Musica Insieme - MI Dicembre 2019/Febbraio 2020

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dicembre 2019/febbraio 2020

Bimestrale n. 4/2019 – anno XXVIII/BO - € 2,00

MI - PERIODICO D’INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE - N. 4 /2019

Emozioni d’inverno col pianoforte di Mehldau e Matsuev

Due grandi debutti: la Camerata Salzburg e l’ensemble della Royal Concertgebouw Orchestra Amsterdam

Avi Avital a Bologna il mandolino diventa una star














SOMMARIO n. 4 dicembre ’19/ febbraio ’20 Editoriale

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L’intervista

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Musica come condivisione di Fulvia de Colle EmilianAuto / Romana Bernardoni

StartUp

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Teatro Comunale di Bologna

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Senza frontiere: Giovanni Andrea Zanon, Lorenzo Gherardi La nuova Sinfonica

I luoghi della musica

Mozart è stato qui

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Storie della musica

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Prokof’ev – Sonate di guerra

Brad Mehldau

Gabriele Pieranunzi

Camerata RCO

I concerti dicembre 2019 / febbraio 2020 Articoli e interviste Brad Mehldau Gabriele Pieranunzi, Fabrizio Falasca, Francesco Fiore, Giovanni Gnocchi, Andrea Bacchetti Camerata RCO – Royal Concertgebouw Orchestra Amsterdam Archi di Santa Cecilia, Avi Avital, Luigi Piovano Camerata Salzburg, Viviane Hagner, Gregory Ahss Denis Matsuev

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Per leggere

Parole e musica: Murakami e Osawa, Mioli, Pedrotti

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Da ascoltare

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Le novità di Pieranunzi, Mehldau e Bacchetti

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In copertina: Avi Avital (Foto Zohar Ron) 12

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MUSICA INSIEME

Luigi Piovano

Viviane Hagner

Denis Matsuev




EDITORIALE

MUSICA come condivisione «La musica è l’arte dell’immaginario, un’arte libera da tutti i limiti imposti dalle parole, che tocca le profondità dell’esistenza umana, che con i suoi suoni attraversa tutte le frontiere». Sono parole di un grande uomo di musica e di pensiero come Daniel Barenboim, che nei suoi dialoghi con l’intellettuale palestinese Edward Said ha posto le basi per una delle più entusiasmanti esperienze di creatività e condivisione attraverso i confini geografici, religiosi e mentali: la West-Eastern Divan Orchestra. Fondata nel 1999, per il suo ventesimo anniversario ha passato il testimone alla sua nuova emanazione, il West-Eastern Divan Ensemble. Per un problema organizzativo, l’Ensemble non potrà essere a Musica Insieme per il previsto concerto di inizio anno, che verrà però recuperato la prossima Stagione. E al suo posto sarà con noi il 13 gennaio una compagine a dir poco regale come la Camerata RCO del Royal Concertgebouw di Amsterdam, e con un capolavoro come l’Ottetto di Schubert. Ma le parole di Barenboim, il principio guida di un’intera vita spesa a portare la musica come pace nel mondo, sembrano aleggiare in ogni singolo concerto di questo nostro scorcio di stagione. Ce lo dicono gli stessi artisti nelle loro interviste, a cominciare da Avi Avital, brillante doppio debutto a Musica Insieme di uno strumento e del suo interprete, primo mandolinista al mondo ad aver scardinato le porte della classica. «L’arte funziona con l’immaginazione», ci ha detto, quasi riecheggiando le parole di Barenboim: l’immaginazione è quella che ti permette di immedesimarti meglio in ciò che sentono le persone intorno a te, e tramite l’ascolto può rendere possibile la soluzione di tensioni, situazioni complesse, e arriviamo a dire – ma non siamo i soli – veri e propri conflitti. Servire le persone con l’arte è la chiave per Avi Avital come per un altro solista dalla carriera strepitosa, Denis Matsuev, che dalla Russia si è fatto Ambasciatore di buona volontà UNESCO, animatore di fondazioni benefiche per l’educazione musicale, paladino insomma della cultura come «lenitivo per tutti coloro che soffrono». Anche Matsuev ne è convinto: la musica può «aiutare a risolvere tutti i conflitti a cui oggi assistiamo nella politica internazionale. E questo l’ho visto con i miei occhi durante i concerti in Israele con Zubin Mehta, in cui Ebrei e Arabi sedevano insieme nello stesso teatro».

4 novembre 2019, i bimbi sul palco per l’incontro di “Che musica, ragazzi!” con Jan Vogler e Tiffany Poon

Che cosa sta accadendo dunque? Nulla di nuovo, apparentemente, perché da sempre l’arte, e la musica per prima, ha il potere di avvicinare gli esseri umani; ma in realtà qualcosa di nuovo sta crescendo, e l’arte si sta assumendo un impegno sempre più costante e importante: cercare di unire, portare dialogo, portare pace. E ciò può avvenire anche superando i confini tra cultura “accademica” e tradizione popolare, come fa Avi Avital, e come fa Brad Mehldau, altro solista che riesce a parlare a un pubblico “trasversale” grazie al linguaggio del jazz, ma accogliendo nelle sue performances tutta la cultura della nostra tradizione occidentale, sicché può accadere di sentirlo “ricomporre” Bach e Brahms, o improvvisare su Mahler e Prokof’ev. E “condivisione” è anche la parola d’ordine di un’altra solista al suo debutto nel nostro cartellone con una compagine prestigiosa come la Camerata Salzburg: Viviane Hagner. Nella sua visione (e in quella di Musica Insieme), condividere significa anche far sì che la musica si assorba sin da piccoli, sviluppando una sensibilità che condizionerà in positivo tutta la nostra vita. Ecco quindi gli incontri di Che musica, ragazzi!, che da diversi anni dedichiamo ai giovanissimi delle scuole primarie e medie allo scopo di conquistarli alla bellezza della musica. E che il 9 dicembre registreranno un’altra “puntata” con il quintetto di eccellenze tutte italiane creato appositamente da Musica Insieme. A capeggiarlo Gabriele Pieranunzi e Andrea Bacchetti, che ai bambini racconteranno e suoneranno l’olimpico Mozart, prima di salutarci per le festività natalizie. Fulvia de Colle

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L’intervista

ENERGIA e

passione

Romana Bernardoni, amministratore delegato di EmilianAuto Group, a cui diamo il benvenuto fra i sostenitori di Musica Insieme, racconta come in cinquant’anni di storia l’azienda di famiglia si sia trasformata in un punto di riferimento del settore automobilistico

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ituata in posizione centralissima nei pressi della Stazione ferroviaria e a due passi dal centro storico di Bologna, EmilianAuto, con i suoi diecimila metri quadri, dieci marchi e centinaia di auto in esposizione, rappresenta da mezzo secolo un punto di riferimento dell’automotive a Bologna e provincia, tanto da essere conosciuta come “la città dell’auto”. Nata dalla passione per le auto inglesi del suo fondatore Romano Bernardoni, EmilianAuto ha iniziato la sua attività distribuendo i marchi Jaguar, Rover e Triumph a cui hanno fatto seguito anche la prestigiosa Aston Martin e Land Rover, il cui primo e più famoso SUV ne ha decretato il definitivo successo e ha consacrato EmilianAuto come punto di riferimento e incontro per gli amanti delle auto esclusive a Bologna. Oggi però la concessionaria non è solo questo, e per onorare ancor più il suo soprannome di “città dell’auto” ai brand del settore lusso si affiancano quelli dei marchi Suzuki, Mazda, Hyundai, Kia, Mitsubishi e SsangYong, che si caratterizzano per le tecnologie all’avanguardia, le ottime prestazioni ed un design distintivo. Da sempre sensibile all’ambiente, EmilianAuto orienta la sua policy al futuro dei trasporti e all’avanguardia tecnologica con tanti modelli di auto elettriche, ibride e plug-in che propone nei suoi saloni. Incontriamo Romana Bernardoni, amministratore delegato di EmilianAuto Group, che riunisce in sé le tre società Emilianauto Bologna S.r.l., Maber S.r.l. e Golden Car S.r.l..

Sopra:Romano Bernardoni, fondatore di EmilianAuto. Nella pagina accanto, sopra: la sede dell’Azienda. Sotto: l’amministratore delegato Romana Bernardoni e Paolo Pasini

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EmilianAuto festeggia il suo 50° anno di attività: come ha origine questa importante realtà imprenditoriale? «EmilianAuto è nata sul finire degli anni Sessanta dalla passione, dalla visione e dalla grande energia di mio padre, Romano Bernardoni, Presidente di EmilianAuto, che ne ha fatto una delle Aziende di riferimento del panorama imprenditoriale bolognese. La scintilla che ha acceso il motore di EmilianAuto è stato il fascino delle auto in-

«EmilianAuto è nata sul finire degli anni Sessanta dalla passione, dalla visione e dalla grande energia di mio padre, Romano Bernardoni» glesi: Jaguar, Rover e Triumph. Nel 1973 l’arrivo “in famiglia” di Range Rover e del suo primo SUV di enorme successo ha poi consolidato la nostra presenza sul mercato e innescato un’espansione che non si è più arrestata». A cosa si deve questo inarrestabile successo? «EmilianAuto ha sempre cercato di precorrere i tempi e di aprire le porte ai nuovi mercati, e quando ancora sembrava fantascienza ci siamo


lanciati sulle strade delle nuove tecnologie e dell’energia pulita. Già dal 1985 abbiamo iniziato a lavorare per la mobilità sostenibile, e grazie alla collaborazione con Enel e Lamborghini Engineering abbiamo prodotto le prime cento auto in grado di ridurre drasticamente le emissioni, auto che abbiamo poi ceduto a dieci Città Metropolitane, contribuendo fattivamente all’impegno per la tutela dell’ambiente». Qual è il ruolo di un’Azienda come EmilianAuto nel rapporto con la comunità e il territorio? «EmilianAuto è una delle imprese di punta della tradizione imprenditoriale bolognese e cinquant’anni anni di attività sono un traguardo importante, una grande soddisfazione e una ancor più grande responsabilità: la responsabilità di fare ancora di più e di fare ancora meglio. Per questo, insieme a Paolo Pasini, che da quest’anno è al mio fianco alla guida di Jaguar e Land Rover, stiamo lavorando con un rinnovato impegno anche nei confronti della comunità e del territorio: sentiamo quindi forte il dovere di dare il nostro contributo a progetti che nel cuore abbiano Bologna, la sua cultura e il suo benessere. Per esempio lo scorso luglio abbiamo con gioia accolto l’invito a contribuire alla realizzazione dell’asta benefica delle luminarie dedicate a Lucio Dalla a favore del reparto di oncologia del Policlinico Sant’Orsola. Un’iniziativa dalle finalità importanti alla quale siamo davvero orgogliosi di aver partecipato». Da quest’anno EmilianAuto è partner di Musica Insieme, quali obiettivi condividete? «Il sostegno a Musica Insieme è motivato dallo stesso intento di supportare iniziative importanti per la città, per il suo benessere e per il suo arricchimento culturale, che è un elemento determinante della nostra visione». Come celebrerete questo anniversario? Lavorare, fare è il nostro modo di festeggiare i cinquant’anni di attività, così come ci ha insegnato mio padre che ad EmilianAuto ha dedicato tutte le sue energie, la sua testa e il suo cuore. (a cura di Riccardo Puglisi)

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StartUp

SENZA frontiere

Prosegue la nostra rubrica dedicata ai talenti esordienti nel campo dell’arte, dell’impresa e non solo: per questo numero, riflettori accesi su musica e finanza cune tra le più prestigiose sale da concerto in tutto il mondo. L’appassionante settore dell’Open Banking contribuirà a rendere il nostro mondo migliore? Ne è assolutamente convinto Lorenzo Gherardi,

Giovanni Andrea Zanon 21 anni, violinista. Lo trovate su Instagram

Qual è il tratto principale del tuo carattere? Il tratto principale del mio carattere è probabilmente la curiosità, che si manifesta non soltanto nell’ambito musicale. Sono costantemente alla ricerca della “bellezza” in ciò che mi circonda e cerco sempre di scoprire nuove soluzioni. Questa caratteristica mi spinge all’inseguimento di nuove sfumature che permettano alle mie esecuzioni di migliorarsi e di risultare (spero) più efficaci. Quando hai deciso di voler diventare un violinista? Ho iniziato a suonare il violino per gioco: quando ero molto piccolo vedevo mia sorella suonare questo oggetto misterioso, e insistevo costantemente per averne uno tutto mio. Per questo i miei genitori hanno deciso di regalarmi un violino fatto su misura affinché potessi iniziare a suonarlo. Da allora non ho più smesso. Parlaci del tuo iter accademico e delle tue esperienze professionali. Mi sono diplomato in conservatorio a Venezia, successivamente ho conseguito il Master of Arts alla Manhattan School di New York e mi sono poi perfezionato all’Accademia “Hanns Eisler” di Berlino. At-

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tualmente frequento l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, e studio Composizione al Conservatorio di Castelfranco Veneto. Devo ammettere che sono stato molto fortunato durante la mia formazione, in quanto ho avuto il privilegio di frequentare grandi artisti che mi hanno permesso di migliorare musicalmente ed umanamente. Qual è la tua giornata “tipo” fra studio, sport, tempo libero, amici e famiglia? La mia giornata tipo è fondamentalmente legata alla musica. Cerco di strutturare il mio tempo in relazione alla quantità di studio che mi occorre per preparare il repertorio da eseguire nei vari concerti. Ritengo che la cosa fondamentale nel mio studio sia il ritorno quotidiano alle “fondamenta” della tecnica del violino. Ogni giorno, per la prima ora, è come se ricominciassi da capo lo studio del mio strumento, cercando di ripassare tutti gli aspetti tecnici più importanti: dal suono all’intonazione, passando per il vibrato. Per quanto riguarda i miei hobbies, essendo costretto a viaggiare molto, amo visitare i musei e le città. Inoltre, quando sono a casa, cerco di

manager in costante viaggio tra Londra, Parigi, Madrid, Milano e Bologna, che a soli 25 anni vanta già un invidiabile bagaglio di esperienze internazionali e il lancio del famoso servizio Satispay.

Foto Sarah Baldo

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stro nascente del violinismo, Giovanni Andrea Zanon inizia gli studi in tenera età vincendo il suo primo concorso a soli 4 anni. Allievo di Pinchas Zukerman, si è già esibito in al-

passare più tempo possibile con i miei due Labrador. Con quale musicista, anche del passato, avresti voluto suonare? Scegliere un solo musicista, anche del passato, con il quale vorrei suonare mi riesce impossibile. Un’eventuale risposta dovrebbe tenere conto di troppe variabili. Anche se un bel Concerto per due violini di Bach con Mozart al mio fianco non sarebbe male... Hai un tuo idolo? Un modello di riferimento? Non ho un idolo in particolare come modello di riferimento. Ho, invece, più artisti (non solo musicali) ai quali cerco di ispirarmi per migliorare la mia concezione della musica. Un libro che consiglieresti ai tuoi coetanei? Come per un brano musicale, la scelta di un libro in particolare da consigliare mi risulta davvero difficile. Potrei, però, sfidarvi in un’impresa che non ho ancora completato: leggere la Recherche di Proust.


Lorenzo Gherardi 25 anni, Director of Sales & Partnerships presso Credit Data Research UK. Lo trovate su Linkedin

Come ti descriveresti? Appassionato ed entusiasta. Di cosa ti occupi? Sono Director of Sales in una società finanziaria di Londra specializzata in tecnologia Open Banking. Mi occupo dello sviluppo commerciale in questo affascinante ambito che trasformerà i financial services un po’ come in passato Internet ha trasformato la vita delle persone. Il mio mercato attualmente comprende, oltre al Regno Unito, anche Francia e Spagna, e questo ahimè comporta che prenda mediamente tra i 4 e i 6 aerei a settimana. Raccontaci del tuo percorso professionale e accademico. Ho avuto la fortuna di poter intraprendere un cammino bellissimo, a partire dagli anni del corso “Brocca” al Liceo Galvani per proseguire con Management alla Bocconi, alternando esperienze in finanza, un progetto per il lancio di Satispay, ora “top fintech” italiana e, alla fine della triennale, un anno in consulenza strategica in Long Term Partners. Esperienza magnifica che mi ha dotato di un metodo strutturato di risoluzione dei problemi. Queste esperienze mi hanno poi permesso di accedere al Master in management della London Business School: terza università al mondo dopo Harvard e INSEAD. È probabilmente a quest’ultima esperienza che devo l’opportunità del mio attuale lavoro. Vista così sembra molto semplice, ma è costato fatica e tante notti di studio. Qual è la tua giornata tipo? Hai degli hobby? Su questo devo migliorare. Nell’ultimo mese non ho mai dormito per più di due notti consecutive nella stessa città e purtroppo la mancanza di una minima routine uccide le buone abitudini. Da molto tempo

non cucino né faccio sport e temo che la salute possa risentirne. Per ora voglio dare il massimo, ma appena possibile vorrei iniziare a delegare un po’ così da avere ritmi meno serrati che mi consentano di vivere di più a casa, riprendere a cucinare e fare sport. Per fortuna i viaggi in aereo mi regalano almeno il tempo di leggere e recuperare il sonno perso.

non sarò un manager». So che non si scherza con il destino di migliaia di dipendenti e che quindi dovrò continuare a impegnarmi ogni giorno per esserne all’altezza. Qual è il tuo modello di riferimento? Il mio modello è l’imprenditore “illuminato”, alla Olivetti, con la missione di creare valore per la società

Come ti vedi tra 10 anni? Vorrei essere diventato un Executive di alto livello e aver acquisito esperienza e competenze tali da poter avere un ruolo manageriale nell'azienda di famiglia, che è sempre nei financial services: un ambito che amo perché penso che quello di cui ci occupiamo migliori davvero il mondo. Sono cresciuto sentendomi dire che «se non sarò il miglior manager disponibile, semplicemente

piuttosto che generare ricchezza per se stessi. In questa immagine rivedo moltissimo mio padre, che da anni si è impegnato per riqualificare le colline di Ozzano, prima con Palazzo di Varignana, poi con attività agricole, piantando 150.000 alberi e dopo ancora con un Hub di Innovazione. Insomma vorrei un giorno avere la consapevolezza di aver utilizzato “i talenti ricevuti” per lasciare il mondo meglio di come l’ho trovato.

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La nuova

Foto Nik Babic

Teatro Comunale di Bologna

Sinfonica

La Stagione Sinfonica 2020 del Teatro Comunale si articola in 18 appuntamenti, tutti al Teatro Manzoni, e rende omaggio all’anno beethoveniano

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a proposta sinfonica 2020 del Teatro Comunale di Bologna, realizzata per la prima volta insieme alla Filarmonica del Teatro Comunale, si articola in 18 appuntamenti, tutti in programma al Teatro Manzoni tra febbraio e dicembre, con concerti proposti nei giorni feriali in orario serale (20.30) e la domenica nel pomeriggio (17.30). La Stagione è un omaggio a Ludwig van Beethoven, del quale nel 2020 ricorrono i 250 anni dalla nascita. L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna è protagonista di 10 concerti del cartellone. Si parte il 4 febbraio con Asher Fisch, grande specialista del repertorio romantico tedesco, che propone la Missa solemnis in re maggiore op. 123 di Beethoven – con le voci del soprano Siobhan Stagg, del mezzosoprano Stefanie Irányi, del tenore Antonio Poli e del basso Felix Speer –, considerato uno dei monumenti sinfonico-corali del compositore insieme alla Nona Sinfonia, che Fisch dirigerà il 29 aprile assieme alla Fantasia corale per pianoforte, coro e orchestra op. 80, esibendosi nella doppia veste di direttore e pianista. In entrambi i concerti il Coro del Comunale è preparato da Al-

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berto Malazzi. Fisch sarà protagonista anche dell’appuntamento del 22 maggio con la Sinfonia n. 3 Wagner-Symphonie di Anton Bruckner e il Concerto n. 5 op. 73 Imperatore per pianoforte e orchestra di Beethoven, interpretato da Francesco Piemontesi, al suo debutto con l’Orchestra del TCBO. Gradito ritorno per il direttore d’orchestra Frédéric Chaslin, che l’8 febbraio abbina la Sinfonia n. 4 op. 98 di Johannes Brahms al Concerto per violino e orchestra op. 61 di Beethoven affidato al pluripremiato violinista Marco Rizzi. Direttore Principale della Deutsche Radio Philharmonie, Pietari Inkinen torna sul podio dell’Orchestra del Comunale il 12 febbraio con il poema sinfonico op. 106 Fontane di Roma di Ottorino Respighi, la Suite (versione del 1919) tratta dal balletto L’oiseau de feu di Igor’ Stravinskij e la Sinfonia n. 4 op. 60 di Beethoven. Direttore fra i più acclamati della sua generazione, Juraj Valčuha rinnova anche il prossimo anno la sua collaborazione con il teatro felsineo, inaugurando la Stagione d’Opera a gennaio con Tristan und Isolde di Wagner e dirigendo il concerto del 1° marzo con l’Ouverture Zur Namensfeier op. 115 di Beethoven, la Sinfonia n. 4 op. 36 di Pëtr Il’ič Čajkovskij e il Concerto per pianoforte e orchestra op. 16 di Edvard Grieg. Solista il trentacinquenne Alexander Gavrylyuk, per la prima volta impegnato con la compagine orchestrale del teatro. Doppio debutto anche per Corinna Niemeyer e per il pianista Luca Buratto, protagonisti di un “tutto Beethoven” con l’Ouverture Egmont, la Sinfonia n. 2 op. 36 e il Concerto n. 3 op. 37 per pianoforte e orchestra (6 giugno). Torna sul podio, dopo aver inaugurato la stagione lirica 2019, Pinchas Steinberg, che il 22 novembre dirige in prima esecuzione assoluta la nuova commissione della Regia Accademia Filarmonica al compositore giapponese Toshio Hosokawa: la Suite Erdbeben. Traüme. Completano il programma la Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13


INFO ABBONAMENTI Nuovi abbonamenti dall’11 dicembre 2019. Il prezzo dell’abbonamento per la Stagione Sinfonica (18 concerti) va da un minimo di 150 euro a un massimo di 490 euro. INFO BIGLIETTI In vendita presso la biglietteria e online dal 15 gennaio 2020. Il prezzo dei biglietti per i concerti della Stagione Sinfonica va da un minimo di 15 euro a un massimo di 60 euro. CONTATTI E ORARI DELLA BIGLIETTERIA DEL TEATRO COMUNALE Mar > Ven 12 – 18, Sab 11 – 15 Tel. +39. 051.529019 / Fax +39. 051.529995 boxoffice@comunalebologna.it Nei giorni di concerto, biglietti in vendita all’Auditorium Manzoni da 1 ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio dell'evento.

Sopra: James Conlon, sotto: Julian Rachlin. Nella pagina accanto, sopra: Asher Fisch, sotto: Stefano Bollani

fonia n. 7 op. 92 di Beethoven e sconfina nel repertorio lirico con pagine dalla Lucia di Lammermoor e da Linda di Chamonix di Gaetano Donizetti e da I Puritani di Vincenzo Bellini: protagonista una star del belcanto come il soprano Jessica Pratt. Formazione di grande prestigio per il Triplo Concerto op. 56 di Beethoven con Alexander Lonquich nella doppia veste di direttore e pianista, il violinista Ilya Gringolts e il violoncellista Narek Hakhnazaryan. Chiude la serata la Sinfonia n. 3 op. 90 di Johannes Brahms (25 maggio). Il Don Juan op. 20 di Richard Strauss, il Concerto per Orchestra di Béla Bartók e il Concerto n. 2 op. 63 per violino e orchestra di Sergej Prokof’ev, compongono la triade della serata del 22 giugno con la bacchetta di Henrik Nánási – Direttore Musicale Generale della Komische Oper di Berlino – e il grande violinista Sergej Krylov. Ospite sempre molto atteso, il pianista Stefano Bollani si presenta nella doppia veste di direttore d’orchestra e solista interpretando il Concerto n. 23 KV 488 per pianoforte e orchestra di Mozart e dirigendo una sua composizione inedita intitolata Concerto Verde (19 ottobre). Tutto beethoveniano l’appuntamento del 16 novembre diretto da Roberto Abbado, Direttore musicale del Festival Verdi di Parma, con il pianista Alexander Melnikov impegnato nel Concerto n. 4 op. 58 per pianoforte e orchestra. Completano il programma l’Ouverture in do minore op. 62 Coriolano e la Sinfonia n. 1 op. 21. Chiude la Stagione Sinfonica 2020 il concerto diretto dall’americano Ryan McAdams con la Sinfonia n. 2 op. 73 di Brahms e il Concerto op. 129 per violoncello e orchestra di Schumann, interpretato dal violoncellista ventisettenne Kian Soltani, artista in residenza della Royal Philharmonic Orchestra (21 dicembre).

Foto Ashley Klassen

Stagione Sinfonica 2020

Foto Bonnie Perkinson

Sogni d’inverno di Čajkovskij e il Concerto n. 2 op. 19 per pianoforte e orchestra di Beethoven interpretato dal talentuoso trentunenne Federico Colli, che debutta con l’Orchestra del TCBO. Seconda bacchetta al femminile, Oksana Lyniv propone il 27 novembre l’Ouverture op. 72b dal Fidelio di Beethoven, la Sinfonia n. 2 op. 61 di Robert Schumann e il Concerto n. 1 per violino e orchestra op. 26 di Max Bruch suonato da Stefan Milenkovich. L’ultimo appuntamento con protagonista l’Orchestra del Teatro Comunale (2 dicembre) vede tornare sul podio dopo 8 anni James Conlon – Direttore principale dell’Orchestra della Rai e Direttore musicale dell’Opera di Los Angeles – con l’Ouverture Leonore n. 1 e la Sinfonia n. 5 op. 67 beethoveniane e la Sinfonia n. 1 op. 10 di Dmitrij Šostakovič. La Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna è protagonista di 8 concerti del cartellone. Il 17 febbraio il violinista e direttore d’orchestra Julian Rachlin si presenta nella doppia veste di direttore e solista nel Concerto n. 3 KV 216 per violino e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart e sul podio propone l’Ouverture Le creature di Prometeo e la Sinfonia n. 6 op. 68 Pastorale, entrambe beethoveniane. Il 30 marzo Yoel Levi dirigerà la Sinfonia n. 3 op. 55 Eroica di Beethoven e il Concerto n. 1 op. 25 per pianoforte e orchestra di Felix Mendelssohn-Bartholdy, interpretato dalla dodicenne Alexandra Dovgan. Hirofumi Yoshida torna il 26 aprile sul podio della Filarmonica con la Sin-


I luoghi della musica

MOZART è stato qui Inaugurata a ottobre all’Accademia Filarmonica, la nuova “Stanza del compito di Mozart” ricostruisce una storia affascinante e tutta bolognese di Maria Pace Marzocchi

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Sopra: il compito con cui nel 1770 il quattordicenne Mozart si aggiudicò la nomina ad “Accademico Filarmonico”

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opo i successi bolognesi nel marzo 1770, quando il giovane Mozart accompagnato dal padre Leopold si esibì all’Accademia Musicale tenuta nel palazzo del conte Gianluca Pallavicini in strada San Felice, alla presenza di nobili, principi, cardinali e Accademici Filarmonici tra cui Padre Giovanbattista Martini, i Mozart giunsero per la seconda volta a Bologna il 20 luglio, per un soggiorno di qualche mese e l’obiettivo del quattordicenne Wolfango di sostenere l’esame per l’aggregazione all’Accademia Filarmonica bolognese: una delle più antiche e più prestigiose d’Italia, fondata nel 1666 dal conte Carrati nel suo palazzo, tuttora sede dell’istituzione. A sostenerli in città Padre Martini e le sue lezioni di contrappunto, e il conte Pallavicini, che il 10 agosto li invitò nella sua villa di campagna “Alla Croce del Biacco”: un po’ di svago, e molto studio. Il 1° ottobre il rientro a Bologna in vista dell’esame di ammissione alla classe dei Compositori, fissato al 9 ottobre. Nella sala scelta per la prova, l’attuale sala Mozart ubicata al piano terreno del palazzo, davanti agli Accademici lì convenuti, il Principe dell’Accademia Petronio Lanzi aprì un Antifonario alla pagina della melodia Quaerite primum regnum Dei, un’antifona a quattro voci su canto fermo, che il giovane salisburghese avrebbe dovuto copiare ed elaborare per il compito d’esame. Chiuso a chiave nella “stanza dell’Esperimento”, sulle note del canto gregoriano il giovane musicista elaborò in meno di un’ora un “contrappunto fiorito a quattro voci” giudicato “sufficiente” dai Censori. Poi, il voto unanime degli Accademici, e la nomina di Accademico Filarmonico come Maestro Compositore. Il 9 ottobre di quest’anno, un’anteprima delle celebrazioni che si terranno nel 2020 per il duecentocinquantesimo anniversario dell’aggregazione di Mozart, in palazzo Carrati è stata inaugurata la nuova “Stanza del compito di Mozart”, perché, nota il Presidente dell’Accademia Loris Azzaroni, «l’Accademia fu protagonista assoluta di quel primo viaggio in Italia che il giovane Wolfgang intraprese col padre, grazie all’esame che sostenne qui, proprio in questo palazzo». Poiché la Sala Mozart che fu luogo dell’esame è ora adibita a sala dei concerti promossi dall’istituzione, è stata scelta una stanza al primo piano

ricavata all’interno degli ambienti dell’Archivio. È un’emozione varcarne la soglia, e avvicinarsi alla teca trasparente dove sono esposti i documenti finalmente visibili al pubblico. Al centro sta il foglio con il Compito di Mozart. È fissato ad un perno girevole cosicché se ne possono vedere entrambe le facciate, e su quella del retro, a conclusione del compito e dopo le ultime note del contrappunto, la firma “Amadeo Wolfgango Mozart” vergata in una grafia che pare più infantile dei suoi quattordici anni. Affiancate al compito le altre testimonianze: l’Antifonario che gli fu da modello, l’urna per la votazione con le fave bianche e nere (solo bianche quelle utilizzate in quell’ottobre 1770), il Verbale ufficiale della nomina, il registro con il pagamento della tassa di 40 lire che competeva ad ogni nuovo aggregato, che sappiamo versata da Padre Martini. Ed una pianta settecentesca di Bologna dove sono indicate le soste dei Mozart in città. Tra i documenti esposti in riproduzione, il Diploma di Maestro Compositore del 1770 e alcuni ritratti del giovane Maestro: nel 1770 in occasione dell’aggregazione (l’originale, commissionato da Padre Martini, si trova al Museo della Musica, dove è conservata anche la sua Minuta di dichiarazione del giovane Mozart), nel 1777 quando gli fu conferito il titolo di Accademico Filarmonico di Bologna e quando il giovane Wolfango era ormai celebre in tutt’Europa. STANZA DEL COMPITO DI MOZART Regia Accademia Filarmonica Bologna, via Guerrazzi 13



Storie della musica

PROKOF’EV

Sonate di guerra

La Settima Sonata di Sergej Prokof’ev, con la quale si misurerà Denis Matsuev il 24 febbraio per Musica Insieme, fa parte delle tre sonate concepite dall’autore fra le devastazioni e le tragedie della seconda guerra mondiale di Brunella Torresin

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Sopra: Sergej Prokof'ev e Mira Mendel’sohn nel 1946

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MUSICA INSIEME

ergej Prokof’ev, che era rientrato definitivamente nell’Unione Sovietica nella primavera del 1936, inizia a comporre le tre Sonate per pianoforte conosciute come “Sonate di guerra” – la Sesta, la Settima e l’Ottava – alla fine del 1939. Conclude la Settima nei primi giorni di maggio del 1942. Verrà eseguita a Mosca il 18 gennaio 1943. La vicenda di quest’opera scorre parallela agli anni più tragici del Novecento: gli anni dei totalitarismi, dell’annientamento fisico del “nemico”, della seconda guerra mondiale. In questo arco di tempo la Germania invade la Polonia, il 1° settembre 1939, e dà inizio al conflitto, mentre il patto di non aggressione tedesco-sovietico permette a Stalin di occupare, entro la fine dello stesso anno, la Polonia orientale, le Repubbliche baltiche, la Finlandia. Il 22 giugno 1941 la Germania dichiara guerra all’URSS, seguita da Romania, Finlandia, Ungheria e Italia. Nelle sole prime tre settimane di guerra i tedeschi occupano la Lituania, la Lettonia, la Bielorussia e l’Ucraina. Nell’agosto del 1941 Prokof’ev è evacuato da Mosca assieme ad altri artisti, tra i quali il compositore Nikolaj Mjaskovskij e il regista impresario Vladimir Nemirovič-Dančenko. Un viaggio in treno di tre giorni conduce lui e la compagna Mira Mendel’sohn a Nal’cik, nel Caucaso. A fine novembre del 1941 da Nal’cik verranno trasferiti a Tbilisi, la capitale della Georgia. In quello stesso mese ha inizio la battaglia di Mosca. Nella primavera del 1942, da Tbilisi, Prokof’ev spedisce lo spartito per canto e pianoforte dell’opera Guerra e pace al Comitato per gli affari ar-

tistici, a Mosca. Ai primi di maggio dello stesso anno completa anche la Settima Sonata op. 83. Verso la fine del mese si mette in viaggio assieme a Mira per raggiungere Sergej Ejzenštejn ad AlmaAta, in Kazakistan, dove sono stati spostati gli studi cinematografici: il regista si prepara a girare Ivan il Terribile, Prokof’ev è l’autore delle musiche. È un viaggio faticosissimo di 3000 chilometri, attraverso il Mar Caspio, steppe e altopiani. Giungono a destinazione in giugno. «Mi hanno portato un pianoforte verticale in legno di limone – scrive Prokof’ev a Mjaskovskij – e sebbene non sia di marca, ha un suono gradevole». Nell’estate del 1942 ha inizio la battaglia di Stalingrado. In dicembre il compositore rientra a Mosca per organizzare l’audizione di Guerra e pace. Il 18 gennaio 1943, nella Sala d’Ottobre della Casa dei Sindacati viene eseguita la Settima Sonata. «Questa sonata ci getta brutalmente nell’atmosfera minacciosa di un mondo che vacilla. – racconterà Svjatoslav Richter, che ne fu l’esecutore quello stesso giorno, al regista Bruno Monsaingeon – Il caos e l’ignoto vi regnano. L’uomo osserva l’incedere delle forze mortifere. Ma nonostante ciò che vede, non cessa di esistere. Continua a sentire e ad amare». L’indomani, 19 gennaio 1943, dopo 900 giorni di assedio, l’Armata Rossa rompe l’accerchiamento di Leningrado. Prokof’ev riparte da Mosca per Alma-Ata. Il 2 febbraio, dopo sei mesi di combattimenti, la 6a armata tedesca è costretta alla resa a Stalingrado. In marzo, ad Alma-Ata, Prokof’ev è raggiunto dalla notizia che la sua Settima Sonata ha ottenuto il Premio Stalin.






I CONCERTI dicembre 2019 / febbraio 2020 Lunedì 2 dicembre 2019

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Lunedì 9 dicembre 2019

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

BRAD MEHLDAU ....................................................pianoforte Modern Classic Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Musica per le Scuole”

GABRIELE PIERANUNZI......................................violino FABRIZIO FALASCA .............................................. violino FRANCESCO FIORE..................................................viola GIOVANNI GNOCCHI .............................................violoncello ANDREA BACCHETTI ..........................................pianoforte Mozart, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Informiamo il gentile pubblico che, per un problema organizzativo del West-Eastern Divan Ensemble, il suo concerto è stato rimandato alla prossima Stagione 2020/21. Musica Insieme ringrazia la Camerata RCO per aver accolto l’invito a partecipare a I Concerti 2019/20.

Lunedì 13 gennaio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

CAMERATA RCO ROYAL CONCERTGEBOUW ORCHESTRA AMSTERDAM Dvořák, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 27 gennaio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ARCHI DI SANTA CECILIA AVI AVITAL......................................................................mandolino LUIGI PIOVANO...........................................................direttore Vivaldi, Bach, Respighi, Rota Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 10 febbraio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

CAMERATA SALZBURG VIVIANE HAGNER.....................................................violino GREGORY AHSS.........................................................maestro concertatore Schubert, Mozart, Haydn Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 24 febbraio 2020

TEATRO AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

DENIS MATSUEV......................................................pianoforte Čajkovskij, Rachmaninov, Prokof’ev Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti 2019/20” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it - App MusicaInsieme


Lunedì 2 dicembre 2019

PRIMO

piano

Debutta nel nostro cartellone il performer e compositore statunitense che appassiona il pubblico di tutto il mondo, oltre i confini di genere di Fabrizio Festa

C

hi pensasse che la storia del pianismo solistico nel jazz sia cambiata col Concerto di Colonia di Keith Jarrett (la cui incisione ancora oggi, da quel lontanissimo 1975, furoreggia e non solo tra gli appassionati di jazz), si sbaglierebbe. L’errore ha però un suo fondamento. La storia del jazz è ancora adesso un terreno che attende di essere adeguatamente coltivato. C’è molta confusione. Una vulgata affascinante, ma priva di fondamenti, è quella generata dall’azione combinata di due fattori: la scarsità di studi musicologici solidi e strutturati, e la presenza, per contro, di elementi ideologici molto specifici, a cominciare dalla sociologia afroamericana degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, che voleva includere il jazz esclusivamente nel contesto della produzione musicale di colore, forzando sia l’estetica, sia la storia stessa di questo genere. Il jazz – che solo in parte può essere annoverato tra le diverse espressioni artistiche della popolazione statunitense di origine africana – ha infatti molte e differenti radici. Non è questo il luogo per approfondire un tema peraltro così suggestivo. Ci è sufficiente qui richiamare l’attenzione del lettore su un dato importante, troppo spesso sottovalutato: il jazz trova una parte essenziale della sua linfa nella musica colta prodotta e diffusa prima nel Sud e nel Centro delle Americhe, poi proprio all’interno degli Stati Uniti d’America. Una produzione questa in cui il pianoforte, e proprio come strumento solistico, gioca un ruolo determinante. Basti qui citare il nome di Louis Moreau Gottschalk (New Orleans 1829 – Rio de Janeiro 1869), non solo grande virtuoso, ma anche compositore particolarmente prolifico, le cui opere per pianoforte, oltre duecento (che vanno ad aggiungersi ad una ricca produzione teatrale e sinfonica), ebbero vastissima eco su entrambe le sponde dell’oceano. In quelle pagine ci sono già gli stilemi che ritroveremo non solo nel ragtime di Scott Joplin (ancora un virtuoso del pianoforte) e nella produzione pianistica di Jelly Roll Morton, ma anche quelle strutture ritmiche di sapore

Foto Michael Wilson

BRAD MEHLDAU Definito dal New York Times il pianista jazz più influente degli ultimi vent’anni, sin dal suo esordio Brad Mehldau si esprime in una moltitudine di ambienti differenti: dal jazz sperimentale alle colonne sonore, fra contaminazioni con l’elettronica e intensi recital solistici. Con una formazione classica alle spalle, Mehldau può fregiarsi di aver dato nuova linfa agli standard del jazz, ma anche di poter sapientemente rivisitare mostri sacri come Bach, Schumann e Schubert. Nei primi anni del 2000 compone un ciclo vocale per il soprano Renée Fleming su commissione della prestigiosa Carnegie Hall, e le sue incursioni in territorio classico non si fermano qui: nel 2012 debuttano le sue Variations for Piano and Orchestra on a Melancholy Theme, eseguite con l’Orpheus Chamber Orchestra, e le più importanti sale, dalla Carnegie alla Wigmore Hall, si contendono le sue composizioni.


LUNEDÌ 2 DICEMBRE 2019 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

BRAD MEHLDAU

pianoforte

Modern Classic

latino-americano che domineranno la scena, anche jazzistica, dagli anni Quaranta in poi del Novecento. Jelly Roll Morton, come i due precedenti, era un affermato compositore oltre che uno straordinario virtuoso della tastiera, evocato anche nel celebre La leggenda del pianista sull’oceano in una gara pianistica, tanto memorabile quanto inventata, col protagonista del film di Giuseppe Tornatore tratto da Novecento di Alessandro Baricco. Il pianoforte, come emerge già da queste prime sintetiche annotazioni, gioca un ruolo centrale nella storia del jazz. È presente fin dai suoi primi passi, e da quel momento non è mai più uscito di scena. Anzi, col passare del tempo il suo spazio si è andato semmai allargandosi. Restando nei primi decenni del secolo scorso, appare del tutto evidente che il pianista jazz abbia una palese formazione accademica, magari ricevuta in maniera non rigorosa, ma comunque impartitagli in modo da poterlo mettere in grado di suonare da solo sempre con esiti eccellenti. Citiamo Fats Waller, straordinario anche all’organo, e soprattutto Art Tatum, il cui virtuosismo ha incantato non solo il pubblico della platea jazzistica, ma anche i grandi interpreti del pianismo classico. Lo stesso George Gershwin è stato pianista di grande talento, che con il mondo della “classica” ha ampiamente flirtato. Molti dei nomi citati sono stati pianisti e compositori, seguendo in questo una lunghissima tradizione, che comincia nel secondo Settecento. Quando arriveremo agli anni Settanta del Novecento (il Concerto di Colonia da cui siamo partiti) i modelli del resto sono chiari, e non solo nel pianismo di Jarrett: Chopin e Liszt, e a seguire i grandi pianisti che dominavano la scena classica in quei medesimi anni. D’altronde, è d’obbligo sottolineare che alla fine degli anni Cinquanta il compositore americano Gunther Schuller conia il termine third stream per indicare quella nuova maniera compositiva, che amplificava l’elemento accademico nel contesto della produzione jazzistica. Sono anche gli anni in cui John Lewis (altro pianista e compositore) fonda il Modern Jazz Quartet (un ensemble chiaramente accademico già nel nome), Dave Brubeck (ancora un pianista e compositore) mette insieme le esperienze della musica novecentesca con quelle della composizione jazzistica, ed appare sulla scena Bill Evans (ancora un pianista di formazione classica, e compositore). Sarà lui, insieme a Claus Ogerman, a dar vita a incisioni

che sono per l’appunto un perfetto equilibrio tra stilemi jazzistici e musica accademica, dimostrando come fosse possibile realizzare tale connubio e mantenere una chiara identità stilistica ed estetica. Insomma, prima di Jarrett, ed ovviamente prima di Mehldau, la storia del pianoforte nel jazz è storia di musicisti che, certamente legati alla tradizione del proprio strumento, hanno sempre concepito come un grande vantaggio la pluralità di possibilità, che proLo sapevate che la prio il pianoforte offriva loro. musica di Brad Mehldau In un certo senso, potremmo dire che il jazz, fin da quando risuona in pellicole come è entrato alla Carnegie Hall Eyes Wide Shut di con Benny Goodman, in quel Kubrick e The Million 1938 – l’anno in cui Béla Bartók compose il suo ConDollar Hotel di Wenders trasts proprio per il grande clarinettista americano – non è più uscito dalle grandi e piccole sale da concerto. Brad Mehldau, dunque, s’inserisce in una tradizione più che consolidata. Tradizione che vuole il pianista solista di jazz impegnarsi in percorsi molto articolati, che spaziano da chiari richiami al repertorio classico (Bach, tanto per citare un riferimento quasi obbligato), fino all’improvvisazione su temi tratti sia dal repertorio jazzistico, sia da quello della musica d’intrattenimento. Peraltro, è bene ricordare che l’improvvisazione è una pratica condivisa da tutti i generi musicali, inclusa la musica accademica, e che nel repertorio jazzistico attingere alla musica d’intrattenimento, a cominciare dalle canzoni dei musical di Broadway, è sempre stata una prassi in uso. Per quanto possa sembrare strano, non è molto diverso da ciò che proponeva Franz Liszt nei suoi funambolici recital.

DA ASCOLTARE

Sono 23 gli album licenziati dal 1995 a oggi da Brad Mehldau, senza contare le partecipazioni come co-leader accanto a colleghi come Charlie Haden o Pat Metheny, o le colonne sonore e le compilation. Tutto compreso, si arriva quasi al centinaio di registrazioni, molte live, tutte di interesse per l’appassionato di jazz e non solo. Quel “non solo” che ricomprende gli amanti della cosiddetta “classica” troverà soddisfazione fin dal suo primo album da solista, Elegiac Cycle (1999), dove risuonano gli echi di autori, come Schumann o Schubert, a lui particolarmente cari. Dall’amore per il Clavicembalo ben temperato nasce poi After Bach (Top Jazz Album 2018), mentre fra queste pagine il lettore troverà la segnalazione della sua ultima fatica discografica per l’etichetta Nonesuch: Finding Gabriel (2019), che scompagina ancora una volta le carte, stupendo jazzofili e non con qualcosa di completamente diverso.

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Una questione di ispirazione > Intervista > Brad Mehldau

Foto Michael Wilson

Il titolo del recital con il quale una vera e propria leggenda vivente del jazz come Brad Mehldau si presenta per la prima volta a Musica Insieme è già una dichiarazione d’intenti: Modern Classic. Ovvero, il classico visto e vissuto oggi, il classico della nostra modernità: una definizione che può far pensare proprio al jazz, uno dei pochi linguaggi veramente nuovi e innovativi, aperti e in continua proliferazione. Ma anche alla modernità di quei classici a cui Mehldau attinge e si ispira esplicitamente nella sua musica, da Bach a Brahms, da Schubert a Mahler e Prokof’ev. Il tutto con una solida formazione tecnica alle spalle, che gli permette di suonare e giocare con il piano come pochi altri al mondo. Chi per primo l’ha fatta avvicinare allo studio del pianoforte? «Anzitutto sono davvero riconoscente a una stagione tradizionalmente consacrata alla “classica” come Musica Insieme per l’interesse che manifesta

nei confronti della mia musica. Tornando alla domanda, è colpa di mia madre! Avevamo un pianoforte nella nostra casa di Jacksonville, in Florida, e ricordo ancora vividamente che già da quando io avevo quattro anni, lei si sedeva accanto a me e mi insegnava semplici brani. È stata lei a trovare e a scegliere personalmente tutti gli insegnanti con i quali ho studiato durante la mia infanzia». Secondo lei il Jazz è un “linguaggio classico” del ventesimo secolo? «Il jazz, come lo intendiamo adesso, si è sviluppato interamente nel ventesimo secolo, perciò è un linguaggio recente, ma di certo anche molto attuale ed in continua evoluzione. Quindi sì, è un linguaggio classico del ventesimo secolo, che mi auguro continui anche nel ventunesimo!». Qual è la differenza tra influenza e ispirazione? «Questa è proprio una bella domanda, devo ammetterlo. Credo che l’influenza abbia a che fare con la ragione, con l’intelletto, mentre l’ispirazione penso sia più di carattere emotivo, quasi spirituale. Sono però convinto che vadano di pari passo e si compensino l’un l’altra». Cosa rende il jazz diverso dagli altri stili? «Certamente lo swing, il ritmo marcato, il linguaggio strumentale e l’anima del blues, e soprattutto il comune denominatore che unisce tutti gli stili che appartengono al jazz: l’improvvisazione». Se avesse il potere di riportare in vita uno dei grandi musicisti del passato e passare un’ora del suo tempo con lui, chi sceglierebbe? «Se avessi la possibilità di passare del tempo con uno dei grandi musicisti del passato credo che, tra i tanti, sceglierei Brahms. Avrei moltissimo da chiedergli!». Ha già pensato al tipo di programma che eseguirà qui a Bologna? «Non ne sono ancora sicuro, seguirò l’ispirazione, come faccio sempre nelle mie performances. Sarà una sorpresa tanto per me che per il pubblico…». Lei viene spesso in Italia, qual è la cosa che apprezza di più del nostro Paese? «Le persone, e nel caso dei concerti certamente il pubblico, perché si percepisce in modo molto chiaro come voi italiani riusciate a cogliere la bellezza in tutte le sue forme. Senza tralasciare poi l’arte in generale, il cibo, i meravigliosi paesaggi, la moda e, ovviamente, la musica!». (a cura di Carla Demuru)




Lunedì 9 dicembre 2019

I FANTASTICI

cinque A

Gabriele Pieranunzi

l termine tedesco spielen si assegnano due accezioni (giocare e suonare), in un’ambiguità che si risolve solo grazie al contesto in cui esso è inserito. Ad una parte del catalogo delle opere di Mozart il termine potrebbe applicarsi indistintamente, senza la necessità di optare per l’una o l’altra, dato il diffuso spirito leg-

Salutiamo le festività natalizie con un tributo a Mozart, interpretato da cinque straordinari solisti italiani, appositamente riuniti da Musica Insieme di Mariateresa Storino

gero che pervade (almeno in superficie) parte della sua produzione; ma, anche in questi contesti, l’uso indefinito potrebbe compromettere la reale comprensione del suo lascito. A distanza di più di duecento anni dalla morte di Mozart, il processo di svelamento del mistero dell’immortalità della sua opera è ancora in corso. L’enfant

LUNEDÌ 9 DICEMBRE 2019 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

GABRIELE PIERANUNZI violino FABRIZIO FALASCA violino FRANCESCO FIORE viola GIOVANNI GNOCCHI violoncello ANDREA BACCHETTI pianoforte

Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto con pianoforte n. 2 in mi bemolle maggiore KV 493 Concerto per pianoforte n. 8 in do maggiore KV 246 – Lützow-Konzert (Trascrizione per quintetto con pianoforte di Ignaz Lachner) Franz Schubert Trio per archi in si bemolle maggiore D 471 Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto con pianoforte n. 1 in sol minore KV 478

CHE MUSICA, RAGAZZI! – III edizione Il 9 dicembre alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

Giovanni Gnocchi

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Lunedì 9 dicembre 2019

Andrea Bacchetti

prodige incanta con le sue prodezze da virtuoso, compone a misura della nuova classe di dilettanti, esplora il regno delle tenebre: una molteplicità di realizzazioni in cui prende corpo quanto il compositore aveva assimilato da predecessori e contemporanei, gettando le basi per il futuro. Al-

cune sue composizioni nascono su commissione, altre da una spinta interiore, altre ancora da situazioni contingenti (leggi: guadagnare denaro). L’origine spesso ne definisce le coordinate linguistiche ma, altrettanto spesso, lo spirito creativo varca i confini stabiliti dalla destinazione della sua opera. È questo il caso dei due Quartetti con pianoforte KV 478 e KV 493, un genere che conoscerà una certa fioritura nel corso del XIX secolo, ma che nel secondo Settecento appariva ancora un organico piuttosto singolare. Nel 1785 Mozart stipula un contratto con l’editore viennese Franz Anton Hoffmeister per tre quartetti con pianoforte. Il 16 ottobre 1785 il Quartetto KV 478, primo della serie dei tre, è pronto per la pubblicazione. L’insuccesso editoriale, dovuto alla complessità del brano, determina la rescissione del contratto con Hoffmeister; il successivo secondo quartetto, composto nel giugno del 1786, sarà pubblicato da Artaria; il terzo quartetto non vedrà mai la luce. In entrambe le composizioni Mozart ignora le richieste del mercato editoriale, che si rivolgeva ad un pubblico le cui abilità tecniche erano abbastanza limitate. Non si tratta comunque solo di un problema di “destrezza manuale”; il contenuto musicale e la gestione della forma oltrepassano il confine della musica destinata ai dilettanti per assumere i tratti specifici della musica da camera seria, ossia del quartetto per archi. D’altro canto è proprio nel 1785 che Fabrizio Falasca

I PROTAGONISTI

Gabriele Pieranunzi è ospite regolare di sale come l’Accademia di Santa Cecilia, la Wigmore Hall di Londra e il Teatro Coliseum di Buenos Aires. Dal 2004, con incarico conferitogli per chiara fama, è primo violino di spalla dell’Orchestra del Teatro di San Carlo di Napoli. Il violinista Fabrizio Falasca, spalla della Philharmonia Orchestra, si è formato come Pieranunzi con Salvatore Accardo presso l’Accademia “Stauffer” di Cremona, per perfezionarsi al Mozarteum di Salisburgo e alla Royal Academy of Music di Londra. Francesco Fiore, appassionato camerista a fianco di grandi solisti come Pappano, Canino e Meneses, è stato prima viola delle principali compagini italiane, dall’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il violoncellista Giovanni Gnocchi, dopo il debutto al fianco di Yo-Yo Ma, si è esibito insieme a Kavakos, Gringolts, Lonquich e Brunello. Andrea Bacchetti è uno dei più interessanti pianisti italiani, apprezzato per la costante ricerca tecnica e sonora e per le scelte di repertorio originali e profondamente meditate.

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Francesco Fiore

Mozart termina la serie dei Quartetti dedicati ad Haydn, compone i celebri Concerti per pianoforte e orchestra KV 466 e KV 467 e la Fantasia in do minore KV 475, oltre a scrivere musica massonica. Quanto sperimenta nelle opere coeve ricade nel Quartetto KV 478, così come nel KV 493 la recente esperienza delle Nozze di Figaro accentua la tensione drammaturgica insita nella forma. Articolati in tre movimenti, con un primo tempo Allegro in forma-sonata, un secondo movimento lirico e un terzo in forma di rondò (Allegro moderato nel KV 478, Allegretto nel KV 493), entrambi i Quartetti non «si sostenevano con un’esecuzione mediocre». Lo spirito di conversazione dotta del primo movimento, la ricercata scrittura degli archi e la fine decorazione del pianoforte del secondo, instaurano un dialogo elegantemente costruito sullo stile della sintassi musicale settecentesca ma con un’intrinseca tensione (nel Larghetto del KV 493 le sospensioni del discorso e le fratture si manifestano apertamente) che trova scioglimento solo nell’ultimo movimento, sempre tinteggiato tuttavia da sfumature drammatiche. In linea con le richieste di un dilettante è invece, almeno all’apparenza, il Concerto per pianoforte e orchestra KV 246, composto nell’aprile 1776 per la contessa Antonia Lützow, moglie del comandante della fortezza di Salisburgo nonché allieva di Leopold Mozart. Il pianismo di questo concerto richiede comunque una certa abilità tecnica; Mozart lo ritenne adatto all’insegnamento e

proprio a Mannheim lo utilizzerà per la formazione della sua allieva Thérèse Pierron. Il genere del concerto è una costante significativa nell’arco creativo di Mozart. Nella produzione giovanile, in cui rientra il KV 246, il tessuto orchestrale risente dell’influsso della tradizione londinese di Johann Christian Bach per la maggiore evidenza data al solista rispetto al ruolo di sostegno dell’orchestra; una tipologia di scrittura che conLo sapevate che a sente un efficace dieci anni Andrea Bacchetti adattamento per quintetto ha incontrato von Karajan con pianoforte (Lachner trascrisse diversi concerti di a Salisburgo e ricorda Mozart per questo organico). di essersi sentito come Ben diverso sarà l’intreccio Luke Skywalker di tra solo e tutti nei celebri concerti della “maturità” fronte allo Jedi… (KV 466 e KV 488, per citarne alcuni), in cui si dispiega la lezione della musica da camera e dell’opera: il concerto diventa teatro dell’udito. Prova giovanile è anche il Trio per archi D 471 (1816) di Franz Schubert. Costituito da due movimenti, di cui solo il primo è completo, il Trio rimase silenzioso fra tanti frammenti e schizzi musicali fino al 16 dicembre 1966, anno in cui Reinhard Van Hoorickx lo eseguì in prima assoluta in una versione da egli completata. Alfred Einstein definiva il primo movimento «molto grazioso, mozartiano, fluente e melodico, ma niente di più», eppure, nonostante i suoi “limiti” non manca di «calarci nel puro incanto musicale».

DA ASCOLTARE I membri del nuovo quintetto che ascolteremo per Musica Insieme sono tutti attivi come solisti per vari ensemble ed altrettanto varie etichette. Riunisce Francesco Fiore e Gabriele Pieranunzi, oltre a Shana Downes e Roberto Prosseda, il cd coi Quartetti di Mendelssohn per Decca (2014). L’amore di Pieranunzi per la riscoperta del repertorio ha portato poi all’incisione per Concerto Classics del Concerto per violino e fiati di Kurt Weill, con la direzione del compianto Jeffrey Tate ed i Fiati del Teatro San Carlo di Napoli. Anche Andrea Bacchetti è un inesausto “ricercatore”: accanto alla sua nota passione per Bach e per le tastiere del primo Settecento (Scarlatti, Hasse), nel 2016 ha inciso per Tactus rare opere di Silvio Omizzolo e Guido Alberto Fano accanto al grande Rocco Filippini. Del 2018 il suo album live per Sony Classical che esplora celebri Note d’Europa insieme a Uto Ughi. Delle ultime fatiche di Pieranunzi e Bacchetti, infine, si parla su questo numero nella rubrica “Da ascoltare”.

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Maestri d’Italia > Intervista > Gabriele Pieranunzi e Andrea Bacchetti Per il concerto che saluterà le festività natalizie, Musica Insieme ha voluto riunire un quintetto tutto italiano, a sottolineare l’eccellenza della nostra tradizione e della nostra scuola interpretativa.

Maestro Pieranunzi, quali sono le caratteristiche che rendono unica la scuola d’archi italiana? Gabriele Pieranunzi: «La scuola d’archi italiana è davvero unica al mondo: di fatto nasce con il barocco (secondo il grande Isaac Stern, Vivaldi era da annoverare tra i dieci più grandi violinisti della storia), passa attraverso Viotti e il sommo e ineguagliato Paganini, fino ad arrivare ai giorni nostri. Nel Novecento l’Italia ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi strumentisti ad arco del mondo, violinisti e non. L’italiano, da sempre, ha un forte individualismo e caratteristiche di suono uniche. Questa meravigliosa qualità diventa un valore aggiunto per il solista, mentre spesso nel lavoro in orchestra diventa una difficoltà, poiché non si riesce mai a pensare al noi, ma sempre all’io. Ma anche in questo caso, nel momento in cui miracolosamente tutti gli “io” si assemblano, le orchestre italiane possono diventare tra le prime al mondo, soprattutto nel repertorio lirico-sinfonico. In altre parole, lo stile italiano si distingue da tutti gli altri per l’innata cantabilità. Fra un Adagio di un concerto di Vivaldi o di Paganini, ad esempio, e un’aria della Norma di Bellini, in realtà c’è molta più vicinanza di quello che si potrebbe credere». E quali caratteristiche rendono unica la scuola pianistica italiana, Maestro Bacchetti?

Andrea Bacchetti: «Non saprei dirlo con esattezza, essendo tutti i nostri pianisti molto diversi fra loro, come è giusto che sia, in quanto ognuno ha la propria personalità, il proprio talento, le proprie idee… Ma anche perché io, giovanissimo, subito dopo il Conservatorio, ho avuto l’onore di studiare all’Accademia pianistica internazionale di Imola sotto la guida di Franco Scala, che è stato per me il più importante punto di riferimento nella mia formazione musicale, ma anche umana. Non ho poi frequentato altre scuole in Italia. Quindi non posso fare confronti. C’è da dire, comunque, che oggi, se guardiamo ai grandi pianisti italiani, ma anche stranieri, larga parte di quelli formatisi appunto a Imola hanno fatto e stanno facendo carriere di grande livello. Ciò che, senza dubbio, ne conferma l’autorevolezza e il rilievo di carattere internazionale». Entrambi avete recentemente pubblicato un cd che ben rappresenta le vostre rispettive specificità e vocazioni di ricerca e approfondimento. Maestro Bacchetti, vuole parlarci più nello specifico del suo album dedicato al “Viaggio in Europa” di Bach? Andrea Bacchetti: «Premetto che mi sono innamorato di Bach fin da bambino: ho cominciato a studiare le Goldberg quando avevo 10 anni e credo di averle eseguite in pubblico a 19… Ho poi avuto modo di studiare, ma soprattutto di lavorare attivamente per molti anni – quasi in parallelo – sia con il Maestro Berio, che con il Maestro Baumgartner, direttore del Festival Strings Lucerne, con i quali fra l’altro ho suonato per molto tempo. Entrambi hanno fortemente costruito il “mio” Bach. Da un lato il fascino del pensiero e delle idee, bellissime e innovative, del più grande compositore contemporaneo; dall’altro il rigore, la classicità, la storia, la scuola di uno dei più grandi cameristi del nostro tempo. Ecco dunque il mio ultimo cd, che affronta alcuni punti di riferimento importanti del repertorio bachiano che mi sono sembrati, almeno idealmente, l’espressione della sua internazionalità. Infatti, ancorché legato alla “germanicità” della sua formazione (anche in considerazione della difficoltà di viaggiare a quell’epoca), Bach mostrò spesso orizzonti molto più vasti che ci portano un po’ in tutta Europa. Si dice che la sua biblioteca fosse molto ricca e che comprendesse scritti, opere,


monia non risparmia momenti di alta tensione emotiva nei movimenti iniziali ed in quelli centrali, un’oasi di composizione pura. Una bella emozione anche solo studiarli, “metterci le mani” dentro, leggere dietro le note, come mi diceva sempre Berio, carpirne il pensiero…». Gabriele Pieranunzi: «Vede, siamo sempre al punto della non frequente esecuzione... Io li descriverei al pubblico come capolavori assoluti del genio salisburghese. La loro caratteristica è quella che contraddistingue la musica di Mozart, ossia i ripetuti e frequenti cambi di umore. Se l’ascoltatore chiude gli occhi può ritrovarsi nel bel mezzo del Don Giovanni o delle Nozze di Figaro, opera che Mozart stava proprio componendo quando terminò il Quartetto n. 2 in mi bemolle maggiore. In questi brani il confine che c’è fra la scrittura di un concerto per pianoforte e orchestra e il quartetto per piano e archi è molto sottile, anche perché all’epoca spesso il concerto per strumento solista e orchestra si eseguiva con un quintetto d’archi, un po’ per le ridotte dimensioni delle sale, un po’ perché le poche orchestre esistenti erano esigue. E proprio in questa serata per Musica Insieme torneremo all’antico, considerando che Andrea eseguirà il Concerto KV 246 accompagnato da noi archi a parti reali. Tornando per un momento al Secondo Quartetto di Mozart, si tratta dell’unico brano della cosiddetta musica da camera che venne registrato dal sommo pianista Arturo Benedetti Michelangeli. Già questo ci fa capire di quale capolavoro stiamo parlando». I soli archi risuoneranno invece in un Trio incompiuto di Schubert, scritto in pieno stile “classico”: come lo racconterebbe all’ascoltatore non abituato a questi organici oggi meno diffusi? Gabriele Pieranunzi: «Questo trio lo racconterei come un vero e proprio brano di musica da camera specifico per l’epoca. Piccole sale da concerto, pubblico molto vicino agli esecutori, poche persone ad ascoltare. Ciò implica per il pubblico un’ulteriore attenzione, poiché la scrittura è delicata e trasparente, ai limiti del rarefatto. L’intimità è la caratteristica principale di questo delizioso movimento di trio per archi». (a cura di Fulvia de Colle)

Foto Sara Paolini

musiche di compositori italiani, francesi, spagnoli, ecc. Da qui l’idea del contenuto, che in copertina abbiamo voluto legare alla mia Genova, al suo porto, alla sua ricchezza artistica e storica conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, con un pensiero forte alla tragedia del Ponte Morandi…». Maestro Pieranunzi, ci parlerebbe del suo album dedicato a Chausson? Gabriele Pieranunzi: «L’album dedicato a Chausson per la neonata etichetta Aulicus Classics nasce di fatto dal rapporto che mi lega a Fabrizio Falasca. Lo conobbi pressoché adolescente, a Napoli, e me lo sono ritrovato grande, e vincitore del posto di Assistant Concertmeister alla Philharmonia di Londra, che oltre ad essere una delle compagini più blasonate al mondo, porta sempre con sé le caratteristiche che le hanno trasmesso direttori d’orchestra leggendari come Karajan e Klemperer. Io avevo da anni il desiderio di cimentarmi nel capolavoro di Chausson (il Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi op. 21) e quando Fabrizio mi disse che aveva formato un quartetto d’archi all’interno della Philharmonia Orchestra il tutto si è sviluppato spontaneamente. Mi fa piacere segnalare, a proposito di scuole violinistiche, che il Concerto op. 21 di Chausson fu dedicato al sommo violinista Eugène Ysaÿe, che ne fu anche il primo esecutore. Ysaÿe fu uno dei grandi esponenti della cosiddetta scuola violinistica franco-belga (Thibaud prima e Grumiaux poi ne sono stati eminenti rappresentanti) che è, per caratteristiche di suono e di timbrica, la scuola violinistica più simile a quella italiana. Inoltre, è un mio antico desiderio potermi confrontare con capolavori della musica da camera a volte ingiustamente trascurati, e che hanno solo bisogno di essere riportati alla luce, per brillare. Nel caso specifico, Chausson sta riscontrando molto interesse, quindi la nostra scommessa di registrarlo si è rivelata giusta!». Il grande protagonista del concerto per Musica Insieme è Mozart, del quale ascolteremo i due Quartetti con pianoforte e il Concerto KV 246, pagine bellissime ma di non frequente esecuzione: come li descrivereste al nostro pubblico? Andrea Bacchetti: «Il Concerto KV 246 è un brano giovanile, di carattere gioviale e sereno. La tonalità di do maggiore lo rende scorrevole senza accenti drammatici e fa pensare all’incanto del Mozart bambino-prodigio. Le cadenze sono mie. Ho cercato di “immedesimarmi” col cuore nello spirito mozartiano del concerto per trarne le sensibilità, le sfumature, il carattere, lo spirito che secondo me possono aver ispirato, appunto, il bambino-prodigio. I due quartetti poi sono praticamente come due concerti, dove il ruolo del pianoforte è quasi solistico; essi comprendono assolutamente tutti i caratteri, la teatralità e gli effetti del Mozart “maturo”, quasi ad integrazione del Concerto KV 246. L’ar-


Lunedì 13 gennaio 2020

SERENATE

a otto voci

I solisti della prestigiosa orchestra olandese propongono un programma in cui le sonorità di fiati e archi si fondono, tra eleganza salottiera e freschezza popolare di Elisabetta Collina

«

Un brano esattamente uguale al Settimino di Beethoven». Questa la richiesta fatta nel 1824 a Franz Schubert da Ferdinand Troyer, intendente dell’Arciduca Rodolfo e clarinettista dilettante. Un bel problema per un compositore che, pur contemporaneo di Beethoven, a differenza di quello incarna i gusti di una società assai diversa, anche se già all’epoca del musicista di Bonn la “cameristica” viveva una doppia vita: da un lato la musica aveva raggiunto la complessità richiesta dalle formazioni professionali, dall’altro c’era una vasta produzione per il consumo familiare dei dilettanti, che si divertivano a suonare senza impegnarsi troppo. In questo caso specifico il committente si riferisce proprio a questi ultimi destinatari, e chiede a Schubert una pagina piacevole, utilizzabile da parte di un gruppo di amici che vogliono semplicemente divertirsi insieme secondo un ideale ancora settecentesco. Nelle intenzioni di partenza, quindi, l’Ottetto avrebbe dovuto ricollegarsi, idealmente e formalmente, al genere antico della serenata e del divertimento, e utilizzare un linguaggio semplice e scorrevole, dimentico di ogni tensione armonica o contenutistica. Ma se già Beethoven (nel suo Settimino) era passato dall’imitazione acritica e accademica di un genere alla sua stilizzazione, significativa sotto il profilo dei

CAMERATA RCO

Composta dalle prime parti della Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, la massima compagine sinfonica olandese, la Camerata RCO si esibisce sia in patria, con residenze artistiche a Spaarndam e Dordrecht, che nelle principali sale internazionali, da New York a Minsk, da Tokyo, a Seul, Vienna, Roma e Madrid. Camerata RCO è un ensemble dalle caratteristiche uniche. Così si raccontano i suoi membri: «Amiamo immensamente suonare nella nostra Orchestra, ma vogliamo ampliare questa gioia del fare musica insieme anche esibendoci in ensemble cameristici. Non soltanto il repertorio è differente, ma anche la sensazione del far musica da camera è più personale e intima. Amiamo inoltre stabilire un contatto molto stretto con il pubblico, è uno scambio di energia che ci ispira particolarmente».

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MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 13 GENNAIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

CAMERATA RCO · ROYAL CONCERTGEBOUW ORCHESTRA AMSTERDAM Antonín Dvořák Suite ceca in re maggiore op. 39 (versione per ottetto di archi e fiati) Franz Schubert Ottetto in fa maggiore D 803 per archi e fiati

contenuti e aderente a nuovi gusti sociali, anche Schubert, collegandosi palesemente al modello (talora in modo quasi imbarazzante e persino divertente), nella sostanza ideale stabilisce profonde differenze, che sottolineano il mutato atteggiamento del compositore nell’uso di una forma così arcaica e sfruttata. Certo, sono palesi il senso del “fare musica tra amici”, la scrittura semplice ma mai dimessa, l’eleganza divertente alternata a improvvise malinconie che non raggiungono mai il patetismo; ma altrettanto evidenti sono la coerenza degli elementi tematici, l’alternanza sapiente tra momenti espressivi e umoristici, l’equilibrio interno e l’organizzazione formale perfetta. Nemmeno a dirlo, nella strumentazione, accanto al primo violino prevale il clarinetto; tuttavia, con abilità sopraffina, questo “predominio” non serve solo a mettere in mostra la bravura del committente, ma anche a venare la composizione delle strane inquietudini malinconiche che la caratterizzano. La struttura non presenta le danze stilizzate tipiche del genere (ad esclusione del Minuetto, ormai abituale anche nella musica cameristica più importante) ma è organizzata su brani più complessi di carattere astratto, alternando pagine di serenità pastorale e altre di carattere quasi marziale. Ne risulta quindi una pagina che, seppure tra le più godibili di Schubert, è senz’altro tra quelle che meglio ne rispecchiano il carattere: avrebbe potuto fare la fortuna del disagiato musicista, ma l’origine privata del lavoro ne impedirà la diffusione. L’Ottetto viene infatti pubblicato per la prima volta (mutilato di due tempi per dargli l’aspetto di una sonata) nel 1853, mentre la versione integrale, come op. 166, viene presentata solo nel 1875. E non a caso. È solo


Foto Hans van der Woerd

in quel momento infatti che se ne comprende lo strano spirito nostalgico e lo si considera come antesignano di quella “serenata romantica” che diventerà nelle mani di Brahms e Dvořák un mezzo per favoleggiare idealmente il ricordo nostalgico di un passato perfetto. E non è quindi un caso che ad aprire il concerto sia proprio un brano di Antonín Dvořák, la Suite ceca op. 39 dell’aprile del 1879, eseguita meno di un mese dopo dall’Orchestra Nazionale di Praga e pubblicata dall’editore Simrock, il cui prestigio è definitiva rampa di lancio per il musicista. La Suite segue di poco la pubblicazione delle Danze slave op. 49 (non inganni il numero d’opera successivo: era un vezzo di Simrock predatare e postdatare) con le quali il musicista praghese si colloca sulla linea tracciata da Smetana nella “scuola nazionale boema”, in grado di coniugare la dolce nostalgia della musica slava con le forme consolidate della cultura europea, in una mediazione necessaria per potere avvicinare ed affascinare il pubblico delle sale da concerto del continente. In realtà, Dvořák non usa temi popolari autentici (tranne una citazione nel Furiant che chiude la Suite) ma è abilissimo nella ricostruzione di melodie che del popolare hanno l’andamento ritmico, la struttura armonica e lo “spleen”. Vista più da vicino, è la forma dell’antica suite a essere un modello per il compositore che, nel più autentico spirito barocco, affianca danze e brani di provenienza e sapore differente. Al Praeludium, in realtà una dolce pastorale assomigliante ad una musetta settecentesca, se-

guono danze che guardano alternativamente al popolare (la campestre Polka tripartita) e al colto (l’elegantissimo Minuetto). E prima del ritmico Furiant, che ci riporta in Boemia, Dvořák ha tempo di allargare il suo cuore in una dolcissima e trepidante Romanza in ritmo ternario. La suite è originariamente scritta per orchestra, ma in questa occasione particolare ne ascolteremo un adattamento all’ottetto. Riduzione dell’organico che comunque mantiene intatta la freschezza di queste pagine, in un alterno andirivieni tra antico e moderno, tra piazza e sala da concerto.

DA ASCOLTARE Una dozzina i cd pubblicati dalla Camerata RCO, alcuni dei quali estratti live dalle numerose trasmissioni radiotelevisive alle quali la compagine è regolarmente invitata. Con l’etichetta Gutman Records, la Camerata ha inciso fra l’altro opere di Corelli, Mozart, Mendelssohn, Poulenc, Berlioz e Ravel. Da segnalare la Nona Sinfonia di Mahler in versione cameristica, incisa nel 2014 con il talentuoso direttore spagnolo Gustavo Gimeno, e la registrazione del “pezzo forte” del programma che la RCO eseguirà a Musica Insieme: l’Ottetto di Schubert, pubblicato sempre da Gutman Records nel 2017, con una pittoresca foto di copertina che ritrae eleganti coppie di pattinatori sul ghiaccio, nel puro spirito di divertissement alla moda che diede origine al capolavoro schubertiano.

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Lunedì 27 gennaio 2020

INNO

alla leggerezza

Triplo debutto in Stagione: gli Archi di Santa Cecilia, Avi Avital e uno strumento affascinante come il mandolino, in un prezioso omaggio all’Italia di Luca Baccolini LUNEDÌ 27 GENNAIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

ARCHI DI SANTA CECILIA AVI AVITAL mandolino LUIGI PIOVANO direttore

Foto Zohar Ron

Antonio Vivaldi Concerto in re maggiore RV 93 per mandolino, archi e basso continuo Concerto in do maggiore RV 425 per mandolino, archi e basso continuo Johann Sebastian Bach Concerto Italiano BWV 971 (trascrizione per mandolino e archi di Antonio Piovano) Ottorino Respighi Antiche arie e danze per liuto: Terza Suite Nino Rota Concerto per archi

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Lunedì 27 gennaio 2020

Avi

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a riscoperta della musica vivaldiana è una storia che ha meno di cent’anni. Per riviverla con il piacere del romanzo senza prescindere dalla verità storica si può leggere L’affare Vivaldi di Federico Maria Sardelli (Sellerio), il quale all’abilità del grande narratore unisce l’autorevolezza datagli dal ruolo di responsabile unico del Ryom, il catalogo ufficiale delle opere di Vivaldi. In sintesi estrema: Vivaldi morì a Vienna lasciando debiti ingenti alla famiglia. Costretti dalla necessità dei creditori, gli eredi dispersero il patrimonio; 27 tomi, circa 4.000 manoscritti vivaldiani, approdarono al collezionista Jacopo Soranzo (1686-1750) e alla morte di questi, saltando alcuni passaggi intermedi, si Lo sapevate che arrivò a Giacomo Durazzo Avital si è innamorato (1717-1794), ambasciatore viennese presso la Serenisdel mandolino ancora sima. Parte di questo tesoro bambino, in Israele, finì in dono a un collegio sasentendolo suonare lesiano in provincia di Alessandria. Da lì, alla Biblioda un vicino di casa teca di Torino grazie ad Alberto Gentili (1873-1954), un professore di Storia della musica che era stato chiamato a valutare quel corpus in vista di una vendita. Accortosi della clamorosa opportunità, convinse l’amico Roberto Foà ad acquistare i manoscritti e a donarli allo Stato. Foà accettò purché il Fondo portasse il nome del figlio scomparso nel 1927. Tre anni dopo, con la stessa modalità dedicataria, si com-

I PROTAGONISTI

Gli Archi di Santa Cecilia riuniscono le prime parti dell’orchestra dell’omonima, gloriosa Accademia Nazionale romana. Ospiti per la prima volta del cartellone di Musica Insieme, sono guidati dal musicista che più di ogni altro negli ultimi anni ha rappresentato l’eccellenza di questa prestigiosa compagine nei teatri di tutto il mondo: Luigi Piovano, loro primo violoncello e solista, nonché applaudito interprete, in duo con Sir Antonio Pappano al pianoforte, di un indimenticabile concerto della XXXI Stagione di Musica Insieme. Un doppio debutto – di un interprete, ma anche del suo strumento – sarà quello dell’israeliano Avi Avital, primo solista di mandolino al mondo ad essere nominato per un Grammy Award classico. Avital è stato paragonato ad Andres Segovia e Jascha Heifitz, e più di cento composizioni originali sono state scritte per lui, tra cui il nuovo Concerto di Giovanni Sollima, la cui prima esecuzione è prevista nel 2020.

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pletò la donazione allo Stato grazie all’industriale Filippo Giordano. Sarebbe bastato un incendio, un incidente navale, una perizia tecnica meno lungimirante rispetto a quella di Gentili e oggi il nostro Pantheon musicale annovererebbe Vivaldi alla stregua di un compositore barocco qualunque. Oggi l’oblio cui sembrava condannato Vivaldi lo scontano i compositori italiani nati tra XIX e XX secolo, una generazione lunga che va da Martucci a Ghedini e che colloca il bolognese Respighi come immaginario baricentro. Forse dovranno ancora passare decenni prima che la sua musica voli alla stessa quota dei suoi contemporanei europei. Il destino di Respighi, che pure non morì né povero né in solitudine come Vivaldi (tutt’altro), deve ancora essere benedetto da un nuovo scopritore che plani sulla sua produzione con occhi puri. Ma il XXI secolo è ancora troppo imbevuto di Novecento perché questo succeda. Gli stessi occhi puri con i quali in tre diversi decenni Respighi si cimentò nella riscoperta della musica italiana dei secoli passati, una tendenza che contagiò anche Pizzetti, Malipiero e Casella. Lo shock della Grande Guerra, la necessità di chiudere simbolicamente col (recente) passato, o di rifugiarsi in un altro tempo un po’ più lontano e rassicurante, aveva spinto a cercare nuova linfa nelle partiture del Cinque, Sei e Settecento. Nacquero (anche) così le tre Suites di Antiche arie e danze, tratte da brani per liuto che nulla hanno di filologico o archeologico, ma solo l’intento di ricreare una suggestione estetica dentro un tessuto sonoro raffinatissimo. Respighi salda un debito con l’Italia dopo più di un secolo di egemonia del melodramma, che aveva relegato la musica strumentale ai margini sia nell’ascolto sia nella produzione. Non è un caso che la crisi del teatro musicale italiano, dopo la morte di Puccini, liberi nuovi territori di ricerca anche in rapporto con il mezzo cinematografico, di cui Nino Rota sarà il rappresentante più luminoso, come mostra il suo Concerto per archi in quattro movimenti (196477), un originalissimo punto d’incontro tra il barocco e il soundtrack. Anche Rota, come Respighi, paga ancor oggi il prezzo di essere stato dimenticato per ciò che rappresenta veramente: non (solo) il guitto compositore di colonne sonore, ma il musicista puro, che superata la fase delle neoavanguardie (come Respighi quella delle avanguardie) sforna un catalogo di quasi 200 titoli extra-cinematografici, oggi quasi tutti ancora sconosciuti. È singolare, ma non sorprendente, che all’estero si siano sempre interessati di più alla musica strumentale italiana di quanto non abbiamo fatto noi in quattro secoli di storia. Lo stesso Johann Se-


Foto Musacchio Ianniello

bastian Bach tributa allo stile “italiano” (genericamente inteso, senza andar troppo per il sottile) il Concerto per clavicembalo solo BWV 971, punto di arrivo di anni di familiarità con i lavori di Albinoni, Marcello e Vivaldi, un aspetto che basterebbe da solo a spazzare via sia l’immagine ieratica del Kantor sia il pregiudizio sul carattere “disimpegnato” del concerto all’italiana tutto apparenza e galanteria. Al contrario: Bach ammirava il gioco dialettico “solo-tutti” (che qui rende in maniera mirabile su un solo strumento) e la scansione per andamenti allegro – andante – allegro che conferiva una salda struttura geometrica ai concerti. Un tributo che non avrebbe lasciato indifferente Vivaldi, protagonista in questo appuntamento di due episodi concertistici tra i più avvincenti: il Concerto RV 93 per liuto (o mandolino), con un Largo centrale di rara e struggente bellezza, e il Concerto RV 425 per mandolino, testimone forse dei rapporti strettissimi che il compositore intratteneva con un mecenate ferrarese appassionato di questo strumento, Guido Bentivoglio d’Aragona, che potrebbe essere proprio il dedicatario di questa pagina. Tutto da ascoltare l’ultimo movimento, che prevede gli archi sempre pizzicati, creando così una sorta di “or-

chestra di mandolini” che accompagna il solista con una leggerezza paradisiaca. Leggerezza da intendersi alla Calvino, non data dalla “superficialità” ma dal “non avere macigni sul cuore”.

DA ASCOLTARE

Avital è Artista esclusivo Deutsche Grammophon: cinque i dischi pubblicati, tra cui Vivaldi (2015), vincitore del premio ECHO Klassik, dove compaiono i due Concerti che eseguirà per Musica Insieme. Nel 2017 esce Avital incontra Avital, insieme al contrabbasso e all’oud di Omer Avital, dove il duo esplora la comune tradizione ebraica e fa dialogare classica e jazz. Le trascrizioni dei Concerti bachiani, di pugno dello stesso Avital, sono invece al centro di un cd del 2012, ripubblicato in “extended version” con un live nel 2019, mentre Between Worlds, del 2014, raccoglie un’antologia “cross-over” fra classica e popolare. Da parte loro, gli Archi di Santa Cecilia hanno rilasciato tre cd dalle scelte di rilievo: l’ultimo, del 2017, è dedicato a Morricone, Piovani e Rota, col suggestivo titolo di Cinema per Archi; lo precedono le Serenate di Dvořák e Čajkovskij nel 2016 e una coppia di capolavori schubertiani come l’Arpeggione e La Morte e la fanciulla nel 2014.

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Un pizzico di magia

Foto Guy Hecht

> Intervista > Avi Avital Per la prima volta a Musica Insieme fa la sua apparizione il mandolino: uno strumento caro alla tradizione del nostro Paese, che gli ha dato i natali. A parlarci del suo personalissimo rapporto con questo strumento è Avi Avital, massimo interprete mondiale del repertorio classico, al suo debutto bolognese. Cosa le ha fatto scegliere il mandolino come “suo” strumento? «A otto anni ho voluto iniziare a suonare il mandolino perché uno dei miei vicini lo suonava, ed era praticamente il primo vero strumento (non un giocattolo) che potevo vedere, sentire e toccare da vicino. Ricordo che il legame con il mandolino fu immediato. Come qualsiasi strumento a corde pizzicate, è molto intuitivo: c’è una corda, la pizzichi con le dita o con un plettro e il suono esce. Per un bambino tutto questo è assolutamente magico e molto più immediato di qualsiasi strumento ad arco o a fiato». Come presenterebbe al nostro pubblico la personalità di questo strumento e il suo particolare suono? «L’Italia è il luogo di nascita del mandolino, tuttavia non stento a immaginare che la maggior parte degli ascoltatori assisterà per la prima volta a un concerto di mandolino classico. È un grande privilegio poter offrire in una sala da concerto qualcosa che da una parte tutti conoscono, ma allo stesso tempo quasi nessuno ha mai sentito prima. Eseguirò capolavori di Vivaldi e Bach, e spero di poter offrire una nuova esperienza di ascolto a questa musica ben nota interpretandola con il mandolino». Qual è la relazione tra mandolino e repertorio classico? «La storia della musica ha sempre considerato il mandolino come uno strumento amatoriale. Solo pochi brani “classici” furono scritti dai più famosi compositori: Vivaldi, Scarlatti Mozart, Beethoven ad esempio hanno scritto per mandolino, ma rispetto agli altri lavori questi pezzi costituiscono una minoranza, per quantità e importanza, nell’ambito della loro produzione. Per questo ho

eseguito molti arrangiamenti di pezzi scritti per altri strumenti, pensando che avrebbero assunto magari un ulteriore valore artistico se eseguiti sul mandolino. Dedico anche gran parte della mia attività a promuovere l’ampliamento del repertorio mandolinistico. Finora ho presentato in prima mondiale 100 pezzi, tutti scritti negli ultimi 20 anni. Il brano numero 101 sarà un concerto di Giovanni Sollima, che eseguirò nel gennaio 2020 con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino». Quando pensiamo al suono del mandolino, viene subito in mente il folklore. Come percepisce il rapporto tra musica classica e popolare attraverso il mandolino? «Questo tema mi ha sempre incuriosito, a causa della natura del mio strumento, che è poi la natura della grande famiglia di strumenti popolari a corde pizzicate (come bouzouki, balalaika, sitar, oud, kora, banduria e altri), ma anche per il mio amore per i più diversi generi musicali. In particolare, adoro i compositori che hanno scritto musica “per sala da concerto” ispirata al loro stesso folklore, come Bartók, de Falla, Villa Lobos, Piazzolla, e persino Dvořák e Ravel. C’è un enorme potenziale artistico in tutto questo, molti spunti che si possono usare suonando il mandolino – in fondo, sono tutti dialetti della stessa lingua». Lei è il primo mandolinista nella storia ad aver vinto il prestigioso Concorso israeliano Aviv nel 2007 e ad essere stato nominato ad un Grammy Award per la musica classica. Che effetto le fa aver generato questo “rinascimento” del mandolino? «I riconoscimenti e i premi sono sempre lusinghieri, e sicuramente aiutano nella carriera, ma non ho mai dato loro grande importanza. L’essenza del mio lavoro non è avere successo, è servire le persone con l’arte. Credo davvero che l’arte sia fondamentale per una società sana ed empatica e che vivremmo tutti in un mondo migliore se ognuno di noi leggesse più libri, andasse più spesso al museo e ascoltasse più musica. L’arte funziona con l’immaginazione, e se la tua immaginazione ha modo di svilupparsi, puoi capire come si sentono le altre persone intorno a te e hai più strumenti per gestire situazioni complesse. Se la dedizione al mio lavoro è servita a portare più persone a concerto e ha ispirato altri bambini ad iniziare a suonare il mandolino, ne sono molto felice». (a cura di Riccardo Puglisi)



Lunedì 10 febbraio 2020

CLASSICI

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All’insegna della lievità e della danza il programma che segna il debutto a Musica Insieme della storica Camerata austriaca e della “sua” solista di Maria Chiara Mazzi

ra gli ultimi trent’anni del Settecento e i primi venti del secolo successivo, ovvero l’epoca di composizione dei brani in programma, l’ascesa di una nuova classe di consumatori musicali, i borghesi accanto agli aristocratici, porta a cambiamenti non solo nella società, ma anche nel modo di fruire della musica strumentale. Da un lato infatti si afferma ormai in tutta Europa il concerto pubblico, a cui si assiste pagando un biglietto d’ingresso, ma dall’altro aumenta il numero dei dilettanti che, ben diversi ormai da quelli delle epoche precedenti, vogliono godere della musica a casa propria, sia attraverso brani appositamente composti che attraverso trascrizioni di opere o sinfonie. Tutto questo mentre,

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divertimenti

ancora, sia prima che dopo la rivoluzione francese, i nobili mantengono a casa loro piccoli gruppi o vere e proprie orchestre per gustare privatamente della musica come sottofondo alle loro attività. Alle esigenze di questi diversi tipi di consumatori si attagliano pagine come quelle in programma, di autori che hanno vissuto in prima persona il cambiamento e hanno saputo a tal punto aggirare l’ostacolo da consentirci, oggi, di godere di queste pagine in un contesto diverso da quello originario senza perdere nulla del loro valore estetico intrinseco. Le pagine schubertiane in programma nascono per una fruizione privata, destinate all’intrattenimento (le Danze Tedesche) o alla “ricerca” (il


CAMERATA SALZBURG VIVIANE HAGNER violino GREGORY AHSS maestro concertatore

Franz Schubert Cinque Danze Tedesche, Sette Trii e una Coda D 89 per archi Wolfgang Amadeus Mozart Concerto n. 5 in la maggiore KV 219 per violino e orchestra – Alla Turca Franz Schubert Rondò in la maggiore D 438 per violino e archi Franz Joseph Haydn Sinfonia n. 43 in mi bemolle maggiore Hob. I:43 – Mercurio

Rondò). Le prime confermano la vocazione di Schubert per la musica da ballo (testimoniata dalle collane di Ländler, Marce e Valzer per pianoforte a due e a quattro mani). Scritte nel 1813 – il musicista ha 15 anni – per celebrare qualche avvenimento festivo o per semplice diletto per i

Foto Timm Kölln

LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

collegiali dello Stadtkonvikt (il collegio per borghesi di Vienna), si impongono all’ascolto per la spiccata e aggraziata invenzione melodica e la freschezza ritmica e, come scriverà una rivista qualche decennio dopo, «molto più di un delizioso documento di costume, ci testimoniano la vita viennese di inizio Ottocento e la sua spensieratezza appena venata da un accenno di sentimentalismo da cui è ancora lontana la temperie romantica». Anche il Rondò (in realtà un Adagio e Rondò), pur nella sua concezione solistica è un brano che non ha come obiettivo un pubblico, ma era destinato al fratello Ferdinand per una esecuzione privata. Composto nel 1816, verrà pubblicato da Breitkopf & Härtel solo nel 1897, postumo, perché considerato brano di ricerca, nel quale l’autore vuole esplorare le possibilità dello strumento ad arco e quelle della forma concertante, che poi abbandonerà per sempre. Certo, non manca il virtuosismo del solista, sia nella parte cantabile che in quella brillante, ma quella che si impone all’ascolto è soprattutto la piacevole colloquialità che ribadisce del pezzo la destinazione originaria. Concerto di Mozart e Sinfonia di Haydn hanno anch’essi all’origine una destinazione privata,

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Lunedì 10 febbraio 2020

I PROTAGONISTI

La Camerata Salzburg, compagine fondata nel 1952 al Mozarteum di Salisburgo sotto la guida di Bernhard Paumgartner, vanta una carriera costellata di successi, con i più grandi solisti del mondo, da András Schiff a Dietrich Fischer-Dieskau, da René Jacobs a Joshua Bell, Murray Perahia e Fazil Say. Il repertorio della Camerata si concentra soprattutto sul classicismo viennese, come testimonia il programma del concerto, da Haydn a Mozart e Schubert, in cui la compagine è affiancata da una straordinaria solista: Viviane Hagner. Dal suo debutto, appena tredicenne, insieme ai Berliner Philharmoniker diretti da Zubin Mehta, la violinista tedesca ha calcato i palcoscenici più prestigiosi del mondo, insieme a orchestre di primo piano, come Chicago Symphony, New York Philharmonic e Leipzig Gewandhaus, diretta da Abbado, Ashkenazy, Barenboim, Chailly e Maazel.

anche se il privato pre-rivoluzionario è quello dei nobili e dei principi (arcivescovi o meno) d’Europa. I cinque Concerti per violino e orchestra di Mozart, composti tra l’aprile e il dicembre 1775, sono destinati al primo violino dell’orchestra della Corte di Salisburgo: mentre i primi quattro sono quasi più “divertimenti con violino obbligato” che non concerti per esaltare le doti del virtuoso, il Concerto n. 5 cambia le prospettive e

DA ASCOLTARE

L’onnivora curiosità di Viviane Hagner si esprime in una discografia che ne mostra l’apertura verso il nuovo, accanto al già ricco repertorio per il suo strumento. La sua registrazione più recente, per Hyperion, comprende i Concerti per violino e orchestra n. 4 e n. 5 di Vieuxtemps, mentre per l’etichetta canadese Analekta ha interpretato il Concerto per violino della compositrice sudcoreana Unsuk Chin, con la direzione di Kent Nagano e la Montreal Symphony Orchestra. Infine, la sua edizione per Capriccio del brano TiefenRausch di Christian Jost con la Essen Philharmonic diretta dallo stesso autore ha ricevuto gli unanimi consensi della critica. Dall’alto dei suoi oltre sessant’anni di storia, la Camerata Salzburg annovera oltre sessanta registrazioni, premiate con ambitissimi riconoscimenti. Da segnalare fra tutte le due edizioni complete dei concerti per pianoforte e orchestra di Mozart realizzate con Géza Anda e András Schiff per Decca, e le Serenate e Divertimenti di Mozart diretti da Sándor Végh.

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spicca per le sue ampie proporzioni e l’originalità dell’approccio formale, dove la qualità e la quantità delle idee musicali condizionano la struttura interna. L’autore cancella ogni “maniera” e, pur valorizzando le possibilità tecniche dello strumento, preannuncia già quella dialettica tra le componenti che sarà tipica dei suoi ultimi capolavori nel genere. La rivoluzione è appena accennata nel primo movimento, sembra rientrare nel secondo, ma esplode in tutto il suo potenziale nel terzo, un Tempo di Minuetto al posto del consueto Rondò. Nella prima e nella terza parte del Minuetto il gusto è ancora quello dell’Ancien Régime, ma nel Trio si scompaginano le carte: irrompe infatti quella musica “turchesca” (o “ungherese”…) che all’epoca invadeva i salotti e i teatri alla moda trasformando questa sezione in una farsa caricaturale fuori da ogni convenzione, che però convive in mirabile continuità all’interno di un minuetto che poi riemergerà alla fine del brano. Anche la quasi totalità delle sinfonie di Haydn è destinata all’orchestra di una corte, quella del principe di Esterházy, fatto questo che ne determina struttura, stile e organico, anche se il musicista riesce sempre a connettere le esigenze private del committente con la propria volontà di esplorazione e di ricerca e il proprio impegno intellettuale. Come nella Sinfonia n. 43, composta nel 1771, il cui sottotitolo Mercurio (non originale) vuole sottolineare la leggerezza e il disimpegno apparente di fronte a lavori quasi coevi e più vicini ad uno spirito “Sturm und Drang”. Pur nell’organico ridotto, il primo tempo mostra una brillantezza gentile che non rinuncia mai all’elaborazione; ad esso seguono poi un dolce secondo movimento e un Minuetto più simile ad una danza campestre che non a un ballo di corte. La felicità sonora esplode infine nel movimento conclusivo, anche se nella coda, là dove i violini fanno udire solo per un attimo un’increspatura cromatica, Haydn sembra presagire le inquietudini che stavano per oscurare la felice serenità di un mondo disimpegnato del quale si stava ormai avvertendo la fine.

Lo sapevate che a soli tredici anni Viviane Hagner ha partecipato al leggendario concerto congiunto delle Filarmoniche di Israele e di Berlino, dirette da Zubin Mehta


La gioia della musica Parlando con la violinista tedesca al suo debutto per Musica Insieme riscopriamo l’entusiasmo di chi ha fatto della musica un percorso di condivisione e di crescita, con generosità e passione. Benvenuta a Bologna! Ha bei ricordi dell’Italia e in particolare della nostra città? «Adoro l’Italia, profondamente. I miei ricordi più belli sono a Milano, una splendida città, con l’Orchestra Mozart e il carissimo e insostituibile Claudio Abbado, e a Perugia, dove sono stata premiata dalla Fondazione Borletti Buitoni nel 2008. L’Italia è un Paese in cui l’amore per la musica e per la cultura si tramanda di generazione in generazione. Sono molto emozionata all’idea di tornare a Bologna, che amo molto per la sua bellezza e il calore delle persone che vi ho incontrato». Lei ha iniziato a studiare musica e a suonare in tenera età insieme a sua sorella. A quanti anni ritiene che i bambini debbano iniziare a suonare uno strumento? «Ogni bambino che sia naturalmente dotato o predisposto all’apprendimento della musica, dovrebbe iniziare subito, durante i primi anni di vita. L’abilità di assorbire, sviluppare e dare forma alla sensibilità musicale infatti ha un potenziale significativamente maggiore all’età di tre o quattro anni. Nel percorso verso l’età adulta, per contro, tante esperienze possono aver già contribuito a erigere una barriera invisibile contro la piena e spontanea percezione della musica». Da artista appassionata e engagée, lei si dedica personalmente a numerose attività di sensibilizzazione, come presentare la musica negli asili e nelle case di riposo. Come sono nati questi progetti? «È accaduto tutto in modo naturale, ed io sono sempre stata molto motivata dal desiderio di “restituire” ciò che il destino ha dato a me. La condivisione è la chiave e la finalità delle mie azioni». Il suo concerto farà parte della nostra rassegna “Musica per le Scuole”, dedicata agli studenti delle scuole superiori, con lo scopo di avvicinare i più giovani all’amore per la musica. «Le organizzazioni musicali dovrebbero interagire al massimo con le scuole e con la formazione in generale per implementare non solo una conoscenza passiva della musica, ma soprattutto una percezione attiva, attraverso l’esperienza costante

della “creazione della musica”, a livello professionale e non. Grazie a un continuo, illimitato ascolto “attivo” di professionisti ed artisti, come fa Musica Insieme, è possibile secondo me piantare il seme di una coscienza musicale solida, che si tramanderà di generazione in generazione, per divenire – mi auguro – la quotidianità nel processo di crescita dei giovani». Mozart e Schubert sono i protagonisti del programma che porterete a Bologna. Come descriverebbe al pubblico questi brillanti brani della tradizione viennese? «Mozart e Schubert sono i pilastri della tradizione classica, quelli che hanno dato vita al concetto attuale di “armonia”. Ma si sono spinti anche oltre i propri limiti, alla ricerca di forme diverse ed evidenziando anche un segnale di cambiamento di mentalità. All’epoca i compositori scrivevano per un pubblico esiguo ma, gradualmente, iniziarono a rendersi conto che la loro musica raggiungeva un numero sempre più elevato di persone. In questo modo la loro “eredità” è arrivata fino a noi, attraverso la modalità di ascolto pubblico, che dovremmo sicuramente incrementare con tutti i mezzi a nostra disposizione». La Camerata Salzburg è una vera “esperta” del classicismo viennese: in che modo è iniziata la vostra collaborazione e come descriverebbe la personalità di questo ensemble? «La Camerata Salzburg è il simbolo stesso del classicismo viennese nel suo significato più puro, sia per “corredo genetico” che per un’innata propensione verso questo repertorio. Hanno nel sangue il senso dell’essere artisti e testimoni di una filosofia che ha segnato la storia. La nostra collaborazione ha avuto inizio alla fine degli anni Novanta, ed è sbocciata col tempo. Sempre più le nostre collaborazioni rispondono a un’ottica comune: unire la nostra esperienza professionale ed emotiva alla gioia di continuare ad imparare insieme». (a cura di Carla Demuru)

Foto Timm Kölln

> Intervista > Viviane Hagner


Lunedì 24 febbraio 2020

LA RUSSIA nel cuore

Attesissimo il ritorno a Bologna del più acclamato pianista russo, impegnato a rileggere i capolavori dei suoi autori preferiti di Nicolò Corsini

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a sempre l’uomo cerca di esercitare quella facoltà primigenia che consiste nel dare un nome alle cose. Una facoltà che come ogni cosa nasconde un rovescio della medaglia, risultante dalla sua usura: il pregiudizio. In campo musicale, individuare generi, correnti, stili, scuole è un’azione fondamentale, poiché non esiste La Musica, ma esistono tante musiche, sicché un’operazione superficiale volta ad evidenziare esclusivamente i tratti generali di un artista rischia di consegnarcene, più che un’immagine, una caricatura. Il filo conduttore che questo programma ci presenta è legato alla madrepatria dei compositori: la Russia. Subito il nostro ascolto si orienta: grande attenzione verso la melodia, ampio ricorso alla tradizione folkloristica, pathos, dato di volta in volta dai tratti del romanticismo o da ritmi dispari, incalzanti se non ossessivi. Caratteristiche indubbie, che non devono però privarci dello stupore che composizioni tanto diverse meritano. Indiscutibile padre spirituale della scuola russa è Čajkovskij, che qui troviamo nella sua veste più intima e introspettiva. Scritte nell’autunno del 1875, durante la stesura dell’orchestrazione del Lago dei cigni e dell’opera Francesca da Rimini (che certamente destavano in lui maggiori preoccupazioni), Le Stagioni furono figlie di una commissione dell’editore Bernard, per la rivista musicale di San Pietroburgo Nouvelliste. Un ciclo, col numero d’opus 37, di dodici brani caratteristici per piano-

LUNEDÌ 24 FEBBRAIO 2020 ORE 20.30 TEATRO AUDITORIUM MANZONI

DENIS MATSUEV

pianoforte

Pëtr Il’ič Čajkovskij Le Stagioni op. 37b Sergej Rachmaninov Variazioni su un tema di Corelli op. 42 Sergej Prokof’ev Sonata n. 7 in si bemolle maggiore op. 83

forte “ispirati a tenerissima e sognante malinconia”, dove il sottotitolo è indicativo del carattere della raccolta. La versione denominata op. 37b (che presenta qualche leggera variazione, ma non ne altera la sostanza) vedrà un titolo più neutro: “12 pezzi caratteristici su epigrafi liriche di vari autori”. I brani erano stati inviati all’editore una volta al mese, sulla falsariga di quanto già avveniva per i romanzi d’appendice. A questi l’editore aveva fatto precedere delle piccole epigrafi da diversi autori:

Lo sapevate che all’età di tre anni, dopo aver ascoltato una melodia alla televisione, Matsuev riusciva a riprodurla fedelmente al pianoforte con un dito


in Novembre, sulla Troika ad esempio, si legge “Non guardare con timore al cammino e non ti affrettare dietro alla Troika. Affrettati invece a spegner per sempre l’angoscia che alberga nel tuo cuore.” Brano, questo, tanto caro a Rachmaninov che spesso lo eseguì come bis. Apprezzato da certa critica più come virtuoso che come compositore per la sua incrollabile fedeltà al romanticismo, in realtà Rachmaninov non teme confronti con altri compositori della sua epoca. Ma bisogna partire da un presupposto diametralmente opposto rispetto a uno Schoenberg, o a Reger, Ravel o Skrjabin: tutti artisti che hanno cercato di innovare il mondo della musica, allargandone gli orizzonti armonici. L’approccio compositivo di Rachmaninov era quello invece di un romantico, legato alla musica di effetto e più vicina al pubblico. Come possiamo leggere questa affermazione senza pregiudizio? Non un conservatore, per quanto reazionario e critico, ma, incarnando lo spirito del vero artista, obbediente all’invenzione, che, a partire da una tecnica padroneggiata ai massimi livelli, può permettersi di suonare ciò che vuole. Un pianista dunque che ha bene in mente che tipo di musica vuole suonare, senza addentrarsi in quelli che sarebbero stati per lui vicoli chiusi, gabbie progressiste. Sulle sue Variazioni su un tema di Corelli op. 42 per le quali nutriva un severo giudizio, raccontò al collega Nikolaj Medtner di come nella sua esperienza di interprete non fosse stato in grado di presentarle mai integralmente, poiché aveva adottato come criterio di ordine di esecuzione i colpi di tosse del pubblico: al loro aumentare sarebbe passato alla variazione successiva. Dedicate al celebre violinista e amico Fritz Kreisler – da qui la scelta di aver pensato a Corelli, benché il tema della Folia sia ben più antico – le Variazioni hanno come padri spirituali Chopin e Liszt, ma non mancano idee armonicamente ardite, perfino atonali, a voler sottolineare come la buona musica riesca ad abbracciare ogni tempo. Ben altre preoccupazioni agitavano Prokof’ev nella stesura della Sonata n. 7. Qui non c’è romanticismo, né alcuna velleità, ma pura materialità sonora: arte a servizio della realtà. Composta tra il 1939 e il 1942, è al centro del trittico delle Sonate di guerra. Come spesso accade, eventi terribili possono fungere da detonatore per la sensibilità e la prolificità di un artista: nello stesso periodo Prokof’ev terminò la stesura dell’opera Guerra e pace e iniziò a scrivere le musiche per il film Ivan il Terribile di Ejzenštejn. Nel primo movimento, Allegro inquieto, abbiamo una trasfigurazione della forma-sonata, nervosa e dissonante. La critica dell’epoca vide in essa “la lotta di un’intera nazione contro l’invasore”, evidenziata dal primo tema in tempo di marcia, e contro

DENIS MATSUEV

Con il trionfo nel 1998 al Concorso internazionale “Čajkovskij” di Mosca, a soli 23 anni Denis Matsuev viene proiettato nell’Olimpo dei grandi pianisti: da allora ha suonato con le orchestre più celebri, dalla Los Angeles Philharmonic alla Royal Concertgebouw Orchestra, dalla Leipzig Gewandhaus Orchestra alla Filarmonica della Scala, diretto tra gli altri da Gergiev, Temirkanov, Mehta, Järvi, Pappano. Oltre a partecipare ai più importanti festival internazionali, ne ha fondati due: “Stars on Baikal” in Siberia e “Crescendo”, dedicato ai talenti emergenti. Professore Onorario dell’Università di Mosca, è membro del Consiglio Presidenziale per la Cultura e le Arti della Federazione Russa. È Presidente della Fondazione “New Names” che sostiene e diffonde l’educazione musicale dei bambini. Nel 2014 è stato nominato ambasciatore UNESCO e nel 2019 è stato premiato con la Medaglia d’Oro “Lev Nikolaev” per il suo significativo contributo alla divulgazione della scienza e della cultura.

l’ingiustizia. Con il secondo tema, più lirico ma anche più sospeso, capiamo il perché dell’aggettivo “inquieto”. Il secondo movimento, Andante caloroso, prova a ricordare i giorni di pace: non è che un breve riposo prima di ripiombare nel vortice del terzo movimento, Precipitato, dove coesistono echi blues, atonalità, ostinati e poliritmia. La tecnica non è mai fine a se stessa, ma impregnata di materia significativa. Un pugno allo stomaco, verso chi giustifica ogni forma di guerra.

DA ASCOLTARE Imponente come il suo pianismo la discografia di Denis Matsuev, anche se ci limitiamo agli ultimi anni della sua instancabile attività: nel 2016, per chi volesse prepararsi all’ascolto del suo recital per Musica Insieme, la EuroArts ha pubblicato un dvd con le amatissime Stagioni di Čajkovskij, insieme alla Kreisleriana di Schumann e ai Trois Mouvements de Pétrouchka di Stravinskij. Sempre per restare fra gli autori in programma a Bologna, ecco Rachmaninov e Prokof’ev, i rispettivi Secondi Concerti per pianoforte pubblicati nel 2018 con l’Orchestra del Mariinskij diretta da Valerij Gergiev. Sempre l’etichetta del Mariinskij ha rilasciato anche un’edizione in vinile del Terzo Concerto di Rachmaninov e della sua Rapsodia su un Tema di Paganini, con la stessa squadra vincente. Per cambiare un poco registro, nel 2016 Rhapsody si concentrava su un’antologia di Ravel, Chabrier, Gershwin e Liszt con la direzione di Mariss Jansons e la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks (BR Klassik).

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Missione possibile > Intervista > Denis Matsuev È noto a tutti l’impegno del celebre pianista russo per portare la cultura e la musica al primo posto, sia nelle politiche culturali del suo paese che per le nuove generazioni di talenti. Ambasciatore di Buona volontà UNESCO, è a capo del Consiglio del Ministero della Cultura della Federazione Russa e nominato “Artista del Popolo”, oltre che Professore Onorario dell’Università Statale di Mosca. Dalle sue parole emerge come egli concepisca il ruolo di musicista come una vera e propria missione a cui, nonostante i mille impegni, non vuole assolutamente sottrarsi. Maestro Matsuev, lei è Presidente della fondazione benefica “New Names”, che fino ad oggi

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ha permesso a oltre 10.000 bambini russi di dedicarsi allo studio della musica. Dato che lei stesso è stato da bambino uno dei talenti aiutati da questo ente, ci spiega come la sua personale esperienza l’ha guidata in questo ruolo? «Il mio ruolo è quello di seguire l’impostazione voluta dalla fondatrice Yvetta Nikolaevna Voronova, venuta a mancare nell’aprile 2013: andiamo in cerca di giovani talenti per tutta la Russia, diamo loro la possibilità di iscriversi a scuole di musica, compriamo loro gli strumenti, organizziamo corsi estivi e masterclass e, cosa molto importante, permettiamo loro di esibirsi sui palchi più prestigiosi con orchestre e solisti già affermati. È stato quindi grazie alla Fondazione che io stesso ho iniziato a esibirmi in tour sin da bambino: ho suonato al Quartier generale della Nato, a Buckingam Palace, alle Nazioni Unite e alla Carnegie Hall e mi è capitato di suonare davanti alla Regina Elisabetta e al Papa. E in quel momento ho capito che la musica sarebbe potuta diventare la mia professione. Dal 2008 sono a capo della Fondazione e ora sono io ad aiutare nuovi talenti e a sostenerli. Le possibilità che un giovane musicista ce la faccia da solo sono davvero minime, così come purtroppo ci sono pochissime persone preparate che siano disposte a investire soldi e tempo in giovani talenti senza sapere se questi un giorno sfonderanno o meno. Nel 2005 ho anche fondato il Festival “Crescendo” e portato molti giovani musicisti ad esibirsi; abbiamo dimostrato che la scuola musicale russa è tutt’altro che morta, infatti se fate attenzione ai cartelloni delle più prestigiose sale internazionali vedrete che oltre il 90% dei musicisti russi della mia generazione e più giovani provengono da “New Names” e dal Festival “Crescendo”, così come gli ultimi artisti che si sono laureati al Premio “Čajkovskij”». Quale pensa sia stato il più importante insegnante della sua vita, non solo dal punto di vista musicale? «Prima di tutto, lo è il contatto con la musica che suono, dal momento che penso che se un musicista non ama la musica che sta eseguendo, non può suonare in modo convincente. Credo poi che il pubblico sia fondamentale allo stesso modo: è il


critico più importante, che ha sempre ragione. Per me è inoltre importante salire sul palcoscenico: è il posto in cui mi sento assolutamente felice, non c’è vita per me senza palcoscenico. E oggi niente è cambiato da quando ero bambino, quando lasciarmi suonare era il più bel regalo che potessero farmi». Lei è anche Ambasciatore del suo Paese nel mondo e Ambasciatore UNESCO; crede che la musica classica possa inserirsi positivamente in un momento così delicato per la politica internazionale, e se sì, in che modo? «La musica classica è come un lenitivo per tutti coloro che soffrono, e sono fermamente convinto che possa aiutare a risolvere tutti i conflitti e le incomprensioni a cui oggi assistiamo nella politica internazionale. E questo lo so per certo, dal momento che l’ho visto con i miei occhi durante i concerti in Israele con Zubin Mehta, in cui Ebrei e Arabi sedevano insieme nello stesso teatro. E io mi sento l’uomo più felice del mondo perché posso parlare il linguaggio più universale al mondo: il linguaggio della musica». Ci presenta il programma che eseguirà per Musica Insieme? «Amo questo programma, è uno dei miei preferiti in assoluto, tutto dedicato a opere di compositori russi. Rachmaninov e Prokof’ev sono grandi termini di paragone per me, sia come autori che come pianisti, quindi non posso non dedicare una parte del concerto a questi due straordinari artisti del Novecento; infine Čajkovskij, il nostro genio russo con i suoi meravigliosi schizzi musicali sulla natura e le stagioni: egli è la personificazione della cultura russa». Che ricordi ha del pubblico italiano? «Adoro tenere concerti in Italia, mi sono già esibito in varie città con molte orchestre italiane, per esempio con Santa Cecilia e con l’Orchestra della Scala, sotto la guida di Lorin Maazel, Antonio Pappano, e con Zubin Mehta e il Maggio Musicale a Firenze. Io amo l’Italia e la sua cultura. Ogni posto in Italia è un’opera d’arte, adoro il cibo italiano, i teatri, le opere, i cantanti e il pubblico che è particolarmente aperto e amichevole». Oltre a partecipare come ospite ad importanti festival internazionali come “Stars on Baikal”, cosa la ha spinta a fondarne altri due? Ci parla del clima particolare che si respira in occasione di questi eventi? «Il Festival “Stars from Baikal” per me e per i miei ospiti è un evento unico: quelli che ne escono sono concerti in un’atmosfera magica, chiunque sia stato qui può darmi ragione. Grazie al festival, siamo riusciti a far rivivere la tradizione di questa terra. Le persone con cui colla-

boro sono le stesse da anni, tra noi si respira un forte clima di squadra, quando siamo insieme sul palco io sento una potenza e una forza straordinaria. Ho invitato al festival i miei amici, alcuni famosi come Valerij Gergiev, Yuri Temirkanov, Yuri Bashmet, ma anche musicisti più giovani. Mescoliamo programmi e opere di differenti stili, suoniamo musica jazz, organizziamo masterclass, e tutti hanno la possibilità di percepire la particolare ospitalità siberiana e incontrare persone meravigliose che vivono a Irkutsk; ci sono sempre moltissimi turisti da ogni parte del mondo, anche dall’Italia, che arrivano appositamente per questo evento». Da tanti anni collabora con la Fondazione “Sergej Rachmaninov”. Ci parla di questa esperienza? «Dopo un mio recital a Parigi, Alexander Borisovič Rachmaninov, nipote del compositore, è venuto da me e mi ha detto che se promettevo che

«Oggi niente è cambiato da quando ero bambino, quando lasciarmi suonare era il più bel regalo che potessero farmi» avrei smesso di fumare mi avrebbe fatto un regalo (il fumo è una questione molto delicata per la sua famiglia, dal momento che Sergej Rachmaninov era un gran fumatore e morì di cancro ai polmoni). Quindi, ho accettato di smettere e ho chiesto quale fosse il regalo: mi affidò due pezzi inediti di Rachmaninov, Suite e Fuga, inediti perché il Maestro aveva mandato gli spartiti a Čajkovskij per avere la sua opinione, ma vennero persi dalla segretaria e ritrovati solo nel 2010 dal personale del Museo Glinka. Quindi, non solo ho avuto l’onore di ricevere questa musica originale, ma anche di suonarla sul pianoforte che era appartenuto al grande compositore nella sua villa a Senar, in Svizzera. In seguito, sono diventato il direttore artistico della Fondazione “Rachmaninov” che ha sede nella villa di Senar: un luogo unico, con arredi autentici e un immenso archivio di manoscritti, oltre al pianoforte, un vero museo in cui tenere concerti, masterclass, festival, concorsi per bambini e giovani musicisti, le cui porte siano aperte a tutti». (a cura di Cristina Fossati)

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Per leggere / di Chiara Sirk

Piero Mioli (a cura di) Suoni per lemmi. Su dizionari e lessici d’argomento musicale

(Patron, 2019)

Il volume, pubblicato da Patron (2019, 195 pagine), fa parte della collana degli Atti di una giornata di studio promossa dall’Accademia Filarmonica di Bologna. Sotto la cura di Piero Mioli la pubblicazione affronta un tema a prima vista ostico, ma scorrendo l’opera il lettore avrà occasione di ricredersi. Cosa abbia acceso l’interesse per tutto questo lo spiega il curatore nell’Introduzione: «Nel 2017 ricorreva il 250° anniversario della pubblicazione del Dictionnaire de musique, dove un filosofo illuminista di spirito formativo-divulgativo come Rousseau si associa alle coeve “storie” della musica di Burney e Hawkins». Quell’operazione ebbe un esito felice, che perdura fino ai giorni nostri. Ci sono opere “enciclopediche” e innumerevoli dizionari specifici, dedicati solo ad un genere musicale, ad uno strumento, ad un compositore, ai luoghi della musica, agli archivi sonori. Le tipologie e gli argomenti sono innumerevoli, il lettore ne troverà una cospicua scelta nella pubblicazione. Quindi si tratta di un filone di studio che ha goduto e continua a godere di una sua specifica fortuna, con scrupolosi autori, disponibili editori e un buon numero di lettori. L’anniversario ha offerto la possibilità di indagarlo con esiti veramente interessanti.

Roberta Pedrotti Storia dell’opera lirica. Un immenso orizzonte. Dalle origini ai giorni nostri

(Odoya, 2019)

«Fra le arti performative – vale a dire le arti che possono essere fruite solo tramite un interprete, che esigono un intermediario fra il segno lasciato dal creatore e la percezione del pubblico – il melodramma è una delle più complesse» scrive Roberta Pedrotti introducendo la sua ultima fatica, il volume Storia dell’opera lirica. Un immenso orizzonte. Dalle origini ai giorni nostri, di recentissima uscita per l’editore Odoya. Nelle 288 pagine che lo compongono, l’autrice, cui si deve il notevole saggio Le donne di Gioachino Rossini, già segnalato in questa rubrica, affronta una nuova e ben più ardua sfida: raccontare il mondo del melodramma, dalle origini al Novecento. Pedrotti ha l’apprezzabile dono della sintesi, senza, però, che la trattazione appaia troppo frettolosa. Anzi, dato che il melodramma convive pienamente con il mondo in cui nasce, con il suo pubblico, con la critica, la cultura coeva e dei secoli che seguiranno la “prima”, numerosi sono i riferimenti alla società, agli intellettuali, alle vicende storiche. Tutto è scritto con una prosa che scorre piacevole e veloce nella lettura. Completa il volume un utile glossario, un epilogo con consigli per il neofita, un utilissimo indice. L’opera ha la Prefazione di Azio Corghi e una Premessa di Francesco Lanzillotta. 58

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PARLARE,

anzi cantare Tre libri preziosi intrecciano musica e linguaggio: dalle conversazioni fra un direttore e uno scrittore a una nuova storia dell’opera, a una panoramica sulle parole della musica È bello poter scrivere che Assolutamente musica di Haruki Murakami e Seiji Ozawa, appena pubblicato da Einaudi (2019, 303 pagine) è assolutamente da leggere, e, per chi scrive, è un libro piacevole, ricco di curiosità, in cui si trovano una miriade di riflessioni profonde condite da una giusta dose di ironia. Non solo: è la testimonianza di un’amicizia tra due grandi personalità, la prima nel mondo della letteratura, la seconda in quello della direzione d’orchestra. Una vera amicizia ha i suoi tempi, e se Murakami aveva spesso incontrato Ozawa, quasi mai insieme affrontavano l’argomento “musica”, perché il maestro si dedicava in modo totale alla direzione e, nel tempo libero, preferiva conversare d’altro. Poi la malattia del direttore, un lungo periodo di riposo e i due hanno incominciato a parlare di musica, di cui anche lo scrittore è assai appassionato. Le loro conversazioni erano così ricche e vivaci che ha preso forma l’idea di una loro possibile pubblicazione e sono diventate questo volume che ha moltissimi pregi, ma la scrittura conserva l’originale stile colloquiale. È uno stile assai particolare, alcuni lo troveranno fre-

sco, coinvolgente, a qualcun altro potrà apparire un po’ discontinuo e frammentario. Bisogna, inoltre, essere molto appassionati di registrazioni e di interpretazioni per apprezzare pienamente un libro che è una testimonianza eccezionale non solo della carriera di uno dei più grandi direttori d’orchestra viventi, ma anche una rappresentazione vivace, perspicace e critica di più di mezzo secolo di musica, tra l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone. Le conversazioni spaziano tra i ricordi: Glenn Gould che comanda “a bacchetta” Bernstein nel Concerto n. 1 di Brahms, le perentorie indicazioni di Karajan al giovane Ozawa, la direzione di Karl Böhm, il rapporto con Leonard Bernstein come assistente a New York, i vari compositori, le orchestre che ha diretto per diversi anni, creando il “loro” suono, fino all’impegno in Giappone. Tutto viene raccontato con molto calore e con sorprendente franchezza. Si parla di pregi e difetti in modo equanime, in questo libro che ogni appassionato di musica dovrebbe avere nella propria biblioteca. Haruki Murakami e Seiji Ozawa Assolutamente musica

(Einaudi, 2019)



Da ascoltare / di Roberta Pedrotti

NUOVI percorsi

Freschissimi di incisione, i viaggi musicali di solisti come Pieranunzi, Mehldau e Bacchetti sanno stupire per l’originalità delle scelte e la varietà degli ambiti stilistici

Brad Mehldau Finding Gabriel

(Nonesuch 2019 – 1 cd)

Per chi sia abituato ai percorsi jazz di Brad Mehldau, il suo ultimo album Finding Gabriel potrebbe risultare una sorpresa. Ma, a conti fatti, il primo impatto un po’ straniante ci riporta a un’idea di sintesi e ricerca, senza discontinuità rispetto alle esperienze precedenti, proiettate con nuove energie verso nuovi traguardi. Mehldau va alla ricerca di quel Gabriele che è la mano sinistra di Dio, messaggero di morte e di vita, nella tradizione ebraica, cristiana, islamica. Dal giardino dell’Eden ai folli profeti odierni, la quête pare quella eterna, leggendaria del Graal, l’attesa infinita di un Messia, ma è il viaggio, più che l’inafferrabile meta, a interessare, divagando fra l’àncora del pianoforte acustico e i mille volti del sintetizzatore polifonico OB-6, con cui Mehldau si diverte a strizzar l’occhio al colto, all’extra colto, allo sperimentale. Con lui voci, percussioni occidentali e orientali, determinate o indeterminate, sax o clarinetti in vari tagli, trombe, flauti, archi: echi polifonici, classici, extraeuropei, pop, indie, jazz, d’avanguardia s’incontrano sulla via di una ricerca che non può avere fine. Anche l’ultima traccia è aperta: l’eponima Finding Gabriel. Johann Sebastian Bach

Andrea Bacchetti (Concerto 2019 – 1 cd)

Mister Bach’s European Journey

La storia della musica è storia d’incontri e movimenti. Gli artisti sono viaggiatori per definizione, anche quando, come Johann Sebastian Bach, fisicamente si muovono poco. Nei confini dei principati tedeschi, Bach respira aria europea, raccoglie avido musica proveniente da ogni angolo del continente, e, alla fine, poco importa se le definizioni di “inglese” o “francese” per le suites risultino posticce o fantasiose, al pari dei vari titoli d’effetto editoriale o ammantati di leggende bizzarre (le Variazioni Goldberg). Le raccolte bachiane risentono di ben precise influenze internazionali: mode inglesi, usi in voga al di qua e al di là della Manica, stile italiano. E, ancora, tradizioni tedesche, corali luterani, danze nate dalla Spagna alla Germania. Andrea Bacchetti questo viaggio europeo lo compie su un moderno pianoforte, attraversando anche le ouvertures che Bach stesso battezzò francesi, la Fantasia cromatica e fuga BWV 903 e i Duetti BWV 802/3/4/5. Il tocco asciutto e l’uso del pedale non tradiscono la scrittura, anzi, ora alludono a sonorità cembalistiche, ora suggeriscono un’altra dimensione per i viaggi bachiani, nello spazio fra gli stili europei, nel tempo verso il futuro.

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È il 10 giugno 1899, Ernest Chausson ha quarantaquattro anni, sta soggiornando a Limay, nell’Île-deFrance; prende la bicicletta, imbocca una discesa, la ruota inciampa in un mattone. Batte la testa e muore sul colpo, ma c’è chi dice che, per il compositore afflitto da una forma depressiva, il fatale incidente mascheri un suicidio. Sia come sia, la Parca tronca insieme la vita di Chausson e la creazione del suo Quartetto op. 35. Rimane lì, come un testamento, involontario se crediamo alla fatalità, presago se pensiamo all’angoscia incombente di un male oscuro: Grave – moderé; Très calme; l’incompiuto Gaiement e pas trop vite. L’agogica si muove in confini ben definiti, in tempi che anche quando sembrano, finalmente, sfociare in una tentazione di gaiezza tirano il freno: “non troppo veloce”. Allora, il nodo sarà il fluire di metro, dinamica, dialettica di tempi prossimi ma non identici come il pensiero inquieto e continuo che s’abbandona nello Stige del Male Oscuro lasciando affiorare punti di riferimento fondamentali del linguaggio dell’artista. Ecco l’eco d’un impressionismo affine a Debussy, ecco, con esplicita citazione, il fascino di Wagner. Comincia bene l’avventura discografica dei Philharmonia Chamber Players, con un focus su un autore forse più noto per le liriche vocali, nella Parigi mondana di Proust. Oltre all’estremo quartetto, completato sugli schizzi di Chausson da Vincent d’Indy, il cd offre in apertura il Concerto op. 21: il violino e il pianoforte con il quartetto d’archi si pongono a metà fra l’amplificazione sperimentale del linguaggio da camera (lanciando magari uno sguardo al Quintetto di Brahms) e la miniatura raffinata del grande sinfonismo tardoromantico. Un certo languore melodico à la Massenet, un’ispirazione quasi mistica al wagnerisme parigino: c’è nel concerto di Chausson un che di ineffabile, fra il salottiero e l’anelito all’assoluto, che si riscopre in complicità con ospiti graditi come il violinista Gabriele Pieranunzi e la pianista Jin Ju. Ernest Chausson Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi op. 21, Quartetto per archi op. 35

Philharmonia Chamber Players, Gabriele Pieranunzi, Jin Ju (Aulicus Classics 2019 – 1 cd)



Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Editore

Fulvia de Colle

Direttore responsabile Carla Demuru, Cristina Fossati, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

In redazione

Luca Baccolini, Elisabetta Collina, Nicolò Corsini, Fabrizio Festa, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Roberta Pedrotti, Chiara Sirk, Mariateresa Storino, Brunella Torresin

Hanno collaborato

Kore Edizioni - Bologna

Grafica e impaginazione

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

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Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, ARETÈ & COCCHI TECHNOLOGY, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BOLOGNA PLACEMENT AGENCY, BPER BANCA, CAMST, CASETORRI, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, DATALOGIC, EMIL BANCA, EMILIANAUTO, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRIMALDI IMMOBILIARE, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, INTESA SANPAOLO, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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MUSICA INSIEME






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