LUXURY MAGAZINE Periodico Trimestrale N° 17 - EURO 9,50
RAPHAEL GUALAZZI Quando la musica è stile
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w w w . m y l i f e s t y l e . i t
sommario CARLO PIGNATELLI 40 anni di stile e buon gusto made in italy
carlo pignatelli top manager
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musica
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raphael gualazzi stile unico, tra tradizione e sperimentazione
luxury
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one hyde park l’indirizzo più esclusivo al mondo
luxury
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isole greche...in vendita la corsa all’acquisto degli isolotti ellenici
economia top selection
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l’ossimorica priorità di bpp vicinanza al cliente ed intercanalità
fashion top selection
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roberto margiotta l’hair expert estimatore della “sustainable beauty”
design top selection
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idealuce...non solo “luce” sperimentazione, emozione e percezione
sport
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un cavallo per amico la passione ed il lusso per una disciplina elitaria
alta cucina top restaurant
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gourmet tour: emilia romagna i ristoranti di alta cucina alla prova degli esperti di passionegourmet.it
travel
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parigi...val bene una messa
photographer
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davide cerati
top car
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lamborghini veneno roadster
automobili speciale suv
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un nuovo suv per la “stella” nuova “classe gla”: innovativa e dinamica
automobili speciale suv
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bmw i3
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Top MANAGER
C A R LO P IGNATELLI 40 anni di stile e buon gusto made in italy Se lo sposo italiano avesse un nome, sarebbe certamente Carlo. Pignatelli. Ben oltre il marchio di fabbrica, che resiste controcorrente ai capricci delle mode, una visione del mondo. Racchiusa nel cuore sartoriale degli abiti da cerimonia, fiore all’occhiello della produzione di questo stilista ‘per caso’. E sognatore per vocazione. 40 anni di carriera hanno permesso al sogno di un sarto brindisino, partito da un treno ai margini della provincia salentina, di diventare realtà proiettandosi sulla scena internazionale. Ed il viaggio di Carlo Pignatelli verso l’affermazione del più autentico ‘made in Italy’, non è neppure così scontato. Il suo percorso umano e professionale, infatti, racchiude l’unicità di chi è stato capace di mischiare tradizione e modernità. Con un occhio rivolto alla più classica delle cerimonie nazionali, il matrimonio, e l’altro ben puntato sulle ultime tendenze in fatto di moda, dettate ed indossate da celebrities e football stars. Le virate rispetto al percorso tracciato in origine, che tanta fortuna e fama ha regalato allo stilista, non sono mai mancate. Tant’è che il suo celebre “sposo”, nel corso del tempo, è divenuto anche una sposa. E poi un paggetto. Così, oggi, il modello ideale dello stilista potrebbe essere l’ospite di una serata esclusiva. O il calciatore della nazionale italiana. Non a caso il marchio “Carlo Pignatelli”, nel 2013, è un cappello che si posa su un ampio assortimento di creazioni e collezioni: dagli accessori alle scarpe, dall’underwear alle cravatte, fino alle home collection e gli abiti giusti per il wedding day. Campeggia tanto sulle passerelle della “Milano fashion week”, quanto sui campi da calcio nazionali. Lui la definisce “una naturale evoluzione” dello stile e della ricerca. Forse perché ciò che tiene accesa la fiamma della creatività è, da sempre, la curiosità per il mondo. Una curiosità che sembra parecchio lontana dal volersi sopire.
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carlo pignatelli
40 anni di onorata carriera, un contributo importante al rafforzamento del ‘made in Italy’ nel mondo. Com’è nata la sua passione per la moda? Eredità famigliare, culturale o semplice coincidenza? «Mi fa piacere sentirmi dire che il mio lavoro e la mia passione contribuiscono al rafforzamento del made in Italy nel mondo. In realtà questo lavoro è nato dall’esigenza dei miei genitori di non farmi stare per strada il pomeriggio da ragazzino, così mi avevano mandato in sartoria; una passione lo è diventata dopo. Dunque possiamo dire che è stata una coincidenza». Se dovesse riassumere il suo percorso professionale, con quale aneddoto lo racconterebbe? «Ricordo particolarmente bene due aspetti del mio percorso: il primo è il sacrificio di prendere ogni giorno il treno dal mio paese, Latiano, sino a Brindisi, per poter lavorare in sartoria, di quando nel tragitto mangiavo velocemente per poi cucire per conto mio qualche pantalone per i miei primi clienti; il secondo è il passaggio da una sartoria all’altra quando arrivai a Torino nel ’68, per propormi come sarto». Lei è riuscito ad operare una ‘rivoluzione’ stilistica in un settore fortemente tradizionale. A quale forma artistica, oltre al design, si è maggiormente ispirato? «Più che una forma d’arte o di design, ciò che mi ha fortemente ispirato è stato vedere la gioia negli occhi delle persone il giorno del loro matrimonio, così ho pensato che arricchire questo giorno tradizionale di abiti protagonisti indossati dagli sposi, potesse
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Top MANAGER
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carlo pignatelli
creare ulteriormente enfasi in quel giorno, da renderlo ulteriormente indimenticabile». La formula del successo (sartoria, innovazione, creatività) è rimasta immutata nel tempo? Cosa ha aggiunto la modernità? «Gli abiti che creo hanno tutti una struttura sartoriale, godono della mia creatività, associata all’ innovazione in termini di tessuti; questi sono sempre stati gli ingredienti di sempre e sempre lo saranno. La modernità è lo studio che ogni stagione apportiamo alla collezione, grazie alle ricerche di mercato che svolgiamo per essere al passo con i tempi». E cosa resta del cuore sartoriale, fiore all’occhiello dei suoi esordi, nella produzione attuale? «La struttura dell’abito sicuramente, ma quello che ci tengo a precisare e riportare su i miei capi sono i dettagli di un capo, come le asole cucite a mano, la forma della spalla, l’attaccatura delle tasche». Crede che l’arte italiana dell’Alta Moda rischi di essere inghiottita dalla velocità dei processi industriali? «Questo purtroppo è già accaduto; oggi quello che si sta verificando è nuovamente il fenomeno della ricercatezza della qualità, dei dettagli, del servizio, caratteristiche ormai sfumate dalla velocità della produzione, spesso non made in Italy». A suo parere, il convenzionale ‘buongusto’ italiano è ancora la chiave di volta del successo internazionale? O è necessario giocare nuove carte per resistere nella competizione? «Il ‘ buon gusto’ italiano è indiscutibile, tutto il mondo ci apprezza per questo fattore facente parte del made in Italy. Francesi, inglesi, tedeschi, americani, arabi, tutti i popoli vengono affascinati dallo stile italiano; gli stilisti stranieri prendono spunto da noi, non a caso vengono a Milano per presentare le loro collezioni, per competere con le firme locali». Quando si arriva in vetta, il rischio contraffazione più che un sintomo di successo, diventa un’aggressione vera e propria. Come difendersi? «Paradossalmente la contraffazione è sinonimo di successo, è anche vero però che in qualche modo influisce, se pur in minima parte, il mercato; perché con i tempi che corrono, qualche cliente cade vittima del capo contraffatto invece di quello autentico. Vorrei aggiungere il verificarsi di un altro fenomeno, quello dell’essere copiati integralmente da chi propone linee da cerimonia, mostrando così poca creatività». Nel corso degli anni, non ha perso il gusto di realizzare abiti su misura, confezionati per grandi nomi del mondo dello spettacolo e dello sport. In queste occasioni, a quali aspetti della personalità dei suoi clienti guarda con più interesse? «Si, nel corso della mia carriera ho vestito tanti personaggi e la curiosità più interessante è ascoltare le esigenze di ognuno a seconda della propria personalità. Quando scegliamo i look partiamo
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Top MANAGER
proprio dalla personalità, cercando di trovare un equilibrio tra quest’ultima e lo stile della collezione. Per me è un piacere ascoltare apprezzamenti sul mio stile da chi ha una forte personalità ed un gusto tutto suo che difficilmente opta per capi differenti». Il binomio sartoria e sport è stata una scelta spiazzante, rispetto al suo eterno sodalizio con gli abiti da cerimonia. Cosa l’ha spinta a cambiare strada? «In realtà non è stato un cambiamento di strada ma un’evoluzione, allargando le nostre operazioni comunicative anche allo sport creando le divise ufficiali dei club, portando l’eleganza e la sartorialità anche in quel mondo oltre al mondo della cerimonia». I suoi abiti maschili le hanno regalato la celebrità. Ma lei chi preferisce davvero vestire? Uomo, donna o bambino? «La maggior parte del nostro fatturato è rappresentato dai capi da uomo, ma l’aspetto che ci appaga di più è la richiesta di capi donna, così come il bambino che cresce sempre più, in Italia ed all’estero». Apra il suo cassetto dei sogni, che immaginiamo ancora socchiuso. Cosa le piacerebbe fare da ‘grande’? «Sinceramente sono stato educato al sacrificio e alla dedizione per il lavoro, perciò i miei sogni sono le soddisfazioni che ho avuto e che continuo ad avere dal mio lavoro, condividendo con amici e parenti vacanze e festività tutti assieme. Oggi secondo me i sogni non bisogna attribuirli alle cose materiali ma bensì agli affetti, cosa ben più grossa che neanche la persona più abbiente potrebbe acquistare».
carlo pignatelli
RAPHAEL GUAL A ZZI
STILE UNICO, TRA TRADIZIONE E SPERIMENTAZIONE La tecnica ragtime dei primi anni del ‘900 e la liricità del blues, del soul e del jazz nella sua forma più tradizionale: basta poco più di una riga per descrivere la complessità, la ricercatezza, lo stile di Raphael Gualazzi, delizioso musicista e energico cantante italiano, con grandissima esperienza internazionale che ha influenzato tutta la sua musica. Le sonorità tipiche del pre-jazz e dello stride piano di Scott Joplin, Jelly Roll Morton, Fats Waller, Art Tatum e Mary Lou Williams, e il blues di Ray Charles e Roosevelt Sykes vengono rese moderne da uno stile personalissimo, dove la tradizione convive con le influenze più innovative di artisti eclettici come Jamiroquai e Ben Harper. Figlio d’arte - il padre è Velio Gualazzi, fondatore con Ivan Graziani degli Anonima Sound - raggiunge l’effettiva consacrazione nel 2008, quando la sua reinterpretazione di “Georgia on my mind” entra a far parte della compilation “Piano Jazz” accanto a nomi come Nora Jones, Diana Krall, Duke Allington e Ray Charles. Il passo alla pubblicazione del primo EP digitale “Raphael Gualazzi” (2010) è breve e la conquista dei primi posti della classifica di iTunes immediata. Da lì una carriera in continua ascesa, che passa anche attraverso i trionfi sanremesi.
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musica
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musica
Dalla sua biografia, si scopre che la musica è sempre stata nella sua vita. Prima ancora che lei nascesse, negli anni ’60, suo padre Velio, insieme a Ivan Graziani e Walter Monacchi, fondò gli Anonima Sound, incidendo con la CBS 45 giri di successo. C’è una canzone della sua infanzia cui si sente particolarmente legato? «Ce ne sono tante ma non saprei indicarne una in particolare». Immaginiamo, poi, che il periodo dell’adolescenza le abbia fatto conoscere nuovi interpreti e stili. Quali erano i suoi miti musicali da ragazzo? «Led Zeppelin, Queen, Chopin, Scriabin, DizzieGillespie, DjangoReinhardt e tanti altri». Cosa sogna, invece, un ragazzo di trentadue anni all’apice del proprio successo? A chi le piacerebbe somigliare ora? «Non mi sento di essere all’apice e credo che la conoscenza dell’esperienza musicale sia un percorso infinito. Quindi si riparte ogni giorno dall’inizio e non c’è un punto d’arrivo. Non mi sforzo di somigliare a nessuno ma mi diverto con quello che mi piace».
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musica
Raphael Gualazzi è ormai una stella affermata del firmamento musicale europeo, eppure in televisione e nelle interviste sembra ancora un ragazzo un po’ timido e schivo. Com’è realmente Raphael? Cosa pensano i suoi migliori amici di lei? «Non sono una persona timida. In realtà il mio atteggiamento di fronte agli schermi vuole essere rispettoso. Quindi solitamente aspetto educatamente che il mio interlocutore finisca la sua domanda o me ne faccia una ma probabilmente la frenesia del mezzo televisivo trasforma la mia educazione in timidezza. Non so descrivermi e non è una mia competenza, ma se devo farlo posso dire di essere un amante delle vita e mi sento fortemente legato alle mie radici». Qual è la strofa di una sua canzone che più la rappresenta? «Day by day, Night by Night...». Qual è il pezzo musicale che avrebbe voluto scrivere e che invece ha scritto qualcun altro prima di lei? Quello che le sarebbe piaciuto suonare come inedito in uno dei suoi concerti? «Credo che la musica appartenga a tutti su diversi livelli, c’è chi la scrive, chi la arrangia, chi la interpreta, chi la suona, chi la improvvisa. Quindi la risposta a questa domanda è molto difficile». Il nome di Gualazzi ha travalicato i confini nazionali prima di essere conosciuto nel nostro paese. Dove si sente più a suo agio, e perché? «Amo ogni singolo luogo dove fino ad ora ho avuto il piacere di suonare per le sue particolari tradizioni, ma un posto speciale nel mio cuore lo ha la mia città natale che ancora frequento di tanto in tanto. Sto parlando di Urbino». Come
è
vista
la
nostra
produzione
musicale
all’estero? Come sono considerati gli artisti italiani in Europa? «Per quella che è la mia personale percezione ed esperienza, mi sembra che le nostre produzioni hanno avuto successo anche in paesi stranieri. Credo che gli italiani siano dotati di uno spirito particolarmente creativo che nel campo musicale ha un bellissimo effetto e credo che questa caratteristica degli italiani sia percepita anche all’estero». Nonostante in TV i reality abbiano subìto un notevole calo degli ascolti, i talent show sembrano essere diventati l’unica strada per affermarsi in ambito
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musicale. È veramente così, o si può ancora fare musica senza “passare” dalla televisione? «Ci sono tanti differenti percorsi che si possono intraprendere per seguire le proprie passioni ma la cosa più importante è appunto la passione, perché questa ti consente di costruire giorno per giorno la Tua musica». Quanto è cambiata la sua musica da “Love outside the Window” fino alla sua ultima fatica, “Happy Mistake”? Cosa bolle di nuovo nella sua pentola? «La mia musica, che non è fatica ma piacere, ha esplorato diversi sound partendo da una matrice rag time/stride piano. Ho sempre sostenuto che tutti i generi musicali sono affascinanti per me e spero che le mie produzioni rimangano sempre aperte alla sperimentazione di nuovi sound, a nuove collaborazioni e conoscenze. Il prossimo album dovrebbe uscire nel 2014». Prossimi impegni? «Date in Europa da ora fino alla fine dell’anno (disponibili sul mio sito), release in Germania e Austria di happy mistake e collaborazioni speciali di cui vi aggiorneremo presto!».
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musica
luxury
L’indirizzo più esclusivo del mondo? A Londra, naturalmente. Nel cuore della Capitale britannica, storico quartiere di Knightsbridge con affaccio sul polmone verde del parco reale, a due passi dal megastore di Harrods. Per assaporare un’esperienza di vita quotidiana al limite del privilegio, concesso a pochi (pochissimi) fortunati, è bastato aggiudicarsi l’acquisto di un appartamento nel lussuoso residence “One Hyde Park”. Il più caro al mondo. Inaugurato nel 2011, è stato preso immediatamente d’assalto da top manager e celebrità del jet set. Tutti gli appartamenti, negli ultimi due anni, sono stati infatti riservati ad un ristretto parterre di personalità provenienti da Medio Oriente, Africa, Russia ed India: i primi a non farsi sfuggire un residence da “world’s record”. E non solo nel prezzo. Il design porta una firma importante: quella di Roger Stirk Harbour & Partners, uno dei più celebri studi d’architettura su scala mondiale che ha voluto puntare alla perfezione. Da ogni punto di vista, fondendo insieme gli ideali assoluti di bellezza, ricercatezza, stile, innovazione, confort estremo. Nel dettaglio, l’edificio è stato immaginato su quattro padiglioni, per creare il massimo effetto di luce naturale che s’irradia, senza differenze, all’interno di tutti gli appartamenti. La disposizione angolare dell’architettura assicura una vista mozzafiato da ogni interno, senza scendere a patti con la privacy e la sicurezza della propria dimora.
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L’INDIRIZZO più esclusivO al mondo
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Gli appartamenti di One Hyde Park e l’hotel Mandarin Oriental
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luxury
Al contrario, in fase di progettazione si è tenuto conto della necessità di mantenere un altissimo livello di guardia su ogni ingresso. All’interno esiste un’area riservata cui i residenti possono accedere solo per mezzo di ascensori di vetro: gli ospiti sono ammessi a condividere questo privilegio, accompagnati dal personale del vicino hotel “Mandarin Oriental”. L’intero complesso residenziale è dotato, neanche a dirlo, dei più sofisticati sistemi di sicurezza: il circuito di video sorveglianza interna ed esterna che collega ogni singolo appartamento con la portineria; il controllo di accesso dei veicoli e la verifica degli ingressi; la scansione delle mail ed il riservatissimo sistema Cctv. “One Hyde Park ha modificato la percezione di ciò che si può definire il lusso estremo”. E se lo dice Nick Candy, Ceo di Candy & Candy, ci si può fidare. Lo studio britannico si è assicurato uno dei lavori più prestigiosi: la cura degli interni e la progettazione degli spazi comuni, inclusa la Spa, le strutture ricreative, la grande reception costruita su due livelli, la libreria e la suite “Serpentine”. Candy & Candy ha scelto di utilizzare una tavolozza di colori e forme piuttosto basica: o totalmente chiara e luminosa, oppure giocata sui toni scuri, al fine di trovare la perfetta intesa con lo stile unico dell’acquirente. La personalità dell’inquilino deve infatti combinarsi con la ‘testa’ dei designer, trovando una completa espressione nei suggerimenti e nella creazione artistica dello staff. Il team di Candy & Candy è stato selezionato per dar vita, anima e corpo ad ogni tipo di aspirazione e desiderio personale. A James Turrell, un artista visionario ‘della luce’ tra i migliori del ventunesimo secolo, è stato affidato l’incarico di realizzare installazioni originali per illuminare gli spazi esterni del residence. Arredandoli, a suo modo, attraverso l’uso creativo della luce naturale: in questo modo Turrell è riuscito a creare punti di vista alternativi sul giorno e la notte, arricchendo di poesia l’intera impalcatura del design. Il
risultato
finale
del
complesso
residenziale,
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davvero avanguardistico, è quindi il frutto di un’ambiziosa joint venture tra architetti, designer, artisti e professionisti del settore alberghiero. Non a caso, “One Hyde Park” è stata immediatamente considerata una novità di rilievo nel panorama architettonico contemporaneo. Capace di stupire con colpi di scena ed invenzioni che non t’aspetti. Come il tunnel sotterraneo che collega gli appartamenti all’ingresso dell’hotel a cinque stelle “Mandarin Oriental”. Per potersi servire, all’occorrenza, del suo staff dedicato, composto da 60 persone disponibili 24 ore al giorno. Il noto brand alberghiero è chiaramente il vicino di casa ideale. Considerato che, nel suo portafogli d’affari, spunta un biglietto da visita di tutto rispetto: la proprietà di una rete capillare di strutture ricettive ultralusso che raggiunge 4 continenti (Asia, Africa, Europa e America) con prossima apertura anche a Milano. Ma è la location, scelta come scenario per uno stile di vita ordinario ed esclusivo insieme, la vera punta di diamante del progetto. Il glorioso romanticismo di Hyde Park e la sua tranquillità lo rendono, infatti, il cuore verde più bello della City, per quanto tra i meno famosi. Ed un vero baluardo della storia e della cultura inglese. Il parco è attraversato dal lago Serpentine mentre imponenti alberi secolari seguono il tracciato dei percorsi, costeggiando anche le aree più selvagge. Non meno rilevante, poi, è un accenno al quartiere che ospita gli appartamenti. Knightsbridge racchiude in sé tutta l’eleganza e le tradizioni della Londra antica. Rappresenta quasi l’incarnazione dello stile inglese Vittoriano, nella sua versione urbana. Allo stesso tempo il quartiere è in grado di fondere la modernità dello stile cosmopolita, e dettare legge in fatto di ultime tendenze in virtù delle sue strade, brulicanti d’insegne dei più prestigiosi brand mondiali. Intanto, una precisazione è d’obbligo: la firma sul contratto d’acquisto di uno degli 86 superattici del condominio ‘stellare’, con finiture (pietre e marmi) e tutti i confort del caso, non è impresa da poco. Per un bilocale occorreva una disponibilità finanziaria
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luxury
Gli appartamenti di One Hyde Park
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Info su ONE HYDE PARK: www.addressmilano.com - © Photo: ADDress, McLaren Automotive Limited e Mandarin Oriental
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non inferiore ai 7 milioni e mezzo di euro (pari a 6,5
immobiliare che ha gestito la commercializzazione
milioni di sterline). Mentre il prezzo di un appartamento
dell’esclusivo complesso/residenza.
full optional (per intenderci: cinema, piscina da 21
In Italia, la promozione di “One Hyde Park” è stata
metri, sauna, palestra, sala videogame e golf
curata, personalmente, e con la dovuta riservatezza,
simulator condominiali) raggiungeva tranquillamente i
da Eleonora Bertorelli, dapprima in veste di Director
170 milioni di euro. Il prezzo, da infarto, è giustificato
di Savills Residential Italy ed ora di AD della società
dalla ricercatezza dei dettagli.
ADDress di Milano, specializzata nella vendita di im-
Nulla lasciato al caso: dall’uso di pietre rare estratte
mobili di pregio.
in Turchia, Italia, Brasile, Cina ed Egitto, passando
A tutt’oggi, l’entusiasmo e la curiosità verso il miglior
per un tipo di cemento “brillante” al quarzo, il lusso
complesso residenziale del mondo, non sembrano
rimane il principale vero protagonista della trama.
destinati a calare. Anzi, la clientela internazionale,
“Il progetto ha avuto un enorme successo sin da suoi
ultra selezionata, rimane il fiore all’occhiello di questa
esordi”, ha commentato Ned Baring di Savills, agenzia
brillante operazione immobiliare.
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luxury
ISOLE GRECHE...in vendita la corsa all’acquisto degli isolotti ELLENICI Un pezzo di terra emerso dalle profondità marine. Poco più grande di un fazzoletto, o magari, steso lungo ettari ed ettari di rigogliosa vegetazione selvaggia, lambito dai flutti che creano le correnti, al riparo dai venti, baciato dal sole e cullato dal rumore di sottofondo dell’ecosistema naturale che si concentra lì. Proprio lì, in quell’area riservata, protetta dagli sguardi dell’uomo, e lontana dai processi di colonizzazione che accelerano la vita sulla terra ferma. Sui Continenti. Potrebbe essere questo lo scenario di un romanzo in cui il Robinson Crusoe di turno, naufrago a bordo di una zattera, trascorre un paio di decenni cercando di adattarsi e sopravvivere, faccia a faccia con la solitudine, alle trappole crete da un ambiente incontaminato. Prima di essere salvato e restituito alla civiltà di tutti i giorni. O potrebbe essere questo, invece, il punto di inizio della civiltà stessa. In una forma inedita ed esclusiva, riservata a pochi fortunati, che molto ha a che vedere con il concetto di “vacanza perfetta” e altrettanto con il senso degli affari. L’isolotto che, per sommi capi, siamo in grado di immaginare (e che dimora in una parte nascosta dei sogni), naturalmente esiste. Ne esistono a migliaia disseminati tra tutti gli oceani, i mari e persino i laghi del pianeta Terra. Ma solo alcuni di questi sono, attualmente, in vendita. Vuoi per le maglie strette delle legislazioni sovrane (Cina ed Asia sono off-limits, Indonesia e Malesia indicate come il paradiso di domani), vuoi per-
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ché il mercato sta risalendo la sua parabola ascendente solo ora. Complice l’implosione economica della Grecia, la corsa all’acquisto degli isolotti dello Ionio, annunciata due anni addietro dal governo ellenico, è davvero cominciata. L’ultima asta per la piccola Spalathronisi è datata 10 settembre. L’isola, impreziosita da due belle spiagge, posta di fronte alla Calcidica a poche centinaia di metri da Neo Marmara, parte da una base di 10 milioni di euro. E della vendita si occuperà Stavros Myronidis, proprietario della casa d’aste Myro Antiques, che rassicura gli interessati anche sullo snellimento del disbrigo delle pratiche burocratiche. Nel cuore del Mediterraneo, teatro di memorabili guerre navali, ora è la compravendita delle isole a battere bandiera greca. Per restare a galla durante la tempesta che ha travolto i conti pubblici, la soluzione di vendere i “gioielli di famiglia” ha fatto la fortuna di molti proprietari terrieri. Nelle intenzioni iniziali del
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direttore dell’ente ellenico per la privatizzazione (Taiped), infatti, la soluzione per uscire dall’empasse del debito contratto con il Fondo Monetario Internazionale era in un singolare elenco: 40 isole ed isolotti disabitati, da concedere in affitto a privati ed imprese. E per un periodo che oscilla tra i trenta e i cinquant’anni. Così, ora, l’acquisto di un piccolo paradiso nell’arcipelago delle Echinadi non è più un’utopia. A patto di disporre di una cifra superiore al milione e mezzo di euro. Senza false illusioni però: il prezzo più basso, così come si evince dal sito specializzato www.privateislandsonline.com, è valido per alcune perle come Modi Islands (ad ovest della Grecia) o St. Athanasios. Le altre isole dell’arcipelago, che deve il suo nome al riccio di mare (echinus) per via della sua costa frastagliata, e altrettanto noto per essere stato lo sfondo della battaglia di Lepanto del 1571, non sono propriamente a portata di tasca.
© VLADI PRIVATE ISLAND - www.vladi-private-islands.de
Così come nel resto della Grecia il tariffario oscilla dai quasi due milioni di dollari
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per Agios, Athanasios ed Itea, fino agli otto necessari per aggiudicarsi Sikinos Kardiotissa. Certo, l’interesse per le isole “appuntite” non nasce dal nulla, ma dal volano lanciato dell’emiro del Qatar, Khalifa Al Thani, che innanzitutto si è aggiudicato l’acquisto della piccola isola di faggio. Lo sceicco arabo si è fatto soffiare da sotto al naso, però, il pezzo grosso della collezione: la famosissima isola di Skorpios che la proprietaria, Athina Onassis, nipote di Aristotele, avrebbe preferito cedere al magnate russo Dmitrij Rybolovlev. Questione di prezzo: cento milioni di euro (qualcuno insinua persino il doppio) erano il minimo sindacale per il regalo che il padrone del Monaco Football Club ha voluto fare alla fortunata figlia. L’emiro Al Thani, proprietario tra le altre cose del Paris Saint-Germain e dei magazzini Harrods di Londra, pare che abbia voluto rifarsi: otto milioni di euro sarebbero bastati per divenire il legittimo proprietario di sei isole tra Itaca e la
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luxury
terraferma, tra cui Oxia, verde ed incontaminata. E sembra del tutto confermata anche la sua intenzione di costruirvi case faraoniche, con bagni da 250 metri quadrati. Nell’arcipelago greco delle Ioniche, invece, 2.662 ettari dell’isola di Meganisi, mezza isola praticamente, sono stati venduti a uno dei maggiori banchieri americani. Lord Rothschild ha fiutato il business immobiliare e le ruspe sono al lavoro per costruire 14 ville extra lusso, complete di piscina ad eliporto, da rivendere a 27 milioni l’una ad attori e magnati. Già circolano i loro nomi: il principe Carlo, l’attrice Nicole Kidman e il magnate russo Roman Abramovich. Compresi i grossi investitori cinesi, che non mancano mai, attratti come api dall’estrazione del petrolio, non rimane forse moltissimo. Le possibilità d’investimento fanno gola ai più grandi magnati immobiliari: dalla costruzione di complessi turistici, residence e persino villaggi stile “Club
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Med”, è l’onda lunga del turismo quella che merita di essere sfruttata in pieno. Il turismo di massa sta infatti lasciando ampi margini di spazio ai soggiorni di nicchia. Secondo l’associazione delle imprese del settore greche (Sete), infatti, fra giugno e luglio la percentuale di turisti sauditi è aumentata del 18% rispetto al 2012. Britannici e russi sono anche loro in crescita: +15% e +14% rispettivamente. E una delle maggiori agenzie immobiliari del Regno Unito, Knight Frank, ha comunicato di avere sempre più richieste per la ricerca di soluzioni in Grecia. Per tentare il business non resta che affidarsi, quindi, ai siti specializzati (come www.vladi-private-islands.de) che offrono anche prezzi vantaggiosi, quasi low cost, rintracciabili sfogliando i depliant di questi piccoli paradisi in terra. Gli scatti fotografici che correlano gli annunci immobiliari garantiscono un sogno ad occhi aperti: un colpo d’occhio paesaggistico del mare cristallino e del cielo che riflette ogni sfumatura possibile di blu, affiancato da utili indicazioni burocratiche sulle autorizzazioni paesaggistiche ed i vincoli nazionali posti per l’edificazione.
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Top Selection
l’ossimorica priorita à di Bpp VICINANZA AL CLIENTE ED INTERCANALITà Una banca legata al territorio e vicina al cliente, che si adegua alle esigenze della modernità e apre a nuove opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche e dal mondo digitale. In questa condizione, quasi ossimorica,
di “tecnologica vicinanza”, si sviluppa tutto il nuovo indirizzo
commerciale della Banca Popolare Pugliese, che, pur mantenendo la sua filosofia di base e pur facendo del rapporto fiduciario col cliente la sua prerogativa, sta realizzando una nuova ed innovativa capacità distributiva, caratterizzata dalla multicanalità, nuovi servizi e nuove professionalità, spesso lontani dalla logica dello “sportello”. Ne parliamo con Luigi Arigliano, a capo della Direzione commerciale di BBP. Direttore, è un periodo di grandi trasformazioni, tecnologiche, finanziarie, relazionali, sociali. Cosa sta cambiando nel mondo bancario? «Il mondo bancario, così come tantissimi altri settori, si sta adeguando ai cambiamenti sociali. La mancanza di tempo utile nell’arco della giornata, l’ impossibilità di recarsi allo sportello bancario e la straordinaria capacità che le nuove generazioni hanno di gestire e controllare le nuove tecnologie, stanno portando gli istituiti bancari a chiedersi se l’attuale standard qualitativo della distribuzione è coerente con le aspettative e le esigenze della clientela». Qual è la risposta? «La risposta è molto semplice. In un mondo che si è profondamante modificato negli ultimi anni, il futuro degli istituti bancari, pur non potendo e non volendo rinunciare al contatto diretto col cliente che viene garantito dalla relazione che si stabilisce in filiale allo sportello, deve poter prevedere altre forme di contatto, anche digitale, ma non per questo meno fecondo sul piano del rapporto e dello scambio reciproco. Per questo motivo, anche la nostra banca si sta aprendo a nuove forme di servizio». Può farci qualche esempio pratico? «Innanzitutto stiamo lavorando per la specializzazione delle professionalità coinvolte nel ramo della consulenza, i cosidetti “agenti in attività finanziaria”, che nel concreto si occupano di finanziamenti a privati ed imprese, ma rappresentano i nuovi punti di riferimento per una clientela sempre più “mobile”. Queste figure consentono una certa “elasticità” rispetto ai tempi e alle modalità dello sportello bancario, ma allo stesso tempo continuano a garantire il contatto diretto con il cliente: il consulente, infatti, è sempre disponibile ad ascoltare, a confrontarsi con l’utenza, scegliere insieme le soluzioni più adeguate e più convenienti. La nostra banca ha oggi un numero molto alto di consulenti, non solo in Puglia, ma anche in Campania, Sicilia, Lazio, e perfino altre zone tradizionalmente non presidiate. Senza dimenticare poi, i servizi telematici e telefonici, che rispondono ad altri tipi di esigenze e di domande, in questo caso soprattutto d’accesso e fruibilità ai servizi bancari di base, abbattendo, di fatto molte barriere spazio/temporali».
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economia I clienti “giovani”, poi, richiedono sicuramente servizi mirati, più vicini alle loro abitudini. Vero? «Non c’ è dubbio. Stiamo parlando di una fascia di pubblico altamente specializzata e conscia delle proprie possibilità. Sono i cosiddetti “nativi digitali”, proprio per quella loro propensione e vicinanza all’utilizzo delle nuove tecnologie. Per loro, e per quanti sono avvezzi all’uso dello strumento tecnologico, sono previsti in BPP una serie di servizi di digital banking. Con “Digiweb”, ad esempio, è possibile operare ed avere informazioni sul proprio conto tramite rete e, nel caso in cui non si possedesse un computer, è possibile operare via telefono con “Digicall”. Con “Digiborsa”, poi, si può operare per la compravendita di titoli ed avere informazioni. A questi servizi sono legati, poi, una serie di facilitazioni, quali ad esempio, il servizio “Digimessage”, con il quale è possibile ricevere tutte le info sulla movimentazione del conto». E lo sportello in filiale, che futuro ha? «Per quanto sopra detto, il servizio bancario tout court evolve verso una sorta di scissione quasi dicotomica. Da un lato la fruibilità dei servizi deve essere adeguata alle moderne tecnologie ed essere, rapida, precisa, facilmente utilizzabile, fuori dai già citati limiti spazio temporali e, in aggiunta, anche più economica rispetto al recente passato, perché non più vincolata al servizio in filiale, ma accessibile per via telematica. D’altro canto, non verrà mai meno, da parte della clientela, l’esigenza di chiedere consulenza, finanziaria in tutte le
Il dr. LUIGI ARIGLIANO, Direttore Commerciale di Banca Popolare Pugliese
sue sfaccettature ma anche sui sistemi di pagamento e sul mondo assicurativo, e ciò comporta una presenza
è destinato a diventare il metronomo della distribuzione,
qualificata delle reti d’agenti e dello sportello bancario
lo snodo capace di orchestrare l’attività delle reti
che, non solo rimarrà fisicamente sul territorio ma
distributive e le esigenze dei clienti che troveranno
accrescerà la sua importanza, in quanto luogo di
assistenza ed indirizzo. Attraverso una attenta analisi
consulenza e di fidelizzazione qualitativa per la clientela.
della clientela e dei suoi bisogni è possibile valutare il
Noi, non abbandoneremo mai il servizio allo sportello,
grado di soddisfazione, riuscendo a porre il focus sui
proprio perché BPP nasce come banca del territorio e
punti di forza e soprattutto su quelli di debolezza che
con il territorio deve poter avere un contatto continuo e
occorre potenziare. In questo senso, il customer care
qualificato, diciamo “amicale”. Ciò che certamente nel
diventa la cartina di tornasole del servizio aziendale.
breve/medio periodo accadrà, sarà la metamorfosi pro-
Solo con questa strategia, attraverso un continuo
gressiva dello sportello, da erogatore di servizi a centro
scambio di informazioni con il proprio mercato, è
di relazione e consulenza. Per queste ragioni, le filiali si
possibile individuare i servizi che vanno migliorati e quelli
stanno trasformando, assumendo un aspetto nuovo e
che non sono contemplati nella nostra offerta, e che
più dinamico. Accanto ai classici sportelli (che magari
invece vengono richiesti dal cliente».
diminuiscono di numero ma mantengono il loro standard
Qual è la strategia per rispondere a queste richieste?
qualitativi) vengono allestiti nuovi spazi e garantite
«La nostra strategia consiste nella messa a regime di
nuove forme di intervento. Tutti questi servizi mirati
un circolo virtuoso che parte dalla conoscenza della
sono la dimostrazione di quanto la banca sia atten-
clientela, passa dall’analisi e dallo studio delle nuove
ta a definire nel migliore dei modi il profilo di ogni cliente».
opportunità, arriva all’offerta vera e propria in estrema
Immaginiamo che, in questa ottica, il “customer care”
velocità, per chiudersi con una valutazione ex post
abbia un ruolo di primo piano…
per tornare a sentire la clientela e valutare il grado di
«Parafrasando il linguaggio musicale, il customer care
soddisfazione. Solo seguendo con attenzione tutti questi
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Top Selection
passaggi, è possibile garantire un servizio di ottimo
ect…) ma vanno considerati nuovi profili, all’ interno del
livello, che rispetti le priorità dell’azienda, ma soprattutto
medesimo segmento, che sono diversi a secondo del
quelle del cliente. Il concetto di qualità è un concetto
grado di esperienza del cliente e della sua capacità
estremamente mobile: nessuna soluzione di servizio
d’accesso ai servizi. Ai nuovi consumatori digitali, ad
o di prodotto è “ buona per sempre”, d’altra parte il
esempio, proporremmo nuovi servizi della multicanalità
principio base della qualità totale recita che l’ indice di
che rispondano al meglio alle loro aspettative e
miglioramento di qualunque processo aumenta se si ha
esigenze. Anzi, a questo proposito, vorrei dire che
la capacità di mettere in discussione le cose ritenute
l’espressione multicanalità è per certi versi superata,
ovvie. Basta pochissimo, come saltare uno di questi step,
riconducibile al tempo in cui si ricercavano nuove
oppure seguirli senza l’accuratezza che meritano, perché
esperienze distributive. Questo know how, per quanto
questo circolo “virtuoso” si trasformi automaticamente in
in costante evoluzione, oggi è acquisito e diventa
un circolo “vizioso”, controproducente per il cliente e
d’attualità il concetto di intercanalità, vale a dire la
vero e proprio boomerang per l’azienda».
possibilità data al nostro cliente di accedere ai servizi
In questo circolo virtuoso, il cliente che ruolo ha?
ed alla consulenza, da più porte, secondo la sua
«Nel mondo moderno, globalizzato e fruibile, il cliente non
personale esperienza o la sua migliore comodità,
può che essere protagonista. Egli va considerato oggi
insomma secondo il suo personale profilo. In una
secondo nuovi canoni: non può più essere classificato
prima fase, ogni canale distributivo aveva i suoi clienti,
secondo i vecchi macrosegmenti (famiglia, impresa,
con un percorso che si voleva specialistico, oggi tutti i clienti sono clienti di tutti i canali, ugualmente visibili da qualunque porta d’accesso. Per capirci, prima i canali distributivi erano strutture verticali, relativamente fini a se stesse, oggi sono comprese in un’unica orizzontalità fondata sull’univocità del data base informatico e relazionale o CRM (customer relationship management). Ecco, qui ritorna più chiaramente il ruolo del customer care, primo punto d’accesso a tutte le reti e servizi della banca. La tracciatura dello stile d’acquisto migliora la qualità di ogni profilo e consente a noi di possedere un base di informazioni che, potenzialmente, personalizza il rapporto con ogni cliente». Un grande sviluppo tecnologico, insomma? «No! La tecnologia nel suo insieme è uno strumento che si può acquisire con relativa facilità e non farebbe la differenza se fosse usata fine a se stessa. Quello che cambia nello scenario generale dei servizi è la centralità del cliente che, specialmente nel settore bancario, dopo tanti proclami ed innovazione degli ultimi trent’anni, finalmente si avvicina a realizzare l’obiettivo di sempre, cioè: “L’orientamento al cliente”. Vede, questo processo non è semplice, proprio perché non è affatto tecnologico, ma è strettamente legato alla cultura d’azienda, i cui cambiamenti sono molto più lunghi e complessi di qualunque sviluppo della tecnologia. Oggi, noi, siamo arrivati ad un diverso grado di maturità in questo senso e possiamo spingere progressivamente la tecnologia a realizzare il progetto culturale in gestazione da tempo. Naturalmente non tutti i competitor hanno la stessa lucidità e prontezza nell’affrontare questi temi, ma proprio su questo terreno si sta giocando la partita del futuro e noi già oggi possiamo auspicare di avere un grande futuro alle spalle».
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economia
PH: Oreste Ferriero
fashion
La bellezza femminile incanta, al pari di una cascata incorniciata da piante sempreverdi o di una successione di cime innevate che si riflette nel lago ghiacciato. Il paesaggio rappresenta spesso l’immagine mutata di ciò che era un tempo, prima che l’elemento antropico vi ponesse una barriera, una finestra attraverso la quale percepire le cose che ci circondano. Ma è la natura a custodire la reale portata rivoluzionaria di ciò che già esiste ed è in continuo movimento. Come i mille volti della bellezza che restituiscono ad una donna la semplicità immutata della natura, non studiata più attraverso vecchi codici ma ricercata in un vero e proprio ritorno alle origini. È un viaggio nel tempo della propria natura quello che propone Roberto Margiotta, fondatore di Hair I-mage, idea imprenditoriale che coniuga bellezza e creatività. Ovvero l’attitudine dell’artista a vedere minuziosamente quello che non esiste o che può apparire impossibile. A partire dall’atelier, oasi di pace studiata nei dettagli per stupire ed imprimere immagini ricreate di volta in volta. Per dare sfogo ad una ricerca continua della vera bellezza sostenibile, sustainable beauty, nocciolo della filosofia di Davines. Hair I-mage, infatti, è uno dei 276 multipace salon in Italia chiamati a rappresentare l’azienda e la sua idea di equilibrio tra sostanza e forma. Dove lo stile è una delicata convergenza di caratteristiche uniche ed è ispirato da semplicità, armonia e buon gusto, come nella tradizione rinascimentale italiana. Oggi Roberto Margiotta ha saputo aggregare intorno a sé un team che lavora per realizzare quell’idea personale e, allo stesso tempo, condivisa: preservare tutta la naturale bellezza di una donna cercando soltanto di esaltarne i particolari. Abbandonando costruzioni artificiali e contraffatte, poiché la narrazione della bellezza cambia e ritorna, dettando nuove regole e liberandosi di inutili ornamenti. Dalla tradizione allo street style fino ad arrivare all’armonia dell’eleganza pescata a piene mani dalla storia. Roberto, appena ventenne, ottiene già i suoi primi riconoscimenti, con l’apparizione al Teatro Sannazzaro di Napoli. È solo l’inizio di un’escalation di successi. Determinato a crescere, decide di specializzarsi nella tecnica del taglio. Per farlo si trasferisce a Londra e nel 2003 ottiene il Runner Up - Assistant Competition Tony&Guy. Il premio è l’ennesima conferma del suo stile, e lo afferma entrando a far parte del TONY&GUY TEAM. Lavora nel 2003 affiancandosi come SPECIAL GUEST OF STEPHEN JONES MILLINERRY nel prestigioso LONDON FASHION WEEK. Nonostante ciò, Roberto non perde mai di vista il suo obiettivo e, dopo tre anni di esperienza oltremanica, torna a Lecce e nel 2005 apre un salone tutto suo. Un luogo di ispirazione ideale dove è tempo di sviluppare una particolare tecnica di taglio estremamente leggera, potendo contare sulle professionalità di un team di alto livello. È il connubio perfetto tra la tecnica inglese, precisa e statica, e lo stile made in Italy, estroso e dinamico. La formazione non si ferma. Le sue competenze si arrichiscono grazie alla partecipazione al Top Make Over dell’Accademia L’Oreal a Milano, fino a raggiungere il punto di snodo, il percorso che lo avvicinerà all’autentica immagine della bellezza. Niente più banali colpi di sole, ma forme di schiaritura naturali e impalpabili. Essenza di quel fascino che poggia sulla grazia connaturata nella donna. L’incontro con il mondo Davines che unisce per la prima volta visione globale e individualità. Rispetto per un pianeta che ha bisogno di rigenerarsi e il concetto de “La bellezza che salverà il mondo” reso immortale. Una ricerca continua che ha condotto Roberto Margiotta alla vetta di una filosofia che è maturazione verso il massimo della semplicità autentica. Lo sforzo di ripetere l’incanto sconfinato della bellezza.
L’HAIR EXPERT ESTIMATORE DELLA “SUSTAINABLE BEAUTY”
ROBERTO MARGIOT TA 43
Nelle immagini: Officine Cantelmo (mediateca) - Lecce, Magistra Vini (bottaia) - Guagnano (Le) CB Bottazzo Cafè - Galatone Lecce, Meltin Pot - Munchen (D) www.idea-luce.it
[ SPERIMENTAZIONE, EMOZIONE E PERCEZIONE ] Sono queste - sperimentazione, emozione e percezione - le parole che ricorrono più spesso durante una lunga chiacchierata con Andrea Ingrosso, architetto per formazione e lighting designer per passione, da anni nel campo dell’illuminazione e che oggi, dopo una naturale evoluzione dell’azienda di famiglia, vive la luce come travolgente ed entusiasmante stimolo alla propria ricerca progettuale. Il direttore tecnico di IdeaLuce, spiega oggi ai nostri lettori come si evolve e si trasforma un progetto di illuminazione. Arch. Ingrosso, come e quando nasce la vostra avventura nel campo dell’illuminazione e del design? Qual è la vostra mission? «Idealuce nasce nel 1983 dall’esperienza maturata in oltre 30 anni nel settore dell’ impiantistica industriale. Oggi, affascinati dalle nuove tecnologie e dalla ricerca, quella che è l’azienda paterna si è evoluta dalla pura ricerca formale
verso una
dimensione più ampia, che introduce l’attenzione verso i concetti di design, innovazione tecnologica, di impatto ambientale e gestione energetica dell’ illuminazione». Nel concreto, di cosa si occupa l’azienda?
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design
idealuce...NON SOLO “LUCE” «Come dicevo, la nostra azienda ha come focus l’ innovazione tecnologica e la ricerca costante del design di qualità. Concretamente si occupa di proporre nuove soluzioni negli impianti elettrici in ambito industriale, ricorrendo all’utilizzo di sistemi di buildingautomation, ed innovativi impianti di illuminazione che hanno trovato impiego in alcune delle più importanti installazioni sia nel Salento che in Europa». Ci fa qualche esempio? «Assolutamente si. Abbiamo realizzato i progetti di illuminazione per l’EosHotel, il Gallipoli Resort, Torre del Parco, fino ad importanti elementi architettonici della città, quali Porta Napoli e l’Obelisco di Ferdinando I°, la Fontana di Piazza Mazzini a Lecce. Ma anche il centro commerciale Espansione 2 a Pescara, il Gibò di Santa Maria di Leuca, l’abbazia di Cerrate. gli showrooms di Monaco di Baviera e Parigi per Meltin’Pot, nonchè tutti i flagship stores di Murphy & Nye, importante brand di abbigliamento tecnico per il settore velico, in Europa». In tutti questi progetti, la parola d’ordine è… «Senza dubbio sperimentazione, che ci consente, come azienda e come gruppo di
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Top Selection
lavoro, di perseguire la massima qualità realizzativa dei progetti, consentendoci di raggiungere la perfezione nell’ illuminazione dell’architettura, di una miniatura o del semplice stare bene con la “propria” luce». Che cosa è cambiato negli anni rispetto a questa priorità? «Oggi IdeaLuce continua ad occuparsi di commercializzazione di apparecchi di illuminazione, ma, a differenza degli anni dell’esordio sul mercato, il nostro lavoro non si esaurisce nella mera vendita di un apparecchio ma trova la sua realizzazione nella realizzazione di un “progetto” dove il cliente possa vivere un’emozione unica». Come può avvenire questa “metamorfosi”? «Consentendo, attraverso l’opportuna scelta di apparecchi, una modificazione della percezione dell’ambiente costruito, con un corretto gioco di combinazioni cromatiche o delle differenti intensità capaci di far percepire differenti atmosfere, oppure attraverso l’estetica di elementi che siano dei veri pezzi d’arte o di design. Illuminare oggi è una scelta che esprime cultura, sensibilità ambientale ed attenzione per la tecnologia user friendly. Perché oggi, illuminare non può essere solo “ fare luce”».
PHOTO: Bruno Barillari
Lecce, Fontana Quattro Stagioni e Porta Napoli
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design
PENSIERO ILLUMINATO Torre del parco 1419 - Lecce lighting design : Andrea Ingrosso
LECCE - Via di Ussano 25 www.idea-luce. it
idea-luce lecce
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sport
UN CAVALLO PER AMICO
La passione ed il lusso per una disciplina elitaria
È il secondo miglior amico dell’uomo. Dopo il cane s’intende. Ma il sodalizio degli uomini con i cavalli non è di certo meno lontano nel tempo, duraturo, nobile. Ed in costante evoluzione. Molta acqua sotto i ponti è infatti passata da quando il maestoso quadrupede veniva impiegato per agevolare il lavoro nei campi e come mezzo di trasporto sicuro e veloce, fino all’epoca moderna in cui il cavallo è considerato l’animale per eccellenza da impiegare nelle discipline sportive più esclusive e raffinate. Dall’equitazione al polo, per citare gli sport più noti, senza trascurare il circuito di scommesse che di fatto alimenta la passione dei cavalieri, determinando un giro d’affari che sostiene l’ippica. Se l’equitazione si ricorda, quindi, come una delle attività più antiche a cui si è dedicato l’uomo, la prima traccia dell’impiego del cavallo da carro è in un manuale risalente, addirittura, al 1.350 a.C. E probabilmente non esiste altra attività umana cui, nel corso dei secoli, siano stati dedicati tanti testi di approfondimento. Così si può senz’altro dire che la storia dell’uomo è stata scritta sul dorso del cavallo: da Alessandro il Grande alla conquista delle Americhe, tutto si svolse dall’altezza vertiginosa di una sella. Basti
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pensare che negli anni dell’impero greco romano, montare a cavallo rappresentava un “valore aggiunto” per il cittadino nella società. Il titolo di cavaliere arrivò ben presto a coincidere con la carica nobiliare, ed il tratto distintivo della ‘upper class’ era rappresentato proprio dall’abilità nell’equitare. L’apprendimento di quest’arte ha rappresentato, per lungo tempo, il lascia passare alla partecipazione della vita politica e militare delle società. L’ennesimo e decisivo salto di qualità nel rapporto uomo-cavallo fu compiuto, però, solo in epoca moderna. E successivamente all’invenzione del motore a scoppio che rivoluzionò l’intero sistema di trasporto urbano. Compreso il modo di condurre le guerre. Il Novecento è stato il secolo spartiacque, infine, tra la visione utilitaristica del cavallo in quella “relazionale”, puramente ludica e sportiva. Ed in Italia fu durante il Rinascimento che sorsero scuole d’equitazione (la prima fu organizzata a Napoli da Pignatelli) che influenzarono lo sviluppo e la fortuna di questo nuovo tipo di disciplina in tutta Europa. Ancora oggi l’arte dell’equitazione è cambiata ben poco sia nelle sue tecniche basilari, necessarie per destreggiarsi in sella, che nel carattere “aristocratico” che lo rende uno sport dall’accesso privilegiato.
© Daniel Kaiser
Nell’immaginario collettivo questa disciplina è considerata, infatti, appannaggio dei più ricchi. E non a torto.
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sport
Vuoi perché il costo medio di una lezione in maneggio, dedicata ai primi passi del trotto, del galoppo, fino al salto agli ostacoli, è decisamente sostenuto. Vuoi perché già il noleggio dell’animale in una scuderia comporta i suoi costi. Ma la linea di demarcazione più netta è tracciata dall’acquisto del quadrupede i cui prezzi oscillano enormemente, raggiungendo cifre di svariate migliaia di euro per aggiudicarsi un purosangue di razza. Per intenderci, lo stallone più caro al mondo si chiama ‘The Green Monkey’ ed è un americano da corsa, battuto all’asta per 16 milioni di dollari. Prezzi proibitivi già in partenza, che lo rendono uno sport d’elite, cui vanno ad aggiungersi un lungo elenco di spese periodiche ed obbligatorie: ferratura, vermifugo, vaccinazioni ed eventuali visite veterinarie, noleggio di un istruttore qualificato, pensione del cavallo, e tutto il corredo necessario per esibirsi nelle gare. Quindi: patente, passaporto, iscrizione, box e via dicendo. Per non parlare dell’equipaggiamento per il quale, volendo aggiudicarsi capi di lusso, non esiste che l’imbarazzo della scelta. Le più grandi griffe mondiale non hanno mancato, infatti, di apporre la propria firma su ogni capo di abbigliamento tecnico ed accessorio che si rispetti, adatti sia alla competizione da salto che al dressage: dal cap ai guanti, dagli stivali alle borse, passando per selle, sottopancia, coperte, frustini e speroni. Gucci, per citare l’ultimo gigante della moda, ha recentemente annunciato il debutto della sua seconda
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collezione da equitazione, disegnata in esclusiva per la principessa Charlotte Casiraghi. Certo, la fortuna di possedere e guidare uno stallone, l’ebbrezza della corsa sul suo dorso (un purosangue può raggiungere, anche se solo per pochi minuti, i 70 km/h), l’impareggiabile sensazione di libertà unita alla vertigine dell’altezza, hanno il loro prezzo. Per non parlare dell’esibizione che un purosangue che si rispetti è in grado di sostenere in gara, dopo mesi di duro ed appassionante allenamento che si conclude con la classica ‘parata’ ai bordi dell’ippodromo. E questo perché la relazione tra il cavallo ed il suo cavaliere è innanzitutto affettiva. Dominata non solo dal rapporto di forza che si instaura tra chi decide andatura e direzione, usando redini, talloni e frustini, ma dal livello di empatia che riesce a raggiungere il cavaliere cui viene chiesto di mettere a frutto le sue più profonde doti personali d’intelligenza, sensibilità ed intuito. Il rapporto che si instaura con l’animale è infatti un crescendo, giocato sulla reciproca e graduale conoscenza. Sulla scoperta delle rispettive potenzialità e sul rafforzamento dell’autostima. Con l’obiettivo, ultimo, di alzare sempre più in alto l’asticella dei propri limiti, rappresentata da una galoppata in gara o da una classica corsa ad ostacoli. Se l’equitazione è un’arte, infatti, di sicuro non è una disciplina che s’improvvisi. Né esente da rischi. L’inesperienza e una buona dose di sfrontatezza possono pregiudicare, infatti, il risultato finale
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sport
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dell’allenamento ed esporre lo sportivo a cadute potenzialmente gravi. Per quanto l’equitazione sia uno sport di tutto rispetto, capace di potenziare in modo armonioso tutte le fasce muscolari, di migliorare il tono cardiovascolare, la capacità di concentrazione, l’equilibrio, l’agilità e la destrezza, il suo livello di pericolosità resta ben noto. Il contraltare del rischio è anche, però, nella versatilità d’impiego del cavallo in usi molto lontani da quello agonistico. In particolare quello terapeutico, rivolto a soggetti affetti da disagio o problemi relazionali in virtù del rapporto con l’animale che si presenta come carico di valenze affettive (ben oltre il lato fisico). L’ultima moda in fatto di equitazione, poi, l’ha dettata l’ecoturismo: dall’uso del cavallo come mezzo per esplorare luoghi lontani, esclusivi ed incontaminati è nato infatti l’equiturismo o turismo equestre. Non una vera e propria disciplina, dunque, poiché praticata a puro scopo ricreativo. Anche se esiste un tipo di competizione nota come gara di fondo che prevede il percorrimento di un lungo itinerario in un determinato tempo, e che ha dato vita ad un nuovo filone delle attività equestri. Gli itinerari individuati per questo scopo si chiamano ippovie: sentieri normalmente attrezzati per dare la possibilità di intraprendere un viaggio a tappe anche di diversi giorni, appoggiandosi a strutture idonee per le soste, tra cui rinomati agriturismi.
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sport
Top RESTAURANT
Osteria Francescana: Camouflage: una lepre nascosta nell’erba
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alta cucina
Tutto ha inizio dalla passione di un imprenditore della new economy, di un medico, di un consulente finanziario, di un ingegnere esperto di risorse umane, di due principi del foro, di un farmacista: un piccolo gruppo di folli amanti dell’alta cucina, uniti da una viscerale e profonda attrazione per l’enogastronomia. Si conoscono telematicamente, scorrazzando e imperversando sui blog gastronomici, parlando e discorrendo di questa passione e decidendo quasi immediatamente di percorrere insieme una strada nuova, diversa, affascinante: raccontare le loro esperienze, le loro emozioni vissute alla più grandi tavole dei migliori ristoranti d’Italia e del mondo. Un giorno Emanuele Barbaresi, nota penna enogastronomica italiana che ha diretto una sua rubrica gourmet su Tuttoturismo dal 2005 al 2009, decide di chiedere alla gran parte di quei folli amanti dell’alta cucina di aiutarlo nel suo ambizioso progetto di creare la prima guida di alta cucina d’autore del gruppo editoriale Domus: nasce così la guida Gourmet 2009 firmata anche dagli autori di Passione Gourmet. Quella guida fu uno stimolo ulteriore a proseguire in questo cammino critico, che ha portato poco dopo a fondare il sito web www.passionegourmet.it. Da allora sono passati quattro anni e il cammino sembra solo all’inizio. Il gruppo in tutto questo tempo si è cementato attorno alla figura di Alberto Cauzzi, fondatore e oramai critico gastronomico di fama nazionale e internazionale. Insieme al “Presidente” il gruppo storico di Passione Gourmet, a cui si sono aggiunti nel tempo nuovi componenti, giovani e ambiziosi, e recentemente professionisti del giornalismo enogastronomico come Bruno Petronilli, che ha assunto il ruolo di Direttore Editoriale. Negli ultimi mesi il blog www.passionegourmet.it ha iniziato un profondo rinnovamento tecnico e stilistico, trasformandosi in una vera e propria guida on line di recensioni di ristoranti, che a detta di molti, oggi è il punto di riferimento tout court della critica gastronomica sul web. A settembre Passione Gourmet ha tagliato il traguardo delle 1.000 recensioni, un archivio immenso che rappresenta la sintesi ideale di tutto ciò che di meglio si può trovare in Italia e nel Mondo nell’ambito dell’alta cucina. Alta cucina che non vuol significare necessariamente ristoranti costosi e inavvicinabili, ma semplicemente i migliori indirizzi dove scoprire la qualità assoluta di un piatto creativo, ma anche di una pizza o di una preparazione tradizionale. Infatti il sito www.passionegourmet.it è un moderno strumento con cui l’utente può effettuare ricerche approfondite per tipologia di ristorante, di cucina, di collocazione territoriale. Uno strumento al passo con i tempi, in costante evoluzione per rendere sempre migliore il rapporto con i propri lettori, a cui gli autori di Passione Gourmet si rivolgono costantemente garantendo la propria indipendenza, la propria professionalità e ovviamente...la propria straordinaria passione.
I ristoranti di alta cucina alla prova degli esperti di passionegourmet.it
GOURMET TOUR: EMILIA ROMAGNA
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Top RESTAURANT
Osteria Francescana: Massimo Bottura e l’Osteria Francescana, ovvero il vertice luminoso dell’alta cucina italiana. Ecco il resoconto appassionato ed emozionale di uno degli autori storici di Passione Gourmet, Roberto Bentivegna: “C’è stato un oggi nella storia dell’Osteria Francescana in cui tutto è cambiato: non so quando esattamente sia avvenuto e non so nemmeno cosa sia frullato nella testa di Massimo Bottura in quel dato momento. Ma c’è stato un prima e un dopo, ed è da quel punto che è iniziata la cavalcata senza fine del locale di Via Stella. Da quell’istante, piccolo o infinito chi lo sa, il cibo, cucinato e assemblato in vario modo, è diventato espressione di una persona che ha deciso di dare in pasto ai clienti i suoi amori, i suoi interessi, le sue passioni, le sue idee. La materia ha preso vita, luce, intensità. Non è facile in qualsiasi modalità espressiva mettere a nudo se stessi, che sia un discorso tra amici o la stesura di un libro. Serve tanta introspezione prima, serve generosità, coraggio e lucidità. E poi la forza di resistere alla risacca del confronto, che torna indietro come un’onda e può demolire gli argini deboli. Massimo Bottura credo abbia fatto tutto questo e ora nei suoi piatti, in queste mura, nei suoi collaboratori, c’è tutto lo spirito che lui ha voluto dare all’Osteria Francescana. Io ci vedo l’inquietudine di un essere umano: niente è definito, è una cosa ma è anche un’altra. È salato ma anche dolce, è un primo ma potrebbe essere un dessert. La Francescana oggi è così, un’espressione di leggerezza che vince ogni forma di pesantezza, un rifiuto
© PHOTO: Paolo Terzi - Modena
Osteria Francescana: Baccalà Mare Nostrum - L’arca di Noè - Granita di mandorle, capperi crema di caffé e bergamotto
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alta cucina
POVERO DIAVOLO: Ravioli di aringhe affumicate e patate, salsa Pai mu Tan (the cinese)
di tutte le identità, una resistenza accesa contro ogni forma di normalizzazione, un cammino solitario verso un non luogo chiamato pensiero globale. Tutto favorito dall’involucro in cui ci si trova a mangiare: perso ogni riferimento temporale, qui dentro potrebbe essere una qualsiasi ora di un qualsiasi giorno. Quasi una trasposizione fisica, come l’ingresso in una navicella capace di trasportarti istantaneamente in luoghi ed epoche diverse. Tutto gira all’unisono: la grande forza è la sensazione di non essere solo davanti al lavoro di un cuoco (o artista, come preferite), ma di poter assistere alla personificazione di un concetto di lavoro, alla grande squadra che rema nella stessa direzione. A partire da Beppe Palmieri, passando da Yoji Tokuyoshi, fino all’ultimo arrivato, si percepisce partecipazione. Questo deve essere il successo più dolce da gustare per Massimo Bottura. Qui non si offre solo un grande piatto e una grande bottiglia di vino: si offre l’Osteria Francescana, un concetto e un modo di stare a tavola. Tutto questo è bellissimo. È la vera essenza della ristorazione”. Povero Diavolo: Non neghiamo di considerare Giorgio Parini un vero e proprio genio dell’alta cucina oggi in Italia. Un grande giornalista come Enzo Vizzari ci ha voluto regalare la sua esperienza per quella che è stata la recensione numero 1.000 di Passione Gourmet: “Matura, solida, completa, laica e ghiotta: la cucina di Giorgio Parini, oggi. Matura: ha sperimentato e non cessa di sperimentare, ma ha trovato e persegue
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Top RESTAURANT
POVERO DIAVOLO: Rapa rossa brasata, lumache e polvere di radice di Felce
con coerenza una sua linea, definita, riconoscibile e, quel che più conta, tutta e solo sua, perché i suoi piatti non assomigliano a quelli di nessun altro, al di là di certe assonanze e propensioni (Lopriore, Veyrat, tanto per fare due nomi). Solida: no trucchi, no giochi di prestigio, piatti anche belli, sì, ma senza cedimenti calligrafici né accondiscendenza a certe derive estetizzanti (m’è capitato di vedere il libro di un bravo cuoco d’un albergo romano i cui piatti sembrano costruiti per essere fotografati più che per essere assaggiati). Completa: c’è tutto, terra e mare, pasta e riso, agnello e piccione, patata e tartufo, l’issopo e il pelargonio, il dolce e l’amaro…e, soprattutto, in ogni piatto emerge chiaro e subito cogli l’ingrediente principe, cui il resto fa da complemento. Laica: la sua tavolozza è aperta, comprende, come la bella casa in cui Giorgio lavora, il verde del prato e dell’orto, il bruno del bosco, il pastello dei fiori, il cupo della notte di Scorticata, che sono poi le fonti da cui trae ispirazione e ingredienti. Ma non usa materie e gusti come assiomi di una religione, bensì come tessere di un mosaico per sapori e piatti nuovi, diversi, mutevoli da un pranzo all’altro. Ghiotta: perché è tanto, tanto buona, godibile, ogni boccone chiama il successivo, ogni piatto lo bisseresti, ogni menù vorresti non terminasse. A partire dalla francescana Cialda di grano saraceno e mais con pomodoro, caprino e lavanda, amuse-bouche quasi sommesso, non invadente, che introduce al Cetriolo sublimato, spuma di gin e vodka, capace di rendere armonico quest’ortaggio così scontroso. Superlativi i due assi
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alta cucina
Agnello carota e cipresso e Piccione tiglio e tartufo, inframmezzati dalla Cipolla, aceto e miele di ailanto a mo’ di sorbetto. Magistrale chiusura con il Sempreverde, composto da cioccolato bianco, chartreuse, basilico, levistico e gelato al dragoncello, introdotto dalla Zuppa di frutto della passione, gelato latte e miele di castagno, limone e aglio candito. Consiglio: portar con sé un Bignami di botanica”. Osteria del Mirasole: Ecco che l’Emilia Romagna non è solo terra di grandi ristoranti stellati, ma anche di semplici locali dove la tradizione culinaria italiana è alla sua massima espressione, come all’Osteria del Mirasole nel resoconto del nostro Luca Canessa: “A San Giovanni in Persiceto, paesotto a metà strada fra Modena e Bologna, c’è un’osteria-trattoria o forse ristorante, che mette d’accordo tutti, gourmet e gourmand, giovani e meno giovani, famiglie e single. In definitiva chiunque ami la buona tavola, i buoni vini e la convivialità trova qui il proprio piccolo Eden. Il locale ricorda in tutto per tutto la classica osteria di paese della bassa con, all’entrata, l’angolo bar e il tavolo della briscola. Poi due minute salette arredate sobriamente con tavoli piccoli e molto ravvicinati e infine il camino dove viene cotto tutto quello che un carnivoro convinto può desiderare. Fiorentine, salsicce, grigliate, frattaglie, piccioni, grazie al fuoco e alla mano esperta dello chef Franco prendono la forma di piatti completi e appaganti. Ma l’osteria del Mirasole non è soltanto il paradiso dei golosi della carne, ma anche il luogo di perdizione per gli amanti
POVERO DIAVOLO: Omelette di canocchie - Osteria del Mirasole: Lasagna verde alla bolognese - Cipolla ripiena di fegato di coniglio
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Top RESTAURANT
dei primi piatti della tradizione, bolognese in primis, ma non solo. Come si può resistere alle ormai mitiche tagliatelle al ragù di cortile? Perfette nella loro veste giallo oro, spesse il giusto e porose quanto basta per dare risalto a quel capolavoro di ragù che ricorda per sapore e intensità quello delle nonne e delle mamme, ma che rispetto a quelli di una volta risulta molto più leggero e digeribile. Ecco il vero concetto di tradizione in movimento, la riproposizione di antiche ricette realizzate, però, con tecniche moderne. Lussuria pura sono anche le lasagne verdi alla bolognese, ricche di ragù e parmigiano al punto giusto e con quella crosticina croccante che è il segno distintivo di ogni lasagna che si rispetti. Ma il piatto che ci ha definitivamente conquistato è stato quello all’apparenza più banale e cioè il fegato di maiale cucinato allo spiedo nella sua rete insieme alle foglie d’alloro che, grazie all’ottima qualità della materia prima, alla cottura perfetta al giusto rosa, al profumo del lauro dosato come si deve, ci ha piacevolmente impressionato. Completa e interessante la carta dei vini che dà il giusto risalto ai prodotti locali, ma contiene anche etichette italiane ed estere di spessore, frutto di scelte ragionate e proposte al giusto rapporto qualità/ prezzo. Un plauso, infine, al servizio di sala che con competenza e un sorriso si prenderà cura di voi lasciandovi soltanto l’onere di non esagerare con le troppe tentazioni di un menù che induce al peccato e all’ingordigia”.
Osteria del Mirasole: Tagliatelle al ragù di cortile - Spiedo di fegato di maiale cotto nella rete ed alloro - Zuppa inglese - Sfogliatina di mele
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Da una Scavolini aspettati sempre qualcosa in pi첫.
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PARIgi...val bene una messa La celebre frase pronunciata nel Cinquecento da Enrico IV di Borbone, detto Il Grande, di fede ugonotta che pur di conquistare il trono di Francia si convertì al cattolicesimo, rende bene l’idea di quanto Parigi, con una variazione metaforica sul tema, valga la pena di essere visitata, anche a costo di rimetterci stanchezza e male ai piedi. Meta sognata dai più romantici, Parigi resta la destinazione prediletta per i viaggi di coppia che scandiscono anniversari, festeggiamenti e occasioni di proposte di matrimonio. Elegante e preziosa come una gemma rara, la capitale francese disegna la sua geometria all’ombra del suo simbolo, la torre di ferro progettata da Eiffel, esempio di alta ingegneria che concilia la stabilità dei materiali con la leggiadrìa delle forme. Punto di riferimento, la torre è visibile da tutte le zone della città, il suo occhio blu di notte veglia sui venti arrondissement parigini permettendo di orientarsi facilmente e in taluni casi lasciando apparire più brevi delle distanze considerevoli. Parigi, come Roma, è un museo a cielo aperto, conserva la grazia e l’equilibrio della belle epoque, è da visitare senza dubbio a piedi, percorrendo le distanze da un’attrattiva all’altra, che in ogni caso non sono tra loro lontane più di 15 o 20 minuti, servendosi anche della metropolitana per gli spostamenti più lunghi.
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Non solo mezzo di trasporto efficiente e orga-
e due aggiuntive.
nizzato, la Mètro de Paris è essa stessa una delle
Le zone che non ci si può assolutamente perdere
attrattive da non perdersi assolutamente e non
sono tutto il quartiere latino, Saint Michel, tra
solo per necessità. Racchiude molto della storia
economici locali dalla cucina francese, greca
della città e del suo gusto estetico, espressione
ed italiana, con passeggiata lungo la Senna fino
dell’art nuveau tra ricami in ferro battuto e insegne
a Notre Dame; ancora Montmartre, il quartiere
dal sapore liberty, è affascinante scoprire la com-
degli artisti, collina a nord della capitale, centro
posizione architettonica di ciascuna stazione,
nevralgico della vita bohémienne, custodisce
suggestive, tra le altre, Citè e Arts et Metièrs.
la meravigliosa chiesa del Sacre Coeur. Meglio
Aperta nel 1900 in occasione dell’Expo, si estende
andarci nel pomeriggio per rimanervi fino a
oggi fino alla banlieu, con quattordici linee ufficiali
sera, per concludere con un drink servito da un
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cameriere vestito a tema, in uno dei deliziosi locali
quali si resta senza fiato (ad esempio le tele di
in cui qualche artista si esibisce a cappello.
Leonardo, le sculture dell’Antica Grecia, la pittura
La Parigi dello shopping e delle firme si srotola sugli
dell’Ottocento) l’Orsay è un gioiello delicato e
Champs Elysées, dal sapore di un “Breakfast at
intenso, situato lungo la Senna in una vecchia
Tiffany’s” europeo, all’ombra de l’Arc de Triomphe,
stazione ferroviaria, della quale sono splendidi gli
con caffè e gelaterie golose.
orologi, raccoglie le più importanti opere dell’Im-
Tappe culturali imperdibili il Musée du Louvre,
pressionismo, con una collezione che vanta nomi
un vero e proprio monumentale agglomerato
quali Renoir, Monet, Manet, Degas.
di bellezza, ed il Musée d’Orsay. Se il primo
Nel Jardin de Tuileries - i giardini in cui trovano
raccoglie la storia dell’arte nelle sue molteplici
posto le giostrine e il famoso occhio di Parigi, la
forme d’espressione e capolavori dinanzi ai
ruota panoramica da cui si gode della bellezza
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della città - affacciato su Place de la Concorde,
si trova il mezzo busto di Chopin, spazi verdi in
invece si trova il Musée de l’Orangerie, famoso
cui ai laghetti si alternano deliziosi café. Sedie
per l’esposizione di un ciclo di Ninfee di Monet
verdi in ferro ad uso pubblico danno al tempo
(esposizione imposta dallo stesso artista, pena
dello svago un’aria piacevolmente retrò.
la mancata donazione delle sue opere). Ospita,
Per gli appassionati di cinema, infine, non si
tra gli altri, Paul Cézanne, Henri Matisse, Amedeo
può far a meno di seguire le orme di Amelie
Modigliani, Claude Monet, Pablo Picasso, Pierre-
Poulain, celebre personaggio ideato dal genio di
Auguste Renoir, Henri Rousseau, Alfred Sisley,
Jeanne-Pierre Jeunet, nelle sue rocambolesche
Maurice Utrillo.
avventure che si snodano soprattutto nei quartieri
Una menzione speciale meritano proprio i Giardini,
di Montmartre e Pigalle, il quartiere a luci rosse
quelli delle Tuileries e quelli du Luxembourg in cui
che ospita anche il Moulin Rouge.
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Ma ancora più recente, il viaggio nel tempo
locale storico ai tempi della Comune parigina.
di Gil, protagonista di Midnight in Paris, opera
Il viaggio può concludersi dall’alto, con una visita
indimenticabile seppur recentissima dell’altro ge-
al Ciel de Paris, dalla Torre di Montparnasse, a
nio Woody Allen, tra ponti lungo la Senna, café e
circa 220 mt di altezza. Consigliata al tramonto o
artisti della belle epoque. Per questo è disponibile
in notturna, permette di vedere da una posizione
anche una App per smartphone per seguirne le
privilegiata tutta la città e anche la Tour Eiffel, i
tracce.
quartieri Notre Dame, Saint-Sulpice, la Sorbonne,
Un’esperienza fuori dalle righe è il “Buddha Bar”,
e le strade in cui nulla stride e tutto è altera poesia,
cibo orientale, musica rilassante, cocktail favolosi in
dalla bellezza mai urlata dell’architettura, lungo le
un locale leggendario; ma è Belleville il vero quartie-
file di comignoli, per perdersi nell’immenso cielo
re alternativo di Parigi, dove si trova “Bellevilloise”,
dall’accento francese.
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photographer
DAVIDE CERATI Nato nel marzo del 1961 a Mariano Comense, a due passi da Milano, si è diplomato all’inizio degli anni ’80 in Comunicazione Visiva. Lavora per qualche anno in televisione e nel cinema (come operatore alla macchina e assistente direttore della fotografia) e nel 1985 inizia la carriera fotografica, prima su set di arredamento e design, poi aprendosi a una più ampia varietà di generi. Davide matura in quegli anni la necessità di esprimersi in settori differenti, rifiutando l’eccessiva specializzazione. Da allora fotografa di tutto per la pubblicità, l’arredamento, la moda, il food, con una forte propensione per il ritratto. Nato e cresciuto con la pellicola e dentro la camera oscura, fin dall’inizio del suo apparire ha affrontato il digitale con la consapevolezza che le trasformazioni e l’evoluzione tecnica nulla cambiano riguardo al ruolo fondamentale del fotografo: creare una Comunicazione efficace e pertinente del soggetto. Nel suo studio sono passate grandi aziende e importanti agenzie, ma anche piccole realtà attente alla qualità e all’efficacia della propria Comunicazione; davanti al suo obiettivo, modelle, imprenditori, managers, personaggi famosi della televisione e del cinema, ma anche tanta “gente comune” che ha riscoperto il piacere e il valore di un ritratto di alta qualità. La ricerca continua è una linfa vitale alla quale Davide non ha mai rinunciato. Parallelamente all’attività commerciale, Davide opera da anni in campo artistico e ha al suo attivo pubblicazioni, mostre e premi internazionali in Italia, Francia, Stati Uniti. Da anni tiene incontri, workshop e seminari per fotografi professionisti e fotoamatori, in Italia e in Europa.
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DAVIDE CERATI (Photo: Douglas Kirkland)
IO SONO UN FOTOGRAFO Non sono un fotografo di moda, o un fotografo di food, o un fotografo di arredamento...io sono un fotografo e basta. Da professionista della fotografia a volte mi capita di fotografare belle donne; in altri giorni, spaghetti al pomodoro; la settimana dopo, i mobili di un grande designer. I soggetti sono miliardi, ma la fotografia è una, e io non ho mai amato l’eccessiva specializzazione che rischia di rendere noioso e ripetitivo il lavoro quotidiano, a discapito del risultato; in questo mestiere avere la mente elastica fa bene. Sono nato con la pellicola, e dentro la camera oscura. Oggi, in un mondo che cambia rapidamente nelle tecnologie come nei linguaggi, ci sono valori che rimangono fondamentali nel rapporto tra un professionista e un’azienda: l’affidabilità, l’esperienza, la costanza nella qualità; la capacità di capire e risolvere i problemi del cliente attraverso organizzazione, disponibilità e una Comunicazione efficace e pertinente. Fare fotografie accettabili è diventato facile; meno semplice è possedere un grande bagaglio di esperienza e la necessaria sensibilità nel comunicare. è su questo campo che continuo a giocare le mie carte.
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lamborghini veneno roadster
A conclusione delle celebrazioni per il 50° anniversario,
zato da un design estremo e da prestazioni mozzafiato.
Lamborghini
più
È inoltre una delle automobili più esclusive del mondo:
eccezionali di tutti i tempi. La Lamborghini Veneno
non più di 9 esemplari verranno costruiti nel corso del
Roadster è un prototipo da corsa scoperto, caratteriz-
2014 e verranno venduti al prezzo di 3.3 milioni di Euro.
presenta
una
delle
supersportive
IL DESIGN La Lamborghini Veneno Roadster porta l’efficienza aerodinamica di un prototipo da gara sulle strade di tutti i giorni. Ogni dettaglio delle sue forme segue uno scopo preciso: qualità dinamiche eccezionali, carico aerodinamico ottimale associato alla minima resistenza all’avanzamento, raffreddamento perfetto del motore ad alte prestazioni. Tutto questo ne fa una vera Lamborghini, fedele alla filosofia di design di tutte le supersportive uscite dallo stabilimento di Sant’Agata Bolognese. Lo si nota chiaramente nelle proporzioni estreme, così come nel poderoso frontale dalla forma a freccia e nei giochi di forme che alternano linee affilate come lame e superfici tese.
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GLI INTERNI La fibra di carbonio domina anche gli interni della Veneno Roadster. La monoscocca in CFRP diventa visibile nell’abitacolo nelle zone del tunnel centrale e nelle fasce sottoporta. I due sedili “racing” super leggeri sono realizzati nel materiale Forged Composite, brevettato da Lamborghini. Il tessuto in fibra di carbonio CarbonSkin è invece utilizzato per rivestire l’intero abitacolo e parte dei sedili. Come un tessuto hi-tech, questo rivestimento in fibra di carbonio non solo è appagante alla vista e si adatta bene a qualunque forma, ma permette anche una riduzione dei pesi.
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LA TECNICA
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La Veneno Roadster è estrema e garantisce un’esperien-
tenza estremamente vantaggioso di 1,99 kg/CV che
za di guida intensa, anche perché in questo caso la
garantisce prestazioni strabilianti.
parola “scoperta” fa davvero onore al proprio significato.
La Veneno Roadster è spinta da un motore 12 cilindri
Non c’è alcun tetto, solo un robusto roll-bar per garantire
con cilindrata di 6,5 litri, accoppiato alla velocissima
comunque una sicurezza ottimale.
trasmissione ISR dotata di cinque diverse modalità. La
L’attenzione è stata concentrata su un’aerodinamica
trazione è integrale e il telaio racing propone sospensioni
ottimale e sulla stabilità nelle curve veloci, con un com-
pushrod e unità molla/ammortizzatore orizzontali.
portamento simile a quello di un prototipo da corsa. Tutto
Con una potenza massima di 552 kW (750 CV),
questo su una vettura omologata per la circolazione
nonostante
stradale.
pensato per garantire il massimo carico, la Veneno
Il design sistematicamente votato al risparmio di peso
Roadster è caratterizzata da una bassissima resistenza
non è solo visibile, ma è anche evidente alla prova della
all’avanzamento, che le consente di raggiungere la
bilancia: con un peso a secco di soli 1.490 chilogrammi,
velocità massima di 355 km/h e di accelerare da 0 a
la Veneno Roadster vanta un rapporto tra peso e po-
100 km/h in appena 2,9 secondi.
il
suo
setup
aerodinamico
sia
stato
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SPECIALE SUV
un nuovo suv per la “stella” Innovativa e dinamica. Con la nuova “classe GLA”, Mercedes-Benz entra nel segmento dei SUV compatti
La prima Mercedes-Benz nel segmento dei SUV compatti è maneggevole in città (lunghezza: mm 4.417, larghezza: mm 1.804 ed altezza: mm 1.494), briosa nei percorsi extraurbani e sui valichi montani nonché dinamica ed efficiente in autostrada (con un Cx di soli 0,29). Flessibilità degli interni, equipaggiamenti pregiati e cura per i dettagli sono le principali caratteristiche della nuova Classe GLA. Insuperabile negli spostamenti quotidiani, GLA dispone di un abitacolo flessibile e versatile. Gli schienali dei sedili posteriori non solo si ribaltano completamente, ma è possibile anche variarne a piacere l’inclinazione. Il grande vano bagagli (421-836 litri) ha un aspetto ordinato e accoglie i bagagli senza problemi grazie al bordo di carico basso e all’ampio portellone, a richiesta anche con apertura automatica. La struttura particolarmente rigida della carrozzeria crea una base solida ed affidabile per un ampio range di potenza. La gamma di motori a benzina da 1,6 e 2,0 litri di cilindrata spazierà inizialmente dai 115 kW (156 CV) di GLA 200 ai 155 kW (211 CV) di GLA 250. Per Classe GLA è disponibile a richiesta la nuova generazione della trazione integrale permanente 4MATIC con ripartizione di coppia completamente variabile. La nuova Classe GLA completa l’offerta Mercedes-Benz nel segmento SUV con cinque Serie (Classe GLA, Classe GLK, Classe ML, Classe GL e Classe G).
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SPECIALE SUV
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Il Design: Chiarezza sensoriale come espressione del lusso moderno: con questo obiettivo i designer hanno creato forme chiare e superfici lisce di ispirazione high-tech. L’altezza ridotta della parte superiore dell’abitacolo, il corpo vettura rialzato e i grandi passaruota conferiscono al GLA un notevole magnetismo. Il frontale prominente verticale, con la Stella al centro, conferisce un’espressione forte. Le curvature ellittiche danno un taglio sportivo al cofano motore, mentre la griglia con due lamelle sottolinea la larghezza della vettura. Nella vista anteriore colpiscono i fari e le luci diurne a LED. Perfezionate con l’adozione di fibre ottiche a triplice funzione. Sul paraurti anteriore le aperture per l’aria di raffreddamento sono protette da una griglia con design a rombi. I fendinebbia, disponibili a richiesta, sono integrati nel paraurti. Una protezione antincastro anteriore e i rivestimenti perimetrali in grigio scuro contrastante rafforzano il carattere SUV di GLA. Questi “cladding” iniziano nella parte inferiore del paraurti anteriore e proteggono la vettura dai colpi di pietrisco. Il GLA esprime forza anche nella vista laterale. La dropping line si estende dal faro anteriore al passaruota posteriore. La modanatura sulla linea di cintura presenta uno sviluppo ascendente
dalla
porta
posteriore
verso
il
montante
posteriore. Insieme all’effetto luminoso lungo la curvatura e alla linea che all’altezza dei sottoporta sale verso la dropping line discendente, si produce sulla fiancata un particolare gioco di linee che rende filante e dinamico il profilo. Il cladding segue lateralmente i contorni dei passaruota e dei sottoporta fino a confluire nel paraurti posteriore. Il sottoporta presenta una serie di ribassamenti che creano un effetto simile ai denti di una ruspa, accentuando il carattere SUV. Sul tetto, oltre alle modanature di serie è disponibile un roof rail in alluminio in nero lucido o in colore naturale lucido. Per quanto riguarda le ruote, sono disponibili cerchi fino a 19”. Sul retrotreno, le spalle possenti sono poste particolarmente in evidenza dal profilo rientrante del montante posteriore e sottolineano a loro volta la larghezza della coda, anche per via delle luci sdoppiate. Il design esprime tensione, ma con una certa morbidezza. Quest’impressione è rafforzata anche dal lunotto convesso e dalla linea arcuata della modanatura cromata tra i due gruppi ottici posteriori. La linea di divisione dei gruppi ottici posteriori fa apparire piacevolmente ampia l’apertura del vano di carico. Attira l’attenzione anche il grosso spoiler sul tetto, che assolve con grande efficienza la sua funzione aerodinamica. Lungo il rivestimento del paraurti posteriore spiccano la protezione del bordo di carico e la protezione antincastro, disponibile in nero lucido, argento opaco o silver shadow.
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gli INTERNI: L’aspetto potente degli esterni è ripreso con coerenza dagli interni. La particolare eleganza si deve alla scelta di materiali d’alta qualità e alle loro molteplici possibilità di abbinamento. Tutti gli inserti hanno superficie galvanizzata in silver shadow, trattamento che conferisce loro un effetto metallico autentico e moderno. Tra le altre caratteristiche di pregio figurano la forte accentuazione dello sviluppo orizzontale, il design dinamico e la grande precisione delle linee di giunzione e delle fessure. La plancia è costituita da due parti, una superiore ed una inferiore, che presentano strutture superficiali di diversa morbidezza al tatto. L’alternanza di geometrie tridimensionali opache e lucide dà vita ad un accattivante gioco di luci. L’inserto tridimensionale costituito da una pellicola innovativa, in alluminio o in legno crea negli interni una nota nuova e moderna. La finitura opaca dell’inserto in legno rende la superficie particolarmente moderna e piacevole al tatto. Nella plancia portastrumenti sono integrate cinque bocchette di ventilazione circolari. Gli anelli che le incorniciano, sono una caratteristica esclusiva di GLA, e il loro design può a richiesta richiamare quello della protezione antincastro e dei rivestimenti dei longheroni. La direzione del flusso d’aria si modifica agendo sugli inserti a forma di farfalla, disponibili galvanizzati o silver shadow. Il grande display autoportante dispone di una mascherina lucida in nero Pianoforte e di una cornice perimetrale a filo in silver shadow che rendono particolarmente elegante lo schermo. La dotazione di serie prevede un volante a tre razze con 12 tasti e modanatura cromata galvanizzata. A richiesta è disponibile una plancia portastrumenti con due strumenti circolari incassati, ciascuno dei quali contiene al suo interno un altro strumento circolare di piccole dimensioni. In posizione di riposo, le lancette sono ferme a “ore 6”. Gli eleganti sedili sportivi con poggiatesta integrati, disponibili a richiesta, presentano sul retro un’apertura delimitata da una cornice in silver shadow che può essere illuminata dalle luci soffuse «ambient». Oltre ai pacchetti di allestimento Style, Urban, AMG ed Exclusive, l’offerta comprende anche un SUV Style package che accentua ulteriormente il carattere SUV di Classe GLA. I comandi con cornice decorativa galvanizzata della “regolazione elettrica del sedile con funzione Memory” (a richiesta) sono collocati sui rivestimenti interni delle porte. In abbinamento ai pacchetti di allestimento, il bracciolo nella porta dispone di una modanatura cromata di grande impatto estetico e a richiesta può essere impreziosito dalle luci soffuse «ambient».
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LA TECNICA: La nuova Classe GLA registra un consumo minimo di 4,3 litri/100 km che fissa nuovi parametri di riferimento nel segmento grazie all'efficienza assicurata da moderni motori a quattro cilindri con sovralimentazione turbo e iniezione diretta e dalla funzione ECO start/stop di serie. GLA si colloca al vertice del segmento anche per le sue prestazioni dinamiche. La gamma di motori a benzina da 1,6 e 2,0 litri di cilindrata spazierà inizialmente dai 115 kW (156 CV) di GLA 200 ai 155 kW (211 CV) di GLA 250. Il GLA 250 4MATIC accelera da 0 a 100 km/h in soli 7,1 secondi, dimostrando che la Classe GLA ha tutte le carte in regola per rivendicare la sua superiorità nella dinamica di marcia. La velocità massima è di 235 km/h e i consumi nel ciclo combinato ammontano ad appena 7,1 l/100 km. Dinamismo in ripresa e massima efficienza contraddistinguono anche i due propulsori diesel: GLA 200 CDI eroga 100 kW (136 CV), dispone di una cilindrata di 2,2 litri e dispensa una coppia massima di 300 Nm. Il motore è stato rielaborato a vantaggio dell'efficienza. Tra le modifiche apportate figurano l'ottimizzazione della trasmissione a cinghia, un pacchetto testata con cuscinetti volventi modificati e trattamento supplementare (finitura), l'ottimizzazione della pompa del vuoto, i pistoni in alluminio con gioco di montaggio ottimizzato e pacchetto di fasce elastiche a basso attrito, i cuscinetti a rullini del controalbero di equilibratura Lanchester nonché la regolazione della combustione nella testata cilindri mediante sensore di pressione. GLA 200 CDI consuma appena 4,3 litri ogni 100 km, equivalenti a 114 g di CO 2 al chilometro. Questo modello è in classe di efficienza A. GLA 220 CDI dispone anch'esso di 2,2 litri di cilindrata, eroga 125 kW (170 CV) e 350 Nm. Tutti i motori sono dotati della funzione ECO start/stop di serie. I motori possono essere abbinati al cambio manuale a sei marce oppure al cambio automatizzato a doppia frizione 7G-DCT (di serie per GLA 250, GLA 220 CDI e per i modelli 4MATIC), che concilia perfettamente comfort e sportività. A richiesta, Mercedes-Benz GLA è disponibile con una nuova generazione del sistema di trazione integrale 4MATIC con ripartizione della coppia completamente variabile. Tra i componenti più innovativi del 4MATIC rientrano l'albero di uscita verso l'asse posteriore integrato nel cambio automatizzato a doppia frizione 7G-DCT e la scatola ponte posteriore, in cui è integrata la frizione a lamelle a gestione elettroidraulica. È così possibile ripartire la coppia tra avantreno e retrotreno in modo del tutto variabile. Altri vantaggi di questa configurazione sono il peso complessivo ridotto rispetto alle concorrenti e il rendimento elevato.
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Il cambiamento climatico, la penuria delle risorse naturali
superfici vetrate lasciano apparire la vettura leggera e,
e la crescente urbanizzazione esigono soluzioni nuove.
insieme alle strutture visibili in carbonio, riflettono il peso
La BMW i3, la prima automobile di BMW i, offre mobilità
contenuto dell’auto. L’utilizzo del CFRP per l’abitacolo, ha
ad emissioni zero ed è la prima vettura elettrica premium
consentito di sopprimere i montanti B, così da rendere
disegnata sin dall’inizio per questa forma di propulsione.
più confortevole l’accesso ad entrambe le file di sedili.
L’utilizzo su larga scala del CFRP (fibra di carbonio),
Uno degli stilemi caratteristici delle automobili BMW i è la
materiale leggero, di lunga durata e resistente, è unico
cosiddetta Black Belt che avvolge la vettura dal cofano
nella produzione di grande serie. Grazie a ciò, BMW i3 non
anteriore, passando per il tetto, fino alla coda. Un altro
pesa di più di un’analoga vettura tradizionale (1195 kg).
elemento di design è l’andamento delle linee laterali
Con dimensioni di 3.999 x 1.775 x 1.578 mm, i3 presenta
(Stream Flow), che genera nella sezione posteriore una
proporzioni che accentuano l’agilità della vettura nel
superficie vetrata più ampia. Una minigonna muscolosa,
traffico urbano. Il suo design futuristico esprime sia la
la nuova interpretazione del doppio rene BMW come
tipica sportività BMW che l’efficienza offerta dai 4 posti.
unità chiusa e dei gruppi ottici avvolti da archi luminosi
Gli sbalzi corti del muso e della coda e le ampie
alimentati da unità a LED, caratterizzano la vista frontale.
automobili
Le luci posteriori, anch’esse a LED, sembrano sospese
pletamente in rete grazie ai servizi di ConnectedDrive
nel grande cofano posteriore completamente in vetro. Le
versione 2013, che verranno messi a disposizione at-
portiere ad apertura contrapposta e l’assenza dei mon-
traverso una carta SIM integrata fissa nella vettura.
tanti B e del tunnel centrale hanno permesso alla i3 di offrire
I servizi sviluppati appositamente completano le offerte
un’elevata abitabilità in relazione alle dimensioni esterne.
già conosciute, come i Concierge Services e la chiamata
La selezione dei materiali (un mix di pelle, legno, lana e
di soccorso avanzata. Inoltre, grazie all’i Remote App, il
di materie prime rinnovabili e riciclate) permette che le
guidatore potrà scambiare in qualsiasi momento delle
caratteristiche premium della BMW i3 siano non solo
informazioni sulla vettura utilizzando il suo smartphone.
esteticamente visibili, ma anche percepibili al tatto.
La vernice esterna è disponibile in 2 colori pastello e 4
Una posizione di seduta leggermente rialzata ottimizza
tinte metallizzate, in contrasto marcato con la Black Belt.
la vista durante la guida in città. Sia la strumentazione
Oltre all’equipaggiamento di serie Atelier, sono disponibili
combinata che il Control Display da 6,5” oppure 8,8“ del
gli equipaggiamenti Loft, Lodge e Suite.
sistema di comando iDrive sono display a isola.
L’elettromotore ottiene la propria energia da una batteria
La BMW i3 è la prima vettura elettrica collegata com-
agli ioni di litio integrata nel sottoscocca ed è montato in
SPECIALE SUV
prossimità dell’asse posteriore condotto, assicurando la
dell’avviamento da fermo, trasmettendo la potenza alle
migliore trazione possibile.
ruote posteriori attraverso un cambio a rapporto unico.
I cerchi in lega a peso ottimizzato da 19” (a richiesta da
La BMW i3 accelera da 0 a 100 km/h in 7,2”. Per
20”) sono estremamente resistenti e dotati di pneumatici
l’accelerazione da 0 a 60 km/h la vettura impiega solo
155/70 R 19 con resistenza al rotolamento ridotta.
3,7”. Nel momento in cui il guidatore rilascia l’acceleratore
L’erogazione lineare di potenza dell’elettromotore, la
viene attivata la modalità di recupero di energia.
taratura rigida dell’assetto, lo sterzo ad alta precisione ed
Nella guida giornaliera, la batteria dona un’autonomia
il piccolo diametro di sterzata (soli 9,86 mt), permettono
di 130-160 km. Nel modo ECO PRO l’autonomia è
una maneggevolezza in città tipica di BMW.
potenziabile di circa 20 km e nel modo ECO PRO+ di
L’elettromotore, dal peso di solo 50 kg, genera una
ulteriori 20 km. A richiesta, la BMW i3 è equipaggiabile
potenza di 125 kW/170 CV ed una coppia massima
con un range extender: un motore bicilindrico a benzina
di 250 Nm disponibile immediatamente al momento
da 25 kW/34 CV montato sopra l’asse posteriore, vicino
automobili
al motore elettrico. L’autonomia massima nella guida giornaliera aumenta così a circa 300 chilometri. BMW ha quindi raggiunto il suo obiettivo di coprire il tipico fabbisogno energetico (da studi eseguiti pari a circa 45 km al giorno) attraverso due/tre processi di carica alla settimana. La ricarica, in alternativa alla Wallbox installata nel garage, può venire anche attraverso la presa di corrente di casa. BMW propone anche offerte di approvvigionamento con energia di fonti rinnovabili oppure la carta di ricarica che assicura un utilizzo confortevole dell’infrastruttura di carica pubblica e dei servizi supplementari di assistenza ConnectedDrive.
EDITORE Giovanni Colella editore@mylifestyle.it DIRETTORE RESPONSABILE Vincenzo Paticchio CAPOREDATTORE Annalisa Nastrini redazione@mylifestyle.it ARTICOLI REDAZIONALI Jessica Niglio Marina Schirinzi Si ringraziano per la gentile collaborazione: Carlo Martellini Marianna Petruzzi Laura Bugliosi Sabine Rollinger Enrico Perez Bruno Petronilli Alberto Cauzzi
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