Bimestrale n. 1/2022 – anno XXXI/BO - € 2,00
gennaio/marzo 2022
Gli archetti di Repin e Mullova fra classica e jazz Sua Maestà il pianoforte: Bronfman, Lonquich e il debutto del Duo Jussen MIA - Musica Insieme in Ateneo porta il Premio Busoni a Bologna
Katia e Marielle Labèque
e la dedica di Philip Glass
SOMMARIO
n. 1 gennaio / marzo 2022
Editoriale
Una passione contagiosa di Fulvia de Colle
Imprenditoria e cultura
Andrea Mantellini / Penske Italia di Riccardo Puglisi
Il Premio “Piero Buscaroli”
Un’occasione per giovani studiosi di Alessandra Scardovi
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StartUp
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MIA – Musica Insieme in Ateneo
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Una vita... a tutta birra! Trio Hermes, Enrico Checchi Una questione di educazione di Alessandra Scardovi
Teatro Comunale di Bologna Opere e Sinfonie per il nuovo anno
I luoghi della musica
L’estasi di Santa Cecilia – Pinacoteca Nazionale di Bologna di Maria Pace Marzocchi
Storie della musica
Béla Bartók di Brunella Torresin
Di... segni e di versi
La violinista disvelata di Nicola Muschitiello ed Erico Verderi
Per leggere
Sinopoli, il Dante di Avati, Cremonini e il Teatro di Chiara Sirk
Da ascoltare
Rarità per Labèque, Jussen e Bandini di Roberta Pedrotti 6
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MUSICA INSIEME
Lucas e Arthur Jussen
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Yefim Bronfman
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I concerti gennaio / marzo 2022 Articoli e interviste Katia e Marielle Labèque Vadim Repin, Nikolai Lugansky Lucas e Arthur Jussen Yefim Bronfman Cuarteto Casals, Alexander Lonquich Viktoria Mullova, Misha Mullov-Abbado
Vadim Repin
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Viktoria Mullova
Cuarteto Casals
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In copertina: Katia e Marielle Labèque (foto di Umberto Nicoletti)
Jae Hong Park
EDITORIALE
UNA PASSIONE contagiosa Perché amiamo la musica? Al di là del valore che ognuno di noi attribuisce all’arte dei suoni – e in queste pagine vi invitiamo ad ammirare l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, approfittando della nuova mostra della Pinacoteca Nazionale di Bologna – questa è la domanda che ogni organizzatore dovrebbe porsi nel momento in cui desideri parlare al proprio pubblico, intercettarne di nuovo, e soprattutto aprire un dialogo con i giovani e giovanissimi. È un’esigenza profonda, non soltanto per dare un futuro alla sala da concerto, che per retaggio culturale è ancora abitata in prevalenza da un pubblico adulto e spesso in età matura, ma anche perché l’amore per la musica comporta il desiderio, quasi la necessità – come accade per tutte le passioni – di condividerlo e di tramandarlo. Come ci raccontano in questo numero gli ospiti dei nostri Concerti, la certezza del valore del “prodotto” che si propone, in realtà una vera e propria fede nel valore assoluto dell’arte, ha solo bisogno di trovare un canale per essere trasmessa. Le parole chiave emerse nelle loro interviste sono significative: nel caso ad esempio di Katia Labèque, dei fratelli Jussen o di Misha Mullov-Abbado, la musica trova terreno fertile quando è “di famiglia”, e per tutti loro è stata una compagna di vita sin dall’infanzia, assorbita con naturalezza e semplicità. Al livello successivo c’è l’educazione, che affiderebbe alla scuola soprattutto il compito di offrire più musica “classica” agli studenti, le cui orecchie sono già sature dei suoni trasmessi dai dispositivi elettronici, ma che spesso non sono abituati a quel “dialogo con l’ascoltatore” di cui parla invece Vadim Repin, a quel “viaggio da compiere con interesse e attenzione” che porta l’esperienza del concerto a un livello superiore di consapevolezza e di arricchimento personale. Famiglia, educazione, dialogo: valori che anche Musica Insieme ha assunto come guida, e che hanno dato origine in questi anni agli incontri di Che musica, ragazzi!, veri e propri dialoghi con gli interpreti, dedicati ai giovanissimi alunni delle scuole primarie e medie. Non a caso saranno i fratelli Lucas e Arthur Jussen a dare il via alla nuova edizione, cui parteciperà anche un’altra famiglia musicale come quella di Viktoria Mullova e del figlio Misha Mullov-Abbado. Il coinvolgimento diviene poi più diretto con Musica per le Scuole, che porta a concerto i ragazzi delle superiori, invitandoli a togliere le cuffiette e a vivere il rito dell’ascolto dal vivo, a
teatro, seduti fianco a fianco con abbonati e appassionati “senior”, ribaltando insomma la loro fruizione abituale della musica. E la vera sorpresa di questa Stagione è stato proprio il boom di adesioni riscosse da quest’iniziativa, sintomatico di una voglia di socialità che è stata inevitabilmente soffocata nell’ultimo anno e mezzo, e che ci ricorda anche un altro aspetto fondamentale dell’andare a concerto: stare insieme, incontrarsi, condividere. Ma continuiamo ad accompagnare i giovani a concerto anche all’Università, con MIA – Musica Insieme in Ateneo, e qui la loro partecipazione diventa “tridimensionale”, come ci racconta la Presidente Alessandra Scardovi nel suo contributo: gli studenti sono insieme pubblico, interpreti e ambasciatori della musica, dall’una e dall’altra parte del palco. E se dare spazio alle nuove energie creative e intellettuali è un dovere che accogliamo con impegno, presentando talenti dell’arte e dell’imprenditoria come il Trio Hermes o come Enrico Checchi, che intervistiamo nella rubrica StartUp, il nuovo Premio “Piero Buscaroli”, di cui parliamo in queste pagine, mostra un’altra importante iniziativa per promuovere la ricerca musicologica “under 40”, premiando opere inedite ispirate al lavoro del grande studioso e storico della musica. E noi di Musica Insieme continueremo nel nostro percorso, con una nuova consapevolezza: spesso sono proprio i ragazzi a indicarci la strada da seguire. Fulvia de Colle
I bambini sul palco del Teatro Manzoni per Che musica, ragazzi!
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MUSICA INSIEME
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Imprenditoria e cultura
Valori insiti nel
DNA
Parliamo con Andrea Mantellini, Amministratore Delegato di Penske Italia, della crescita di quella che era nata come un’attività familiare e che oggi è quotata alla borsa di New York
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enske festeggia 10 anni e conta ad oggi undici tra i marchi automobilistici più prestigiosi al mondo nel settore premium: ci racconti la sua storia. La mia famiglia è da sempre nel settore automotive, sia della distribuzione che della componentistica. Mio nonno nel 1972 fondò a Bologna AutoVanti, concessionaria BMW e Mini, mentre mio padre Carlo era Amministratore Delegato di Diavia, una società di famiglia che produceva impianti di climatizzazione per autoveicoli. Diavia ottenne risultati eccezionali con una crescita esponenziale tra il 1980 e il 1995. L’azienda entrò nella sfera d’attenzione di una grande multinazionale, General Motors, che la acquistò nel 1995. Nel 1997 venne a mancare mio nonno, che si occupava di AutoVanti, ma grazie alla solidità di un management ben integrato, AutoVanti proseguì con successo la sua attività con la supervisione di mio padre, che tuttavia era molto impegnato come Amministratore Delegato Diavia per General Motors, ruolo che spesso lo costringeva all’estero. Quando entra in scena Andrea? Dopo essermi laureato in Economia e Commercio nel 1997, inizio a lavorare in un’azienda esterna, una multinazionale, maturando una mia esperienza professionale nell’arco di cinque anni di permanenza. Nel 2002 ricevo l’invito di mio padre a riflettere sull’opportunità di occuparmi personalmente dell’azienda di famiglia, per una serie di necessità aziendali e familiari. Avevo impostato la mia vita con un’altra prospettiva, ma decisi di accettare, qualcosa mi diceva che dovevo farlo… È stato semplice integrarti in un contesto già consolidato e imporre la tua visione? Ringrazio i miei genitori per avermi insegnato ad avere sempre un approccio rispettoso e umile, con questo mood mi sono avvicinato e ho iniziato a farmi le ossa nell’azienda di famiglia, supportato da un management di grande qualità. Nel tempo ho costruito una squadra di mia fiducia e nel 2008, dopo sei anni dal mio ingresso in azienda, con le parole “Se hai bisogno chiamami, ma se non hai bisogno è meglio…” mio padre mi consegna le chiavi e io prendo pieno possesso
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MUSICA INSIEME
dell’azienda. È stato un distacco netto, ma fondamentale. Nel mio percorso ho fatto anche degli errori e capito tuttavia che anche sbagliare è un’esperienza positiva, che serve per crescere. Era mio obiettivo creare una squadra di management e plasmarla secondo la mia visione di quella che era la trasformazione del settore del momento, molto diversa dalla realtà di dieci anni prima. Questo modello nel 2011 viene notato e apprezzato anche oltreoceano, dalla Penske Automotive, multinazionale affermata a livello mondiale che, già presente in Inghilterra e in Germania, attraverso un’analisi di mercato stava cercando un partner in Italia. Vengo quindi personalmente contattato per qualcosa di davvero pionieristico in quei tempi in Italia per il nostro settore: la proposta era quella di una partnership con una società multinazionale quotata alla borsa di New York. Mi confrontai in famiglia ed accettai, così siglammo una Joint Venture con Penske. Cosa ha comportato questa partnership? Il progetto prevedeva l’espansione del business sul territorio italiano e l’incremento dei marchi rappresentati, e da allora, nell’arco di dieci anni siamo passati dai 110 dipendenti e 100 milioni di fatturato del 2012 ai 630 dipendenti distribuiti in 20 sedi tra Emilia-Romagna e Lombardia e 630 milioni di fatturato annui complessivi nel 2021, con 11 marchi Premium rappresentati (Mercedes-Benz e Smart, BMW e Mini, Audi, Porsche, Volvo, Maserati, Lamborghini, Jaguar e Land Rover). Come gestite un’attività così estesa e quali sono gli obiettivi futuri che vi prefiggete? Tutto il lavoro è basato su un solido team di persone, che condividono valori e obiettivi aziendali, quello che io chiamo DNA aziendale. Grazie a questo gioco di squadra abbiamo sempre raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati negli anni. In futuro cresceremo ancora, ma senza obiettivi temporali e di dimensione. Quando si presenteranno le giuste opportunità, dovremo farci trovare pronti a coglierle. Cosa riserva il futuro in questo settore?
Saranno gli anni delle nuove tipologie di motorizzazioni (elettriche, ibride ed idrogeno), in affiancamento alle motorizzazioni tradizionali. Sarà un cambiamento graduale, ma epocale, un’ulteriore trasformazione del settore che non dovremo subire ma essere in grado di anticipare e cavalcare. Come si configurano i vostri interventi sul territorio a livello culturale? Riteniamo sia un aspetto fondamentale per una azienda sana e solida essere presenti al fianco delle realtà sociali e culturali più rappresentative, per restituire qualcosa al territorio. Per questo collaboriamo con Musica Insieme, perché la cultura, la musica e il modo in cui operate sono in sintonia con i nostri valori. Nonostante operiamo in settori diversi, il DNA delle persone che fanno parte delle nostre aziende è molto simile. Lo stesso facciamo anche in altri ambiti come il food e lo sport, quando troviamo sinergie con realtà che come noi operano con serietà, professionalità e coerenza. A proposito di sport, sappiamo di un tuo nuovo progetto per Bologna dedicato ai giovani, vuoi darci un’anticipazione? Si chiama Sport Education ed è un progetto molto stimolante che ho sviluppato insieme a Simone
Fiocchi, mio amico e socio, anche lui come me appassionato di Bologna e di sport, un progetto che mira a far qualcosa di buono per la città di Bologna e per i giovani sportivi di sani valori. Come inizio, abbiamo realizzato una Tennis Academy nell’area dello storico circolo Virtus Tennis, in collaborazione con Riccardo Piatti, manager di Jannik Sinner, con cui abbiamo stretto una collaborazione. L'obiettivo è totalmente sociale e ogni valore generato da questa attività sarà interamente dedicato all’emissione di borse di studio, sia dal punto di vista dell’istruzione che dell’attività sportiva, per giovani meritevoli ma con meno disponibilità. Abbiamo ricevuto molte proposte di partner che hanno deciso di affiancarci nel sostenere il progetto e ne siamo davvero onorati. Sarà una nuova struttura davvero molto importante per la nostra città. Sono molto orgoglioso di questo progetto che coniuga perfettamente la mia visione professionale con la mia passione per lo sport, offrendo ai giovani quegli strumenti che consentano loro di affrontare il futuro con lucidità ed ottimismo, per cercare di avverare i propri sogni. Il fatto che il tutto parta da Bologna, da bolognese doc, è motivo di grande soddisfazione. (a cura di Riccardo Puglisi) MI
MUSICA INSIEME
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Il Premio “Piero Buscaroli”
UN’OCCASIONE
per giovani studiosi
L’Associazione “Amici di Piero Buscaroli” indice un nuovo Premio musicologico intitolato al grande studioso, dando così impulso al ricambio generazionale anche nel campo della ricerca di Alessandra Scardovi
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a costruzione del futuro dipende anche dalla generosità di chi sa “passare il testimone” alle nuove generazioni, offrendo loro un posto dove accrescere le proprie esperienze professionali, o insegnando loro un mestiere, tramandando un sapere, e – di fondamentale importanza per stimolare anche l’approfondimento e la ricerca – mettendo a disposizione fondi e borse di studio dedicate. È quello che ha pensato bene di fare l’Associazione “Amici di Piero Buscaroli”, in collaborazione con il DMI – Dizionario della Musica in Italia, indicendo la prima edizione del Premio “Piero Buscaroli”, concorso musicologico dedicato alla memoria del grande studioso nato a Imola nel 1930 e spentosi a Bologna nel 2016. L’Associazione, così come il Premio, nasce appunto per ricordare e “raccontare” la figura e l’opera di Piero Buscaroli, per volontà della famiglia e grazie all’instancabile e appassionata attività dei figli: Beatrice, che ne è anche Presidente, Francesca e Corso. Il Comitato organizzativo del Premio accoglie inoltre il Presidente del DMI Claudio Paradiso, mentre ne è Presidente onorario una personalità riconosciuta per il suo fondamentale contributo musicologico, in particolare per i suoi studi su Johann Sebastian Bach: Alberto Basso. A dare ulteriore spessore a un board così prestigioso, in Giuria siedono cinque personalità della cultura come Chiara Bertoglio, Sandro Cappelletto, Piero Mioli, Enzo Restagno e Sergio Vartolo (qui citati in ordine rigorosamente alfabetico…). A cadenza
A fianco: Piero Buscaroli al pianoforte, sopra: la copertina del suo volume monografico dedicato a Bach 16
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biennale e aperto a studiosi di qualunque nazionalità, con un limite massimo d’età di 40 anni alla data del 30 giugno 2022 (termine di scadenza per la partecipazione), il Premio assegnerà una cifra di 3.000 euro per un’opera inedita e scritta da un unico autore, che sarà anche pubblicata presso una casa editrice nazionale, ma la Giuria potrà attribuire anche Menzioni speciali, corredate di un premio di 500 euro ciascuna. L’ispirazione del Premio sarà di volta in volta una specifica pubblicazione di Piero Buscaroli, per stimolare e sostenere giovani studiosi e ricercatori nell’approfondimento e nella ricerca. Per la prima edizione la scelta era obbligata, dal momento che il volume dedicato da Buscaroli a Johann Sebastian Bach (Mondadori, 1985), frutto di anni di ricerche sui documenti antichi, ha segnato una decisa mutazione di rotta nell’interpretazione culturale e musicale dell’opera e dell’immagine del compositore tedesco. I candidati al Premio saranno dunque invitati ad approfondire questo cambiamento, che riguarda tanto la sua immagine nella storia del passato e contemporanea quanto la moderna interpretazione musicale. Giornalista, storico della musica e scrittore, Piero Buscaroli ha raccontato anche l’Italia degli ultimi settant’anni con la sua penna sagace, spesso tagliente, mai scontata e sempre corroborata da un sapere e da un approfondimento che non ammettevano deroghe. Plaudiamo quindi all’iniziativa dell’Associazione, che offre un aiuto concreto ai giovani studiosi in un momento in cui di aiuti c’è davvero un particolare bisogno, e attendiamo le prossime edizioni, le cui tematiche immaginiamo saranno ispirate ad altre illuminanti monografie dell’autore, come La morte di Mozart (Rizzoli, 1996 e BUR, 2002) o l’“imbroglio” del Requiem (Zecchini, 2006), e sicuramente al monumentale Beethoven, edito da Rizzoli nel 2004 e recentemente ristampato.
PREMIO MUSICOLOGICO “PIERO BUSCAROLI” – I edizione scadenza: 30 giugno 2022 per info: www.pierobuscaroli.it/premio Segreteria: giovanni.pirani@gmail.com
StartUp
UNA VITA… a tutta birra! Continuano i nostri incontri con i talenti dell’arte e dell’imprenditoria: in questo numero ci lasciamo contagiare dall’entusiasmo del Trio Hermes e di Enrico Checchi
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l lavoro, la passione per le auto e quel gusto per le sfide: Enrico Checchi è un giovane imprenditore che siede nel Consiglio d’Amministrazione di un’azienda di famiglia, la Pelli-
coni, con 80 anni di storia all’insegna dell’innovazione e della qualità. Guarda al futuro con passione e sete di conoscenza. Una sete di sapere che caratterizza anche le musiciste del Trio Hermes. Vincitrici
del Concorso Alberghini 2021 e ospiti applauditissime del nuovo cartellone di MIA – Musica Insieme in Ateneo, credono nel valore del dialogo per arricchire il loro percorso di crescita musicale.
Trio Hermes Ginevra (violino) 24 anni, Francesca (violoncello) 24 anni, Marianna (pianoforte) 28 anni - Facebook: hermespianotrio
Come nasce il Trio Hermes e perché avete scelto questo nome? Il nostro Trio nasce dalla passione comune per la musica da camera, in particolare per il repertorio dedicato a questa formazione. Siamo tre musiciste diverse, ognuna con il suo percorso e le sue peculiarità, e ci arricchiamo costantemente attraverso il dialogo che il trio ci offre. Il nome “Hermes” si riferisce al dio greco che, secondo la mitologia, inventò la lira, e con il suo suono incantò Apollo e tutte le divinità. Un concerto che vi ha particolarmente emozionate e perché? Il concerto che ci ha più emozionate finora è stato quello che ci ha viste esibirci a Città di Castello per il Festival delle Nazioni, è stata la prima esecuzione pubblica di un brano a noi molto caro, il Trio Arciduca di Beethoven, e abbiamo suonato in una splendida chiesa nella quale è esposta anche un’opera di Donatello: l’atmosfera era magica e abbiamo davvero sentito di partecipare ad una bellezza universale. Ricordiamo anche con particolare affetto la prima volta che siamo salite sul palco insieme, a Parma, in occasione del recital finale del master di una di noi. Qual è il percorso formativo che
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MUSICA INSIEME
state seguendo in questo momento? Sin dalla nascita della nostra formazione frequentiamo il Master di Secondo Livello di Musica da Camera tenuto dal Trio di Parma e da Pierpaolo Maurizzi presso il Conservatorio di Parma. Da quest’anno inoltre siamo allieve del Corso di Alta Formazione di Musica da Camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nella classe del Maestro Carlo Fabiano. Trascorrerete sicuramente molto tempo insieme: come si conciliano l’amicizia e il lavoro? Non è sempre facile, ma nel nostro caso avere un rapporto di amicizia si è rivelato un valore aggiunto al nostro percorso di crescita musicale. Ab-
biamo tre caratteri molto diversi, cerchiamo di capirci e sostenerci, pur ritagliandoci ognuna i nostri spazi. Definite ciascuna di voi con un aggettivo. Ginevra: pragmatica, lei gestisce tutto ciò che riguarda la nostra vita in tre. Francesca: passionale, lei nella vita e nella musica è senza filtri e di cuore. Marianna: solida, in performance e in prova è il pilastro su cui ci appoggiamo. Un aggettivo che ci accomuna tutte e tre è sicuramente “determinate”. C’è un compositore della storia con cui vi sarebbe piaciuto particolarmente collaborare? Possiamo dirne due? Beethoven e Brahms. Come vi vedete tra dieci anni? Tra dieci anni ci vediamo ancora innamorate della musica e impegnate a dare il massimo nelle nostre performance, con la maturità che l’età, speriamo, porterà con sé. Il traguardo professionale che ci prefiggiamo è di avere una lunga carriera piena di soddisfazioni e, come i nostri docenti ci dimostrano ogni giorno, di suonare ogni volta con lo stesso entusiasmo della prima.
Enrico Checchi 34 anni, Area Sales Manager dell’azienda Pelliconi - www.pelliconi.com
Come ti descriveresti? Sono una persona estroversa e molto empatica. Amo molto i rapporti interpersonali e conoscere luoghi e persone di altre culture è sempre stata una mia passione. Parlaci del tuo iter accademico e delle tue esperienze professionali. Terminato il liceo linguistico, sono entrato subito nel mondo del lavoro. In azienda sono passato dalla produzione alla qualità e agli acquisti. Ora mi occupo invece del commerciale, ambito ricco di sfide: mi permette di viaggiare e confrontarmi con clienti di diversi Paesi, e la conoscenza delle lingue in questo mi ha aiutato moltissimo. Questa esperienza completa mi è servita molto per conoscere l’intero ciclo industriale, cosa che poi mi è stata di basilare importanza nelle negoziazioni con i clienti. Sono del parere che i ragazzi che iniziano a lavorare debbano conoscere il più possibile tutti i reparti dell’azienda per cui lavorano, solo così potranno utilizzare tale conoscenza nei momenti topici delle relazioni con i clienti o con altre controparti. Il mercato di cui mi occupo io è quello delle birrerie artigianali statunitensi. Sono molto soddisfatto non solo per la progressione delle vendite, ma anche perché sono riuscito ad indirizzare la funzione di Ricerca e Sviluppo della nostra azienda. Quali sono le tue passioni? Sicuramente le auto sportive. Negli anni ho avuto la possibilità di guidare nei circuiti più famosi d’Europa e ho conseguito anche la licenza sportiva internazionale. Sono appassionato anche di animali, soprattutto di insetti e uccelli. Frequentando il mondo delle birrerie artigianali sono diventato inoltre un profondo conoscitore di questa bevanda e degli ingredienti che la com-
pongono. Altra passione è sicuramente la musica, di ogni genere. Trovo che sia una parte fondamentale della mia vita, che mi aiuta nei momenti difficili a recuperare voglia ed entusiasmo. Qual è la tua giornata-tipo fra lavoro, tempo libero, amici e famiglia? Il mio lavoro è quasi sempre al di fuori dell’ufficio e spesso anche fuori dai confini nazionali. Chiaramente la pandemia ha modificato il mio modo di lavorare, come tutti quelli che si occupano di mercati lontani non sono riuscito a visitare i clienti come facevo prima e ho dovuto anch’io rassegnarmi, a malincuore, alle videochiamate. Adesso pare che si possa lentamente tornare ad una certa normalità e sono quindi molto contento di poter riprendere l’attività di persona. Quali sono o sono stati i tuoi maestri, quelli che hanno segnato la tua crescita personale e professionale? Fortunatamente ho avuto una famiglia molto numerosa, pur essendo io figlio unico. I miei genitori mi hanno cresciuto preoccupandosi soprattutto di infondermi i principi fondamentali della vita: educazione, rispetto, onestà, amabilità e umiltà. Su questi ho potuto costruire la mia personalità. In azienda ho avuto diversi capi che non solo mi hanno dato le basi
della professione, ma anche quell’esperienza umana che si matura lavorando in gruppo. Poi credo che valga la pena menzionare il mercato, che pur non essendo una persona è in grado di valorizzare le capacità professionali di ognuno di noi. I giovani devono avere il coraggio di confrontarsi col mercato, che è l’unica figura che giudica senza nessun preconcetto. Si deve sbagliare – perché nella vita si impara sbagliando – ma nello stesso tempo si deve tener presente l’esperienza che i più anziani ci possono dare e farne tesoro. Qual è la tua madeleine proustiana, che cosa risveglia in te un ricordo particolarmente significativo della tua vita? Viaggiando molto, i ricordi più autentici sono quelli legati agli odori dei luoghi che ho visitato: da New York a Mumbai, dai parchi americani alle isole, ognuna di queste destinazioni mi riporta a viaggi indimenticabili con la mia famiglia e i nostri amici. Oggi, quando viaggio da solo per lavoro spesso ritrovo questi odori che mi legano all’infanzia e mi ricordano l’importanza della famiglia nella costruzione della mia personalità. Quali obiettivi vorresti aver raggiunto fra dieci anni? Sono recentemente entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione della nostra azienda e questo mi ha riempito di orgoglio e di curiosità: spero di poter dare un mio contributo alle decisioni aziendali. Un altro obiettivo è quello di completare il mio percorso di studi con l’iscrizione ad un corso di laurea. Ne ho in mente già alcuni nell’ambito delle relazioni internazionali. In questo modo sono sicuro di poter dare alla Pelliconi un’ulteriore spinta alla sua presenza nei mercati internazionali.
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MUSICA INSIEME
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MIA – Musica Insieme in Ateneo
UNA QUESTIONE
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Sotto, il Trio di solisti formato da Laura Gorna, Gabriele Pieranunzi e Francesco Fiore
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di educazione
Tra febbraio e marzo, quattro imperdibili concerti propongono agli studenti interpreti affermati e giovani talenti al loro debutto a Bologna di Alessandra Scardovi
Per scegliere la musica bisogna conoscerla». Salvatore Accardo, straordinario violinista e didatta, amico di lunga data di Musica Insieme, ci ricorda in una splendida lettera alle figlie quanto sia importante «che nel nostro Paese si ricostruisca un’educazione musicale di base. Perché purtroppo sembra che da noi attualmente si diventi appassionati di musica solo per folgorazione divina, per tradizione familiare o perché un amico un giorno ti porta a un concerto. Mai per educazione». Ed è proprio questo che Musica Insieme si propone di fare con i suoi progetti formativi, che si affiancano all’educazione scolastica per invitare alla musica, farla conoscere ai giovani e ai giovanissimi, ma anche offrire loro una vetrina importante per esibirsi e farsi conoscere. Con questa visione abbiamo realizzato progetti come Musica per le Scuole, che da 18 anni porta al Teatro Manzoni gli studenti delle scuole superiori, o Che musica, ragazzi!, varata nel 2017 e rivolta ai giovanissimi alunni delle primarie e medie. Musica Insieme desidera insomma accompagnare le nuove generazioni alla scoperta della musica letteralmente dalle elementari all’università, e proprio MIA – Musica Insieme in Ateneo
rappresenta il tassello finale di questo percorso. Il tassello finale, ma anche il più antico: nasce infatti nel 1997 da un pionieristico accordo con l’Università di Bologna, fra i primi mai stipulati in Italia fra un’associazione privata e un’istituzione pubblica, allo scopo di avvicinare gli studenti all’arte dei suoni negli spazi della loro quotidianità con l’aiuto di interpreti riconosciuti, e con introduzioni affidate da diversi anni agli stessi studenti della Laurea magistrale in Discipline della Musica. Oggi, uno spazio riconosciuto e animato dagli studenti universitari è l’Auditorium del DAMSLab, cuore pulsante delle arti performative in città. E mai come oggi MIA si fa promotrice dei più brillanti talenti delle ultime generazioni, con il percorso Rising Stars, che sottende come un filo rosso a questa edizione, presentandoli fianco a fianco con interpreti dalla carriera già consolidata. Interpreti, spettatori, relatori: in MIA il coinvolgimento dei giovani è a 360 gradi, e in quest’edizione si arricchisce di un ulteriore tassello con il nuovo contest lanciato da Musica Insieme sul sito e sui profili social ufficiali, che invita i ragazzi a creare il decalogo dello “spettatore 3.0”, traducendo nel linguaggio a loro più familiare le semplici regole da osservare in una sala da concerto. In palio un cadeau musicale: l’abbonamento alla prossima Stagione I Concerti 2022/23. Accanto al sostegno, fondamentale, delle istituzioni e alla sponsorship tecnica di SOS Graphics, salutiamo con particolare gratitudine la partecipazione di Banca di Bologna, che ha aderito con entusiasmo a un progetto di cui condivide il radicamento sul territorio e la funzione sociale di promozione dei giovani e della cultura. Scorrendo il cartellone del nuovo anno, troviamo subito uno sbalorditivo talento: il 2 febbraio ascolteremo infatti la pianista Ying Li, che dalla natia Cina sta conquistando il mondo dopo il perfezionamento fra il Curtis Institute di Philadelphia e la Juilliard di New York: nel 2021 ha vinto la I edizione del Premio Internazionale Antonio Mor-
XXIV edizione
DAMSLab /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b - Bologna) - ore 20.30
2022 - mercoledì 2 febbraio RISING STARS II
Ying Li pianoforte
2022 - mercoledì 23 febbraio MYSLIVEČEK, IL DIVINO BOEMO
Orchestra del Baraccano Giambattista Giocoli direttore
2022 - mercoledì 9 marzo ARCHETIPI
Laura Gorna violino Gabriele Pieranunzi violino Francesco Fiore viola
2022 - mercoledì 16 marzo RISING STARS III
Jae Hong Park pianoforte
L’ingresso ai concerti della rassegna è gratuito per gli studenti e il personale docente e tecnicoamministrativo dell’Università di Bologna, su presentazione del proprio badge, mentre per tutti i cittadini il biglietto ha un costo di 7 euro. Il concerto del 9 marzo 2022 è ad ingresso gratuito. I biglietti saranno disponibili la sera del concerto a partire dalle 19.30 nel foyer dell’Auditorium DAMSLab. Non è prevista prenotazione.
mone con una straordinaria interpretazione del Secondo Concerto di Rachmaninov al Teatro alla Scala, che ci ha profondamente impressionati, e poche settimane dopo si è aggiudicata anche le Young Concert Artists Auditions di New York. In cantiere ha il suo primo album solistico per la Universal e il debutto alla Carnegie Hall… e a Bologna, dove affronterà un programma di grande impegno, attraversando secoli di letteratura per tastiera, da Bach a Ginastera. Il 23 febbraio, a rinsaldare la collaborazione con l’Orchestra del Baraccano diretta da Giambattista Giocoli, ospiteremo in anteprima un progetto che ripercorre il legame fra Bologna e Praga attraverso la figura di Josef Mysliveček, “il divino Boemo”, che fu Accademico Filarmonico, e proprio a Bologna incontrò il giovane Mozart, che lo considerava un modello per la propria formazione. Il concerto è una co-produzione fra Teatro del Baraccano, Ambasciata della Repubblica Ceca, Centro Ceco di Roma e Associazione italo-ceca di Lucerna, e accosta due brillanti Ottetti per fiati di Mysliveček al-
l’Ottetto di Beethoven, forse il brano più celebre in assoluto per questo organico. Non possono mancare poi in cartellone tre eredi della grande scuola d’archi italiana, quella appunto di Salvatore Accardo e Bruno Giuranna: Gabriele Pieranunzi, Laura Gorna e Francesco Fiore, rispettivamente Primo violino del Teatro San Carlo di Napoli, Primo violino dell’Orchestra da Camera Italiana e Prima viola del Teatro dell’Opera di Roma. Il concept del loro programma, per il concerto che ci vedrà il 9 marzo riconfermare la tradizionale collaborazione con il Centro La Soffitta del Dipartimento delle Arti, è la conquista di un mondo ideale: esploreremo così il “sogno americano” di Dvořák, ma anche gli ideali illuministici di Mozart e l’“evasione” di Prokof’ev, che dopo una lunga assenza dalla patria ritrova nell’anima russa la fonte della sua inesauribile creatività. La nostra stagione e la nostra specialissima serie di Rising Stars si concluderanno infine il 16 marzo con il ventiduenne coreano Jae Hong Park, vincitore del prestigioso Premio Busoni nel 2021, coronamento di una serie di vittorie ai maggiori Concorsi, dai Premi Gina Bachauer e Arthur Rubinstein al Concorso di Cleveland. Anche in questo caso Musica Insieme lo presenterà per la prima volta a Bologna in un recital “romantico”, fra Schumann e César Franck.
Sopra, Ying Li, al suo debutto a Bologna. Sotto, Giambattista Giocoli
Teatro Comunale di Bologna
OPERE E SINFONIE
per il nuovo anno
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Foto Michele Lapini
Al via le Stagioni d’Opera e Sinfonica 2022 del Teatro Comunale di Bologna. Tutti gli appuntamenti da gennaio a marzo
unta sul “nuovo” la Stagione d’Opera 2022 del Teatro Comunale di Bologna il cui sipario si alzerà il prossimo 29 gennaio. Sono dieci i titoli in cartellone sino a dicembre, di cui sette le produzioni proposte in prima rappresentazione assoluta, una prima italiana, una prima a Bologna e un’opera in forma di concerto di rara esecuzione. Ad anticipare l’apertura della Stagione inoltre, si terrà un appuntamento (14 e 15 gennaio) all’Auditorium Manzoni, con la nuova Direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna Oksana Lyniv. In programma il primo atto della Walküre di Wagner, proposto in forma di concerto con le voci di Elisabet Strid, Stuart Skelton e Georg Zeppenfeld, e il poema sinfonico Tod und Verklärung op. 24 di Strauss. È il nuovo allestimento in prima assoluta di un caposaldo del teatro mu-
sicale italiano, Tosca di Puccini (29 gennaio-6 febbraio), ad inaugurare la Stagione lirica 2022. La storia d’amore a tinte fosche tra la celebre cantante Tosca e il pittore Cavaradossi sarà raccontata dal regista argentino Hugo De Ana, che ha debuttato in Italia proprio al Teatro Comunale nel 1991 allestendo il melodramma sacro Mosè di Rossini. Sul podio l’israeliano Daniel Oren, consumato interprete del titolo pucciniano, che come ultimo appuntamento operistico al TCBO aveva diretto Mirella Freni nell’opera Fedora nel 1996 ed è tornato quest’anno per un concerto sinfonico a porte chiuse trasmesso in streaming. Protagonisti sul palco María José Siri, Roberto Aronica, Mikheil Sheshaberidze, Svetlana Kasyan, Erwin Schrott, Dalibor Jenis e Claudio Sgura. Dopo essere stato rappresentato per la prima volta la scorsa estate al Rossini Opera Festival di Pesaro, arriva a Bologna Il signor Bruschino (1827 febbraio), farsa giocosa in un atto su libretto di Giuseppe Foppa. Lo spettacolo, co-prodotto dal ROF, dal TCBO e dalla Royal Opera House di Muscat, è ideato dal duo Barbe & Doucet, che ambienta la storia in un veliero all’inizio del Novecento. La direzione d’orchestra è affidata al giovane Michele Spotti, già apprezzato a Pesaro, mentre il cast vocale è in buona parte rinnovato e vede tra gli interpreti Simone Alberghini, Hasmik Torosyan e Pierluigi D’Aloia. Va in scena per la prima volta nella storia del Teatro Comunale di Bologna Ariadne auf Naxos di Strauss (20-27 marzo), opera in un atto con prologo su libretto di Hugo von Hofmannsthal. Il regista scozzese Paul Curran firma per il teatro felsineo questa nuova produzione al suo debutto, realizzata insieme al Teatro La Fenice di Venezia e al Teatro Massimo di Palermo, per il ritorno in Sala Bibiena dopo Il trovatore verdiano del 2005 ripreso nel 2012. Sul podio affronta per la prima volta il titolo Juraj Valčuha, Direttore musicale del Teatro di San Carlo di Napoli e Primo direttore ospite della Konzerthausorchester di Berlino,
Stagione d’Opera 2022 I biglietti per i titoli d’opera, da 10 a 200 euro (Prime) e da 10 a 125 euro (repliche), sono in vendita online tramite Vivaticket e presso la biglietteria del Teatro Comunale; nei giorni feriali di spettacolo da due ore prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio e in quelli festivi da un’ora e mezza prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio. I biglietti per l’Anteprima all’Auditorium Manzoni del 14 e 15 gennaio, da 30 a 65 euro, sono in vendita online tramite Vivaticket e presso la biglietteria del Teatro Comunale; nei giorni di concerto al Manzoni da 1 ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dell’evento.
Stagione Sinfonica 2022 I biglietti per i concerti della Stagione Sinfonica, da 10 a 40 euro, sono in vendita online tramite Vivaticket e presso la biglietteria del Teatro Comunale; nei giorni di concerto all’Auditorium Manzoni da 1 ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dell’evento.
BIGLIETTERIA TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA Ingresso Piazza Verdi > da martedì a venerdì dalle 12 alle 18, il sabato dalle 11 alle 15 Ingresso Largo Respighi 1 > nei giorni di spettacolo al Teatro Comunale di Bologna Via de’ Monari 1/2 > nei giorni di spettacolo all’Auditorium Manzoni Tel. +39. 051.529019 / Mail. boxoffice@comunalebologna.it
Foto ROF - Studio Amati Bacciardi
che nel gennaio 2020 aveva aperto con successo la stagione bolognese dirigendo il Tristano e Isotta di Wagner. Tra i protagonisti Meagan Miller, Daniel Kirch, Olga Pudova e Markus Werba. Sono diciassette invece gli appuntamenti sinfonici, tutti all’Auditorium Manzoni, tra febbraio e dicembre, con tredici concerti dell’Orchestra del Comunale, quattro della Filarmonica TCBO, oltre a due eventi speciali fuori abbonamento nella Sala Bibiena. La Stagione Sinfonica, di cui main partner anche quest’anno è Intesa Sanpaolo, inaugura l’11 febbraio con Oksana Lyniv e il giovanissimo Giuseppe Gibboni, ultimo vincitore del Concorso Paganini a Genova che, con l’Orchestra del Comunale, propone il Primo Concerto di Paganini. Chiude la serata la Quarta Sinfonia di Bruckner detta “Romantica”. Il 21 febbraio con la Filarmonica è ospite il celebre pianista russo Michail Pletnëv, che interpreta una pagina scintillante come il Concerto in sol maggiore di Ra-
vel. Sul podio Finnegan Downie Dear, che completa il programma con la Sinfonia “L’orologio” di Haydn. Per l’ultimo appuntamento di febbraio, il 26, torna sul podio della compagine del TCBO Oksana Lyniv, con il Primo clarinetto dell’Orchestra di Santa Cecilia Alessandro Carbonare in veste di solista. L’intera serata guarda al di là dell’oceano, verso gli Stati Uniti, con il celebre Adagio per archi di Samuel Barber, il Concerto per clarinetto di Aaron Copland e la Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvořák. Marzo si apre domenica 6 con il ritorno del giovane direttore belga Martijn Dendievel, già protagonista dell’“Autunno Sinfonico” del TCBO. Con lui e con l’Orchestra del Comunale il grande violoncellista Steven Isserlis, impegnato nel Primo Concerto di Saint-Saëns. Completano il programma Ma Mère l’Oye di Ravel e la Prima Sinfonia di Čajkovskij “Sogni d’inverno”. Il 10 marzo segna il doppio debutto del direttore israeliano molto attivo in Germania Ido Arad e della violinista Veriko Tchumburidze, vincitrice a soli 20 anni del Concorso Wieniawski. Tchumburidze propone una pagina del grande repertorio per il suo strumento come il Concerto per violino di Mendelssohn e Arad completa la serata con la Settima Sinfonia di Dvořák. Il mese si chiude sabato 26 con la star del violino Sergey Khachatryan, nato in Armenia e balzato agli onori delle cronache come il più giovane vincitore nella storia del Concorso Sibelius di Helsinki. Con l’Orchestra del Teatro interpreta il concerto per violino di Schumann sotto la direzione di Valentin Uryupin, che completa il programma con un’altra pagina schumanniana: la Sinfonia n. 3 detta “Renana”. Informazioni su www.tcbo.it
In alto: Il signor Bruschino. Qui sotto, Hugo De Ana,regista della Tosca inaugurale. Nella pagina accanto, in alto, Oksana Lyniv, Direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna, sotto: Giuseppe Gibboni, solista del concerto sinfonico inaugurale
I luoghi della musica
L’ESTASI
di Santa Cecilia Sino a febbraio la Pinacoteca Nazionale di Bologna rievoca una storica mostra, con un capolavoro di Raffaello e un curatore d’eccezione: Antonio Canova
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Raffaello Sanzio, L’estasi di Santa Cecilia (olio su tavola trasportata su tela, ca. 1518) 24
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MUSICA INSIEME
di Maria Pace Marzocchi
er la prima mostra della Pinacoteca Nazionale di Bologna, divenuta autonoma, il direttore Maria Luisa Pacelli ha scelto di rievocare un momento cruciale nella storia dell’istituzione, quando, dopo la restituzione dei dipinti bolognesi rientrati dalla Francia all’inizio del 1816, Antonio Canova, che era stato l’artefice di quella operazione diplomatica, scelse le diciotto tele più rappresentative per esporle nella chiesa di Santo Spirito: visto il successo di pubblico, la mostra, anziché una settimana, si protrasse per un anno, rinsaldando i rapporti fra la cittadinanza e il proprio patrimonio culturale recuperato. Ora le stesse opere, tranne alcune rimaste nel percorso permanente del museo, sono esposte nel Salone degli Incamminati, insieme a materiali documentari che testimoniano il prolungato rapporto di Antonio Canova con Bologna e ai gessi da lui donati all’Accademia, mentre su una delle pareti della sala espositiva la mostra del 1816 è rievocata da una video-ricostruzione digitale in 3D di grande impatto emotivo. Tra i dipinti conservati nelle sale del Rinascimento, forse il più famoso tra quelli confiscati con le prime soppressioni napoleoniche è la pala di Raffaello sottratta dall’altare della Cappella Duglioli in San Giovanni in Monte: Santa Cecilia e quattro Santi, la cui vicenda museale prese avvio nel 1797, con l’arrivo a Parigi nella Grande Galerie del Louvre dopo un viaggio avventuroso che causò danni alla superficie pittorica, cosicché nel 1803 si procedette al restauro ed al trasporto su tela. Contemporaneamente prendeva ad infittirsi la letteratura sul dipinto e sulle implicazioni iconografiche musicali dell’immagine di Santa Cecilia, da allora in avanti, e qui per la prima volta, divenuta la Santa protettrice della musica, così descritta dal Vasari (1550): «da un coro in cielo d’angeli abbagliata, sta a udire il suono, tutta data in preda all’armonia; e’ si vede nella sua testa quella astrazione che si vede nel vivo di coloro che sono in estasi».
Questa Sacra Conversazione, rivoluzionaria nella struttura di uno spazio absidale creato dalle figure dei Santi disposti ad esedra, lo è anche nel messaggio musicale. Santa Cecilia, in estasi, guarda in alto e ascolta il coro degli Angeli, gli strumenti musicali (dipinti dall’allievo Giovanni da Udine, specializzato in nature morte) sono a terra trascurati e in parte rotti, e due canne si stanno sfilando dall’organo portativo che sfugge dalle mani della Santa, perché Cecilia ha preferito la musica celeste a quella terrena, il canto degli Angeli al suono degli strumenti, in linea peraltro con l’avanguardia musicale della corte papale di Leone X, dove il nuovo primato spettava al canto polifonico. Così le due schiere dei giovani Angeli si rispondono sulle note degli spartiti dal formato oblungo, secondo la scrittura più moderna in quel secondo decennio del Cinquecento. Ancora una volta Raffaello, artista universale, ci consegna un dipinto di grande intelletto, naturalezza, armonia cromatica, bellezza assoluta. ANTONIO CANOVA E BOLOGNA. Alle origini della Pinacoteca Bologna, Pinacoteca Nazionale via delle Belle Arti 56 Fino al 20 febbraio 2022
Storie della musica
BÉLA
Bartók
La prima Rapsodia del grande compositore ungherese, che ascolteremo a Musica Insieme nell’interpretazione di Repin e Lugansky, ci rivela molto della poetica e del gusto del suo autore di Brunella Torresin
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Sopra: Béla Bartók (1881-1945)
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MUSICA INSIEME
ungherese Béla Bartók nacque nel 1881 sotto l’impero austro-ungarico, precisamente a Nagyszentmiklós, una cittadina del Banato che sarebbe divenuta parte della Romania dopo la prima guerra mondiale, e si spense nel 1945 a New York, dov’era riparato nel 1940 dopo l’occupazione nazista del suo Paese. Assieme agli Stati Uniti, l’altra grande nazione di cultura anglosassone – la Gran Bretagna – ha più di altri contribuito al riconoscimento della grandezza di Bartók, non soltanto come compositore, ma anche come ricercatore e studioso di musica popolare. La Rapsodia n. 1 Sz. 86 per violino e pianoforte, una delle Rapsodie gemelle composte nel 1928 e dedicate rispettivamente ai violinisti József Szigeti e Zoltán Székely, venne eseguita a Londra nel marzo dell’anno successivo alla composizione. Potremo ascoltarla il 24 gennaio per la Stagione di Musica Insieme, nell’interpretazione del violinista Vadim Repin e del pianista Nikolai Lugansky. Bartók accompagnò il debutto di entrambi i brani, trasmessi dalla BBC, al BBC Arts Theatre Club di Londra, e in quell’occasione rilasciò un’intervista a MichelDimitri Calvocoressi, scrittore e critico musicale francese, nonché straordinario poliglotta. “Una conversazione con Béla Bartók” venne pubblicata sul Daily Telegraph il 9 marzo 1929, ed è una testimonianza preziosa sulla poetica e sull’opera del compositore ungherese. Ma quel che qui più conta è l’ammirazione che Bartók rivela di nutrire – la definisce «enorme» – per la musica cembalo-organistica italiana dell’età ba-
rocca. Un’intervista assolutamente attuale al tempo, se consideriamo che nell’arco degli ultimi due anni erano stati eseguiti anche il terzo e il quarto dei quartetti per archi e vari brani per pianoforte. Inoltre Bartók aveva proposto alla Oxford University Press la pubblicazione dei Canti popolari ungheresi e di altre raccolte di brani del folklore musicale del suo Paese e non, frutto della pionieristica ricerca sul campo iniziata nel 1905 assieme a Zoltán Kodály, «compagno e sostegno di immenso valore». Né si era ancora spenta l’eco dello scandalo suscitato dalla prima rappresentazione de Il mandarino meraviglioso a Colonia, nel mese di novembre 1926. Nella conversazione con Calvocoressi, un critico con il quale intratteneva rapporti fin dalla sua partecipazione al Concorso Rubinstein del 1905 a Parigi, Bartók si sofferma volentieri sui temi che più gli stanno a cuore. E tra questi confessa la sua ammirazione per alcuni autori italiani dell’età barocca: «Negli ultimi tre anni – rivela – ho studiato con sempre maggior avidità la musica di alcuni maestri italiani, come Girolamo Frescobaldi, Michelangelo Rossi, Azzolino Bernardino della Ciaja, Domenico Zipoli e Benedetto Marcello. Sono profondamente interessato alla loro musica, soprattutto dal punto di vista dello stile. Sono enormemente attratto, ad esempio, dallo stile austero, risoluto di Frescobaldi e Rossi». Non solo: «Ho curato la trascrizione per pianoforte di alcuni loro brani per organo, ma questo lei lo sa, perché ne ho appena eseguiti alcuni qui a Londra, che sono stati trasmessi alla radio».
Di… segni e di versi
LA S VIOLINISTA
disvelata
In questo numero Erico Verderi racconta per immagini la misteriosa violinista a cui Nicola Muschitiello dedicò anni fa una poesia, scoprendo poi che si trattava della “nostra” bravissima Laura Marzadori
Dove vai col tuo violino in spalla come un fagotto, china appena in avanti e più rapida delle tue stesse dita sulle corde tese? Come una sonnambula vai, che sa a menadito le vie dei tetti e non cade mai finché ha gli occhi chiusi, o come una funambola a cento metri in alto sul pavimento che sembri percorrere, sotto il portico – a una prova vai dell’Accademia dei Filarmonici forse, nella via dei barattoli vuoti, delle bottiglie rotte, dei cuori bucati, nella via dei pazzi bevitori di birra e dei Gesuiti morti, in via Guerrazzi.
Hai attraversato mezza città nel tempo che dura un movimento di Sonata o due Capricci di Paganini e il vento d’afa si è fermato come un merlo trasparente a guardarti andare con i tuoi capelli pentagrammati d’oro.
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MUSICA INSIEME
ono sempre stato ispirato dalle “epifanie”, dai momenti di svelamento di qualcosa di misterioso, che durano un tempo breve e confinano con l’eterno. Anni fa, uno dei primi anni del Duemila credo, a Bologna, fui colpito dalla figura di una bionda giovinetta violinista che, uscendo dal Conservatorio, mi precedette per via e proseguì svelta. Non so se pensai anche all’immagine petrarchesca: Erano i capei d’oro a l’aura sparsi. Ancor prima di tornare a casa, scrissi una poesia. Non passò molto tempo e, guardando una fotografia, scoprii che quella giovinetta che mi aveva ispirato era Laura Marzadori. La poesia è rimasta inedita e, ricopiata da un foglio di fortuna su cui l’avevo rapidamente scritta, la dedico adesso alla inconsapevole e bravissima ispiratrice e la dono qui agli amici di Musica Insieme, che ne hanno seguito con affetto la carriera sin dai primi passi. (Nicola Muschitiello)
I CONCERTI gennaio / marzo 2022 Lunedì 17 gennaio 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
Lunedì 24 gennaio 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
KATIA E MARIELLE LABÈQUE..................................... pianoforti Schubert, Glass Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Musica per le Scuole”
VADIM REPIN..................................................................................violino NIKOLAI LUGANSKY.................................................................pianoforte Bartók, Prokof’ev, Brahms Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna
Lunedì 14 febbraio 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
Lunedì 28 febbraio 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
Lunedì 7 marzo 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
LUCAS E ARTHUR JUSSEN..............................................pianoforti Mozart, Schubert, Stravinskij Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna
YEFIM BRONFMAN...................................................................pianoforte Beethoven, Chopin Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Musica per le Scuole”
CUARTETO CASALS ALEXANDER LONQUICH.......................................................pianoforte Mozart, Haydn, Schumann Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna
Lunedì 21 marzo 2022
TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
VIKTORIA MULLOVA................................................................violino MISHA MULLOV-ABBADO...............................................contrabbasso Mullov-Abbado, Chanoch, Bach, Prokof’ev, Jobim, Lenine e Falcaõ, De Freitas, McLaughlin, Schumann, De Abreu, Tradizionali Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna
Biglietti in vendita su Vivaticket e presso Bologna Welcome. Nei giorni di concerto, la biglietteria del Teatro Auditorium Manzoni è aperta dalle ore 17 Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it - App MusicaInsieme
Lunedì 17 gennaio 2022
FANTASIE
a quattro mani
Sin dal 1990 Musica Insieme ospita in esclusiva a Bologna gli originali progetti del duo pianistico più celebre della scena internazionale di Paolo Stegani
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a più di trent’anni le sorelle Katia e Marielle Labèque sono ospiti regolari delle stagioni concertistiche di Musica Insieme, per quella che è diventata un’autentica amicizia, costellata di grandi concerti ed altrettanto grandi “fantasie”: per limitarci alle ultime due, nel 2016 ci hanno proposto Sisters, un vero e proprio album di ricordi musicali e familiari che ha conquistato il pubblico; due anni dopo, un nuovo progetto le vedeva portare alla ribalta due giovani e straordinari percussionisti, Simone Rubino e Andrea Bindi, per la funambolica Sonata di Bartók. Davvero instancabili nelle loro esplorazioni musicali, per il concerto d’apertura del 2022 si faranno ancora una volta pioniere della nuova musica per duo di pianoforti. È il caso di Les Enfants Terribles di Philip Glass, il Maestro del minimalismo americano, che nel 2015 aveva già composto per il Duo un doppio Concerto. Glass ha
LUNEDÌ 17 GENNAIO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
KATIA E MARIELLE LABÈQUE
pianoforti
Franz Schubert Fantasia in fa minore D 940 per pianoforte a quattro mani Philip Glass Les Enfants Terribles per due pianoforti
commentato così il loro sodalizio: «Le sorelle Labèque sono straordinarie. Sono grandi interpreti e grandi sostenitrici della musica, non di quella moderna, ma semplicemente della musica. È stato fantastico lavorare con loro». Insomma, se la musica di Philip Glass occupa un posto speciale nella vita creativa del Duo, dopo varie collaborazioni ed un rapporto professionale ormai consolidato, da parte sua il Duo rappresenta per Philip Glass un’inesauribile fonte di ispirazione, tanto da indurlo a trarre per loro una Suite dalla sua “danceopera” Les Enfant Terribles, ispirata a sua volta all’omonimo romanzo di Jean Cocteau e al centro della loro ultima fatica discografica per Deutsche Grammophon, uscita lo scorso autunno: non a caso una storia di due fratelli, potente e travolgente come solo le parole di Cocteau sanno essere, per le due sorelle della musica. Les Enfants Terribles narra infatti la storia di Paul e Lise, due personaggi così irretiti in un mondo immaginario che non riescono più a vedere una realtà oltre il loro “gioco”. Per l’opera da camera Les Enfants Terribles, scritta nel 1996, erano previste quattro voci e tre pianoforti. La Suite arrangiata su richiesta di Glass dal fedele Michael Riesman nel 2020 ne elimina uno, ed ha ispirato a sua volta una videoopera dell’artista Ronan Day-Lewis, dichiaratosi «completamente catapultato nel mondo dei ragazzi
terribili» grazie all’incantesimo combinato della visione poetica di Cocteau, della musica di Glass e dell’interpretazione esaltante del Duo. Facendo un salto indietro di quasi due secoli, troviamo la Fantasia in fa minore di Franz Schubert per pianoforte a quattro mani, uno dei suoi capolavori e insieme uno dei capisaldi del repertorio per questo organico. Composta nel 1828, l’ultimo anno di vita di Schubert, la Fantasia è descrivibile come una musica “sognante”, per la cifra stilistica che esprime, per il carattere trepido e affettuoso che comunica, per il sentimento che la ispira (la dedicataria era l’amata ex allieva Carolina, figlia del conte Esterházy). Il lavoro di Schubert si articola in quattro movimenti in una libera forma di sonata. L’Allegro molto moderato inizia in tono minore, secondo l’uso ungherese, ma ben presto si arricchisce di modulazioni che slanciano il discorso melodico. Il Largo in fa diesis minore è una specie di omaggio all’arte italiana, in quanto si sa che proprio in quell’anno il musicista aveva avuto occasione di ascoltare Paganini, e dopo l’Adagio del Secondo Concerto op. 7 del violinista aveva detto di aver udito cantare un angelo. Lo Scherzo brillante e il Finale rivelano uno Schubert contrappuntistico quanto mai insolito: pare che il compositore, per arrivare a controllare più coscientemente questa (sua) scoperta, negli ultimi mesi di vita abbia preso anche qualche lezione di contrappunto (c’è chi sostiene però che si trattò di una soltanto) dal teorico e didatta austriaco Simon Sechter, che fu tra l’altro maestro di Bruckner e di molti importanti artisti della Vienna musicale del suo tempo. Passato e presente si incontrano e si mescolano in totale armonia, in un programma in grado di avvicinare epoche differenti e restituire al pubblico un’esibizione dove il pianoforte trova la sua più profonda raison d’être: l’esaltazione dell’emotività umana nei suoi aspetti più profondi, a partire da una dichiarazione d’amore sincera e totale e arrivando alle misteriose quanto affascinanti dinamiche che legano due fratelli nella loro complicata fase adolescenziale. Non bastasse la solidità di un programma così mirato ed interessante, il segreto del successo di Katia e Marielle Labèque sta proprio nel rapporto che le lega, nella palpabile e udibile sinergia che avvolge il pubblico in un abbraccio altrettanto significativo di note e melodie magicamente interpretate. Le quattro mani delle due artiste sono pronte a scorrere di nuovo sulla tastiera del pianoforte al Teatro Auditorium Manzoni con la consueta maestria, portandoci con la mente e l’anima là dove ci aspettiamo di arrivare ascoltando queste opere: al cuore del sentimento che ha mosso due grandi compositori, così lontani e così vicini, a porre in musica la parte più fragile e vibrante del loro animo.
KATIA E MARIELLE LABÈQUE
Le sorelle francesi iniziano lo studio del pianoforte in tenera età, guidate dalla madre, la pianista italiana Ada Cecchi. La notorietà internazionale arriva presto con la registrazione in versione contemporanea della Rapsodia in Blu di Gershwin, uno dei primi album di musica classica a essere insignito del Disco d’oro. Hanno collaborato con le orchestre più prestigiose – tra cui i Berliner Philharmoniker, la Boston Symphony, le Filarmoniche della Scala e di Santa Cecilia – e coi direttori più blasonati, quali Prêtre, Marriner, Mehta, Pappano. Spaziando liberamente fra le epoche della classica, si esibiscono anche con numerosi ensemble barocchi, tra cui ricordiamo Il Giardino Armonico e Il Pomo d’Oro. Collaborano inoltre con numerosi compositori contemporanei: già al fianco di Luciano Berio, Pierre Boulez e Olivier Messiaen, tra i progetti più recenti c’è la prima mondiale alla Walt Disney Concert Hall del doppio Concerto di Philip Glass con la Los Angeles Philharmonic Orchestra, diretta da Gustavo Dudamel.
Lo sapevate che lo scrittore Alessandro Baricco è stato l’autore delle note di copertina per il primo album pubblicato da Katia Labèque, intitolato Unspoken
DA ASCOLTARE Libere di prescegliere i progetti da incidere con la loro etichetta KML, le Labèque hanno pubblicato nel 2014 il cd Sisters, che il pubblico di Musica Insieme ha applaudito nel 2016. Le uscite precedenti includono un album dedicato a Gershwin e Bernstein e il progetto Minimalist Dream House, dove attraversano 50 anni di musica minimalista. Nel 2017 è uscito per EuroArts il dvd The Labèque Way - Una lettera a Katia e Marielle di Alessandro Baricco, prodotto da El Deseo (alias Pedro e Agustín Almodóvar) e diretto da Felix Cabez. La loro biografia, Une vie à quatre mains, di Renaud Machart, è pubblicata da Buchet-Chastel. L’etichetta KML Recordings è ora entrata a far parte della storica Deutsche Grammophon, che ha pubblicato cinque album del Duo: Invocations, Love Stories, Amoria, Moondog e El Chan, dedicati interamente al compositore americano Bryce Dessner. Il loro ultimo album, Les Enfants Terribles di Philip Glass, è recensito fra queste pagine nella rubrica Da ascoltare.
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Inni al futuro > Intervista > Katia Labèque Il duo pianistico formato dalle sorelle Katia e Marielle Labèque conferma nell’arte l’indissolubile legame che le unisce nella vita, con un’instancabile progettualità che le ha portate e le porta ad ampliare giorno per giorno il repertorio per due pianoforti e pianoforte a quattro mani. Grazie al loro lavoro pionieristico, le Labèque hanno letteralmente aperto la strada a nuove generazioni di interpreti – e i fratelli Jussen ne sono una splendida dimostrazione – in un genere, come quello del duo pianistico, che è rimasto sempre in ombra rispetto al piano solo o ad altre formazioni cameristiche. Il loro concerto per Musica Insieme prevede anche la presenza di circa 300 studenti delle scuole superiori, aderenti all’iniziativa Musica per le Scuole: l’esempio lampante di quanto il Duo abbia saputo stringere un rapporto privilegiato con la città di Bologna, e di quanto il loro talento venga riconosciuto ad ogni età. Bentornate a Bologna! ll nostro pubblico ama particolarmente l’originalità dei vostri progetti: e voi, quali ricordi avete dei concerti per Musica Insieme? «Abbiamo sempre portato i nostri progetti a Musica Insieme, e per noi tornare a Bologna è come tornare in famiglia, con voi ci troviamo a casa, specialmente in questo periodo in cui regna una grande incertezza, e anche le società concertistiche stanno attraversando un momento di gravi difficoltà». Il vostro concerto sarà incluso anche in un abbonamento, Musica per le Scuole, dedicato agli studenti degli istituti superiori, che proprio quest’anno ha registrato un boom di adesioni sorprendente. C’è una chiave secondo te per avvicinare i ragazzi al mondo della classica? «Io credo profondamente che la chiave sia l’educazione, e tutti i progetti che favoriscono l’educazione sono importanti. Questo progetto è un esempio di tutte le cose che si possono fare, e che si devono fare, per mantenere la musica viva nella mente dei giovani studenti. La classica è un po’ “fuori gioco” per gli adolescenti, che sono ormai abituati a connettersi e fruire della musica in modo soprattutto digitale, e meno dal vivo. Ma vedo anche che quando i ragazzi si confrontano con una musica giusta per loro – certo le ultime sonate di
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Beethoven non rappresentano il repertorio ideale per accostarli alla classica! – rimangono conquistati. Un compositore come Philip Glass fa qualcosa che avvicina, non allontana dalla musica, grazie alla sua esperienza nel cinema e nel teatro. Sono certa che li interesserà molto». Con Philip Glass poi avete un rapporto speciale. Dal Doppio Concerto che vi ha dedicato nel 2015 alla versione della sua dance-opera Les Enfants Terribles che porterete a Musica Insieme. Come definiresti questa musica? «Quello di Philip Glass è stato un regalo bellissimo che ci ha salvato durante la pandemia: la partitura è arrivata proprio quando tutti i concerti venivano cancellati, e abbiamo avuto così modo di studiarla e di registrarla (il cd è uscito a ottobre 2020): insomma ha riempito il nostro tempo. Adesso lavoriamo sulla continuità, perché Glass ha composto una trilogia delle opere di Cocteau: prima di Les Enfants Terribles, ha ultimato Orphée e La Belle et la Bête. Abbiamo già ricevuto le partiture, stiamo lavorando con il suo arrangiatore, e per i prossimi anni progettiamo di eseguirle tutte, proponendo anche le tre opere di Philip Glass in una serata. La novità è che Philip le ha riviste tutte senza la danza e senza altri strumenti oltre ai due pianoforti, e la cosa incredibile è che così la musica risulta più moderna, un po’ come la versione pianistica della Sagra della primavera di Stravinskij. Le versioni a due pianoforti di queste opere suonano chiarissime, e aiutano perfino a capire meglio gli originali. Perciò penso che il pubblico degli studenti possa connettersi molto facilmente con queste musiche». Quella di Les Enfants Terribles è la storia di due fratelli, potente e sconvolgente per l’alienazione che si costruiscono, isolandosi in una stanza… «Enfant Terrible è un’espressione per definire una persona particolarmente pestifera, ma la storia di Cocteau è davvero terribile: un fratello e una sorella che si rinchiudono nel loro mondo, per non uscire più da un’unica stanza… è incredibile perché ricalca in un certo senso anche l’esperienza del lockdown!». Oltre all’alternanza fra quattro mani e due pianoforti, questo programma accosta due autori lontani due secoli: come l’avete concepito?
«La Fantasia di Schubert è sicuramente il capolavoro della sua produzione a quattro mani: scritta poco prima di morire, è un brano molto triste e noi l’amiamo particolarmente perché è uno dei pezzi più belli mai scritti per questa formazione. Il tema principale della Fantasia proviene da una canzone popolare, e ne mostra chiaramente le radici. Credo che sia il pubblico dei ragazzi sia i conoscitori del repertorio troveranno ciò che fa per loro in questo programma “bifronte”. E poi ne Les Enfants Terribles si trova quasi una citazione di Schubert, autore che Philip Glass adora». Ogni anno porta con sé delle novità nei vostri progetti musicali, sempre appassionanti e originali: cosa bolle in pentola per il futuro? «Ora stiamo lavorando a un grande progetto con Barbara Hannigan per voce, due pianoforti ed elettronica e con una messinscena di Mischa Jones, una bravissima regista teatrale inglese… alla fine è un progetto tutto al femminile! A parte l’elettronica, che affideremo a David Chalmin perché è straordinario…». Fra i vostri infiniti followers, Madonna è una delle vostre fans più famose. Avete mai pensato di collaborare con lei?
«Madonna è davvero una performer intelligentissima, le piace costruire personalmente gli show, il fatto che sia una ballerina poi è un aspetto molto importante; ha un carattere forte e indipendente e ha saputo costruirsi dal nulla grazie a un lavoro incredibile. La nostra ammirazione e l’amicizia per lei sono grandi, ma in questo momento siamo impegnate in un altro progetto con tre pianoforti e due chitarre, scritto da Bryce Dessner e David Chalmin. Dessner non soltanto è il leader della band The National, ma è anche una celebrità nel campo della classica: ora è a Parigi con Esa-Pekka Salonen, che lo considera il compositore più importante della sua generazione. Ogni tanto penso che avremmo potuto passare la vita a suonare Rapsodia in Blu… e invece alla nostra età siamo ancora qui a imparare ogni giorno della musica nuova! Ma siamo felici di avere in qualche modo indicato una strada: oggi il genere del duo pianistico annovera molti giovani talenti, e tutti conoscono benissimo il repertorio, da Bartók a Stravinskij, ma noi sentiamo sempre la responsabilità di portare nuova musica al nostro pubblico». (a cura di Fulvia de Colle)
Lunedì 24 gennaio 2022
MERAVIGLIOSI
contrasti
Un duo di straordinari solisti ci offre le grandi sonate di Prokof’ev e Brahms e una funambolica Rapsodia di Bartók di Luca Baccolini
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ergej Prokof’ev ebbe poco più di un’ora per far piangere la sua morte. Il 5 marzo 1953, 50 minuti dopo l’emorragia cerebrale che lo stroncò a 62 anni non compiuti, usciva di scena anche Stalin. Un colpo di teatro della vita con pochi termini di paragone nella storia. Al malcapitato Prokof’ev, che già da cinque anni conviveva col marchio dell’infamia emesso dall’intellighenzia del Partito, non restò che aspettare tredici giorni chiuso in una bara per ottenere le meritate esequie. Vi parteciparono in realtà poche decine di persone, poco più della cerchia degli intimi, dato che sulla Pravda per giorni interi non si diede notizia della sua morte. L’amico Mstislav Rostropovič, che presenziò all’ultimo saluto, ricorda istantanee surreali: il clima gelido, i fiori di carta costruiti sul momento per sopperire alla mancanza di quelli veri (tutti spediti a Mosca per sommergere il feretro del leader) e il grammofono sistemato sulla cassa di legno per far risuonare il motivo della morte di Romeo e Giulietta, il frutto del più felice periodo creativo di Prokof’ev. Quando l’apparecchio finì il suo compito (i testimoni raccontarono anche che si rovesciò interrompendo bruscamente il disco come un fosco
LUNEDÌ 24 GENNAIO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
VADIM REPIN violino NIKOLAI LUGANSKY
pianoforte
Béla Bartók Rapsodia n. 1 Sz. 86 Sergej Prokof’ev Sonata n. 1 in fa minore op. 80 Johannes Brahms Sonata n. 3 in re minore op. 108
presagio) si passò alla musica dal vivo. David Oistrakh, il grande violinista, e il pianista Samuil Feinberg si incaricarono di rendere omaggio all’amico. La scelta cadde sulla Sonata per violino e pianoforte op. 80 (il primo e il terzo movimento, Andante e Andante assai). È facile immaginare il clima emotivo di quel commiato, con quel lento, circospetto e quasi esangue andamento del pianoforte, sormontato dal fremito a tratti impercettibile del violino (che Prokof’ev prescrive “freddo” nella sua indicazione espressiva). Al funerale non si ascoltò quindi l’Allegro brusco (il secondo movimento) che risveglia certe insistenze ritmiche tipiche del compositore (qui alle prese anche con un bel tema “eroico” figlio della poetica di regime, musica che tanto nella forma quanto nel contenuto rispondeva alla grandezza dell’epoca, «con una melodia chiara e semplice»). Ma ecco di nuovo un Andante che ci riporta al clima iniziale, rarefatto, quasi impalpabile, una sonorità ghiacciata ed enigmatica, alla quale non può che seguire, per contrasto, un Allegrissimo finale, estremamente ritmato, dal sapore quasi popolaresco, che chiude il lavoro allontanando il suo centro emozionale dalle atmosfere ambigue dell’esordio. Ascoltata per intero, e non nella sua selezione spuntata per i funerali, la Sonata riflette gli otto anni di lavoro che vi profuse Prokof’ev (19381946): anni esaltanti, punteggiati dalla collaborazione cinematografica con Ejzenštejn, anni di piena adesione alla nuova politica culturale sovietica, improntata a un lirismo quasi sospetto di pomposità. Per Prokof’ev fu un duro risveglio, nel 1948, trovarsi nella lista dei compositori sgraditi di Ždanov, destino identico a quello toccato al collega Šostakovič, che addirittura perse la sua cattedra in Conservatorio. Prokof’ev, invece, fu “solo” costretto a pubblicare un’umiliante autocritica, mentre la sua prima moglie fu spedita direttamente in un gulag. In un programma da concerto, una musica tanto ricca di contrasti interni di solito non può prescindere da
un compositore “classico”. Ruolo che Johannes Brahms interpretò in chiave personalissima, anche nella musica da camera, riprendendo (ma rigenerando) gli ideali beethoveniani e schubertiani. Ascoltare la sua Sonata per violino e pianoforte op. 108 (l’ultima delle tre da lui composte) è un tuffo nelle atmosfere estive care a Brahms, che amava abbozzare, stendere e sviluppare le sue idee tra laghi e montagne, lontano dalLo sapevate che l’impegnativa routine viennese. La Sonata non è certo il leggendario Yehudi una cartolina dal Lago di Menuhin disse di Thun, dove fu composta, ma Repin che lo riteneva dopo un Allegro irrequieto, che fa tenere sempre alta l’at“semplicemente il migliore tenzione per i suoi frequenti e il più perfetto violinista” cambi ritmici, effettivamente che avesse mai ascoltato si arriva a quell’oasi di pace che è l’Adagio centrale, un brano che si vorrebbe allungare in eterno per la sua semplicità disarmante, la morbidezza incantevole del discorso, l’irreale bellezza del suo oscillare tra divagazioni intimistiche e accensioni melodiche. Nel terzo movimento, invece, Brahms non indulge mai a una vera distensione melodica, preferendo giocare (forse per non macchiare il tema “perfetto” del tempo precedente) su ritmi frammentati e serrati che introducono al Presto agitato finale, scritto con accordi densi e toni ur-
I PROTAGONISTI
Nato in Siberia nel 1971, Vadim Repin inizia lo studio del violino all’età di cinque anni e a soli undici anni vince in tutte le categorie il Concorso “Wieniawski”. Risulta anche il più giovane vincitore del Premio “Reine Elizabeth”, e da allora inaugura una brillante carriera internazionale. Nel 2014 fonda il Festival delle Arti transiberiane, di cui è Direttore Artistico, e presenta nella nuova sala da concerto di Novosibirsk numerose prime assolute di concerti per violino a lui dedicati. Nikolai Lugansky nasce a Mosca nel 1972 in una famiglia di scienziati. Si aggiudica giovanissimo le vittorie al Concorso “Bach” di Lipsia nel 1988, al “Rachmaninov” nel 1990 e al “Čajkovskij” nel 1994. Ospite delle più importanti sale, dal Musikverein al Lincoln Centre di New York, collabora con direttori come Temirkanov, Chailly, Dutoit, Masur. Eletto Artista del Popolo della Russia nel 2013, è inoltre Direttore Artistico del Festival “Rachmaninov” di Tambov.
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DA ASCOLTARE
L’ultimo lavoro discografico di Repin vede proprio una collaborazione con il pianista Nikolai Lungansky: i due hanno registrato per Deutsche Grammophon tre sonate, rispettivamente di Janáček, Grieg e Franck. Un lavoro, dunque, tutto tardoromantico, che è stato insignito del BBC Music Award nel 2010. Per la medesima casa discografica Repin ha registrato anche i trii con pianoforte di Rachmaninov e Čajkovskij, insieme ad altri due grandissimi musicisti: Mischa Maisky al violoncello e Lang Lang al pianoforte, con i quali ha vinto l’Echo Prize. Non mancano, inoltre, le collaborazioni con l’orchestra: nel 2008 Repin si è infatti dedicato ai Concerti per violino op. 77 e per violino e violoncello op. 102 di Brahms, in collaborazione con la Gewandhausorchester di Lipsia; mentre poco prima aveva registrato il primo Concerto per violino di Bruch con i Berliner Philharmoniker.
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genti, talmente accorati da far dimenticare lo squarcio di luminosa pace infuso dall’Adagio. In fondo, sull’accostamento di episodi lenti e mossi si gioca anche la prima Rapsodia per violino e pianoforte di Bartók, un concentrato di motivi popolari rumeni, ungheresi, transilvanici, tzigani immersi in un gusto vagamente orientaleggiante. È un’occasione d’oro poterla ascoltare nella versione cameristica, poiché questo lavoro circola più spesso nella sua veste concertante per orchestra (ma ne esiste una anche per violoncello e pianoforte). La versione per violino e pianoforte fu eseguita per la prima volta a Berlino il 22 ottobre 1929 dal grande violinista József Szigeti. Cotanto dedicatario fa capire perché il violino abbia una parte di predominio assoluto, tale da far credere, in certi momenti, che il pianoforte sia solo uno strumento di accompagnamento. Impressione subito fugata da certi passaggi di mostruosa agilità che rendono la Rapsodia uno dei pezzi brillanti più amati.
La voce del violino > Intervista > Vadim Repin Da anni sei un gradito ospite di Musica Insieme e del pubblico bolognese. Qual è il tuo rapporto con la nostra città? «Ho molti splendidi ricordi legati a questi luoghi. Bologna è una città tutta da visitare, il cui pubblico è sempre partecipativo, caloroso e aperto a ciò che gli viene proposto. Questo permette anche all’artista di dare qualcosa in più». Cosa ne pensi delle sale da concerto e della tradizione musicale italiana? «Specialmente negli ultimi tempi sono stato molto spesso in Italia, anche per via della miglior condizione legata al Covid e alla gestione della pandemia. È uno dei posti più belli in cui sia mai stato in vita mia. Ti ritrovi costantemente circondato dalla bellezza, c’è ottimo cibo, uno stile di vita raffinato… Svegliarsi in Italia mette automaticamente di buon umore!». Quali sono state le tue principali figure di riferimento? «Tutti, soprattutto all’inizio, cominciano con l’avere dei punti di riferimento. Paganini certamente è stato uno di questi. Tutto ciò che ho ascoltato è diventato comunque parte di me e del mio modo di vedere la musica classica, così come, durante la mia vita e la mia carriera, ho potuto incontrare grandi musicisti, personalità incredibili, e mi ritengo molto fortunato per questo». Ritieni che la musica classica sia ancora “viva”? Cosa dovremmo fare per incoraggiare i giovani a scoprirla? «C’è una sorta di equilibrio fra le due cose, secondo me. Nel mio paese ci sono molti giovani interessati alla musica classica, così com’è vero che spesso serve maturità per capirla e addentrarsi nel suo processo di creazione. Non è come la musica pop, dove è sufficiente “lasciarsi trascinare” dal ritmo. Nella classica c’è sempre un dialogo con l’ascoltatore, tante composizioni sono un vero e proprio viaggio, da compiere con interesse e attenzione. Se un giovane si lascia appassionare e fa quel passo in più, può entrare in questo mondo molto facilmente». Com’è iniziata la collaborazione con Nikolai Lugansky? «Abbiamo lavorato molto assieme, il nostro sodalizio risale a tantissimi anni fa. Ci lega un’intesa sia personale che professionale. Ritengo sia uno dei migliori pianisti della nostra epoca. Non voglio
parlare anche per lui, ma quando non suono con Nikolai per troppo tempo comincio a sentirne la mancanza. Il suo talento risiede nell’intelligenza e nella passione che riesce a infondere nelle sue esecuzioni». Come racconteresti il vostro programma? «A parte il mio speciale legame con la musica di Prokof’ev, la cui Sonata è un capolavoro assoluto, parlerò di Bartók e Brahms: pur appartenendo ad epoche e mondi separati, entrambi erano grandi ammiratori della cultura gitana e del folklore ungherese, e questo credo sia uno dei punti che più li accomunano. Insomma, i due sono molto differenti per provenienza e ambiente, ma fra di loro si possono individuare anche diversi parallelismi, e in questo programma abbiamo cercato proprio di valorizzare entrambi questi aspetti: le loro differenze e le loro affinità». Ci parleresti del tuo strumento, lo Stradivari “Rode”? «Per un violinista la relazione con il proprio strumento è fondamentale, perché rappresenta una sua estensione, proprio come lo è la voce per un tenore: deve essere comodo, adatto alle interpretazioni del musicista, e può arricchirne di molto la performance. Il mio Rode è un omaggio ad un grandissimo musicista, rivale diretto di Paganini. È uno strumento eccezionale, che mi permette di esprimermi al meglio». Hai un messaggio per il pubblico di Musica Insieme? «Il mio messaggio è certamente un augurio di salute, durante questo periodo duro e difficile. Sono veramente grato a Musica Insieme e a tutte le realtà che continuano a dar voce alle personalità del nostro mondo e a resistere in un momento così delicato. Ci vediamo il 24 gennaio!». (a cura di Paolo Stegani)
Lunedì 14 febbraio 2022
LEGGENDE
metropolitane
I fratelli Jussen debuttano a Bologna con un’antologia di capolavori del repertorio a quattro mani e per due pianoforti di Elena Cazzato
È
la storia di un repertorio bistrattato, quella della musica da camera per due pianisti. Da un lato le composizioni a quattro mani, talora neanche considerate musiche degne di nota, precedute dalla loro fama di brani frivoli, passatempi per nobili donzelle. Tutt’oggi, dopo secoli di studi sulla storia e la filologia musicale, moltissimi Conservatori escludono queste opere dai loro programmi: non è possibile inserirle negli esami di prassi esecutive di pianoforte, poiché richiederebbero la presenza di un secondo elemento, e molto spesso sono escluse anche nelle prassi esecutive di musica da camera, poiché suonare in due sullo stesso strumento significa eludere l’ostacolo e passare per la via più facile. Dall’altro lato le composizioni per due pianoforti: in questo caso, quanto meno, la considerazione è più elevata. Opere virtuosistiche, pensate per i
LUNEDÌ 14 FEBBRAIO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
LUCAS E ARTHUR JUSSEN
pianoforti
Wolfgang Amadeus Mozart Sonata in re maggiore KV 448 (375a) per due pianoforti Franz Schubert Gran Rondò in la maggiore D 951 per pianoforte a quattro mani Igor Stravinskij Le Sacre du Printemps per due pianoforti
pianisti più talentuosi, ancora una volta tagliate fuori dai programmi per la difficoltà di reperire spazi con due strumenti a disposizione, sia all’interno del Conservatorio, sia nella prospettiva di portare in tournée un programma da concerto. I fratelli Jussen, allora, ci possono di certo aiutare a sfatare questi falsi miti. Prima di tutto ci fanno capire che il genere a quattro mani è tutt’altro che di secondaria importanza: apprezzatissimo dal pubblico, è quanto di più lontano possibile da una musica di svago, da eseguire in casa nei momenti di noia. Qualsiasi pianista, infatti, potrà confermare che suonare in due lo stesso strumento non rende le cose più facili, anzi ne moltiplica infinitamente le difficoltà. Pensate innanzitutto alla scomodità della posizione: è un attimo, e il gomito dell’uno si conficca nelle costole dell’altro, e gli incroci tra le braccia possono avere esiti disastrosi, se non accuratamente
LUCAS E ARTHUR JUSSEN
Foto Marco Borggreve
Figli d’arte – la madre è una flautista e il padre un percussionista – Lucas e Arthur Jussen iniziano lo studio del pianoforte in tenera età, nella loro città natale Hilversum, in Olanda. I riconoscimenti non tardano ad arrivare, tanto che, ancora bambini, vengono chiamati a suonare davanti alla Regina olandese in persona. Nel 2005 vengono invitati in Portogallo e in Brasile dalla grandissima pianista Maria João Pires, che sarà loro insegnante per un anno. Lucas completerà poi gli studi negli Stati Uniti con Pressler e a Madrid con Bashkirov, mentre Arthur si diplomerà presso il Conservatorio di Amsterdam con Jan Wijn. I due fratelli hanno collaborato con le maggiori compagini internazionali – tra cui la Boston Symphony Orchestra e la Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam – e si esibiscono nelle sale da concerto di tutto il mondo, nonché per i principali festival musicali.
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Lunedì 14 febbraio 2022 stabiliti durante le prove. Oltre a ciò, consideriamo l’uso del pedale, che è controllato solamente da chi è seduto alla parte del basso, ma deve sostenere ugualmente la cantabilità della melodia suonata dal collega, evitando, se possibile, di dargli un calcio... In ultimo, ma non per importanza, quando si esegue un brano sul medesimo strumento le differenze nello stile pianistico degli interpreti si amplificano al quadrato, perciò ogni minima scelta musicale va Lo sapevate che studiata insieme e adattata Fazil Say ha composto alle necessità di entrambi. per i fratelli Jussen Ancora più complicata, non solo per i virtuosismi, un Concerto, il cui debutto è è la situazione del repertoprevisto a gennaio 2022 con rio a due pianoforti. Se per i Münchner Philharmoniker il genere a quattro mani i due pianisti possono quanto meno vedersi e controllare i movimenti delle mani l’uno dell’altro, per i due pianoforti la situazione è opposta: uno di fronte all’altro, alla considerevole distanza di un gran coda – cioè circa tre metri –, gli interpreti devono avere un’intesa impeccabile per riuscire a suonare insieme, evitando spiacevoli scostamenti: gli unici segnali di fumo che possono lanciarsi sono i respiri, poiché ogni altro movimento è nascosto.
DA ASCOLTARE Lucas e Arthur Jussen sono artisti esclusivi Deutsche Grammophon già dal 2010. L’ultimo lavoro, pubblicato a marzo 2021, si intitola The Russian Album, e contiene infatti grandissimi capolavori per due pianoforti dei più grandi compositori russi (ne parliamo nella rubrica Da ascoltare di questo numero). Sempre piuttosto recente – parliamo del 2019 – ma di genere completamente opposto è l’album dedicato a Bach, che contiene i concerti per due pianoforti e orchestra in collaborazione con la Amsterdam Sinfonietta. Del resto i due pianisti hanno esplorato nel tempo generi e autori di un’ampia fetta di storia della musica. Il loro primo album, ad esempio, è dedicato alle Sonate di Beethoven (Disco di Platino e vincitore dell’Edison Klassiek Audience Award); poi sono passati agli Improvvisi di Schubert e solo a partire dal terzo album si sono dedicati anche a composizioni per pianoforte a quattro mani, quale ad esempio la Dolly Suite di Fauré. Il loro cd del 2015 con i Concerti KV 365 e KV 242 di Mozart diretti da Neville Marriner è stato inserito da Gramophone UK nella lista “The greatest Mozart Recordings”.
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Non sarà un caso, quindi, che esista una partitura originale di Stravinskij per pianoforte a quattro mani di uno dei suoi più grandi capolavori. Le Sacre du printemps, allo stesso tempo simbolo e scandalo delle prime avanguardie del Novecento, sconvolse il repertorio tradizionale per orchestra e irruppe prepotentemente anche nella musica da camera a quattro mani. La sua potenza ritmica non guarda alle conseguenti difficoltà al pianoforte, ma semplicemente affida i suoi estremismi virtuosistici ed estetici alle mani dei più sapienti e talentuosi pianisti. Ricordiamo, infatti, che la prima esecuzione di questa riduzione si deve alle mani dello stesso compositore e a quelle, altrettanto incredibili, del collega e amico Claude Debussy. L’unico punto in comune che possiamo trovare con le situazioni elencate all’inizio è che effettivamente la prima ebbe luogo nel salotto del musicologo Louis Laloy, durante una piacevole riunione tra amici, ma i pianisti non erano certo dilettanti in cerca di evasione e svago. Non meno importanti furono i primi esecutori della Sonata KV 488 di Mozart, ovvero il compositore stesso insieme a una delle sue allieve più virtuose e promettenti, Josephine Aurnhammer. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un capolavoro, un mirabolante mix di equilibrio e brillantezza: ogni singola nota è accuratamente studiata in considerazione di entrambe le parti, in modo che nessuna sovrasti l’altra, per creare un connubio perfetto di timbri che sfruttino tutte le possibilità dei diversi registri delle tastiere. Proprio la scelta di questo tipo di organico permise a Mozart di rendere un’idea di pienezza, quasi avesse a disposizione un’intera orchestra sinfonica, senza tuttavia appesantire l’ascolto. Una sonata in tipico stile galante, vivace e fantasiosa, eppure non per questo frivola o poco espressiva. Fortunatamente il compositore non si lasciò scoraggiare dalle difficoltà logistiche dei due pianoforti, forse perché già immaginava che avrebbe creato un’opera talmente d’impatto da ispirare le ricerche scientifiche che avrebbero dato vita al cosiddetto “effetto Mozart”: la leggenda narra infatti che l’ascolto di questa sonata stimoli positivamente l’attività cerebrale. Leggenda o realtà, perché non dare maggiore spazio allo studio e all’esecuzione di questo repertorio? Che la conseguenza sia una piacevole serata passata a espandere i propri orizzonti musicali o un incremento dell’intelligenza a livello del ragionamento spaziale, certamente non esistono controindicazioni.
Amici fraterni > Intervista > Lucas e Arthur Jussen lato, e Stravinskij dall’altro. Come avete scelto questo repertorio? «Da sempre ci piace scegliere programmi in cui si possa chiaramente udire il contrasto tra differenti compositori. Mozart e Schubert rappresentano un meraviglioso modo di aprire il tipico programma classico. Poi c’è questo enorme contrasto con i ritmi duri e intensi di Stravinskij. Questo cambiamento tiene alta l’attenzione del pubblico e anche per noi è un modo meraviglioso per svelare i diversi aspetti della musica classica». Suonare a due pianoforti e a quattro mani: cosa cambia? «Suonare a quattro mani ci fa sentire molto più uniti. Siamo più vicini e possiamo suonare in modo davvero compatto e preciso. Quando invece si è su due pianoforti differenti, è possibile creare molto più volume e un suono più pieno, ma, allo stesso tempo, comunicare è un po’ più difficile a causa della distanza. Entrambe le modalità, in ogni caso, hanno pro e contro, e noi non abbiamo preferenze». Con quale tipo di musica vi sentite “a casa”? Siete interessati anche ad ampliare il vostro repertorio, che comprende grandi capolavori, ma non è purtroppo così vasto? «In generale, possiamo dire che ci sentiamo a casa con qualsiasi tipo di repertorio. Siamo ancora abbastanza giovani e non vogliamo limitarci solo a una cerchia ristretta di compositori. Pensiamo anche che sia fondamentale continuare sempre a suonare musica contemporanea. È essenziale per noi come duo, anche perché questo repertorio non è così vasto, e allo stesso tempo pensiamo che sia davvero un’esperienza unica e interessante poter suonare musica nuova, composta ai nostri giorni». (a cura di Elena Cazzato)
Foto Marco Borggreve
Fra i molti debutti di questa stagione, Musica Insieme è felice di dare il benvenuto a Bologna anche a un’altra “famiglia musicale”, quella dei fratelli Lucas e Arthur Jussen, 28 e 24 anni, che con la loro freschezza hanno conquistato il pubblico della classica, e un’ammiraglia come l’etichetta Deutsche Grammophon li ha reclutati in esclusiva da quando di anni ne avevano dieci di meno. Come figli d’arte avete seguito le orme dei vostri genitori: vi siete mai sentiti obbligati a diventare musicisti o è stata un’evoluzione naturale? «Non c’è mai stata nessuna pressione, i nostri genitori ci hanno lasciati completamente liberi nelle nostre decisioni, ma è ovvio che da bambini si venga influenzati dall’ambiente in cui si cresce. Per noi ciò significava essere circondati da un sacco di musica, e questo ci ha aiutato a comprendere e amare la classica in modo del tutto naturale». A voi il compito di inaugurare la nuova edizione di Che musica, ragazzi!, un progetto per avvicinare i giovanissimi alle sale da concerto. Secondo voi, qual è il miglior modo per conquistare i bambini alla bellezza della musica? «È un tema davvero difficile, attorno al quale si stanno interrogando in questo momento tutte le maggiori sale da concerto, le orchestre e gli organizzatori. Noi pensiamo che, alla base, l’interesse per la musica debba essere alimentato dai genitori, quando i bambini sono ancora molto piccoli. La maggior parte di loro è abituata ad ascoltare musica pop, per esempio alla radio o in televisione. Con la musica classica, invece, vengono generalmente in contatto quando diventano più grandi. Se l’equilibrio tra questi due generi potesse essere più uniforme, siamo sicuri che molti più giovani verrebbero a teatro». Fratelli, amici e colleghi: come riuscite a gestire il vostro rapporto? «Non è per nulla difficile (ride)! Ci sentiamo, anzi, molto fortunati a poter contare l’uno sull’altro. Abbiamo gli stessi gusti in tantissimi ambiti e viaggiare insieme è molto più divertente che viaggiare da soli. Come fra tutti i fratelli e sorelle, alcune volte capitano piccoli litigi, ma non durano mai a lungo. Siamo fratelli e anche migliori amici». Il vostro programma sembra mostrare due facce contrapposte: Mozart e Schubert, da un
Lunedì 28 febbraio 2022
CLASSICO
romantico
Yefim Bronfman ci fa viaggiare dal classicismo viennese all’impeto romantico attraverso alcune delle più grandi opere pianistiche dell’Ottocento di Mariateresa Storino
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elle sue 32 Sonate per pianoforte (35 per essere filologicamente corretti) Beethoven esplora le molteplici risorse insite nell’architettura della forma di pari passo con l’evoluzione dello strumento, con l’affermarsi di nuove correnti artistiche e con il mutare della cultura socio-politica del suo tempo. Le Sonate op. 22 e op. 57 (Appassionata) non potrebbero essere più esemplificative di queste continue trasformazioni, così come del passaggio a due diverse fasi creative del comporre beethoveniano. A metà Ottocento, infatti, Wilhelm Lenz aveva incastonato l’opera del musicista in tre categorie stilistiche corrispondenti a tre periodi biografici (giovanile, maturo, tardo): una distinzione che, per quanto discutibile, ancora oggi consente di districarsi nel complesso mondo musicale del grande di Bonn. La Sonata op. 22, completata nel 1800, è annunciata dall’editore come Grosse Sonate; la Sonata
YEFIM BRONFMAN
Nato in Unione Sovietica, Yefim Bronfman è emigrato in Israele con la famiglia nel 1973. Qui ha studiato con il pianista Arie Vardi, direttore della Rubin Academy of Music. Successivamente si è perfezionato negli Stati Uniti, presso la Juilliard School, la Marlboro School of Music e il Curtis Institute of Music. È stato vincitore del prestigiosissimo Avery Fisher Prize, considerato tra i maggiori premi per i musicisti americani, e del Jean Gimbel Lane Prize per l’interpretazione pianistica presso la Northwestern University. Nel 2015 è stato inoltre insignito di un dottorato honoris causa dalla Manhattan School of Music. Collabora regolarmente con illustri direttori d’orchestra – tra cui Daniel Barenboim, Zubin Mehta, Riccardo Muti – e partecipa ai maggiori festival musicali europei e americani. Si dedica inoltre alla ricerca nel campo della musica da camera e collabora, fra gli altri, con Martha Argerich, Pinchas Zukerman, Emmanuel Pahud.
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MUSICA INSIEME
LUNEDÌ 28 FEBBRAIO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
YEFIM BRONFMAN
pianoforte
Ludwig van Beethoven Sonata n. 11 in si bemolle maggiore op. 22 Sonata n. 23 in fa minore op. 57 - Appassionata Robert Schumann Arabeske op. 18 Fryderyk Chopin Sonata n. 3 in si minore op. 58
op. 57, datata 1804-1805, è invece frutto dell’esperienza maturata da Beethoven con la creazione della Sinfonia Eroica e delle celebri Sonate Patetica e Al chiaro di luna, nonché del trittico dell’op. 31 – solo per citare alcune delle composizioni del cosiddetto stile eroico (II periodo) a cui l’op. 57 appartiene. Due mondi diversi a confronto in cui permangono, tuttavia, elementi di prossimità, così come tracce di sviluppi futuri. In si bemolle maggiore, la Sonata op. 22 si articola nei canonici quattro movimenti. Se il Minuetto in terza posizione e il tradizionale Rondò finale recano evidenti tracce di scrittura galante, in continuità con il passato, l’Allegro con brio iniziale prefigura già alcuni tratti caratteristici dell’arte compositiva del musicista. Impostato in una classica forma-sonata (a dire il vero alquanto complessa e frammentaria), l’Allegro con brio presenta una rilevante ricchezza di figure tematiche, alcune delle quali, però, sostanzialmente neutre dal punto di vista melodico. A mo’ di esempio basti citare il primo tema: alla base Beethoven pone un motto fondato su due intervalli di terze, che risuonerà in maniera affine nell’imponente Sonata op. 106 (Hammerklavier), ma ancor prima sarà cellula costitutiva della Sinfonia n. 5. Una scelta dai contorni melodici indefiniti (ma nuclei originari del linguaggio sonoro), in cui la funzione strutturante dal punto di vista tematico è affidata
Foto Dario Acosta
Lunedì 28 febbraio 2022
DA ASCOLTARE L’amplissima discografia di Yefim Bronfman conta ben sei nomine per i Grammy Awards, premio vinto nel 1997 con la registrazione dei tre Concerti per pianoforte di Bartók, insieme alla Los Angeles Philharmonic e a Esa-Pekka Salonen. Il suo immenso catalogo include le composizioni per due pianoforti di Rachmaninov e Brahms insieme al pianista Emmanuel Ax, l’integrale dei Concerti di Prokof’ev con la Israel Philharmonic diretta da Zubin Mehta, l’integrale dei Concerti di Beethoven, insieme al suo Triplo Concerto, con la Tonhalle Orchestra Zürich diretta da David Zinman. Grazie a un importantissimo album dedicato alla patria russa, Bronfman è entrato a far parte dei “Perspectives Artists” della Carnegie Hall per la stagione 2007/08. L’ultimo lavoro discografico risale al 2014, quando Bronfman ha registrato il Secondo Concerto per pianoforte del finlandese Magnus Lindberg con la New York Philharmonic e il direttore Alan Gilbert.
ad altri parametri musicali. Nell’Adagio con molta espressione (secondo movimento), il mondo dell’opera è tramutato in un discorso prettamente strumentale: la cantabilità che lo pervade richiama «un ‘ideale’ violino», come scrive il musicologo Guido Salvetti, la cui melodia è sostenuta da un soffuso accompagnamento armonico, una sorta di canto d’addio al XVIII secolo. Quel motto di terza del primo tema dell’op. 22 è elemento distintivo dell’imperioso arpeggio in fa minore che apre la Sonata op. 57, una delle creazioni più celebri di Beethoven: sonata di cui il compositore fu fiero, ad eccezione di quel soprannome apocrifo che mistifica il carattere tragico dell’opera, a favore di una Lo sapevate che dedica nascosta alle sorelle Brunswick, di cui si favolegYefim Bronfman compare giava che il compositore come personaggio fosse innamorato. È proprio nel romanzo La macchia in virtù della forte dialettica che pervade il primo moviumana di Philip Roth mento (Allegro assai) che l’etichetta “appassionata” appare quanto mai inappropriata: è pur vero che i due temi in opposizione in realtà sono complementari – poiché il secondo deriva dal primo (stesso ritmo, stessi intervalli) –, ma l’origine comune è da ricercarsi sotto le sembianze del diverso. L’inesorabile spinta ritmica che caratterizza l’Allegro assai si placa con l’ingresso dell’Andante con moto, costituito da un 46
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MUSICA INSIEME
tema di corale contemplativo con variazioni di carattere prevalentemente timbrico. È solo un breve intermezzo in un’affannosa corsa: l’ultimo movimento – Allegro ma non troppo – riprende in una sorta di moto perpetuo concluso da una spettacolare discesa torrenziale di arpeggi, memori del tema del primo movimento. La struttura dell’Appassionata guarda già alla generazione dei compositori romantici, che saranno in continua competizione con i traguardi raggiunti da Beethoven in campo sonatistico quanto sinfonico. La Sonata op. 58 di Fryderyk Chopin è uno degli esempi di questa lotta interiore, condotta da chi deriva da quel passato, ma allo stesso tempo se ne vuole emancipare. Composta nel 1844, dopo la «coraggiosa» Sonata op. 35 (famosa per la sua Marcia funebre), in essa il compositore polacco sceglie una successione di quattro movimenti e
«La struttura dell’Appassionata guarda già alla generazione romantica, che sarà in continua competizione con i traguardi raggiunti da Beethoven in campo sonatistico quanto sinfonico» sembra ritornare nell’alveo della tradizione del classicismo viennese, con pochi elementi fuori dall’ordine costituito. Una perentoria cellula arpeggiata, incipit del primo tema dell’Allegro maestoso iniziale, introduce in medias res un’asserzione che nella ripresa si dissolve per lasciare spazio al lirismo del secondo tema. Dopo due movimenti centrali, che vedono in successione il vorticoso procedere dello Scherzo – interrotto da un cullante Trio centrale – e il peregrinare senza meta e dai toni notturni del Largo, giunge il Rondò conclusivo, annunciato da accordi enfatici che introducono ad una sorta di spirale sonora, che si avvolge su gradini sempre più elevati. Tra queste opere colossali sta l’Arabeske di Robert Schumann (1839), definita dal compositore – immeritatamente – «debole e per signore». Un rondò leggero e delicato (Leicht und zart), che alterna la vaghezza del refrain a due episodi più intimi e riflessivi, si chiude «Zum Schluss» – prescrive Schumann – con un’indimenticabile coda eterea e meditativa che trascolora il tema del refrain.
Lunedì 7 marzo 2022
INCONTRI
fortunati
Musica Insieme ospita l’unica data italiana della compagine che unisce il più importante quartetto spagnolo alla maestria di uno straordinario pianista e divulgatore di Maria Chiara Mazzi
stituire il repertorio per gruppi professionali che si esibiscono in pubblici concerti. I più abili esecutori, e quindi le maggiori esigenze tecniche, portano poi al perfezionamento degli strumenti, mentre la nuova estetica decreta la definitiva sostituzione del clavicembalo col pianoforte. Insomma, alla fine è chiaro e inevitabile che anche forme, strutture e organici da quel momento debbano adeguarsi e trasformarsi. Gli archi preferiscono ancora starsene fra di loro, e se la piacevole e dilettevole conversazione del duo o del trio sembra ancora destinata al consumo
Foto Igor Cat
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l genere cameristico, con o senza la presenza di una tastiera, comincia a mutare sorte e destinazione dagli anni Settanta del Settecento: un momento di transizione, durante il quale cambiano poco per volta i modi di pensare, fare e consumare la musica. I dilettanti, al cui uso personale erano da sempre destinate le composizioni per piccoli complessi, sono sempre meno esperti tecnicamente e culturalmente, e quindi non riescono a stare al passo con il nuovo pensiero musicale; allo stesso tempo, però, i brani per duo, trio, quartetto o quintetto cominciano a co-
LUNEDÌ 7 MARZO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
CUARTETO CASALS
VERA MARTINEZ-MEHNER ABEL TOMÁS violino JONATHAN BROWN viola ARNAU TOMÁS violoncello
ALEXANDER LONQUICH
violino
pianoforte
Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto con pianoforte in sol minore KV 478 Franz Joseph Haydn Quartetto per archi in sol minore op. 20 n. 3 Robert Schumann Quintetto per pianoforte e archi in mi bemolle maggiore op. 44
familiare, ai primi gruppi di esperti esecutori è invece destinato il quartetto, che proprio in quel momento inizia la sua avventura nella storia grazie alla maestria di Franz Joseph Haydn. Nelle sue decine di composizioni in questo genere, Haydn trasforma la “conversazione tra amici” in un viaggio verso l’astrazione della “musica per la musica”, punto di riferimento per i decenni a venire. Una svolta avviene con i suoi Quartetti op. 20 (1772), noti col sottotitolo editoriale di Sonnen-Quartette (Quartetti del sole), di importanza decisiva nel quadro della trasformazione della musica da camera in musica da concerto. L’autore dichiara sin dal frontespizio – “Divertimenti a quattro” – la parità fra gli strumenti, mentre il recupero dell’antica sapienza costruttiva barocca (tre dei sei lavori della raccolta si chiudono con una fuga) sottolinea il senso espressivo e ribadisce infine l’intercambiabilità delle parti e l’impegno strutturale, abbandonando per sempre le tranquille sponde della “musica da casa” e aprendosi a nuovi orizzonti espressivi e contenutistici. Eppure nemmeno l’equilibrato genio di Haydn osa più di tanto nell’affiancare gli archi a una tastiera, rimanendo ancora nell’ambito familiare dei trii con pianoforte. Serve la temerarietà di Mozart per osare l’inosabile, accostando un pianoforte a un trio di archi, e per uscire dalla concezione della “musica da casa”, senza però che il tutto si trasformi in una piccola sinfonia o in un mini-concerto solistico. Nel 1781 Georg J. Vogler compone quello che viene identificato come il primo quartetto per archi e pianoforte, e nel 1785 Mozart, dietro commissione dell’editore Artaria, riprende in mano il genere e prepara il Quartetto
KV 478, il primo del suo catalogo, che non solo costituisce una delle sue pagine più significative, ma rappresenta anche un modello per gli sviluppi futuri del genere, tanto impensabili quanto affascinanti. Il lavoro non piace, al punto che l’editore, che gli aveva commissionato un gruppo di tre lavori, dopo il secondo rescinde il contratto, perché la pagina supera le aspettaLo sapevate che tive di un genere a quel tempo ancora destinato ai diil Cuarteto Casals lettanti. Basta leggere la reha accompagnato censione dell’epoca per comil re di Spagna prendere la distanza tra il pensiero mozartiano e le in numerose visite aspettative dei committenti: diplomatiche «È una composizione che, anche se perfettamente eseguita, può soddisfare solo il limitato gruppo degli intenditori: mentre altri pezzi reggono anche se mediocremente eseguiti, questa composizione non si può proprio ascoltare suonata da superficiali dilettanti. La scrittura di Mozart è infatti difficile ed artificiosa, pare voler andar oltre la comprensione dei normali dilettanti, quantunque sia mae-
I PROTAGONISTI
Fondato nel 1997 presso la Escuela Reina Sofía di Madrid, il Cuarteto Casals si aggiudica il Primo Premio ai Concorsi di Londra e di Amburgo, e da allora è ospite delle sale più rinomate, fra cui la Carnegie Hall, la Philharmonie di Colonia, la Cité de la Musique di Parigi e il Concertgebouw di Amsterdam. Nominato Ambasciatore culturale dalla Generalitat de Catalunya per il prezioso contributo alla vita culturale catalana, all’intensa attività concertistica affianca l’insegnamento, tenendo masterclass anche in Italia, presso la Scuola di Musica di Fiesole. Nato in Germania, Alexander Lonquich esordisce con la vittoria al Concorso “Casagrande” nel 1977 e inaugura una fortunata carriera che lo vede esibirsi sotto la guida di Abbado, Sanderling, Krivine, Minkowski, e a sua volta nella duplice veste di direttore e solista con orchestre come la Royal Philharmonic, la Mahler Chamber Orchestra, la Filarmonica della Scala. Dal 2014 è direttore principale dell’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza. Apprezzatissimo didatta, nel 2013 ha creato a Firenze, assieme alla moglie Cristina, Kantoratelier, un piccolo spazio teatrale dove le materie a lui care – psicologia, musica e teatro – vengono approfondite grazie a laboratori, seminari e concerti.
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Foto IIvan Urban Gobbo
DA ASCOLTARE Il Cuarteto Casals ha registrato una discografia notevole con l’etichetta Harmonia Mundi: il repertorio spazia dagli spagnoli Arriaga e Toldrá ai classici viennesi Mozart, Haydn, Schubert e Brahms, fino ai grandissimi del ventesimo secolo, quali Debussy, Ravel e Zemlinsky. La casa Neu Records ha invece curato la registrazione dal vivo dell’integrale dei quartetti di Schubert. Nel 2020 ha conquistato la critica il cd per Harmonia Mundi che completava l’incisione integrale dei quartetti di Beethoven in tre volumi, intitolati rispettivamente Inventions, Revelations e Apotheosis. Del 2021 è il secondo album dedicato agli Haydn-Quartette di Mozart, descritto dallo Strad magazine come «un commovente distillato di musica nella sua vera essenza».
Ragione e sentimento La Berliner Zeitung li ha definiti “travolgenti, sensazionali, di una bravura davvero incomparabile”: il nostro pubblico li ha ascoltati per la prima volta a Bologna nel 2009, e ora i quattro del Casals tornano nella Stagione di Musica Insieme forti di due lustri di successi, una ventina di registrazioni e diverse integrali, fra cui quella dei quartetti beethoveniani, che hanno eseguito in tutta Europa, Asia e America Latina, affiancandoli a sei opere commissionate a compositori contemporanei. Quella di marzo sarà l’unica data italiana del tour con Alexander Lonquich, dove li ascolteremo in un programma “a geometria variabile”, dal quartetto con pianoforte a quello di soli archi, per unire le forze nel finale in un capolavoro come il magnifico Quintetto di Schumann. Ne abbiamo parlato con il violista della compagine, Jonathan Brown. Che rapporto avete con l’Italia, la sua cultura, il suo pubblico? «L’Italia è il luogo natale di tanti grandi artisti e di tradizioni musicali secolari. È davvero meraviglioso poterci suonare, e siamo onorati di portare qui un poco delle nostre radici spagnole. I teatri in Italia sono splendidi, e ogni volta ai concerti ci accoglie un pubblico caloroso ed interessato. E credo che un ruolo fondamentale in tutto questo lo rivesta l’impegno di fondazioni come la vostra, che supportano e promuovono un genere così particolare come la musica da camera». “Quattro persone ragionevoli che conversano tra loro”: vi riconoscete in questa famosa definizione del quartetto d’archi? E che ruolo ha l’amicizia in questo ensemble così speciale? «Siamo quattro individui con personalità molto differenti fra loro, ma è nostro compito cercare di trovare il giusto equilibrio e fare in modo che al pubblico arrivi qualcosa da ciascuno di noi, e che infine emerga la voce di tutti. Abbiamo un ottimo rapporto, anche perché altrimenti sarebbe stato davvero difficile suonare insieme per venticinque anni [ride]. Non sentiamo l’esigenza di essere amici intimi, e magari non trascorriamo molto tempo assieme al di fuori dell’ambiente professionale, ma alla base di tutto c’è sempre stato un enorme rispetto reciproco, armonia e valorizzazione gli uni degli altri».
E la vostra collaborazione con Alexander Lonquich? «La nostra è una collaborazione splendida, che va avanti da diversi anni. Credo che la sua forza sia una meravigliosa combinazione di intelligenza, versatilità e competenza con un grande coinvolgimento passionale ed emotivo. È un musicista molto sensibile, con il quale abbiamo girato e stiamo girando il mondo». Avete un sogno nel cassetto, o c’è un particolare interprete o compositore con cui vorreste instaurare una nuova collaborazione? «Ci sono musicisti che tirano fuori aspetti diversi di noi, ci fanno esprimere in maniera differente. Vogliamo mantenere la mente sempre aperta: ad esempio, abbiamo interpretato il Quintetto di Schumann con molti pianisti, ma con ognuno di loro cerchiamo di imparare di volta in volta qualcosa di diverso. Ogni volta torniamo nella nostra “bolla” del quartetto d’archi, che è un mondo a sé, ma è molto positiva questa periodica apertura verso nuove suggestioni e influenze!». Nel vostro programma per Musica Insieme possiamo esplorare tre organici diversi, da Mozart a Schumann: dagli archi puri al quintetto con pianoforte. Come cambiano la sonorità, gli equilibri, il linguaggio? «È una domanda molto interessante. Naturalmente il quartetto d’archi è considerabile sin dal Settecento come un’unità autonoma. Tra di noi abbiamo dei ruoli precisi e ben definiti, ma c’è anche fluidità, libertà di interpretazione e scambio reciproco. Nel momento in cui si va ad aggiungere un pianoforte, si ha un musicista che, di per sé, garantisce il 50% del materiale musicale. Perciò, se nel quartetto per archi puro a ciascuno di noi è affidato all’incirca il 25% del materiale totale, quando ci troviamo in quintetto con il pianoforte il nostro apporto è “ridotto” al 50% in quattro! Non è una situazione semplice, ma è proprio qui che secondo me le cose si fanno interessanti: il quintetto col pianoforte è più trasparente, meno “sinfonico” ovviamente rispetto a un concerto solistico, e grazie all’esperienza di un artista come Lonquich la centralità del pianoforte arricchisce la performance senza sbilanciarla». (a cura di Melania Zizi)
Foto Igor Cat
> Intervista > Jonathan Brown - Cuarteto Casals
Lunedì 21 marzo 2022
DA BACH
al Brasile
Un inedito duo “di famiglia” unisce la celebre violinista e il figlio, contrabbassista e compositore, in un programma che fonde saudade, classica e jazz di Fabrizio Festa
LUNEDÌ 21 MARZO 2022 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI
Misha Mullov-Abbado Blue Deer – Brazil Shalom Chanoch Shir Lelo Shem Trad. brasiliano Caicó Johann Sebastian Bach Sonata n. 1 in si minore BWV 1001 Sergej Prokof’ev Sonata in re maggiore op. 115 per violino solo Antonio Carlos Jobim Sabiá Misha Mullov-Abbado Little Astronaut – Shanti Bell Osvaldo Lenine & Dudu Falcaõ O Silencio das Estrellas Laércio De Freitas O Cabo Pitanga John McLaughlin Celestial Terrestrial Commuters (arr. Gary Husband) Robert Schumann da Kinderszenen op. 15: Träumerei Zequinha de Abreu Tico-Tico no fubá
Foto Benjamin Ealovega
VIKTORIA MULLOVA violino MISHA MULLOV-ABBADO contrabbasso
Lunedì 21 marzo 2022
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ry Barroso – compositore e giornalista – era un signore distinto dall’aria simpatica. Di quelle figure che al primo sguardo vi mettono a vostro agio. E già immaginate una conversazione sapida, gradevole, magari con qualche leggera puntura d’ironia, coerente con la scelta d’indossare occhiali rotondi – non quelli piccoli da intellettuale, quelli rotondi simpatici – e con un paio di eleganti baffetti, che ne incorniciavano il sorriso. Muore prima che la bossa nova divenga bossa nova in un Brasile dove il Carnevale di Rio era ancora quello citato da James Bond e il samba non era altro che il segno di una prestante gioia di vivere. Tant’è che gli italiani al cinema lo conobbero con Piero Piccioni e le commedie di Alberto Sordi. Come sia arrivato a Barroso Misha Mullov-Abbado sarebbe una di quelle domande da fargli. Anche perché Aquarela do Brasil, universalmente nota come Brasil, è la colonna portante del trenino di Capodanno da ormai cinquant’anni. Forse di più. Negli Stati Uniti e in Europa la portò Walt Disney nel 1942 inserendola nella colonna sonora del cartone animato Saludos Amigos. A renderla, però, famosa fu, manco a dirlo, Frank Sinatra. Correva l’anno 1957. Cioè circa vent’anni dopo quella notte di tempesta in cui Barroso aveva composto la sua più celebre canzone. Certo il samba degli anni Quaranta del secolo scorso nulla aveva a che vedere con il Brasile di oggi. Il presidente della giuria, chiamata a giudicare quali fossero i migliori samba per il Carnevale, si chia-
I PROTAGONISTI
Viktoria Mullova si è imposta all’attenzione internazionale vincendo il primo premio al Concorso “Jean Sibelius” nel 1980 e la Medaglia d’Oro al Concorso internazionale “Čajkovskij” nel 1982: da allora ha suonato in tutto il mondo con le più grandi orchestre. La sua inesauribile curiosità la porta ad esplorare il repertorio per violino, dal barocco (collaborando fra gli altri con The Orchestra of the Age of Enlightenment e il Giardino Armonico) alla contemporanea. Molte le sue “residenze”, fra cui il South Bank di Londra, la Konzerthaus di Vienna, l’Auditorium du Louvre di Parigi e l’Orchestra di Barcellona. Diplomato in composizione a Cambridge, Misha Mullov-Abbado ha studiato contrabbasso alla Royal Academy of Music, frequentando il master di jazz della prestigiosa accademia inglese. Talento smagliante di strumentista, arrangiatore e compositore, è stato eletto “New Generation Artist” dalla BBC Radio 3, nonché Artista dell’anno 2014 per la City of Music Foundation.
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mava Heitor Villa-Lobos, a cui peraltro Aquarela do Brasil non piacque affatto. Sia come sia, Misha Mullov-Abbado non deve comunque aver faticato molto a convincere Viktoria Mullova a sposare la causa dell’omaggio al celebre compositore brasiliano. Ricordiamolo subito, Viktoria Mullova è certamente la grandissima violinista che tutti abbiamo più volte avuto modo di apprezzare a Musica Insieme; altrettanto certamente però è musicista di larghissime vedute e che spesso si è affacciata, entrandovi con la sua impeccabile autorevolezza, in mondi che fossero al di là dei confini della musica accademica. Così non si può non essere curiosi di scoprire come interpreteranno per violino e contrabbasso uno dei brani di maggior successo della Mahavishnu Orchestra. Il Long Playing s’intitola Birds of Fire (che volesse essere un omaggio a Stravinskij?), l’anno il 1973, il gruppo è una riunione di virtuosi, capitanata dal chitarrista inglese John McLaughlin. Nella band c’è un violinista: Jerry Goodman. Insieme a Jean-Luc Ponty è tra i pionieri del violino nel rock (in questo caso progressive). Il violino non era ancora quello elettrico, persino a cinque corde, che si utilizza oggi in questi contesti. Era certamente amplificato e la cassa armonica era blu (blu anche quella del violino di Ponty). Insomma, in questo caso Viktoria Mullova se la vedrà con un pezzo della storia del violino differente da quelli che è abituata a frequentare di solito, suonando la Kreutzer piuttosto che la Sonata di Franck. Quella parte della lunghissima storia del suo strumento, cioè, che ritroveremo nei pentagrammi di Johann Sebastian Bach e di Sergej Prokof’ev. E naturalmente nella trascrizione della celebre Träumerei dalle Kinderszenen di Robert Schumann. Sempre con molto Brasile intorno. Omaggiato Barroso, non si poteva non rendere un tributo ad Antonio Carlos Jobim. Dopo il samba, la bossa. Quello di Jobim non è il Brasile festante e carnascialesco, né tantomeno quello turistico che siamo abituati a vedere in tante cine-commedie più o meno legate al panettone. Sabiá è canzone inclusa in uno dei più eleganti album dell’intera storia della musica: Stone Flower, edito nel 1970. Gli elegantissimi arrangiamenti dell’orchestra portano la firma di un altro protagonista della musica brasiliana: Eumir Deodato. Per gli appassionati di jazz, ricordiamo che il bassista è Ron Carter, tra i percussionisti troviamo Airto Moreira e il trombonista (un suono davvero morbidissimo, quello che prediligeva il nostro Armando Trovajoli in quei medesimi anni) è Urbie Green. Il colore dei brani è intonato a quella intraducibile saudade che è stata l’anima di tutta la bossa nova. A proposito: il quarto
brano dell’album è Brazil (Aquarela do Brasil, quella di Ary Barroso, scomparso, nel frattempo, nel 1964). La versione firmata Jobim/Deodato si dipana con un garbo e una gentilezza, che nulla hanno dei piumaggi e dei cortei del Carnevale. Insomma, Viktoria Mullova e Misha MullovAbbado sembrano suggerirci un percorso che va letto al di là delle apparenze. Quella di violino e contrabbasso non è certo una formazione standard nel mondo della cameristica, ma la si ritrova spesso in altri contesti (compresi il jazz e la musica popolare). E il segno che par proprio contraddistinguere l’intero programma non è quello del banale eclettismo, cui ahinoi in questi anni siamo stati fin troppo abituati. Dietro i titoli si nasconde la necessità di parlare una lingua elegante e garbata. Un testo ricco di riferimenti impliciti, che magari non varrebbe neppure la pena svelare troppo, non fosse che siamo stati sommersi da una valanga di suoni maleducati e dall’aggressività esplicita e piratesca di chi in questi ultimi dieci anni ha creduto che suonare Mozart fosse solo una questione di premere sull’acceleratore indossando sotto lo smoking d’ordinanza la scarpa da ginnastica alla moda. Il silenzio di cui possono parlarci un violino e un contrabbasso potrebbe persino essere la medicina che andiamo cercando nel mezzo di tanto fastidioso rumore.
DA ASCOLTARE Due universi sonori si incontrano in questo concerto. Quello di Viktoria Mullova è segnato da una trentina di album, dove il suo virtuosismo ha immortalato per Philips Classics e Onyx capolavori come i Concerti di Vivaldi con Il Giardino Armonico, le Sonate beethoveniane con Kristian Bezuidenhout al fortepiano, o le Sonate di Bach con Ottavio Dantone. Il suo ultimo cd affronta l’integrale di Arvo Pärt con l’Estonian National Symphony Orchestra e Paavo Järvi (Onyx 2018). Il figlio Misha Mullov-Abbado ha fatto colpo sulla scena jazz nel 2015 con il suo primo cd, New Ansonia, successo doppiato nel 2017 con CrossPlatform Interchange. Mamma Viktoria comunque non è estranea alle contaminazioni, da quando nel 2000 ha firmato Through the Looking Glass, dove eseguiva world e pop music negli arrangiamenti del marito violoncellista Matthew Barley. Un’esplorazione proseguita con le reminiscenze ucraine di The Peasant Girl, e con Stradivarius in Rio (e praticamente tutti i suoi progetti il pubblico li ha potuti ascoltare ai Concerti di Musica Insieme).
Foto Valeria Zanola
Lo sapevate che i primi ricordi musicali di Misha Mullov-Abbado sono distintamente legati al colosso del soul e del pop Stevie Wonder
Music We Love > Intervista > Misha Mullov-Abbado In questa Stagione ospitiamo molte “famiglie musicali”. Che cosa significa per te far musica insieme a chi ami? «Trovo sia molto bello che ci sia questo “filo conduttore” nel vostro programma. E credo che sia una fortuna fare musica insieme agli amici: io sono attorniato di amici con cui suono! Ma qualcosa di ancora più unico è suonare insieme alla propria famiglia, anche se talvolta può essere più impegnativo… con mia madre Viktoria Mullova il rapporto è di assoluta parità, poiché rispettiamo i nostri reciproci ambiti e impariamo l’uno dall’altra: quando interpretiamo Bach, è lei a salire in cattedra, ma quando si tratta di jazz tocca a me! Poi naturalmente è pur sempre mia madre, quindi non siamo veramente alla pari [ride], oltre al fatto che è una musicista di grande fama, e io non lo sono certo quanto lei. Del resto, la nostra è una famiglia molto unita, mia sorella è una dj e compone musica elettronica, e anche con il mio patrigno [il violoncellista e arrangiatore Matthew Barley, ndr] c’è un rapporto di grande amicizia e di supporto reciproco nelle rispettive professioni…». Il vostro programma è davvero originale, come lo sono del resto molti dei progetti di Viktoria Mullova che abbiamo ascoltato in questi anni, da Peasant Girl a Through the Looking Glass… come l’avete concepito? «Praticamente ogni singolo brano che suoneremo lo conoscevamo o lo ascoltavamo insieme in famiglia, per cui è il programma che è venuto a noi, per così dire: non abbiamo nemmeno dovuto cercarlo, abbiamo semplicemente scelto alcuni dei pezzi con i quali sono cresciuto. Ad esempio le Kinderszenen di Schumann hanno a che fare con la mia infanzia, così come Bach, che ho sentito suonare da mia mamma probabilmente ancor prima di nascere!». Ci sono anche dei pezzi di tua composizione… «Sì, e uno me l’ha commissionato proprio mia madre circa sette anni fa: Brazil, originariamente per violino solo, a cui poi ho aggiunto la parte di basso. Il brano si basa su un pezzo celeberrimo, Aquarela do Brasil di Ary Barroso: non è un arrangiamento, ma piuttosto un’ispirazione che ha dato vita a un pezzo nuovo. Gli altri brani in
programma sono più recenti, e possono essere eseguiti sia dalla mia band, che da un’orchestra, che nella versione in duo con Viktoria. Il fatto che siano brani così versatili fa parte del mio processo di scrittura». Da quest’antologia avete tratto anche un album, Music We Love: potremmo considerarlo una sorta di triangolo i cui vertici sono il repertorio classico, la tradizione brasiliana e il jazz? «Esatto, infatti la musica brasiliana e il jazz hanno molti punti d’intersezione, così come la mia musica li ha con la classica e con il jazz: penso proprio che sia una buona sintesi del nostro album e del programma che porteremo a Musica Insieme, anche se naturalmente al suo interno i confini sono molto sfumati. Come rivela il titolo, non ci sono generi veri e propri, ma semplicemente musica che amiamo ascoltare e suonare». Il duo di violino e contrabbasso non è così comune, nella classica quanto nel jazz… come definiresti il particolare sound che ne scaturisce? «È vero, il nostro non è un organico comune, specialmente nella classica, ma guarda caso conosco più di un duo formato da un violino classico e un basso jazz: anche la mia ragazza è violinista, e ho altri amici che hanno formato coppie di questo tipo. La cosa ha un suo perché: i bassisti generalmente amano accompagnare e dare un supporto agli altri, e i violinisti hanno bisogno di un accompagnamento! Quanto alla sonorità, in questo programma non suono mai con l’archetto, ma uso soltanto il pizzicato, quindi sposiamo davvero la melodia di un violino classico all’accompagnamento di un contrabbasso di stampo jazzistico». In occasione del vostro concerto sarete protagonisti di un’altra iniziativa a cui teniamo molto: Che musica, ragazzi!, un incontro con gli alunni delle scuole primarie e medie. Portare i giovanissimi ai concerti è un altro tema fondamentale… «Se non vieni introdotto alla musica dalla famiglia, oggi è davvero molto difficile accostarsi a questo meraviglioso mondo: anche i genitori che non siano musicisti devono capire che ognuno di noi può apprezzare la musica, e che suonare sin da piccoli, anche solo per divertimento, è importante. Il punto sta nel dare questo valore alla musica». (a cura di Fulvia de Colle)
Per leggere / di Chiara Sirk
Pupi Avati L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante
(Solferino Editore, 2021)
Di Pupi Avati, regista che da diversi anni si cimenta con la scrittura, è arrivato in libreria L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante (Solferino Editore). In un anno ricco di omaggi al sommo Poeta, Avati si accosta all’autore della Divina Commedia con la sua consueta originalità. Lo fa in un modo che ricorda molto l’impresa dell’Alighieri, il quale per arrivare alla meta ha bisogno di una guida. Così Avati, per affrontare un genio, ha bisogno di un tramite e lo trova in Boccaccio. Non si tratta di uno stratagemma, perché realmente quest’ultimo espresse in vari modi la sua grande stima per Dante. Avati, mescolando verità storica, riferimenti letterari e invenzione, in un raccontare pacato e avvincente, riscopre l’umanità di Dante, il suo dolore, il suo sentire. Il libro racconta di un viaggio in cui grandezza e fragilità si mescolano e dove anche la musica trova uno spazio. Ogni capitolo, infatti, si apre con un riferimento ai brani musicali ascoltati dal regista durante la stesura del romanzo. Avati ha trovato il suo percorso verso il sommo Poeta e gli siamo grati di averlo condiviso, perché riesce a trovare una modalità di comunicare molto convincente. Cristiano Cremonini Il teatro della gente. Da Farinelli a Wagner
(Calamaro Edizioni, 2021)
Cristiano Cremonini non è solo un tenore in carriera che ha cantato in una quarantina di titoli operistici. Da anni alterna il belcanto alla scrittura. L’ultima sua fatica s’intitola Il teatro della gente. Persone, eventi e storie del primo teatro pubblico d’Italia dalla sua nascita all’Ottocento. Da Farinelli a Wagner ed esce per l’editore Calamaro di Bologna. L’autore dedica il libro alla casa della lirica della città, il fastoso Teatro Comunale, che però è anche il “teatro della gente”. La definizione trova la sua ragion d’essere nella storia del luogo. Nel 1756, racconta Cremonini, il Senato bolognese stipula l’atto di nascita del primo teatro pubblico d’Italia costruito con fondi pubblici e affittato dalla municipalità. Un cambiamento epocale che sin dall’inaugurazione, avvenuta il 14 maggio 1763 con Il trionfo di Clelia, libretto di Metastasio, musica di Gluck scritta per l’occasione, ha sempre fatto dire ai bolognesi “il nostro teatro”. Un teatro in cui sono passati tutti i più grandi, da Rossini a Wagner, da Mozart a Verdi, ma sempre della gente. Storie, aneddoti, musica si mescolano in queste pagine in un gradevole tourbillon. 58
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L’ARTE
della memoria Viaggiano leggeri (ma profondi) sul filo della storia i volumi dedicati a due Maestri e un luogo della cultura: Sinopoli, Dante e il “nostro” Teatro Comunale
Un’opera imponente, degna di Sinopoli, che fu grandissimo direttore, ispirato compositore, uomo di vastissima cultura, ricordando i vent’anni della sua scomparsa. Il volume curato da Gastón Fournier-Facio ha molti pregi, uno dei quali è di presentare una serie di contributi di autori che hanno conosciuto il Maestro. In questo modo si delinea una narrazione che corre per più di 600 pagine, eppure assai leggibile. Divisa in capitoli (“L’uomo universale”, “Il direttore”, “Le affinità elettive”, “Interviste”, fino ai preziosi “Scritti musicali” di Giuseppe Sinopoli, concludendo con i cataloghi curati dal figlio, Giovanni Sinopoli) e quindi articolata in vari interventi, anche stilisticamente diversi, questa monografia permette di comprendere un protagonista del mondo musicale che fu anche laureato in Medicina, romanziere e autore di una tesi di laurea in Archeologia. S’intravede nel libro un’ammirazione infinita per un uomo straordinario, capace di comporre, insegnare, dirigere, scrivere raggiungendo sempre livelli altissimi. Assai utile si rivela la dettagliata “Cronologia” che apre il libro. Questa racconta in modo esaustivo un’esistenza vissuta in assoluta pienezza. Nella ricerca compiuta dall’autore la precisione dei dati si fonde con una narrazione che procede incalzando il lettore, sotto i cui occhi scorrono le tappe di una vita dal ritmo febbrile, affrontata in
modo curioso e determinato, ma sempre umanissimo. Seguono i contributi di Sandro Cappelletto, Mario Messinis, Dino Villatico, Pietro Bria, Riccardo Muti, Paolo Arcà, Giangiorgio Satragni, solo per citare alcuni autori. Tutti preziosi, memorie di un fare costantemente in divenire e di un’ammirata, a volte anche amicale, attenzione a questo protagonista della vita musicale e culturale e dei rapporti con i compositori da lui più amati, riletti con incredibile capacità analitica. L’opera monumentale di Gastón FournierFacio, al quale dovrebbe andare la gratitudine di ogni lettore, arriva dopo un’altra, diversa iniziativa per ricordare i vent’anni dalla scomparsa del grande Maestro, menzionata peraltro nel capitolo affidato a Giorgio Rampone, che ne ripercorre dettagliatamente l’attività direttoriale: negli anni Novanta Musica Insieme aveva creato un nuovo ensemble di solisti che Sinopoli accettò di dirigere per alcuni concerti. Nel 2021 Musica Insieme ha ricreato l’ensemble SolistInsieme, e intende mantenerlo attivo anche per il futuro dopo aver già presentato uno spettacolo con Mario Brunello. Due modi per onorare Giuseppe Sinopoli, ricordandolo in un modo colto e intelligente, che lui avrebbe certamente apprezzato. Gastón Fournier-Facio (a cura di) Il canto dell’anima. Vita e passioni di Giuseppe Sinopoli
(Il Saggiatore, 2021)
Da ascoltare / di Roberta Pedrotti
PAGINE rare
Dalle sonorità quasi sinfoniche dei due pianoforti all’intimità della chitarra, scopriamo le ultime creazioni di Glass, un’antologia del Novecento russo e un inedito Paganini “da salotto” Rachmaninov, Stravinskij, Šostakovič, Arenskij
Lucas e Arthur Jussen (Deutsche Grammophon, 2021) The Russian Album
Viaggio in Russia o dalla Russia? Rachmaninov scrive la sua Suite n. 2 per due pianoforti in Italia, Stravinskij lavora in Francia al suo Concerto per lo stesso organico e se Šostakovič resta in patria, già nel 1933, data del Concertino in la minore sempre per due pianoforti, la situazione non è delle più serene. Quello di Arthur e Lucas Jussen è un incontro con il volto internazionale della musica russa del XX secolo, il loro è uno sguardo più oggettivo che romantico, e difatti non c’è spazio per Medtner, Skrjabin, Glazunov o Ljapunov. Semmai, si omaggia, come matrice, il maestro Arenskij (1861-1906) con due pezzi caratteristici: La coquette dalla Suite n. 2, Silhouettes e Valse dalla Suite n. 1, pianismo salottiero, di stampo tardoromantico occidentale, virtuoso quanto basta, colorito al punto giusto, con quella spruzzata d’aroma francese che non guasta, specie per la buona società russa di una volta. I due olandesi sciorinano grazia brillante, dopo essersi destreggiati con strutture più complesse (per esigenze tecniche e musicali) e reminiscenze slave, dalle dimensioni contenute di Šostakovič ai quattro movimenti di Rachmaninov fino all’ampia articolazione del Concerto di Stravinskij. Paganini
Giampaolo Bandini (Decca Italy, 2020) Intimate Paganini
Paganini è sinonimo di violino, ma non solo. Scrisse anche per viola e non disdegnava d’imbracciarla, come fece alla prima di Matilde di Shabran (1821) di Rossini. Soprattutto, però, si dedicò anche alla chitarra, strumento che viveva una stagione florida, come dimostrano, per esempio, le numerosissime composizioni originali e trascrizioni in ambito viennese. Una vocazione salottiera più privata che pubblica, come annuncia già il titolo del cd di Giampaolo Bandini: un Paganini intimo, ma non minore, anzi. Siano l’etichetta ironica di Ghiribizzi, emblema dell’estro proverbiale dell’artista, o il blasone classico della definizione di Sonata (o sonatina), la scrittura paganiniana è di altissima qualità, supera lo stereotipo del virtuosismo fine a se stesso e gioca, viceversa, con il potenziale dello strumento e le reminiscenze motiviche. Bandini, tocco morbidissimo, si muove fra pagine idiomatiche che mettono in risalto il suono della chitarra Fabricatore del 1826, appartenuta allo stesso Paganini, e trascrizioni dei Capricci per violino, che sembrano riportarci in una serata fra amici (magari lo stesso Rossini) in cui Niccolò fa assaggiare le sue creazioni da uno strumento all’altro.
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Quattro ragazzi, orfani, fra cui due fratelli. Una stanza tutta per loro, il loro mondo, i loro segreti. Chiusi dall’adolescenza all’età adulta, anche alle ombre dei genitori defunti, di un marito prematuramente scomparso, di quel bulletto che mina la salute e porta la morte ma esercita pure uno strano fascino morboso. Les Enfants Terribles (1929) di Jean Cocteau ispira a Philip Glass nel 1996 un’azione coreografica per voce e tre pianoforti. Poco prima, il compositore statunitense si era dedicato con assiduità alla scrittura pianistica anche con le Études solistiche. Proprio su indicazione di Glass, il suo collaboratore Michael Riesman nel 2020 arrangia la partitura del 1996 in una suite per due pianoforti destinata a Katia e Marielle Labèque, tosto consegnata al cd in un contesto che sarebbe difficile definire più emblematico: due sorelle, il lockdown. Il soggetto claustrofobico si addice come pochi al momento, l’associazione fra vari disagi è quasi istintiva, immediata, così come il ricorrere ossessivo di frammenti ispirati da Bach e martellanti in ritmi novecenteschi o sospesi in una sorta di limbo opprimente. Le sorelle Labèque sono complici assertive nella concitazione e nella diluizione, come se all’azione corrispondessero nella stessa materia regressioni e dissoluzioni, ritorno alle origini e cupio dissolvi, labirintica oggettività dell’iterazione. Il discorso si ripercuote simile, poi, nei due studi, in cui le sorelle si trovano sole, come allo specchio fra i due caratteri opposti e complementari cardine di Les Enfants Terribles: Marielle suona il diciassettesimo, tempestoso e contrastato; Katia il ventesimo, liricissimo. Dalle dinamiche dell’isolamento in doppia coppia, all’isolamento del singolo in un singolo studio pianistico: il linguaggio è lo stesso, quello in cui uno degli alfieri del minimalismo allenta le maglie stilistiche verso una maggior libertà della costruzione, capace di farsi ancor più ansiogena e labirintica nelle sue allettanti aperture. Philip Glass
Katia e Marielle Labèque (Deutsche Grammophon, 2020) Les Enfants Terribles
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Stampa
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