MI Ottobre 2018

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Bimestrale n. 3/2018 – anno XXVII/BO - € 2,00

ottobre/novembre 2018

Su il sipario della XXXII Stagione: da Trifonov a Capuçon, un autunno di grandi concerti

Šostakovič: il diario segreto dei Quartetti per Bologna Modern












SOMMARIO n. 3 ottobre/novembre 2018 Editoriale

Seminare magia

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Che musica, ragazzi!

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Ascoltare insieme / Scuole primarie e medie

Musica per le Scuole

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StartUp

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L’intervista

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Bologna Modern #3

Il programma –1968-2018 Cristina Zavalloni – Viaggio sulla luna Progetto Šostakovič – Quindici capolavori Irina Antonovna Šostakovič – Il genio gentile Piero Rattalino – Musica assoluta

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I luoghi della musica

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Le parole della musica

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A lezione di suoni / Istituti superiori

Giovani maestri crescono: Francesca Boni, Enrico Mignani Pelliconi / Intervista a Marco Checchi

Riscoprire Palazzo Magnani La sinfonia

Cristina Zavalloni

Alban Gerhardt

Daniil Trifonov

Renaud Capuçon

I concerti ottobre/novembre 2018 Articoli e interviste Festival Strings Lucerne, Alban Gerhardt, Daniel Dodds Daniil Trifonov Renaud Capuçon, Guillaume Bellom Arditti Quartet

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Per leggere

Rattalino, Ciammarughi, Pedrotti e Mellace

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Da ascoltare

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I virtuosismi di Trifonov, Piccotti e Baryshevskyi 10

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MUSICA INSIEME

In copertina: Dmitrij Šostakovič nel 1959 (foto di Ida Kar)

Arditti Quartet

Quartetto Dàidalos




EDITORIALE

SEMINARE magia Hanno vent’anni o poco più. Già l’incipit non lascia spazio a dubbi. Stiamo parlando, infatti, di quei giovani che hanno deciso di dedicarsi allo studio della musica accademica (o classica, o comunque la si voglia chiamare), buttando davvero il cuore oltre l’ostacolo. Nell’avviare questa nuova stagione ci è sembrato doveroso e opportuno dedicare loro ancora maggior spazio. Spazio concertistico ovviamente, come già abbiamo fatto con impegno in passato. Tanto per fare un esempio, abbiamo affidato a cinque giovani e già affermate compagini l’integrale quartettistica di Šostakovič inserita nel programma della terza edizione di Bologna Modern, il Festival per le musiche contemporanee che Musica Insieme realizza in collaborazione con il Teatro Comunale. Spazio anche d’informazione, dedicando loro proprio sulle pagine di questa rivista una nuova rubrica, “Startup”, sì da sottolineare il senso di quell’impegno, di quella dedizione, di quella fatica, che siano rivolti alla musica o allo studio dell’arte tout court. Spazio doveroso nonché necessario. L’alzarsi del sipario sulla nostra trentaduesima stagione non può non farci riflettere sul fatto che viviamo in un paese in cui il “lavoro intellettuale” viene costantemente trascurato e accantonato. Professori, maestri, studiosi, professionisti in genere,

Il Quartetto Adorno, premiato al Concorso “Borciani” 2017, concluderà l’integrale dei Quartetti di Šostakovič per Musica Insieme

sembrano tutt’oggi appartenere a quella genia di azzeccagarbugli di manzoniana memoria, e che sotto le due torri ha vestito i panni del dottor Balanzone. I musicisti non sfuggono a tale regola. Quante volte un giovane musicista, che si è appena dichiarato tale, si sente ripetere la domanda “Che lavoro fai?”, quasi che essere e lavorare come musicista non sia già una ben definita qualifica professionale. Così siamo disposti ad applaudire i grandi interpreti – quelli che per l’appunto troveremo sul nostro palcoscenico fin dal nostro primo concerto – e certamente li ammiriamo, sappiamo bene quanto impegno è servito per far maturare il loro talento, ma siamo decisamente meno disposti ad accettare che un giovane, magari dotato di altrettanto talento, si dedichi proprio a quella stessa carriera. Eppure tutti gli straordinari artisti che si alterneranno sulla scena del Manzoni sono stati giovani studenti, e qualcuno di loro è oggi docente in qualche importante accademia. Forma, cioè, giovani generazioni di grandi talenti. Ecco, questo ci piacerebbe che fosse il segno distintivo della stagione concertistica che va ora ad incominciare: artisti affermati e giovani artisti s’incontrano sotto i medesimi riflettori, idealmente anche in queste pagine, per aiutarci a capire che il lavoro intellettuale, la fatica dell’artista appunto, non è da meno a quella di chiunque altro. E la ricchezza che l’arte produce ha una caratteristica davvero unica: non si dissipa, non scompare, non si disperde. Soprattutto: non crea debito. È una specie unica di credito, sempre in crescita, anche quando non ce ne accorgiamo e pensiamo che il nostro presente sia peggiore degli anni che ormai costituiscono il nostro passato. Quando però si accendono i riflettori e la musica si diffonde in sala, la magia – una magia di cui, ammettiamolo, non possiamo proprio fare a meno – ricomincia. Fabrizio Festa

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Che musica, ragazzi!

Foto Lisa Jacobi

ASCOLTARE

insieme

Musica Insieme presenta la II edizione della rassegna di incontri gratuiti dedicati alle scuole primarie e medie, protagonisti i massimi solisti e ensemble del panorama internazionale

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22 gennaio 2018: Katia e Marielle Labèque incontrano i bambini per la I edizione di Che musica, ragazzi! Nella foto sopra: Gilles Apap, protagonista il 6 maggio 2019 dell’appuntamento finale della nuova edizione 14

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MUSICA INSIEME

Foto Eduardo Festa

on sono prove aperte, non sono lezioni, non sono concerti… o meglio, sono tutto questo, ma anche di più: Che musica, ragazzi!, la nuova iniziativa di Musica Insieme, offre gratuitamente agli alunni delle scuole primarie e medie incontri di educazione all’ascolto, declinati in modo originale. Dall’orchestra, con Spira Mirabilis, ai pianoforti di Katia e Marielle Labèque, già durante la Stagione 2017/18 alcuni straordinari artisti hanno messo a disposizione il loro tempo e la loro esperienza per raccontare ai giovanissimi ascoltatori il valore e la bellezza della musica. Gli incontri della passata stagione sono stati accolti con tale entusiasmo e partecipazione – più di 1200 gli alunni provenienti da oltre 20 istituti di tutta la Città metropolitana – da spingerci a replicare, anzi ampliare l’offerta anche durante la prossima stagione. Saranno quattro gli incontri, nei quali vedremo sul palco dell’Auditorium Manzoni l’Arditti Quartet, da oltre quarant’anni compagine di riferimento per il repertorio novecentesco, lo Scharoun Ensemble, gruppo di archi e fiati formato nel 1983

Auditorium Manzoni ore 10.30

2018 19 novembre ARDITTI QUARTET

2019 28 gennaio SCHAROUN ENSEMBLE 2019 25 febbraio PABLO FERRÁNDEZ

DENIS KOZHUKHIN pianoforte

2019 6 maggio GILLES APAP

violoncello

& THE COLORS OF INVENTION

dalle prime parti dei leggendari Berliner Philharmoniker, il violoncellista Pablo Ferrández e il pianista Denis Kozhukhin, due giovani star “under 30”, premiati ai principali concorsi internazionali, e il violinista franco-algerino Gilles Apap, che con i suoi The Colors of Invention (fisarmonica, cymbalom e contrabbasso) alterna nei suoi concerti i “classici” e i brani della musica popolare. Saranno loro, al mattino del giorno di concerto, a portare una testimonianza di quel meraviglioso mondo che i ragazzi potranno letteralmente “toccare con mano”, diventandone i veri protagonisti e imparando ad ascoltare insieme. L’iniziativa di Musica Insieme ha ottenuto il patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale e, anche per la Stagione 2018/19, grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, la partecipazione agli incontri sarà gratuita.


Musica per le Scuole

A LEZIONE

di suoni C

on l’intento di accompagnare alla scoperta dell’arte dei suoni il pubblico di tutte le età, dalle primarie all’università, accanto all’ormai più che ventennale cartellone di Musica Insieme in Ateneo e alla “nuova nata” Che musica, ragazzi! (della quale parliamo nella pagina accanto), da quindici anni Musica Insieme realizza la rassegna Musica per le Scuole, rivolta agli studenti degli istituti superiori della Città metropolitana di Bologna. L’iniziativa, che gode del fondamentale contributo di Emil Banca e Cassa di Risparmio in Bologna, apre le porte, per cinque concerti della stagione di Musica Insieme, agli studenti bolognesi, che possono così partecipare alle serate a fianco del pubblico “adulto”, vivendo in prima persona la magia dello spettacolo dal vivo. L’ascolto di ciascun concerto viene inoltre preparato da conferenze tenute nelle sedi didattiche in orario di lezione, affidate a docenti specializzati. Come sempre, la proposta musicale è la più varia

Musica per le Scuole XV edizione

Auditorium Manzoni ore 20.30

2018 19 novembre ARDITTI QUARTET

2018 3 dicembre LEIF OVE ANDSNES pianoforte

2019 28 gennaio SCHAROUN ENSEMBLE

2019 25 febbraio PABLO FERRÁNDEZ violoncello

DENIS KOZHUKHIN pianoforte

2019 18 marzo CAROLIN WIDMANN violino

DÉNES VÁRJON pianoforte

possibile, dal solista, al duo, al quartetto, all’ensemble, dal grande repertorio alle incursioni nella contemporanea. Così il primo appuntamento, il 19 novembre 2018, vedrà protagonista l’Arditti Quartet, vero pioniere della nuova musica, protagonista di centinaia di prime assolute, che ci porta alle radici della modernità con Berg, Ligeti e Ravel. Il palcoscenico del Teatro Manzoni il 3 dicembre ospiterà poi il pianista norvegese Leif Ove Andsnes che offrirà una raffinata antologia da Schumann a Janáček. Il 28 gennaio 2019 gli studenti potranno invece misurarsi con una formazione di archi e fiati, lo Scharoun Ensemble, costola dei Berliner Philharmoniker, che ci offrirà ascolti rari come le Fantasie per ottetto di Henze e il Settimino op. 20 di Beethoven. Il violoncello e il violino saranno rispettivamente protagonisti degli ultimi due appuntamenti della rassegna, il 25 febbraio e il 18 marzo 2019. Il violoncellista Pablo Ferrández, straordinaria scoperta under 30 di questa edizione, in duo con il Premio “Reine Elisabeth” Denis Kozhukhin, offrirà uno sguardo sui capisaldi da Beethoven a Rachmaninov, mentre la violinista Carolin Widmann, artista dalla carriera strepitosa al fianco di nomi come Sir Simon Rattle e Riccardo Chailly, approda a Bologna accanto a Dénes Várjon, con un programma dal cuore schumanniano. Foto Maurizio Guermandi

Foto Lennard Ruhle

Giunge alla sua XV edizione la rassegna rivolta agli istituti superiori, per avvicinare gli adolescenti al grande repertorio, fra concerti e incontri nelle scuole

Sopra: Carolin Widmann, protagonista sul palcoscenico del Manzoni il 18 marzo 2019. Sotto: gli studenti di Musica per le Scuole affollano l’ingresso del Teatro MI

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StartUp

GIOVANI maestri crescono La nuova rubrica di Musica Insieme punta i riflettori su alcuni fra i più promettenti giovani talenti, non solo musicali, che si raccontano ai nostri lettori

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anno appena vent’anni. Dotati di grandi talenti, questi talenti li hanno saputi anche curare con perseveranza, crescendo giorno dopo giorno come persone e artisti. Musica Insieme ha deciso di farsi vetrina di queste buone notizie (non soltanto musicali) per il futuro, raccontando in questa nuova ru-

brica la storia di quei ragazzi che consideriamo un poco ‘nostri’ perché sono nati o vivono a Bologna e dintorni (ma ce ne sono molti, a discapito della pigrizia che spesso attribuiamo ai giovani). Saranno loro in realtà a raccontarsi attraverso un classico come il cosiddetto “questionario di Proust”. Per questo primo numero è la

volta di Francesca Boni, appassionata di fotografia e video e ideatrice di un sito web (e di un gruppo Facebook) dedicato al consumo consapevole e sostenibile, e di Enrico Mignani, violoncellista e compositore diplomatosi a soli 15 anni nel suo strumento, che oggi si perfeziona al Conservatorio di Lugano. Teniamoli d’occhio!

Enrico Mignani 20 anni, violoncellista, compositore. Lo trovate su: canale Youtube Enrico Mignani (e in concerto… ) Il tratto principale del tuo carattere? Penso di essere una persona piuttosto determinata. Il tuo peggior difetto? Crearmi problemi che non ci sono. I tuoi passatempi preferiti? Stare con gli amici, andare in bicicletta, camminare (soprattutto in montagna), mangiare bene, suonare e ascoltare! Come hai scoperto il violoncello? In realtà quasi per caso, perché da piccolo suonavo il violino ma avendo problemi alla vista mi consigliarono di cambiare strumento, inoltre proprio in quei giorni ascoltai il Preludio della prima Suite di Bach interpretato da Yo-Yo Ma e ne rimasi folgorato. Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica? Non lo so con esattezza, perché da quello che mi raccontano i miei genitori imparavo a memoria le canzoncine prima ancora di imparare a camminare. Hai una giornata tipo fra studio, tempo libero, amici e famiglia? Studio almeno tre o quattro ore al giorno, ma spesso di più, faccio lezione

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di tedesco una volta a settimana e per il resto mi dedico ai miei passatempi o esco con gli amici. Qual è il percorso di studi che stai facendo ora? Attualmente ho la fortuna di studiare con un grande violoncellista italiano, Enrico Dindo, che insegna al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Cosa significa per te suonare? Suonare è tutto e il contrario di tutto: gioia estrema e disperazione, pensiero e assenza di pensiero, corpo e spirito. Il libro o i libri preferiti, quelli che consiglieresti ai tuoi coetanei? Ho trovato molto utili per chi si occupa dell'arte della performance Lo Zen e il tiro con l'arco di Eugen Herrigel e Hagakure, una raccolta di aforismi sulla vita dei samurai composta in Giappone nel XVII secolo da Yamamoto Tsunetomo. Chi sono i tuoi eroi/le tue eroine? Tutti coloro che lottano ogni giorno per ciò che amano. Con quale musicista, anche del passato, ti piacerebbe o ti sarebbe piaciuto suonare? Penso con il vecchio Bach, anche se in

effetti avrei paura di ricevere qualche tirata di orecchie! Il tuo pittore preferito? Me ne piacciono molti, per fare qualche nome: Leonardo, Michelangelo, Raffaello, van Gogh e gli impressionisti francesi. Cosa detesti? La cattiveria, molto semplicemente. Un dono che vorresti avere? Uno Stradivari! Anzi, mi accontento di un iPhone X. Quale sarà la tua prossima ‘impresa’, o il traguardo che ti sei prefisso per il futuro? Continuare a studiare finché posso.


Francesca Boni 20 anni, fotografa, blogger. La trovate su: www.ilvestitoverde.com, canale Youtube Francesca Boni Il tratto principale del tuo carattere? Mi considero una persona apparentemente pacata, ma in realtà vulcanica: la mia mente è in costante fermento. Il tuo peggior difetto? Sono spesso la “mamma” del gruppo di amici, a volte sono troppo responsabile e faccio fatica a lasciarmi andare. Il tuo passatempo preferito? Trovo difficile sceglierne uno… amo fotografare e andare alle mostre, leggere e informarmi su ciò che accade nel mondo. Come hai scoperto la passione per la fotografia? Un giorno, quando avevo 14 anni, mio papà ha portato a casa delle luci che utilizzava per fotografare i pazienti nel suo studio dentistico. Mi sono innamorata di tutto il processo: preparazione, scatto e post-produzione. Inizialmente chiamavo gli amici e organizzavo servizi fotografici nella veranda di casa… è stato un periodo davvero divertente. Il Vestito Verde è un blog, una pagina Facebook, un sito, tutto creato da te: quando hai deciso di dedicarti al consumo consapevole e perché? Il mio percorso verso una moda più sostenibile è iniziato vedendo un documentario chiamato The True Cost, dove vengono denunciati comportamenti poco etici di grandi aziende nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori. Ho deciso di non supportare più i brand che non si allineavano ai miei valori e di acquistare meno e meglio. Ora sono una grande amante del vintage, del fatto a mano e del Made in Italy. Di questi temi ho parlato anche nel mio canale YouTube, che contiene una sezione dedicata alla moda sostenibile. Hai una giornata ‘tipo’ fra studio, tempo libero, amici e famiglia? Ora ho terminato il liceo e a settembre

inizierò l’università fuori sede, quindi le giornate sono dedicate a cercare casa a Milano e preparare tutto il necessario; e naturalmente anche alle vacanze! Durante il liceo alla mattina andavo a scuola, poi prendevo l’autobus (il viaggio durava un’ora e un quarto, abito lontana dal centro di Bologna), pranzavo al volo, dedicavo un’oretta ai miei progetti e poi studiavo fino a sera. Nel fine settimana stavo con gli amici e la mia famiglia, mi riposavo e portavo avanti il Vestito Verde, il canale YouTube e i lavori fotografici. Chi o che cosa consideri come un tuo modello? Non credo di averne uno in particolare. Tuttavia, trovo che una parte significativa del mio carattere sia stata plasmata dai libri che leggevo da bambina. Matilde (dall’omonimo libro di Roald Dahl) e Hermione (da Harry Potter) sono stati personaggi di forte ispirazione per la loro empatia e per il carattere forte, indipendente e rigoroso. Qual è il percorso di studi che stai facendo ora? Ho terminato un liceo scientifico internazionale. A settembre inizierò alla Bocconi un corso di management per l’arte, la cultura e la comunicazione in inglese. I soggetti o i temi che preferisci o che hai finora prescelto per le tue fotografie? Amo fotografare le persone, in tutte le loro sfaccettature. Mi diverto a cogliere attimi ironici per strada, ma anche a ritrarre un essere umano senza filtro. Cosa significa per te “consapevolezza”? Comprendere il risultato delle nostre azioni sulle altre persone e sull’ambiente. Il libro o i libri preferiti, quelli che consiglieresti ai tuoi coetanei? Tra i miei libri preferiti vi sono Mille splendidi soli di Khaled Hosseini e Il buio ol-

tre la siepe di Harper Lee. Chi sono i tuoi eroi/le tue eroine? Non credo di avere veri e propri eroi, in generale amo le persone che combattono per i propri ideali, sempre nel rispetto degli altri. Il tuo/la tua fotografo/a preferito/a? La mia fotografa preferita è Annie Leibovitz. Il tuo pittore preferito? Senza dubbio Salvador Dalí. Il mio quadro preferito è Coppia con le teste piene di nuvole. Cosa detesti? Le persone egoiste e ciniche, le ingiustizie, chi dice che le nostre azioni non hanno un peso e… le bottiglie monouso di plastica. Quale sarà la tua prossima ‘impresa’, o il traguardo che ti sei prefissata per il futuro? L’inizio dell’università mi impegnerà molto, ma continuerò a coltivare la mia passione per la fotografia e lavorerò per far crescere il “mondo” del Vestito Verde, facendolo diventare sempre più un punto di riferimento per tutti coloro che sceglieranno di vivere in maniera più consapevole, arricchendolo con informazioni utili, guide per le scuole e molto altro! Al momento sto rinnovando il sito, a breve ci saranno molte novità interessanti.

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L’intervista

LA FABBRICA del

welfare

Marco Checchi, amministratore delegato della Pelliconi & C. S.p.A., al fianco di Musica Insieme sin dagli inizi, ci parla di una gestione aziendale che coniuga l’eccellenza dei prodotti al benessere dei suoi dipendenti

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zienda leader nella produzione di tappi a corona, capsule in plastica e tappi a strappo, Pelliconi vanta tra i propri clienti tutti i più grandi marchi mondiali del beverage. Accanto a Musica Insieme sin dalla sua prima Stagione dei Concerti, da tre anni a questa parte Pelliconi è anche sponsor della rassegna Bologna Modern. Marco Checchi ci accoglie con un radioso sorriso e l’energia di chi, alle nove del mattino, è già nel pieno della sua giornata lavorativa. Ci accomodiamo nel suo ufficio, confortevole nella sua essenzialità, mentre dalla porta sempre aperta sull’ampio corridoio un discreto e operoso via vai ci rappresenta una realtà dinamica, ma non caotica, in un clima di rispettosa familiarità. Dottor Checchi, Pelliconi è un’azienda in costante espansione, su cosa si basa la sua strategia aziendale e quali sono gli obiettivi che si prefigge? «Pelliconi persegue principalmente due filoni essenziali: l’avvicinamento ai mercati e la proposta di nuovi prodotti ai nostri clienti. Per quanto

riguarda il primo aspetto, in questi ultimi anni abbiamo investito moltissimo in unità produttive nei mercati esteri più densamente popolati, dove il consumo di bevande è molto elevato. Abbiamo aperto nuove sedi in Egitto, negli USA, in Cina e tra pochi mesi inaugureremo uno stabilimento in India. Questo perché i nostri clienti investono in questi mercati produttivi e vogliono continuare a servirsi di un fornitore che conoscono da molti anni per la qualità e l’affidabilità del servizio. Proseguiremo quindi in questa strategia d’investimento sui canali per noi importanti e tra i prossimi obiettivi nel medio termine ci sono il Brasile e il Sudafrica. Il secondo filone su cui stiamo investendo molto è quello della ricerca e dell’innovazione, che sono i segni distintivi per cui i clienti preferiscono Pelliconi ai nostri concorrenti. Abbiamo in portafoglio molti nuovi prodotti, come il tappo a strappo che produciamo in Cina, su cui puntiamo molto perché siamo certi di avere qualche arma in più rispetto ai nostri competitors. Abbiamo anche idee parallele, come quella di lanciare dei tappi che non siano per le bevande ma per gli alimenti e la cosmetica, come ad esempio il tappo innovativo per omogeneizzati, senza PVC all’interno, che presenteremo a Venezia il prossimo ottobre». Risultati importanti che derivano da un chiaro disegno di gestione aziendale: qual è la sua filosofia di governance nel rapporto con le persone che lavorano per lei? «Noi siamo convinti di questo: produciamo una commodity, un prodotto di massa che realizziamo in circa 32 miliardi di pezzi all’anno. Quello che ci caratterizza non è tanto il prodotto ma la qualità, l’affidabilità, la ricerca e soprattutto l’innovazione che esso rappresenta, che ci permette di arrivare a determinati clienti e di stipulare contratti molto importanti. Questo si ottiene anche con le macchine, ma soprattutto con le risorse umane, quindi per noi l’elemento vincente è poter contare su una squadra di dipendenti molto motivata e con una perfetta conoscenza degli obiettivi della società e delle scelte della direzione. Rendere par-


tecipi della strategia aziendale è fondamentale per avere un impegno massimo delle persone, che in questo modo sanno per cosa stanno lavorando. Bisogna costruire una cultura aziendale, consentendo alle persone di esprimere opinioni su quello che si sta facendo, e accogliere anche suggerimenti. Lo si può fare solo se queste persone hanno una base di cultura, industriale e non, che consenta loro di comprendere le problematiche. Ecco perché all’interno della Pelliconi abbiamo istituito una scuola, che operai e impiegati devono frequentare obbligatoriamente per quattro mesi. Al termine dei corsi, con un test di verifica siamo in grado di identificare le figure professionali a cui affidare incarichi di maggior responsabilità. Oltre ai dipendenti, a questi corsi partecipano anche cinque neodiplomati o neolaureati che, in base alle nostre necessità, possono anche essere assunti. In ogni caso tutti possono vantare questo periodo di formazione e lavoro nel proprio curriculum. Per noi è importante creare la base culturale propedeutica per lavorare con più consapevolezza e senso di appartenenza». Una filosofia quindi basata sulla condivisione della conoscenza a tutti i livelli e sulla consapevolezza degli obiettivi da raggiungere che fortifica il senso di appartenenza alla struttura. «Per noi questo è un aspetto molto importante, perché riteniamo necessario avere una visione aperta e una conoscenza globale, per essere in grado di affrontare e risolvere ogni tipo di problematica senza trascurare l’aspetto umano. Partendo proprio da questi presupposti organizzeremo a breve un corso di filosofia per manager: alle aziende piacciono molto gli ingegneri, per la loro formazione adattabile a quasi tutte le funzioni aziendali. Resta da risolvere il problema che gli ingegneri, il più delle volte, sono portati a incanalare le problematiche in percorsi collaudati e soluzioni classiche, mentre chi possiede qualche base umanistica e filosofica ha senz’altro più possibilità di intravedere soluzioni alternative. Questo è il fil rouge che accomuna un po’ tutte le iniziative che realizziamo e in cui credo moltissimo: alla fine quello che conta sono i risultati, e i risultati mi danno ragione». Quali altre iniziative, oltre a quelle formative, Pelliconi dedica ai propri dipendenti in sede e sul territorio? «In azienda organizziamo periodicamente incontri con personalità di svariati settori come piloti di rally, allenatori di squadre di calcio, scienziati dell’alimentazione, un po’ a 360 gradi. Sosteniamo inoltre iniziative sul territorio attraverso gli operatori culturali della nostra città. Si parla molto di come le aziende possano aiutare i propri di-

pendenti nella vita di tutti i giorni: noi stiamo preparando un programma di welfare aziendale, ma prima di questo abbiamo cercato di sensibilizzarli alla cultura, sponsorizzando alcune realtà in cui crediamo, come per l’appunto Musica Insieme, che Pelliconi sostiene sin dalla sua fondazione e che ha dimostrato di essere un modello di ente culturale che funziona molto bene». Come si configura in quest’ottica di welfare il sostegno di Pelliconi alle iniziative culturali del nostro territorio? «Uno dei nostri filoni è quello della sostenibilità che si esprime in diversi ambiti: c’è una sostenibilità interna che si basa sull’ottimizzazione delle risorse e sul risparmio, c’è poi un aspetto di so-

stenibilità esterna, quindi verso i nostri dipendenti e verso i nostri clienti, e c’è una sostenibilità rispetto alle comunità dove noi operiamo, che si manifesta in azioni concrete di aiuto e sostegno che fanno della presenza della Pelliconi in questa comunità un motivo di orgoglio. Mi preme segnalare tra queste la realizzazione dell’auditorium intitolato alla Pelliconi, da poco inaugurato a Ozzano dell’Emilia, così come, con analoghe finalità, sosteniamo la rassegna Bologna Modern perché riteniamo che possa essere un buon tramite per coinvolgere un pubblico più giovane, meno abituato a frequentare le sale da concerto, offrendo un’occasione meno formale e più contemporanea di crescita, con la garanzia della massima qualità che è la linea distintiva di Musica Insieme». (a cura di Mariano Vella)

Un primo grande passo verso Oriente: il nuovo stabilimento Pelliconi a Suzhou, in Cina, inaugurato il 1° novembre 2016

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Bologna Modern #3 - Il programma

1968-2018

Dal 2 ottobre al 22 novembre, la terza edizione del Festival per le musiche contemporanee, organizzato da Teatro Comunale di Bologna e Musica Insieme, riflette sul Sessantotto e omaggia il genio di Šostakovič

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Foto Barbara Rigon

el cinquantenario del Sessantotto, il Teatro Comunale di Bologna dedica la terza edizione di Bologna Modern – Festival per le musiche contemporanee all’eredità culturale di una stagione rivoluzionaria che ha cambiato la società. 1968-2018 è il titolo del festival, realizzato con la Fondazione Musica Insieme, che quest’anno occuperà 27 giornate – dal 2 ottobre al 22 novembre – con oltre 40 appuntamenti articolati in tre sezioni che abbracceranno diversi linguaggi sonori contemporanei, per interrogarsi sui profondi mutamenti che il Sessantotto ha innescato nel pensiero artistico e sulla globalizzazione culturale che ne è derivata. Un itinerario di respiro internazionale, ancor più ricco di proposte trasversali rispetto alle precedenti edizioni, completato da un omaggio al compositore russo Dmitrij Šostakovič.

IL SESSANTOTTO Produzione inaugurale del festival, al centro della sezione incentrata sul Sessantotto, è Kraanerg, balletto di Iannis Xenakis (Teatro Comunale, 10-13 ottobre) proposto in prima esecuzione italiana nella nuova produzione del Comunale con la coreografia e regia di Luca Veggetti e la direzione musicale di Yoichi Sugiyama. Il lavoro riproduce il fermento della rivoluzione socio-culturale del 1968 coinvolgendo anche un coro di cittadini sulla scena. A introdurre lo spettacolo il 2 ottobre, per i Dialoghi intorno all’Opera, una conversazione tra il compositore Nicola Sani e il filosofo Stefano Bonaga, cui seguiranno gli interventi poetici sul Sessantotto a cura del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Intorno a Kraanerg ruoteranno altre iniziative collaterali fra musica, poesia e mostre. Dal 5 al 19 ottobre, in quattro incontri dal titolo Ascoltando il

’68: quattro dischi che volevano cambiare il mondo (Teatro Comunale), il giornalista Pierfrancesco Pacoda approfondirà il ruolo centrale della musica e dei suoi interpreti in questo periodo di straordinaria vitalità artistica e sociale. Dal 3 al 18 ottobre (Teatro Comunale e Fondazione del Monte) un ciclo di lezioni a cura dell’Università di Bologna intitolato Il ’68: parole contro approfondirà i cambiamenti della lingua e dei linguaggi nella scrittura, nell’arte e nella comunicazione verbale dal 1968 a oggi. Al ciclo si aggiunge la mostra curata dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna 1968: L’anno degli studenti, che si inaugurerà il 29 settembre. Infine, il 16 ottobre appuntamento con lo spettacolo al Comunale intitolato Revolution’68, tappa conclusiva del percorso di Alternanza Scuola-Lavoro compiuto da 75 studenti all’interno del Teatro.

IL DUEMILADICIOTTO La sezione che si concentra sul Duemiladiciotto vuol essere un’istantanea della creatività contemporanea che molto deve ai cambiamenti che la stagione sessantottina ha introdotto nel pensiero artistico. Il 19 e 21 ottobre (Teatro Celebrazioni) verrà proposta in prima assoluta una nuova commissione del Teatro Comunale: l’opera da camera Cecè, su musiche di Bruno Moretti e libretto di Roberto Polastri con la regia di Maria Paola Viano, in cui si narra la storia di un tipico figlio del nostro tempo, il “viveur imbroglione” nato dalla penna di Pirandello. Lo stesso Polastri dirigerà l’Orchestra del Comunale e interpreti provenienti dalla Scuola dell’Opera del Teatro. Cecè sarà preceduto dalla messinscena de L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, recitato dagli allievi della Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone”. L’Orchestra del TCBO sarà ancora protagonista il 27 ottobre (Teatro Auditorium Manzoni) del concerto sinfonico che vede in programma, accanto a Sibelius, due brani di Silvia Colasanti, tra cui una nuova commissione del Comunale intitolata Tango for David per violoncello e orchestra, e The Isle is Full of Noises dell’islandese Daníel Bjarnason, impegnato anche sul podio; al violoncello il lituano David Geringas, già allievo di Rostropovič.


Foto Rocco Casaluci

È ancora dedicato all’oggi il concerto Special Moon (Teatro Comunale, 12 ottobre), organizzato da Musica Insieme, con la cantante bolognese Cristina Zavalloni e una formazione di solisti che va da Cristiano Arcelli al sax allo special guest norvegese Jan Bang (live sampling). Occasione unica per condividere al di fuori dei teatri alcune performance di grande impatto emotivo sarà il doppio appuntamento proposto da AngelicA Festival, col sostegno del progetto europeo ROCK coordinato dal Comune di Bologna, e in collaborazione con l’Università di Bologna: il 14 ottobre (Piazza Scaravilli) con 5 Pianos, concerto dedicato all’artista Daniele Lombardi – scomparso nel 2018 – che si svolge, come il concerto di Cristina Zavalloni, nell’ambito di EnERgie Diffuse, la settimana promossa dalla Regione Emilia-Romagna per celebrare l’anno europeo del patrimonio culturale, e il 18 novembre (Palazzo Magnani) con il Bologna Cello Project, concerto in cui si esibiranno 20 violoncelli. Tra gli altri appuntamenti al Comunale: un pomeriggio con TEDx il 20 ottobre; il concerto del 22 ottobre con il quintetto bolognese Zero Vocal Ensemble, con musiche di Claudio Ambrosini, Michelangelo Rossi e David Lang; e il 30 ottobre la performance del giovane Michele Marco Rossi fra violoncello, elettronica e multimedia. Anche nell’ambito delle iniziative sul Duemiladiciotto ci sarà un momento di studio e di riflessione con il workshop FERT/ILE: comporre oggi: un progetto, a cura del Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna, ideato dal collettivo In.Nova Fert, con cinque lezioni sul comporre dal 25 al 29 ottobre (Teatro Comunale) tenute da compositori italiani di fama internazionale, appartenenti a generazioni differenti, come Claudio Ambrosini, Luca Francesconi, Francesco Filidei, Silvia Colasanti e Daniele Ghisi. In.Nova Fert proporrà inoltre tre concerti con l’Ensemble di Musica Contemporanea del Conservatorio il 25, 26 e 28 ottobre, mentre le esperienze più innovative della musica elettronica bolognese prenderanno vita, sempre al Comunale, il 23 e 24 ottobre nelle due serate dal titolo Martini Elettrico, a cura delle classi di Musica Elettronica del Conservatorio.

PROGETTO ŠOSTAKOVIČ Completa la terza edizione di Bologna Modern la sezione monografica dedicata a Dmitrij Šostakovič curata dalla Fondazione Musica Insieme. L’omaggio al grande compositore sovietico si aprirà il 17 ottobre (Cinema Lumière – Cineteca di Bologna) con la proiezione gratuita del film di Alexander Sokurov Viola Sonata, e una rassegna di concerti dal 18 ottobre al 22 novembre (Oratorio di San Filippo Neri) in cui l’integrale dei Quartetti per archi di Šostakovič verrà eseguita da cinque Quartetti emergenti della scena internazionale: Dàidalos, César Franck, Noûs, Guadagnini e Adorno. Interviste e approfondimenti nelle prossime pagine. Bologna Modern #03: 1968-2018 è realizzato dal Teatro Comunale di Bologna con la Fondazione Musica Insieme, grazie al sostegno di Pelliconi e in collaborazione con Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, AngelicA Festival, Cineteca di Bologna, Conservatorio di Musica G.B. Martini, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Le Dimore del Quartetto, Progetto europeo ROCK del Comune di Bologna, Teatro Celebrazioni e TEDx.

Gli eventi di Bologna Modern nell’ambito della settimana di EnERgie Diffuse (7-14 ottobre) chiudono il cartellone di Bologna Estate nell’area di via Zamboni.

BIGLIETTERIA TEATRO COMUNALE I biglietti del balletto Kraanerg di Iannis Xenakis (Teatro Comunale, 10-13 ottobre) – da 10 a 100 euro – e i biglietti del concerto sinfonico con Daníel Bjarnason e David Geringas (Teatro Auditorium Manzoni) – 10 euro posto unico – sono in vendita online e presso la biglietteria del TCBO di Largo Respighi 1. Per info: Biglietteria Teatro Comunale di Bologna – 051 529019, www.tcbo.it, boxoffice@comunalebologna.it BIGLIETTERIA MUSICA INSIEME I biglietti del concerto di Cristina Zavalloni (Teatro Comunale, 12 ottobre, da 10 a 25 euro) e del ciclo dedicato all’integrale dei Quartetti per archi di Dmitrij Šostakovič (Oratorio di San Filippo Neri, 18 ottobre – 22 novembre, da 10 a 15 euro) sono in vendita online nel circuito Vivaticket e presso la biglietteria dell’Auditorium Manzoni (dal martedì al sabato, orario 15-18.30) e nelle sedi degli spettacoli un’ora prima dell’inizio. La proiezione del film Viola Sonata (Cinema Lumière, 17 ottobre) è gratuita.

Sopra: l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Sotto: David Geringas. Nella pagina accanto: la compositrice Silvia Colasanti


Bologna Modern #3 - Cristina Zavalloni

Musica Insieme presenta al Comunale il nuovo progetto discografico di Cristina Zavalloni, con il quartetto Special Dish e Jan Bang all’elettronica, fra jazz, pop e brani inediti. Ce ne parla l’autrice

VIAGGIO sulla luna

Io sono la luna Sono le maree E la madre dei flussi Sono ciclo che si compie Cerchio accennato e completo Moto che oscilla Sono la luna e già non sono più Mi tradisco nel dirmi Abito spazi ampi e immobilità raccolte Io sono la luna

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Cristina Zavalloni SPECIAL MOON Teatro Comunale di Bologna

ottobre - venerdì ore 20.30 Cristiano Arcelli sax alto / Daniele Mencarelli basso elettrico Alessandro Paternesi batteria / Simone Graziano pianoforte / Jan Bang live sampling

MUSICA INSIEME

Foto Barbara Rigon

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a circa tre anni ho un’assidua e quotidiana frequentazione con libri per bambini, filastrocche, favole africane, animali di ogni sorta. Il mondo si è riempito di lune e soli e di carillon che li evocano. Mai viste così tante lune in vita mia. Ero abituata alle ben note – e tante volte incarnate – lune tedesche, malate, ubriache, sanguinanti, espressioniste, possibilmente accompagnate da languidi Pierrot. Ne scopro ora di semplici, orizzonti naturali di un mondo in via di definizione. Lune con le quali ci si scopre in perfetta sintonia femminea. Astri leggeri, da ammirare fugacemente prima di un bel sonno che inizia quando prima ci si preparava per uscire. Il mio immaginario ha incorporato questi nuovi colori e il ha fusi al lavoro di sempre: la scrittura, la rilettura delle canzoni, il jazz. Il tutto in puro stile Special Dish, il quartetto jazz con cui suono da anni, qui alla seconda prova discografica. Sono felice di presentare questo progetto a Bologna, la mia città, con il gruppo che ha partecipato all’incisione del disco al completo, arricchito quindi dalla presenza di Simone Graziano al pianoforte e del mago dell’elettronica norvegese Jan Bang. A Jan, col quale dividerò il palcoscenico per la prima volta, lascio il compito di contribuire a evocare la dimensione a tratti onirica della musica, come una luna che ondeggia tra il celarsi misteriosa e lo svelarsi nitida, vividamente reale, magari rossa come quella ammirata quest’estate durante l’eclissi. La lune est là, le stelle pure, è tutto a posto.



Bologna Modern #3 - Progetto Šostakovič

QUINDICI

capolavori

Un’occasione straordinaria d’ascolto, ma anche di approfondimento culturale: Musica Insieme realizza l’integrale dei quartetti per archi di Dmitrij Šostakovič, pietre miliari del repertorio

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Il Quartetto Noûs protagonista l’8 novembre del terzo appuntamento di Musica assoluta

mitrij Šostakovič, nato a San Pietroburgo nel 1906 e spentosi a Mosca nel 1975, ebbe la ventura di testimoniare un capitolo fondamentale della storia russa, attraversandola e raccontandola come uomo e musicista. Universalmente riconosciuto come uno dei massimi artisti del Novecento, lascia una produzione ricchissima e multiforme, dalla sinfonica, al teatro, al cinema (firmò fra l’altro ben 36 colonne sonore). Ma l’opera più significativa, sia per il livello artistico che per il valore di testimonianza di un’epoca, sono senza dubbio i suoi quindici quartetti per archi, autentici capolavori del genere, composti fra il 1938 e il 1974, e in grado quindi di raccontare uno spaccato di storia mondiale che va dal periodo bellico alla Guerra Fredda, ai primi segni di disgelo fra i blocchi atlantico e sovietico. Occasione unica per la città, Musica Insieme realizzerà per il festival Bologna Modern, in collaborazione con il Teatro Comunale, il ciclo Musica assoluta, esecuzione integrale dei quindici Quartetti di Šostakovič in cinque concerti da ottobre a novembre 2018, l’interpretazione affidata ad altrettanti giovani Quartetti: Dàidalos, César Franck, Noûs, Guadagnini e Adorno, tutti perfezionatisi all’Accademia “Stauffer” di Cremona, tutti già insigniti di premi e borse di studio internazionali. Al valore musicale si aggiungerà quello musicologico, dal momento che Musica Insieme ha invitato un’autorità assoluta

MUSICA ASSOLUTA

I quartetti per archi di Dmitrij Šostakovič Cinema Lumière, Bologna - ore 20.30

2018 - mercoledì 17 ottobre Proiezione del film Viola Sonata

di Alexander Sokurov

Ingresso gratuito

Oratorio di San Filippo Neri, Bologna - ore 20.30

2018 - giovedì 18 ottobre QUARTETTO DÀIDALOS

2018 - mercoledì 24 ottobre QUARTETTO CÉSAR FRANCK Quartetti I, II, III

2018 - giovedì 8 novembre QUARTETTO NOÛS Quartetti IV, V, VI

2018 - giovedì 15 novembre QUARTETTO GUADAGNINI Quartetti VII, VIII, IX

2018 - giovedì 22 novembre QUARTETTO ADORNO Quartetti X, XI, XII

Quartetti XIII, XIV, XV

come Piero Rattalino a scrivere le note di sala per questo progetto speciale (e a dedicarci un’intervista che il lettore troverà nelle prossime pagine, accanto all’esclusiva testimonianza della vedova del compositore, Irina Antonovna). Il progetto vede anche Musica Insieme attiva nella Rete delle Dimore del Quartetto, che si ripromette di offrire ai migliori talenti una vetrina importante, ospitando inoltre gli artisti nelle Dimore storiche italiane in occasione delle prove e dei concerti. A corredo di ciascun appuntamento all’Oratorio di San Filippo Neri, divenuto a sua volta la dimora preferenziale per i progetti speciali di Musica Insieme, verranno proiettati fotogrammi e immagini di eccezionale valore, come quelli conservati nell’Archivio di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič a Mosca. Di più, ad aprire l’integrale sarà proprio la settima arte, con la proiezione gratuita al Cinema Lumière, grazie alla collaborazione con la Cineteca di Bologna, di Viola Sonata, pellicola del 1981 per la regia di Alexander Sokurov, regista prolifico e osteggiato dalla censura sovietica (destino comune a molti artisti russi del Novecento). Sokurov narra con passione e sapienza le sue elegie dell’essere umano: com’è il caso di questo ritratto di Šostakovič, che coglie l’artista nella sua quotidianità familiare come nei rovesci professionali seguiti alla censura staliniana, con preziosi quanto inediti documenti visivi. Il risultato è l’affresco di un’epoca e di una vita.



Bologna Modern #3 - Irina Antonovna Šostakovič

IL GENIO gentile

L’omaggio di Musica Insieme al compositore russo si arricchisce di un’eccezionale testimonianza: il ricordo della moglie Irina Antonovna Šostakovič, in una conversazione con la musicologa Elena Petrushanskaya

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Irina e Dmitrij Šostakovič a Repino nel settembre 1966 (foto Archivio Dmitrij Dmitrievič Šostakovič di Mosca)

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MUSICA INSIEME

ome ha conosciuto Dmitrij Dmitrievič? «Alla casa editrice Sovetskij kompozitor tutti parlavano di lui con entusiasmo, come facevano di Mahler. Invece io non ne sapevo niente. Decisi di comprare un suo disco, la Quarta Sinfonia diretta da Konvičnij. Sul lato B del vinile era inciso il Concerto per violino n. 1 eseguito da Ojstrach. L’ascoltai molte volte; mi ci ero “affezionata”, e cominciai ad andare spesso ai concerti che accompagnavano le assemblee plenarie dell’Unione dei compositori. Mi interessava la musica contemporanea. Una volta volevo ascoltare il Don Chisciotte di Kara Karaev e il musicologo Lev Lebedinskij mi aveva promesso che mi avrebbe portata con sé, ma alla fine, non potendo, mi disse:

“Ho chiesto a Dmitrij Dmitrievič di accompagnarla al concerto”. Šostakovič mi ci portò, ma per qualche motivo entrò nella sala subito dopo di me e si sedette al mio fianco. Era strano che nessun altro si sedesse nella nostra fila, tutti passavano e ci fissavano; non era per niente piacevole. Dopo il concerto mi accompagnò a casa in taxi. E nessun discorso particolare, niente… Continuai ad andare ai concerti. Alla prima del suo Concerto per violoncello n. 1 Šostakovič era seduto davanti a me. Si voltò e… basta. Questo è stato il nostro incontro! Com’era, mi chiede? Alto, fumava… Ma all’aspetto esteriore non ci pensavo. E poi il destino: alla casa editrice dovevo curare il libretto di Červinskij per l’operetta di Šostakovič Mosca, quartiere Čerëmuški. Allora l’avevano condannato per quel genere. Invece ora quest’operetta viene eseguita spesso. Červinskij voleva che il compositore scrivesse un pezzo in più, ma decise che era meglio che mi rivolgessi io a Dmitrij Dmitrievič: “Si metta d’accordo col compositore, glielo chieda”. D.D. diede un’occhiata alla modifica e rifiutò categoricamente. Ma tra me e me notai che stavo bene in sua presenza, come se mi si levasse parte di un peso dall’anima, come se mi alleggerisse qualcosa». Cosa la colpiva di più di lui? «Era una persona molto gentile e si distingueva da tutte le persone che conoscevo, in senso buono, ma non riesco a spiegarlo a parole. È stato capace di realizzare moltissimo nella vita, eppure era talmente modesto che io pensavo di essere più intelligente di lui! Ma poi capii: la sua capacità di assimilare le esperienze


di vita, la sua profondità e la sua memoria erano sbalorditive. Era abbonato a un sacco di giornali e riviste, leggeva tutto, e tutto quello che ricordava del passato in qualche modo si trasformava nella sua comprensione del presente, mentre la sua esperienza personale, le sue conoscenze si trasformavano nella sua idea di futuro. Da “giovane filologa”, ero abbonata alla rivista Voprosy literatury (Argomenti letterari) e Dmitrij Dmitrievič cominciò a leggere anche quella: conosceva tutti i critici e tutte le questioni di letteratura e cultura sovietica, come la bufera scatenatasi intorno a Pasternak o per le pubblicazioni di Solženicyn. Parlavamo molto; voleva inserirmi nella sua cerchia di amici… e anche delle sue idee. Era un vero “leningradese”. Leningrado forma le persone sotto molti aspetti: i caratteri sono più chiusi, severi. Ma da giovane Dmitrij Dmitrievič era davvero allegro, aperto, audace, fino a quel momento, tristemente celebre: la condanna della sua amata opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk». Ogni anno il compositore segnava sul calendario il giorno dell’uscita dell’articolo Caos anziché musica, cioè il 28 gennaio 1936. «Era rimasto traumatizzato e capiva di essere sotto controllo. C’è una foto che risale al tempo di guerra, quando viveva a Ivanovo coi figli, è una foto coi bambini molto carina, tutto sembra tranquillo. In realtà si aspettava di essere arrestato: a quel tempo i capi dell’Unione dei compositori lo tenevano sotto osservazione, e lui si aspettava che lo dichiarassero “nemico del popolo”, con gravi conseguenze per lui e la sua famiglia. Nel complesso, era una persona molto coraggiosa, visto che sopportò tutto questo e continuò a scrivere. Ma questo non poté non incidere sul suo comportamento, imponendogli una certa prudenza. Ad esempio, non accettò l’invito ad andare alla Scala per la prima di Katerina Izmajlova [la prima versione della Lady Macbeth del distretto di Mcensk, ndr] né quello alla produzione fiorentina del Naso con la regia di Eduardo De Filippo. Questi inviti “stranieri” passavano prima per la Commissione per gli affari esteri dell’Unione dei compositori. Lì cominciavano a esaminare tutto e a cercarci qualcosa di sbagliato… così per volere della Commissione fu costretto a dire a Firenze che Il naso era un’“opera acerba”. In realtà temeva di andare a questa prima, che però gli interessava molto!». Nel 1948 dopo la “disfatta dei formalisti”, Šostakovič pronunciò un “discorso di pentimento”, promettendo di scrivere canzoni di massa e di ispirarsi al folklore e alla musica corale. «Nel 1948 questa “confessione” la scrisse per lui un suo amico, il regista cinematografico Leo Arnštam. Ovviamente era stato costretto, le sue erano parole forzate. Dopo questo “ordine” lo co-

strinsero a frequentare un corso e sostenere un esame sulla storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica!». E il rapporto con i quartetti d’archi che eseguivano le sue composizioni? «Era molto devoto e si rapportava a loro con grande rispetto. Al Quartetto Beethoven poi era legato da un’amicizia speciale. Molte prove si svolgevano nel nostro appartamento in via Neždanova, oppure a casa di Sergej Petrovič Širinskij, il violoncellista del gruppo. Nell’Archivio del compositore c’è il Diario del Quartetto, molto interessante e non ancora pubblicato, tenuto da tutti loro. Lì si trovano non poche informazioni sui concerti e sulle principali particolarità del processo delle prove. Dmitrij Dmitrievič era contento di come si rapportavano alla musica e del loro lavoro scrupoloso, li considerava “i cavalieri del quartetto”. Dedicavano un’enorme quantità di tempo e forza alle prove, eppure insegnavano ancora con energia!». Secondo quanto ha potuto osservare, come si svolgeva il processo della composizione? «Posso solo dire che non c’era una fase in cui Dmitrij Dmitrievič si preparava, o era “alla ricerca della creatività”… Si sedeva e buttava giù subito la partitura, praticamente in bella copia. Quando terminava una composizione gli piaceva suonarmela. Naturalmente, cosa potevo capire? Solo quello di cui io, sua moglie, avevo bisogno per dargli non tanto dei consigli sulla musica, ma un sostegno emotivo. Le nostre vite hanno avuto molto in comune. Non si doveva parlare degli orrori di Stalin, ma entrambi sapevamo quanto dolore arrecò alle nostre famiglie. Io non ho avuto un’infanzia, non potevo giocare con i miei coetanei, mi sentivo più vecchia di loro. Allo stesso modo, ero molto più giovane di mio marito, ma non lo percepivo; l’aver subito tante perdite mi aveva resa più vecchia, tormentata... Aveva fatto di noi due coetanei». (Intervista di Elena Petrushanskaya. Traduzione dal russo di Beatrice Federici)

Irina Antonovna Šostakovič, come scrisse il compositore all’amico I. D. Glinkman, “è una ragazza con un grande vissuto”. Visse l’esperienza dell’assedio di Leningrado. I genitori furono arrestati e a salvarla dall’orfanotrofio fu sua zia. Da giovane non si dedicò come avrebbe voluto alla letteratura e alle amate poesie di Blok, ma lavorò in una scuola dell’Asia centrale. Alla fine degli anni ‘50 era redattrice letteraria presso la casa editrice Sovetskij kompozitor. Elena Petrushanskaya, musicologa, è ricercatrice capo presso l’Istituto statale di studi sull’Arte di Mosca. Membro dell’Unione dei compositori in Russia, è autrice radiofonica, relatrice in numerosi convegni internazionali e autrice di più di cento saggi, oltre che di libri quali Il mondo musicale di Joseph Brodsky (2004), Mikhail Glinka e l’Italia: enigma dell’opera e della vita (2009); Le avventure dell’opera russa in Italia (2018). MI

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Bologna Modern #3 - Piero Rattalino

MUSICA assoluta

In occasione dell’integrale dei quartetti per archi di Dmitrij Šostakovič, il celebre musicologo ci parla dell’uomo e dell’artista, sospeso fra le maglie della censura e l’impeto creativo

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iero Rattalino è pianista, musicologo e critico musicale, autore di apprezzatissimi libri dove la sua straordinaria competenza si sposa a una capacità divulgativa altrettanto fuori dal comune. Uno di questi è Šostakovič. Continuità nella musica, responsabilità nella tirannide (che presenteremo su queste pagine, nella Rubrica Per leggere), dove le vicende dell’uomo si intrecciano a quelle di uno dei massimi compositori del Novecento. Maestro Rattalino, perché nel 2013 sente l’esigenza di scrivere un libro su Dmitrij Šostakovič? «Il mio interesse per la figura di Šostakovič nasce dal desiderio di approfondire la condizione dell’intellettuale nella tirannide. A differenza di quanto avvenuto in Cina, dove Mao Zedong aveva proibito la musica colta occidentale perché espressione della decadenza borghese, nell’URSS di Stalin e del Partito Comunista la musica colta era vista come manifestazione dell’umanesimo e doveva essere ricondotta al Popolo, che ne era rimasto escluso. Per tale ragione ai musicisti non era consentito uno sviluppo autonomo della loro arte, che doveva essere inverso il realismo soLiszt proponeva di educare stradata cialista e divenire quindi il pubblico al senso del strumento del massiccio bello che è così prossimo programma di alfabetizzazione, anche musicale, voal senso del bene luto da Stalin. In senso molto lato, questo si ricollega a quello che era stato fatto da Liszt nel 1840, quando, in un’ottica di proto-socialismo, suonò gratuitamente per seicento operai con l’intenzione di rendere partecipe della musica colta strumentale anche quel pubblico “nazional-popolare” (come poi lo definirà Gramsci) che andava all’Opera. Lo stesso anno, nel necrologio di Paganini, Liszt scrive: “bisogna educare il pubblico al senso del bello che è così prossimo al senso del bene”, in una concezione molto antica dell’arte come forma di educazione civile». Un’apertura totale a tutte le classi sociali: come si può mediare un linguaggio che appartiene alla musica colta per renderlo fruibile a tutti? «Šostakovič era polistilista e aveva approcci di28

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versi a seconda della destinazione delle sue composizioni: ci sono sinfonie e quartetti in cui il contenuto è di grande impegno, così come alcune composizioni sono molto più leggere. Mentre in Occidente la musica d’avanguardia puntava tutto sulla novità e complessità del linguaggio musicale e della struttura, indipendentemente dalla capacità di tutte le classi sociali di capirlo, in Šostakovič il punto fondamentale era la comunicazione: la musica che scrive è per tutti e va portata sul piano dei contenuti umani che esprime, di quello che Busoni chiamava “il puramente umano”. Šostakovič riprende, senza rendersene conto, il principio esposto teoricamente da Liszt quando diceva “le mie composizioni non seguono alcuna forma prestabilita ma prendono la forma che viene dettata dal contenuto emotivo”. Questo non vuol dire che non ci siano elementi molto interessanti anche sul piano della scrittura e del linguaggio, ma è il carattere di confessione umana che gli va riconosciuto, quello che ci fa sentire in Šostakovič non il sapiente che si rivolge al popolo, ma il fratello che è solidale con te nelle relazioni della tua vita, e ce lo fa amare proprio come persona». Come si colloca Šostakovič dal punto di vista musicale rispetto ai compositori della sua epoca? «Šostakovič rifiuta le due opzioni che erano state messe in luce da Adorno: quella della restaurazione di Stravinskij, ovvero del ritorno alla classicità in modo restaurativo, e quella dell’ulteriore sviluppo progressista, cercando invece una continuità con l’ultimo Ravel, allineandosi alla corrente rappresentata da Bartók e Prokof’ev. Teneva sempre conto del pubblico a cui si rivolgeva e, conoscendo molto bene le forme della tradizione, sapeva alternare a composizioni molto complesse altre molto semplici, come ad esempio la Canzone del contro piano, che fu canticchiata addirittura dal ventisettenne astronauta Jurij Gagarin quando venne mandato nello spazio. Rivolgendosi al larghissimo pubblico sovietico, la popolarità di Šostakovič era infatti universale e sin dalle prime composizioni ci si trovò di fronte a clamorosi successi, a musica assoluta, musica per tutti». La teoria del realismo socialista ha influenzato il processo creativo dei compositori sovietici e


di Šostakovič in particolare? Quale fu il suo rapporto col regime? «Lo Stato si sostituiva con mezzi coercitivi a quello che era stato nella seconda metà dell’Ottocento il mercato della musica colta, in cui era il pubblico a decretare o meno il successo di un brano. Un potere economico condizionava la creatività dei compositori perché qualsiasi lavoro, prima di essere diffuso, doveva essere sottoposto all’approvazione dell’Unione dei compositori. Se il parere era favorevole, lo Stato versava una somma e garantiva una serie di esecuzioni con relativi diritti d’autore, se invece un’opera non veniva approvata, quello era un lavoro perduto e non rendeva niente al compositore. Nel 1936 la Pravda stroncò Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, che stava ottenendo un successo formidabile, definendola “caos invece di musica”. Se non ci fosse stato quell’articolo, l’opera avrebbe spopolato ancora, invece fu tolta dal repertorio e ne fu vietata l’esecuzione, ripresa solo molti anni dopo. Per la Quarta Sinfonia, alla prova generale fu consigliato a Šostakovič di ritirarla perché sarebbe stato di nuovo attaccato. Poi scrisse la Quinta Sinfonia a cui fu aggiunto un sottotitolo, non suo, ma che dovette accettare: “Risposta di un artista sovietico a una giusta critica”. Nel 1948, quando Ždanov attaccò i compositori formalisti, tra i quali Šostakovič, molte delle sue opere furono censurate e lui dovette fare autocritica. L’anno seguente Stalin gli impose di andare a New York per la Conferenza sulla Pace e lui dovette leggere un testo critico nei confronti della musica occidentale che gli fu consegnato. Grazie a questo fu riabilitato e Stalin fece togliere il divieto alla sua musica, dicendo anzi che era stata una cosa illegale vietarla». Perché Šostakovič, dopo aver scritto musica per film, opere e sinfonie desidera scrivere per quartetto? «Scrivere quartetti voleva dire mettersi a confronto con i compositori della grande tradizione, come Mozart, Haydn e Beethoven, e tutti i compositori di grandi aspirazioni, oltre che per il genere della sinfonia, intendevano misurarsi in questo campo. Prima di lui, l’ultimo dei grandi quartettisti era stato Béla Bartók, che tuttavia ne scrisse sei in tutto. In verità Šostakovič di quartetti ne avrebbe voluti scrivere addirittura ventiquattro, uno per ogni tonalità, come confermato dal loro avvicendarsi cronologico in relazione geometrica, per esaltare una sua personalissima concezione dell’ethos della tonalità, come aveva già fatto con i 24 Preludi op. 34 e come avrebbe poi fatto con i Preludi e fughe op. 87. Nel suo progetto di scrivere in tutte le tonalità, inevitabilmente si dovette confrontare con le difficoltà per gli strumenti ad

arco di suonare in alcune di esse, come ad esempio il re bemolle maggiore, e Šostakovič affrontò questo problema tecnico, nel corso degli anni, con l’ausilio degli amici del Quartetto Beethoven, a cui si rivolse per provarli. Nei quartetti di Šostakovič si possono quindi trovare i più svariati schemi formali: da quelli tradizionali ad altri molto atipici che, come organizzazione, sembrano più suite da balletto o divertimenti. L’esecuzione integrale dei quindici quartetti di Dmitrij Šostakovič che Musica Insieme realizzerà in occasione della terza edizione di Bologna Modern è cronologica e consente di seguirne l’iter creativo, di accedere a quella sorta di diario segreto della vita di questo compositore che essi rappresentano. Pregevole la scelta di affidare questo ciclo a giovani, sebbene affermati, quartetti italiani: suonare in quartetto soddisfa enormemente il senso della comunione con gli altri, il senso di fare musica insieme, e per il pubblico sarà una grande avventura, dal punto di vista umano, partecipare a questa edizione. (a cura di Riccardo Puglisi) MI

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I luoghi della musica

RISCOPRIRE

Palazzo Magnani

Grazie a un accordo fra UniCredit e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, lo storico palazzo apre al pubblico, che ne può ammirare i tesori e partecipare a tutte le iniziative artistiche e musicali di Maria Pace Marzocchi

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Particolare del fregio del Salone dei Carracci in Palazzo Magnani: Annibale Carracci, Romolo e Remo allattati dalla lupa

uando nel 1577 avvia la costruzione del nuovo palazzo di famiglia, Lorenzo Magnani è uno degli uomini più ricchi di Bologna, in attesa di coronare i suoi successi con il conferimento della carica di senatore, che arriverà nella primavera del 1590 con breve di papa Sisto V. E allora, ecco giunto il momento di avviare la decorazione del Salone d’onore: la scelta cade sui giovani, ma già affermati Carracci – Ludovico e i cugini Agostino e Annibale – che nella grande decorazione profana avevano esordito all’aprirsi degli anni Ottanta, allora quasi sconosciuti, realizzando i fregi narrativi ad affresco di alcune stanze del palazzo del conte Filippo Fava. Nel salone del palazzo di Strà San Donato vengono montati i ponteggi e i Carracci prendono ad illustrare, e a raccontare, le Storie della Fondazione di Roma, un tema tratto dalle pagine di Plutarco e Tito Livio che ben si addiceva a ringraziare il Papa e a glorificare Lorenzo e tutto il casato dei Magnani. Come in Palazzo Fava, il racconto si svolge nella successione degli episodi/riquadri scanditi e pausati da illusionistiche architetture e finte sculture. Quattordici episodi affrescati su altrettante finte tele inserite entro cornici di marmo bianco, anch’esse finte ma che paiono vere, separate l’una dall’altra da marmorei telamoni, e ai loro piedi “putti di carne”. Mensole, mascheroni in stucco, ghirlande di frutta e fiori: tutto finto e dipinto, ma vero e reale per

via di quella luce naturale riscoperta dai Carracci nella nuova visione della loro pittura, che all’inizio degli anni Novanta del Cinquecento era la più moderna che si potesse vedere a Bologna. Il racconto prende avvio con la scena di Romolo e Remo allattati dalla lupa – e dietro le figure, un paesaggio fluviale e un cielo tempestoso che Annibale ha trascritto dalla campagna bolognese – poi Il ratto delle Sabine, le battaglie e le guerre… e alla fine la salvezza e l’apoteosi di Romolo. Tre artisti, tre mani diverse, ma una straordinaria unità d’intenti, e a chi chiedeva loro di chi fosse l’una o l’altra storia, l’una o l’altra decorazione, la risposta era sempre «Ella è de’ Carracci, l’abbiam fatta tutti noi». Nel 1592 i lavori erano terminati, i ponteggi smontati: l’impresa Magnani, dove la tradizione del fregio narrativo dipinto raggiunge a Bologna il suo apice, è l’ultimo lavoro che i Carracci realizzano insieme nella loro città. Il palazzo, passato ai Guidotti dopo la morte dell’ultimo discendente della famiglia Magnani alla fine del Settecento, subì nel tempo altri cambi di proprietà, fino all’acquisizione da parte dell’istituto bancario del Credito Romagnolo nel 1959. Frattanto veniva avviata la costituzione di una quadreria divenuta via via sempre più rilevante, soprattutto nel versante bolognese ed emiliano, dal Cinquecento al Novecento. Palazzo Magnani, storica sede di rappresentanza di UniCredit Banca, può essere visitato su richiesta e viene aperto al pubblico in varie occasioni, soprattutto dopo l’accordo di collaborazione siglato nel 2016 tra UniCredit e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna per la valorizzazione del palazzo e dei suoi tesori. Tra gli eventi ospitati, alcuni importanti appuntamenti musicali e coreutici, come A Palazzo si danza, inserito nel programma “La via Zamboni” promosso dal Comune e dall’Università per la Giornata Internazionale della Danza, che ha visto in scena numerose compagini a cominciare da Aterballetto. Per la prossima stagione sono in programma nuovi appuntamenti… PALAZZO MAGNANI - Sede UniCredit Via Zamboni 20, Bologna

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Le parole della musica

LA sinfonia

Riprendono con la nuova Stagione dei Concerti le folgoranti “definizioni” di Giordano Montecchi, che ci racconta in modo semplice e accattivante le mille forme della musica

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Nella foto sotto: Max Oppenheimer: L’Orchestra. Gustav Mahler dirige i Wiener Philharmoniker (1935)

a dolce sinfonia di paradiso”. Così Dante nel canto XXI della terza cantica. Sinfonia forse non è solo una parola, è qualcosa di più. Nella sua origine greca è intesa come fusione delle due radici “insieme” e “suono”, il che fa di essa l’emblema, o addirittura il sinonimo, di un mondo felice, governato da una consonanza generale, un sentire, un agire, un suonare insieme, d’amore e d’accordo. Per i manuali di storia della musica “sinfonia” è una forma. Ma, data la premessa, questa accezione scolastica è una camicia troppo stretta per una categoria della musica così polimorfa, cangiante, capace di scavalcare i secoli e farsi beffe di chi la diede per morta. L’età d’oro

della Sinfonia è senza dubbio la classicità viennese di Haydn, Mozart e Beethoven: mezzo secolo o poco più che, come uno scrigno, racchiude molti dei tesori più preziosi della musica europea. Dapprima in tre movimenti, poi in quattro, secondo l’architettura rimasta tipica (ma Beethoven con la Pastorale ne infila un quinto), è davvero la regina del classicismo. Grazie a lei, il modello della cosiddetta “forma-sonata” si plasma e si espande nei modi più

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fastosi, visionari, imprevedibili. Il giovane Haydn cominciò con un’orchestrina da venti elementi: un Allegro (magari introdotto da qualche battuta lenta e meditativa), poi un Adagio in forma d’aria e infine una danza in tre: la grazia di un Minuetto, oppure l’impeto di una Giga. O magari entrambi, cosicché i movimenti diventavano quattro. Via via, mentre il barocco finisce in soffitta e il romanticismo bussa alla porta, quei quattro movimenti crescono a dismisura, in lunghezza e organico. Ma soprattutto, la Sinfonia si anima di colori, visioni e invenzioni nuove: proliferazione di temi, fughe, variazioni, ritmi strampalati, addirittura (il solito Beethoven) le voci e il coro. Per tutta la musica, ma soprattutto la Sinfonia, Beethoven è una sorta di Capo Horn: di lì si passa per cambiare oceano. Tutti i romantici ci passarono; il grande sinfonismo di Schubert, Schumann, Mendelssohn, Brahms è prima di tutto un omaggio all’eroico navigatore. Ma fu a quel punto che Liszt e Wagner, annunciando l’era della musica a programma e il matrimonio fra musica e poesia, stilarono il certificato di morte della Sinfonia, isterilitasi, a sentir loro, nel suo culto anacronistico della forma assoluta. Incauti: mai diagnosi fu più sbagliata. La smentita porta le firme di Dvořák, Čajkovskij, Bruckner, Mahler e i tanti che della Sinfonia svelarono la natura quasi metastorica. Nei nostri anni, come sempre, la musica si trasforma senza sosta: oggi irrespirabile, domani di nuovo a pieni polmoni. Ma comunque sia, ancora si scrivono, e ancora si scriveranno, Sinfonie, siatene certi. Se Beethoven fu il Capo Horn della Sinfonia, Gustav Mahler ne è stato il Capo di Buona Speranza. «Per me una sinfonia è tutto un mondo» disse a proposito della sua Terza. E questa idea sembra animare le folgoranti pagine che seguirono: da Sibelius a Prokof’ev, a Šostakovič, gigante che svetta su tutti. Fino a Sinfonia (1968), capolavoro di Luciano Berio. O anche, per paradosso, a Symphonie pour un homme seul di Pierre Schaeffer (1950), il manifesto della tanto controversa “musica concreta”, mille miglia lontana, in apparenza, dalla Sinfonia. Ma non è così. Non è un caso se Schaeffer diede un titolo del genere a quel suo collage di rumori assortiti, perché Sinfonia significa un universo sonoro dai mille volti e contenuti, una “cosa” che viene da lontano: era già in San Marco a Venezia a fine Cinquecento. La ritroviamo, poi, come immancabile apertura, nelle miriadi di opere che per tre secoli hanno riempito i teatri di mezzo mondo. E poi in Vivaldi, in Bach (padre, ma soprattutto figli) e ogni volta in vesti e forme diverse: per fiati, per tastiera, per archi, per voci, per orchestra. E altre ne verranno, per quanto radicali e arcane possano essere le future metamorfosi della musica.






I CONCERTI ottobre/novembre 2018 Lunedì 15 ottobre 2018

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

FESTIVAL STRINGS LUCERNE ALBAN GERHARDT.................................................violoncello DANIEL DODDS..........................................................violino e direttore Gade, Čajkovskij, Mainardi, Mendelssohn Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 29 ottobre 2018

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

DANIIL TRIFONOV.....................................................pianoforte Beethoven, Schumann, Prokof’ev Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 12 novembre 2018

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Informiamo il gentile pubblico che, per ragioni strettamente personali, Gil Shaham ha dovuto annullare la tournée europea. Ringraziamo il maestro Renaud Capuçon per aver accettato il nostro invito ad esibirsi per “I Concerti di Musica Insieme”

RENAUD CAPUÇON.................................................violino GUILLAUME BELLOM...........................................pianoforte Ravel, Beethoven, Franck Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città Metropolitana di Bologna

Lunedì 19 novembre 2018

AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

ARDITTI QUARTET Berg, Ligeti, Ravel Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 info@musicainsiemebologna.it - www.musicainsiemebologna.it


Lunedì 15 ottobre 2018

UN ELISIR di

giovinezza

La nuova stagione dei Concerti di Musica Insieme inaugura con una delle compagini cameristiche più acclamate, al fianco del violoncellista Alban Gerhardt, al suo debutto nel nostro cartellone di Nicolò Corsini

L

’interpretazione musicale è circondata da alcuni miti. Uno di questi è quello di perseguire, il più fedelmente possibile, la volontà dell’autore. Talvolta non è dato sapere quale essa sia e, anche quando risultasse in qualche modo esplicita, le domande certo non si esaurirebbero: bisogna attenersi a quella originaria o a quella definitiva? La partitura è l’unico strumento da rispettare o si devono considerare gli usi e costumi e la prassi esecutiva dell’epoca?

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MUSICA INSIEME

Questa apparente fragilità, se si tiene conto che la musica si esprime nel tempo e a esso dà significato, si rivela come una delle numerose ricchezze che, attraverso la sapienza e la maestria dei grandi interpreti, l’arte dei suoni ci offre incessantemente; un elisir di giovinezza che rende attuale l’estasi per capolavori partoriti nei secoli. Una continua creazione di ponti tra autori, interpreti e ascoltatori. Durante la stesura, nel 1876, della Fantasia sin-


LUNEDÌ 15 OTTOBRE 2018 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

FESTIVAL STRINGS LUCERNE ALBAN GERHARDT violoncello DANIEL DODDS violino e direttore

Niels Wilhelm Gade Novellette n. 1 in fa maggiore op. 53 per archi Pëtr Il’ič Čajkovskij Variazioni su un tema rococò in la maggiore op.33 (trascrizione per violoncello e archi di David Walter) Enrico Mainardi Elegia per violoncello e archi Felix Mendelssohn Sinfonia per archi in do maggiore MWV n.9 Schweizer Symphonie

tura dalle simmetrie classiche, i contrasti ben proporzionati, il tema semplice e aggraziato, le gentili variazioni dinamiche e armoniche. Vi si ritrova la più alta stima verso l’amato Mozart: Čajkovskij scrive in un diario come la sua musica fosse l’incarnazione della divina bellezza in forma umana, e che, durante l’infanzia, fu grazie all’ascolto del Don Giovanni che scoprì l’amore per la musica. Si badi, non si tratta cer-

I PROTAGONISTI

Il violoncellista tedesco Alban Gerhardt, interprete di consolidata reputazione lanciato dal debutto con Berliner Philharmoniker e Semyon Bychkov nel 1991 e da allora ospite delle principali orchestre, si è distinto per la sua capacità di dare nuova luce a spartiti noti, insieme al suo desiderio di indagare repertori nuovi, del passato come del presente. Con lui sotto i riflettori sarà il Festival Strings Lucerne, da quasi sessant’anni uno dei più illustri gruppi da camera europei, riconosciuto per importanti registrazioni e tour in tutto il mondo. Il FSL sarà guidato dal suo Direttore artistico, l’australiano Daniel Dodds, virtuoso lui pure, che già nel 2001 fu invitato da Rudolf Baumgartner (uno dei fondatori della compagine svizzera) come primo violino di questa straordinaria orchestra.

Foto Dotothee Falke

fonica Francesca da Rimini – brano connotato dalla tragica passionalità della figura dell’Inferno dantesco – Čajkovskij si rivolse alla scrittura di un brano di tutt’altro temperamento, per violoncello e piccola orchestra, commissionato dall’amico Wilhelm Fitzenhagen, professore a Mosca e interprete delle prime esecuzioni dei quartetti del compositore. Il brano in questione, le Variazioni su un tema rococò, si rifà alla musica per piccola orchestra settecentesca: la strut-

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Lunedì 15 ottobre 2018

DA ASCOLTARE

Fondato nel 1956, il celeberrimo ensemble svizzero ha ormai inciso se non tutto, quasi, dal barocco al contemporaneo, con collaborazioni importanti, come quella con Arabella Steinbacher: il terzo, quarto e quinto Concerto di Mozart (Pentatone PTC 5186 479 2014). Davvero interessante la serie Dialogue (Oehms Classics), registrazioni nelle quali sono messe a confronto esperienze diverse, come barocco e minimal music (OC 363 2005) o Schubert con Webern (OC 333 2004). Alban Gerhardt pubblica soprattutto per Hyperion: da Chopin a Fauré, fino ai bis di Rostropovič, omaggio affettuoso al grande maestro russo. Segnaliamo la sua partecipazione all’album DGG (2014) interamente dedicato alla musica della compositrice coreana Unsuk Chin, sul podio della Philharmonia Orchestra Myung-Whun Chung.

tamente di un mero esercizio di stile: ogni variazione trova sì la propria origine nel tema, ma altrettanto forti sono le impronte di una creatività e di un talento melodico del tutto personali. Le Variazioni rococò divennero il brano più eseguito da Fitzenhagen, il quale da subito notò come la Variazione in re minore, dal carattere elegiaco, fosse un passaggio di grande intensità emotiva, dove l’apprezzamento del pubblico (all’epoca gli applausi erano usuali anche durante l’esecuzione) si spiegava maggiormente. Trattandosi solo della terza di otto variazioni, l’effetto di questo climax, nell’insieme dell’opera, ne risultava ridotto, non un particolare di poco conto per un interprete. Fitzenhagen non esitò a ricollocare questa variazione in settima posizione e compiere altre modifiche; senza scomodare l’amico, diede alle stampe la versione rimaneggiata. Quando Čajkovskij scoprì le modifiche rimase certo piuttosto irritato; ciò nonostante acconsentì alla diffusione di questo arrangiamento, lasciandoci in eredità due versioni di quest’opera, che ancora oggi ben si presta a trascrizioni ulteriori, per violoncello e pianoforte o, come quella di David Walter, per violoncello e orchestra d’archi. “Variazioni sul tema” che aggiungono ulteriore ricchezza a questo capolavoro. Lontano da logiche di compiacimento verso il pubblico e spettacolarità virtuosistiche fu Enrico Mainardi, riconosciuto come uno dei più grandi violoncellisti italiani del secolo scorso. Del suo stile le registrazioni ci trasmettono una grande attenzione riservata al suono, asciutto e incisivo, e al rigore nella scelta dei tempi. Copiosa, sebbene meno conosciuta, fu la sua attività

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compositiva. Vocazione maturata durante il primo conflitto mondiale, quando interruppe per qualche anno la già promettente attività concertistica, a cui dedicò maggior impegno dagli anni Cinquanta. Da Malipiero e Pizzetti, di cui fu amico oltre che dedicatario e interprete, ereditò per affinità lo stile compositivo, sempre tradotto però in un linguaggio proprio. È importante ricordare Mainardi anche come instancabile didatta: insegnò nei maggiori centri musicali d’Europa, tra cui anche Lucerna, che oggi, grazie a Gerhardt e al Festival Strings Lucerne, ci dà l’occasione di riscoprire il lato meno conosciuto di questo straordinario artista con la rara Elegia per violoncello ed archi del 1957. Alla Svizzera e al ricordo di una vacanza in famiglia è dedicato il terzo movimento della Nona Sinfonia per archi del giovanissimo Mendelssohn. Scritte fra i dodici e i quattordici anni, queste nove sinfonie per archi sono sicuramente delle gemme della sua attività compositiva. In esse non vanno tanto ricercati riferimenti e anticipazioni del suo stile maturo. È utile, piuttosto, rintracciare le influenze di quel periodo formativo, fra tutte quelle di Händel, Haydn e Bach, dei quali Mendelssohn si dedicò a riscoprire l’enorme lascito. Guardate con distacco dallo stesso autore, come spesso accade alle pagine scritte in gioventù, tanto da lasciarle escluse dal proprio catalogo, vennero riscoperte solo a metà

Lo sapevate che Alban Gerhardt è anche un virtuoso della tastiera, tanto che spesso i suoi recital si concludono con un bis… a quattro mani con il pianista! del secolo scorso, ma ancora adesso sono poche le occasioni di ascoltarle. Instancabile divulgatore della musica settecentesca, non meno attenzione rivolse ai suoi contemporanei. Tra questi ci fu il danese Niels Wilhelm Gade, di cui Mendelssohn diresse con entusiasmo le prime sinfonie a Lipsia e a cui lasciò in eredità nel 1847 il ruolo di direttore del Gewandhaus. La Novellette n. 1 op. 53 è un brano per orchestra d’archi che sottolinea il legame con Mendelssohn e Schumann, non a caso importantissimi divulgatori e instancabili costruttori di ponti per la musica.



Un violoncello social > Intervista > Alban Gerhardt

Foto Kaupo Kikkas

Nella foto a destra il “Lonely Cello” di Gerhardt alla Sidney Opera House

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Musica Insieme l’ha “scoperto” nel 2016, invitandolo per la prima volta al Varignana Music Festival, dove ha conquistato il pubblico non soltanto con la sua arte (che l’ha portato peraltro a collaborare con circa 250 orchestre in tutto il mondo), ma anche con la sua personalità genuina e appassionata. Non è difficile riconoscerla in questa intervista, dove Alban Gerhardt si racconta con una sincerità quasi disarmante, dal rapporto con i social all’incontro con la moglie Gergana Gergova, romantico e fulminante come la scena di un film. Benvenuto a Bologna! Questa è la sua prima volta in città per la Stagione di Musica Insieme. Quali sono le sue aspettative?

«Musica Insieme è una delle maggiori rassegne concertistiche europee e sono assolutamente elettrizzato all’idea di poter suonare per il suo pubblico così raffinato, in una delle città più belle del mondo. Il pubblico italiano che ho incontrato fino ad ora è caloroso e attento, suonare in Italia è sempre una gioia!». Un vero e proprio protagonista della sua pagina Facebook è “Lonely Cello”, il violoncello solitario in viaggio per il mondo. Com’è il rapporto tra i “social media” e la vita di un musicista classico? «Non utilizzo molto i social, se ho tempo preferisco leggere un libro o il giornale; sfortunatamente ci si aspetta che noi musicisti siamo attivi nel mondo social, e dato che amo esibirmi e vorrei suonare fino alla fine dei miei giorni, mi adeguo diligentemente a quello che mi è richiesto. Devo davvero impegnarmi, perché non mi interessano i social, li trovo noiosi e completamente superflui, e allo stesso tempo mi sento in colpa perché penso di non fare mai abbastanza. Un tempo scrivevo un blog sul mio sito, che mi divertiva molto di più, ma era un momento difficile della mia vita personale, quindi era una sorta di evasione. Ora sono molto felice e appagato, e non sento più la necessità di condividere le mie opinioni o la mia vita con il resto del mondo. Non penso di avere abbastanza cose significative da dire per condividerle online! Due


anni fa mio figlio adolescente mi ha detto che avevo bisogno di un profilo Instagram, ma visto che non mi piace farmi foto, ho cominciato a fotografare il violoncello nella sua custodia: in effetti sembra una persona molto solitaria, immortalata nei pressi delle sale da concerto in cui suono. Per me è un bel ricordo di dove sono stato, e se al pubblico piace ne sono felice». Nel 2017 ha fondato il gruppo #Musicians4UnitedEurope, di cosa si tratta? «Alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi nel maggio del 2017, molti fra noi musicisti hanno temuto che l’Europa potesse andare in pezzi, così ci siamo sentiti in dovere di comunicare al nostro pubblico questi timori e il nostro amore per un’Europa unita. A volte il pubblico trae ispirazione da noi e potrebbe anche trovare interessante sapere che il proprio violinista preferito pensa che le sfide in serbo per il mondo si affrontino al meglio restando uniti e non rinchiudendoci nei nostri piccoli paesi, comandati a bacchetta dalle grandi potenze mondiali. Abbiamo organizzato uno splendido concerto di beneficenza che ha richiamato una grande attenzione. L’ex presidente della Germania Gauck era seduto in prima fila e ha tenuto un discorso commovente… purtroppo però non sono un attivista e non ho il tempo né le energie per mantenere in vita questo movimento, quindi per il momento non è successo nient’altro, e me ne dispiaccio molto». Lei calca i palcoscenici dei teatri più importanti al mondo: c’è un momento speciale o un ricordo in particolare che vorrebbe condividere con noi? «Non faccio mai lunghe tournée con un repertorio fisso e concerti ogni sera in una città diversa, preferisco eseguire programmi sempre nuovi collaborando con tante orchestre, direttori e solisti: così non ho mai avuto una sorta di routine, e devo ammettere che dovunque mi esibisca per me è speciale. Così, per tornare alla domanda, il primo concerto che mi viene in mente è l’ultimo, in questo caso un concerto in una vigna al bellissimo Rheingau Musikfestival, vicino a Francoforte, dove ho suonato con quattro straordinari musicisti: mia moglie Gergana Gergova e Baiba Skride al violino, Hélène Clément e Brett Dean alla viola. Dean come sapete è anche un ottimo compositore, e mi ha appena dedicato un concerto per violoncello, lo eseguirò in ottobre con i Berliner Philharmoniker. Incontrarsi con grandi musicisti in un luogo così magico è sempre memorabile, e se mia moglie condivide il palco con me sono ancora più felice». Ci parlerebbe della sua collaborazione con il Festival Strings Lucerne? «Per me suonare con il Festival Strings Lucerne ha un significato speciale: la prima volta che ho collaborato con loro era nel marzo 2010, quando ho preso il posto di un collega malato per il Concerto in do maggiore di Haydn. Quando sono arrivato nella loro sala prove a Lucerna mi sono imbattuto in questa donna

Per me suonare con il Festival Strings Lucerne ha un significato speciale: è grazie a loro che ho incontrato quella che poi sarebbe diventata mia moglie bellissima, e pur di poterle dire qualcosa le ho chiesto dell’acqua. Mi ha indicato dove trovarla e il mio cuore era già rapito – il suo ancora no… ma due anni dopo ci siamo sposati, l’anno dopo dava alla luce nostro figlio e nel 2017 ci siamo trasferiti tutti da Berlino a Madrid, dove Gergana, che ai tempi del nostro primo incontro era primo violino del Festival Strings Lucerne, ora è ‘spalla’ al Teatro Real». Parlando del programma che eseguirete a Bologna, accanto a Čajkovskij c’è una rara elegia di un compositore-violoncellista italiano… «Le Variazioni su un tema rococò sono il terzo “concerto” che io abbia mai eseguito in pubblico, dopo il Concerto di Haydn in re maggiore e quello di Dvořák. Era l’ottobre del 1991, e le Variazioni rococò hanno segnato anche il mio debutto con l’orchestra di mio padre, i Berliner Philharmoniker, con cui sono cresciuto, l’unica orchestra che io abbia mai ascoltato prima di lasciare Berlino a 19 anni. Questo brano di Čajkovskij mi è molto caro: è musica bella, sentimentale e malinconica, e pur concludendosi con dei ‘fuochi d’artificio’ rimane comunque molto intima. Sono cresciuto con l’interpretazione del mio violoncellista preferito, Rostropovič , ma più invecchio e più me ne allontano, visto che Rostropovič la eseguiva in maniera molto più estroversa di come la percepisco io. Abbiamo aggiunto l’Elegia di Enrico Mainardi al programma come omaggio a questo grande violoncellista italiano, e dato che le Variazioni rococò sono piuttosto brevi, l’Elegia mi dà una scusa per divertirmi a suonare un po’ più a lungo per il vostro magnifico pubblico!». Musica Insieme aderisce a un nuovo “patto” per la promozione della lettura in Italia: quale libro a tema musicale suggerirebbe come suo preferito? «Uno dei miei libri preferiti di sempre è Doctor Faustus di Thomas Mann, non una lettura facile, ma se sopravviviamo alle prime 100 pagine (come accade per l’altro mio autore preferito, Umberto Eco) saremo ricompensati da un romanzo fra i più sorprendenti di tutti i tempi. Il protagonista, il giovane compositore tedesco Adrian Leverkühn, è un personaggio d’invenzione liberamente ispirato ad Arnold Schoenberg, e per comporre una musica geniale stringe un patto con il diavolo. Un libro oscuro ma straordinario». (a cura di Arianna Morganti)

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Lunedì 29 ottobre 2018

IL COMPOSITORE e l’uomo

Debutta nel cartellone di Musica Insieme Daniil Trifonov, il pianista russo vincitore sia del concorso “Rubinstein” che del “Čajkovskij”di Francesco Corasaniti

I

ntorno alle figure dei grandi artisti si annidano zone d’ombra che alimentano misteri, leggende e, perché no, anche simpatici pettegolezzi da parrucchiera. Quando l’artista poi non è una semplice figura, ma un intero monumento, come Beethoven, il gossip raggiunge vette inimmaginabili. Il personaggio si presta: geniale, scorbutico, passionale, così estremamente umano nella sublime espressione della sua anima grande, ma anche così nudo davanti alle sue debolezze. Le donne, poi, sono il vero fulcro della sua biografia: tante, troppe sono le sue storie d’amore, tutte infelicissime, soprattutto quella con la misteriosa “Amata immortale”. La storiografia musicale ha dovuto fare i conti da subito con questo eccesso di vita dell’uomo Beethoven e capire se, e come, fosse riflessa anche nella sua opera. La sezione del suo catalogo che riporta la sigla WoO (Werke ohne Opuszahl) contiene sorprendenti capolavori che, per un motivo o per l’altro, il compositore non pubblicò o ai quali non diede un posto di rilievo attribuendovi, appunto, un numero d’opus. Qui si annidano molti di quei “frammenti di una grande confessione” che hanno fatto tanto pensare Carl Dahlhaus, che ha utilizzato proprio uno di questi, l’Andante Favori WoO 57, come baluardo contro l’eccessiva fiducia nelle correlazioni opera/biografia. Il compositore lo aveva scritto come se-

DANIIL TRIFONOV

Foto Dario Acosta

Nato in una famiglia di musicisti russi nel 1991, Daniil Trifonov ha iniziato lo studio del pianoforte a cinque anni per poi debuttare con l’orchestra all’età di otto. Nel 2011 arriva la vittoria al Concorso “Rubinstein” di Tel Aviv e subito dopo il trionfo al “Čajkovskij” di Mosca. Da allora Trifonov ha viaggiato per tutto il mondo esibendosi con le principali orchestre e direttori, ospite delle più importanti sale da concerto e festival. Lodato dalla critica per il suo stile interpretativo, che unisce grande energia a una delicata sensibilità, nel 2014 ha debuttato anche come compositore con la prima mondiale del suo Concerto per pianoforte al Cleveland Institute of Music.

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condo movimento della Sonata Waldstein, ma, constatandone l’eccessiva lunghezza, lo aveva espunto, pubblicandolo a parte nel 1805. Fu probabilmente Czerny ad attribuire il titolo, dovuto al grande favore con cui veniva accolto durante le esibizioni pubbliche. Ma questo Andante è molto


LUNEDÌ 29 OTTOBRE 2018 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

DANIIL TRIFONOV

pianoforte

Ludwig van Beethoven Andante Favori in fa maggiore WoO 57 Sonata n. 18 in mi bemolle maggiore op. 31 n. 3 Robert Schumann Bunte Blätter op. 99 Presto Passionato in sol minore H/K WoO 5,2 Sergej Prokof’ev Sonata n. 8 in si bemolle maggiore op. 84

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Lunedì 29 ottobre 2018

Lo sapevate che Daniil Trifonov si è formato alla Scuola Gnessin, considerata l’istituto musicale più esclusivo della Russia perché rifiuta il 99% dei suoi candidati

più di un brano salottiero. Beethoven lo dedicò in segreto a Josephine von Brunswick, una delle donne che amò, scrivendole: «EccoLe – il Suo – il Suo – Andante». Quanto di questa dedica ha influito sulle note? Non possiamo – secondo Dahlhaus – sostenere con certezza che, scrivendo l’Andante, Beethoven stesse pensando a Josephine e che dunque la composizione fosse una sorta di suo ritratto musicale, come pensava invece Romain Rolland. Egli arrivò a ipotizzare che fosse stato espunto dalla Waldstein proprio per il suo carattere troppo privato. Figuriamoci quanto si possa essere colti dalla tentazione di un’interpretazione biografica davanti a un’opera scritta subito dopo il famoso “Testamento di Heiligenstadt” (6 ottobre 1802), come la Sonata in mi bemolle maggiore op. 31 n. 3. A dispetto del momento drammatico, essa non è affatto tragica o malinconica: è, invece, a tratti trionfale, sempre vivace, tanto che il compositore decise di non scegliere tra Scherzo e Minuetto – all’epoca le due alternative per il terzo tempo di una Sonata – ma di inserirli entrambi, a discapito del secondo movimento, tradizionalmente lento e riflessivo. Il Presto con fuoco finale pulsa di una mai sopita energia vitale. Il titolo apocrifo La caccia è dovuto proprio al suo tema che si rincorre incessante per tutto l’ultimo movimento. Che sia il battito del cuore di Beethoven che fugge dalla disperazione? «L’arte sola mi salvò – scriveva dopotutto nel “Te-

DA ASCOLTARE

Il pianista e compositore russo ha già ricevuto alcuni tra i maggiori riconoscimenti discografici, culminati proprio nel 2018 con il Grammy, premio ottenuto con l’incisione di un doppio cd dedicato a Liszt dal titolo inequivocabile: Transcendental (DGG 2016). Prima, durante e dopo ci sono le molte incursioni chopiniane, inframmezzate a loro volta da Čajkovskij e Rachmaninov. Del 2017 (sempre per la DGG) la registrazione del capolavoro schubertiano, il Quintetto La Trota, con una compagine guidata da Anne-Sophie Mutter. Dal vivo, infine, l’album registrato in occasione del suo recital alla Carnegie Hall, con un programma che raccoglie, oltre ai già citati Chopin e Liszt, Skrjabin e una rara pagina del compositore sovietico Medtner.

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stamento” – [...] Mi pareva impossibile abbandonare la vita prima di aver dato forma ed espressione a quel mondo di affetti che si agitava in me». Non lo sapremo mai, ma è affascinante pensare che questa potrebbe essere la risposta di un uomo che ha scelto la vita. Come Beethoven, anche Robert Schumann è una di quelle figure in cui la biografia sovrasta l’opera. Nel suo caso sembra proprio che la musica sia una propaggine stessa della sua anima, che spira attraverso il lavoro compositivo. Dei suoi pensieri e dei suoi ricordi sono permeati in particolare i brevi pezzi pianistici come Carnaval, Kinderszenen e Bunte Blätter op. 99. Le quattordici composizioni – “foglie colorate”, ma anche “fogli colorati” – sono state scritte nell’arco di tredici anni, dal 1836 al 1849, ma pubblicate soltanto nel 1852, e sono suddivise in due collezioni (Stücklein e Albumblätter) e sei brevi brani indipendenti. Come spesso accade nei cicli pianistici, Carnaval e Kreisleriana in testa, anche in questa raccolta si affrontano i due alter ego di Schumann, il dolce Eusebio e l’esuberante Florestano, che espongono le due anime del compositore, sempre teso tra lo slancio romantico, il più esasperato struggimento e la ricerca dell’imprevedibile. È Florestano, con la sua forza dirompente, il protagonista del Presto Passionato che, come l’Andante Favori di Beethoven, nacque come ultimo movimento di una Sonata, l’opera 22. Fu la moglie Clara a indurre il compositore a espungerlo e sostituirlo con un movimento più breve e meno impegnativo, considerando il Presto meritevole di una sua autonomia. La bellezza della melodia, che si fa strada nella scrittura nervosa e virtuosistica, ancora dopo centottanta anni dà ragione alla signora Schumann. A Sergej Prokof’ev, invece, il finale della Sonata n. 8 in si bemolle maggiore op. 84 – un movimento vivace, ironico e sfrenato – riuscì al primo colpo, non senza un lungo lavoro di elaborazione che durò dal 1939 al 1944. Proprio per la sua collocazione cronologica, insieme alle n. 6 e 7 costituisce la trilogia delle cosiddette Sonate di Guerra. L’ultima sonata pianistica precedente alla trilogia risaliva al 1923 e, non di rado, questa nuova linfa creativa è stata attribuita all’incontro con la poetessa Mira Mendelssohn, collaboratrice, segretaria, consulente letteraria e poi seconda moglie del compositore. Capolavoro assoluto del Novecento musicale, la Sonata si dirige verso gli impervi sentieri della politonalità, verso una ricerca personale indifferente ai confini posti dalla forma. Tesa all’espressione di una nuova lingua, misteriosa, certo, ma comunque ancora decifrabile, è densa di autocitazioni mai prive di ironia e di escursioni controllate nel mondo dell’ignoto.



Lunedì 12 novembre 2018

DIALOGHI impossibili

Dopo dieci anni di assenza, torna a Musica Insieme il violinista Renaud Capuçon, tra i più apprezzati solisti e cameristi di oggi, impegnato in un programma che esplora un secolo di sonate di Valentina De Ieso

L

a musica è nata come la più effimera delle arti, per millenni custodita quasi solo dalla memoria umana, intrisa di significati filosofici e misterici, ma ancora così sconosciuta nella sua costruzione formale, proprio a causa della scarsità di documenti notati. La fase della sua storia testimoniata da fonti scritte è infatti relativamente recente e breve, ma ci racconta una continua evoluzione di forme, di stili e di linguaggi che si è protratta nel corso dei secoli. La sonata per violino e pianoforte ha seguito questo stesso percorso, mutando intimamente la sua struttura formale. I suoi primi esemplari mostrano lo strumento a tastiera come indiscusso protagonista, per diventare in un secondo momento un comprimario del violino. Nella sua fase più matura, infine, la sonata vede sempre più spesso il pianoforte relegato al ruolo di mero accompagnatore dell’arco, ormai assurto a voce solista. Il travagliato rapporto tra i due strumenti è però difficilmente condensabile in uno

I PROTAGONISTI

Foto Simon Fowler

Renaud Capuçon si è imposto nel panorama internazionale con l’invito di Claudio Abbado a diventare primo violino della Gustav Mahler Jugendorchester, che dal 1998 ha guidato per tre estati. Da quel momento si è affermato come richiestissimo solista, suonando con i Berliner Philharmoniker, la Los Angeles Philharmonic, l’Orchestre de Paris e con tutte le principali orchestre europee e nordamericane. Molto intensa è anche la sua attività cameristica: tra gli altri, collabora con Martha Argerich, Daniel Barenboim, Hélène Grimaud, Maria João Pires, Yo-Yo Ma. Ad affiancarlo sarà Guillaume Bellom, considerato l’astro nascente del pianismo internazionale, perfezionatosi con Nicholas Angelich e premiato al Concorso “Clara Haskil” 2015, il cui vasto repertorio cameristico gli ha assicurato collaborazioni con colleghi come Paul Meyer e Antoine Tamestit.

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schema rigido e ha preso qua e là sentieri inaspettati. All’alba dell’Ottocento Beethoven scriveva un ciclo di tre sonate, l’opera 30, dove questa parabola era già arrivata al suo tratto discendente. Non serve ascoltarla per capirlo: basta osservare il colpo d’occhio dell’autografo della sua settima Sonata, l’opera 30 n. 2. È il violino che canta, che


LUNEDÌ 12 NOVEMBRE 2018 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

RENAUD CAPUÇON GUILLAUME BELLOM

violino pianoforte

Maurice Ravel Sonata in sol maggiore Ludwig van Beethoven Sonata n. 7 in do minore op.30 n. 2 César Franck Sonata in la maggiore

Lo sapevate che Renaud Capuçon ha recentemente presentato il suo nuovo violino in un concerto all’abbazia di Bèze (Côte-d’Or), dai cui giardini proviene il legno con cui è stato costruito MI

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Lunedì 12 novembre 2018

emerge, che si esprime, mentre il pianoforte lo accompagna con un basso ripetuto. I simboli che il compositore ha tracciato sullo spartito ci raccontano proprio queste ostinate ripetizioni sintetizzate con veloci colpi di penna. Sembra però di vedere una seconda mano sulla tela. La grafia è sempre quella di Beethoven, ma l’inchiostro è nuovo: sono i ripensamenti dell’autore. Le note sono tutte scritte con uno stesso tratto, leggero ed elegante, mentre un segno più pesante e nervoso è intervenuto ad apportare le correzioni. Tutti gli abbellimenti leziosi sono stati cancellati con macchie perentorie e sono state inserite numerose indicazioni di crescendo e fortissimo, quasi a dare carattere a quanto scritto precedentemente. Beethoven dedicò le tre Sonate allo zar Alessandro I di Russia, tramite il Conte Razumovskij, ma questo omaggio non sembrò sortire alcun effetto economico, tanto più necessario in quel periodo. Esse risalgono infatti a quel terribile 1802, l’anno dell’insorgere della sordità, che rappresenta però un incredibile momento creativo nel quale hanno preso vita pagine cruciali della produzione di Beethoven. L’umore di quelle giornate

DA ASCOLTARE

Il violinista francese vanta una vasta discografia, sia in termini numerici che per ampiezza di scelte. Da Schubert a Debussy, tutto il grande repertorio violinistico ottocentesco e moderno, soprattutto quello mitteleuropeo e francese, trova spazio nelle sue incisioni. Proprio Debussy è il protagonista di un lavoro pubblicato dalla Erato lo scorso anno, che ruota intorno alle sue sonate solistiche. La medesima etichetta ha pubblicato nel 2016 un interessante cd tutto incentrato sulla produzione concertistica contemporanea: Rihm, Mantovani, Dusapin. Diverse le orchestre – National de l’Opera de Paris, Radio France, Wiener Philharmoniker – due i direttori: Myung-Whun Chung e Philippe Jordan.

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nere, che lo hanno condotto sull’orlo del suicidio – come ci testimonia il tristemente noto “Testamento di Heiligenstadt” – si riflette nelle melodie tempestose della Sonata, permeate da quel maestoso senso del sublime che inaugurò una nuova era del titano Beethoven. Nel corso dell’Ottocento il ruolo da protagonista del violino si consolida, eppure, all’inizio del Novecento, in Un amore di Swann Proust definiva con l’arcaica dicitura “per pianoforte e violino” la Sonata di Vinteuil, la melodia che il protagonista associava al suo amore per Odette. Questa composizione misteriosa ha dato adito a decine di fantasiose interpretazioni, tutte probabilmente senza un vero fondamento, ma una delle più diffuse era quella che la identificava proprio nella Sonata in la maggiore di César Franck. La sua composizione lo impegnò per quasi trent’anni. In una lettera del 1857, indirizzata a Hans von Bülow, preannunciava la stesura dell’opera e la dedica a Cosima Liszt, all’epoca moglie del direttore d’orchestra. Di lì a trent’anni, quando la Sonata fu ultimata, mantenere l’impegno sarebbe stato quanto meno strano: Cosima aveva divorziato dal marito per diventare la seconda moglie di Wagner. Fu invece Eugène Ysaÿe, in occasione delle sue nozze, il destinatario finale della Sonata e anche il primo interprete, rendendola celebre in tutta Europa. Forse è proprio la sua melodiosità sensuale e limpida, lirica e misteriosa, intrisa di una sua spiritualità, così tipica della produzione di Franck, ad averla resa così appetibile come candidata alla Sonata di Vinteuil. Anche la Sonata per violino in sol maggiore di Maurice Ravel ebbe una lunga gestazione, dal 1923 al 1927, e fu tenuta a battesimo da uno dei più grandi interpreti del suo tempo, George Enescu. «Al momento di intraprendere la Sonata – scriveva Ravel – già avevo in mente la forma assai singolare, la scrittura strumentale e persino il carattere dei temi delle tre parti ancor prima che l’ispirazione m’avesse suggerito uno solo di questi temi. E non penso di aver preso la strada più breve». La scrittura di quest’opera è in effetti profondamente innovativa, ma, curiosamente, il pianoforte assume un ruolo da comprimario. Questo lo si nota da subito: nell’Allegretto iniziale, ad esempio, al pianoforte è affidato un grazioso tema che prelude a quello del violino. Il secondo movimento, Blues, costruito su stilemi ritmici afroamericani, è invece introdotto dai pizzicati del violino solo, impegnato a imitare il banjo, nell’intento di costruire un’atmosfera jazzistica. Il conclusivo Perpetuum mobile, spaventoso moto perpetuo dal virtuosismo esasperato, termina mostrando l’impossibilità del dialogo di violino e pianoforte: i due strumenti procedono paralleli e lontanissimi, ognuno teso ad esprimere se stesso, indifferente alla dialettica con l’altro.



Lunedì 19 novembre 2018

DIBATTITI

sonori

Il celebre quartetto inglese approda per la prima volta nella stagione di Musica Insieme con un programma dedicato a grandi capolavori del Novecento di Maria Chiara Mazzi

ARDITTI QUARTET

Foto Astrid Karger

L’Arditti gode di fama mondiale grazie alle sue raffinate interpretazioni di musica contemporanea e del XX secolo. Fondato nel 1974 dal primo violino Irvine Arditti, il Quartetto è dedicatario di diverse centinaia di opere cameristiche di compositori quali Britten, Cage, Kurtág, Lachenmann, Ligeti, Rihm, Sciarrino e Stockhausen. Negli ultimi trent’anni l’Arditti ha vinto numerosi premi, tra cui il “Gramophone Award”per la miglior registrazione di musica contemporanea e il prestigioso “Ernst von Siemens” alla carriera, rimanendo ad oggi il solo ensemble ad averlo ottenuto.

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L

a vicenda relativamente breve del quartetto d’archi è sempre stata una vicenda “privata”, fino al limite dell’esoterismo. Il quartetto nasce in casa, infatti, nella seconda metà del Settecento, come emanazione musicale della “società della conversazione”, quel mondo coltissimo e raffinato che vede nella dialettica, nel dibattito e nel confronto il modo per porre e ricomporre i problemi. Parlano e si confrontano tra di loro i filosofi e i letterati… Parlano di cose che solo loro comprendono e sono in grado di gustare, e fanno musica nello stesso modo. Da qui partono gli inventori del quartetto, italiani (dello stesso ambiente milanese che pubblicava giornali come il Caffè) e mitteleuropei. E se gli italiani proseguiranno i loro dibattiti in teatro, i mitteleuropei preferiranno farlo proprio con gli strumenti ad arco. A fine secolo la svolta: la conversazione non va più bene per la società uscita dalla rivoluzione, quando l’umanità “musicale” si divide in esecutori e ascoltatori. Con Beethoven il quartetto diventa uno dei più interessanti ossimori della storia della musica: genere nato come conversazione privata, comincia a prevedere un pubblico e diventa “musica da camera da concerto”. Per i musicisti, il quartetto si è trasformato in una forma grazie alla quale col minimo dei mezzi si può raggiungere il massimo del contenuto. Complici gli ultimi capolavori di Beethoven, il quartetto diventa il punto di arrivo e di sintesi estrema, meta irraggiungibile al punto da terrorizzare gli autori dell’Ottocento,


LUNEDÌ 19 NOVEMBRE 2018 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

ARDITTI QUARTET

IRVINE ARDITTI violino ASHOT SARKISSJAN violino RALF EHLERS viola LUCAS FELS violoncello Alban Berg Quartetto op. 3 György Ligeti Quartetto n. 2 Maurice Ravel Quartetto in fa maggiore

CHE MUSICA, RAGAZZI! – II edizione Il 19 novembre alle ore 10.30 gli Artisti incontreranno all’Auditorium Manzoni gli alunni delle scuole primarie e medie. Per informazioni rivolgersi a Musica Insieme

che non si sentono in grado di superare l’asticella messa dal compositore di Bonn. Eppure… per essere considerato un compositore, un quartetto lo si deve scrivere. Ed ecco il giovane Debussy scriverne uno, ed il giovane Ravel che a inizio carriera deve scrivere un quartetto perché l’ha scritto anche Debussy. È il 1903, ma la dedica a Fauré e il riferimento a Debussy, peraltro notato anche dai critici dell’epoca, trasformano il Quartetto di Ravel in un Giano bifronte, con l’autore da un lato legato al passato, nella morbidezza delle linee e nella struttura parzialmente ciclica e in quattro movimenti, e dall’altro consapevole della sua originalità creativa, nella chiarezza della scrittura, nei toni talora netti e bruschi e nella precisione formale. Come scrisse il critico Marcel Marnat, in esso «la preoccupazione di essere fluido, ma non intricato, solido, ma non brutale, è il segno di una piega della vita del tutto nuova di questo compositore». Tuttavia occorre attendere il Novecento (programmaticamente deciso a rovesciare il tavolo) e andare verso Est per cambiare direzione al quartetto, per provare non a superare Beethoven, ma ad andare da un’altra parte, anche se la straordinaria capacità di sintesi del Quartetto op. 3 di Alban Berg non è poi tanto distante dalle espressioni siderali degli ultimi analoghi brani beethoveniani. Berg compone il suo Quartetto nel 1910, proponendolo poi l’anno successivo assieme all’opera 7 di Webern. È il momento in cui l’allievo di Schoenberg comincia a sperimentare un nuovo linguaggio partendo dalla grande tradizione strumentale tedesca: la sonata per pianoforte e, appunto, il quartetto per archi. In piena “emancipazione della dissonanza” e in mancanza di quelle tensioni tonali utili in passato per

costruire strutture di ampie dimensioni, egli propone in questa composizione di notevole ampiezza (nonostante i due soli movimenti) una minuta e complessa elaborazione tematica, all’interno di una più vasta concezione ciclica. Scrive a questo proposito Theodor W. Adorno: «nel Quartetto non ci sono più ‘temi’ nella vecchia accezione statica. Il continuo passaggio scioglie ogni immagine consolidata, la schiude a ciò che precede e a ciò che segue. È perciò compito di chi ascolta non notare i temi e seguirne i destini, bensì partecipare al compimento di un percorso musicale, in cui ogni battuta, anzi ogni nota, è ugualmente vicina al punto centrale. Sembra che l’autore parli con un suono fatto di un miscuglio di tenerezza, nichilismo e confidenza con la massima caducità». Passano più di cinquant’anni tra questo e il Quartetto n. 2 di Ligeti: in mezzo ci stanno i quartetti di Bartók e quelli di Šostakovič, utili a cambiare ancora una volta le prospettive e ad aggiornare le potenzialità di questo orLo sapevate che negli ganico. Se il primo Quartetto di Ligeti, composto negli anni Cinultimi quattro decenni quanta, si rifà ancora alla lezione l’Arditti ha eseguito più di Bartók, il secondo (e ultimo prime assolute di qualsiasi del suo catalogo), composto nel 1968, quando l’autore è ormai staaltro quartetto d’archi, bilmente in Occidente, supera molte dedicate a loro quel tipo di visione e, oltre a recuperare la forma in più movimenti, punta ad esplorare potenzialità altrimenti nascoste di questo organico, alternando il lirismo espressivo (nel secondo movimento) al puro meccanismo (nel terzo, dove sono il senso della macchina e la polverizzazione sonora a prendere il sopravvento), senza dimenticare tuttavia echi bartokiani (nel quarto) e il gioco delle magie timbriche e sonore (nell’ultimo).

DA ASCOLTARE

Nel 1974 Irvine Arditti fonda il “suo” Quartetto. Lo scopo dichiarato: dare spazio alla contemporaneità all’interno del più “classico” dei generi, il quartetto d’archi appunto. Tale obiettivo non poteva non realizzarsi anche attraverso l’incisione discografica. Cosicché la discografia dell’Arditti Quartet rappresenta molto di più che l’impegno in sala d’incisione di un ensemble: è una parte importante della storia della musica. Ben oltre cento le incisioni dal ’78 ad oggi, catalogo che comprende da Ligeti ad Abrahamsen, da Maderna a Zorn, passando ovviamente per tutta la produzione mitteleuropea e quella statunitense. Insomma, è una sorta di archivio, nel quale troviamo anche le emozioni e gli umori di una storia ormai lunga quarant’anni e più.

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Nuova musica per tutti > Intervista > Irvine Arditti In oltre quarant’anni di attività, l’Arditti Quartet ha stretto collaborazioni sbalorditive con i massimi compositori del ventesimo secolo. Con Musica Insieme porteranno per la prima volta a Bologna la loro esperienza e la loro carica “divulgativa”. Ne abbiamo parlato con il fondatore della compagine, Irvine Arditti. Se potesse scegliere un compositore, sia vivente che passato, con cui collaborare, chi sceglierebbe? «Dato che si può solo vivere nel presente e nel futuro, sarebbe inutile scegliere un compositore del passato per proporgli una collaborazione… Ma poiché i compositori in vita potrebbero offendersi se ne scegliessi uno piuttosto che un altro, eviterò il confronto! Scherzi a parte, sceglierei Ligeti o Nono, entrambi avevano in animo di comporre nuovi quartetti per noi, che purtroppo non furono mai realizzati. Il secondo Quartetto di Ligeti è un capolavoro del repertorio e Fragmente – Stille, an Diotima di Nono è un lavoro veramente originale per il suo tempo. Erano dei giganti in quel particolare mondo della “nuova musica” che mi interessava, ed avrebbero scritto sicuramente due lavori “diversi”, nel loro stile mutevole. Possiamo solo immaginare cosa avrebbero potuto creare». Il vostro concerto è parte del progetto Musica per le Scuole di Musica Insieme, il che significa che

alla sera più di 250 studenti degli istituti superiori siederanno fra il pubblico; inoltre la mattina sarete protagonisti di un incontro con i ragazzi delle scuole elementari e medie. Come pensa di coinvolgere i giovani e giovanissimi ascoltatori? «Probabilmente suonerò loro alcuni passaggi del Grido di Lachenmann, un brano che coinvolge un mondo sonoro a loro completamente ignoto. Lachenmann integra molti rumori nella sua musica e credo che questo potrebbe affascinare i giovani. Suonerò anche estratti del secondo Quartetto di Ligeti, che eseguiremo in concerto la sera». Viceversa, quale potrebbe essere un buon modo di “incantare” gli adulti con la classica? «Gli adulti posso essere più difficili da incantare dei giovani perché sono già condizionati. Credo che il programma che suoneremo, Berg, Ligeti e Ravel, sia un buon programma per un pubblico “classico” anche se non è troppo abituato alla musica dei nostri tempi». Il pubblico ha spesso un’idea romantica della vita dei musicisti. Com’è una sua giornata tipica? «La contemporanea era il mio hobby da quando ero adolescente. Sono riuscito a rendere il mio hobby una professione. Credo che siano in pochi a poterlo dire. È un lavoro duro, fra lo studio, le prove con il quartetto che spesso durano sei o sette ore, le giornate di viaggio e quelle di concerto. È meglio stimare i propri colleghi di quartetto per lavorare insieme così intensamente, ma non bisogna per forza “amarsi”. Una serata trascorsa a fare qualcosa di diverso è un’ottima terapia». Il quartetto d’archi è, per così dire, il “re della musica da camera”, con un repertorio smisurato e lastricato di capolavori: perché avete deciso di concentrarvi sulla musica del XX e XXI secolo? «È proprio perché ci sono così tanti capolavori nel repertorio “classico” per quartetto che sono particolarmente felice di incoraggiare i compositori d’oggi a contribuire ad accrescerlo». Come descriverebbe il programma che presenterete a Bologna? «Come dicevo, è il programma perfetto per fare apprezzare la contemporanea agli appassionati di musica classica. Ravel è comunque nel loro “territorio”. Il Quartetto op. 3 di Berg è un capolavoro del primo Novecento, e il secondo Quartetto di Ligeti è un capolavoro di fine Novecento, uno dei brani di musica contemporanea più accessibili a tutti». (a cura di Camilla Marchioni)





Per leggere / di Chiara Sirk

Roberta Pedrotti Le donne di Gioachino Rossini. Nate per vincere e regnar

(Odoya, 2018)

“Ma se mi toccano / Dov’è il mio debole / sarò una vipera / e cento trappole / prima di cedere / farò giocar”: le donne di Rossini sembrano riassunte dalla vivace Rosina del Barbiere di Siviglia. Sono tutte furbe, scaltre, capaci di gabbare gli uomini che spesso hanno l’ingrato ruolo dello sciocco. Si capisce bene da che parte Rossini stia. Quello che forse è meno noto è la quantità di caratteri femminili che ha espresso nelle sue opere. Indaga questo aspetto il libro di Roberta Pedrotti, appena uscito per l’editore bolognese Odoya. Le 414 pagine che lo compongono svelano con chiara scrittura, solida conoscenza, dovuta anche ad un’appassionata e precocissima frequentazione del Rossini Opera Festival di Pesaro, vita e storia delle eroine del compositore. Se avete in mente solo la mestizia di Cenerentola e il “caratterino” di Isabella dell’Italiana in Algeri, qui scoprirete Ermione, Zelmira e, soprattutto, Semiramide. Roberta Pedrotti sfoggia non solo la conoscenza di queste opere, ma anche delle prime esecuzioni, dei commenti della critica, di come altri autori abbiamo messo in musica gli stessi soggetti e di tanto altro. Il libro, il primo dell’autrice, già affermata studiosa e critico musicale, ha la prefazione di Gianfranco Mariotti. Raffaele Mellace Il racconto della musica europea. Da Bach a Debussy

(Carrocci editore, 2017)

L’impresa di affrontare in poche centinaia di pagine la storia della musica “colta” occidentale, dal Settecento fino all’inizio del XX secolo, dovrebbe far tremare i polsi di chiunque vi si accinga. Invece pare quasi che gli studiosi la considerino una sfida con cui misurarsi. Così, tra i diversi volumi dedicati all’argomento, di recente pubblicazione troviamo Il racconto della musica europea di Raffaele Mellace, docente di Storia della musica all’Università di Genova (Carrocci, 2017, 559 pagine). Si tratta di un utile saggio per orientarsi in un mondo ricchissimo di figure, forme, sviluppi che mai sono avulsi da un contesto storico e culturale. Questo l’autore lo sottolinea, compatibilmente con lo spazio a disposizione, ogni volta che può. Il procedere cronologico viene articolato in un modo preciso: un “preludio” che presenta contesti e specificità dell’orizzonte estetico di quella stagione. Segue una “sezione centrale” che affronta alcune delle questioni più significative di quel segmento di storia della musica. Conclude una serie di “vite parallele”, medaglioni dedicati ad autori emblematici. La lettura non è avvincente come un romanzo, ma costituisce un buon viatico per chiunque voglia conoscere, approfondire, meditare su quanto ascolta o vorrebbe ascoltare. 58

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MUSICA INSIEME

ARIA

di rivoluzione

Da Bach alle sconvolgenti vicende novecentesche, passando per le donne di Rossini: una ricca antologia di letture per soddisfare curiosità e passioni musicali

La collana “Novecento” della casa editrice Zecchini arriva al quarto e al quinto volume, entrambi dedicati, pur affrontando temi assai diversi, alla musica nell’Unione Sovietica, il primo dei quali è Šostakovič. Continuità nella musica, responsabilità nella tirannide. Šostakovič iniziò gli studi musicali come pianista, raggiungendo presto un livello ragguardevole. In realtà, quello che veramente gli interessava era la composizione. Precocissimo anche in questo, si fece notare per la qualità e l’originalità della scrittura. Rattalino non nasconde la sua profonda ammirazione: «Nella storia della composizione orchestrale Šostakovič è da considerare come uno dei maggiori strumentatori, pari a Berlioz, a Rimskij-Korsakov, a Mahler, a Strauss». E ancora: «A ventitré anni Šostakovič si era già misurato con l’opera, con la musica di scena, con il balletto e con il film, a venticinque si stava affermando come il più promettente ed eclettico drammaturgo musicale del Novecento, quasi una reincarnazione di Mozart». Intuiamo che il volume si dedica prevalentemente alla musica del compositore. Intorno, un mondo impazzito, che ora lo esalta, ora lo censura. Destreggiarsi con il compromesso, senza perdere la dignità, richiederà a Šostakovič uno sforzo enorme. Rattalino racconta tutto con il consueto stile perfetto, senza risparmiare un giudizio a chi non ha capito la grandezza di un compositore geniale, innovatore, ma nella linea della continuità.

Il quinto volume della collana “Novecento” è Soviet piano. I pianisti dalla Rivoluzione d’Ottobre alla guerra fredda di Luca Ciammarughi. Nelle 366 pagine che lo compongono troviamo non solo Šostakovič, ma anche Marija Judina, sua compagna di studi, e ancora Horowitz, Cherkassky, Magaloff e tanti altri grandi protagonisti, i migliori, dell’interpretazione pianistica del secolo scorso. Formatisi in scuole di altissimo livello, cresciuti in un mondo estremamente competitivo, quasi come atleti, diventati artisti meravigliosi, hanno dovuto convivere con un regime che li ha tormentati con i metodi più vari e odiosi. Il volume indaga un campo complesso, come ammette l’autore, ricordando non solo i nomi che tutti conosciamo, ma anche quelli meno noti, come Marija Grinberg, Rudolf Kerer, Naum Štarkman. In un panorama assurdo come una novella di Gogol’, sboccia però il fiore della solidarietà. Il regime è scomparso, la meravigliosa arte di tutti i musicisti citati nel volume di Ciammarughi e l’umanità che tanti conservarono, a rischio della vita, continuano a risplendere. Piero Rattalino Šostakovič. Continuità nella musica, responsabilità nella tirannide (Zecchini, 2013)

Luca Ciammarughi Soviet piano. I pianisti dalla Rivoluzione d’ottobre alla guerra fredda (Zecchini, 2018)



Da ascoltare / di Piero Mioli

NUOVE visioni

Tre giovani talenti messi a nudo in pubblicazioni recenti esplorano il lirismo del pianoforte, il virtuosismo del violoncello e l’emozione del coro Erica Piccotti, Itamar Golan (1 cd – Musica con le Ali 2018) Stravinskij, Prokof’ev, Franck

Una giovane violoncellista che esordisce in disco senza Bach, senza Beethoven, senza Brahms? Molto giovane, Erica ha idee molto chiare e le ha comunicate ad Armando Torno in modo da fargli abbozzare un programma di sala tutt’altro che obsoleto. Così comincia con la Suite italienne di Stravinskij, dove trova la gioia della maschera e della musica insieme: effettivamente vi sa passare da una certa voluta goffaggine alla tipica mestizia napoletana, pervenendo alla grinta del finale con l’aiuto del pianoforte percussivo di Golan. Qualche movenza ansiosa non guasta, anzi arricchisce la Sonata in do maggiore op. 119 di Prokof’ev, dove l’artista sa benissimo di essersi cimentata con il grande maestro slavo ma anche col suo interprete primo, nientemeno che Rostropovič: poca cantabilità, parecchia dialogicità, buon senso della parità strumentale Piccotti e Golan hanno trovato nell’ultimo opus cameristico di Prokof’ev. Chiude l’antologia la Sonata per violoncello e pianoforte in la maggiore di Franck, quella celeberrima scritta per violino e poi accanitamente smobilitata: qui il cantabile c’è, e va benissimo purché non lo si disgiunga dalla velocità dei due compari nell’Allegro iniziale. Lili Boulanger

Orpheus Vokalensemble, Michael Alber, Antonii Baryshevskyi (1 cd – Carus 2018) Hymne au Soleil. Oeuvres chorales

Boulanger: un cognome che in Francia dice ancora molto. Nel 1979, a 92 anni, è scomparsa Nadia, famosa insegnante di composizione figlia del compositore Ernest, che era figlio di un violoncellista e un mezzosoprano. A poco più di vent’anni Nadia aveva abbandonata l’attività compositiva, non molto dopo la scomparsa della sorella Lili, ragguardevole compositrice vissuta appena dal 1893 al 1918. Della sfortunata Boulanger jr. finalmente la discografia mette a disposizione una bella antologia di musiche per pianoforte o per coro e pianoforte: 15 pezzi, l’ultimo dei quali dà il titolo al fresco cd evidentemente concepito per la ricorrenza del centenario. Sono pezzi incantevoli che si ispirano alla poetica simbolistico-classicistica fiorita nella Francia del primo Novecento con il secondo Debussy e con certo Ravel. Il fascicolo trascrive i testi poetici, che sono firmati da Gautier, Leconte de Lisle, Musset e altri: una serata sulla pianura, una sorgente d’acqua, una tempesta, un gruppo di sirene, non senza un salmo e una Vieille prière bouddhique. Gran lavoro per l’ottimo pianista e per un coro ben nutrito donde spiccano dieci solisti, dei quali solo uno in chiave di basso e con voce di baritono.

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In principio c’era Bach, s’è detto tante volte. No, s’è cominciato a replicare, c’è Beethoven. Bene, per Trifonov il verbum principale è Fryderyk: eccolo qua, con quei due concerti per pianoforte e orchestra che potrebbero anche figurare come due sonatone con un pianoforte cantante e un pianoforte accompagnante per puro comodo trasformato in orchestra (un’orchestra che di per sé avrebbe fatto inorridire un Brahms e qua compare nella per così dire revisione di Mikhail Pletnëv). I Concerti sono associati nel doppio cd ad importanti pezzi pianistici chopiniani come la Fantaisie-Impromptu o le Variazioni su “Là ci darem la mano”, e a quelle “evocazioni” che di Chopin faranno autori come Schumann, Mompou, Grieg. È canto quello che Trifonov trova ed esalta in Chopin? Senza dubbio, ma non solo, perché la sua interpretazione è così convinta, sofferta, personale e minimalistica da trasformare spesso quel melodismo in recitativo, delibando una scrittura squisitamente pianistica come se fosse un discorso, una oratio alla maniera ciceroniana o un’allocuzione “affettuosa” da organo, cembalo, tastiera barocca, alla maniera bachiana (sia di C.P.E. che del padre stesso). Così accade, per chiaro esempio, nei movimenti lenti, i due sublimi Larghetti, salvo la possibilità di sveltire il fraseggio e trasformarlo in virtuosismo, brillando particolarmente nei due Vivaci finali (il secondo rondò pari pari). Classe 1991, Daniil Trifonov è in carriera internazionale dal 2010, dapprima premiato al Concorso “Chopin” di Varsavia, poi trionfante al “Rubinstein” di Tel Aviv e al “Čajkovskij” di Mosca appena l’anno dopo. Quivi suonando il Mephisto-Walzer di Liszt a mo’ di preludietto, la terza Sonata di Prokof’ev come interludio e poi tanto Chopin da abbracciare gli Studi op. 25, la Barcarola op. 60 e appunto il primo Concerto. Dimenticanza: anche il Primo di Čajkovskij! Ecco perché lo hanno festeggiato due colleghi come Martha Argerich e Krystian Zimerman, e perché la Deutsche Grammophon l’ha ingaggiato in esclusiva. E Pollini, il pianista che prosciuga e quintessenzia Chopin, che dirà di uno Chopin così liquido ed eloquente? Democraticamente benissimo. Chopin, Barber, Grieg, Mompou, Schumann, Čajkovskij

Daniil Trifonov, Mahler Chamber Orchestra, Mikhail Pletnëv (2 cd, DG 2017) Chopin Evocations



Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278

Editore

Fabrizio Festa

Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso, Cristina Fossati, Camilla Marchioni, Riccardo Puglisi, Alessandra Scardovi

In redazione

Francesco Corasaniti, Nicolò Corsini, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Piero Mioli, Giordano Montecchi, Arianna Morganti, Elena Petrushanskaya, Chiara Sirk, Mariano Vella

Hanno collaborato

Kore Edizioni - Bologna

Grafica e impaginazione

Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Stampa

Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: ALFASIGMA, BANCA DI BOLOGNA, BANCA MEDIOLANUM, BPER BANCA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, CENTRO AGRO-ALIMENTARE DI BOLOGNA, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, CONFINDUSTRIA EMILIA, COOP ALLEANZA 3.0, EMIL BANCA, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GALLERIA D’ARTE MAGGIORE G.A.M., GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, PALAZZO DI VARIGNANA, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI BOLOGNA

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