Teatro Comunale di Bologna di Riccardo Puglisi

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Sopra: Carlo Fontana, Presidente dell’Agis. Nella pagina accanto: Carlo Fontana con la moglie Roberta

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n piacere rivederLa a Bologna dopo tanti anni d’assenza. «Torno sempre con grande emozione a Bologna, è un luogo del sentimento, dove ho vissuto nell’arco di sette anni i momenti più fervidi della mia vita professionale e anche umana, e quel periodo è rimasto impresso nella mia memoria e nel mio cuore». È a Bologna per introdurre il ciclo Vite straordinarie che inizia con il documentario dedicato a Maurizio Pollini. «Per noi milanesi Pollini è una leggenda e io poi gli sono anche personalmente grato perché nel 1983 quando fui nominato alla Biennale Musica in una rassegna dedicata a Webern ebbi l’onore di averlo in cartellone, con lui avevo già collaborato ai tempi della Fonit Cetra, per la quale incise la sua unica opera come direttore d’orchestra: La donna del lago». Quali sono state le tappe della Sua carriera professionale? «A sedici anni, dopo aver assistito al Galileo di Brecht nella regia di Strehler, ho maturato la certezza di voler lavorare nel teatro come operatore culturale e quindi mi sono mosso di conseguenza per diventare un organizzatore teatrale: ho avuto l’opportunità di lavorare ancor giovanissimo al Piccolo Teatro per qualche anno, poi, dopo un’esperienza in campo giornalistico, sono stato assistente del Sovrintendente del Teatro alla Scala e da lì è decollata la mia carriera, che mi ha visto alla Presidenza di AsLiCo, Amministratore delegato della Fonit Cetra e quindi direttore del settore Musica della Biennale di Venezia, per poi giungere a Bologna, ancora molto giovane, con la prima Sovrintendenza di un importante teatro e dopo aver poco prima rifiutato l’analoga proposta di Firenze. Dopo i sette anni di mandato al Teatro Comunale di Bologna sono approdato alla Scala – il massimo risultato per la carriera di un Sovrintendente – che ho diretto per quindici anni. Terminata la mia espe-

rienza al Teatro alla Scala ho accettato l’invito di Romano Prodi a candidarmi nelle liste dell’Ulivo e sono stato senatore per due anni nella XV Legislatura, al termine della quale ho insegnato Scienze dello Spettacolo all’Università Statale di Milano. Nel 2012 sono quindi stato chiamato a Parma per curare le celebrazioni del bicentenario verdiano e contestualmente è giunta la nomina alla Presidenza dell’Agis, che mi vede oggi al terzo e ultimo mandato. Questo incarico di grande responsabilità mi consente di rapportarmi con tutte le realtà dello spettacolo dal vivo italiano, gli operatori culturali e gli interlocutori politici del Paese, ampliando il mio raggio d’intervento a livello nazionale. Uno degli ultimi risultati che sono fiero di annoverare


è l’estensione dei benefici dell’Art Bonus* anche alle società concertistiche e ad altre categorie dello spettacolo che finora ne erano rimaste escluse». La lunga amicizia tra Musica Insieme e Teatro Comunale nasce nel 1988 durante la Sua Sovrintendenza. «Sì, quell’anno l’allora Ente Autonomo Teatro Comunale e l’Associazione Musica Insieme stipularono, primo esempio in Italia, un accordo tra pubblico e privato per la realizzazione di una stagione di musica da camera organizzata e gestita da Musica Insieme all’interno del Teatro Comunale. Nella mia visione, l’alleanza pubblico-privato a fini pubblici generava benefici ad entrambi: una nuova associazione poteva godere di una sede prestigiosa come il Teatro Comunale, che d’altra parte poteva contare sia sui borderò dei concerti utili alla ripartizione dei contributi, sia sulla presenza dei prestigiosi interpreti che si avvicendavano sul palcoscenico della Sala del Bibiena. Vado molto orgoglioso di questo accordo: una scelta che rappresenta la volontà politica di instaurare un positivo rapporto con i privati che ho perseguito sempre sia a Bologna che a Milano». Come vede il futuro dello spettacolo dopo questa pandemia? «Non nascondo la mia preoccupazione, perché nessuno al momento è in grado di fare previsioni su quale potrà essere l’evoluzione di questa dram-

matica situazione. Non si può nemmeno generalizzare, per la natura stessa delle varie tipologie di spettacolo: le problematiche che deve fronteggiare una produzione lirica, che coinvolge circa duecento persone a recita, sono molto diverse e più complesse rispetto a quelle di un’associazione di musica da camera dove gli artisti coinvolti sono perlopiù solisti o comunque formazioni con organici ridotti. In questo momento a mio giudizio ci sono tre ordini di problemi da affrontare in

«È spesso nei momenti di crisi che nuove forme espressive trovano il proprio spazio per emergere» un’ottica di ripresa: la produzione artistica, i linguaggi e il pubblico. La pandemia ha colpito prevalentemente gli anziani che adesso sono i meno propensi a uscire, almeno finché non ci sarà un vaccino, quindi bisogna cercare di interessare un nuovo pubblico più giovane con iniziative attraenti, lavorando sulla contaminazione dei linguaggi, sul crossover; non è cosa facile da realizzare, ma è spesso nei momenti di crisi che nuove forme espressive trovano il proprio spazio per emergere. Quando sento dire che il Sovrintendente di un teatro deve essere in primo luogo un esperto di marketing mi viene l’orticaria, perché penso che il marketing e il fundraising siano mezzi e non finalità a sé stanti. Va sempre riaffermata infatti la centralità del palcoscenico». Progetti futuri? «Non ho progetti futuri: come si suol dire “ho un grande avvenire dietro le spalle”, ma intendo affermare l’importanza dello spettacolo coniugandolo con le realtà imprenditoriali. In quest’ottica ho portato Agis in Confcommercio, affinché si possano intessere rapporti e relazioni tra questi due mondi apparentemente distanti ma estremamente proficui l’uno per l’altro».

*L’Art Bonus è uno straordinario strumento che consente, a chiunque desideri sostenere con una donazione liberale le attività artistiche come quella di Musica Insieme, di recuperare come credito d’imposta in soli tre anni il 65% dell’importo devoluto.

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Intervista doppia

SALON “in excelsis” I

Antonio Pappano e Luigi Piovano

n occasione del loro concerto del 19 settembre, col quale Musica Insieme ha riaperto alla classica il Teatro Manzoni dopo mesi di forzata chiusura, ospitiamo un’intervista doppia ad Antonio Pappano e Luigi Piovano. Una conversazione nella quale il Duo racconta la “nascita” del suo primo cd, presentato in anteprima nazionale proprio a Bologna, e dove soprattutto non si parla di sola musica, ma anche dell’importanza dell’amicizia… e dell’italianità! Maestro Pappano, cosa ha significato poter utilizzare per questa registrazione uno Steinway del 1875, e quali sono le differenze più evidenti che ha riscontrato rispetto a un pianoforte moderno? Antonio Pappano: «Mi capita raramente di poter suonare su pianoforti d’epoca. Questo lo avevo suonato già molte volte e il fatto che sia stato costruito nel 1875 lo rende praticamente perfetto per le Sonate di Brahms. Lavorandoci con pazienza ho potuto scoprire un pianoforte che da un lato ha dei pianissimo quasi fantasmatici – noi in inglese diciamo ghostly – e dall’altro dei bassi che mi fanno pensare al fumo di un sigaro di Brahms, che creano un’atmosfera non netta e chiara ma con un suono che, in un certo senso, abbraccia la musica. Non è scontato trovare il giusto equilibrio perché è un pianoforte che, nonostante i pianissimo di cui parlavo, ha una risonanza che perdura anche dopo che il tasto è stato lasciato: il suono ha una vita più lunga rispetto ai moderni grancoda. All’inizio non è stato dunque facile da gestire, poi ho cercato di volgere tutto questo in positivo e di abbracciare col pianoforte il suono del violoncello». Maestro Piovano, a proposito: ci descriva il suono del suo meraviglioso Alessandro Gagliano del 1710 con soli tre aggettivi e ci dica due parole anche sulle caratteristiche del suo strumento. Luigi Piovano: «Il suono è potente, vellutato e affascinante. È uno strumento dalle grandi dimensioni, raro esempio del capostipite della Scuola Napoletana, con una meravigliosa vernice rosso/bruno, reminiscenza della grande Scuola Cremonese». Maestro Pappano, questa registrazione ha una storia che parte da molto lontano: ci può raccontare quando lei e il M° Piovano avete iniziato a fare musica da camera insieme? A.P.: «L’incontro è avvenuto quasi vent’anni fa per

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un concerto al Tuscan Sun Festival di Cortona, in Toscana. Insieme a Dmitri Sitkovetsky dovevamo suonare il Trio op. 8 di Brahms e Dima propose di coinvolgere come violoncellista Gigi con il quale lui suonava già da tempo. Quando un paio d’anni dopo sono stato nominato direttore musicale dell’Orchestra di Santa Cecilia a Roma, ci siamo ritrovati con Gigi – che di quell’Orchestra è primo violoncello solista – e a quel punto abbiamo iniziato a suonare regolarmente in duo. Da allora, compatibilmente con la mia folle agenda, abbiamo tenuto sempre almeno uno o due concerti l’anno: a Roma, Milano, Firenze, Bologna, al Bozar di Bruxelles… Ma abbiamo girato parecchio l’Italia, suonando anche in città non grandi, come Mestre, Como, Ravello, L’Aquila, Pisa… E le Sonate di Brahms ci hanno accompagnato costantemente: ora l’una, ora l’altra, a volte entrambe, tanto che io ormai le associo a un viaggio in Italia in compagnia di un amico come Gigi. Suonandole portiamo con noi tutta la nostra conoscenza, la nostra esperienza, il nostro amore per questa musica cercando di rimanere sempre fedeli al lirismo che caratterizza il nostro essere musicisti italiani, o comunque di origine italiana, come me. Noi siamo abituati a collaborare in orchestra e Brahms in un certo senso scrive sempre in modo sinfonico, pensando all’orchestra: ma nella sua scrittura c’è anche tanto lirismo. Insomma, il poter stare insieme a registrare questa musica con la quale abbiamo avuto ed abbiamo un rapporto così stretto e familiare è stato il coronamento di un lungo percorso fatto di molte componenti diverse: emotive, tecniche, di amicizia, di viaggio alla scoperta dell’Italia…». Maestro Piovano, allora questo legame con l’Italia spiega meglio la presenza nel cd delle Due Romanze di Martucci che, infatti, avete eseguito spessissimo anche in concerto accanto a Brahms… L.P.: «Certamente e non solo Martucci. Nei nostri programmi abbiamo sempre inserito piccoli omaggi alla musica italiana: Braga, Cirri, Marcello, ma anche autori d’oggi come Michele Dall’Ongaro e Riccardo Panfili… [eseguiti in concerto per Musica Insieme nel 2017, NdR] Martucci è noto soprattutto per la sua produzione pianistica e sinfonica e in effetti nel panorama dell’Ottocento italiano, dominato dall’opera, rappresenta una voce fuori dal coro.


Foto Musacchio, Ianniello e Pasqualini

D’altro canto le sue Romanze, come dice già chiaramente il titolo, un po’ come i Lieder ohne Worte di Mendelssohn, richiedono una cantabilità e un fraseggio tipicamente vocali che l’Italia da sempre aveva esportato in tutta Europa. Ma di Martucci non dimentichiamo la splendida Sonata in fa diesis minore per violoncello e pianoforte, trentacinque minuti di musica dalla scrittura densissima per entrambi gli strumenti, quasi sinfonica, proprio come i due capolavori di Brahms, e i due Trii…». Per concludere, raccontateci qualcosa sull’ambiente particolare in cui ha visto la luce questo cd, la bella villa nella campagna Toscana che ospita questo splendido Steinway. L.P.: «C’è da dire subito una cosa: la profonda amicizia che lega il M° Pappano e me al padrone di casa, Nicola Bulgari, l’essere da lui ospitati in un ambiente caldo e accogliente immerso nella pace della natura toscana e il poter disporre di un pianoforte così ricco di storia, hanno reso già in partenza la cosa assolutamente speciale per noi, eliminando del tutto quel senso di freddezza e asetticità e al-

leggerendo anche lo stress che si prova in genere in sala di registrazione… Anche ciò che vedevamo intorno a noi faceva la differenza: davanti ai nostri occhi c’era il dolce profilo delle colline toscane e ogni volta che uscivamo per una breve pausa eravamo immersi nel verde, nell’armonia e nel silenzio». A.P.: «All’inizio ero molto curioso di vedere come la nostra idea di registrare un cd in casa di un caro amico avrebbe potuto conciliarsi con un’acustica che naturalmente è diversa da quella di uno studio di registrazione… Però l’intimità del luogo, la sua bellezza, i dintorni, e la convivialità che abbiamo vissuto con tutte le persone coinvolte in vario modo nella realizzazione di questo disco – il tecnico del suono e quello del pianoforte, il voltapagine – ci hanno dato un’enorme gioia: con Gigi abbiamo suonato moltissime ore, ma non sentivamo mai la stanchezza. In fondo è stato qualcosa che ci ha consentito di ritornare alle radici di quella che infatti si chiama “musica da camera”. In un certo senso la nostra è stata un’esperienza di salon “in excelsis”…». (a cura di Carlo Cavalletti) MI

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StartUp

QUANDO c’è la stoffa...

Sempre nuovi talenti si raccontano nella rubrica di Musica Insieme, ora ospitata anche sui nostri canali social. In questo numero, la musica incontra la moda

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are della propria passione una professione è un sogno che si avvera ogni giorno per Matteo Cimatti e Federica Lanari. Un sogno che natural-

mente richiede abnegazione, sacrificio, e soprattutto un grande entusiasmo. La musica per Matteo Cimatti, dalla Scuola di Fiesole all’Orchestra Giovanile Italiana,

alla Young Musicians European Orchestra. La moda per Federica Lanari, autrice di collezioni dove la femminilità sposa la sostenibilità e il fascino del Made in Italy.

Matteo Cimatti 20 anni, violinista. Lo trovate su Instagram (matteocimatti) e Facebook

Il tratto principale del tuo carattere? Sono introverso e riservato, e spesso riflessivo e taciturno. Ma il tratto principale del mio carattere è probabilmente la curiosità, e quindi l’entusiasmo che ne deriva quando ricerco o scopro qualcosa di nuovo. Chi consideri il tuo modello? Mi risulta difficile rispondere perché non ho un vero e proprio modello, ma piuttosto molti ideali astratti; di conseguenza ammiro e prendo ispirazione dalle persone in cui riscontro questi ideali. Nel mondo della musica, sono parecchi i musicisti ai quali mi ispiro, e non sono necessariamente tutti dei violinisti. Ma primo tra tutti rimane il grande David Oistrakh, il cui suono, in particolare, costituisce un modello per me da molti anni. Qual è il percorso di studi che stai facendo ora? Mi sono laureato da poco alla Haute École de Musique de Lausanne, in Svizzera, dove ho ottenuto il Diploma di Bachelor. Tra qualche giorno comincerò quindi il Master, sempre a Losanna. Cosa significa per te suonare? Cerco di sintetizzare in poche parole una risposta che sarebbe altrimenti troppo lunga e complessa. Suonare

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per me significa prima di tutto comunicare tutto ciò che non può essere espresso con le parole. La musica è un’arte astratta, ma al tempo stesso estremamente diretta, e credo che influenzi la nostra mente più di ogni altra arte, anche e soprattutto in maniera inconscia. Suonare significa quindi creare un ponte di comunicazione tra me e l’ascoltatore, ma anche fungere da tramite tra il compositore e il pubblico odierno. Trovare il giusto equilibrio tra l’espressione personale e il rispetto del testo del compositore rappresenta a mio parere uno degli aspetti più difficili del fare musica, ma è anche un privilegio incredibile. Qual è stata una esecuzione che ti ha particolarmente emozionato? È stata una rappresentazione del Rigoletto di Verdi, che mi colpì moltissimo, così tanto che scoppiai in lacrime alla fine dell’opera. Avevo più o meno dieci anni. Il tuo compositore preferito? Mi risulta difficile citarne uno, soprattutto se penso a Bach, Mozart, Brahms... Ma probabilmente i due compositori che ascolto più spesso e che mi più emozionano sono Beethoven e Schubert. Nella musica del primo trovo che sia raccontata l’umanità nella sua interezza: non

solo nell’intimità visionaria delle ultime opere, o nella grandiosità di molte sinfonie e concerti, ma anche per esempio nell’ironia pungente che caratterizza molte composizioni meno conosciute, o nella semplice e profonda contemplazione della natura caratteristica di numerosi movimenti lenti... Quello che mi affascina è la volontà costante di innovazione, di rivoluzione, e la ricerca di nuovi ideali che pervade l’intera opera beethoveniana. Della musica di Schubert invece mi commuove soprattutto il contrasto onnipresente tra innocenza infantile e profondità, tra spensieratezza e disperazione, tra gioia e dolore, e in particolare la facilità con cui si passa da uno stato all’altro, quasi impercettibilmente. Schubert rappresenta secondo me un vero e proprio miracolo, per varie ragioni, ma soprattutto per la bellezza sublime ma quasi inconsapevole delle sue opere.


Federica Lanari 32 anni, stilista. La trovate su Instagram (federicalanari) e su federicalanari.com

Come ti descriveresti? Mi ritengo una persona ottimista con valori “tradizionali”, che ho respirato in famiglia nel contesto in cui vivo, ma curiosa del mondo: amo molto viaggiare, conoscere realtà differenti. Sono nata a Bologna, ma ho avuto la fortuna di poter studiare per un periodo importante della mia vita all’estero, tra Miami, Manchester e Londra, occasioni che ho voluto fortemente cogliere per accrescere i miei interessi, stimolare le mie inclinazioni e trasformarle in opportunità formative e professionali. Quali sono i tuoi interessi? Il mio è un viaggio fatto di passione, prima per l’arte e la cultura contemporanea, poi per la creatività a tutto tondo, il fascino e l’eleganza, in ogni sua espressione. Mi piace canalizzare la mia visione artistica in uno stile di vita e sono spesso alla ricerca di sfide nuove, con l’obiettivo di mescolare la mia curiosità e il mio spirito energico nella realizzazione di abiti e collezioni dalla femminilità spiccata e dal sapore moderno, di ispirazione globale. Com’è nato l’amore per la moda e cosa ti ha spinto a farne la tua professione? Ho sempre saputo che cosa avrei voluto fare “da grande”, non sapevo certo come, né quale fosse il percorso giusto da seguire, ma sapevo perfettamente quale era il mio sogno: creare abiti ed essere una designer. Mi ha sempre affascinato l’allure e l’unicità del vintage, oggetti preziosi e irriproducibili, dal valore unico. Così ho iniziato, ancor prima di terminare gli studi, a creare cappelli e panama con spille, pizzi e jacquard ricercati, trovati da vecchi rivenditori ed artigiani, pezzi unici e inconsueti di diversi materiali e fogge. Parlaci del tuo iter accademico e

delle tue esperienze professionali. Prima gli studi in arte contemporanea e fotografia tra Bologna e Manchester, convinta che la contaminazione tra arte, musica e moda sia da sempre un intreccio indissolubile, un fil rouge quasi imprescindibile. Poi, a 23 anni mi sono trasferita a Londra per affinare le mie competenze nella moda e seguire un Master in Fashion Design all’Istituto Marangoni. Da allora ho trasformato la mia dedizione nella mia professione, richiamata in

Italia da alcune offerte di aziende locali e nel 2016 ho avviato il mio brand “Federica Lanari” e dato il via alla mia prima collezione di ready-to-wear donna. Qual è la tua giornata ‘tipo’ fra lavoro, tempo libero, amici e famiglia? Tutto è molto scandito dal periodo dell’anno e dalle collezioni da creare e produrre, tuttavia tendo ad osservare una certa “quotidianità”, cogliendone particolari sfumature, emozioni e tendenze che poi trasferisco, quasi inevitabilmente, nella vita privata così come nelle mie creazioni, quasi fossero inscindibili. La mia giornata è una storia a misura di una donna che oltre al lavoro ha un

compagno, una famiglia, amici e un cane (anche abbastanza irrequieto!). Cerco di tenere e trasmettere uno stile che sia attento al mondo che ci ruota intorno, intuendo le necessità ed i desideri di una donna che, come me, è sensibile alla moda e sicura di sé, che ha voglia di indossare capi facili e sofisticati, adatti ad un lifestyle contemporaneo dove tutto è più immediato, senza però perdere in raffinatezza e precisione. Quali obiettivi vorresti aver raggiunto tra dieci anni? Credo fortemente nel valore del Made in Italy e, ogni giorno di più, cerco di sviluppare un’identità per il mio brand che sia decisa e dal carattere concreto, al limite del lusso convenzionale. Un’attitudine che cerco di trasmettere anche nelle consulenze estere che rivolgo ad altri brand, e che spero possano intensificarsi sempre di più nei prossimi anni, coprendo ulteriormente mercati dove il valore del Made in Italy è spiccatamente apprezzato, come gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi e l’Asia. Hai un modello di riferimento? Mi propongo di rappresentare un’azienda responsabile ed onesta, al passo coi tempi e in favore della sostenibilità, valori che sento come parte integrante della filosofia del mio brand e che anche Stella McCartney con il suo marchio, prima di me, ha condiviso. Apprezzo come in ogni sua collezione non rinunci ad un’elegante sartorialità, con capi frizzanti e moderni, che nel contempo sposano una moda sostenibile, che incentiva metodi di produzione sempre economicamente redditizi, ma più green e più attenti al cambiamento climatico e al benessere degli animali, ispirando una maggiore responsabilità per i professionisti del settore e i consumatori finali.

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Teatro Comunale di Bologna

UN AUTUNNO

per ricominciare

Riprende la Stagione 2020 del Comunale, con recuperi e nuovi spettacoli d’opera, sinfonica e danza fra la Sala Bibiena e il PalaDozza

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l Teatro Comunale di Bologna ha un nuovo palcoscenico al PalaDozza e la Stagione 2020 può così ripartire in sicurezza con tutti e tre i suoi principali cartelloni: opera, sinfonica e danza, confermando molti degli appuntamenti già programmati per la stagione autunnale, proponendo numerosi recuperi di spettacoli sospesi negli scorsi mesi ed anche nuovi spettacoli.

Foto Michele Lapini

Sopra: Gabriele Lavia. Sotto: prove d’orchestra al PalaDozza. Nella pagina accanto, sopra: Eleonora Abbagnato, sotto: Oksana Lyniv

AL PALADOZZA SINFONICA Dopo l’apertura il 21 settembre con Juraj Valčuha sul podio dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il violinista Valeriy Sokolov, recupero del concerto dello scorso 1° marzo, il 28 settembre è in programma il concerto con la Filarmonica del TCBO diretta da Hirofumi Yoshida e il soprano Jessica Pratt, originariamente previsto lo scorso 26 aprile, con pagine operistiche di Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini e la Settima Sinfonia di Ludwig van Beethoven. Viene invece anticipato dal 16 novembre al 12 ottobre il concerto diretto da Roberto Abbado con il pianista

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Alexander Melnikov e la Filarmonica, interamente dedicato a Beethoven con il Quarto Concerto per pianoforte, l’Ouverture Coriolano e la Prima Sinfonia. Il 15 ottobre si recupera l’appuntamento dello scorso 30 marzo; il direttore d’orchestra Yoel Levi salirà sul podio dell’Orchestra del Comunale e con lui ci sarà il pianista Michail Lifits. In programma il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra op. 25 di Felix MendelssohnBartholdy e la Terza Sinfonia di Beethoven. Confermati, come da cartellone, tre appuntamenti: il 19 ottobre con la Filarmonica e Stefano Bollani, che interpreta una sua composizione e il Concerto per pianoforte e orchestra in la maggiore KV 488 di Wolfgang Amadeus Mozart, nella doppia veste di direttore d’orchestra e solista; il 22 novembre e il 27 novembre con l’Orchestra del Comunale diretta rispettivamente da Pinchas Steinberg e


Foto T. Mongne

con il pianista Federico Colli (in programma il Secondo Concerto per pianoforte di Beethoven, la Suite Erdbeben. Träume in prima assoluta di Toshio Hosokawa e la Prima Sinfonia di Pëtr Il’ič Čajkovskij), e dalla bacchetta di Oksana Lyniv insieme al violinista Stefan Milenkovich (per una serata che presenta il Concerto per violino n. 1 di Max Bruch, la Seconda Sinfonia di Robert Schumann e l’Ouverture Fidelio di Beethoven).

OPERA Dal 29 settembre torna la lirica con L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti (fino al 7 ottobre) per il progetto “Opera Next”, diretto da Jonathan Brandani e con la regia di Pablo Maritano, che sarebbe dovuto andare in scena lo scorso aprile, presentato in forma semi-scenica. Il cast rimane invariato. Il 18, 20 e 21 ottobre vengono recuperate le tre recite della Madama Butterfly di Giacomo Puccini saltate lo scorso febbraio che, per motivi logistici, sono però proposte in forma di concerto con la direzione di Pinchas Steinberg. Tra gli interpreti principali confermati figurano Karah Son e Svetlana Kasyan, Cristina Melis, Angelo Villari

e Raffaele Abete, Dario Solari e Gustavo Castillo. Produzione di punta del Comunale per la programmazione autunnale è l’Otello di Giuseppe Verdi nella nuova lettura registica di Gabriele Lavia, ideata appositamente per gli spazi del PalaDozza e rispettando le regole di sicurezza, in scena dall’11 al 18 novembre. Sul podio Asher Fisch. Tra i protagonisti Gregory Kunde e Roberto Aronica, che si alternano nel ruolo del titolo, Franco Vassallo e Mariangela Sicilia.

AL COMUNALE DANZA Il Teatro Comunale di Bologna non abbandona la sua “casa”: infatti nella Sala Bibiena il 9 e 10 ottobre viene proposto per la Stagione di Danza il balletto in un atto intitolato 4 stagioni, Là dove il cuore ti porta, scritto e diretto da Giuliano Peparini: protagonista l’étoile Eleonora Abbagnato. Lo spettacolo, ripensato appositamente per il Comunale, vede la partecipazione dell’Orchestra del Teatro che eseguirà pagine di Antonio Vivaldi e Domenico Scarlatti. 4 stagioni sostituirà il balletto Lucrezia Borgia, previsto per il 25 e 27 settembre, mentre Le Presbytère n’a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat di Maurice Béjart, originariamente in programma nelle stesse date di ottobre, non avrà luogo. EVENTO SPECIALE Spazio, infine, ad un appuntamento fuori stagione che vede protagonista del monologo con musica e immagini intitolato Bologna. La storia di una città dagli Etruschi a Mihajlovic l’attore e conduttore televisivo bolognese Giorgio Comaschi: il 29, 30 e 31 ottobre con l’Orchestra del Comunale diretta da Valentino Corvino.

INFORMAZIONI E BIGLIETTERIA I dettagli sugli spettacoli e sugli orari, che seguono i regolari turni di abbonamento a seconda delle date, sono disponibili sul sito del teatro www.tcbo.it. Per tutti gli eventi della Stagione 2020 che vengono recuperati restano validi i biglietti e gli abbonamenti già acquistati (così come restano validi i titoli d’ingresso del balletto Lucrezia Borgia per 4 stagioni). Biglietti acquistabili online su www.tcbo.it e presso la biglietteria dell’Auditorium Manzoni (Via de’ Monari, 1/2) dal martedì al venerdì dalle 12.00 alle 18.00 e il sabato dalle 11.00 alle 15.00.


Il ricordo

RITRATTO di signora

Ringraziamo Loris Azzaroni, Presidente della Regia Accademia Filarmonica di Bologna, per questo toccante ricordo di Maria Teresa Liguori Bubani, impareggiabile signora della cultura e della musica, che ci ha lasciati il 21 agosto scorso

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È già arrivata la Signora Liguori?» – «Certo, è nel suo ufficio e forse la sta aspettando». È stata la prima domanda che per anni ho posto alle ragazze dello staff appena entrato al mattino in Accademia ed è stata la stessa risposta che per anni ho ricevuto. “Forse” mi stava aspettando: Maria Teresa Liguori non avrebbe mai chiesto alle ragazze di sollecitarmi ad andare da lei. Se avessi voluto e se avessi potuto, allora sì, la mia visita sarebbe stata graditissima, se invece lei avesse avuto necessità di parlarmi di qualcosa di urgente, mi avrebbe aspettato, in piedi, davanti alla porta del mio ufficio. Esempio massimo di educazione sopraffina, riservatezza, anche pudore. Esempio inimitabile. E invece appena avuta la risposta dalle ragazze andavo con gioia nell’ufficio di Maria Teresa: mi accoglieva con un magnifico sorriso e mi pregava di sedermi di fronte a lei. Ed iniziava tra noi una conversazione piacevolissima, che toccava, a volte succintamente, a volte con maggiore agio, i temi che si dovevano trattare nella giornata e quelli che si sarebbero dovuti sviluppare nei giorni e nelle settimane successive. Aveva sempre un suggerimento, un consiglio, un parere da offrire, mai da promuovere e men che meno da imporre. E quanto mi sono servite, in questi anni, le sue parole: era intelligente, acuta, ricca di quell’ampio bagaglio di esperienze e di conoscenze che la sua lunga militanza veramente attiva nel mondo della cultura non solo bolognese le aveva fatto guadagnare, talora anche con fatica, sempre con abnegazione. Adesso è davvero, come dire, strano, quasi incredibile, inverosimile non vederla seduta alla sua scrivania. Sulla parete principale del suo ufficio in Accademia, però, almeno ci sarà un suo magnifico ritratto, che chiunque abbia visitato la sua casa non avrà potuto non ammirare.

È stata per molti anni “Rappresentante del Fondatore” dell’Accademia, una carica voluta dal nobile Vincenzo Maria Carrati, fondatore dell’Accademia Filarmonica nel 1666, e conservata nel tempo, nei secoli, dagli accademici non solo per dovere statutario, ma anche e credo soprattutto in segno di perenne gratitudine e di rispetto. Una carica che, dapprima ereditaria, divenne poi elettiva e a vita. L’elezione di Maria Teresa Liguori Bubani a quella carica prestigiosa, la più importante delle cariche accademiche, avvenne in maniera naturale, spontanea, con coro unanime: era il più naturale, spontaneo e unanime riconoscimento degli accademici ad una persona che fin dall’inizio degli anni Duemila era stata al fianco di Carlo Maria Badini nel proposito benemerito di dare nuova linfa alla più antica istituzione musicale laica della città, nel sostenere con passione la nascita dell’Orchestra Mozart, nel seguire con sincero interesse e ampio slancio tutte – ma proprio tutte – le attività dell’Accademia Filarmonica. E nell’accompagnare tutto questo con generosità ineguagliabile, mai esibita, ma sempre sollecita nell’azione e riservata nel gesto, una generosità per la quale non ha mai chiesto nulla in cambio, nemmeno quando, nel momento più buio dell’Accademia, è intervenuta in maniera decisiva per salvare l’istituzione. Ho rivisto in questi giorni diverse fotografie scattate insieme a lei durante le nostre trasferte all’estero con l’Orchestra Mozart, durante i concerti in Sala Mozart, durante i convegni, i concerti dei cori di ragazzi, dei giovani musicisti dell’Accademia dell’Orchestra Mozart. E ho rivisto con quale naturalezza e semplicità passava dal sedersi in pullman accanto ai musicisti all’accomodarsi nelle poltrone dei teatri più prestigiosi d’Italia e d’Europa, dal pranzare nella carrozza ristorante sul treno per Lucerna al mangiare pane e S. Daniele in un modesto bar di Pordenone: lo stesso identico entusiasmo, la stessa identica gioia, la stessa trepida attesa di ascoltare in concerto i “suoi” ragazzi, quelli che – e non l’hanno dimenticato – tante e tante volte sono stati accolti nella sua bella casa. Come ha accolto tutti noi. E come ora noi l’accogliamo nella nostra memoria e nei nostri cuori.



I luoghi della musica

IL REGIO di Parma

Città di Teatri e di Musica, Parma manterrà il titolo di Capitale Italiana della Cultura per tutto il 2021. Esploriamo spazi e tesori del suo Teatro Regio di Maria Pace Marzocchi

Foto Roberto Ricci

Sopra: il sipario dipinto di Giovan Battista Borghesi. Sotto: la sala del Teatro Regio di Parma

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Foto Roberto Ricci

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arma 1618. Su commissione del duca Ranuccio I all’architetto Giovan Battista Aleotti viene avviata la costruzione del Teatro Farnese nella Sala d’Armi del Palazzo della Pilotta: inaugurato nel 1628, fu dismesso nel 1732 (attualmente è inserito nel percorso della Galleria Nazionale ed ospita spettacoli musicali promossi dal Teatro Regio). A metà secolo, con don Filippo di Borbone, il Teatro Ducale era ancora all’interno del Palazzo. Frattanto venivano istituite la scuola di danza (1757) e nel 1763 l’Accademia di Musica. Un teatro come edificio autonomo si avrà solo con l’attuale Teatro Regio, nato come Nuovo Teatro Ducale. Commissionato nel 1821 all’architetto di corte Nicola Bettoli dalla duchessa Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, reggente del Ducato di Parma dopo il Congresso di Vienna, fu inaugurato il 16 maggio 1829 con l’opera Zaira appositamente composta da Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani. Prendeva così avvio la storia di uno dei più prestigiosi teatri d’opera, che ai tempi di Maria Luigia ebbe alla guida dell’Orchestra Ducale Niccolò Paganini. Pur nei cambiamenti di metà Ottocento, quando per volere di Carlo III di Borbone parte del decoro originale fu coperto da stucchi e dorature, il teatro, con la facciata caratterizzata dal colonnato ad ordine ionico sovrastato da un’ampia finestra termale, conserva evidenti le connotazioni dello stile neoclassico.

Una scalinata porta alla Sala del Ridotto dov’era collocato il trono di Maria Luigia, che vi arrivava direttamente dalle sue stanze di Palazzo Ducale. Dal foyer, attraverso il portale d’onore, si accede alla sala teatrale ellittica su cui affacciano quattro ordini di palchi, alcuni dotati di accoglienti retropalchi, mentre il palco ducale conserva intatta la fastosa decorazione originaria. Ornano il soffitto dipinti di Giovan Battista Borghesi, che paiono ruotare attorno all’astrolampo, l’imponente lampadario in bronzo dorato forgiato dalle officine Lacarrière di Parigi. Il pittore di corte ha realizzato anche il sipario dipinto – uno dei pochi ancora conservati – con l’allegoria Il Trionfo della Sapienza, dove Maria Luigia compare in veste di Pallade Atena circondata da dei e ninfe, muse e poeti. Lo sovrasta un “orologio a luce” recentemente ripristinato, che segna l’ora ogni cinque minuti. Fin dall’inaugurazione il Teatro ha intrecciato la sua storia con quella del melodramma italiano, con una particolare supremazia del repertorio verdiano, che ne è a tutt’oggi il protagonista privilegiato, come dimostra anche l’edizione 2020 del Festival Verdi, con titoli come Macbeth ed Ernani, la Messa da Requiem e un concerto dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Valerij Gergiev. Accanto all’opera, il Regio ospita rassegne prestigiose come ParmaDanza e la Stagione concertistica organizzata dalla Società dei Concerti di Parma.

TEATRO REGIO Parma, Strada Garibaldi 16/a www.teatroregioparma.it MI

MUSICA INSIEME



Storie della musica

AARON

Copland

Il 29 ottobre, il Trio di Parma interpreterà per Bologna Modern l’unico Trio di Copland, dove tradizione ebraica, americana e russa s’intrecciano

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Sopra: Aaron Copland nel 1932 (Aaron Copland Collection, Library of Congress)

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di Brunella Torresin

n una lettera del 14 luglio 1927, scritta da Königstein, la cittadina tedesca dove trascorre quell’estate frequentando i festival di Francoforte e Baden-Baden, Aaron Copland (1900-1990) confida a Nicolas Slonimsky: «Spero di tornare a casa con un Trio su Temi Ebraici». Lo ripeterà, un mese più tardi, in una lettera a Barbara e Roger Sessions. E un anno dopo, da Santa Fe, a Nadia Boulanger, la sua insegnante di composizione a Parigi dal 1921 al 1924: «Mi piacerebbe eseguire un Trio per piano, violino e violoncello per i nostri concerti. Non dovrebbe essere impossibile, dal momento che ho già il materiale tematico». Il Trio trae origine dal dramma di Semën An-ski, Tra due mondi: il dibbuk, un racconto di amore, morte e possessione portato in scena a New York dal Teatro Habima, uno degli studi del Teatro d’Arte di Mosca, nel dicembre 1926. Aaron Copland, nato a Brooklyn in una famiglia ebrea di origine lituana, e autore solo l’anno prima di Music for the Theater, aveva assistito a una rappresentazione, rimanendone colpito. Le musiche del “Dibbuk” erano state composte da Yoel Engel, che tra il 1912 e il 1914 aveva accompagnato An-ski nella sua spedizione etnografica nelle comunità ebraiche della Russia e dell’Ucraina occidentale, raccogliendo una grandissima quantità di racconti popolari, fotografie, canti, manoscritti e registrazioni rese possibili dal fonografo di Edison. Il “materiale tematico” al quale Copland lavora, come scrive nella lettera a Boulanger del giugno 1928, è questo. È la melodia popolare ripresa da Engel e ascoltata a Vitebsk, la città natale di Anski (e anche di Marc Chagall), ed è l’eco della

drammatica condizione degli ebrei in Bielorussia, come lo stesso Copland spiegherà nella sua autobiografia. Copland continuerà a comporre nell’autunno e nei mesi che seguono, anche se, come scrive a Boulanger, «diventa sempre più difficile lavorare in inverno a New York. Ho smesso di rispondere al telefono e vedo meno persone possibile – ma è comunque difficile. Ma finché devo fare conferenze per guadagnare qualche soldo e finché sento che i concerti possono diventare importanti nella nostra vita musicale non vedo molto bene cosa altro si possa fare». La prima esecuzione del Trio, al quale Copland ha dato il titolo di Vitebsk: A Study on a Jewish Theme, avviene il 16 febbraio 1929 a New York, per iniziativa della Lega dei Compositori. Gli interpreti (“meravigliosi”, li giudicherà l’autore) sono il pianista tedesco Walter Gieseking, con Alphonse Onnou primo violino e Robert Maas violoncello del Quartetto Pro Arte di Bruxelles. Vitebsk è stato composto in parte in Germania, riprende una melodia popolare chassidica, lo eseguono musicisti europei, ma per Copland è anche un brano autenticamente e identitariamente americano. «Le influenze ebraiche erano presenti nella mia musica anche quando non mi riferivo ad esse in modo esplicito – scriverà in seguito –. Sono cresciuto nella tradizione dell’Europa dell’Est e quindi non c’era alcuna novità, come non vi era novità nel caso del materiale popolare attinto al West americano». Il pubblico di Musica Insieme ascolterà Vitebsk nell’interpretazione del Trio di Parma il 29 ottobre per Bologna Modern.





Mozart a Bologna 1770 > 2020

AMADEUS è stato qui Un libro, un concerto, una cena, un film: Musica Insieme ripercorre il soggiorno bolognese del giovane Mozart con quattro eventi speciali di Fulvia de Colle

U Sopra: il Quartetto Alla Maniera Italiana. Sotto: Liuwe Tamminga. Alla pagina accanto: Sandro Cappelletto

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n’importantissima ricorrenza come il 250° anniversario del viaggio di Mozart a Bologna, che la visitò insieme al padre Leopold prima nel marzo e poi (più a lungo e con un intervento ben più fecondo) da luglio a ottobre del 1770, rappresenta per la nostra città un’occasione unica per celebrare i prolifici rapporti che il genio di Salisburgo intrattenne con la società bolognese, con le principali istituzioni cittadine e con i massimi esponenti della cultura del tempo, in primis Padre Martini. Nella prima decina di ottobre 2020 si celebrerà quindi il passaggio del giovane Mozart in città, con una serie di iniziative dedicate, che Musica Insieme realizzerà con il contributo di Unicredit e in collaborazione con importanti istituzioni del ter-


MOZART A BOLOGNA 1770>2020 Calendario

ottobre 2020 - giovedì ore 18 1 Palazzo Boncompagni Presentazione del volume di

Sandro Cappelletto

Mozart. Scene dai viaggi in Italia (Il Saggiatore, 2020)

ritorio. Giovedì 1 ottobre alle 18 a Palazzo Boncompagni, Sandro Cappelletto, celebre voce di Rai Radio 3, musicologo e autore di apprezzatissimi libri di argomento musicale, presenterà il suo ultimo volume monografico: Mozart. Scene dai viaggi in Italia (Il Saggiatore), uscito nel marzo 2020. L’incontro con Cappelletto sarà anche l’occasione per presentare al nostro pubblico la “settimana mozartiana”, che proseguirà il 6 ottobre con un concerto-racconto nella Basilica di San Domenico (inizio alle 21,15, ingresso gratuito). Proprio in San Domenico, lo stesso giorno di 250 anni prima infatti il giovane Mozart sedette all’organo («Oggi ho suonato l’organo dai Domenicani», racconta in una lettera alla famiglia): a narrare le vicende di quel periodo denso di avvenimenti sarà la voce di Sandro Cappelletto, mentre all’organo della Cappella del Rosario salirà Liuwe Tamminga, instancabile animatore del Complesso di San Colombano sulle orme del compianto Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini, e che al viaggio italiano di Mozart ha dedicato una pluripremiata incisione per Accent, suonando proprio l’organo conservato in San Domenico. Al concerto parteciperanno i giovani talenti del Quartetto Alla Maniera Italiana, da noi selezionati nell’ambito della Rete delle Dimore del Quartetto, nata al fine di promuovere la formazione e la visibilità di giovani formazioni di musica da camera. Il suono degli archi si intreccerà al racconto, proponendo l’ascolto del primo Quartetto di Mozart, il KV 80, e dei due Adagi KV 156, composti proprio in quegli anni in Italia. Il 7 ottobre 2020, nel Foyer Rossini del Teatro Comunale, Musica Insieme organizzerà una ricostruzione storica di una cena della nobiltà bolognese di fine Settecento, esattamente quella società che accoglieva la famiglia Mozart in quei mesi, fra ricevimenti e banchetti. Il progetto nasce da un approfondito lavoro di ricerca svolto dall’Istituto alberghiero “Scappi” di Castel San Pietro Terme, al quale Musica Insieme ha aderito

ottobre 2020 - martedì ore 21.15 6 Basilica di San Domenico

Sandro Cappelletto narratore Liuwe Tamminga organo Quartetto Alla Maniera Italiana Musiche di Mozart

2020 - mercoledì ore 19.30 7 ottobre Teatro Comunale di Bologna – Foyer Rossini

A cena con Mozart

ottobre 2020 - giovedì ore 20 8 Cinema Lumière

Noi tre (1984) di Pupi Avati

con il contributo di

con entusiasmo, ancora una volta con l’intento di promuovere le giovani professionalità, non solo in ambito musicale. La cena sarà preceduta da una rievocazione della visita a Bologna del giovane Wolfgang. Il Teatro Comunale di Bologna, che nel 1770 aveva appena sette anni di “vita”, non poteva che essere la sede ideale di questa iniziativa. Nell’intento di riunire la città intorno a questo importante anniversario, Musica Insieme sarà poi al fianco della Regia Accademia Filarmonica (dove il 9 ottobre Mozart sostenne il celebre esame per divenire Accademico Filarmonico), con l’organizzazione di visite guidate per i nostri abbonati e ospiti alla Sala del Compito di Mozart, recentemente inaugurata. Un ulteriore importantissimo legame di Mozart con la città di Bologna è stato celebrato poi dal cinema, con la pellicola Noi tre di Pupi Avati, commedia del 1984 con Ida Di Benedetto, Carlo Delle Piane e Lino Capolicchio che si avvale delle musiche originali di Riz Ortolani per raccontare poeticamente proprio il viaggio del quattordicenne Amadeus fra il luglio e l’ottobre 1770. A completare le celebrazioni sarà proprio la proiezione al Cinema Lumière, l’8 ottobre 2020, della pellicola di Avati, in collaborazione con la Cineteca di Bologna.

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Mozart a Bologna 1770 > 2020

UN RAGAZZINO

all’Accademia

Sandro Cappelletto, voce narrante del nostro concerto del 6 ottobre in San Domenico, nonché autore del libro Mozart. Scene dai viaggi in Italia, presentato in questo numero, racconta alcuni momenti dei due soggiorni bolognesi di Wolfgang e di suo padre

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adre e figlio, Leopold e Wolfgang arrivano per la prima volta a Bologna sabato 24 marzo 1770. Sono giunti in Italia alla fine di dicembre del 1769, entrando dal passo del Brennero, procedendo poi verso Trento, Rovereto, Verona, Mantova, Cremona, Milano e da Milano hanno iniziato il percorso che li condurrà fino a Napoli. Siamo nel pieno del primo viaggio, il più lungo dei tre. Complessivamente, Mozart rimarrà in Italia due anni, percorrendo oltre 3000 chilometri e cambiando 200 volte cavalli ai cambi di posta. A Bologna, alloggiano in quella che era considerata la migliore locanda in città, l’Albergo del Pellegrino: bombardato nel 1943, sorgeva in via dei Vetturini, ora via Ugo Bassi: «Questo è il luogo più costoso che abbiamo trovato finora in Italia» scrive Leopold alla moglie e alla figlia, malvolentieri rimaste a Salisburgo: la camera 1 ducato al giorno. Tutto è aumentato, anche perché la città è piena di gente: «solo di gesuiti ce ne saranno stati qui più di 1000, di quelli che sono stati scacciati». I gesuiti erano già stati banditi da Portogallo, Francia, Spagna e Regno di Napoli. Nel 1773, l’ordine sarà soppresso da Clemente XIV. Oggi, risorto, esprime il sommo pontefice. Domenica 25 i Mozart sono ricevuti a Palazzo Pallavicini, in via San Felice 24. La contessa Maria Caterina Fava di Ferro e il conte Gian Luca Pallavicini mettono a disposizione degli ospiti una loro carrozza e organizzano – per il giorno dopo! – un’accademia di musica a Palazzo. Conserviamo il biglietto d’invito:

La Contessa Pallavicini prega la Signora N.N. di volerla favorire Lunedì sera giorno 26 del corrente ad una ristretta Conversazione in sua Casa, e gliene professerà distinta obbligazione.

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Ristretta conversazione: gli invitati saranno circa 150, 66 dame con i loro accompagnatori. È presente anche il più eminente didatta, teorico e storico della musica italiano del tempo, padre Giovanni Battista Martini. Frate francescano, autore di una Storia della musica in tre volumi, la sua biblioteca conteneva 17.000 volumi, 6.000 le lettere frutto della corrispondenza con rilevanti personalità musicali europee. In ogni città italiana visitata, sia pure per pochi giorni, le più influenti famiglie concedono udienza e ascolto a Wolfgang. Sono entrati nel giro buono, dalla porta principale. Ma quanto a lungo potrà durare quel turbinio, quel successo? Il pubblico si stanca presto, chiede nuovi idoli, mentre il tempo passa, il bambino diventa un ragazzo, poi un giovane uomo e l’effetto meraviglia svanisce. In giornate vorticose di impegni, i Mozart rendono visita a Carlo Broschi Farinelli. All’evirato cantore considerato il più grande cantante del secolo, ormai anziano di sessantacinque anni, Leopold riserva soltanto un inciso: «Abbiamo visitato il cavalier Don Broschi, ossia il cosiddetto Sgr. Farinelli, nella sua tenuta fuori città». Da parte di Wolfgang nessun commento. La sua definitiva opinione sugli evirati cantori la esprimerà dieci anni dopo, nella lettera del 27 dicembre 1780: «Amano troppo gli spaghetti fatti a pezzettini e non prestano attenzione all’espressione». Giovedì 29 è fissata la partenza; scelgono la strada che conduce al Passo della Raticosa, da dove si entrava nel territorio del Granducato di Toscana. * * *

Dopo aver visitato il santuario di Loreto e seguito la strada di Fano, Pesaro, Cattolica, Rimini, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola, il 20


luglio, alle 8 del mattino, i Mozart sono di nuovo a Bologna e si sistemano nell’Albergo San Marco, ancora in via dei Vetturini. Approfittando dell’immobilità di Leopold, costretto a letto da una brutta ferita alla gamba causata da una caduta dalla carrozza, Wolfgang trova il tempo per scoprire la città da solo. Il 10 agosto si trasferiscono nella tenuta alla Croce del Biacco, allora appena fuori città. Leopold rimane basito: «Puoi immaginarti le stanze e i letti, le lenzuola sono più fini delle camicie di molti nobiluomini etc. Tutto è d’argento, financo il pitale e il lumino da notte». I Mozart scoprono «un frutto grosso e rotondo con la buccia verde, bello a vedersi quando viene aperto e tagliato a fette, perché l’interno, ossia il cuore, è rossiccio. Questo frutto viene chiamato angurie o anche cocomero o zucca, ma si tratta di zucche molto buone e non di quelle selvatiche. Lo si mangia con zucchero e cannella». Wolfgang si diverte a cavalcare gli asini, compone musica e scrive alla sorella Nannerl: «Ora sto giusto leggendo il telemach, sono già al secondo volume». Le avventure di Telemaco, il libro di François de la Mothe-Fenelon, era stato pubblicato a Parigi nel 1699. Non sappiamo quale edizione e in quale lingua, fra le tante traduzioni disponibili, possedesse Wolfgang di quel romanzo d’avventura, considerato una satira del-

l’assolutismo del regno di Luigi XIV e nella seconda metà del Settecento ritornato d’attualità, in nome del suo appellarsi alla forza del diritto naturale contro il diritto divino. Montesquieu lo definì «libro divino di questo secolo». Il 2 ottobre lasciano la villa e rientrano in città; il 4, i bolognesi celebrano la festa del loro patrono e i Mozart partecipano alle funzioni a San Petronio. Due giorni dopo, Wolfgang suona l’organo a San Domenico. Ma il gran giorno cade il 9 ottobre. Wolfgang viene chiuso da solo in una stanza e inizia l’esame per diventare membro dell’Accademia Filarmonica come compositore. La prova consiste nello sviluppare in un contrappunto a quattro parti la melodia di un’antifona di canto fermo. Gli viene assegnato un passo tratto dal Vangelo di Matteo (6, 33): Quaerite primum regnum Dei (Cercate dapprima il regno di Dio). Mozart supera l’esame e viene aggregato «alla forastiera», cioè come membro non residente in Bologna. Ma le cose non sono andate del tutto lisce. Il Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna conserva due documenti: la prima versione con gli «errori» di Mozart e quella corretta da Padre Martini. Sono molto diverse: nel trattamento delle parti, nella disposizione delle parole del testo latino sotto le note. C’è una terza versione, custodita all’Accademia Filarmonica di Bologna, il cui sito web specifica: «La composizione autografa del giovane Amadeus conservata nell’archivio storico dell’Accademia è la seconda versione del compito: la prima, considerata non confacente alle regole, fu ampiamente riveduta da Padre Martini, ed è tale versione che poi Mozart ricopiò e consegnò. A Mozart l’Accademia, nel 1884, intitolò l’attuale sala dei concerti». In definitiva, un esame truccato. Leopold lo aveva messo in guardia: «Questo genere di composizione vieta molte cose, che gli è stato detto preliminarmente di non fare». E invece Wolfgang le ha fatte e Padre Martini si fa consegnare il compito e lo corregge prima che venga presentato agli altri accademici, certo che avrebbero ritenuto il lavoro del ragazzo non rispettoso delle regole dello «stile severo», non coerentemente sviluppato, troppo libero nell’andamento delle diverse voci. Basta poco per andare fuori regola sviluppando un’antifona in contrappunto: come se in un sonetto inserissimo un decasillabo al posto di un endecasillabo, nel primo verso della Divina Commedia invece di cammin leggessimo camin, nella Scuola di Atene di Raffaello Platone e Aristotele non fossero al centro della fuga prospettica ma fuori fuoco. Dettagli formali? No, sostanza.

Sopra: Giambettino Cignaroli, Ritratto di W.A. Mozart al cembalo, 1770, olio su tela, collezione privata

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Bologna Modern #5

UNO, DUE…

trio!

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L’arsenale

Foto MatteoDeMayda

La V edizione del Festival per le musiche contemporanee organizzato da Musica Insieme in collaborazione con il Teatro Comunale propone un focus sul repertorio per trio, con prime esecuzioni e incontri con autori e interpreti

al 2016, il festival Bologna Modern si fa vetrina delle migliori esperienze della musica d’oggi, trovando la propria sede ideale nell’Oratorio di San Filippo Neri, e ospitandovi prime esecuzioni italiane e assolute. Proprio per lo sguardo particolare che caratterizza questo cartellone, ci è parso un segnale particolarmente importante riconfermare la V edizione del festival dopo tanti mesi così difficili e incerti. Quello di Bologna Modern infatti è uno sguardo rivolto al futuro, ma insieme concentrato sin nel titolo sul ruolo centrale di Bologna, città aperta e curiosa verso il nuovo, ma senza dimenticare le proprie radici storiche. Con cinque concerti fra ottobre e novembre, il fil rouge dell’edizione 2020 sarà la letteratura per trio. A cominciare dal trio per eccellenza, quello di violino, violoncello e pianoforte, il cui repertorio è lastricato di capolavori. Un focus che sarà anche l’occasione per un ritratto in tre concerti del trio italiano più celebrato del panorama internazionale: il Trio di Parma, che proprio nel 2020 festeggia i trent’anni dalla formazione. Con l’invitarlo, Musica Insieme ha inteso inoltre rendere omaggio all’importante investitura di Parma Capitale della Cultura. Il programma del loro primo concerto, il 14 ottobre, intreccia le melodie suadenti del Trio di Ravel e i temi popolari irlandesi di Frank Martin a due originali rivisitazioni mozartiane di Arvo Pärt e Gerhard Schedl. Nel secondo incontro con il Trio di Parma, il 29 ottobre, Russia e America si incontrano con il Vitebsk Trio di Aaron Copland e i due Trii di Dmitrij Šostakovič – il secondo dei quali è un capolavoro asso-

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luto, nato nel 1944 fra gli orrori della seconda guerra mondiale. Il Trio si congederà dal pubblico di Musica Insieme il 12 novembre con due autori, la cui “leggerezza” scaturisce da una profondità e, spesso, da una sofferenza senza precedenti. Così Mauricio Kagel, che studiò musica con Ginastera e letteratura con Borges, lascia che il tango faccia capolino fra le note del Trio n. 3, partitura altrimenti rarefatta e segnata dal dolore per il tumore incurabile che lo stava tormentando. In chiusura, la giocosità campestre dell’unico Trio di Ildebrando Pizzetti rappresenta un doveroso omaggio al compositore parmense. Accanto al focus sul Trio di Parma, il 5 novembre Musica Insieme porta per la prima volta a Bologna Modern le geometrie variabili dell’ensemble L’arsenale, diretto dal compositore Filippo Perocco, che celebra quindici anni dalla fondazione con brani appositamente composti per il suo inedito organico, “colorato” da strumenti (soprano, sax, chitarra elettrica, fisarmonica e pianoforte) e accessori (synth, oggetti, strumenti fatti in casa, elettronica). Il risultato è un repertorio che esalta l’ampio spettro sonoro del gruppo, sviluppando ulteriormente l’excursus di Musica Insieme sulle possibili declinazioni “in trio” con brani recentissimi, fra cui una prima esecuzione assoluta di Eric Maestri. Si riconferma poi il sostegno di Musica Insieme al progetto europeo IDEA del Divertimento Ensemble, sfociante in una Call for Young Performers focalizzata ogni anno su un diverso esponente della musica d’oggi. Dopo le integrali pianistiche dedicate a Ligeti e Kagel, il 19 novembre toccherà a Stefano Gervasoni, fra i più autorevoli autori italiani, perfezionatosi con Castiglioni, Corghi e Ligeti. Stefano Gervasoni parteciperà al concerto, introducendo i nove interpreti selezionati dall’annuale workshop interpretativo. In programma anche una sua prima esecuzione italiana, Adagio di sgelo da Mozart, KV 356, nella versione per trio approntata proprio per Musica Insieme. Bologna Modern si realizza in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna e con il sostegno di Pelliconi, accanto a noi sin dalla prima edizione del festival.



Bologna Modern #5 – interviste

Ivan Rabaglia, Alberto Miodini, Enrico Bronzi TRIO DI PARMA

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14 e 29 ottobre, 12 novembre 2020 ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri Qual è il segreto di una collaborazione così duratura? Immaginiamo che “vivere” un Trio, come spesso si dice per il quartetto d’archi, sia una sorta di matrimonio a tre… I.R.: «In realtà il quartetto d’archi impone una condivisione più intensa rispetto a quella del trio. Questa formazione ti chiede sia la disciplina del quartetto che la libertà del solista. Tutti e tre siamo sposati e con figli, e penso che nessuno di noi viva il trio come un matrimonio. Per come siamo diversi un “doppio matrimonio” sarebbe un disastro! Questi anni insieme ci hanno insegnato che il rispetto delle nostre differenze è il modo migliore per restare uniti nella musica. Un’idea che potrebbe funzionare anche nella società…». Parma è stata scelta come Capitale della Cultura 2020/21. Cosa rappresenta per la vostra storia questa città, che avete significativamente prescelto come nome del Trio? Enrico Bronzi: «Il nostro nome è stato scelto prima di tutto nella tradizione dei grandi complessi italiani (Trio di Trieste, di Milano, di Bol-

Foto Francesco Fratto

el 2020 il Trio di Parma festeggia i 30 anni di attività. Quali momenti ricordate in particolare della vostra storia e cosa prevedete o vi augurate per il futuro? Ivan Rabaglia: «Ricordo la prima volta che suonammo al Regio di Parma per una rassegna di allievi quando non eravamo ancora un trio “ufficiale”. Quello fu il momento in cui ci guardammo in faccia e ci chiedemmo se non era il caso di continuare a suonare insieme. Dopo iniziarono i viaggi: bellissimi ricordi, dai posti più sperduti a quelli più celebrati. Teatri come il Colón di Buenos Aires, la Wigmore Hall di Londra o i nostri meravigliosi teatri italiani ti lasciano un segno dentro perché hanno una storia e risuonano con una propria “personalità”. Ora il Covid sta cambiando noi tutti. E in particolare sto pensando agli architetti e agli organizzatori che insieme a noi musicisti dovranno rimodulare il concetto di teatro per far tornare le persone ad ascoltare la musica dal vivo, senza paure e con una nuova visione della partecipazione».


zano…). Ci siamo formati quando eravamo ancora studenti di una splendida istituzione, il Conservatorio di Parma. Per questa ragione è stato naturale darci questa connotazione, nonostante il nome della nostra città sia soprattutto legato alla lirica, fenomeno che quando eravamo ragazzi un po’ snobbavamo perché ci sentivamo abitanti di un altro universo, quello della musica da camera. La storia musicale di Parma è però gloriosa, ed entrare al Teatro Farnese o suonare al Teatro Regio è una delle emozioni più forti che ancora proviamo. La nostra è una città magica per la sua atmosfera e per la storia stratificata che ai fasti medievali affianca le testimonianze farnesiane o i segni del Ducato di Maria Luigia d’Austria, che fu sposa del Bonaparte». Il ritratto in tre concerti dedicatovi da Musica Insieme è anche un ritratto del trio con pianoforte dal Novecento a oggi: come avete inteso questo percorso nella scelta degli autori e delle “aree” geografiche? Alberto Miodini: «Se la pratica della musica da camera sino alla prima metà dell’Ottocento ha trovato terreno fertile, con il suo straordinario repertorio, essenzialmente nell’Europa Centrale (con Vienna innegabile punto di riferimento), a partire dal Novecento si assiste a un eccezionale allargamento degli orizzonti geografici e culturali per questo genere di musica. Le opere per trio con pianoforte ne sono una sicura testimonianza e con i nostri programmi – partendo dalla Russia di Šostakovič e passando dalla Francia di Ravel approderemo in una Irlanda rivisitata dallo svizzero Martin – abbiamo cercato di illustrare come autori di origini e formazione differenti si approccino nelle maniere più diverse agli aspetti formali, estetici, timbrici e coloristici, studiando e superando, direi, l’annosa problematica della convivenza di strumenti dalla natura assai diversa quali gli archi e il pianoforte». Fra i capolavori di cui è costellato il vostro repertorio c’è sicuramente il Secondo Trio di Dmitrij Šostakovič, che affiancherete al Primo e che vi ha portato il premio come Miglior disco dell’anno della rivista Classic Voice nel 2008. Cosa vi affascina particolarmente di questo compositore così tormentato, e cosa desiderate che emerga nel suo celebratissimo Trio? Ivan Rabaglia: «Šostakovič è un compositore che amiamo e odiamo. Mi sento di interpretare anche i miei colleghi se dico che i nostri pareri sulla sua musica a volte sono così contrastanti! Mentre il Primo Trio è un lavoro giovanile, im-

portante soprattutto nell’ottica del suo percorso compositivo, il Secondo è sicuramente un capolavoro della maturità. È stato composto nel 1944, mentre Šostakovič leggeva i bollettini della seconda guerra mondiale e soffriva le sorti dell’Europa. Tutto il Trio è pervaso da questo senso di catastrofe lontana e vicina allo stesso tempo, è una danza macabra che si muove dalle macerie desolate dell’inizio fino alle evoluzioni lacerate del finale, prima della catarsi degli ultimi accordi. Il dolore è tanto lontano fisicamente quanto mai vicino al cuore del compositore, di chi suona e di chi ascolta». Accanto alle pietre miliari del repertorio, presenterete alcune rarità come le composizioni di Pärt e di Schedl ispirate a Mozart: di che brani si tratta? Enrico Bronzi: «Sono musiche che dialogano con il passato da una distanza siderale. In entrambi i brani, tra loro molto lontani, la musica mozartiana sopravvive come un relitto sul quale gli idiomi della modernità si depositano come incrostazioni. Mozart è presente come uno spettro, come il ricordo di un tempo che non è più. Nel brano di Schedl la temperie è molto drammatica e il brano è capace di una concisione impressionante, mentre Pärt scioglie il suono mozartiano nel fluido immanente dei suoi “tintinnabuli”, la tecnica rigorosa da lui sviluppata. Ascoltare il Mozart-Adagio di Pärt assomiglia a quello che facciamo quando guardiamo le galassie nel cielo ed in tal modo facciamo un viaggio nel passato profondo: vediamo la luce di stelle che forse non esistono più da milioni di anni. L’effetto è fortemente poetico e suggestivo, nonostante appaia come un brano a prima vista ingenuo». Infine, il 12 novembre vi congederete con la “leggerezza campestre” dell’unico Trio di Ildebrando Pizzetti, non a caso un compositore parmense, anch’esso di non frequente esecuzione: come lo presentereste al pubblico? Alberto Miodini: «Il Trio di Pizzetti è senza dubbio una delle opere più interessanti del repertorio cameristico italiano e, ingiustamente, un poco dimenticato. Nel suo Trio gli aspetti di lirismo e cantabilità tipici del nostro primo Novecento, o gli spunti popolari e infantili tanto cari a Pizzetti, coesistono ad un trattamento dell’armonia dal sapore e dall’influenza francese, non di rado facendo ricorso all’uso della politonalità. Un’opera di indubbia finezza e freschezza, che alla fine conquista sempre l’ascoltatore più attento e curioso». (a cura di Fulvia de Colle)

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Bologna Modern #5 – interviste

Filippo Perocco – ENSEMBLE L’ARSENALE

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giovedì 5 novembre 2020 ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri

Foto Michele Crosera

ei è compositore, direttore d’orchestra e organista, oltre che direttore artistico de L’arsenale: come riesce a conciliare tutto? «Li vivo come ambienti in osmosi nei quali circolano idee e stimoli non esclusivamente musicali. La direzione è per me un fatto parallelo e complementare a quello compositivo. Il rapporto con lo strumento è una pratica che seguo nei ritagli di tempo. Quando possibile, una “boccata d’aria”. L’aspetto organizzativo, all’interno dell’ensemble L’arsenale, diventa l’occasione per proporre quella musica che spesso non trova spazio nei circuiti ufficiali, ma che rappresenta l’espressione autentica di quelle voci vigili e capaci di confrontarsi con il tempo in cui viviamo». L’arsenale è un organico atipico, che accosta agli strumenti classici quelli elettrici ed elettronici; come sono stati scelti i vari elementi? «È stato un incontro spontaneo di alcuni musicisti provenienti da esperienze artistiche diverse. Nell’arco di pochi anni abbiamo distillato la formazione definitiva. Un organico bizzarro, atipico, nel quale troviamo strumenti classici, elettrici ed elettronici, estensioni analogiche e manufatti di “nuova liuteria”. Il nostro organico in qualche modo garantisce una netta e distinguibile caratteristica di suono. Questa mistura di strumenti molto diversi stimola il lavoro compositivo e si dimostra di grande fascino per i compositori e per il pubblico». Ci ha raccontato che sono stati fondamentali i suoi primi esperimenti timbrici, quando da bambino costruiva rudimentali oggetti sonori. I giochi di oggi sono sempre più digitali e offrono “esperienze” standardizzate, anche a livello sonoro. Come incide questo cambiamento sul formarsi della capacità di ascolto? «Il rapporto tattile con il suono è insito in noi. I bambini preferiscono questo rapporto concreto,

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materico. Toccare il suono, toccare il gioco, sporcarsi le mani sono alcune tra le operazioni che richiedono un utilizzo diverso del tempo e che permettono una stratificazione. È un’esperienza nella quale si sceglie, si elimina, si accantona, si recupera. In qualche modo si crea una personale mappa sonora. Sono operazioni che rimangono, si trasformano e riaffiorano». Riferendosi alla sua musica Lei parla di superfici grezze, di detriti e macerie, come se toccasse il suono, un po’ come Kandinskij quando affermava di vedere i colori della musica. Quanto è importante questo processo sinestesico? «Preferisco le superfici ruvide a quelle lisce. Quelli che ha citato rappresentano i consueti tarli che mi accompagnano da sempre nel fatto compositivo. Per me è fondamentale tentare di toccare il suono partendo da un processo spontaneo, non aprioristicamente scientifico, accettandone anche le componenti di precarietà. Questa attitudine credo che derivi dai primi esperimenti d’infanzia con il suono “libero” e ludico. Anche nelle estensioni analogiche o elettriche degli strumenti acustici ricerco questo approccio tattile». Il fil rouge di Bologna Modern 2020 è il trio. Come interpreterete questo concetto delle “tre voci” con i vostri strumenti? «Ci guida il suono. In maniera più ampia ed allargata presentiamo lavori scritti appositamente per noi e il nostro organico, nel quale è strutturale la presenza di tre ambiti vocali: la voce umana; la voce degli strumenti acustici; la voce degli strumenti elettrici, elettronici e delle varie estensioni. Ascolteremo varie declinazioni del concetto di trio: da quello esplicito a quello allargato». Spesso anche per i musicofili più appassionati un certo tipo di sperimentazione è tutt’altro che familiare: che chiave darebbe per accostarsi all’ascolto nel modo più semplice e immediato? «La musica come tutte le arti richiede tempo. Forse è meglio parlare di volontà di mettersi in ascolto. La sperimentazione non è una prerogativa dei nostri anni o del recente passato. Credo che il modo più semplice di ascoltare sia quello che ci mette nella condizione di non avere pregiudizi e rifiuti. Ognuno di noi può trovare questo desiderio. A volte è dietro l’angolo. Cambiando prospettiva, la musica spesso è ingombrante se ci viene proposta anche quando non serve. Può questo alimentare un’atrofizzazione dell’ascolto?». (a cura di Irene B. Grotto)



Bologna Modern #5 – interviste

Stefano Gervasoni IDEA / CALL FOR YOUNG PERFORMERS

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giovedì 19 novembre 2020 ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri

Foto Francisco Alvarado Basterrechea

n un’intervista del 2018 affermava che tra i compiti dei docenti ci fosse anche quello di far capire la storia ai propri studenti. Come si avvicinano i giovani a un passato che spesso sentono lontano ed estraneo? «Riavvicinandoli alle tracce che la storia ci ha lasciato, le fonti dirette, i documenti. Internet, i dispositivi mobili, l’intelligenza artificiale modificano i nostri meccanismi di conoscenza appiattendo tempo e spazio in un tutto sempre a disposizione e eternamente presente. Questa “vicinanza” confonde lo sguardo, l’ascolto, la percezione e l’elaborazione dei dati: l’esperienza diretta è sempre più surrogata, mediata, l’incontro con le cose diventa secondario, attraverso un sistema sempre più standardizzato di discorsi al-

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trui, che soffocano il proprio. Per quanto riguarda il caso specifico della composizione e del suo insegnamento, l’analisi delle partiture, la lettura degli scritti, delle lettere, degli schizzi, delle note dei compositori è fondamentale per capire come le loro preoccupazioni, le ossessioni, i desideri e i meccanismi compositivi che le incarnano siano sempre gli stessi, quale che sia l’epoca, lo stile, la biografia personale. Le modalità tecniche cambiano, ma non le strutture profonde, è questo che cerco di insegnare ai miei allievi: quanti elementi di modernità una partitura del passato può contenere, con quale raffinatezza un artista cerca di tradurre in una lingua sonora comunicabile le proprie visioni, le proprie intime e universali preoccupazioni». Divertimento Ensemble le ha dedicato Rondò 2020, all’interno del quale è stato anche protagonista di masterclass e conferenze. Nell’incontro Happy Music! ha eseguito una sua composizione, e poi il pubblico ha compilato un breve questionario sull’esperienza di ascolto. Quali riflessioni ne ha tratto? «È stato un bell’esercizio e un’esperienza che mi ha molto arricchito. Gli artisti desiderano che la propria opera sia autosufficiente, che parli da sé. E così è certamente. Ma come ogni essere vivente che sente necessario riflettere sulla propria esistenza, su certi accadimenti della propria vita, sul senso da dare alle proprie azioni e alle proprie scelte, l’artista ha il dovere di interrogarsi e di interrogare i frutti del suo lavoro, le proprie opere. Mi piace molto pensare all’opera d’arte come a un organismo sintomatico i cui indizi sono in parte conosciuti e manipolati dall’autore, e in parte sconosciuti, o manipolati con un grado di coscienza diverso. Dover spiegare al pubblico i mille perché della propria opera aiuta l’autore ad averne sempre più coscienza (una coscienza che progredisce col tempo), ad essere sempre più capace di esprimere con la finezza, la sottigliezza, la precisione cognitiva e emozionale ciò che pensa di voler dire che, nell’arte, è sempre un agglomerato di cose racchiuse in un gesto pri-


mario e sintetico, razionale per quanto riguarda la sua messa in forma tecnica ma irrazionale per quanto riguarda il suo contenuto». IDEA e la didattica: sappiamo quanto sia importante non far scomparire la musica dalla scuola, ma anche portare il più possibile i giovani a teatro, per condividere l’esperienza del concerto dal vivo. Con quali “strumenti” bisognerebbe conquistare le nuove generazioni a questi valori, ampliando i loro orizzonti d’ascolto oltre la trap e le musiche “da auricolari”? «Certamente portando la musica dal vivo nelle scuole e portando le scuole nei luoghi deputati della musica. L’esperienza della fruizione musicale dal vivo, i corpi e le menti degli ascoltatori immersi collettivamente in uno spazio di onde sonore, è insostituibile e costituisce un’esperienza vitale allo stesso modo dei comportamenti psico-fisiologici umani (respirare, dormire, amare…). Intorno alla pratica musicale classica si sono creati una serie di fraintendimenti: tra questi, il genio dell’autore o dell’interprete, la dimensione elitistica del creatore e dei suoi fruitori, lo snobismo delle convenzioni sociali che considerano il concerto un rituale borghese ormai superato, l’idea di un’arte per pochi, molto costosa, indirizzata ad altri scopi (il turismo, la celebrazione di eventi, la monumentalizzazione in cerimonia esemplare a scopo politico, sportivo, demagogico...). Tutto ciò ha reso la musica colta un museo frequentato da pochi e poco ospitale. La musica può essere ovunque, ma solo negli spazi che consentano di farla nelle dovute condizioni: la percezione corretta del suono grazie a una buona acustica, il silenzio nel quale il suono si propaga, la sinergia degli interpreti, la tensione comunicativa che si stabilisce tra loro e gli ascoltatori, eccetera. Tutto ciò è offerto dalle sale da concerto, dai teatri, dagli auditorium. Non si devono considerare luoghi chiusi, per pochi e per anziani ricchi. La musica si può anche fare in mille altri luoghi, dai musei alle fabbriche, dalle stazioni ai cortili, a condizioni che le caratteristiche acustiche e logistiche di questi luoghi creino le condizioni adatte per l’incontro suono-corpo-mente. Molto spesso non è così, ci si accontenta del valore sociologico, fenomenologico di questo incontro, in un’esperienza con la musica che è del tutto secondaria, liminale. E poi i protagonisti attivi di questa arte (gli autori e gli interpreti in primo luogo, le fonti primarie del fare musica) devono poter parlare in prima persona nelle scuole, nelle

fabbriche, nei cortili, nelle stazioni (che invece vediamo ingombre di stand di operatori telefonici, come se la preoccupazione di una comunicazione capillare e pervasiva venisse prima dei contenuti e degli scopi del comunicare). Come ho già detto altre volte: “democratizzare l’accesso all’arte cosiddetta colta” e non “abbassarne il livello, banalizzandola” per uscire dall’impasse della sua fruizione elitistica». Veniamo al focus che ospiteremo a Bologna, con l’esecuzione integrale di Prés per pianoforte solo. Oltre a un elemento ludico che sembra far capolino sin dal titolo, e tutti i suoi “capitoli”, da Pré ludique a Précieux e così via, com’è il pianoforte di Stefano Gervasoni? «Il pianoforte è per me lo strumento più metafisico, una macchina a bottoni capace di suscitare, per evocazione, suoni, colori, luci e ombre di tutti gli altri strumenti, esistenti e inesistenti. Uno strumento che fa della sua neutralità e della sua oggettività la base di una virtualità che la specificità della scrittura pianistica (polifonica e risonante a più livelli di tocco) trasforma in universo di colori e allusione a significati. Nel caso dei Prés, (“prati”, in francese), i titoli dei singoli brani, tutti comincianti con la sillaba “pre”, intendono concentrare nella dimensione di un mini-preludio l’attivazione di questo meccanismo: essi diventano pre-testo, ovvero indizi per istigare all’ascolto di situazioni, oggetti, sensazioni, immagini e pensieri che la musica potrebbe cripticamente racchiudere, incise nella scrittura». A Bologna ascolteremo anche due brani da camera, la Sonatinexpressive e l’Adagio di sgelo, da Mozart, KV 356, in prima esecuzione italiana. A proposito di rapporti con la storia, che cosa “ha preso” di Mozart e come lo ha trasformato? «L’intero brano che Mozart scrisse per Glasharmonica, armonica a bicchieri. L’intento è quello di ricreare il suono di questo strumento, un suono “di vetro”, magico, affascinante e inquietante come la voce di una sirena, trasfigurando completamente l’Adagio di Mozart pur rimanendo fedele alle sue note. Questo brano è un’ossessione che mi rincorre da sempre. Ne ho fatto una prima versione per orchestra, nel 1990, poi una per violino e toy-piano (oppure armonici di pianoforte) nel 2012, e infine quella per flauto basso, violino e viola che ascolterete, dello scorso anno. Chissà che non ne faccia altre ancora, in futuro. Sono per me “esercizi di visione”». (a cura di Carla Demuru)

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MIA – Musica Insieme in Ateneo 2020

ASCOLTI

ritrovati

Si completa con il recupero dei due concerti rimandati lo scorso marzo la rassegna che Musica Insieme dedica agli studenti universitari al DAMSLab Auditorium

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Sopra, Giulia Loperfido. Sotto, l’Orchestra del Baraccano

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usica Insieme ha profuso in questi mesi il massimo impegno per offrire agli studenti dell’Ateneo la possibilità di assistere ai due concerti previsti a marzo, e rimandati a causa del lockdown. La XXIII edizione di MIA – Musica Insieme in Ateneo, la rassegna nata dalla collaborazione tra Musica Insieme e l’Università di Bologna, si concluderà dunque con due appuntamenti che prevedono la presenza di una compagine e di un duo di violoncello e pianoforte, a completare la panoramica sul repertorio e sullo “strumentario” della musica. Mercoledì 25 novembre, l’Orchestra del Baraccano diretta da Giambattista Giocoli presenterà in anteprima per Musica Insieme un nuovo progetto in collaborazione con il Teatro del Baraccano, dedicato alla figura di un bolognese illustre, Ottorino Respighi. In programma le sue Antiche arie e danze per liuto, una raccolta di libere trascrizioni orchestrali da brani del XVI e

XXIII edizione

DAMSLab /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b - Bologna) - ore 20.30

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novembre 2020 - mercoledì Respighi Suite

Orchestra del Baraccano Giambattista Giocoli direttore Musiche di Respighi

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In collaborazione con Teatro del Baraccano

dicembre 2020 - giovedì Rising Stars

Anton Mecht Spronk violoncello Giulia Loperfido pianoforte Musiche di Brahms, Šostakovič

L’ingresso ai concerti della rassegna è gratuito per gli studenti e il personale docente e tecnicoamministrativo dell’Università di Bologna, su presentazione del proprio badge, mentre per tutti i cittadini il biglietto ha un costo di 7 euro. I biglietti saranno disponibili la sera del concerto a partire dalle 19.30 nel foyer dell’Auditorium DAMSLab. Non è prevista prenotazione.

XVII secolo, realizzate fra il 1917 e il 1931. Nell’arrangiamento originale per ottetto ad opera di Fabio Codeluppi, Filippo Mazzoli, Valentino Corvino e Giambattista Giocoli, l’ensemble mira a riprodurre tutti i colori orchestrali pensati da Respighi, creando una sintesi affascinante tra la presenza di strumenti fondamentali per Respighi, come l’arpa e il clavicembalo, e la ricerca di un suono nuovo e moderno, con l’inserimento di fisarmonica e basso tuba. Nell’appuntamento conclusivo, giovedì 10 dicembre, ascolteremo per la prima volta a Bologna il violoncellista olandese Anton Mecht Spronk, vincitore del Concorso internazionale “Mazzacurati” 2019, dove si è aggiudicato anche il Premio dell’Orchestra Nazionale della RAI e il Premio del pubblico. Al suo fianco la ventenne Giulia Loperfido che, forte della formazione con Bogino e Lucchesini, si perfeziona proprio in cameristica con il Trio di Parma. Nel concerto si fronteggiano due colossi del repertorio per violoncello e pianoforte: la prima delle due Sonate di Brahms e l’unica Sonata mai scritta per questo organico da Šostakovič.





Per leggere / di Chiara Sirk

Leone Magiera Karajan. Ritratto inedito di un mito della musica

(La nave di Teseo, 2020)

Il pubblico conosce Leone Magiera per i suoi sodalizi con i più grandi cantanti. Li ha accompagnati nella loro preparazione, nei loro recital e li ha anche diretti. Ha deciso, perché è stato anche direttore artistico di diverse istituzioni, o suggerito – il suo parere ha un peso e un’autorevolezza notevoli – di scritturarli. Lo si conosce anche come valente pianista, interprete di Chopin soprattutto. Quello che non tutti sapevano era la sua vicinanza professionale con Herbert von Karajan. Eppure si tratta di un rapporto durato decenni, suggellato da reciproca stima. Ad esso Magiera, grande maestro, ha voluto dedicare il libro intitolato Karajan. Ritratto inedito di un mito della musica, uscito per l’editore La nave di Teseo (2020, pagg. 265, con l’illustrazione in copertina di Erico Verderi). Si tratta di una pubblicazione ricca di ricordi e riflessioni, impreziosita dalla prefazione di Mirella Freni, la cui scomparsa ha addolorato tutti. Un libro franco, cordiale come l’autore, che mantiene la promessa di delineare un “ritratto inedito” di un dio della musica e, al contempo, racconta il mondo della lirica, tratteggiando i suoi più importanti personaggi, ricordandone i luoghi e i protagonisti. Da leggere. Peter Williams Bach. Una biografia musicale

(Astrolabio – Ubaldini, 2019)

La casa editrice Astrolabio vanta una benemerita collana (Adagio) di saggi di argomento musicale in cui figurano volumi di grande pregio. Ultimo, nel 2019, esce Bach. Una biografia musicale, scritto da Peter Williams, pubblicato dalla Cambridge University Press nel 2016 e ora tradotto in italiano da Maurizio Giani. Si tratta di una biografia frutto di una ricerca meticolosa e appassionata, come si evince nelle 764 pagine che compongono l’opera. Anche se scritto in modo scorrevole si tratta di un volume impegnativo, non solo per la mole. Vale però la pena di cimentarsi con tanto materiale perché ricchissimo di informazioni e di riflessioni. Ricordiamo che Peter Williams, scomparso l’anno scorso, è stato oltre che un valente musicologo, docente e organista di altissimo livello. A Bach aveva già dedicato diversi studi. Questo, l’ultimo, parte da un approccio decisamente originale. Nel narrare la vita e le opere di Bach, l’autore prende le mosse dal principale documento di cui disponiamo, il cosiddetto Nekrolog, pubblicato quattro anni dopo la morte di Johann Sebastian dal figlio Emanuel e dal discepolo Johann Friedrich Agricola. Un volume in cui la musicologia diventa esercizio critico. 48

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RITRATTI

musicali

Leopold Mozart e il figlio di tredici anni nel dicembre 1769 intrapresero il primo viaggio in Italia, paese di cui in tutta Europa si decantavano le virtù musicali. Ne seguirono altri due, l’ultimo nel 1773. In tutto trascorsero settecentoventi giorni nella penisola, fermandosi in ventisette città, da Bolzano a Napoli. Questi viaggi sono stati oggetto di studio e di pubblicazioni perché forniscono informazioni preziose sia su uno dei massimi compositori, sia sulla vita musicale italiana, sui suoi protagonisti, sulle dinamiche sociali. Molte notizie sono contenute nelle lettere che i Mozart scrivevano alla madre e alla sorella rimaste a Salisburgo. La loro è una cronaca certamente personale, ciononostante piuttosto precisa e anche gustosa. Non meraviglia quindi che Sandro Cappelletto, scrittore e storico della musica, nota voce radiofonica, abbia voluto dedicare a questo tema il suo Mozart. Scene dai viaggi in Italia, edito da Il Saggiatore (2020). Nelle 350 pagine che compongono l’opera il lettore troverà raccontate, con la chiarezza tipica dell’autore, le vicende dei viaggi di Leopold e Wolfgang inscritte in un quadro più ampio, con numerosi riferimenti incrociati alle vicende storiche, politiche, artistiche del-

l’epoca. Interessante l’analisi psicologica dei rapporti tra un padre molto ambizioso e un figlio che pare sempre accondiscendente. Naturalmente non mancano i riferimenti alle soste fatte a Bologna, dall’accademia di musica in Palazzo Pallavicini in via San Felice al notissimo episodio della prova d’ammissione all’Accademia Filarmonica. Al di là delle cronache, delle note di colore, questo volume intende cogliere l’importanza che sul giovane ebbero questi viaggi. Che parte ebbero nella sua formazione? Furono determinanti nella sua strabiliante carriera? In una lettera scritta a Parigi Wolfgang annota: «Un uomo di talento medio resta sempre mediocre, che egli viaggi oppure no, ma un uomo di talento superiore (cosa che, senza essere empio, non posso negare di essere) peggiora se rimane sempre nello stesso posto» (11 settembre 1778). A ventidue anni è perfettamente consapevole che non è il viaggio a dare o a far crescere il talento, ma per chi abbia il dono della musica spostarsi è essenziale. Lo avrà capito grazie anche ai tre viaggi in Italia? Possiamo ritenere di sì.

Karajan, Bach e Mozart: tre avvincenti racconti biografici che illuminano anche vizi e costumi delle società dell’epoca

Sandro Cappelletto Mozart. Scene dai viaggi in Italia

(Il Saggiatore, 2020)



Da ascoltare / di Roberta Pedrotti

LIRISMO italiano

Romanze, cantate e altre rarità cameristiche spiccano in tre originali uscite discografiche, tutte nelle mani di intrepreti italiani

Bruno Canino, Massimo Mercelli, Alessio Bidoli, Nicoletta Sanzin Rota: Chamber Works

(Decca, 2020) La popolarità cinematografica può offuscare il riconoscimento di un compositore? Ascoltando la musica cameristica di Nino Rota, non a torto considerato l’alter ego di Fellini, ascoltiamo l’erede della generazione dell’Ottanta, un neoclassicismo dagli ampi orizzonti internazionali. La melodia, la pulizia formale, la chiarezza armonica non hanno mai nulla di artificioso, di programmatico, di irrigidito, bensì una grazia disarmante, una delicata naturalezza che anima la costruzione e attraverso piccoli gesti ironici (l’Improvviso per violino e pianoforte intitolato Un diavolo sentimentale del 1969!) ci porta verso lidi inaspettati. Il lirismo accattivante intriga e gioca con effetti perturbanti sia nel classico accostamento violino/pianoforte, sia nel duo flauto/arpa (che guarda a Mozart e sa di Novecento) o nel trio con flauto e violino (qui il modello è Bach). Rota ammicca a Stravinskij e ai Six francesi, ma resta sornione nella sua grazia solo apparentemente rassicurante. Resta se stesso, un compositore emblematico del Novecento, ancora in buona parte da scoprire e riscoprire, anche grazie a cd come questo, nell’interpretazione di Alessio Bidoli, Bruno Canino, Massimo Mercelli e Nicoletta Sanzin. Camerata Accademica, Lucia Cortese, Paolo Faldi Marcello. Arianna abbandonata & other Cantatas

(Elegia Classic, 2020)

Almeno per Il teatro alla moda, il nome di Benedetto Marcello è familiare a musicofili, musicologi e musicisti, che ne ricorderanno anche le copiose composizioni sacre, un buon catalogo strumentale, qualche cantata profana e poco teatro. Maggiore di due anni e meno noto è il fratello Alessandro: talento poliedrico, dedito alle scienze e alle lettere, ben poco ci è pervenuto della sua produzione musicale, che pure ha goduto dei favori di Farinelli. L’ascolto della cantata Irene sdegnata conferma una qualità che non teme il confronto con il fratello, il quale, tuttavia, mantiene un primato nel trattamento degli affetti e nello sviluppo del tessuto strumentale, ben valorizzato dalla Camerata Accademica di Paolo Faldi. Al comun denominatore familiare si sommano quelli poetici e formali. Lucia Cortese canta abbandoni e travagli amorosi: Arianna (musicata da Benedetto), Irene (Alessandro), l’anonima tradita da Silvio (Quanto fu lieto) e l’inquieta protagonista di Qual turbine improvviso, entrambe di Benedetto. Lo schema che ricorre è Recitativo Aria Recitativo Aria con un’introduzione strumentale che per Arianna abbandonata e Irene sdegnata ha forma più ampia di ouverture all’italiana.

Antonio Pappano nasce pianista: accompagna le lezioni di canto del padre e da lì entra nei teatri, maestro collaboratore, suggeritore, assistente, infine direttore sul podio. Il primo amore, però, non si spegne e Pappano torna spesso e volentieri al pianoforte, ancor più volentieri condividendo il piacere cameristico di far musica in duo o in trio. Non ha mai smesso di accompagnare cantanti, si esibisce quanto possibile con solisti che sono anche prime parti della “sua” Orchestra di Santa Cecilia, come il violoncellista Luigi Piovano. La gerarchia del podio si trasforma in dialogo fra pari e, d’altra parte, anche Piovano non disdegna d’impugnare a sua volta la bacchetta. Dunque, una coppia perfetta, cementata dalla consuetudine pressoché quotidiana in ruoli diversi, si cimenta in un programma dedicato a un’altra coppia, un po’ meno consolidata ma non peregrina: Brahms e Martucci. L’incarnazione stessa della civiltà sinfonica austrotedesca dopo Beethoven è l’italiano che quella tradizione volle emulare, rinnegando il teatro come ambito irrinunciabile per un compatriota di Verdi. Di Martucci ecco le due brevi Romanze per violoncello e pianoforte op. 72 (1890) a preludere alle due sonate per lo stesso organico di Brahms (1862-65 e 1886). L’intensa arcata melodica di Martucci, devota al modello transalpino quanto franca nell’ispirazione, non figura come il vaso di coccio fra vasi di ferro, ma come miniatura ben tornita partecipe degli stessi modelli di cui le sonate brahmsiane, vero piatto forte del programma, sono fra le massime espressioni. Si circoscrive una koiné musicale europea fra il giovane italiano e il maestro tedesco, in cui fioriscono i retaggi della dottrina di Bach, dell’elaborazione formale classica e dei suoi sviluppi romantici. Pappano e Piovano condividono il senso del canto strumentale, il gusto di una ricca tavolozza timbrica e dinamica, la pregnanza dell’accento e dell’articolazione, vale a dire l’idioma della sintesi frutto dell’analisi intelligente. Luigi Piovano, Antonio Pappano Brahms / Martucci. Two Sonatas and Two Romances for cello and piano

(Arcana, 2020) 50

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Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Editore

Fulvia de Colle

Direttore responsabile Carla Demuru, Cristina Fossati, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

In redazione

Loris Azzaroni, Sandro Cappelletto, Carlo Cavalletti, Irene B. Grotto, Maria Pace Marzocchi, Roberta Pedrotti, Chiara Sirk, Brunella Torresin

Hanno collaborato

Kore Edizioni - Bologna

Grafica e impaginazione

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

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Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, ARETÈ & COCCHI TECHNOLOGY, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BOLOGNA PLACEMENT AGENCY, BPER BANCA, CAMST, CASETORRI, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, DATALOGIC, EMIL BANCA, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRIMALDI IMMOBILIARE, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, INTESA SANPAOLO, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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MI

MUSICA INSIEME






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