Magazine MI Ottobre 2019

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ottobre/novembre 2019

Al via la XXXIII Stagione con lo Chopin di Romanovsky e i virtuosi dei Berliner

MI - PERIODICO D’INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE - N. 3 /2019

Bimestrale n. 3/2019 – anno XXVIII/BO - € 2,00

Ragionar d’Amore da Cavalcanti a Boccaccio con Luigi Lo Cascio e Laura Morante

Lubomyr Melnyk: debutta a Bologna Modern il profeta del pianoforte












SOMMARIO n. 3 ottobre / novembre 2019 Editoriale

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Che musica, ragazzi!

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Arrivederci, ragazzi! di Bruno Borsari

Incontri coi maestri

Musica per le Scuole

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StartUp

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Bologna Modern #4

Nuovi paesaggi sonori Maria Grazia Bellocchio – Focus Kagel Lubomyr Melnyk Daniele Roccato – Ludus Gravis

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Musica e poesia

Ragionar d’Amore con Lo Cascio e Morante Laura Morante – Una questione di ritmo

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I luoghi della musica

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Dire, fare, ascoltare

Talenti bolognesi: Pietro Fresa, Alessandro Fier

Era Vivaldi?

Ludus Gravis

Alexander Romanovsky

Jan Vogler

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Storie della musica

Chopin – Primi anni a Parigi

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I viaggi di Musica Insieme

Amburgo 24-27 ottobre 2019

Takács Quartet

I concerti ottobre/novembre 2019

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Articoli e interviste Alexander Romanovsky Berliner Philharmoniker Streichquintett Jan Vogler, Tiffany Poon Takács Quartet

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Per leggere

Direttori scrittori: Muti, Ceccato, Venezi

Da ascoltare

Accademia degli Astrusi, Valli, Prato, Quartetto Noûs

60

In copertina: Lubomyr Melnyk 10

MI

MUSICA INSIEME

Luigi Lo Cascio

Laura Morante




EDITORIALE

ARRIVEDERCI, ragazzi! Trentatré anni a Musica Insieme, trentatré anni di Musica Insieme. Un’avventura, nata nel 1987 da un manipolo di amici con una grande passione per la musica, che ci ha visto toccare mille mete e incontrare straordinari compagni di viaggio. Un’avventura che continuerà, spero ancora molto a lungo, ma che mi vede da quest’autunno lasciare la “prima linea”, per dedicarmi ad altri viaggi e ad altre mete che da tempo stanno attendendo il loro momento. Resterò sempre al fianco di Musica Insieme, con tutta la mia forza e il mio amore, contando che la mia “malattia dell’esperienza” sia d’aiuto allo staff che mi ha accompagnato in questi anni, un team competente ed appassionato presieduto da Alessandra Scardovi, al mio fianco sin dall’inizio, quando insieme a Marco Fier inaugurammo questo viaggio, e a cui va tutta la mia gratitudine per averlo reso possibile. La ditta è solida, come amo ricordare scherzosamente: e a questa solidità conto di aver contribuito con la mia energia di uomo concreto, d’azione, e con l’entusiasmo delle idee. Idee che hanno portato Musica Insieme a crescere, ponendosi come obiettivo l’organizzazione di una stagione cameristica che offrisse alla città il meglio della musica internazionale, i più grandi interpreti insieme alle nuove “scoperte”, la storia e il futuro del repertorio. Ma Musica Insieme non è mai stata “solo concerti”: sin dall’inizio ha voluto offrire un servizio alla comunità, agevolando la fruizione della cultura da parte di tutti, dai giovanissimi agli anziani,

dai residenti del centro a quelli della Città metropolitana e non solo. Per realizzare questi progetti, che vedono oggi Musica Insieme come la Stagione cameristica con il maggior numero di abbonati in Italia, un dato che sempre mi inorgoglisce, sono stati fondamentali gli apporti di tutti: del pubblico che ci segue, delle aziende e degli enti che ci sostengono, dei teatri e dei colleghi organizzatori, della stampa. Da tutti loro Musica Insieme saprà trarre sempre nuova linfa per i futuri progetti, e a loro dobbiamo tutta la gratitudine che meritano i veri compagni di strada. Con il Teatro Comunale poi – era sovrintendente Carlo Fontana – Musica Insieme siglò nel 1990 la prima convenzione in Italia, grazie alla quale un’associazione privata divenne partner di quello che allora era ancora un Ente lirico. Un evento che si inseriva proprio nel solco di quella condivisione della passione per le arti, che oggi come allora è parte integrante del mio modo di vedere ed intendere il fare musica insieme, e che mi auguro continui sempre a dare nuovi frutti. E compagni di viaggio sono naturalmente gli artisti che ho e abbiamo potuto conoscere in questi trentatré anni: il solo scorrerne i nomi dà una vertigine, e non posso citarli senza far torto a più di qualcuno. Dirò quindi di quelli, come Sviatoslav Richter, Friedrich Gulda, Isaac Stern, Giuseppe Sinopoli, il Quartetto Alban Berg, il cui ricordo è vivo nella storia dell’interpretazione, e nel pubblico che a Musica Insieme ha potuto ascoltarli, anche più volte, al Teatro Comunale. O di quegli amici, come Maurizio Pollini, Mario Brunello, Salvatore Accardo, Mischa Maisky, Alfred Brendel, Radu Lupu, Krystian Zimerman, Viktoria Mullova (e tutti quelli che per la tirannia dello spazio non posso citare), che mi hanno dimostrato come per essere grandi musicisti, oltre la tecnica, è necessario essere anche grandi uomini e grandi donne. Ecco, desidero salutarvi tutti, uno ad uno, grandi e insostituibili amici di Musica Insieme, conto su di voi per costruire un futuro sempre più luminoso! Arrivederci, ragazzi! Bruno Borsari

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MUSICA INSIEME

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Che musica, ragazzi!

INCONTRI coi

maestri

Giunge alla III edizione la rassegna dedicata da Musica Insieme alle scuole primarie e medie, per conoscere da vicino solisti e ensemble del panorama internazionale

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n un’epoca in cui l’ascolto “riprodotto” rappresenta la norma, l’esperienza del concerto dal vivo è divenuta più che mai unica e irripetibile, sia come momento culturale e formativo che per la condivisione di emozioni ed energie che porta con sé. Per questo nel 2017, grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e con il patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale, Musica Insieme ha ideato un nuovo ciclo di incontri gratuiti, rivolti agli alunni delle scuole primarie e medie e dedicati alla scoperta della musica attraverso la gioia dell’ascolto e del dialogo diretto con protagonisti. Da tre anni quindi gli straordinari artisti ospiti del cartellone mettono a disposizione la loro esperienza per raccontarsi al giovane pubblico. Entusiastica l’accoglienza delle scolaresche: oltre 1.200 gli alunni provenienti da più di 20 scuole, e centinaia gli interpreti coinvolti, dal primo incontro del 2017, con i 70 professori d’orchestra di Spira Mirabilis, all’appuntamento conclusivo del maggio 2019, con il brio di Gilles Apap & The Colors of Invention. La III edizione sviluppa ulteriormente questa “esplorazione” musicale, ospitando quattro incontri imperdibili. Il 4 novembre 2019, Jan Vogler, fra i più affermati violoncellisti del panorama internazionale, incontrerà gli studenti insieme alla pianista Tiffany Poon, giovanissima star di origini cinesi. Il 9 dicembre, un ensemble di eccellenze italiane, guidato da Gabriele Pieranunzi al violino e da Andrea Bacchetti al pianoforte, presenterà un progetto incentrato sulla figura di Mozart. Il 23 marzo 2020 sarà la volta del trio formato dalla celebre clarinettista tedesca Sabine Meyer, con Nils Mönkemeyer alla viola e William Youn al piano-

forte, in un programma che ripercorre le vicende di Robert e Clara Schumann, una delle più affascinanti “famiglie musicali” della storia. A concludere gli incontri, il 4 maggio, sarà Giovanni Sollima, violoncellista e compositore siciliano fra i più eseguiti al mondo, che presenterà il suo nuovo progetto Folk-Cello, tra classica e tradizione popolare.

Foto Gian Maria Musarra

Foto Francesco Mammarella

Sotto: Gilles Apap “incanta” i ragazzi A destra: Giovanni Sollima, protagonista della III edizione

III edizione

Auditorium Manzoni ore 10.30

2019 4 novembre JAN VOGLER violoncello

TIFFANY POON pianoforte

2019 9 DICEMBRE GABRIELE PIERANUNZI

FABRIZIO FALASCA violino FRANCESCO FIORE viola GIOVANNI GNOCCHI violoncello ANDREA BACCHETTI pianoforte violino

2020 23 marzo SABINE MEYER clarinetto

NILS MÖNKEMEYER viola WILLIAM YOUN pianoforte

2020 4 maggio GIOVANNI SOLLIMA violoncello


Musica per le Scuole

DIRE, FARE, ascoltare

Da sedici anni Musica Insieme invita a concerto gli studenti degli istituti superiori per cinque appuntamenti imperdibili con i grandi interpreti

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Musica per le Scuole XVI edizione

Auditorium Manzoni ore 20.30

2019 4 novembre JAN VOGLER violoncello

TIFFANY POON pianoforte

2019 2 dicembre BRAD MEHLDAU pianoforte

2020 10 febbraio CAMERATA SALZBURG

VIVIANE HAGNER violino

2020 23 marzo SABINE MEYER clarinetto

NILS MÖNKEMEYER viola WILLIAM YOUN pianoforte

2020 20 aprile LES PALADINS

SANDRINE PIAU soprano JÉRÔME CORREAS clavicembalo e direttore

proprio l’inesauribile ricchezza dei classici, esplorati e riletti dal celebre interprete statunitense. Ed è proprio una ricognizione del repertorio quel che farà il 23 marzo il Trio capitanato dal clarinetto di Sabine Meyer, con le rare pagine di casa Schumann a precedere il mozartiano Trio dei birilli. Fra le “nuove” compagini ecco il 20 aprile i francesi Les Paladins in un excursus fra le opere di Händel, con la voce suadente del soprano Sandrine Piau.

Foto Christian Ruvolo

Foto David Bazemore

a crescita del pubblico è intesa da Musica Insieme in senso molteplice: oltre all’importanza fondamentale che da sempre diamo alla sua partecipazione, al suo interesse per le iniziative proposte (quello che con gli ormai dilaganti anglicismi sentiamo nominare come audience development o engagement), la crescita per noi è un processo quasi organico. È veder crescere letteralmente il pubblico sotto i nostri occhi, accompagnandolo a concerto dalle elementari all’università, con iniziative come Che musica, ragazzi! (di cui parliamo qui accanto) o Musica Insieme in Ateneo, ormai più che ventennale. È vedere i giovani studenti seduti fianco a fianco con gli appassionati di ogni età e di ogni provenienza, per condividere quel rito che ci conquista, sera dopo sera, grazie all’emozione risvegliata in noi dall’esecuzione dal vivo. Tutto questo è Musica per le Scuole, rassegna giunta alla XVI edizione, che gode del fondamentale contributo di Emilbanca e coinvolge una decina di istituti superiori del territorio, con circa 300 abbonati ogni anno. Il calendario mira sempre a offrire una panoramica quanto più varia e stimolante: il 4 novembre approderà a Bologna il violoncellista Jan Vogler, già al fianco di Gergiev, Pappano, Nagano, insieme allo straordinario talento della pianista Tiffany Poon. Altro debutto eccellente sarà quello, il 10 febbraio, della violinista Viviane Hagner accanto alla blasonatissima Camerata Salzburg, fondata nel 1952 e divenuta il nucleo generatore del Festival di Salisburgo. Un “altro piano” sarà quello di Brad Mehldau (il 2 dicembre), col titolo emblematico di Modern Classic, a dimostrare

Sotto: Brad Mehldau (2 dicembre) e Sabine Meyer (23 marzo)


StartUp

TALENTI bolognesi

Continua la rubrica dedicata alle più interessanti giovani energie, artistiche e imprenditoriali, del territorio, con due bolognesi doc, già attivi fra Londra e Parigi

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ato nel 2000, Pietro Fresa ha scoperto il pianoforte grazie alla passione del padre Riccardo, e da allora non se ne è mai separato, aggiudicandosi la vittoria in più di

trenta concorsi, dai Premi “Baldi” e “Alberghini” (importanti vetrine di talenti del territorio) al “Grand Prize Virtuoso Competition” di Vienna. Brillante ed estroverso, conteso dalle più

importanti aziende, dall’alto dei suoi due metri Alessandro Fier ci racconta la sua scelta di mettersi in proprio, fondando Innovation Colony e diventando uno dei più giovani imprenditori italiani.

Pietro Fresa 19 anni, pianista. Lo trovate su www.pietrofresa.com

Il tratto principale del tuo carattere? Risulta difficile rispondere con una sola parola, ma senza dubbio: profondità, riflessività e creatività. Il tuo peggior difetto? Superbia. I tuoi passatempi preferiti? Leggere, scrivere, ascoltare musica. Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica o al pianoforte? Il primo ricordo è quello di mio padre che, all’età di 5 anni, mi introduce alla tastiera del pianoforte. Lui è stato il mio primo insegnante e modello musicale. Hai una giornata “tipo” fra studio, tempo libero, amici e famiglia? Non ho una giornata tipo, ma posso affermare con certezza che le amicizie occupano un posto fondamentale nella mia vita di ogni giorno. Vivere una vita ricca anche di rapporti umani è infatti imprescindibile dall’essere un autentico musicista, poiché la musica è sempre espressione di un vissuto. Chi consideri il tuo modello? Al momento il mio Maestro, Boris Petrushansky. Qual è il percorso di studi che stai facendo ora?

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MI

MUSICA INSIEME

Proseguo gli studi in pianoforte contemporaneamente al Royal College of Music di Londra e all’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola. Cosa significa per te suonare? Il dono di essere un musicista è per me una missione da perseguire con tutte le proprie forze. Suonare rappresenta infatti la possibilità di scavare nel mistero che la musica veicola attraverso le note. Scavare in questo mistero è un privilegio assai raro oggi. Qual è stato un concerto (o più d’uno) che ti ha particolarmente emozionato e perché? Rimasi profondamente colpito da un concerto di Radu Lupu, proprio nel cartellone di Musica Insieme, con un programma interamente schubertiano. La poeticità e la ricchezza della sua interpretazione mi avevano scosso vertiginosamente: quel concerto mi ha trasformato. Il libro o i libri preferiti, quelli che consiglieresti ai tuoi coetanei? Delitto e castigo di Dostoevskij. Il tuo compositore preferito? È una scelta dura tra Bach, Mozart e Beethoven. E il pezzo che suoni con più soddisfazione?

La Sonata per pianoforte “Waldstein” op. 53 di Beethoven. Con quale musicista, anche del passato, ti piacerebbe o ti sarebbe piaciuto suonare? Emil Gilels, Murray Perahia, Radu Lupu. Cosa detesti? Il grigiore di alcune giornate. Un dono che vorresti avere? Sapere essere più umile. Quale sarà la tua prossima sfida? Vivere intensamente domani. Poi il concerto del 27 settembre presso l’Aula Magna dell’Università Roma 3 in capitale.


Alessandro Fier 25 anni, imprenditore. Lo trovate su Linkedin

Come ti descriveresti? Sono un ragazzo di 25 anni e sono un imprenditore. Sicuramente esigo molto da me stesso. Mi piace pormi obiettivi sfidanti e cercare di raggiungerli con positività e con passione. Il problema è che la mia voglia di fare ogni tanto sfocia in impazienza, che è uno dei miei difetti principali. Parlaci del tuo iter accademico e delle tue esperienze professionali. Durante il liceo avevo le idee molto chiare, volevo studiare economia e finanza alla Bocconi di Milano e così è stato. All’inizio ero certo che sarei andato a lavorare in una grande banca o in un fondo d’investimento, ma il mio percorso di vita mi ha ironicamente portato molto lontano da lì. Dopo la laurea triennale ho iniziato un master a Parigi e nello stesso periodo ho fondato la mia azienda che mi ha legato al progetto imprenditoriale di cui faccio parte. Ora lavoro nel marketing e comunicazione per l’industria cosmetica a Milano e finalmente, dopo quasi tre anni di lavoro-studio, a giugno mi sono laureato a Parigi. Una faticaccia! Cosa ti ha spinto a decidere di fare l’imprenditore piuttosto che accettare un incarico in una grande azienda? L’ho deciso dopo aver provato una prima esperienza lavorativa in una grande società di consulenza. È stata molto formativa, ma ho trovato un ambiente gerarchico in cui le persone sono poco valorizzate e sono responsabilizzate solo dopo anni di carriera. Ho pensato di fare di testa mia e cercare un’esperienza dove potermi esprimere appieno. Ho quindi preferito un percorso imprenditoriale che mi ha arricchito moltissimo anche da un punto di vista umano oltre che professionale. Una scelta di cui sono molto felice.

Quali sono le tue passioni? Che interessi coltivi? Sono molto curioso di tutto ciò che è culturale. Mi piacciono l’arte, la storia e naturalmente la musica. Sono cresciuto in una famiglia di melomani e ogni occasione è buona per cantare e suonare. Qual è la tua giornata “tipo” fra lavoro, tempo libero, amici e famiglia? Sto scoprendo che il vero “lavoro” è gestire l’equilibrio tra tutte queste cose. Vivo con passione la mia esperienza professionale, che spesso impegna la mia mente anche fuori dall’orario di lavoro. Dicono che sia “croce e delizia” dell’essere imprenditore. Nonostante questo, per me è prioritario ricavare spazio per la mia famiglia a cui sono legatissimo e che cerco di godermi ad ogni occasione. Amo trascorrere molto tempo con gli amici, che ultimamente mi perdonano le frequenti assenze dovute al lavoro. Quali obiettivi vorresti raggiungere nei prossimi 10 anni? Immaginarmi a 35 anni è davvero

difficile: cinque anni fa ero certo che avrei lavorato in una banca, mentre oggi devo inventare strategie di comunicazione per promuovere un rossetto o un mascara…! Il mio obiettivo per i prossimi anni è vivere tante esperienze e soddisfare la mia curiosità e voglia di fare per raggiungere i risultati che mi prefiggo. Vorrei arrivare a 35 anni ad essere un imprenditore di successo e aver costruito la mia futura famiglia. Hai un modello di riferimento? Il mio mito è JFK: laureato in storia e arti liberali, uomo di cultura piacevole e mite, un carattere quasi in contrasto col suo ruolo politico di potere, eppure ha fermato sul nascere la terza guerra mondiale (mentre Marylin Monroe gli cantava “Happy Birthday”), per me è l’esempio di come si possa arrivare in vetta al mondo pur mantenendo grande sensibilità e alti ideali. Purtroppo una persona come lui in quella posizione ha dato così fastidio da essere assassinato. Ma io mi consolo: ho molta meno ambizione nella vita…

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MUSICA INSIEME

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Bologna Modern #4 - Il programma

NUOVI U

paesaggi sonori

La IV edizione del Festival per le musiche contemporanee organizzato dal Teatro Comunale e da Musica Insieme riempirà di note la città dal 24 settembre al 30 ottobre

no spaccato sull’evoluzione dei linguaggi compositivi dal Novecento ad oggi alla scoperta dei nuovi territori dell’avanguardia che hanno abbattuto i confini fra colto e popolare, europeo ed extra-europeo, acustico ed elettronico. Dal 24 settembre al 30 ottobre torna Bologna Modern – Festival per le musiche contemporanee, la rassegna giunta alla quarta edizione realizzata dal Teatro Comunale di Bologna con la Fondazione Musica Insieme. Oltre 20 appuntamenti fra concerti sinfonici, cameristici, recital, spettacoli e conferenze, articolati in 5 sezioni per 17 giornate di festival, in cui interpreti riconosciuti della scena internazionale si alterneranno a nuovi artisti in ascesa per esplorare i più diversi paesaggi sonori del nostro tempo, dalle avanguardie novecentesche alla ricerca sui nuovi linguaggi, dal rapporto con le varie declinazioni del repertorio classico e popolare fino alla multimedialità. In programma anche prime esecuzioni assolute e italiane e una nuova commissione del Teatro Comunale.

LE GENERAZIONI DELL’80 Cuore del festival è il ciclo di quattro concerti sinfonici dedicati a due generazioni di compositori distanti fra loro un secolo: i nati negli anni '80 dell’Ottocento, promotori del rinnovamento musicale italiano all’interno delle avanguardie storiche europee, e i nati negli anni ’80 del Novecento, autori ora nel pieno della loro creatività che hanno superato il periodo difficile della post-avanguardia e tracciato le linee della nuova musica. Il 3 ottobre (Teatro Comunale) gradito ritorno per il giapponese

Yoichi Sugiyama che affiancherà la Sinfonia n. 6 per orchestra d’archi di Gianfranco Malipiero e il Concerto per violino, violoncello, pianoforte e orchestra op. 56 di Alfredo Casella – affidato al Trio Magritte – al brano Untitled per orchestra da camera di Vittorio Montalti. Il 10 ottobre (Teatro Comunale) debutta sul podio dell’Orchestra del Comunale Pasquale Corrado, che eseguirà in prima assoluta l’opera di sua composizione Macbeth Alone in versione semiscenica – con la mise-enéspace di Ugo Giacomazzi – accanto alla Sonata da concerto per flauto, archi e percussione di Giorgio Federico Ghedini. L’israeliano Asher Fisch accosterà alla Settima Sinfonia di Ludwig van Beethoven la nuova commissione Sinopia per orchestra di Alessandro Solbiati e il Concerto dell’albatro di Giorgio Federico Ghedini, ispirato a un passo di Moby Dick di Melville, il 26 ottobre (Teatro Comunale). Il 30 ottobre (Auditorium Manzoni) Marco Angius tornerà sul podio dei complessi del Teatro con la suite sinfonica La giara di Casella, i Canti per la stagione alta di Ildebrando Pizzetti con Alfonso Alberti al pianoforte e la piccola serie Kyklos per orchestra di Federico Gardella.

MUSICA IN SCENA Quattro drammaturgie prenderanno forma dalla combinazione fra musica e altre forme d’arte. Dopo l’anteprima del festival con Instrument Jam della Compagnia Zappalà Danza il 24 e 25 settembre, il 10 ottobre (MAMbo) spazio alla performanceinstallazione L’inferno dello sguardo: dal mondo umano e animale di Maurice Maeterlinck del co-

BIGLIETTERIA TEATRO COMUNALE I biglietti del balletto Instrument Jam (24 e 25 settembre), dei Concerti sinfonici “Le generazioni dell'80” (3, 10, 26 e 30 ottobre) e dei Concerti e spettacoli in foyer Rossini sono in vendita online e presso la biglietteria del Teatro Comunale di Bologna (Largo Respighi 1). Per info: 051 529019 – boxoffice@comunalebologna.it – www.tcbo.it Le Conferenze “Parlare contemporaneo” in foyer Respighi e gli eventi presso il MAMbo e Le Torri dell’Acqua di Budrio sono gratuiti. Il concerto al Teatro dell'ABC è a pagamento (informazioni presso la relativa sede). BIGLIETTERIA MUSICA INSIEME I biglietti per i concerti organizzati da Musica Insieme (9,16 e 28 ottobre) sono in vendita sul circuito Vivaticket e presso l’Oratorio di San Filippo Neri un’ora prima dell’inizio degli spettacoli. Riduzioni per abbonati Teatro Comunale e Musica Insieme, titolari Bologna Welcome Card, Card Musei metropolitani e tessera Istituzione Biblioteche Bologna, studenti e Under 30. Info: 051 271932 – www.musicainsiemebologna.it info@musicainsiemebologna.it – App MusicaInsieme


reografo e regista Luca Veggetti, con narrazione di Luca Scarlini e musiche di Paolo Aralla. Il 18 ottobre (Foyer Rossini del Comunale) sarà la volta dello spettacolo multimediale Trä(u)me, commissionato dal Teatro Comunale al collettivo d’improvvisazione bolognese Minus, al Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna e alla video artista Elide Blind, che coinvolgerà gli allievi della Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”. Il 24 ottobre (Foyer Rossini) l’Istantanea Ensemble rivisiterà in chiave contemporanea il Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg in Moon Junkies.

Foto Roberto Brambilla

VIRTUOSISMI Protagonisti saranno anche solisti di prestigio con carriere internazionali dedicate soprattutto ai repertori contemporanei. Il 30 settembre (Teatro dell’ABC) la magia e gli incantesimi delle invenzioni sonore dell’opera per flauto di Salvatore Sciarrino saranno al centro del concerto In principio è il soffio di Matteo Cesari. Il 16 ottobre (Oratorio di San Filippo Neri) Musica Insieme porterà per la prima volta a Bologna Lubomyr Melnyk, pianista e compositore ucraino noto per il suo peculiare approccio allo strumento formalizzato nella Continuous music. Il 22 ottobre (Foyer Rossini) la giovane violinista americana Elicia Silverstein eseguirà brani tratti dal suo album di debutto The Dreams & Fables I Fashion. Il 29 ottobre (Foyer Rossini), omaggio a Mauricio Kagel con la partitura Match concepita come azione scenica, che vedrà i violoncellisti Michele Marco Rossi e Sebastiano Severi interpretare una sorta di partita a ping-pong “musicale” in cui il percussionista Simone Beneventi funge da arbitro.

INTERSEZIONI Al cartellone parteciperanno anche formazioni musicali e gruppi di artisti chiamati a tracciare una geografia musicale contemporanea. Il 9 ottobre (Oratorio di San Filippo Neri) il focus su Mauricio Kagel, a cura di Musica Insieme, vedrà 10 talenti selezionati dal progetto europeo Call for Young Performers interpretare l’integrale pianistica del grande compositore argentino, alla presenza della figlia del compositore, Pamela Kagel, animatrice della Fondazione Kagel-Burghardt, che introdurrà il concerto. Il 12 ottobre (MAMbo) i quartetti di Stefano Scodanibbio e Kevin Volans, ispirati all’elogio del viaggio dello scrittore britannico Bruce Chatwin – di cui ricorrono i trent’anni dalla scomparsa – saranno al centro del concerto White Man Sleeps del FontanaMIX Quartet. Innovazione e senso ludico animeranno il 28 ottobre (Oratorio di San Filippo Neri) le Conversazioni per nove contrabbassi del Ludus Gravis diretto da Daniele Roccato, nel concerto a cura di Musica Insieme. Il 25 ottobre (Le Torri dell’Acqua di Budrio) i solisti di In.Nova Fert Ensemble proporranno un percorso acustico attraverso le voci di singoli strumenti divenuti protagonisti indiscussi del repertorio italiano dal secondo dopoguerra ad oggi.

PARLARE CONTEMPORANEO A introdurre i concerti sinfonici nel Foyer Respighi del Comunale saranno gli interventi di Andrea Estero (3 ottobre), Alessandro Solbiati, Pasquale Corrado, Federico Gardella, Vittorio Montalti (10 ottobre) e di Alfonso Alberti (29 ottobre). Completa il programma “Inedito” di TEDx il 19 ottobre all’Auditorium Manzoni.

Bologna Modern #04 è realizzato dal Teatro Comunale di Bologna con la Fondazione Musica Insieme, grazie al sostegno di Pelliconi, e in collaborazione con MAMbo e FontanaMIXensemble.

Sopra: Yoichi Sugiyama. Sotto: Alessandro Solbiati. Nella pagina accanto: Pasquale Corrado

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Bologna Modern #4 – interviste

Maria Grazia Bellocchio – FOCUS KAGEL

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mercoledì 9 ottobre ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri

Maria Grazia Bellocchio e gli artisti selezionati dalla Call for Young Performers

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MUSICA INSIEME

impegno di Divertimento Ensemble per la divulgazione della musica d’oggi si concretizza anche in importanti iniziative didattiche, come la Call for Young Performers. Com’è nato questo progetto? «Call For Young Performers nasce dal desiderio mio e di Sandro Gorli di offrire per la prima volta in Italia una nuova opportunità didattica: un corso di perfezionamento dedicato alla produzione pianistica contemporanea, finalizzato alla formazione di giovani pianisti con mente aperta a questo tipo di esperienza. Abbiamo programmato alcune integrali pianistiche: Berio, Stockhausen, Ligeti, Kurtág, Kagel e dallo scorso anno abbiamo allargato il repertorio anche alle formazioni da camera. Siamo ormai all’ottava edizione, e decine di studenti negli anni hanno contribuito a diffondere il repertorio contemporaneo, grazie anche alle collaborazioni tra Divertimento Ensemble e istituzioni interessate, come Musica Insieme, a ospitare i concerti finali». Dopo l’integrale pianistica di György Ligeti del 2018, ospitata a Bologna per MICO – Musica Insieme COntemporanea, il 2019 è stata la volta di Mauricio Kagel, del quale presenterete l’integrale pianistica, con “assaggi” di musica da camera. Quali chiavi d’ascolto darebbe per definire la scrittura di questo geniale autore? «La musica di Kagel comunica emozioni forti, percepibili da tutti, musicisti e amatori. Tutti possono lasciarsi trasportare dal ritmo, abbandonarsi alla nostalgia o sorridere per il suo umorismo. Non servono chiavi di lettura, serve semplicemente la volontà di provare a sentirsi in sintonia con queste emozioni». Ironia, umorismo, originalità sono parole che vengono spesso utilizzate per definire la poetica di Kagel, autore del quale si è sempre sottolineato anche il lavoro di rilettura della musica del passato. «L’uomo contemporaneo vive il centro tra passato e futuro. Tra i compositori c’è chi guarda solo indietro e chi invece è in grado di proiettarsi anche in avanti, e questi sono i casi migliori. Del passato nessuno può fare a meno, tutti lo riviviamo da testimoni. Nella musica di Kagel echeggiano la tonalità, il jazz, la musica popolare e la danza; è forte anche la componente teatrale, che obbliga l’esecutore ad un certo tipo di partecipazione; per non parlare dell’uso di alcuni dei suoi strumenti

prediletti come la fisarmonica, il pianoforte e le percussioni, che riescono sempre a ricordare in modo sfumato il repertorio del passato o i suoni della sua terra natale». L’impegno per la divulgazione della contemporanea accomuna in molti sensi il vostro lavoro e quello di Musica Insieme. Perché secondo lei anche al pubblico amante della musica è spesso poco familiare il repertorio del Novecento e del Duemila? «I direttori artistici hanno una grande responsabilità: tutti dovrebbero stare un passo avanti rispetto ai desideri del pubblico, programmando regolarmente la musica nuova, senza timori. Beethoven insieme a Lachenmann, Schumann insieme a Kurtág, e così via, trovando un giusto percorso di ascolto per il pubblico». Pare che ad un esperimento con un pubblico di bimbi la musica di Mozart sia parsa perfino meno “interessante” di quella di John Cage: come reagiscono secondo lei i giovanissimi al linguaggio musicale contemporaneo? «Capisco la diversa reazione dei bimbi di fronte alla musica ormai acquisita di Mozart e la ricchezza timbrica di Cage che, come in un gioco di prestigio, può far uscire dal pianoforte preparato dei suoni simili alle percussioni. L’approccio iniziale dunque potrebbe essere più divertente. La mia esperienza didattica mi fa dire che, dopo una iniziale resistenza, i giovani sono in grado di ascoltare; bisogna appassionarli, proponendo musica contemporanea di valore, far capire la differenza tra la vera arte, sicuramente più impegnativa, e la non arte, e sperare nel tempo di aiutare i giovani a sviluppare un senso critico che permetta loro il riconoscimento del valore dell’opera».


Bologna Modern #4 – interviste

LUBOMYR MELNYK

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mercoledì 16 ottobre ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri

l suo nome è associato all’esperienza unica della continuous music. Quando ha iniziato a concepire quest’arte compositiva? «Tutto è iniziato a Parigi quando suonavo il pianoforte nella masterclass di Carolyn Carlson. La continuous music è il prodotto di tanti anni di cambiamenti e sviluppo personale. Hanno sicuramente contribuito il movimento hippie e l’ascesa del minimalismo nel 1968-69, che cambiò radicalmente il mondo. Forse non ci rendiamo conto di quanto fu rivoluzionaria la portata della prima registrazione di In C di Terry Riley. E poi, ovviamente, i miei studi di filosofia e l’amore per la musica classica: insomma, tutte queste cose insieme hanno dato vita a questa nuova, unica, e oserei dire meravigliosa tecnica pianistica. Alla sua base vi è una profonda relazione tra il suono, il pianoforte e l’interprete». Che ricordi ha della sua collaborazione con la coreografa Carolyn Carson a Parigi negli anni Settanta? «Lei era un’ispirazione fenomenale per tutti. È stata la migliore ballerina al mondo, davvero ineguagliabile. Non era umana, lo dicevano tutti. E la mia musica è nata dalla sua esistenza. Anche solo a starle vicino ci si trasformava». Nel suo recital per Bologna Modern ascolteremo brani del suo ultimo album Fallen Trees. Com’è nato questo omaggio agli alberi abbattuti?

«Amo gli alberi, e vederli giacere a lato dei binari mentre il treno sfreccia lì accanto, beh, è stato triste, ma allo stesso tempo anche emozionante: gli alberi ci regalano la bellezza eterna». Mulini a vento, farfalle, alberi… potrebbe spiegare ai nostri lettori la sua connessione con la natura e come si riflette sulla sua musica? «La natura è un elemento base della continuous music: l’aria, l’acqua, la pietra e la vita sulla terra sono tutti elementi che si fondono nella musica, e nel pianista stesso quando suona. Sono parte di me e sono sempre stati molto importanti. Non sono nato per la città: la mia vita è legata alla natura, nel profondo dell’anima». C’è un messaggio o un’emozione particolare che vorrebbe trasmettere al pubblico con la sua musica? «Ogni brano ha il suo messaggio e ci trasporta verso un nuovo paesaggio pianistico e naturale. La continuous music è un’esperienza trascendentale, sia per chi ascolta che per chi suona. Spesso i messaggi sono molto tristi, come per esempio nel mio brano “The End of the World”, ma a volte possono anche essere edificanti. Un elemento comune della mia musica è la spinta ad elevare sempre più in alto gli animi, verso un’esistenza, un posto, un pensiero migliore». E qual è il suo rapporto con lo strumento in sé? «Il mio rapporto con il pianoforte è complesso e molto, molto profondo. Costituiamo un’unica entità, il pianoforte ed io. Ormai non c’è più alcuna separazione tra il mio corpo e lui. Sono sicuro che questo tipo di musica renda felice qualsiasi pianoforte: gli strumenti prendono il volo insieme a me, sono finalmente liberi dalle catene che li costringono a suonare dei “brani” e ad essere trattati come macchine: i pianoforti sono esseri viventi e devono essere amati! L’utilizzo dell’elettronica per far risuonare due pianoforti dal vivo (Two Pianos) per me è importantissimo, perché riesce a conciliare in chi ascolta i due mondi contrastanti del caos e dell’armonia. È un’esperienza molto importante, che purtroppo però la maggior parte delle persone trova troppo difficile. Certo, un pianoforte solo è più facile da ascoltare, ma forse, un giorno, tutto il pubblico sarà finalmente pronto ad ascoltare la trascendenza del suono di due pianoforti che cantano insieme la continuous music!».

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Bologna Modern #4 – interviste

Daniele Roccato – LUDUS GRAVIS lunedì 28 ottobre ore 20.30 Oratorio di San Filippo Neri

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ome nasce Ludus Gravis? «Ludus Gravis nasce ufficialmente nel 2010 con il debutto all’Auditorio Nacional de Música di Madrid nell’ambito del Festival “Musica de Hoy”, ma ha avuto una gestazione di circa due anni. Nel 2008 insegnavo al Conservatorio di Perugia dove avevo alcuni allievi piuttosto talentuosi con i quali avevo iniziato a sperimentare sovrapposizioni con più contrabbassi. Nell’ottobre del 2008 ho conosciuto Stefano Scodanibbio a un festival internazionale di contrabbasso: insieme a lui è nata l’idea di creare un ensemble di otto contrabbassi e iniziare a commissionare brani a compositori importanti». Esisteva un repertorio per questa formazione? «L’unico pezzo di repertorio importante era allora il visionario Dies irae di Galina Ustvol’skaja per otto contrabbassi, pianoforte e percussioni. Intorno ad esso abbiamo iniziato a costruire noi un repertorio, recuperando un brano di John Cage originariamente concepito per un contrabbasso e altri tre contrabbassi registrati e una serie di mie trascrizioni. Ho quindi contattato alcuni compositori come Hans Werner Henze, Sofia Gubaidu-

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lina, Terry Riley, Gavin Bryars, Julio Estrada, che hanno scritto diversi brani per la nostra formazione, e alcuni compositori italiani tra cui Tonino Battista, di cui eseguiremo un brano in prima assoluta per Bologna Modern. Nel tempo Ludus Gravis si è guadagnato una reputazione internazionale e sono adesso in molti i compositori che ci propongono musiche per il nostro organico». Esistono altre formazioni come la vostra? «Ci sono ensemble di contrabbassi composti da quattro o sei elementi che per lo più eseguono trascrizioni dal gusto ironico su temi noti di musica popolare. Per quanto riguarda la musica contemporanea per così dire “seria” siamo un punto di riferimento a livello internazionale, tanto che numerose scuole di musica e università di tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, ci chiedono partiture del nostro repertorio. L’ensemble di contrabbassi era visto fino a pochi anni fa, anche dagli stessi contrabbassisti, come un qualcosa di spiritoso, quando invece adesso rappresenta per i compositori un’interessante opportunità di sperimentazione che consente di applicare forme diverse alla propria creatività. Chi ascolta un nostro concerto rimane folgorato dalle innumerevoli possibilità di cui può disporre la nostra formazione: l’estensione di un contrabbasso si sviluppa infatti su sei ottave, raggiungendo quella del violino, e più di quaranta sono le tecniche di produzione del suono, quindi un banco di prova particolarmente allettante per i compositori». Che limiti comporta un organico monostrumentale a livello esecutivo? «I brani per questo organico sono sperimentali, quindi impongono in molti casi di padroneggiare un virtuosismo estremo: questo da una parte può essere visto come un limite, ma dall’altra è l’espressione della massima libertà creativa. Noi stessi forniamo il know-how ai compositori per poter scrivere utilizzando le varie tecniche, così ogni brano ha diverse difficoltà da affrontare che ci obbligano a lavorare in modo estremamente scrupoloso e senza procedure predefinite: ogni brano è una nuova sfida che affrontiamo sempre con grande entusiasmo».



Musica e poesia

RAGIONAR

d’Amore

Cavalcanti, Dante, Petrarca, Boccaccio: la nuova rassegna organizzata da Musica Insieme e Gruppo Unipol attinge alle radici profonde e affascinanti della lingua italiana, con due voci d’eccezione

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Sopra: Giorgio Vasari, Ritratto di sei poeti toscani, olio su tela, 1544, Minneapolis Institute of Arts. Da destra: Cavalcanti, Dante, Boccaccio e Petrarca. Dietro: Cino da Pistoia e Guittone d’Arezzo

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MUSICA INSIEME

ià da sei anni l’autunno bolognese ospita all’Unipol Auditorium, grazie alla collaborazione di Gruppo Unipol e Musica Insieme, un appuntamento fisso con la grande poesia, offrendo al pubblico integrali preziose come quelle dei Fiori del male di Baudelaire o dei Canti di Leopardi e ritratti come quello di Pier Paolo Pasolini, per giungere nel 2017 e nel 2018 alle monografie dedicate alla Rivoluzione d’Ottobre e alla Grande Guerra, nei rispettivi anniversari. Alla parola si associa sempre la musica, legata a doppio filo agli autori e alle epoche in programma, come accadrà nei quattro appuntamenti del prossimo autunno, che ci trasporteranno agli albori della lingua e della letteratura italiana, con le opere di quattro autori che hanno contribuito a gettarne le indispensabili fondamenta. Dal Medioevo di Guido Cavalcanti e Dante Alighieri al Rinascimento di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, Ragionar d’Amore ne ripercorre le rime e le prose dedicate proprio a quel sentimento universale, com’è l’amore, capace ancor oggi di parlare al nostro tempo con forza e attualità. È proprio grazie a questi autori che l’italiano, il “volgare” contrapposto alla più aulica lingua latina, ha conquistato la sua piena dignità letteraria. I versi raffinati e musicali e le novelle dei quattro maestri della lingua italiana celebrano l’amore in tutti i suoi aspetti, dalla sua forza a tratti devastante – come nelle rime del “dolce stil novo” – al suo potere salvifico cantato nella Vita nova dantesca, dall’elevazione spirituale del Canzoniere, ai mille volti, a tratti solenni a tratti ironici, narrati nel Decameron. Primavera, Beatrice, Laura, Fiammetta: le donne amate dai quattro autori rivivono dinnanzi a noi, come vivide immagini tratteggiate dalla forza di un sentimento che i secoli non hanno sopito. La lettura delle poesie di Cavalcanti e di Dante sarà affidata a Luigi Lo Cascio, fra gli attori italiani più apprezzati dalla critica e amati dal grande pubblico. Premiato con il David di Donatello per I cento passi di Marco Tullio Giordana, con il Nastro d’Argento per La meglio gioventù, e con la Coppa Volpi al festival di Venezia per Luce dei miei occhi

di Piccioni, nel 2019 ha ricevuto nuovamente il Nastro d’Argento per Il traditore di Bellocchio. La lettura dei testi di Petrarca e Boccaccio sarà invece affidata a Laura Morante, una delle più apprezzate attrici italiane che, a partire dal debutto a fianco di Carmelo Bene, ha avviato una straordinaria carriera teatrale e cinematografica, recitando in numerosi film di Bertolucci, Tognazzi, Amelio, Salvatores, Avati. È stata premiata con il David di Donatello per La stanza del figlio di Nanni Moretti e con il Nastro d’argento per L’amore è eterno finché dura di Carlo Verdone. Come di consueto, ai testi dei quattro autori saranno accostate le musiche dell’epoca in cui hanno vissuto, scritte da compositori che essi hanno avuto modo di conoscere o apprezzare: una sorta di cornice sonora che ci aiuterà a immergerci nel loro mondo, cronologicamente lontano, ma ancora così vivo e attuale. Così i versi di Cavalcanti, letti da Luigi Lo Cascio nella prima serata di martedì 29 ottobre, si intrecceranno a Laudari toscani e brani strumentali italiani del XIII secolo, affidati a Cantilena Antiqua, guidata dagli esperti Stefano Albarello al liuto medievale, organetto e voce, e Fa-


bio Tricomi fra percussioni, flauti e viella. Alla Vita nova dantesca, interpretata il successivo martedì 5 novembre dallo stesso Lo Cascio, si assoceranno le affascinanti musiche dei trovatori, da Bertrand de Born a Folquet de Marseille, e un’antologia di vivaci brani del XIII e XIV secolo, eseguiti da una compagine di riferimento per la musica medievale come l’Ensemble Consonantia. Il 12 novembre la parola passerà a Laura Morante con un capolavoro come il Canzoniere petrarchesco, cui si alterneranno le musiche, ispirate proprio a quei versi, di autori come Guillaume Dufay, Vincenzo Ruffo e Gilles Binchois, eseguite dalle viole da gamba e dalle voci della Consorteria delle Tenebre, che ascolteremo anche in virtuosistiche improvvisazioni. Infine, martedì 19 novembre Laura Morante concluderà il ciclo con le novelle del Decameron di Boccaccio, accompagnata dalle armonie trecentesche de La Pifarescha, che attingono a raccolte preziose come quelle contenute nella British Library di Londra o nella Biblioteca Apostolica Vaticana per liberare la fantasia in improvvisazioni nelle quali il cornetto e i flauti di Andrea Inghisciano e la ribeca di Anais Chen sono veri maestri.

Viaggio alle radici della lingua italiana

Ragionar d’Amore

Unipol Auditorium – ore 20.30 (Via Stalingrado, 37 – Bologna) Martedì 29 ottobre 2019

GUIDO CAVALCANTI Luigi Lo Cascio letture

Cantilena Antiqua

Martedì 5 novembre 2019

Luigi Lo Cascio letture Ensemble Consonantia DANTE ALIGHIERI

Martedì 12 novembre 2019

FRANCESCO PETRARCA Laura Morante letture

Consorteria delle Tenebre Martedì 19 novembre 2019

GIOVANNI BOCCACCIO Laura Morante letture

La Pifarescha

L’ingresso ai concerti è gratuito, fino a esaurimento dei posti disponibili

Accanto: l’ensemble Consorteria delle Tenebre. Sotto: Luigi Lo Cascio


Musica e poesia

UNA QUESTIONE di ritmo I

> Intervista > Laura Morante l progetto di cui sarà protagonista accanto a Luigi Lo Cascio riguarda un momento straordinario per la lingua italiana, quello in cui acquisisce finalmente una sua dignità letteraria. A scuola tutti noi ci siamo confrontati con questi autori, ma pensa che faranno immediatamente presa sul pubblico di un teatro? «Per me non ci sono dubbi, d’altronde ci sono state anche in passato delle letture pubbliche, come ad esempio quella di Dante fatta da Benigni, che hanno avuto molto successo. Personalmente sono innamorata di quella fase della letteratura italiana, mi piace moltissimo e sono convinta che questi scrittori abbiano ancora tanto da dire». Abbiamo scelto un tema che li coinvolge tutti e quattro, quello dell’amore. Pensa che queste parole del Medioevo e del Rinascimento siano ancora in qualche modo attuali? «Credo che l’amore, come tutti i sentimenti umani, resti sempre attuale. Non ci sono secoli dove non sono esistiti l’odio, l’invidia, la rabbia, o appunto l’amore. Tutti i sentimenti sono in qualche modo eterni, anche se ovviamente cambiano le concezioni, le strutture sociali. Ma non cambiano i sentimenti». Nelle due serate che la vedranno protagonista leggerà testi di Petrarca e Boccaccio, passando dunque dalla poesia alla prosa. Come si prepara ad affrontare tipologie testuali così diverse? «La differenza sta principalmente nella metrica, nella musicalità e nel suono dei versi poetici. Ci sono ovviamente anche testi in prosa che necessitano di una lettura quasi metrica, ma sono l’eccezione. La difficoltà maggiore del leggere poesie sta proprio nel riuscire a restituire il ritmo del verso». Come cambia invece prepararsi alla lettura o all’interpretazione di un testo sul palcoscenico o sul set cinematografico? «Nella lettura del testo l’attore si deve in qualche modo annullare per porgere il testo all’ascoltatore nel modo più utile, intellegibile ed intenso: deve dare il massimo risalto alla “materia”. Quando invece si interpreta un personaggio è proprio il personaggio che deve emergere, e questo avviene in una sorta di incontro con l’interprete». A queste serate partecipano molti studenti. Qual è il suo rapporto con il pubblico dei più giovani? «Il pubblico ai miei spettacoli è molto vario, ci sono molti giovani, ma pochi giovanissimi. Il mio

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rapporto con i giovani passa soprattutto attraverso l’insegnamento della recitazione. A me piace moltissimo insegnare: è un lavoro maieutico che mi permette di tirare fuori dagli aspiranti attori quello che possono dare. Non utilizzo un unico metodo, ma cerco ogni volta la strada per intercettare quel particolare talento, quel modo che ognuno ha di esprimere ciò che ha dentro». Parlando di letteratura, lei si è cimentata come scrittrice. Come affronta questo ruolo, avendo una così vasta esperienza come interprete? «Da anni scrivo sceneggiature, ma prima di avvicinarmi alla scrittura sono stata una lettrice. Ho sempre amato leggere e per me la parola scritta ha sempre avuto una grande importanza. Anzi, devo ammettere che sono sempre stata molto più appassionata di lettura che non di cinema». Quale è il suo rapporto con la musica, che in questo spettacolo riveste una grande importanza? «Non sono una grande conoscitrice, ma ho un rapporto “musicale” con la recitazione e con la scrittura. Credo che abbiano una grande importanza il suono e il ritmo nella recitazione. Mentre molte scuole insistono sull’immedesimazione, io insisto proprio sul ritmo. Nell’unico libro che ho scritto, il sottotitolo è “racconti e interludi”, dove ho inserito proprio i pentagrammi di Piovani».



I luoghi della musica

ERA Vivaldi?

L’affascinante mistero del ritratto conservato al Museo della Musica di Bologna, nel quale si è voluto riconoscere il Prete Rosso di Maria Pace Marzocchi

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l Museo della Musica, nella Sala 6 dedicata al Settecento e ai suoi protagonisti, quasi di fronte all’immagine sfolgorante del divino Farinelli, è collocato un bel ritratto che per la pastosa materia pittorica e la calda e bruna cromia, che squilla di un rosso acceso nella sopravveste del ritrattato, denota un’esecuzione nella cerchia di Giuseppe Maria Crespi. Sul cartellino esplicativo si legge ancora Ritratto presunto di Antonio Vivaldi compositore, e così nella Guida del Museo (2017, dove è riprodotto in copertina), mentre nel recente Catalogo della quadreria (2018) è pubblicato come Ritratto di violinista e compositore. Per la prima identificazione con il musicista veneziano si arretra al 1938, quando il dipinto, fino ad allora inedito seppure inventariato, è pubblicato ne “La Rassegna musicale” di quell’anno come possibile ritratto di Vivaldi. Da allora l’identità dell’effigiato è stata oggetto di numerosi studi, confronti e dibattiti, come denota la lunghissima bibliografia, ulteriormente intensificatisi negli ultimi trent’anni e a favore di Vivaldi (per le vicende critiche, si veda la scheda 94 di Angelo Mazza nel catalogo ragionato). Le ipotesi identificative di questa lunga storia non sono peraltro sorrette da alcuna

Ritratto di violinista e compositore (già ritenuto Antonio Vivaldi). Bologna, Museo e Biblioteca internazionale della Musica. Esposto in ingrandimento fotografico come Ritratto di Vivaldi alla mostra VIVALDI. La mia vita, la mia musica. Bologna, Palazzo Fava, fino al 3 novembre 2019

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documentazione: nessuna iscrizione sul dipinto, né sul retro della tela o sul telaio, anche perché negli anni Trenta del Novecento, in occasione di interventi di manutenzione, il dipinto era stato rintelato e ne era stato sostituito il telaio (l’unica scritta che compare è un numero 38 sulla cornice, che dovrebbe riferirsi all’inventariazione del 1852). L’inventario del 1933 lo dice Suonatore di violino, la scheda ministeriale del 1934 Ritratto d’ignoto musicista, come denotano gli elementi identificativi del personaggio, che tiene ben fermo il violino nella mano sinistra, e nell’altra una penna d’oca puntata verso un foglio di musica dalla scrittura purtroppo del tutto generica. Violinista e compositore: nel 1703 Vivaldi fu assunto come “maestro di violino” e “maestro di choro” delle “putte” del Pio Ospedale della Pietà di Venezia, dove fu attivo fino al 1740, componendo concerti, messe e oratori, mottetti e cantate... La prima e fortunata identificazione con Vivaldi – il “Prete Rosso” – deriva forse dal presunto ciuffo rosso che fuoriesce dalla parrucca, ma che in realtà non è che la preparazione bruno-ocra del fondo della tela in uso nel tempo, e soprattutto nella bottega di Giuseppe Maria Crespi. Nessuna notizia neppure sulla provenienza del dipinto, che non compare negli inventari del nucleo originario dei dipinti raccolti da Padre Giovan Battista Martini, confluiti insieme ad altri ritratti settecenteschi nelle raccolte del Liceo Musicale di fondazione napoleonica, né sulla cronologia del suo arrivo nell’iconoteca musicale. I legami tra Vivaldi e Bologna furono peraltro pressoché inesistenti: a fronte di numerosi e documentati soggiorni del musicista a Mantova e a Ferrara, a Firenze e a Roma, la sua presenza a Bologna non è mai attestata, il suo nome non compare nella lista degli Accademici Filarmonici, e nessun dramma da lui musicato ha mai calcato al tempo i teatri cittadini. Quanto all’iconografia vivaldiana, sono noti soltanto cinque presunti ritratti incisi o disegnati. Il più probabile, la caricatura di Pier Leone Ghezzi della Biblioteca Apostolica Vaticana, è stato scelto come logo della mostra multimediale VIVALDI. La mia vita, la mia musica attualmente in corso a Palazzo Fava, ed è riprodotto nella sala dell’iconografia vivaldiana dove, sempre in riproduzione ingrandita, c’è anche il ritratto del Museo della Musica. Ma più che alle immagini grafiche, e nonostante la mancanza di supporti documentari, l’iconografia del compositore veneziano è ancora saldamente affidata al ritratto crespiano, come si può verificare, dalle ricerche sul web alle tante pubblicazioni divulgative: è di poche settimane fa, sull’inserto “La Lettura” del Corriere della Sera, una pagina dedicata agli strumenti di Vivaldi, e il colorato incipit è proprio il nostro bellissimo ritratto bolognese. Che compare come Vivaldi anche nel sito del museo.



Storie della musica

CHOPIN

Primi anni a Parigi

Inauguriamo con la nuova Stagione anche una nuova rubrica, uno sguardo “fra le note” per scoprire ciò che accadeva al tempo della nascita dei capolavori della musica, nella vita dei loro autori e nel mondo intorno a loro di Brunella Torresin

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Nella foto sopra: Fryderyk Chopin, disegno di Teofil Kwiatkowski (1849) 32

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ryderyk Chopin giunse a Parigi a fine settembre 1831, dopo aver trascorso sette mesi a Vienna. In Austria era stato raggiunto dalla notizia dell’insurrezione di Varsavia contro lo zar e dissuaso dal padre dal rientrare in patria. «Maledico l’istante della mia partenza», scrive all’amico Jan Matuszynski. Ha ventuno anni. E non rivedrà più la Polonia. Nei primi giorni di quello stesso settembre, a Parigi il quotidiano Le Constitutionnel dà notizia di un’epidemia di colera che ha colpito Vienna e Colonia. Il colera arriva in Francia nel 1832 e tra marzo e settembre provoca nella sola capitale 18.500 vittime, alcune illustri, come il primo ministro Casimir Périer. A Parigi, un milione di abitanti, vivono Bellini e Rossini, Liszt e Berlioz, Meyerbeer e Mendelssohn. La rivoluzione delle “Tre gloriose” giornate di luglio 1830 ha portato sul trono Luigi Filippo d’Orléans, nonostante Carlo X di Borbone avesse abdicato in favore del nipote, Enrico V, figlio del defunto duca di Berry. In un paese alle prese con le opposte spinte della restaurazione e del rinnovamento democratico, diviso tra legittimisti e orleanisti, nell’aprile 1832 la duchessa di Berry, che ha dalla sua parte figure illustri come René de Chateaubriand, sbarca a Marsiglia per raggiungere la Vandea e imporre il figlio Enrico. L’insurrezione fallisce, la Berry verrà arrestata, ma intanto si sfiora la guerra civile, è dichiarato l’état de siège e i poteri di polizia sono trasferiti all’autorità militare. Disordini, epidemie, venti di guerra e la miglior musica del continente: questa è la Francia che accoglie Chopin, espatriato tra i nobili espatriati polacchi. Fryderyk ne è consapevole. E se il colera non provoca la chiusura dei teatri, e se «Parigi è tutto quello che puoi desiderare, fare quello che ti

pare e nessuno baderà a te», come aveva scritto a Tytus Woyciechowski a dicembre 1831, è anche vero che «la società è preoccupatissima per diverse questioni e soprattutto per la situazione politica. Paralizza tutto il paese», come dirà qualche mese più tardi a Joséf Nowakowski. Chopin tiene il suo primo concerto, nella Salle Pleyel, il 26 febbraio 1832, penultima domenica di Carnevale. Lo deve al pianista Friedrich Kalkbrenner, una celebrità, che si è offerto di apparire come ospite della serata con l’esecuzione della sua Polacca per sei pianoforti. «Gli Herz, i Liszt, gli Hiller, ecc., sono tutti degli zero in confronto a Kalkbrenner… È un gigante», esulta Chopin. È il “gigante” Kalkbrenner a presentarlo anche all’editore Maurice Schlesinger. Giugno 1833 è un mese pieno di presagi. Esce a Parigi la traduzione de Il libro dei pellegrini polacchi di Adam Mickiewicz. Lo sciopero dei minatori di Anzin, ai confini con il Belgio, è represso nel sangue. Fallisce il tentativo di ripristinare la legge sul divorzio, abrogata nel 1816. La Francia prepara la seconda occupazione dell’Algeria. È questo il mese in cui Schlesinger pubblica i Dodici Studi op. 10 di Chopin. L’anno precedente lo stesso editore aveva stampato i Tre Notturni op. 9, nel 1836 appariranno le Quattro Mazurche op. 24 e l’anno successivo i Dodici Studi op. 25: sono i brani scelti da Alexander Romanovsky per la serata inaugurale dei Concerti di Musica Insieme. L’uscita dei Dodici Studi op. 10 è annunciata sui giornali del 7 luglio. Chopin li ha dedicati a Franz Liszt. Il 20 giugno 1833 Fryderyk scrive, in francese, a Ferdinand Hiller: «Liszt suona in questo momento i miei Studi. E mi trasporta fuori dalle mie oneste idee».



I viaggi di Musica Insieme

AMBURGO

Una meta eccezionale quella che apre la Stagione 2019/20: l’affascinante mélange fra classico e moderno della città tedesca, e uno straordinario Lang Lang alla Elbphilharmonie

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24-27 ottobre 2019 usica Insieme propone anche quest’anno un viaggio suggestivo, alla scoperta di una delle capitali europee della musica: Amburgo. Unico porto europeo distante più di 100 km dal mare, la città sviluppatasi sull’estuario del fiume Elba pullula di imperdibili attrazioni. Speciali le visite in programma, a partire dai luoghi più noti e apprezzati della città, quali l’antico municipio e le Chiese di San Pietro e di San Michele, i principali monumenti ed un esclusivo tour in battello sul fiume Elba, seguito da un pranzo nel famoso ristorante gourmet CARLS. Non potrà certamente mancare la visita alla magnifica Elbphilharmonie, avveniristico auditorium sospeso sull’acqua che il 26 ottobre accoglierà due debutti in un’unica serata: la Pittsburgh Symphony Orchestra, fra le migliori orchestre degli Stati Uniti, diretta dal Maestro Manfred Honeck, e una star indiscussa dei nostri tempi come Lang Lang, che

il pubblico di Musica Insieme ha potuto ascoltare a Bologna in tre recital, accogliendolo sin dagli albori della sua carriera. Dopo più di un anno di pausa forzata a causa di un infortunio, il pianista cinese riprenderà proprio questo autunno la sua attività. Di grande suggestione il programma, che comprende Mozart (il Concerto in do minore KV 491) e Šostakovič (la Quinta Sinfonia), e sarà aperto da una nuova opera commissionata per celebrare i sessant’anni di Manfred Honeck, il Resurrexit del compositore e dj americano Mason Bates, vincitore di un Grammy Award. Il giorno precedente avremo inoltre la possibilità di assistere, all’Opera di Amburgo, al “Beethoven Project” di John Neumeier, direttore artistico del celebre Hamburg Ballet dal 1973: toccante coreografia sulla vita e sulle musiche del titanico artista, basata principalmente sulle “Variazioni Eroiche” e sulla Sinfonia n. 3, essa rappresenta un ideale omaggio al Maestro di Bonn, del quale in tutto il mondo si celebreranno nel 2020 i 250 anni dalla nascita. Per informazioni: Fondazione Musica Insieme – Tel. 051 271932 info@musicainsiemebologna.it

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I CONCERTI ottobre / novembre 2019 Lunedì 14 ottobre 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ALEXANDER ROMANOVSKY.........................pianoforte Chopin Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 21 ottobre 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

BERLINER PHILHARMONIKER STREICHQUINTETT Mozart, Dvořák, Chihara Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 4 novembre 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

JAN VOGLER..................................................................violoncello TIFFANY POON............................................................pianoforte Debussy, Brahms, Bach, Beethoven Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Musica per le Scuole”

Lunedì 11 novembre 2019

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

TAKÁCS QUARTET Haydn, Bartók, Dvořák Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it - App MusicaInsieme



Lunedì 14 ottobre 2019

VARSAVIA

addio

La XXXIII Stagione dei Concerti si apre con un progetto speciale: l’integrale degli Studi di Chopin nella nuova lettura di un grande interprete e amico di Musica Insieme di Luca Baccolini

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e la sintesi non gli arrise come compositore, Hector Berlioz l’ebbe invece finissima come critico musicale. Questo il suo ricordo in morte di Fryderyk Chopin, un’istantanea fulminante del 1849: «Era verso mezzanotte che si abbandonava, quando i grandi cravattoni se ne erano andati, quando l’argomento politico del momento era stato a sufficienza dibattuto, quando tutti i maldicenti avevano esaurito i loro aneddoti... solo allora, obbedendo alla muta richiesta di due occhi intelligenti, diveniva poeta e cantava gli ossianici amori degli eroi e dei suoi sogni». In cinquanta parole ecco i 39 anni di Chopin, uomo tutt’altro che alienato dal consesso sociale cui apparteneva, come certa oleografia romantico-sentimentale tende a trasmettere, e anzi partecipante attivo di una società musicale che nel salotto faceva convergere ogni genere d’intrattenimento, dalla discussione politica (cui nemmeno Chopin, fervente nazionalista, era lontano) alla poesia, dalla musica pura all’opera. Come tanti uomini d’arte e d’ingegno del suo paese, Chopin aveva lasciato definitivamente la Polonia nel 1830, all’interno di quel movimento intellettual-migratorio che prese il nome di Grande Emigrazione Polacca, coinciso con lo smembra-

LUNEDÌ 14 OTTOBRE 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

ALEXANDER ROMANOVSKY Fryderyk Chopin Tre Notturni op. 9 Dodici Studi op. 10 Quattro Mazurche op. 24 Dodici Studi op. 25

ALEXANDER ROMANOVSKY

Descritto da Carlo Maria Giulini come “un pianista di grande talento”, Alexander Romanovsky ha studiato all’Accademia Pianistica di Imola con Leonid Margarius. Vincitore nel 2001, a soli diciassette anni, del prestigioso Concorso “Busoni” di Bolzano, nel 2009 consegue l’Artist Diploma presso il Royal College of Music di Londra. È ospite di palchi tra i più prestigiosi al mondo, tra cui il Concertgebouw di Amsterdam, la Sala Grande del Conservatorio di Mosca, le sale Asahi e Kioi di Tokyo, la Scala di Milano e la Sala Santa Cecilia del Parco della musica di Roma. Si esibisce regolarmente come solista con le maggiori orchestre, tra cui la Royal Philharmonic, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Filarmonica della Scala; collabora con direttori quali Vladimir Spivakov, Valerij Gergiev, Mikhail Pletnev e Sir Antonio Pappano. Dal 2014 è direttore artistico del Concorso pianistico internazionale “Vladimir Krainev” di Mosca.

pianoforte


Lunedì 14 ottobre 2019 mento dei territori tra Russia, Austria e Prussia. È in questi anni che l’élite polacca matura l’abitudine a guidare, o semplicemente ispirare, le sorti della nazione “da fuori”, proprio come fece il pianista, ministro e infine presidente Ignacy Paderewski durante la seconda guerra mondiale. Per Chopin la destinazione francese fu, se non obbligata, quasi necessaria. A Parigi i suoi connazionali avevano costituito una sorta di exclave polacca guidata simbolicamente da Adam Jerzy Czartoryski, capo del governo in esilio all’Hôtel Lambert. «Parigi è tutto Lo sapevate che nel ciò che tu vuoi – scrisse Chopin appena arrivatovi – puoi marzo 2019, un’ottantina divertirti, ridere, piangere, di amici di Musica Insieme fare quanto ti piace, e nesha partecipato a Mosca suno ti guarda, poiché qui vi sono migliaia di persone che alla finale del Concorso fanno la stessa cosa, e cia“Krainev” per scuno per conto suo». Affagiovanissimi talenti scinato dalla presenza di personalità come Hugo, diretto da Romanovsky Chateaubriand, Balzac, Delacroix, Auber, Kalkbrenner, Meyerbeer, Rossini e Cherubini, Chopin sentì la straniante sensazione di trovarsi al centro del mondo e, insieme, lontanissimo dal suo. E tanto più si affezionava a uno stile di vita sia mondano sia bohémien, quanto più la nostalgia di casa si faceva ancor più acuta. L’acme di questo sentimento si coglie nello Studio n. 12 in do minore che conclude la raccolta dell’op. 10, scritto di getto a Stoccarda nel settembre 1831 prima di mettersi in viaggio per Parigi. È il pezzo più “politico” di

DA ASCOLTARE

Se c’è un pianista che non ha ceduto alle lusinghe di un precoce successo, approfondendo la propria formazione piuttosto che lanciarsi a capofitto sul mercato discografico, il suo nome è Romanovsky. All’album del Premio “Busoni” (Divox, 2001) sono infatti seguiti quattro accurati progetti, tutti per Decca: l’arte della variazione di Schumann e Brahms nel 2007, Rachmaninov sia nel 2009 (gli Études Tableaux op. 33 e le “Corelli”) che nel 2014, con le due Sonate riunite sotto il titolo di Russian Faust e una copertina in cui lo stesso Romanovsky sembra impersonare un eroe goethiano. Del 2017 è Childhood Memories, un concept dove alcuni brevi pezzi che lo hanno accompagnato sin dall’infanzia si alternano all’omonima raccolta di Alexey Shor, delicatamente intessuta sul filo dei ricordi. Nel frattempo, la Warner Classics pubblicava nel 2011 un’altra chicca come l’opera omnia di Glazunov, affidando a Romanovsky i suoi due Concerti per pianoforte.

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Chopin, una violenta presa di coscienza alla notizia della marcia zarista su Varsavia e del fallimento dei moti rivoluzionari in cui Chopin per primo aveva creduto. Liszt lo ribattezzò “Studio della Rivoluzione”, ma la storia lo immortalò come “La caduta di Varsavia”. In questo concentrato turbolento e appassionato, tecnicamente impervio, si abbracciano i due intenti sottesi agli Studi di Chopin: sviluppare all’estremo le possibilità del pianoforte e conciliare queste conquiste con l’espressività e l’appagamento totale dell’ascolto, senza compromessi. È lo stesso tentativo (riuscito) che dieci anni prima, nel 1820, aveva intrapreso Paganini con i suoi 24 Capricci per violino solo. A questo modello s’ispira apertamente Chopin, per nulla spaventato dalla critica di un giornale tedesco che consigliava a chi avesse voluto eseguire questi Studi di tenersi vicino almeno un paio di chirurghi. Gli Studi op. 10, iniziati nel 1829, furono una sorta di biglietto da visita per Parigi e un’ottima pietra di paragone con Liszt, che in quegli anni stava esplorando gli stessi sentieri (Études d’exécution transcendante, 1826-51). Dal punto di vista tecnico potrebbero anche esser considerati una palestra per il loro autore, più che per gli allievi che si trovavano dinanzi, immaginiamo sbigottiti, montagne immani da scalare. Se nell’opera 10 gli Studi sono disposti in coppie con tonalità maggiore-minore, nell’opera 25 questo non avviene, se non una sola volta. È il segno che Chopin sta cercando una strada diversa, meno teorica e più pratica. Con questa nuova serie ogni studio sembra generarsi da quello precedente, quasi una concatenazione obbligata e necessaria che allacciando un pezzo all’altro forma un unico grande studio. Il problema dell’“unitarietà” in un catalogo che conta solo due concerti, tre sonate e una sonata per violoncello come pezzi complessi superiori al quarto d’ora è stato affrontato da Chopin e dai suoi interpreti in maniera sempre molto originale. A questo proposito, il grande pianista Alexis Weissenberg sviluppò la convinzione che i 21 Notturni che punteggiano il catalogo dall’op. 9 all’op. 62 (1830-1846) potessero costituire un corpus unico secondo un ordine preciso, individuato dalla tonalità. Weissenberg non svelò mai il motivo della sua scelta, ma eseguì e incise le serie di Notturni in un ordine né cronologico né ordinale, in modo da conferire una continuità armonica e quindi, in un certo senso, architettonica (il problema della struttura non si pone invece nelle Mazurche, che donano al nostro una leggerezza che Marcel Proust definì “epidermica”). Quale Chopin aggradi di più, se quello alla ricerca dell’Uno o quello perso in un naufragio di sentimenti fluidi, è una risposta che cambia ogni volta, rendendolo per questo immune alla noia.


Una doppia sfida > Intervista > Alexander Romanovsky Musica Insieme ha voluto celebrare l’inaugurazione della nuova Stagione con un’integrale impegnativa e prestigiosa, che Alexander Romanovsky porterà in tutta Europa nel corso della Stagione 2019/20. In questa intervista ci racconta nel dettaglio la sua nuova impresa. Come è nata l’idea di dedicare un programma agli Studi di Chopin? «Come sappiamo, ciascuno degli Studi di Chopin mette al centro una precisa tecnica pianistica. Per questo moltissimi interpreti hanno in repertorio un’antologia di studi fra quelli che sono loro più congeniali, ma pochissimi li suonano tutti. In più, qui Chopin ha compiuto un miracolo: ogni studio è un poema, una ballata, un dramma, uno scherzo. Sono immagini, o ancor meglio schizzi di grande emotività che Chopin ha avvolto nella forma dello studio. Quindi per me è una doppia sfida: rendere il mio pianismo in grado di viaggiare liberamente fra queste pagine, e nello stesso tempo esaltare in ognuno di questi schizzi la gemma che essi racchiudono». La tua rilettura degli Studi, che eseguirai quasi senza soluzione di continuità, ne esalta poi il carattere unitario… «Sì, perché è percepibile come fra uno Studio e l’altro vi sia una vera e propria attrazione, anche tonale, come se uno si “incastrasse” molto bene nell’altro, e secondo me questo non può essere un caso. Inoltre suonandoli tutti insieme si incomincia a notare una serie di coincidenze che magari nell’esecuzione limitata ad alcuni studi sparsi non sono così evidenti». Si parla sempre dell’ispirazione data a Chopin da Paganini, ma anche dal Clavicembalo ben temperato di Bach, del quale riprende la concezione di una raccolta di pezzi in tutte le tonalità… «La cosa assolutamente innegabile è che Chopin aveva profondamente interiorizzato tutte queste immagini, e non solo. Nel momento in cui affrontiamo per la prima volta un’impresa, del resto, tendiamo tutti a incominciare da un modello, dall’ABC insomma. Se scrivo uno studio, comincio magari dal do maggiore… la differenza sta nel fatto che partendo dalla “A” come tutti, il genio riesce a trasportarci sino a mondi a noi sconosciuti». Attraverso gli studi leggiamo un poco anche la

storia di Chopin, dal suo linguaggio ad alcuni momenti della sua biografia, come nel caso del celebre Studio op. 10 n. 12, legato alla caduta di Varsavia… «Sono tutte interpretazioni sicuramente affascinanti, e di certo contengono un nucleo di verità, ma la musica è molto di più. Come in ogni cellula è contenuto tutto il DNA di una persona, così in ogni pezzo, ma anche in ogni frase di Chopin c’è tutto il suo DNA, tutte le sue vicende, da quelle più tragiche a quelle più liete: è questa la sua vera firma, ancor più magari della trasposizione diretta di alcuni fatti di cronaca sulla musica». L’accostamento agli Studi di opere coeve come i Notturni op. 9 e le Mazurche op. 24 è a sua volta un’idea nuova. «Mi piaceva molto quest’idea, perché ci mostra sia Chopin che le sue opere sotto una luce diversa, ed è quello che vorrei sentisse anche il pubblico. Di solito tendiamo a catalogare le opere a blocchi, nei vari libri, mazurche con mazurche, studi con studi e così via; ma nella realtà è tutto molto più complicato di così, sia nel processo di creazione che nel modo in cui le musiche prendono vita. Quindi l’accostamento ci permette di vedere che Chopin in quel periodo stava scrivendo i famosissimi Notturni op. 9, e intanto nelle stesse settimane stava lavorando ad alcuni Studi. Al di là della confezione, del “packaging” diciamo, in Chopin il contenuto è sempre espressione dei suoi pensieri e sentimenti più intimi. Tutte le sue opere hanno titoli fuorvianti, gli scherzi non sono del tutto scherzi, gli studi non sono del tutto studi, le mazurche non sono solo mazurche: mantengono cioè il loro nucleo di danze popolari, ma quanto sono danze e quanto sono dei movimenti più intimi e intellettuali?».

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Lunedì 21 ottobre 2019

CLASSICI divertimenti

Gli archi virtuosi dei Berliner Philharmoniker portano a Musica Insieme il fascino del popolare e la leggerezza della danza di Luca Baccolini

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a musica non si ferma davanti a un portone, la musica entra nelle nostre stanze” (per parafrasare De Gregori). E aggiungiamo che non si fermano nemmeno i musicisti, da sempre aperti ad ogni stimolo e vissuti in un mondo senza confini, come i tre autori in programma in questo concerto. Come Mozart, che nella sua breve vita percorre migliaia di chilometri in tutta Europa, assorbendo e rielaborando da par suo tutti gli stili esistenti nel Settecento. Come Dvořák, che da Praga a Vienna agli Stati Uniti riesce miracolosamente a mescolare il mondo vecchio e il mondo nuovo con cui viene in contatto con un’abilità unica. O, infine, come Chihara, di origini giapponesi, formatosi nell’Europa postbellica, e attivo senza preclusioni in tutti gli stili musicali che l’America gli propone. Come duttili sono i musicisti, altrettanto lo sono gli strumenti, pronti per natura ad adattarsi a ogni situazione. E fra tutti gli strumenti i più duttili sono quelli portabili, che alla fine della musica il suonatore ripone nella custodia prima di ripartire e trovare “un altro viaggio e una città per suonare”. (questa volta è Ron…). I fiati, intanto, i quali tuttavia nel loro impiego nella “classica” rimangono un po’ attaccati (e spesso volutamente) alla loro origine e al loro impiego pre-musicale. Ma so-

LUNEDÌ 21 OTTOBRE 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

BERLINER PHILHARMONIKER STREICHQUINTETT LAURENTIUS DINCA violino STEPHAN SCHULZE violino IGNACY MIECZNIKOWSKI viola STEPHAN GIGLBERGER violoncello STANISLAW PAJAK contrabbasso

Wolfgang Amadeus Mozart Divertimento n. 3 in fa maggiore KV 138 Antonín Dvořák Danze slave op. 46 n. 3 e n. 8 – op. 72 n. 2 Paul Chihara Ellington Fantasy Antonín Dvořák Quintetto n. 2 in sol maggiore op. 77

prattutto gli archi, che sono lì, pronti e proteiformi, qualsiasi repertorio essi stiano eseguendo, qualsiasi pagina un autore voglia dedicare loro, qualsiasi musica della tradizione antica o popolare vogliano eseguire. Proprio come in un programma come questo, nel quale la duttilità degli strumenti


e l’abilità degli esecutori è messa davvero alla prova dagli autori che, in una sorta di percorsi incrociati, li fanno passare dalla musica di intrattenimento al jazz, dalla rielaborazione delle tradizioni popolari al camerismo tardo-ottocentesco. Ma andiamo con ordine, ed entriamo in un palazzo della seconda metà del Settecento, che si trovi esso a Milano, a Vienna, a Parigi o a Salisburgo non importa: il gusto musicale è più o meno lo stesso e ad esso si adegua Mozart all’inizio degli anni Settanta di quel secolo. Qui la musica è ancora considerata un piacevole sottofondo sociale e il divertimento non consiste solo nell’ascoltare gli altri, ma anche, e forse soprattutto, nel suonare in prima persona, riproducendo anche in musica quello “stile di conversazione” che caratterizza quel secolo e quella civiltà europea. A questo servono i Divertimenti (la denominazione a questo punto non è casuale) che caratterizzano i cataloghi degli autori lombardi, veneti e toscani che Mozart ascolta e a cui certamente si ispira nei suoi tre Divertimenti per archi, scritti subito dopo il suo rientro in Austria, e nei quali più che l’intreccio delle parti di barocca e mitteleuropea memoria egli ricerca la piacevolezza dell’esecuzione. È musica colta, musica d’uso, o musica leggera? È comunque musica perfettamente adatta all’uso che viene richiesto. E ad esso si adeguano gli strumenti che vi sono utilizzati. Ma se abbiamo problemi a collocare i Divertimenti di Mozart cosa possiamo dire, allora, dell’Ellington Fantasy di Chihara? Possiamo dire che sia gli uni che gli altri appartengono alla categoria dei “classici”, intesi nel senso etimologico della parola. “Classico” (leggiamo dal dizionario etimologico) è termine giuridico e significa “testimone degno di fede”, non solo in tribunale, in questo caso, ma anche nell’arte e nella musica. E tali sono sia i divertimenti del Settecento che gli standard di Ellington, i più celebri (I’m Beginning to See the Light, Take the “A” train, Sophisticated Lady, Mood Indigo) che il compositore statunitense riprende e trascrive per il quartetto d’archi, cioè la formazione più “metafisica” del panorama cameristico, che vi si adatta come se essa fosse stata pensata proprio per eseguire jazz. La linea tracciata da questi due estremi di autori e generi differenti e lontani nel tempo, si incrocia qui con un’altra linea, questa volta tracciata dal solo Dvořák, autore che nella sua varietà stilistica ci consente di proseguire il nostro tragitto nella disponibilità degli archi. Il quartetto si allarga qui a comprendere anche il contrabbasso, col quale l’autore ricrea le sonorità di una orchestra d’archi “condensata” in un rappresentante per sezione. Con questo “riassunto strumentale” possono essere proposte in concerto le Danze slave, come fossimo all’interno

I PROTAGONISTI

Fondato nel 1993 da membri della prestigiosa orchestra berlinese, dopo l’esordio alla Kammermusiksaal dei Berliner, l’ensemble ha avviato un’intensa attività concertistica in Germania e all’estero, inanellando tournée in Giappone, Cina, Corea, Italia, Austria e Portogallo. Il loro repertorio si concentra sui classici viennesi e sui romantici, con le serenate e le sinfonie di Haydn, Mozart, Mendelssohn, Rossini, Schubert, Dvořák come pure sulla musica contemporanea, jazz e tango, di cui hanno recentemente registrato alcuni brani sotto la guida di Laurentius Dinca. Sia in Germania che all’estero lo Streichquintett riceve numerosi riconoscimenti, così pure la stampa specialistica ha apprezzato le loro registrazioni, eseguite con i marchi Teldec e NEC.

di una locanda della campagna boema dove i violini dei suonatori ambulanti servivano ad accompagnare il ballo. Ma qui, come per magia, lo spirito folklorico è visto da lontano e con una buona dose di nostalgia, rimescolato poi con la sapienza costruttiva doverosa in pagine che, almeno per la loro collocazione concertistica, devono ormai essere considerate “musica pura”, come si addice al pupillo di Brahms. Quasi coevo alle Danze slave, ecco infine il Quintetto, che recupera da un lato la grande tradizione cameristica viennese modificandola un po’. La presenza del contrabbasso al posto di un colto pianoforte, o di una nostalgica viola o di uno struggente violoncello, e l’utilizzazione lontana dello spirito popolaresco, fa emergere infatti qui quello spirito di saporoso divertissement che sembra, a questo punto del concerto, riportarci in un percorso circolare allo spirito felice dal quale eravamo partiti.

DA ASCOLTARE

Vari sono gli ensemble da camera che si sono succeduti nel corso dei 137 anni di attività dei Berliner Philharmoniker, senza tema di smentita la più prestigiosa tra le compagini orchestrali di tutti i tempi. Innumerevoli e iconiche le registrazioni dell’orchestra con i più grandi direttori, e quantomeno “nutrito” anche il carniere degli organici da camera, con alcune interessanti registrazioni risalenti agli anni Sessanta e Settanta del Novecento, e reperibili unicamente in vinile. Tra quelle invece più gestibili in cd, segnaliamo le incisioni capeggiate dal primo violino Laurentius Dinca, come Con Aire de Tango di Arturo Cardelús (Naxos 2015), e le edizioni realizzate per l’etichetta Phil.harmonie, branca classica della Jazzwerkstatt (www.jazzwerkstatt.eu), che propone un’ampia panoramica tra i vari organici e i compositori più rappresentativi, il tutto rigorosamente griffato Berliner.

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Archi universali > Intervista > Laurentius Dinca Nato in Romania, Laurentius Dinca intraprende lo studio del violino a cinque anni su incoraggiamento di uno zio, ingegnere e amante della musica, a cui si deve fra l’altro la progettazione dell’edificio della Filarmonia di Bucarest. Da Bucarest a Berlino, come cambiano le “lingue” della musica? «Come sappiamo, la musica è un linguaggio universale, perciò non è stato così difficile, dopo i miei studi in Romania, suonare in diverse orchestre. Da quando milito nei Berliner Philharmoniker poi ho conosciuto tantissimi musicisti di diverse nazionalità, ognuno con la propria lingua. Ben presto però si sviluppa una sorta di linguaggio comune, un modo speciale di suonare dove ognuno aggiunge la propria storia, portando la tradizione di quella parte del mondo all’interno della struttura e della tradizione ideale dei Berliner Philharmoniker». Il vostro ensemble riunisce le prime parti dell’orchestra più prestigiosa al mondo, condensandone i timbri dai violini al contrabbasso. «Infatti: non ci sono molti brani originali per un quintetto d’archi come il nostro, quindi eseguiamo sia trascrizioni del repertorio maggiore che concerti con solisti ospiti. Inoltre, molti autori d’oggi hanno composto musiche originali per noi: ad esempio l’italiano Roberto Di Marino, che ha scritto per noi più di 15 brani». Sale nuove e polifunzionali, come quella che

avete da poco inaugurato ad Andermatt, in Svizzera, e sale secolari, dove si respira la storia: quali preferite? «Ogni anno i Berliner programmano una trentina di concerti all’estero. È una combinazione di sedi “classiche”, come la Carnegie Hall di New York o le sale di Amsterdam e Vienna, e di nuove sedi, come quella che abbiamo inaugurato a Kawasaki, o la Philharmonie di Parigi… Fra di esse, l’Elbphilharmonie di Amburgo è un posto meraviglioso: l’edificio è molto alto e non tanto largo, e ne risulta una sonorità unica e molto nitida, che io amo particolarmente. Yasuhisa Toyota, una vera e propria star dell’ingegneria acustica, negli ultimi 15 anni ha cambiato il suono da edificio a edificio: potrebbe essere un riferimento per l’avvenire. Anche i nostri programmi sono molto diversi a seconda delle sale, e nelle varie parti del mondo possono chiederci di eseguire più brani tradizionali o più nuova musica. Ad esempio con Sir Simon Rattle cerchiamo di includere brani contemporanei, fra cui molti nuovi pezzi commissionati proprio dai Berliner, secondo un metodo che contiamo di proseguire anche con Kirill Petrenko». Nel vostro programma per Bologna proporrete un’antologia di brani che vanno da Mozart a Ellington… «Ci fa molto piacere, nella flessibilità dei nostri programmi, venire incontro alla filosofia di Musica Insieme, che ama non soltanto proporre il repertorio maggiore, ma anche esplorare: per questo siamo felici di poter suonare una serie di brani molto popolari, ma accostandovi anche una fantasia jazz che Paul Chihara ha approntato sui titoli più famosi di Duke Ellington». Anche Dvořák è presente con due importanti lavori del suo catalogo. «Il caso di Dvořák è ancora diverso: probabilmente l’opera 77 è il più bel brano mai scritto per un quintetto d’archi come il nostro, ossia due violini, una viola, un violoncello e due contrabbassi. Un organico, cioè, differente dal tradizionale quintetto con due viole o due violoncelli. La sua musica abbraccia come sappiamo la tradizione ceca, con melodie struggenti e bellissime (non dimentichiamo la meraviglia dei suoi movimenti lenti); è sempre piacevole ma anche molto virtuosistica. Per concludere con l’inizio, apriremo il concerto con il terzo dei Divertimenti per archi di Mozart, un brano di non frequente esecuzione».




Foto Alvin Ho

Lunedì 4 novembre 2019

VIRTUOSO cantabile

Il programma del debutto bolognese del duo Vogler-Poon esalta la voce del violoncello sulle note di quattro capolavori di Fabrizio Festa

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a produzione musicale per violoncello, quella moderna, che comincia con Vivaldi, Bach e Boccherini, per poi giungere robusta e vigorosa fino ai nostri giorni, è tale perché esalta dello strumento una caratteristica specifica: la cantabilità. Quella potenzialità espressiva, cioè, che il violoncello in realtà deriva da famiglie di strumenti affini, a cominciare dalla viola da gamba, ma che nel contesto della musica seicentesca non era emersa per ragioni sostanzialmente legate alle modalità compositive dell’epoca. In estrema sintesi, potremmo dire che l’affermarsi del violoncello come strumento autonomo, in grado quindi di assumere con autorevolezza un ruolo solistico, avviene parallelamente al consolidarsi di una produzione strumentale che, pur restando nell’accogliente, vasto e variegato alveo della melodia accompagnata, non è sempre e costantemente costretta all’imitazione della voce cantante. In altre parole, con maggior nitidezza

LUNEDÌ 4 NOVEMBRE 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

JAN VOGLER violoncello TIFFANY POON pianoforte

Claude Debussy Sonata in re minore Johannes Brahms Sonata n. 1 in mi minore op. 38 Johann Sebastian Bach Suite n. 2 in re minore BWV 1008 per violoncello solo Ludwig van Beethoven Sonata n. 3 in la maggiore op. 69

CHE MUSICA, RAGAZZI! – III edizione Il 4 novembre alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

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Lunedì 4 novembre 2019

I PROTAGONISTI

Foto Jim Rakete

Jan Vogler è fra i violoncellisti più celebri del panorama internazionale. Si esibisce regolarmente con le principali orchestre, tra cui la New York Philharmonic, le Orchestre Sinfoniche di Boston, Pittsburgh e Montréal, la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunk, e collabora con direttori come Andris Nelsons, Fabio Luisi, Sir Antonio Pappano e Valerij Gergiev. Dal 2001 Jan Vogler è direttore artistico del Festival di Moritzburg e dal 2008 è alla guida del Dresden Music Festival. Nata a Hong Kong, all’età di 8 anni Tiffany Poon ha vinto una borsa di studio per la Juilliard School Pre-College Division, e a 10 anni ha fatto il suo debutto in veste di solista. Da allora ha tenuto recital negli Stati Uniti, in Canada, Europa, Australia e Cina, ed è apparsa accanto alle maggiori orchestre americane ed europee. Nel 2014 le è stato assegnato il premio nazionale statunitense “YoungArts”.

che in altri casi, e magari poi corroborando analoghi sviluppi per altri strumenti (si pensi a quanto accadrà per il contrabbasso a partire dall’inizio del XIX secolo, grazie, ad esempio, a figure come quella di Bottesini), l’affermarsi del violoncello caratterizza la modernità musicale, indicando a compositori e strumentisti possibilità nuove ed affascinanti. Tutto questo emerge chiaramente nella scrittura per quartetto d’archi, al cui consolidamento, e certamente non per caso, contribuì quel grande virtuoso del violoncello, che è stato Luigi Boccherini. Questa premessa è indispensabile per comprendere dove collocare le Suites per violoncello solo composte da Johann Sebastian Bach. La raccolta ne conta sei, composte probabilmente in un periodo che oscilla tra il 1717 e il 1723. Bach è a Köthen, Kapellmeister presso la corte del principe Leopold di Anhalt. La Cappella di Corte vantava nella sua compagine ottimi strumentisti, tra cui

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quello che probabilmente fu il primo destinatario delle Suites: il violoncellista Christian Bernhard Linke. Come spesso accade nelle opere bachiane, soprattutto in quelle composte in forma di ampie sillogi (Partite e Sonate per violino, Clavicembalo ben temperato, Offerta musicale, Arte della fuga), anche le Suites per violoncello solo rappresentano una sorta di compendio dello stato dell’arte violoncellistica di quell’epoca. Bach utilizza tutto ciò che gli offre il panorama europeo in termini di espressività e virtuosismo, per giungere a un risultato di assoluta originalità, tale da imporre queste Suites come una sorta di spartiacque nella letteratura violoncellistica. Non crediamo sia corretto, come del resto moltissimi esegeti continuano a fare, insistere su una più o meno presunta severità dello stile bachiano, tale da farlo apparire non al passo coi suoi tempi, dipingendo Bach come un austero compositore in parrucca. Bach sfrutta, è vero, tutte le potenzialità del contrappunto (e non è certo il solo), per costruire, però, forme melodiche assolutamente nuove, che diventeranno modelli per tutti i suoi epigoni, a cominciare da Haydn, Mozart e Beethoven. Dovremmo ascoltare le sue pagine con l’attenzione non focalizzata soltanto sulla perfezione dei costrutti, quanto piuttosto sull’efficacia emotiva delle melodie e della relazione di queste con il tessuto armonico. Un intreccio mirabile, in cui trama e ordito si confondono generando quella perfetta integrazione tra musica humana e mundana, cui tanti prima e dopo Bach hanno spesso invano mirato. Beethoven, che compose la sua Terza Sonata (di cinque) op. 69 tra il 1807 e il 1808 e la pubblicò l’anno successivo, non è tra questi. Per lui Bach è un punto di riferimento in un senso strettamente tecnico. Il paradigma è cambiato. La musica non è cardine di una concezione integrata del mondo, bensì è espressione di emozioni e sentimenti del tutto o quasi privati. Siamo in un’epoca di uomini “contro”: contro altri uomini, contro l’umanità intera e soprattutto contro la natura ormai divenuta matrigna. Di tale dinamica testimonia chiaramente l’idealismo tedesco, di cui a suo modo partecipa anche Beethoven. D’altronde, la forma, che per Bach era l’esito di una elegante e coerente geometria, è ora invece il frutto di una dialettica, nella quale – come appare evidente dalla contrapposizione tematica che caratterizza quasi tutto il sonatismo ottocentesco – è l’incoerenza e l’incostanza delle umane passioni (umane, troppo umane) ad essere rappresentata. Beethoven se ne fa intenzionalmente alfiere. Dopo di lui, Schumann e Brahms lo seguiranno apertamente, altri con riserva, specie al di fuori dell’area di lingua tedesca. Lo seguiranno sul ter-

reno ideologico, a volte anche dal punto di vista tecnico, guardando però a Bach con rinnovato interesse. Basti dire qui che per il tema principale del primo movimento della Sonata op. 38, pubblicata nel 1866 e composta nei tre anni precedenti, Brahms prende spunto dal soggetto del Contrapunctus IV dell’Arte della fuga. Nel movimento conclusivo – dove Brahms combina elementi contrappuntistici e formaLo sapevate che a soli sonata – il riferimento te12 anni, nel 2009, Tiffany matico è fornito dal Contrapunctus XIII. Il tutto in Poon ha fatto il suo debutto una sonata dal chiaro saeuropeo proprio a Bologna, pore classicistico. Brahms, presso la prestigiosa Sala infatti, media tra gli eroici furori beethoveniani e le Mozart dell’Accademia necessità di una composiFilarmonica zione elegante e ben strutturata, trovando così un suo originale equilibrio. Infine, è un Debussy maturo quello che mette mano alla Sonata in re minore per violoncello e pianoforte. Dal 1893, l’anno del suo Quartetto, aveva abbandonato la musica da camera. Solo nel 1915 (tre anni prima della sua scomparsa) eccolo decidere di metter mano ad una serie di sei sonate per diversi strumenti. Ne porterà a termine solo tre, prima fra tutte proprio quella per violoncello. Fin dalle battute iniziali l’ascoltatore capirà che siamo in un’altra dimensione. Debussy ha della forma una concezione fluida e malleabile. La materia sonora cambia consistenza e luminosità con la stessa libertà con la quale un uccello compie le sue evoluzioni nel cielo.

DA ASCOLTARE

Se la discografia di un musicista è anche la cartina al tornasole della sua personalità artistica, nel caso di Jan Vogler ci troviamo di fronte a una costante evoluzione, al ritmo di almeno un’incisione all’anno. Consultandola si ha l’impressione di sfogliare l’album fotografico di famiglia, dove si ripercorrono le tappe più importanti della vita, che immortalano il tempo che passa segnando lo sguardo di una progressiva maturità. Grandissimo virtuoso del suo strumento, Vogler è stato insignito per due volte del prestigioso premio Echo Klassik come “Musicista dell’anno”, e nel 2006 si è aggiudicato il “Disco dell’anno” con un cd edito da EMI comprendente il Divertimento KV 563 di Mozart, occasione a nostro giudizio da non perdere per apprezzarne le doti in un repertorio diverso da quello che eseguirà nel suo concerto bolognese.

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La Sonata si fa in due > Intervista > Jan Vogler e Tiffany Poon

Foto Jim Rakete

Lui è uno dei più acclamati violoncellisti del panorama internazionale, capace di passare dalle Suites di Bach alle collaborazioni con il celebre attore Bill Murray, con New Worlds, ritratto semiserio degli intrecci fra musica e letteratura immortalato in un cd di successo. Lei, nata a Hong Kong e “adottata” giovanissima dalla Juilliard School statunitense per il suo straordinario talento, è protagonista di una carriera strepitosa, e Vogler l’ha voluta con sé per la Stagione 2019/20. Insieme, Jan Vogler e Tiffany Poon ci raccontano il loro sodalizio artistico. Benvenuti a Bologna! Che rapporto avete con il pubblico italiano? Poon: «Grazie! Sono onorata di far parte di una rassegna così prestigiosa. Il pubblico italiano è sempre stato entusiasta e caloroso con me, ricordo ancora la mia esibizione qui a Bologna dieci anni fa, perciò non vedo l’ora di esibirmi in questa bellissima città». Vogler: «Amo suonare in Italia: è sempre un’esperienza culturale unica per me. Ritengo di essere stato fortunato perché in passato ho scoperto tante bellissime città italiane. Quando mi esibisco in una nuova città sono sempre incuriosito dalla sua particolare atmosfera: Bologna è una delle più famose

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città europee, e sono molto felice di suonare per i vostri appassionati, ma anche ansioso di scoprire i tesori della città e le sue specialità culinarie!». Com’è nata la vostra collaborazione? Vogler: «Il Festival che dirigo a Moritzburg è molto attivo nella scoperta e nella valorizzazione dei giovani artisti. Come nello sport e negli scacchi, i giovani portano nuove idee, tanto talento ed

«Sono entusiasta di presentare alle platee italiane una giovane pianista che lascerà sicuramente il segno nel futuro della musica» entusiasmo al nostro mestiere. Quando ero giovane io, il grande pianista italiano Bruno Canino mi ha aiutato a comprendere le magnifiche sonate di Beethoven, Brahms, Debussy e non solo, ed è stata un’esperienza incredibile. Il concerto di Bologna è il caso inverso: Tiffany Poon è una pianista meravigliosa, talentuosissima ed appassionata. Abbiamo un modo molto simile di intendere la musica e il rapporto con il pubblico, e sono entusiasta di presentare alle platee italiane una giovane pianista che lascerà sicuramente il segno nel futuro della musica classica». Poon: «Ci hanno presentati a New York tramite la Young Artists Foundation, di cui faccio parte dal 2018. Abbiamo suonato alcuni brani di Brahms e Rachmaninov: è stato un weekend musicale stimolante, in cui ho potuto suonare con un violoncellista entusiasmante, che emana una grande passione per la musica e la vita! Jan Vogler è particolarmente generoso nel sostenere i giovani musicisti, e mi sento molto fortunata ad essere stata scelta per collaborare con lui». In che modo avete costruito il programma del concerto? Poon: «Nei nostri concerti, penso sia molto interessante esplorare diversi caratteri musicali attra-


«La storia dell’ascesa del violoncello nel mondo della musica è profondamente collegata alla storia della liuteria italiana» una tradizione che iniziò con Beethoven nella sua Terza Sonata, come ha sottolineato Jan poco fa. Qui Beethoven permette al pianoforte di condurre il gioco, e allo stesso tempo di intrecciarsi con il violoncello in modo nuovo, inoltre la parte pianistica è altrettanto impegnativa e virtuosistica delle sue sonate per pianoforte. La Prima Sonata di Brahms esplora un ventaglio ancora più vasto di ruoli del pianoforte, che vanno dal fornire il tradizionale sostegno armonico, aggiungendo profondità e sonorità alle meravigliose melodie del violoncello, al condurre una fuga a tre voci nell’ultimo movimento, decisamente rivoluzionario per l’epoca. In Debussy trovo che i ruoli del pianoforte e del violoncello siano ancora più incastonati fra loro, probabilmente per il fatto che i

Foto Paloma Sendry

verso brani di periodi contrastanti: perciò sono molto contenta che Jan abbia suggerito questa selezione di opere che mostrano una varietà di stili e sonorità». Vogler: «Mi piacciono i contrasti e i colori nei programmi dei concerti: Debussy usa una miscela accattivante di elementi francesi, spagnoli e arabi nella sua breve e geniale sonata. La Sonata op. 38 di Brahms, da parte sua, rappresenta il romanticismo centro-europeo nella sua massima espressione. Nella seconda parte diamo spazio invece a due grandi compositori, artefici della “promozione” del violoncello a strumento solistico alla pari del violino e del pianoforte: Bach e Beethoven. Senza le sei suites di Bach e le cinque sonate di Beethoven il violoncello sarebbe rimasto uno strumento secondario nella storia della musica. La gloriosa opera 69 di Beethoven è la primissima sonata mai scritta in cui i ruoli del violoncello e del pianoforte sono assolutamente paritetici». E come cambia invece il ruolo del pianoforte in queste composizioni? Poon: «Di questo programma è entusiasmante la relazione equilibrata tra il piano e il violoncello: non si tratta semplicemente di sonate per violoncello con accompagnamento di pianoforte, ma di vere e proprie sonate per entrambi gli strumenti,

materiali tematici si susseguono l’un l’altro in maniera naturale, senza un inizio e una fine in senso “classico”. Sebbene sia una sonata molto breve, Debussy utilizza ingegnosamente una varietà di tecniche moderne e di strutture ritmiche in grado di esaltare al massimo l’espressività e i colori di entrambi gli strumenti. È un lavoro capace di trasfigurare molto rapidamente dal lamento al capriccio, il che lo rende ideale per aprire il programma del concerto». Maestro Vogler, avremo il piacere di ascoltarla in una Suite di Bach. Qual è la sua relazione con questo corpus fondamentale nella storia del violoncello? Vogler: «La storia dell’ascesa del violoncello nel mondo della musica è profondamente collegata alla storia della liuteria italiana. Io suono un violoncello del grande Antonio Stradivari, costruito nel 1707, che fu posseduto dal conte Castelbarco. Percepisco come questo violoncello “conosca” intimamente il suo tempo, e questo mi aiuta a trovare una connessione più profonda con la musica di Bach. Ho registrato le sei Suites nel 2012, e in studio talvolta sentivo che dovevo soltanto ascoltare il mio strumento interagire con Bach perché la sua musica parlasse da sé. La Suite in re minore è la mia preferita per tanti motivi: è la più filosofica e meditativa tra tutte le suites, e sono molto emozionato all’idea di eseguirla proprio nel paese d’origine del mio violoncello!». MI

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Foto Amanda Tipton

Lunedì 11 novembre 2019

PADRI e figli U La storia del quartetto d’archi risuona fra le corde dell’ensemble ungherese più acclamato al mondo, di ritorno sul palco di Musica Insieme dopo oltre vent’anni di Francesco Corasaniti

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na delle definizioni più popolari attribuite a Joseph Haydn è sicuramente quella di “padre del quartetto”, un epiteto che risale già a Mozart e che certamente non teme smentite. Più che davanti a un padre, però, sembra di essere davanti a un patriarca biblico: d’altronde, a parte qualche dubbio di autenticità, tra divertimenti e quartetti veri e propri, il suo catalogo contiene quasi un’ottantina di “figli”. A ben guardare, non sembrano nemmeno tutti figli della stessa madre, tanto diversi sono quelli appartenenti alle diverse “sestine”. Il compositore, infatti, ha composto quartetti a gruppi di sei – salvo rare eccezioni – tra loro piuttosto omogenei e nati da una medesima con-


LUNEDÌ 11 NOVEMBRE 2019 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

TAKÁCS QUARTET

EDWARD DUSINBERRE violino HARUMI RHODES violino GERALDINE WALTHER viola ANDRÁS FEJÉR violoncello Franz Joseph Haydn Quartetto per archi n. 31 in do maggiore Hob. III:39 Béla Bartók Quartetto per archi n. 6 Felix Mendelssohn Quartetto n. 2 in la maggiore op. 13

cezione musicale e struttura interna. I sei Quartetti dell’opera 33, di cui fa parte il n. 31 in do maggiore Hob. III:39, composti nel 1781 e denominati “Quartetti russi”, ad esempio, rappresentano un momento cruciale nella produzione di Haydn, ma anche nella storia stessa di questa forma. Sono infatti i primi pienamente e indubbiamente ascrivibili al concetto classico di Quartetto, sia per l’articolazione dei movimenti, sia per i rapporti tra le parti. Il compositore stesso era consapevole della loro originalità e scriveva infatti al Granduca Pavel di Russia, che ne fu il dedicatario: «Sono composti in una forma interamente nuova, come sono riuscito a fare dopo non averne scritti per dieci anni». Questa “forma in-

teramente nuova” è naturalmente un’iperbole: Haydn non si stava rivolgendo in effetti ad un collega, ma al destinatario dell’opera e dunque una certa esagerazione a favore dell’esclusività di quanto stava inviando è assolutamente scusabile. Vero è che essi differiscono fortemente da quanto li ha preceduti, soprattutto per quanto riguarda i materiali sonori gestiti dai vari strumenti. È ancora il primo violino ad emergere sui compagni in modo evidente, ma ora le altre voci non sono un mero accompagnamento armonico, ma utilizzano invece cellule tematiche della voce principale, andando a gettare le basi di quel discorso a quattro soggetti che diventerà sempre più il quartetto per archi. MI

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Lunedì 11 novembre 2019

TAKÁCS QUARTET

Il Takács Quartet è stato fondato nel 1975 all’Accademia “Franz Liszt” di Budapest e ha raggiunto il successo internazionale nel 1977, vincendo il Primo premio e il Premio della critica al Concorso internazionale per Quartetto d’archi di Evian, in Francia. Nel 1978 l’ensemble si è aggiudicato la Medaglia d’oro ai Concorsi di Portsmouth e Bordeaux, e a seguire i primi premi sia al Concorso internazionale di Budapest che al Concorso internazionale di Bratislava. Nel 1982 ha effettuato la sua pima tournée in Nord America. Unico Quartetto al mondo ad essere inserito nella Hall of Fame della rivista Gramophone, nel 2014 è stato il primo Quartetto d’archi a vincere la Medaglia della Wigmore Hall. Ensemble residente all’Università di Boulder, in Colorado, il Quartetto esegue un’ottantina di concerti l’anno in tutto il mondo, ed è protagonista di pluripremiate incisioni.

Quando il giovane Felix Mendelssohn scriveva il suo Quartetto n. 2 in la maggiore op. 13 era l’estate del 1827 e questo concetto era stato ormai interiorizzato dalla prassi dell’epoca, anche perché il quartetto per archi era passato attraverso mani sapienti come quelle di Mozart e, soprattutto, di Beethoven, che con le sue ultime opere aveva stravolto, vivisezionato, scardinato e ricomposto in nuova guisa questa forma con inaudita modernità. Al diciottenne Mendelssohn non si poteva naturalmente chiedere di fare lo stesso, eppure la morte di Beethoven appena quattro mesi prima doveva averlo ispirato, dal momento che la sua opera 13

DA ASCOLTARE

Il ricco repertorio per quartetto trova nella discografia del Takács una completa antologia, che accompagna il cammino di questa formazione nata nel 1975 sotto la guida del primo violino Gábor Takács-Nagy, che da alcuni anni ha lasciato l’archetto per impugnare la bacchetta, affermandosi anche come carismatico direttore d’orchestra. Gli amanti dell’archeologia potranno ricercare la prima registrazione del Takács Quartet realizzata per la Decca nel 1988, una monografia con le opere 76 e 77 di Haydn raccolte in tre pubblicazioni. La successiva collaborazione con l’etichetta Hyperion ha dato poi origine a numerose incisioni, tra cui segnaliamo un “tutto Šostakovič” registrato nel 2014 con il Quartetto n. 2 in la maggiore op. 68 e il celebre Quintetto in sol minore op. 57, che vede al pianoforte Marc-André Hamelin al fianco della formazione attuale, ospite quest’anno di Musica Insieme.

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è intrisa di riferimenti alle opere 132 e 135 del compositore tedesco. Dalla prima delle due deriva il nucleo tematico, elaborato con un’abilità contrappuntistica che rivela la precocità del genio compositivo di Mendelssohn, mentre alla seconda sembra ispirarsi per il riferimento alla celebre frase “Deve essere?” che Beethoven aveva apposto alla partitura. L’Adagio iniziale del Quartetto op. 13, infatti, cita un Lied dello stesso Mendelssohn, in particolare la melodia che corrisponde al verso “Ist es wahr?” (“È vero?”). E come Beethoven aveva risposto alla propria domanda, così ha fatto anche il più giovane compositore, concludendo il primo movimento con più ampie citazioni del proprio Lied. Ma cosa “è vero”? Nel testo del Lied il poeta chiede alla donna amata se è vero che lo aspetterà per sempre, se interrogherà la luna e le stelle sul futuro e se gli sarà per sempre fedele. Non sappiamo se questi riferimenti siano rivolti a un amore lontano, magari non corrisposto, o se si tratti di una domanda più esistenziale di un giovane che si affaccia all’età adulta o, ancora, semplicemente di un modo per celebrare il ricordo di Beethoven appena scomparso. Intriso di riferimenti extramusicali è anche il Quartetto n. 6 di Béla Bartók, e anche questi sono legati all’opera 135 del genio di Bonn. Ma andiamo con ordine. Era il 1939, un anno terribile per l’intera Europa: la Germania nazista aveva cominciato a seminare morte e paura nel continente e il compositore aveva deciso di fuggire in America. A quanto sappiamo, il Sesto Quartetto è la sua ultima opera europea, quasi un canto d’addio al mondo da lui conosciuto. Il Mesto che introduce il Quartetto cita il tema della Grosse Fuge, proprio dove compare la frase “Deve essere?”. Qui la citazione perde la freschezza dell’omaggio giovanile di Mendelssohn e sembra più un’accorata domanda universale: “Deve essere?”, cioè “Deve accadere tutto questo? La guerra, lo sterminio, la distruzione?”. Ogni movimento del Quartetto è indicato come Mesto, perché non può che esserci tristezza davanti a tanta desolazione, ma nel secondo e nel terzo tempo si sviluppa poi in Marcia e Burletta: quasi una parodia cinica dell’avanzata nazista sull’Europa. La viola, nell’ultimo movimento, sempre più silenziosa, accompagna il dissolversi della musica nel più tragico dei silenzi: “Non deve essere”.

Lo sapevate che nel 2014 il Takács è stato protagonista, accanto a Meryl Streep, di un applauditissimo reading del romanzo Everyman di Philip Roth


Alle radici del quartetto > Intervista > Takács Quartet / András Fejér Erano quattro studenti dell’Accademia “Franz Liszt” di Budapest, ormai 45 anni fa. Ora sono un’autorità indiscussa del quartettismo mondiale. Il violoncellista András Fejér, che di quella nascita è stato protagonista, porta avanti oggi la tradizione della compagine originale, con costanza e passione. Com’è nato il vostro Quartetto? «Tre di noi avevano frequentato il liceo musicale di Budapest, quindi ci si conosceva già. Io sono cresciuto ascoltando quartetti d’archi dal vivo, in casa e a concerto, perciò è sempre stato il mio sogno, una volta cresciuto, poterne fondare uno tutto mio. Una volta ammessi all’Accademia “Franz Liszt”, abbiamo iniziato a cercare un secondo violino, e intanto suonavamo insieme come trio d’archi. Poi abbiamo incontrato Karoly Schranz ed il Quartetto ha preso vita». Com’è stato il vostro primo concerto? Come vi siete sentiti subito dopo? «Abbiamo partecipato a un concorso interno il primo anno in cui abbiamo costituito il Quartetto, e abbiamo lavorato incessantemente per qualificarci e non fare brutta figura! Pur nella febbrile preparazione del concorso, non eravamo sicuri di farcela – abbiamo anche pensato di abbandonare – ma fortunatamente non l’abbiamo fatto ed abbiamo vinto. Il ricordo di quell’entusiasmo è ancora vivido, ci siamo sentiti ricompensati per aver perseverato e non esserci arresi. Da quel momento in poi abbiamo continuato a lavorare con costanza ed impegno come Quartetto». Condividete altre passioni a parte la musica? «Ognuno di noi ha diversi passatempi al di fuori del Quartetto: io per esempio adoro il tennis, il giardinaggio e lavorare nel mio laboratorio di falegnameria (stando sempre molto attento!). Geraldine ama leggere e fare escursioni, così come Ed e Harumi, che amano anche trascorrere il tempo libero con i loro numerosi amici». Se dovesse scegliere un compositore, chi vorrebbe incontrare e cosa gli/le chiederebbe? «Mi sarebbe piaciuto molto incontrare Johannes Brahms: gli avrei chiesto perché non colse l’opportunità di sposare Clara Schumann, quando la ebbe, molti anni dopo l’ini-

zio del loro amore. Inoltre lo vorrei ringraziare per tutta la sua magnifica, straordinaria musica da camera!». Come scegliete il repertorio dei vostri concerti? «Cerchiamo di diversificare i nostri programmi, in modo da mantenere sempre una certa freschezza, e naturalmente di suonare brani che amiamo e che si completano l’un l’altro. Approfondiamo un dato repertorio anche in vista delle nostre incisioni, come nel caso di Mendelssohn; infine il Quartetto n. 6 di Bartók ha quest’anno un posto d’onore nei nostri programmi. E ovviamente non ci stanchiamo mai di “papà” Haydn!». Nel caso di Bartók: vi sentite particolarmente a casa con la musica delle vostre radici? «Sì, penso che le nostre origini ci aiutino nell’esecuzione dei quartetti di Bartók. Abbiamo avuto la grande occasione di studiarli fin da giovani con i membri dell’Hungarian Quartet, che li hanno suonati per lo stesso Bartók. Credo che sia stata quest’influenza, insieme all’elemento della musica folklorica, così importante e caro a Bartók, a guidarci negli anni». Il nostro pubblico vi darà il benvenuto a Bologna dopo più di vent’anni… «Ricordiamo sempre l’incredibile calore e il benvenuto del pubblico italiano, attento e competente, e non vediamo l’ora di tornare nella bellissima Bologna!».




Per leggere / di Chiara Sirk

Aldo Ceccato Breve storia della direzione d’orchestra. Ieri, oggi… e domani?

(Pendragon, 2018)

La Breve storia della direzione d’orchestra. Ieri, oggi… e domani? di Aldo Ceccato è uscita per i tipi della casa editrice bolognese Pendragon (300 pagine) e ha diverse, interessanti peculiarità. Innanzitutto la densa prefazione di Quirino Principe, inoltre un’articolazione molto chiara del complesso argomento che l’autore conosce perfettamente. Ceccato, infatti, ha avuto la responsabilità artistica di undici prestigiose orchestre in tutto il mondo e quindi può parlare con una competenza diretta, personale e prolungata della direzione, che illustra nella prima parte dell’opera, in brevi, ma assai ricchi paragrafi. La seconda, e assai più corposa parte, è costituita da un’antologia di eminentissimi compositori del passato che portano la loro testimonianza sull’arte del dirigere. Ne scrivono Liszt, Schumann, Weingartner, Serafin e altri. Segue una carrellata di direttori e compositori, alcuni molto noti, altri meno, descritti con partecipazione dall’autore. Sono sapidi ritratti, assai gustosi, come pure assai godibili sono gli “strambotti musicali” di Victor de Sabata jr., aneddoti folgoranti, ricordi, fortunatamente, condivisi. Il volume si chiude con dieci pagine di aforismi dedicati alla musica. Beatrice Venezi Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica

(Utet, 2019)

Beatrice Venezi, nata a Lucca nel 1990, impegnata in una carriera che la porta a dirigere in tutto il mondo, dal Giappone alla Bielorussia, dal Portogallo al Libano, ha appena pubblicato il suo primo libro, Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica. Nelle 224 pagine che lo compongono, Venezi invita i lettori ad entrare nel mondo della “sua” musica, senza timori, senza remore, per scoprirne la fresca novità. Il libro è un racconto scorrevole che mescola la sua arte direttoriale, la sua visione della musica, la sua visione dell’opera. Il linguaggio è quello dei giovani e tutto viene letto, com’è giusto che sia da chi ha 29 anni, in una chiave che dovrebbe essere innovativa. Si cita Harry Potter parlando della bacchetta del direttore, Paganini fu il primo ragazzaccio nella storia della musica (di solito si pensa a Mozart), si citano cantautori, star del rock e del pop, si affronta la storia degli strumenti, si ricordano compositori antichi e moderni, con paragoni arditi e attualizzazioni che sono frutto di ragionamenti dell’autrice. Bizet ad esempio avrebbe portato in scena per la prima volta nell’opera un femminicidio (Carmen) e Puccini il turismo sessuale (Madame Butterfly). Un libro ambizioso e pieno di entusiasmo. 58

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DIRETTORI

scrittori

Dalla bacchetta alla penna: le preziose riflessioni di Riccardo Muti, l’arte del dirigere secondo Aldo Ceccato, e l’amore contagioso per la musica di Beatrice Venezi Dopo l’autobiografia Prima la musica, poi le parole e Verdi, l’italiano, Riccardo Muti dà alle stampe un terzo titolo: L’infinito tra le note. Il mio viaggio nella musica (Solferino, 2019). Un piccolo libro (121 pagine, un tascabile, a cura di Susanna Venturi) di un grandissimo direttore. Che Muti, oltre ad essere un direttore di fama mondiale, sia anche un instancabile promotore d’iniziative e un comunicatore capace di catturare l’attenzione del lettore e dell’ascoltatore con un racconto avvincente, già si sapeva. In questo volume la sua sconfinata conoscenza del mondo della musica si accompagna a due doti oggi rare: riconoscenza e umiltà. Il direttore ricorda con riconoscenza gli insegnamenti e gli esempi dei tanti che ha incontrato nella sua carriera, mentre l’umiltà è necessaria per intraprendere un cammino faticoso, esigente, fatto di studio lungo e severo, in cui è necessario il confronto con il proprio maestro, in un percorso di trasmissione orale, perché a dirigere, dice Muti convinto, “non s’impara sui libri”. L’opera è la testimonianza di un lavoro senza mai una sosta, dalla fine degli anni Sessanta in poi. Leggere, quasi come una confessione che, raggiunto questo punto della sua vita e della sua carriera, ancora non

si sente pronto per dirigere la Missa Solemnis di Beethoven suscita grande rispetto e profonda impressione. Negli otto brevi capitoli che compongono il testo, la riflessione del Maestro abbraccia i suoi ricordi, le sue esperienze, per poi guardare con slancio ai progetti con i giovani direttori, le nuove leve tra i cantanti più promettenti, l’Orchestra Giovanile Cherubini, da lui fortemente voluta. Parla anche dei compositori contemporanei, con grande equilibrio, come di quelli del passato, troppo a lungo dimenticati e da lui riscoperti. Non c’è, in queste pagine, solo il “fare”, c’è una ponderata, ragionata riflessione sul perché delle scelte, artistiche e stilistiche. Muti racconta l’origine del titolo: «Mozart diceva che la musica più profonda è quella che si nasconde tra le note. Il mistero è lì, in quello spazio che racchiude l’universo». L’infinito tra le note: è in questo spazio metafisico che si muove il pensiero di Muti. In questo spazio si orienta la sua ricerca ed è in questo spazio che il lettore viene condotto e spinto a ragionare sui problemi che ogni direttore deve fronteggiare. Riccardo Muti L’infinito tra le note. Il mio viaggio nella musica

(Solferino, 2019)



Da ascoltare / di Roberta Pedrotti

ODE AL

Belcanto

La cantabilità risuona nelle incisioni che alcuni fra i più interessanti interpreti italiani hanno dedicato alle opere vocali, ma anche strumentali, nate o ispirate dal Bel Paese

Johann Sebastian Bach, Domenico Gabrielli

Mauro Valli (Arcana, 2019 – 3 cd) Bach in Bologna

Bach a Bologna, ovviamente, non ha mai messo piede, né avrebbe mai potuto entrare in contatto con il bolognese Domenico Gabrielli, morto quando lui aveva solo cinque anni. Bach, però, era un grande appassionato di musica italiana, che raccoglieva e trascriveva; musicisti italiani, e bolognesi, varcavano i confini e facevano circolare stili e idee. Partendo dalla suggestione, non infondata, dei lavori di Gabrielli, virtuoso e compositore, giunti all’orecchio e sotto gli occhi di Bach, Mauro Valli costruisce un programma che affianca sei Ricercari e un Canone del bolognese alle Suites del tedesco, gli albori e i capolavori della letteratura per violoncello. Il confronto delinea meglio la portata dell’opera bachiana, non fenomeno isolato, ma inserita in un contesto internazionale di ricerca e sperimentazione. Spicca ancor più, e in modo più concreto, il genio di Bach, tanto più che Valli non si limita a una speculazione astratta sui testi, ma ragiona e si espone pure sul piano della prassi esecutiva, adottando il diapason “bolognese”, decisamente più alto di quello in uso per la musica strumentale a Lipsia, ma prendendosi anche libertà nelle variazioni. Libertà relative, certo, perché basate su anni di pratica in esecuzioni storicamente informate e sull’osservazione di elementi nella scrittura bachiana affini proprio all’uso italiano e bolognese, dando così vita concreta ed entusiasta a un circolo virtuoso di influenze europee. Mercadante, Coccia, Generali, Donizetti, Balducci, Marliani, Bellini, Balfe

Virtuosi Brunensis, Camerata Bach Choir, José Miguel Pérez-Sierra, Vittorio Prato (Illiria, 2019 – 1 cd)

Il BRAVO. Belcanto Arias for Antonio Tamburini

Illiria, casa discografica raffinatissima, dedica un cd ad Antonio Tamburini (1800-1876), vale a dire uno dei creatori della stessa moderna idea di baritono, primo interprete di opere di Bellini, Donizetti e Mercadante, ma mai interprete verdiano, forse per ragioni anagrafiche, certo per questioni stilistiche. Il suo era il mondo del Belcanto, quello che ritroviamo nell’ottima interpretazione di Vittorio Prato, che spazia versatile fra commedia, mezzo carattere e tragedia, da I puritani e Don Pasquale a opere dimenticate di Balducci, Generali o dell’inglese Balfe. Boccherini, Verdi, Puccini, Respighi

Quartetto Noûs – (Warner, 2019 – 1 cd)

L’Italia “paese del melodramma” sembra a lungo allinearsi nelle retrovie quando si tratta di musica strumentale, come il quartetto per archi, di cui il Noûs percorre la storia al di qua delle Alpi, a partire da Luigi Boccherini e la sua esperienza cosmopolita fra la madrepatria, la Vienna di Mozart e Haydn e la Spagna. Dopo di lui, rinomato camerista, due episodi quasi incidentali: i cimenti del maturo Verdi e del giovane Puccini. Le molteplici, ambiziose influenze storiche e internazionali in Respighi chiudono il viaggio con intelligenza e senza retorica.

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In tempi di fantamusicologia rampante, quando c’è chi va a pescare mediocri Carneadi o incolpevoli onesti professionisti alla ricerca di presunte glorie nazionali appannate ingiustamente da geni conclamati, forse non farebbe male mettere una volta in più i puntini sulle i e rispolverare quei musicisti italiani che veramente sono stati di fondamentale riferimento nella vivacissima Europa musicale del XVIII secolo, anche senza divenire titani. Non si farebbe male, anzi, si farebbe benissimo, a riscoprire l’attività di compositore di Padre Giambattista Martini, colui che, conscio del genio del ragazzo, aiutò il quattordicenne Mozart a superare l’esame per l’affiliazione all’Accademia Filarmonica di Bologna. Didatta, studioso, storico e collezionista di musica, fece tesoro del magistero di Perti per perpetuare il ruolo centrale, almeno quanto a dottrina, della città petroniana. Adagiatesi nell’oblio, le composizioni di Padre Martini sono oggetto di un lavoro di riscoperta promosso dall’Accademia degli Astrusi diretta da Federico Ferri, lavoro di cui oggi tocchiamo con mano un risultato importante nella pubblicazione dell’integrale delle musiche strumentali del nostro erudito musico francescano. Dieci ore di sinfonie, ouverture, sonate, concerti, danze, trii, fughe di destinazione sacra e profana ci raccontano un’epoca, le sue regole rigorose ma anche gli scambi internazionali e l’evolversi di forme più libere, galanti, tutte le eccezioni espressive che Martini padroneggia con la disinvoltura di chi ha recepito e assimilato non solo la scienza consolidata, ma anche mode e innovazioni. Musica strumentale si era detto? Il cofanetto offre anche, in due dvd bonus, un saggio del Martini operista. Non geniali, ma sempre sagaci i suoi piccoli schizzi, intermezzi dalla drammaturgia sottile sottile, che si tratti di un Maestro di musica alla moda con un allievo nostalgico dei bei tempi andati o di Don Chisciotte e la maga Nerina. Oltre agli Astrusi diretti da Ferri con le voci di Laura Polverelli e Aldo Caputo, a omaggiare Martini ci sono gli schizzi di Dario Fo per le scene: non è poco. Giambattista Martini

Accademia degli Astrusi, Federico Ferri (Warner, 2019 – 9 cd e 2 dvd) Complete Instrumental Music



Editore

Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Direttore responsabile Fulvia de Colle

In redazione

Carla Demuru, Fabrizio Festa, Cristina Fossati, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

Hanno collaborato

Luca Baccolini, Francesco Corasaniti, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Roberta Pedrotti, Chiara Sirk, Brunella Torresin

Grafica e impaginazione

Kore Edizioni - Bologna

Stampa

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, ARETÈ & COCCHI TECHNOLOGY, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BPER BANCA, CAMST, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, EMIL BANCA, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRIMALDI IMMOBILIARE, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, INTESA SANPAOLO, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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