MY LIFESTYLE n° 12

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LUXURY MAGAZINE Periodico Trimestrale N° 12 - SPRING 2012 EURO 9,50

TOP MANAGER:

Francesco Ranzoni

CESARE PRANDELLI

I Valori, la Missione, il Futuro

Mito HARLEY-DAVIDSON Il Nuovo “Dyna Switchback”

PRINCIPATO DI MONACO

Le Suggestioni della Corniche d’Or

WWW.MYLIFESTYLE.IT



francesco ranzoni



sommario FRANCESCO RANZONI top manager

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BIALETTI: il trionfo dell’omino coi baffi tradizione ed innovazione in un marchio di successo

sport

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cesare prandelli: l’uomo, il mister i suoi valori, la sua missione ed il suo futuro

lifestyle

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quando la danza è per tutti milly carlucci, passione per il ballo

teatro

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puntare sulla cultura l’imperativo di stéphane lissner, direttore artistico del teatro alla scala di milano

luxury

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il profumo...come l’arte viaggio tra essenze, evasioni e stati d’animo

lifestyle

42

è una questione di...razze a colloquio con fabrizio crivellari, direttore generale “enci”

musica

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ANDREA BOCELLI, L’ARTISTA DEI PRIMATI la voce, il talento e la carriera di un tenore moderno

automobili top selection

58

le auto elettriche sono una realtà la rivoluzione elettrica con la gamma renault z.e.

economia top selection

62

accesso al credito? perché no! le strategie di bpp, “popolare” per definizione

broker top selection

66

broker, per “tradizione” intervista a tommaso peschiulli, presidente di “peschiulli insurance broker”

arte top selection

70

un mercato senza crisi l’arte, un baluardo sicuro nella bufera

luxury

76

se il mattone...è di prestigio

travel

82

un soggiorno...principesco le favolose suggestioni della corniche d’or

automobili

88

mercedes classe a

moto

96

living the legend il mito di harley-davidson si rinnova con il nuovissimo “dyna switchback”

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Top MANAGER

Francesco Ranzoni

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francesco ranzoni

il trionfo dell’omino coi baffi Tradizione e innovazione in un marchio di successo

L’Omino coi Baffi ne ha fatta di strada. Dagli anni ‘50 ad oggi, design e funzionalità, innovazione ma anche tradizione e radicamento nel territorio sono i punti cardine dei prodotti realizzati da Bialetti Industrie. Un marchio nato 90 anni fa, che nel corso del tempo è saputo arrivare al cuore degli italiani. Bialetti Industrie da sempre afferma l’immagine vincente del “gusto italiano” nel mondo, è testimonial d’eccezione di uno stile di vita che associa alla ricerca dell’innovazione tecnologica la creatività, il culto del design, la filosofia del gusto e della tradizione italiana. Viviamo il passato ed il presente di questa azienda attraverso il racconto e la storia del suo Presidente, Francesco Ranzoni. Nato a Chiari (BS) il 18 Gennaio 1961, ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione di diverse società facenti parte del Gruppo e in precedenza del gruppo societario controllato da SUBA Italia S.r.l. Attualmente risulta proprietario del 100% del capitale sociale di Bialetti Holding, nella quale ricopre la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione. Dalla data della sua costituzione nell’ottobre 2002 ricopre la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione ed Amministratore Delegato di Bialetti Industrie, con il conferimento dei più ampi poteri. Idee chiare e tenacia contraddistinguono il suo modo di essere e di agire. Caratteristiche che gli hanno permesso di raggiungere traguardi importanti come l’acquisizione dei marchi Girmi ed Aeternum, con l’obiettivo di realizzare un percorso d’impresa che consenta al Gruppo Bialetti Industrie di diventare ancora più grande e competitivo nel mondo.

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Top MANAGER

Presidente, se dovesse descriversi in poche parole, cosa direbbe di sé? «Sono una persona pragmatica, molto seria e cresciuta con dei forti principi. Diciamo che il mio approccio sul lavoro è, se così si può dire, “come una volta”, quando ancora una stretta di mano e la parola data avevano il valore di un contratto. Oggi il contesto non lo permette più, tuttavia continuo a credere fermamente nei valori che mi sono stati trasmessi dalla famiglia». Francesco, l’uomo. Come vive la quotidianità, la famiglia, la vita privata un uomo con ruoli e responsabilità così importanti? Riesce a conciliare la sfera lavorativa con quella più personale? «Mi piace condurre una vita semplice. Sono sposato da 28 anni e trascorro molto tempo a casa con la mia famiglia, cui dedico quasi tutto il tempo libero. La famiglia mi è sempre stata di supporto in questi anni, permettendomi di conciliare impegni di lavoro e sfera privata. In ogni caso, cerco di non portare il lavoro a casa per dedicarmi in esclusiva ai miei cari quando sono con loro». Come si svolgono le sue giornate? Quali sono i suoi hobby, le sue passioni? «Mi sveglio ogni mattina verso le 6,30 e pratico una mezz’ora di sport: dallo yoga meditativo alla ginnastica e, tre volte alla settimana, nuoto. Subito dopo colazione mi reco in ufficio e, in genere, resto in Azienda fino alle otto di sera. Per quanto riguarda i miei hobby mi piacciono le attività all’aria aperta e, in particolare, adoro giocare a golf, sport che pratico da quando avevo 17 anni. Un’altra mia passione è il mare e, nel periodo estivo, approfitto dei weekend liberi per andare in barca». Parliamo del professionista. Come e quando nasce Francesco Ranzoni, l’imprenditore? «Ho cominciato nel 1980 con mio padre e si può dire che, come nella migliore tradizione delle aziende condotte da imprenditori, ho fatto la mia gavetta: un anno in fabbrica, poi alle vendite e, nel 1986, sono stato nominato A.D., a 25 anni. Nel 1990 ho deciso di mettermi in gioco ed affrontare una sfida importante rilevando l’azienda da mio padre. Nel 1993 è arrivata l’acquisizione di Bialetti». Oggi Bialetti è una holding internazionale che ha acquisito altri noti marchi. Cosa c’è di suo in questo straordinario successo? «È un’azienda costruita de me, sassolino dopo sassolino, insieme a dei bravi manager. La novità è stata quella di voler acquisire marchi nel mondo della cucina, unendo cottura e caffè: due mondi importanti. Di mio, c’è la forza di volontà e la perseveranza. Oggi Bialetti Industrie è una realtà internazionale tra i principali operatori nei mercati del casalingo e dei piccoli elettrodomestici attraverso marchi di lunga tradizione e assoluta notorietà come Bialetti, Aeternum, Rondine e Girmi». Quali sono i prodotti a cui si sente più affezionato? Di quali è più orgoglioso e per quale motivo?

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francesco ranzoni

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Top MANAGER

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francesco ranzoni

«Prima di tutti direi la linea di pentole “Trudi”, lanciata

Bialetti è tradizione e innovazione. È ancora possibile

negli anni ‘80, che all’epoca era un prodotto innovativo

creare ed innovare in questo periodo di austerità e

e fortemente distinguibile dagli altri. Nato alla fine degli

crisi? Quali sono le armi per farcela?

anni ‘40, il marchio Rondine perfeziona negli anni

«Gli spazi per l’ innovazione sono infiniti. È proprio nei

‘80 il processo di produzione di strumenti da cottura

periodi di crisi che vincono solo le persone che hanno

antiaderente e, da allora, si diffonde significativamente

idee e sanno cosa fare. In questo momento sono molto

in Italia ed all’estero, in particolare attraverso la grande

impegnato nel seguire in prima persona un aspetto così

distribuzione organizzata, in virtù dell’ampiezza della

importante e, saranno i 50 anni d’età, ma mai come ora

gamma offerta e del rapporto qualità/prezzo. Oggi,

so esattamente cosa desidero per questa azienda».

gran parte delle innovazioni di prodotto nel settore

Il Gruppo Bialetti fa del rispetto etico, della responsa-

degli strumenti da cottura sono state inventate da noi.

bilità sociale ed ambientale, i valori cardine della sua

Un altro prodotto a cui sono molto legato è “Mokona”:

cultura aziendale. In che cosa si traduce, concretamente,

un successo incredibile grazie al quale siamo riusciti

questo impegno?

a entrare nel mercato delle macchine elettriche da

«In Bialetti Industrie la responsabilità sociale è un

caffè diventandone leader dopo appena un anno. Sulla

impegno serio e concreto, un valore che è entrato a far

parte caffettiere non dimentico “Mukka Express”, un

parte della cultura aziendale, condiviso uniformemente

prodotto che ha cambiato le abitudini di molti amanti

a qualsiasi livello fino a diventare un asset tangibile. La

del caffè».

Corporate Social Responsibility è un valore che per

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Top MANAGER

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Bialetti Industrie si dimostra in costante sviluppo negli

progetto che ha visto nascere la prima linea di caffè

anni e che continua a crescere, con formule innovative e

in capsule firmata dall’Omino coi Baffi, composta da

partner importanti come Legambiente. Esempi concreti

cinque miscele originali studiate per ritrovare anche

sono rappresentati, inoltre, dalla centralità delle risorse

a casa il gusto del vero espresso all’ italiana. Tra po-

umane e dal forte legame con il territorio, espressi

co sarà ultimato il processo di ristrutturazione dello

attraverso una serie di operazioni volte a migliorare la

stabilimento di Coccaglio, dove saranno direttamente

qualità dell’ambiente interno ed esterno, come la ricerca

prodotte le capsule di caffè della linea. Inoltre, sempre

e l’applicazione di soluzioni innovative per l’abbattimen-

più importante e numerosa sarà la nostra rete di

to delle polveri di alluminio. Azioni compiute a tutela della

negozi Bialetti Store, luoghi in grado di concretizzare

salute del lavoratore, che oggi pongono Bialetti ad alti li-

ed affermare l’eccellenza di Bialetti Industrie attraver-

velli negli standard di sicurezza e qualità degli ambienti».

so il loro stesso layout. Lo scorso novembre abbiamo

Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro di Francesco

lanciato un’ importante novità, la Bialetti Card, che punta

Ranzoni? E cosa per Bialetti?

ad attrarre nuovi clienti e fidelizzare quelli esistenti con

«Rimarrò A.D. e Presidente ancora a lungo e continuerò

una serie di vantaggi e di offerte riservate. Insomma

a lavorare con la stessa intesità, tenacia e passione

Bialetti Industrie procede sulla strada dell’ innovazione e

di sempre. Vedo per questa azienda - così come

della qualità e in questo momento ancora di più io, cosi

previsto dal piano industriale - Bialetti sempre più

come tutta l’azienda, stiamo mettendo tutta la passione

nel mondo del caffè, con il lancio dei “caffè d’Italia”,

e l’ impegno per raggiungere i risultati».


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sport

L’uomo si chiama Cesare, ha cinquantacinque anni, portati benissimo. Terminate le scuole medie inferiori, voleva iscriversi al liceo artistico, ha invece preso il diploma di geometra perché la mamma gli raccomandava sempre “lo studio prima di tutto…”. Avrebbe desiderato fare l’architetto per quella sua predisposizione al pensare, creare, costruire qualcosa. Anche solo un’idea. Ha fatto invece il calciatore. Ed è nato l’uomo di sport, il Prandelli che tutti conosciamo. Ha giocato con la Juventus dove, fra il 1979 e il 1985, ha vinto tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea. Si è distrutto le ginocchia e ha smesso presto, a trentadue anni. La sua tenacia e la straordinaria passione per il calcio lo hanno condotto a diventare allenatore: ha guidato la Roma prima, e la Fiorentina poi, oggi è il Mister della Nazionale di calcio italiana. Nonostante i successi, Cesare Prandelli è un uomo come molti, senza i lustrini e le paillettes che generalmente caratterizzano il mondo dei più facoltosi, segnato da una tragedia familiare molto grande (la morte della giovanissima moglie Manuela, per la quale rescisse il contratto che lo legava alla Roma), ancorato alla sua terra e ai valori della famiglia e della vita domestica. Lo abbiamo intervistato, con non poche difficoltà, focalizzando l’attenzione su quel lato umano, che tanto lo differenzia da molti suoi colleghi. La famiglia, quindi, ma anche il lavoro come missione, i valori positivi del calcio, le speranze per il futuro.

CESARE prandelli: l’uomo, il mister I suoi valori, la sua missione ed il suo futuro

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Mister, potremmo cominciare, se per lei va bene, dalla sua infanzia. Chi è Cesare Prandelli? Come e quando nasce la passione per lo sport? «È una passione nata sin dalla prima infanzia, a Orzinuovi: la nostra casa confinava con l’oratorio del paese, bastava scavalcare un muro per trovare tutto ciò che un bambino può desiderare per divertirsi all’aria aperta. Lì ho iniziato a giocare soprattutto a calcio, ma ho praticato anche altri sport come pallavolo e pallacanestro». La sua famiglia ha conosciuto anche momenti di difficoltà. Che cosa le hanno lasciato quelle esperienze? «Hanno dato un senso più profondo ai valori della vita, in particolare il rapporto con i miei figli, con i quali ho condiviso quei momenti, si è ulteriormente arricchito, è migliorato». Padri e figli: che cosa ha imparato dai suoi genitori? E cosa ha trasmesso ai suoi figli? «Ho imparato molto: da mia mamma l’osservanza degli impegni da rispettare, in particolare la scuola che per lei costituiva un punto fermo, se non portavo a casa bei voti e risultati non potevo giocare al calcio. Mio padre mi ha insegnato ad avere profondo rispetto per le persone che lavorano. Ho cercato di trasmettere questi principi anche a Niccolò e Carolina». Stiamo parlando di valori. Che cosa le piace e cosa detesta degli uomini? E del mondo del calcio?

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sport

«Apprezzo molto le persone che sanno essere ottimiste, propositive, che sanno sempre cogliere l’aspetto positivo delle cose. Detesto invece l’arroganza dei potenti». Lei di recente è stato testimonial di una campagna nazionale dal titolo “La partita educativa nello sport”. Lei crede che il calcio possa ancora oggi, dopo tanti episodi di razzismo e violenza che si verificano negli stadi, far veicolare valori positivi ed educativi? «Il calcio, e lo sport in generale, hanno una forte valenza educativa perché proprio attraverso la pratica sportiva riesci a comprendere profondamente il significato di parole come condivisione, collaborazione, sacrificio, vittoria e sconfitta. Quando indossi la maglia della tua squadra non ti chiedi di che razza sia o quale religione pratichi il tuo compagno, è sul campo con te per affrontare un avversario e raggiungere un obiettivo condiviso. Sono convinto che una più diffusa pratica sportiva avrebbe una valenza duplice dentro e fuori dal terreno di gioco: indirizzerebbe i ragazzi a tenere un atteggiamento corretto e agonisticamente positivo nei confronti dei giocatori avversari e dell’arbitro; nel pubblico, a rispettare chi come te è venuto allo stadio per trascorrere una giornata di passione e divertimento. Quando si riescono a trasferire determinati principi etici, ci si può considerare soddisfatti del proprio compito di educatori». Dicono dallo spogliatoio che lei possegga incoraggianti doti di educatore: fermezza di decisione, capacità di relazione, chiarezza nelle posizioni, fiducia nelle persone. Quali sono,

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sport

invece, detto da lei, i suoi punti deboli? «Come in tutte le cose, se non sei credibile nelle tue azioni, le qualità possono repentinamente tramutarsi in difetti». Che cosa significa per lei allenare la Nazionale? Che differenza c’è, appunto, rispetto ad una squadra di club? «C’è una differenza sostanziale nel metodo e nell’organizzazione del lavoro di tutto lo staff tecnico che collabora con me e che con me condivide il compito di monitorare costantemente un cospicuo numero di calciatori in Italia e in Europa. Rispetto al lavoro nel club, è diversa la quotidianità del lavoro sul campo, non rimpiango le pressioni settimanali del dopo gara. In Nazionale si programma in funzione di appuntamenti ben definiti nei quali devi essere bravo a ottimizzare il tuo piano di lavoro e svolgerlo in tempi brevi per far sì che la tua squadra sia pronta ad assolvere il suo compito in un momento ben preciso». Parliamo della squadra. Pregi e difetti della nostra Nazionale? «I pregi sono veramente tanti. È un gruppo di ragazzi formidabili, coeso, solidale, guidato da un grande capitano. Se così non fosse stato, dopo la delusione ai Mondiali in Sudafrica non saremmo riusciti a ripartire con questa qualità e tempistica qualificandoci agli Europei con due giornate di anticipo, imbattuti, e con la miglior difesa del torneo. Non parlerei di difetti, piuttosto di


Si ringrazia la Federazione Italiana Giuoco Calcio - www.figc.it

atteggiamenti in campo non ancora metabolizzati, mi riferisco in particolare alla fase offensiva. Ma abbiamo tempo a sufficienza, risorse tecniche, umane e morali per lavorare in funzione degli obiettivi che ci siamo prefissati». Lei ha conosciuto ed allenato tantissimi professionisti. Quale giocatore ritiene che, per doti umane e capacità calcistiche, possa rappresentare il calcio italiano? «Gigi Buffon è il calciatore che tutti vorrebbero avere in squadra, e non solo da un punto di vista puramente tecnico dove, a 33 anni, rimane il più grande interprete del ruolo. Ma per le sue doti umane, per la sua capacità di percepire, valutare e gestire il clima sia all’ interno dello spogliatoio che sul terreno di gioco. La grande capacità di chiamare la squadra a raccolta nei momenti difficili e nello stesso tempo di sdrammatizzare le tensioni, richiamare all’ordine e stemperare gli animi quando le circostanze lo richiedono. Gli inglesi lo chiamano ”leading by exemple”». Mister Prandelli, la Nazionale italiana ha conquistato l’accesso agli Europei 2012. Cosa si aspetta per il futuro, per la Nazionale e per il suo Mister? «Di continuare su questa strada, con un percorso sempre in crescendo, mantenendo le stesse premesse che ci hanno consentito di ottenere il primo risultato che ci eravamo prefissati. Con la stessa attitudine, curiosità ed un pizzico di intraprendenza in più. Siamo ancora lontani dalla meta, ma ci sono tutte le condizioni per fare bene in Polonia e Ucraina».

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QUANDO LA DANZA è PER TUTTI MILLY CARLUCCI, passione per il ballo “La danza è considerata d’elite. Riuscire a portarla tra la gente non è facile, ma qualcosa sta cambiando. Mi è capitato di ballare in piazza davanti a 50.000 persone, mi aspettavo di tutto. Invece mi hanno guardato in religioso silenzio, un’esperienza bellissima”. Le parole di Roberto Bolle, étoile della Scala di Milano, sono la cartina di tornasole di un momento storico in cui la danza ed il ballo stanno modificando i loro assetti e le loro caratteristiche, avvicinandosi sempre di più al pubblico generalista e non di nicchia. Negli ultimi anni il ballo è persino sbarcato in televisione: un volano straordinario per far salire l’entusiasmo tra la gente che, secondo una serie di sondaggi, proprio grazie ai programmi tv è tornata ad affollare le sale da ballo o si è iscritta a scuole di danza per affinare il proprio stile. Parliamo di questa tendenza e, più in generale, dell’affascinante mondo del ballo con Milly Carlucci, energica conduttrice reduce dal successo televisivo “Ballando con le Stelle”. Nella trasmissione del palinsesto targato Rai, dodici personaggi famosi si cimentano nei generi tipici della migliore tradizione delle “ballroom”: dal romantico valzer alle sensuali danze latino-americane, passando per il fascinoso tango ed il caliente paso doble. Accompagnati dai più bravi maestri di ballo gli aspiranti danzatori tentano, con impegno ed ironia, di far riscoprire al pubblico il piacere di un “rito” antico quanto emozionante, capace di appassionare e avvicinare persone di ogni età.

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lifestyle


Paolo Belli insieme a Milly Carlucci

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lifestyle

Dott.ssa Carlucci, da dove nasce quest’idea, così azzeccata, di dedicare un’intera trasmissione al ballo? «Mi trovavo in Inghilterra, dove mia figlia stava frequentando le superiori. Facendo zapping in tv, mi sono imbattuta in una trasmissione televisiva, sulla rete britannica BBC, dal titolo “Strictly come dancing”. Ne sono rimasta subito affascinata. In Italia non esisteva nulla del genere, il balletto era una parentesi all’ interno di trasmissioni televisive e spettacoli. Abbiamo avuto, in passato, momenti importanti di danza in tv, non dimentichiamo i “Fantastico” o gli show di Heather Parisi, che hanno fatto sognare milioni di persone. Ma mai una trasmissione interamente dedicata al ballo. In quel momento, nonostante queste premesse, ho pensato che potevamo esportare “Strictly come dancing” in Italia». Che tipo di reazioni avete avuto quando è stata proposta per la prima volta? «Tutti hanno pensato che fossi pazza. Tra l’altro, “Strictly come dancing” in Inghilterra dura soltanto 50 minuti, da noi l’ idea che proponevo era quella di trasmetterlo in prime time, e quindi per una durata complessiva di almeno tre ore. All’epoca, proporre una trasmissione dedicata al ballo che durasse così tanto era davvero, come dire, “rivoluzionario”. La prima cosa che pensarono fu che la gente non era sufficientemente “preparata” e che si sarebbe annoiata. A quel punto, arrivò la proposta vincente, ossia quella di accoppiare i ballerini professionisti con personaggi dello spettacolo, che al pubblico risultano più “familiari” e suscitano sempre grande curiosità. È nato lì, con quella idea che si è rivelata vincente, “Ballando con le stelle”». Al giorno d’oggi ideare e realizzare trasmissioni di successo è sempre più difficile. Perché il ballo in televisione riscuote tanto successo? «Il ballo è una metafora della vita, e del rapporto di coppia, ora sereno ora burrascoso, talvolta altalenante. Nel ballo alternativamente, uomo e donna invadono lo spazio del proprio partner, creano degli incastri che miracolosamente si sciolgono nel giro di una battuta, dei cambi di tensione fra morbide carezze e prepotenti intrusioni, in un continuo attirarsi e respingersi pur senza sciogliersi dall’abbraccio. Il ballo è condivisione, è dividersi il lavoro e godere insieme delle gioie che porta. Credo che la gente percepisca questo miracolo e ne sia affascinata, così come rimasi affascinata io quel giorno in Inghilterra». La danza e il ballo sono due mondi caratterizzati da

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Natalia Titova

professionismo, sacrifici, duro lavoro. È facile proiettare in questo mondo i personaggi dello spettacolo? Come li convince? «Il ballo e alla danza richiedono sicuramente grande sacrificio ed un allenamento duro e costante. Ma, per l’esperienza che mi porto dietro, posso assicurare che non è questo che “spaventa” i nostri Vip. Anzi, molti di loro ogni anno provengono dal mondo dello sport e sono già abituati a questi ritmi, hanno fisici atletici e il lavoro non li intimorisce. Altri, comunque, arrivano motivatissimi e pronti al sacrificio, trascorrono ore ed ore in sala prove e sono molto professionali. Sanno di essere sotto osservazione e non vogliono fare brutta figura. Più che dal duro lavoro, alcuni Vip sono frenati dalla timidezza. Magari sono professionisti affermatissimi nel loro settore, vedi Christian Vieri nel calcio, ma non sono stati abituati a mettersi a nudo, con tutti i loro limiti, davanti ad una telecamera». Trasmissioni come “Ballando con le stelle”, ma anche altre dedicate al canto, hanno contribuito ad avvicinare il grande pubblico a discipline, quelle artistiche, da sempre riservate ad un pubblico di nicchia. Cosa risponde a chi, invece, sostiene che si sia contribuito a svilirne le qualità e lo spessore? «Pensare di poter portare in tv la danza di Roberto Bolle è impossibile. O meglio, sarebbe auspicabile, ma manca quella cultura delle arti che permetta al pubblico di decodificare e apprezzare al meglio le performance. C’è ancora, purtroppo, troppa distanza tra il pubblico generalista e la Scala di Milano. Ma io credo che, con le nostre trasmissioni, non se ne stia svilendo lo spessore, ma si sta tentando di portare avanti un discorso di educazione del pubblico alle arti, che può anche solo tradursi in un semplice avvicinamento o apprezzamento. Se abbiamo contribuito a far appassionare anche solo una persona al mondo della danza o del canto, avremmo raggiunto il nostro obiettivo». Che cosa rappresenta il ballo, per lei, dott.ssa Carlucci? «Da piccola pattinavo, e mi sembrava di danzare. Il pattinaggio, in realtà, è una forma di danza, è lasciarsi andare muovendosi sinuosamente e con ritmo. Sin quindi da ragazzina, mi sono appassionata a questo mondo e non me ne sono staccata più. Per me il ballo è tutto, racchiude simboli e messaggi importanti, quali la condivisione, il sostegno, la reciprocità. Ancora oggi, quando posso, amo danzare, e quando lo faccio vedo scorrere in sottofondo tutta la mia vita. Oggi con “Ballando con le stelle“ ho realizzato il sogno di fare qualcosa per questo mondo così bello ed affascinante».

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Foto: Brescia e Amisano - Š Teatro alla Scala


teatro

puntare sulla cultura

L’imperativo di Stéphane Lissner, Direttore Artistico del Teatro alla Scala di Milano Poterlo contattare ed intervistare, nel bel mezzo di una delle stagioni operistiche e concertistiche di maggior successo e blasone a livello nazionale ed internazionale, sembrava un’impresa titanica. Eppure, alla fine, nonostante gli impegni e qualche lieve acciacco, il risultato è stato raggiunto con successo. I melomani sapranno già di chi stiamo parlando, per gli altri basterà qualche piccolo cenno e qualche nota biografica per capire che il protagonista dell’intervista, Stéphane Lissner, non è un personaggio come gli altri. Nato a Parigi il 23 gennaio 1953, da maggio 2005 è Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro alla Scala di Milano. Primo straniero su questa poltronissima, arrivò a Milano il 2 maggio 2005, in un teatro allo sbando, che lui, a distanza di poco, e con una gestione più “tedesca” che “francese”, ha fatto sì che tornasse ad essere di nuovo “uno dei primi cinque teatri d’opera del mondo”. Dall’esperienza personale alla storia del teatro, dalle leggende che lo avvolgono alle polemiche contro i tagli alla cultura, dal rapporto coi giovani fino alla programmazione del 2013: una lunga intervista, degna solo di una persona che vive con passione e profondo coinvolgimento il mestiere che svolge, che ci ha aperto le porte e ha alzato il sipario del tempio della musica e dell’arte italiana.

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Attila

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teatro

Dal 2005 è Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro

«Molti spettacoli mi hanno appagato perchè, insieme a

alla Scala di Milano. Che cosa significa per un uomo ed

me, anche il pubblico della Scala ne è stato conquistato e

un melomane come lei assumere questi incarichi in uno

ha imparato a conoscere titoli rari, regie non convenzionali.

dei più importanti teatri d’opera del mondo?

Penso con affetto a Tristan und Isolde, con la regia di

«Nella mia storia con il teatro, iniziata a 18 anni, non era

Patrice Chéreau e la direzione di Daniel Barenboim, per

previsto e nemmeno probabile l’ incontro con il Teatro alla

finire con il recente Don Giovanni di Mozart del 7 dicembre

Scala, ma quando venni chiamato, nel 2005, fu davvero

2011, con la regia di Carsen e ancora Barenboim sul

difficile prendere una decisione. Tanto che chiesi consiglio

podio. Ma non voglio fare torti: ricordo con emozione il

soprattutto alle persone più vicine. Pierre Boulez, che mi

primo Sant’Ambrogio del 2005, con Idomeneo di Mozart,

è stato amico e maestro, mi disse: “Potrai fare bene”.

regia di Luc Bondy e Daniel Harding sul podio: sei mesi

Seguii il suo consiglio e non ho avuto di che pentirmene.

prima non c’era nulla, né l’ inaugurazione né la stagione».

Ho scoperto che alla Scala, con le sue qualità, la sua

Esiste

forza, si poteva anche osare».

preferirebbe non aver mai realizzato o che rifarebbe con

Quale spettacolo ricorda con maggiore emozione e

scelte differenti?

quale l’ha resa più orgoglioso?

«Non solo uno, ma non mi piace, anche in questo caso,

invece

uno

spettacolo

che,

a

posteriori,

Die Walkure

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Il Teatro alla Scala di Milano

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teatro

insistere su alcuni esiti rispetto ad altri. Il teatro è questo: scegliere titoli ed artisti che pensi giusti per quel repertorio; crederci e sostenerli fino in fondo. Se il risultato non è quello che pensavi, ne prendi atto. Il teatro è come la vita, diceva Strehler. L’ insuccesso fa parte del gioco». È vera la leggenda secondo la quale molti cantanti sono intimoriti dal dover cantare alla Scala? «Non è una leggenda ma una realtà, con cui deve confrontarsi chiunque si trovi a dirigere un teatro come la Scala. Quando si entra nella sala del Piermarini, quel che altrove è candidato al successo o comunque a un buon risultato, qui deve passare un giudizio basato sul massimo della severità, a volte dell’ intolleranza». Nell’ultima stagione alla Scala, sono previsti molti debutti. Cosa spinge un Direttore Artistico a puntare su un principiante? E che cosa significa, invece, per un cantante debuttare alla Scala? «Il teatro è anche questo: scommettere su qualche giovane promettente. Anche alla Scala è stato così: Thomas Schippers debuttò a 27 anni, Leonard Bernstein a 28. Quest’anno ci sono alcuni giovani che meritano di avere fiducia, soprattutto alcuni italiani». Lei si è espresso molto duramente contro i tagli alla cultura. In questo periodo di grande crisi mondiale, come crede si possano salvaguardare le arti e la cultura? E cosa risponderebbe a chi sostiene che, in periodi di austerity, i fondi dovrebbero essere destinati ad altro? «Dico solo che soprattutto nei momenti di crisi bisogna investire su quello che è ed è sempre stato il miglior cemento sociale: la cultura. È nella storia dell’Italia e nella storia dell’Europa che le espressioni creative siano sostenute anche dallo Stato. Per quanto un teatro d’opera sia organizzato come Fondazione di diritto privato, la sua missione è sempre quella di svolgere un servizio pubblico. Soprattutto nel Paese nel quale l’opera è nata». Che cosa si aspetta per il futuro? È ottimista o prevede un ulteriore peggioramento della situazione? «Nei miei sette, quasi otto anni alla Scala ho imparato che quel che si prospetta all’ inizio dell’anno può non essere confermato alla fine. Molte situazioni si sono corrette se non addirittura capovolte al momento di tirare le somme».

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Stéphane Lissner

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Parliamo dei giovani. Perché trovarli a teatro per un’opera

Ad un giovane consiglierebbe di fuggire dall’Italia come

è sempre più difficile?

hanno fatto altri suoi colleghi?

«Non è così. Noi abbiamo lanciato un programma

«Non consiglierei mai ad un giovane di lasciare il suo

che si chiama "Under30", che offre opportunità che i

Paese. La cultura ha bisogno di linfa nuova per crescere

giovani hanno raccolto. Abbiamo lanciato le cosiddet-

ed anche solo per vivere. Per la scienza si può lavorare

te "Anteprime", in cui tre giorni prima dell’apertura di

ovunque. La cultura ha bisogno di radici».

stagione, sia per l’opera sia per il ballo, i ragazzi al di

Il 2013 ricorrerà l’anno verdiano. Che cosa c’è in

sotto dei trent’anni possono vedere lo stesso, identico

programma per celebrare il celeberrimo compositore

spettacolo inaugurale con soli dieci euro. E sono state

italiano?

esperienze entusiasmanti. In più, nella quotidianità, noi

«Nel 1813 nacquero Giuseppe Verdi e Richard Wager.

abbiamo un Ufficio Promozione Culturale, fondato a

Tutta la stagione 2012-2013 sarà dedicata a loro, ma

suo tempo da Paolo Grassi, che lavora sul territorio,

ovviamente con una prevalenza di titoli verdiani, sui

con scuole e università, ed avvia al teatro, su 450.000

quali svilupperemo anche una forte linea interpretativa

spettatori l’anno, circa 87 mila persone che hanno meno

italiana: nei direttori, nei registi e nei cantanti. È un

di trent’anni. Alla Scala i giovani si vedono».

dovere».



il profumo...come l’arte Viaggio tra essenze, evasioni e stati d’animo

Non soltanto un componente della nostra immagine, ma un compagno di viaggio per le nostre evasioni oniriche, un esaltatore dei nostri stati d’animo, un catalizzatore delle relazioni sociali. Oggi più che mai, il profumo è parte integrante della nostra vita e la profumeria contemporanea offre lo spettacolo di una vera e propria profusione d’innovazioni, che non solo sa custodire il suo potere magico ma, attraversando tempo e spazi, si fa interprete delle culture, delle tradizioni e delle mode olfattive racchiudendole in creazioni globali. Ne parliamo con Luciano Bertinelli, Presidente dell’Accademia del Profumo, che da più di vent’anni si occupa dello studio, la valorizzazione e la promozione dell’arte profumiera. Dott. Bertinelli, lei è Presidente dell’Accademia del Profumo. Che tipo di attività svolge l’Accademia e quali sono gli obiettivi che si prefigge? «L’Accademia del Profumo è stata costituita nel 1990 per promuovere il profumo e i suoi valori storici, culturali, artistici e sociali, e per accrescere il ruolo e il prestigio dell’industria del profumo. Vi aderiscono le aziende cosmetiche associate all’Unipro (Associazione Italiana delle Imprese Cosmetiche) che producono e distribuiscono profumi, le aziende produttrici di essenze e di materiali di confezionamento utilizzati nei

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profumi, opinion leaders ed esperti operanti nell’ambito della comunicazione e della distribuzione. Gli aderenti si impegnano a promuovere lo sviluppo dell’arte profumiera e ad accrescere il ruolo e il prestigio dell’industria del profumo». La vostra Accademia premia ciclicamente il profumo dell’anno. Con quali criteri avviene la selezione tra i profumi e con quali si realizza la votazione? «L’Accademia assegna ogni anno il Premio Internazionale al miglior profumo dell’anno scelto da una Giuria di Consumatori che vota nelle migliori profumerie italiane e nei grandi magazzini “Coin” e “La Rinascente”, e da quest’anno anche Facebook ha permesso l’elezione della Web Fragrance. I consumatori sono affiancati da altre due Giurie: una Giuria Tecnica che sceglie le migliori creazioni olfattive, i migliori profumi Made in Italy, Italian Brand e di nicchia e una Giuria VIP che decreta invece i vincitori nelle categorie miglior packaging, miglior comunicazione e spot. I vincitori vengono scelti tra tutti i profumi lanciati sul mercato italiano l’anno precedente. La cerimonia di consegna del Premio ha luogo durante una serata di gala al Cosmoprof Worldwide, la più grande e prestigiosa rassegna della profumeria e della cosmesi che si svolge ogni anno a marzo a Bologna». In base a quali criteri, invece, sono definiti più in generale i profumi? Secondo il dominio di quali note? Perchè un profumo è fiorito, piuttosto che orientale...? «Per facilitare la classificazione degli odori, il profumiere londinese Eugène Rimmel alla fine del XIX secolo propose la divisione delle materie prime in diciotto gruppi a seconda del loro grado di volatilità e persistenza. Nasceva così il concetto di sfaccettatura o sotto famiglia. In seguito le sfaccettature stesse furono “organizzate” nell’ormai familiare e virtuale struttura piramidale. Le sfaccettature furono poi a loro volta raggruppate in “famiglie” o “sfaccettature dominanti”: la fadi classificare i profumi, a seconda della sfaccettatura la cui presenza domina olfattivamente la composizione. Definire quindi una fragranza come “fiorita” (o “floreale”, in profumeria i due termini sono sinonimi) significa riconoscere nella composizione una nota dominante di fiori nobili ed opulenti come la rosa, il gelsomino, la tuberosa o l’ylang-ylang. Si parlerà in questo caso di un profumo “fiorito ricco”, seducente ed inebriante. Se invece si tratterà di fiori come il neroli, il geranio, l’essenza di rosa, o specialità quali la fresia o il mughetto, la composizione risulterà più leggera ed “ariosa” e verrà definita “fiorita fresca”. Il termine “orientale” designa un accordo costruito attorno a note vanigliate e patchouli e

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N° 5 Eau de Parfum - © CHANEL

miglia è il principale segno di riconoscimento che ci permette


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“completato” ed arricchito da accenti speziati. I profumi che appartengono a questa famiglia evocano atmosfere esotiche di calda sensualità. Naturalmente, una fragranza è composta da un numero notevole di materie prime appartenenti a svariate sfaccettature, le quali contribuiscono attorno al tema dominante a conferire ad ogni fragranza una personalità unica». Il profumo pervade la storia e la cultura dell’uomo da quasi sette millenni, svolgendo funzioni religiose e profane. Che cosa è oggi l’arte profumiera? Che cosa significa, oggi, occuparsi di questo settore? «L’arte profumiera al giorno d’oggi è una professione e un’impresa molto importante. Oggi fare un profumo è un mix tra sensibilità, emotività, ma anche ricerca ed innovazione. Oggi, il profumiere non è un alambicchiere che si è inventato una nuova formula, ma è un’azienda che investe molto in termini di risorse, che parte dal concept, individua il messaggio che si intende comunicare, identifica il professionista che si occuperà della realizzazione, della distribuzione, della sua comunicazione. È un processo che, per ogni profumo, dura mediamente un anno e mezzo». Marylin Monroe in una delle sue dichiarazioni più famose dichiarava di dormire nuda con indosso due sole gocce di Chanel n° 5. Il profumo rappresenta ancora oggi uno strumento di fascino e seduzione? «Quella caratteristica di seduzione e fascino non è mai venuta meno. Al tempo stesso, il profumo è molto più di questo. Oggi il profumo è parte del vissuto di ogni consumatore. I cosmetici sono tanti, una persona che ne usa pochi, usa in media 4 cosmetici al giorno, a partire dal deodorante per arrivare alla lacca per capelli. Una donna che si trucca e si cura molto può arrivare a raggiungere fino a 40 contatti con i cosmetici al giorno. Il profumo, che è il cosmetico per eccellenza è, oggi più che mai, nella vita dei consumatori. E non è solo “motivo di seduzione”, ma è soprattutto “uno strumento per star bene”. In un momento di grossa crisi come quello che stiamo vivendo negli ultimi anni, il numero di vendite dei profumi non si è abbassato, anzi i consumi sono rimasti invariati. Questo significa che il prodotto cosmetico non è più un “vezzo”, ma una necessità». Il profumo è interprete delle culture, delle tradizioni, dei gusti. Come si fa a realizzare un prodotto che sappia racchiudere in sé le mode olfattive di ogni continente? «È il lavoro di questi professionisti. Dietro la produzione di un profumo, ci sono ricerche e studi analitici, scelte mirate e sofisticatissimi processi chimici, che mi permettono di avere

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un essenza “così come la voglio”. La fragranza di un profumo non viene mai fuori per caso, è un prodotto ricercato». La profumeria è un’attività ad alto contenuto creativo. Come si diventa un esperto di questo settore così affascinante? «Esistono accademie che preparano i cosiddetti “Nasi”, che imparano a memorizzare, scegliere e poi miscelare in uno sviluppo armonioso e sempre nuovo, materie prime di origini, proprietà e poteri evocativi diversi. La professione del Naso ha molte sfaccettature, dacché composta da una buona cultura dell’arte e della sua storia, da una notevole conoscenza di basi tecniche, oltre che tanta volontà in modo da trasformare l’esperienza di vita in doti artistiche. Fino a pochi anni fa, c’era un passaggio di conoscenze nell’ambito familiare, durante il quale era necessario una sorta di apprendistato accanto ad un creatore. Oggi, esistono invece dei veri e propri corsi di formazione e le aziende più importanti di creazione di profumi mettono a disposizione dei giovani laureati dei percorsi aziendali alquanto impegnativi». In occasione della fiera Cosmoprof Asia 2011 a Hong Kong, per affermare il gusto e l’eredità del Made in Italy è stata proposta la “visione olfattiva” della “Dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci, un’esperienza sensoriale, sperimentata già con successo a Expo Shanghai 2010. In che modo l’olfatto può essere funzionale all’esperienza artistica? «In maniera assolutamente diretta. La “visione olfattiva”, ispirata dall’immagine, fa vivere un’esperienza unica ed esclusiva:

il

canale

sensoriale

dell’olfatto,

normalmente

poco utilizzato, è in grado di far riaffiorare ricordi, emozioni, sensazioni, per condurre il visitatore in una lettura più approfondita dell’opera che resterà indelebile nella memoria. L’arte e l’olfatto sono mondi molto vicini: così come il pittore utilizza i colori della sua tavolozza, allo stesso modo il “naso” seleziona gli odori che meglio si prestano alla sua creazione e che, con delicati equilibri, fanno nascere fragranze indimenticabili». Oggi più che mai, la profumeria contemporanea offre lo spettacolo di una vera e propria profusione d’innovazioni. Quali sono le nuove frontiere e le novità del profumo? «Il futuro prevede che si realizzino proposte di fragranze diverse per cluster ben identificati di consumatori, una sorta di individuazione di “essenze su misura”. Una nota azienda, recentemente, ha creato 6 diverse fragranze, denominandole con i numeri uno, due, tre, quattro, cinque e sei. Non c’è, quindi, una fragranza unica, ma diverse essenze per diverse tipologie di utenti finali».

In alto: Luciano Bertinelli - In basso: Luciano Bertinelli tra le Kris&Kris durante il Premio Internazionale Accademia del Profumo 2012.

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Amare i cani non significa solo accoglierli nelle proprie case ed accudirli. Significa anche e soprattutto conoscerli, per rispettarne le caratteristiche, le abitudini, i caratteri. Ogni razza ha peculiarità ed esigenze ben definite: persino l’indole è sommariamente delineata nella razza, anche se ogni cane ha, naturalmente, un proprio carattere ed una propria individualità. Per conoscere al meglio un cane, e soprattutto scegliere quale si addice meglio allo stile di vita di un proprietario, è necessario quindi rivolgersi a chi i cani li conosce bene. Ne parliamo con Fabrizio Crivellari, Direttore Generale dell’ENCI, (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana). Riconosciuto dallo Stato e fondato nel 1882, l’Ente ha consentito al nostro Paese di raggiungere, in oltre cento anni di attività, i vertici della cinofilia europea e mondiale. Che cos’è l'ENCI e di cosa si occupa? «L’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana (ENCI) si occupa delle attività che fanno riferimento al cane di razza. Cura la tenuta del Libro Genealogico dal 1882, organizza oppure ratifica l’effettuazione di esposizioni o prove attitudinali per i cani, si occupa della formazione degli esperti giudici che prestano la propria attività in dette verifiche, sovraintende alle attività di selezione ed allevamento, si interessa alla formazione degli addestratori. L’ENCI è impegnato nella divulgazione della cultura cinofila e del migliore inserimento del cane nella vita sociale contemporanea. L’ENCI costituisce l’interfaccia tra gli amanti dei cani di razza e lo Stato, portando all’attenzione dei ministeri competenti, delle amministrazioni locali o del legislatore le istanze che provengono dai cinofili». L’ENCI riserva particolare attenzione alla valorizzazione ed alla promozione delle razze italiane. Quali sono le caratteristiche di queste razze? «Sono d’accordo. L’ENCI dedica particolari risorse alle razze italiane. Del resto, come si può essere indifferenti al fascino e all’originalità, per esempio, del Pastore Bergamasco, con quel carattere che lo fa custode attento, con quel mantello unico e la tipica ricettività nei confronti dell’uomo? E a proposito di guardiani integerrimi delle greggi ed efficace antagonisti, tanti anni fa, del lupo e dell’orso, l’ENCI non può che ammirare e divulgare il Pastore Maremmano Abruzzese, di cui si hanno notizie addirittura da Marco Terenzio Varrone intorno al 100 a.C.. Queste due razze possono ormai vivere nelle proprietà moderne esattamente con il Mastino Napoletano,

A colloquio con Fabrizio Crivellari, Direttore Generale ENCI

È UNA QUESTIONE DI...RAZZE

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lifestyle


Il dott. Fabrizio Crivellari, Presidente ENCI

dalla sua inusuale e arcaica bellezza, capace di suscitare l’amore autentico dei suoi appassionati. Poi c’è il Cane Corso, il cui nome non ha alcun riferimento geografico derivando dal greco kortos, che indica la funzione di guardiano attento. Si tratta di una razza di recente riconoscimento grazie all’impegno dell’ENCI, che ha consentito di mitigarne il carattere, senza eliminare il suo grande coraggio. Diversissimo è il Cirneco dell’Etna, le cui immagini si trovano già nell’antico Egitto. Ma ebbe la sua valorizzazione in Sicilia. I rapidi scatti e l’espressività fanno di questo cane un piccolo grande patrimonio della zootecnica italiana. A proposito di velocità, non si può non menzionare il Piccolo Levriero Italiano: affettuoso, ma discreto, silenzioso perfino nelle manifestazioni di gioia. Un aristocratico autentico, un po’ come il Maltese, mai mediocre, vivace e dolce nel suo lungo pelo, spensierato e di una suggestiva grazia. Tra le mura domestiche sta anche perfettamente a suo agio il Bolognese, il cane adorato da Caterina di Russia, autentico protagonista della vita di casa. Come il Volpino Italiano, che nell’ottocento veniva spesso visto in bilico sui carretti, pronto ad abbaiare, per fare la guardia al carico. Se il Segugio Italiano, a pelo raso o a pelo forte, sono un classico della tradizione venatoria, l’ENCI sta anche lavorando sul Segugio dell’Appennino e sul Segugio Maremmano al fine di un loro futuro riconoscimento a livello internazionale. A proposito di storie antiche, non si può trascurare quella del Bracco Italiano, tra i simboli della nostra cinofilia, oggi particolarmente di moda nelle più facoltose case newyorkesi. Senza trascurare lo Spinone, i cui occhi fanno da spia a un’indole da prezioso ausiliario dell’uomo. Ultimo, ma non meno importante, il Lagotto Romagnolo, l’unico fra le 358 razze riconosciute nel mondo a saper trovare il tartufo, prodotto prezioso delle terre italiane». Gli esemplari italiani sono in vetta nel mondo per bellezza e lavoro. Di chi sono i meriti? Degli allevatori, dei valutatori, o di chi altro? «In effetti ogni Expò Mondiale, oltre che le numerose esposizioni Internazionali o le prove di lavoro, testimoniano l’alto livello qualitativo della cinofilia Italiana. I meriti in questi casi vanno sempre suddivisi tra le diverse componenti del mondo ENCI. Innanzitutto vanno ringraziati gli allevatori, che si sobbarcano un enorme mole di lavoro per raggiungere livelli selettivi assoluti. Le iscrizioni di cani al Libro Genealogico avvengono per lo più grazie all’attività, alla passione e all’amore per i propri cani di allevatori piccoli che fanno una o pochissime cucciolate all’anno. La loro dedizione è sicuramente al centro del successo. Non si può ad ogni modo trascurare il lavoro degli esperti giudici ENCI, che attraverso la propria azione in esposizione e nelle prove attitudinali fanno in modo che la selezione si orienti nel senso migliore, non trascurando il fondamentale aspetto della

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lifestyle

salute del cane. Una fetta di merito ce l’ha anche l’ENCI

consentire l’eliminazione dei difetti ereditari. Non devono

che organizza l’intero mondo della cinofilia ufficiale, che

essere per esempio utilizzati per l’allevamento, e sono

sovraintende al rispetto del codice etico degli allevatori e che

considerati difetti eliminatori nelle manifestazioni ENCI, cani

produce disciplinari, regolamenti e norme che costituiscono

che abbiano un temperamento malsano, sordità o cecità

la base di ogni attività di selezione del cane di razza».

congenita, labbro leporino, palato spaccato, difetti dentali

Da cosa è caratterizzata la selezione del cane di razza?

pronunciati, atrofia progressiva della retina. Stessa cosa

Quali sono i principi su cui si fonda?

per i cani che soffrono di epilessia, per i cani criptorchidi

«L’allevamento del cane di razza può essere praticato

o monorchidi o per quelli affetti da grave displasia

unicamente con cani di buon carattere, in perfetta

accertata all’anca. La selezione del cane di razza deve

salute, anche in termini di funzionalità, ed iscritti a

portare a cani innanzitutto sani, oltreché in standard,

Libro Genealogico. L’allevamento deve consentire la

attraverso l’utilizzo degli accoppiamenti che garantiscano

trasmissione delle caratteristiche dello standard di una

il miglioramento genetico dei soggetti allevati».

razza, con riferimento al “tipo” e al temperamento e deve

Spesso si vedono in tv allevamenti che somigliano a

prigioni. Quali sono i requisiti ambientali e igienici che un buon allevamento dovrebbe avere? «L’ENCI si fa costantemente parte attiva per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti e i soci allevatori dell’ENCI devono sottoscrivere un codice etico che stabilisce che bisogna mantenere i cani “nelle migliori condizioni di benessere e salute, con adeguate cure, pulizia, igiene, esercizio fisico e contatto con le persone”. Stessa cosa vale per coloro i quali chiedono l’affisso, cioè la denominazione che precede o segue il nome di un cane e che ne identifica l’allevamento consentendo, con il passare degli anni, una sorta di tracciabilità delle linee genealogiche. Se gli allevatori non rispettano le regole del codice etico finiscono sotto la lente di ingrandimento delle Commissioni di Disciplina dell’ENCI che, naturalmente, possono comminare sanzioni e denunciare l’allevatore all’autorità giudiziaria. La condizione degli allevamenti non può che essere quella prescritta dalla normativa vigente». Sentiamo spesso parlare di cani acquistati in negozio, è vero che la loro qualità è spesso scadente? «Per essere sicuri del cane che si acquista la cosa migliore è recarsi in un allevamento che iscriva i propri cani al Libro Genealogico, vale a dire che richieda l’emissione del pedigree. Tale emissione si effettua, infatti, soltanto a fronte di requisiti che offrono maggiori garanzie all’acquirente. Talvolta, nei negozi si trovano cuccioli di importazione che

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sono stati prelevati dalle rispettive madri troppo presto, che sono stati imbottiti di farmaci e che sono sopravvissuti a viaggi allucinanti. È chiaro che questi cani, dalla provenienza dubbia, possono portate con sé problematiche di salute e caratteriali. L’ENCI, al contrario, punta sulla Riproduzione Selezionata alla quale accedono soggetti che hanno determinati requisiti attitudinali e morfologici e che, soprattutto, abbiano superato con successo test legati alle malattie ereditarie della propria razza. Talvolta i cani con il pedigree ENCI possono costare di più, ma il livello dell’allevamento è sicuramente migliore e i costi degli allevatori maggiori. Un cane rimane in famiglia per molti anni e il momento della scelta è determinante. Ad ogni modo, se i negozianti fanno semplicemente da tramite tra l’acquirente e l’allevatore ENCI possono anche non esserci problemi. Resta il fatto che visitare l’allevamento di provenienza del cane e ascoltare i consigli dell’allevatore, oltre a quelli del medico veterinario, è sempre importante». Tra le razze canine, quali sono quelle più amate dagli italiani? «Nel 2011 le razze canine che hanno avuto il maggior numero di iscrizioni al Libro Genealogico sono state il Setter Inglese, il Pastore Tedesco, il Labrador e il Golden Retriever, il Jack Russell, il Boxer, l’Epagnuel Breton, il Pointer oltre ai Segugi Italiani. Un'attenzione particolare ci è anche stata per i piccoli cani da compagnia, che ha generato scelte tra le numerose razze di questo tipo». Possedere un cortile o un giardino, soprattutto nelle grandi città, è un lusso per pochi. Su quali basi e con quali criteri si sceglie un cane da appartamento? «La scelta di un cucciolo di razza consente di avere come compagno un cane perfettamente integrabile con lo stile di vita del nucleo familiare o della persona che lo porta in casa. Ogni razza ha peculiarità ed esigenze di movimento ben definite, anche l’indole è sommariamente delineata nella razza, anche se ogni cane ha, naturalmente, un proprio carattere ed una propria individualità. In base allo stile di vita del proprietario, la scelta può cadere su una razza piuttosto che su un’altra. Un solo aspetto è di fondamentale importanza e accomuna tutte le razze: ogni cane ha bisogno della compagnia dell’uomo. Un cane felice è un cane che gioca con la propria famiglia, che va a spasso assieme ai suoi componenti, che sta all’aria aperta e non sempre chiuso in un appartamento, che interagisce con l’uomo perché è all’uomo che il cane dedica il suo affetto e la sua attenzione. Non mi sento di consigliare una razza piuttosto che un’altra. Io ho un magnifico Cavalier King Charles Spaniel. Non rinuncerei all’affetto della mia Lillina e al tempo che passo con lei per tutto l’oro del mondo. È ov vio che consiglierei a tutti un Cavalier...».

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Se dovesse utilizzare tre aggettivi per descrivere i cani

visione incredibilmente moderna della caccia. È forse per

da mostra, quelli da compagnia, e quelli da caccia, quali

questo che le prove dell’ENCI, anche quelle per i cani

userebbe e perché?

da caccia, hanno molte iscrizioni e che numerosissimi

«La domanda non è propriamente corretta. Un cane da

sono i giovani che partecipano con i propri cani. Inoltre,

caccia può essere, anzi è, anche un cane da esposizione

un cane da caccia può essere senz’altro un ottimo cane

e da compagnia. Il cane ideale è bello e bravo. È bello

da compagnia: come si può pensare che non lo sia,

quando rispetta lo standard morfologico della sua razza.

per esempio, una femmina di Setter Inglese? Quando

È bravo quando effettua il lavoro per il quale è nato.

ero piccolo ne avevamo una, si chiama Dick. Era

Un Setter, un Pointer o un Bracco Italiano devono saper

straordinariamente dolce. Uso tre aggettivi che valgono

cacciare per essere completi. Perché questa è la loro

per tutti i cani, siano essi da caccia, da utilità, da

natura. Le prove di questo tipo dell’ENCI altro non sono

compagnia, da pastore, da coursing, eccetera: fedele,

che la verifica di queste attitudini, fermo restando che

giocoso, bello. Queste paroline valgono proprio per tutti

non vi è l’abbattimento del selvatico. L’ENCI interpreta una

i cani».

Quali ritiene che siano le prospettive future del settore cinofilo? «Anche nel 2011 i cani iscritti al Libro genealogico sono aumentati rispetto all’anno precedente e ormai si raggiungono più di 135.000 pedigree emessi ogni anno, a fronte anche di un consistente miglioramento della tempistica nella erogazione dei servizi. Nel 2003, quando sono arrivato in ENCI, si impiegavano circa 8 mesi per emettere un pedigree. Oggi, grazie ai miei collaboratori, ci mettiamo 15 giorni ed è aumentato il rigore nell’applicazione delle regole. Il marchio ENCI è universalmente riconosciuto come simbolo di competenza, qualità, ed amore verso i nostri amici a quattro zampe. Numerose sono le aziende di primo livello che chiedono partnership con l’ENCI. I nostri bilanci, senza alcuna sovvenzione statale, sono solidi. Gli operatori del settore utilizzano i nostri uffici come punto di riferimento per le proprie attività e la scommessa, per il futuro, è quella di inserire l’ENCI e la cultura del cane di razza nelle dinamiche della società contemporanea. Riflettiamo sulla pet therapy, tanto per fare un esempio, e sulle sue enormi prospettive future. Il cane di razza è il cane ideale su cui investire per questo tipo di terapia perché ha caratteristiche consolidate che rendono meno difficile scegliere il soggetto giusto per assolvere alla funzione di mediatore ambientale. L’ENCI segue e finanzia importanti progetti a riguardo, i risultati sembrano eccezionali ed il merito non è nostro ma dei nostri cani».

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ANDREA BOCELLI L’ARTISTA DEI PRIMATI

La voce, il talento e la carriera di un tenore moderno Un mito del calibro di Andrea Bocelli non si costruisce a tavolino e nulla potrebbe il marketing più astuto. Semplicemente, la gente lo “riconosce” e lo elegge. Così è accaduto, in un contesto apparentemente livellante (una gara canora, il festival di Sanremo del ‘94), eppure perfetto, perché l’infanzia d’un mito segue percorsi che rompono gli schemi. Toscano, come Puccini e Mascagni, Andrea Bocelli nasce il 22 settembre 1958 nella

fattoria di famiglia a Lajatico, fra i vigneti della campagna pisana. Ai genitori, il merito di averne incoraggiato il talento, avvicinandolo al pianoforte fin dall’età di sei anni. La passione si estende al flauto e al sax, ma è nella voce che scopre lo strumento ideale. E qui principia il percorso formativo dell’astro Bocelli, tenore “moderno ma all’antica” (come lui stesso ama definirsi). Nel 1970, la prima vittoria ad una competizione canora, interpretando O sole mio. Dopo gli studi con Luciano Bettarini, Bocelli si avvicina a Franco Corelli. Artista verso il quale ha una vera e propria venerazione. Per pagarsi le lezioni, Andrea suona nei locali, e nel frattempo coltiva una cultura umanistica che sfocia nella Laurea in Giurisprudenza.

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Proprio nel periodo che lo vede decollare nella pop music, scoperto da Caterina Caselli e dalla sua etichetta “Sugar”, il tenore ha l’occasione di debuttare sulla scena lirica, nel 1994, in un Macbeth verdiano (ruolo di Macduff) diretto da Claudio Desderi. Per Natale è invitato a cantare Adeste Fideles in San Pietro, davanti al Papa. Non più le aule del tribunale, non più i tasti del pianobar: è l’inizio di una ascesa folgorante, Bocelli trova il palcoscenico. Anzi il palcoscenico trova Bocelli, e non lo lascerà più. Da allora il suo timbro ha ammorbidito il mondo e la sua fama si è incrementata su un’aritmetica esponenziale. Perché “se Dio avesse una voce, sarebbe molto simile a quella di Bocelli”: anche la nota riflessione di Celine Dion ne certifica la dimensione mitica, oltre alla percezione di un dono. Anzi, di un duplice dono, in entrambi i casi totalizzante. Il primo sta in un timbro riconoscibile come una firma, pastoso e potente, versatile al punto da spaziare dal belcanto al furore verista, dal repertorio sacro alla romanza popolare.

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Il secondo è più delicato: l’avventura umana ha portato Andrea Bocelli - nell’adolescenza - ad una diversa abilità che gli ha precluso la vista. Privazione che ha incrementato una sensitività che trasfigura il limite, rendendo ipertrofiche la capacità d’approfondimento del testo e la percezione delle sfumature dell’espressione. Bocelli, superba voce lirica che il teatro d’opera attendeva da anni, “esplode” come fenomeno planetario interpretando una canzone. Una anomalia di percorso con potenzialità divulgative strepitose: una ventata d’aria nuova in un ambito - quello lirico - che rischia di dimenticare la propria vocazione popolare. In ogni angolo del globo risuona in Time to say goodbye, mentre in teatro la stessa vibra nei capolavori del melodramma: una vocalità che unisce il morso del piglio eroico ad una fragranza giovanile da tenore di grazia irrobustito da un timbro insolitamente brunito. Ha del prodigioso, il doppio binario su cui corre la carriera del tenore Andrea Bocelli. 1996: la canzone Con te Partirò (e poi l’arrangiamento in duetto con Sarah Brightman, Time to say goodbye) viene intesa in ogni angolo del globo:

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ovunque si inizia a parlare di “fenomeno Bocelli”,

la cui irruzione nel mondo

discografico - con l’album Romanza - sbaraglia i record di classifica. In Germania, ad esempio, il duetto si attesta quale singolo più venduto di tutti i tempi. Parallelamente il cantante imposta il proprio percorso lirico, secondo un’oculata gestione del mezzo vocale. A Torre del Lago Puccini, nell’estate del 1997, esegue pagine da Madama Butterfly e Tosca, ma anche l’aria “dei 9 do” da La fille du régiment, bissata a furor di popolo. Nel 1998, un nuovo debutto: questa volta è Rodolfo - accanto a Daniela Dessì ne La Bohème di Puccini, a Cagliari. Nello stesso anno, l’incontro con Zubin Mehta ed una prima, felice collaborazione. Anno densissimo, il 1999: debutta all’Arena di Verona, applaudito da diciottomila spettatori. In ottobre, la prima volta statunitense, con Werther di Massenet. Parallelamente, l’uscita dell’album Sogno, al cui interno Andrea canta con Céline Dion The Prayer, già vincitore del Golden Globe Award e poi candidato agli Oscar. Da questo momento il mito di Bocelli, supportato da un enorme successo discografico, cresce a dismisura. I suoi concerti vedono alternarsi sul podio

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mostri sacri quali Lorin Maazel, Seiji Ozawa, Valerij Gergev, Zubin Mehta, Myun Whun Chung. Nel gennaio del 2001, debutta in scena - a Verona - con Amico Fritz di Mascagni; il 28 ottobre è a “Ground Zero”, su invito del sindaco Rudolph Giuliani, e canta l’Ave Maria di Schubert dinnanzi al mondo, per le vittime dell’11 settembre. Nell’estate del 2002 è Pinkerton in Madama Butterfly a Torre del Lago. Dopo ulteriori successi discografici pop e riconoscimenti internazionali, nel 2004 prosegue, assiduo, il contatto con la scena operistica (è Cavaradossi in Tosca, poi il protagonista nel Werther a Bologna) e con le grandi platee concertistiche. Da qui in avanti, una instancabile attività concertistica e lirica, espandendo sempre di più il proprio repertorio, anche in ambiti inediti quali la vocalità barocca e la liederistica. Proprio interpretando un programma liederistico di grande complessità - il progetto internazionale “Notte Illuminata” - nel febbraio 2011, oltre venti minuti di applausi e standing ovation suggellano il debutto dell’artista al Metropolitan Opera House di New York. Città nella quale è tornato il 15 settembre per uno straordinario concerto al

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“Great Lawn” di Central Park, accanto ad artisti quali Bryn Terfel, Celine Dion e Tony Bennett, accompagnato dalla New York Philarmonic Orchestra diretta da Alan Gilbert: un evento eccezionale trasmesso dal canale televisivo WNET ed immortalato in un cd+dvd dal titolo “Concerto: One night in Central Park ” prodotto da Sugar e distribuito in oltre 70 paesi, conquistando al suo debutto la quarta posizione nella classifica americana Billboard 200. Nel febbraio 2012, un ulteriore debutto lirico: Bocelli è sul palcoscenico del teatro Carlo Felice di Genova, nei panni protagonistici del Roméo e Juliette di Gounod, diretto da Fabio Luisi. Una produzione, anche questa, che diventerà presto un DVD. “Più mi addentro nel canto - dice Bocelli - meno comprendo. So solo che Dio mi ha dato una voce che mi permette di esprimere quello che provo, e in questo senso credo di poterla definire una voce riconoscibile”. La vera grandezza di un artista si misura dalla sua umiltà, nonostante la fama planetaria e la consapevolezza della funzione culturale e sociale che il suo nome rappresenta. Finalmente un mito degno dell’ingombrante appellativo. Finalmente una voce per il nuovo millennio.

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SCELTA DI GUSTO

invidiabili scelte

Nociglia - zona industriale

www.alberani.it


INFO E PROVE: Concessionaria Renault Salentauto Lecce - T. 0832.359590 www.salentauto.it

[ LA RIVOLUZIONE ELETTRICA CON LA GAMMA RENAULT Z.E. ] Da una ricerca promossa da Renault e condotta da GfK Eurisko sul tema “Gli italiani e la mobilità elettrica: aspettative e potenzialità”, emerge la fotografia di un automobilista italiano interessato a nuove forme di mobilità tecnologicamente innovative ed eco-compatibili. Renault è la prima casa automobilistica in Italia a presentare una gamma completa di veicoli totalmente elettrici, con quattro modelli che rispondono benissimo alle diverse esigenze degli automobilisti: Kangoo Z.E., prima “furgonetta” commerciale elettrica, incarna il concetto di “mobilità a Zero Emissioni” destinata agli operatori professionali; Fluence Z.E., destinata ad un’utenza familiare, dimostra che il rispetto dell’ambiente è un concetto perfettamente compatibile con seduzione automobilistica, comfort e spazio; Zoe, berlina compatta 5 porte, versatile, dal carattere seducente ed accattivante; infine il primo Urban Crosser Twizy, da poco nei Concessionari, rappresenta una soluzione di mobilità urbana innovativa. Con il telaio a 4 ruote, la nuova Twizy offre un mezzo di trasporto agile, esclusivo e divertente, che risponde perfettamente alle esigenze del traffico cittadino. Grazie alla sua carrozzeria avvolgente, vera e propria “cellula” di sicurezza e serenità, Twizy garantisce un’elevata protezione ai suoi due passeggeri disposti “in tandem”, basata sull’esperienza acquisita da Renault in termini di sicurezza automobilistica. Disponibile in due versioni: Twizy 45, guidabile a partire dai 14 anni con una velocità massima di 45 km/h e Twizy, con velocità massima di 80 Km/h. Ne parliamo con Jacques Bousquet, Presidente di Renault Italia.

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luxury

LE AUTO ELETTRICHE SONO UNA REALTà Nel 2012 è quasi obbligatorio parlare di auto elettriche e mobilità ecocompatibile. È questo il futuro? A che punto siamo di questa svolta epocale? «L’ inquinamento atmosferico è ormai una realtà complessa che sta imponendo una riflessione seria a livello mondiale su come far coesistere lo sviluppo con il rispetto dell’ambiente. Questa riflessione tocca ovviamente anche la mobilità e i trasporti, fra i principali responsabili del peggioramento della qualità dell’aria. I progressi tecnologici hanno portato ad una progressiva e sensibile riduzione delle emissioni inquinanti delle auto. Ma oggi si rende necessaria una svolta più significativa, dove a giocare un ruolo di primaria importanza non può che essere l’auto elettrica, che con le sue Zero Emissioni è la soluzione di mobilità più efficace per l’ambiente. L’auto elettrica è ormai una realtà efficiente da un punto di vista tecnologico e pronta a ridisegnare il volto della mobilità urbana in un’ottica più sostenibile. Ma la vera sfida è la “ democratizzazione” di questa soluzione di mobilità. È questa la sfida che Renault ha deciso di perseguire per consentire una diffusione dei veicoli elettrici su larga scala e che sta guidando tutte le nostre scelte: dagli investimenti che abbiamo messo in campo (4 miliardi di euro, 2.000 persone coinvolte nel programma) alla gamma completa di ben 4 veicoli elettrici che abbiamo sviluppato; dall’ inedito business model con prezzi accessibili alla formazione dell’ intera nostra rete di Concessionarie alla vendita ed all’assistenza dei veicoli elettrici; e per finire, anche una strategia di collaborazione con le società energetiche e le amministrazioni per promuovere la diffusione dell’ infrastruttura di ricarica sul territorio».

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Top Selection

Quali sono i principali vantaggi nell’acquisto di un’auto

produzione, negli ultimi vent’anni?

elettrica? Come si concilia la scelta di un’auto elettrica

«Negli

con il desiderio di potenza e massime prestazioni?

accompagnato da una progressiva attenzione a

«L’auto elettrica non è una soluzione di compromesso.

limitare l’ impatto di essa sull’ambiente. Da qui derivano

La sua tecnologia è evoluta, e si avvale di motori

gli importanti investimenti che l’ industria automobilistica

efficienti e di batterie agli ioni di litio di nuova generazio-

ha fatto alla ricerca di soluzioni sempre più ecologiche:

ne che consentono autonomie coerenti con le esigenze

dai filtri anti-particolato al down-sizing dei motori allo

quotidiane di spostamento. A ciò si aggiungono

stop&start, solo per citarne alcune. Nel caso di Renault,

performance stradali uguali a quelle dei veicoli con

l’attenzione all’ambiente ci sta portando a lavorare in

alimentazione tradizionale, accelerazioni ancora più

parallelo su due fronti: da un lato la riduzione delle

sincere, confort e assoluta silenziosità. Al di là degli

emissioni dei veicoli ad alimentazione tradizionale

aspetti tecnologici, vanno sottolineati inoltre i vantaggi

benzina e diesel e dall’altro il programma di sviluppo

economici, connessi ai deboli costi di manutenzione e

dei veicoli elettrici per perseguire le “zero emissioni”. Sul

soprattutto al costo dell’energia elettrica per la ricarica

primo fronte, mi piace sottolineare i grandi progressi

pari ad 1/3 del costo dei carburanti tradizionali. Merita

compiuti

un approfondimento, infine, il modello industriale e

motorizzazioni che coniugano un downsizing di nuova

commerciale adottato da Renault che ci ha permesso

generazione con una sensibile riduzione dei consumi

ultimi

con

anni

lo

lo

sviluppo

sviluppo

dei

dell’auto

propulsori

è

stato

Energy,

di introdurre sul mercato per la prima volta dei veicoli

di carburante e delle emissioni di CO 2. Quest’anno, ad

elettrici accessibili all’acquisto, grazie anche ad inno-

esempio, stiamo introducendo l’Energy TCe 115 (un 1.2

vative formule di noleggio della batteria».

benzina, che sostituirà progressivamente il 1.6 16v 110

Che cosa è cambiato, nella progettazione e nella

cv), e l’Energy dCi 110 (una completa metamorfosi del 1.5 dCi con un consumo di soli 4 l/100 km)». Precursore in materia, Renault sta presentando in questi mesi le sue innovative proposte e prossimamente potenzierà la sua gamma. Vuole annunciarci qualcosa di più preciso? «Questo è l’anno del debutto della Gamma Renault Z.E., una gamma completa di veicoli elettrici adatti a rispondere alle più diverse esigenze di utilizzo privato e professionale. Twizy è un’ inedita soluzione di mobilità, un urban crosser dal design e dal concetto fortemente innovativi: 4 ruote e 2 posti in linea, perfetta con la sua compattezza e la sua agilità per gli spostamenti urbani. Kangoo Z.E. è la prima furgonetta 100% elettrica ad essere prodotta in fabbrica e rappresenta la soluzione ideale per il trasporto merci in ambito urbano: non a caso ha vinto il titolo di “Van of the Year 2012”. Fluence Z.E., invece, è una berlina grande che dimostra come il rispetto dell’ambiente possa conciliarsi con quel confort, quello spazio e quell’eleganza che per molte famiglie e molte aziende sono fattori irrinunciabili. A questi tre modelli già in commercio, alla fine dell’anno si aggiungerà anche ZOE, primo veicolo elettrico di serie a vantare un’autonomia superiore ai 210 km, dotato dei più avanzati sistemi multimediali (come il tablet Renault R-Link) e capace di recuperare in soli 30 minuti l’80% della sua autonomia, con la ricarica rapida. Le auto elettriche sono quindi arrivate. Per tutti. Pronte da scoprire e provare».

Jacques Bousquet, Presidente di Renault Italia

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luxury


Top Selection

ACCESSO AL CREDITO? PERCHé NO! Le strategie di BPP, “popolare” per definizione

La crisi finanziaria, iniziata nel 2007, acuitasi nell’autunno del 2008 e trascinatasi fino ai giorni d’oggi, ha comportato per larga parte del sistema bancario italiano forti tensioni sia sul versante della provvista, sia su quello del capitale. Le difficoltà degli intermediari, in particolare di quelli di maggiore dimensione, si sono riflesse anche in un inasprimento delle condizioni di offerta di credito alle imprese ed alle famiglie. Le previsioni sfavorevoli sull’evoluzione del quadro congiunturale in Italia nel 2012 e nel 2013 non debbono, tuttavia, intimorire. L’accesso al credito, pur condizionato dai limiti e dai vincoli stabiliti dalle normative di vigilanza, non è una chimera. Ne parliamo con Mauro Buscicchio, Vice Direttore Generale di Banca Popolare Pugliese, una tra le più significative realtà creditizie del Mezzogiorno d’Italia. Azienda giovane con cento anni di storia, Banca Popolare Pugliese nasce infatti dalla fusione fra Popolare Sud Puglia e Popolare di Lecce, due tasselli storici della finanza salentina, che si sono sempre distinti per snellezza operativa e rapidità decisionale. In un periodo di grossa crisi economica internazionale, BPP continua a rappresentare un riferimento per i suoi clienti, e studia nuove opportunità per continuare a garantire il supporto finanziario necessario per aiutare il territorio in difficoltà. La crisi mondiale ha messo in ginocchio l’economia nazionale ed internazionale, acuendo il problema dell’accesso al credito da parte dell’imprese. Com’è la situazione e come si sta comportando, in questo caso, la BPP? «La crisi internazionale ha colpito tutti e, in particolare, le micro-imprese, generando problemi di equilibrio finanziario nella loro gestione. La carenza di capitale proprio porta gli imprenditori a rivolgersi al canale bancario per ottenere ulteriore credito. BPP sta svolgendo la propria attività nel contesto di una situazione critica internazionale, al pari di tutte le altre banche del sistema, ma, a differenza di molte, non ha mai avuto problemi di liquidità e non ha modificato in maniera sostanziale i propri indirizzi in materia di erogazione dei prestiti, continuando ad esaminare

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economia

le domande di finanziamenti pervenute e a concedere credito. A conferma di ciò, nel 2011 si è registrato un incremento degli impieghi verso la clientela di circa il 6%. In questi periodi, però, il rischio di credito aumenta e, quindi, occorre valutare con attenzione le capacità dell’ impresa di poter superare il momento contingente senza eccedere nell’uso della leva finanziaria. Spesso si pensa, e la cattiva informazione consolida questa idea, che le banche abbiano una certa ritrosia a concedere i prestiti. Non può essere così. Le banche italiane svolgono l’attività di intermediazione del credito quale attività principale, da cui ritraggono i maggiori margini di guadagno. Senza dubbio, il credito rappresenta un rischio elevato nella gestione bancaria e incontra un limite sia nelle disponibilità finanziarie sia nella capienza di patrimonio calcolato secondo le normative di vigilanza. Nonostante questo, BPP, come sempre, continua a svolgere il proprio ruolo di sostegno e crescita delle imprese del territorio su cui opera». Con quali misure, quindi, le banche possono venire incontro alle esigenze delle imprese? «In questi casi, come d’altronde in tutte le situazioni in cui si istaura e si consolida il rapporto con l’ impresa, è fondamentale il confronto chiaro e trasparente con l’ imprenditore sulla situazione

Il dr. MAURO BUSCICCHIO, Vice Direttore Generale di Banca Popolare Pugliese

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Top Selection

Il dr. Buscicchio durante l’intervista

aziendale e sulle reali possibilità d’ intervento. L’ interesse della banca è quello di poter venire incontro alle necessità del cliente, salvaguardando l’ integrità dell’ investimento richiesto. Mi sento di poter dire che, la gestione di BPP, seppur improntata a criteri di prudenza e attenzione, è sempre orientata al credito ed al cliente». Ci sono delle novità rispetto a questo argomento? «BPP ha realizzato lo scorso anno un’ importante operazione di aumento di capitale che le ha consentito di rafforzare il proprio patrimonio sia per adeguarlo con largo anticipo alle nuove misure previste da Basilea 3 sia per assicurare anche in futuro il sostegno di credito a famiglie e imprese. La banca, inoltre, continua a sostenere una politica di adeguata remunerazione della raccolta con l’offerta di prodotti semplici e trasparenti. In ultimo, in virtù di recenti disposizioni normative, BPP provvederà ad emettere obbligazioni per l’economia del Meridione, tra le cui caratteristiche vi è la tassazione agevolata al 5% e la destinazione delle somme raccolte in favore del credito alle imprese meridionali. Anche in questo caso, BPP è in prima linea per cogliere le migliori opportunità a sostegno del territorio».

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.


Top Selection

Il Presidente di Peschiulli Insurance Broker, Tommaso Peschiulli

BROKER, PER “TRADIZIONE” Spesso, sentendo parlare di portafogli assicurativi, di gestione di rischi e di consulenze, si pensa ad un mondo freddo, rigido, scevro di storie, di coinvolgimenti, di vita. Eppure, al contrario, dietro a questa apparente rigidità, dettata dalle regole della competitività e dai vincoli del mercato, si nascondono interessanti storie di uomini, e di famiglie. È il caso della Peschiulli Insurance Broker, che nasce nel 1992 ma trova radici sin dalla prima metà del ‘900, quando Andrea Peschiulli, per primo, cominciò a lavorare nel campo delle compagnie assicurative. Una storia ricca di successi e di meriti che va avanti fino ai giorni nostri, e trova in Tommaso Peschiulli, figlio di Andrea, e nei suoi figli Massimo ed Andrea, l’anima e la linfa che la rendono una delle realtà più dinamiche e serie del territorio. Lo Studio di consulenza Assicurativa dispone oggi di professionalità particolarmente significative, per la partecipazione nel suo team di tecnici con esperienze ultratrentennali, maturate presso primarie Società di Assicurazioni di dimensione internazionale. Peschiulli Insurance Broker è attivo in tutti i rami assicurativi, compresi i rami cauzioni e assicurazioni del credito commerciale, industriale e fondiario.

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broker

È abilitato, come Risk Manager, a fornire consulenza e assistenza tecnico assicurativa ad Enti pubblici ed Aziende private, ivi compresa la trattazione e la gestione dei sinistri. Raccontiamo la storia dell’azienda con Tommaso Peschiulli, Presidente della Peschiulli Insurance Broker. Dott. Peschiulli, da dove nasce la vostra storia? «Mio padre, Andrea Peschiulli, già nel ’35 si occupava di assicurazioni, lavorando come Ispettore di Produzione alla Reale Mutua. Continuò la sua attività con le Generali (che all’epoca si chiamava “Anonima Infortuni”) a Bari, poi nel ’38 si trasferì a Lecce. Già a quell’epoca era un uomo di grande successo. Le dico soltanto che, mentre in Italia si cantava “Se potessi avere mille lire al mese”, lui ne guadagnava tremila. Nel ’40, a causa del conflitto mondiale, partì in Albania, dove fu fatto prigioniero. Nonostante la pausa e le difficoltà del dopoguerra, rientrato in Italia nel ’45, l’anno successivo riprese la sua attività, diventando Agente Generale di una nota compagnia assicurativa francese. È stato, per me, un timoniere, una guida, un riferimento, anche se all’ inizio non seguì le sue orme…». Cioè? Come cominciò la sua attività lavorativa? «Vendevo macchine da scrivere e da calcolo per la Olivetti. Lui non era contento, e, ad un certo punto, pretese che molassi il mio lavoro per cominciare

L’Amministratore Delegato, Massimo Peschiulli

a lavorare nel suo ufficio di Gallipoli. Lì la mia permanenza fu molto breve. Qualcuno dice che si chiama destino, altri fortuna, altri merito, fatto sta

I suoi figli l’hanno seguita in questa entusiasmante

che un giorno, presso il “Caffè Buddha”, mentre

avventura…

vendevo una polizza assicurativa ad un cliente, fui

«Si, Massimo, laureato in scienze bancarie e assi-

ascoltato da un professionista di Mantova, che mi

curative, lavora al mio fianco occupandosi fra le

propose un trasferimento a Milano».

altre della consulenza finanziaria per le aziende.

Non se lo lasciò ripetere due volte…

Oggi è Amministratore Delegato dell’ impresa. L’altro

«A Lecce avevo un reddito di 15.000 lire annui, lui

figlio, Andrea, è Consigliere di Amministrazione e

me ne offriva 75.000, non potevo rifiutare. Rimasi

cura gli aspetti commerciali».

a Milano per tre anni, come Ispettore Tecnico alla

Vantate, tra i vostri clienti, Aziende ed Enti di gros-

“Previdente Assicurazioni”. Dopo una breve paren-

sissimo spessore...

tesi a Bari, nel ’70 l’azienda mi chiese di curare la

«Abbiamo il piacere di assistere Aziende commercia-

gestione dell’agenzia di Lecce. Tuttavia, dopo molti

li, industriali ed Enti pubblici con importanti fatturati.

anni al servizio dell’agenzia e stanco di lavorare

I servizi di gestione del portafoglio assicurativo, di ge-

nell’ interesse di terzi, decisi di “mettermi in proprio”

stione dei rischi e di consulenza nei sinistri vengono

scegliendo di stare dalla parte del Cliente fondando il

svolti dallo studio a titolo non oneroso per il cliente, in

primo “Studio di Broker” di assicurazioni del Salento.

quanto commissioni ed onorari vengono riconosciuti

Dal ’92 è cominciata questa avventura, che oggi ci

di volta in volta dalle Imprese Assicuratrici. La gestione

ha visti aprire un recapito su Milano per assistere i

di grosse realtà in Puglia, così come nel Nord Italia,

nostri Clienti del Nord Italia».

ci permette di sviluppare quel potere contrattuale

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Top Selection

nei confronti delle compagnie del quali beneficiano

contrario, rappresentano le Compagnie, delle quali sono

poi anche Aziende nostre clienti di minori dimensioni».

il terminale commerciale sul territorio di competenza.

Perché un’Azienda dovrebbe affidarsi ad un Broker?

Appare evidente che alcuni Agenti hanno buone

«Non tutti conoscono, ancora nel 2012, la differenza

competenze per essere interlocutori tecnicamente

tra un Broker ed un Agente assicurativo. Il Broker, a

preparati in grado di dialogare direttamente con uno

differenza di un Agente, agisce su mandato del Cliente

Studio di brokeraggio per la soluzione negoziata dei

e non della Compagnia, per cui cura gli interessi degli

rischi».

assicurati e ricerca le soluzioni più convenienti tra quelle

Cosa si aspetta per il futuro?

che il mercato assicurativo italiano e internazionale

«Viviamo uno dei periodi più bui che io ricordi. Allo

offrono. Il broker, poi, vanta spesso accordi e con-

stesso tempo, però, continuo a lavorare con impegno

venzioni con Compagnie italiane ed estere create ad

e professionalità, convinto che, proprio in questo pe-

hoc per specifiche categorie di Clienti (Enti pubblici,

riodo, di grandissima difficoltà economica e quindi di

Ordini professionali, proprietari di imbarcazioni), alle

mancanza di liquidità, il lavoro del Broker sia ancora

quali i Clienti non potrebbero accedere attraverso i

più fondamentale: continuiamo sì a fare attenzione ai

canali tradizionali. Tutte queste ragioni messe insieme

costi, questo è evidente, ma soprattutto rimaniamo

rendono il Broker un professionista preparato e in grado

vigili e attenti nel selezionare le Compagnie di assicu-

di trovare la soluzione assicurativa più conveniente per

razione più serie, che garantiscano, nel caso di un

il Cliente. Si potrebbe, per alcuni versi, dire che il Broker

risarcimento alle Imprese, una liquidazione dei danni

è l’ interlocutore naturale delle Aziende, per conto delle

imminente e garantita. Oggi più che mai, il patrimonio

quali valuta i rischi, redige i contratti assicurativi e

delle Aziende, così come il capitale umano, deve

gestisce tecnicamente i sinistri, che poi negozia con

essere tutelato alle migliori condizioni contrattuali ed

Compagnie o Agenzie assicurative. Queste ultime, al

economiche che sia possibile ottenere sul mercato».

Massimo ed il fratello Andrea Peschiulli (A.D. e Consigliere di Amministrazione) con il ritratto del nonno Andrea

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Sandro Chia

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arte

UN MERCATO SENZA CRISI L’arte, un baluardo sicuro nella bufera

Il mercato dell’arte, così come quello del lusso, non conosce flessioni e sembra resistere come un baluardo nella bufera della crisi mondiale. Nonostante il periodo di ingenti difficoltà economiche, sono tantissimi coloro che continuano ad investire in opere d’arte e coloro che continuano a credere nella forza dirompente dell’arte, dedicandole vite, passioni, professioni. Rivolgiamo qualche domanda sul mondo dell’arte, il mercato delle opere, le nuove realtà nel panorama nazionale e mondiale, a Tiziano Giurin, da oltre vent’anni nel campo dell’arte ed Amministratore di una delle più importanti gallerie d’arte di Milano, la Art&Co Gallery. La galleria, seguendo lo stile londinese, berlinese e newyorkese, è volutamente ubicata nella periferia del capoluogo lombardo ed assolve, in primis, la funzione di luogo di aggregazione culturale ed artistica, moltiplicando la sua azione proprio perché logisticamente decentrata a favore delle periferie, spesso al di fuori dei circuiti della cultura e dell’arte. Essa accoglie artisti diversi per stile e formazione, tecniche e supporti, emergenti ed affermati, uniti da un sincero moto di ricerca della vita e della sua bellezza, dell’uomo e delle sue infinite e straordinarie capacità, del tempo e della natura, di quell’arte che vivifica chi la realizza e chi la fruisce.

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Tiziano Giurin e l’opera unica “senza titolo n° 58” di Daniele Misani

Come e quando nasce la sua passione per l’arte? Come si è concretizzata? «Sono vent’anni che mi occupo di arte, sotto varie sfaccettature. Appassionato da sempre, ho trovato la mia realizzazione in Art&Co, galleria d’arte che gestisco ed amministro a Milano insieme a Simone Viola e Gerardo Giurin. Art&Co è tra le prime realtà nel campo dell’arte moderna e contemporanea ad unire le tradizionali attività della galleria d’arte intesa come luogo di cultura, di associazione ed aggregazione di idee con una moderna visione di marketing, proponendosi come azienda orientata al mercato. I nostri spazi si estendono su una superficie di oltre 300 metri quadrati, in una struttura particolarmente adatta allo scouting dei nuovi artisti al fine di dare visibilità e supporto ai futuri protagonisti dell’arte contemporanea». Qual è la situazione attuale nel settore del mercato dell’arte? «Se sta facendo riferimento alla crisi mondiale che ha colpito il mercato nazionale ed internazionale, posso dirle che, in linea di massima, l’arte, così come molti altri beni di lusso, non conosce crisi. Il nostro principale obiettivo resta quello di avvicinare all’arte anche le fascie che per varie ragioni restano ai margini dei circuiti dell’arte. Un obiettivo che negli ultimi anni ci ha premiati, incentivando gli artisti emergenti che notoriamente hanno quotazioni accessibili e sui quali il nostro staff investe promuovendoli attraverso mostre, eventi, fiere e tutto ciò che rende visibile i nuovi talenti dell’arte contemporanea». Quali consigli darebbe a chi volesse fare questo tipo di investimento? «Al di là della scelta estetica, per definizione mutevole, quando si investe in artisti emergenti è fondamentale informarsi sulle garanzie che la galleria offre e su ciò che la stessa mette in campo per sviluppare la visibilità e la crescita degli artisti. Non basta che l’opera sia appoggiata

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arte

in galleria, è necessario, attraverso un’ importante attività di mostre, fiere, eventi e progetti, sostenere gli autori al fine di promuovere il moltiplicatore culturale ed artistico che nel mediolungo periodo impatterà anche sul moltiplicatore economico. In poche parole, non basta acquisire l’opera d’arte di un talento contemporaneo ma è necessario che il talento, attraverso l’attività di visibilità che la galleria attua, diventi una solida realtà artistica e patrimoniale. La galleria, dunque, non può e non deve essere un luogo statico ma dinamico». Come si diventa “artisti”? «Spesso i giovani credono che frequentare un’accademia o una scuola d’arte li autorizzi a sentirsi o a definirsi degli artisti. Non è così. La formazione è sicuramente importante, affina il gusto e perfeziona gli stili, ma un Artista è colui che ha talento, che lo ha saputo riconoscere, che lo sa utilizzare, che lo mette al servizio degli altri con le sue opere, avendo anche l’umiltà ed il sacrificio di saper aspettare». Come si possono aiutare i giovani talenti ad emergere? «I giovani artisti, anche loro, dovrebbero farsi seguire da una realtà che sia da anni nel mondo dell’arte, che li accompagni e li aiuti nel loro sviluppo professionale attraverso aste, mostre, incontri con gli artisti, in modo che il nome e soprattutto i dipinti, entrino nel mondo dell’arte dalla porta principale. Con questo spirito è nato il nostro progetto “ArtevitA”, che organizza mostre ed eventi con i più noti e meno noti protagonisti dell’arte visiva e plastica contemporanea, ponendo particolare attenzione agli artisti ancora “non noti”, ma non per questo meno bravi. A loro dedichiamo mostre personali e collettive, l’ inserimento nei circuiti delle fiere dell’arte italiane ed estere ed una visibilità in location istituzionali pubbliche e private col solo fine di porre una lente di ingrandimento sull’evidente talento».

Marta Bordonali, “Wonder woman”


Top Selection

Potrebbe farci qualche nome interessante di talenti noti ed emergenti? «Per citare qualche nostro artista noto, a gennaio di quest’anno abbiamo dedicato un‘importante mostra al grande maestro della Transavanguardia Sandro Chia, con il Patrocinio della Regione Lombardia. In permanenza fino alla fine di aprile, una personale della nota fotografa internazionale Malena Mazza, una mostra in anteprima in Italia poiché la stessa sarà allestita il prossimo giugno ad Hong Kong, con il Patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura e del Consolato Generale d’Italia ad Hong Kong. Tra gli emergenti mi sento di segnalare l’albanese Helidon Xhixha: conosciuto per il suo stile, realizza opere in acciaio con una tecnica innovativa. I suoi lavori sono presenti in America, Emirati Arabi, Germania, Francia, Austria, Inghilterra, Principato di Monaco, Svizzera, etc. Potrei, poi, farvi il nome di Marta Bordonali, artista con una forte presenza sul mercato nazionale, le cui opere fanno parte delle collezioni di Dolce & Gabbana, Belen Rodriguez e del Presidente dell’Inter Massimo Moratti. Mauro Molle, giovane artista romano, oppure Ylli Plaka, nato a Tirana, dove ha seguito i corsi dello scultore Thoma Thomai. Ed anche Daniele Misani, che progetta e realizza opere, principalmente pittoriche, alla scoperta di nuovi linguaggi e materiali, finalizzati al “raccontare” ed “ illustrare” grandi personaggi e grandi storie. Luciana Gallo, dal tre maggio con un’ importante mostra presso la nostra galleria ed alla quale Giorgio Mondadori ha dedicato un catalogo sull’arte del novecento italiano. Roberta Castellano, che ha affrescato l’ intera cappella al San Raffaele di Milano e che ha realizzato importanti lavori in giro per la nostra splendida Italia. E poi Antonio Perilli, Daniele Fortuna e Steve Barney e tanti altri ancora. Mi piacerebbe chiudere con un auspicio: che questa mia forte passione possa essere utile per far conoscere il mondo dell’arte ad un pubblico sempre più ampio di giovani».

Luciana Gallo, “Sheep in line” - Roberta Castellano, “Rosso Fuoco”


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SE IL MATTONE...è DI PRESTIGIO Il mercato immobiliare ha sempre rappresentato, per gli italiani, l’investimento più sicuro: il desiderio di stabilità e di certezze ha fatto sì che il “mattone” divenisse l’amico più fedele a cui affidare i propri risparmi. Nonostante questa prassi consolidata e le certezze maturate in anni di investimenti sicuri e redditizi, nell’ultimo decennio il paese ha vissuto momenti di difficoltà economica dovuta al crollo dei mercati finanziari (che hanno trasformato i risparmi di una vita in un cumulo di cenere), ai mutamenti dell’asse governativo ed alla stretta sui mutui, registrando, anche nel settore immobiliare, un momento di stallo e di problematicità. Da un lato le riviste condizioni di accesso al credito hanno generato molte difficoltà per il target medio e medio-basso nell’acquisto della prima abitazione con ricorso a mutuo (l’attuale crisi di liquidità bancaria ha causato una forte stretta bancaria nell’erogazione dei mutui, per i quali oggi le banche chiedono ai mutuatari maggiori garanzie a tutela della solvibilità); in secondo luogo anche il target medio alto si è mostrato attendista, in relazione alla nuova imposizione fiscale sugli immobili.

a cura di: ANTONIO MORELLO

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Dopo un primissimo momento di impasse, generato spesso più dal timore che da reali condizioni di difficoltà (soprattutto per i ceti alti), il mercato immobiliare è tornato a respirare (a livello nazionale i volumi di compravendita residenziali hanno registrato un leggero aumento tendenziale), nella consapevolezza, da parte dei clienti più abbienti, che l’investimento nel settore immobiliare continuava ad essere quello più prudente e vantaggioso. Si è quindi ritornati ad investire nel mattone e per il 2012 si prevede un’ulteriore ripresa delle compravendite, di pari passo con la ritrovata propensione delle banche a concedere mutui ed alla parallela riduzione degli spread applicati. Un dato risulta particolarmente interessante: pur essendo calate le vendite del residenziale, sono cresciute vertiginosamente quelle delle seconde case, tra cui tutti quegli immobili siti in località turistiche di prestigio. I voli a basso costo delle compagnie di bandiera ed, in generale, una maggiore tendenza alla mobilità, hanno consentito agli italiani di ampliare le proprie prospettive sul mercato e di provare ad

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investire lontano dal proprio paese di residenza. Dalle colorate palazzine first-decò di Miami ai grigi condomini di Berlino, dai caldi colori del deserto alle azzurre acque del Salento, sono tanti i posti in giro per il mondo su cui investitori stranieri hanno puntato la propria attenzione ed il proprio portafoglio. Ma, a questo punto, una domanda sorge spontanea: perché gli italiani comprano in giro per il mondo, mentre tutto il resto del mondo sogna di comprare un pezzetto di Italia? Le cause sono diverse: c’è chi si muove facendosi indirizzare semplicemente dal proprio gusto per l’esotico, c’è chi cerca di sfuggire alle grinfie del fisco italiano investendo in paesi emergenti e con un basso carico fiscale, magari approfittando di un cambio di valuta favorevole, c’è chi invece scommette sulla crescita economica di un paese triplicando il valore del suo bene in poco tempo. O semplicemente, rimane eternamente valida, anche in questo campo, la regola del giardino del vicino, che appare sempre più verde e rigoglioso: e quindi chi vive in piccole province sogna le grandi metropoli, mentre chi vive in grandi metropoli e con

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una vita di stress sogna i piccoli borghi e la vita di campagna. A conclusione, si può quindi chiaramente affermare che, nonostante il clima di panico e timore che si registra in Italia, il mercato della seconda casa, così come tutto il settore del lusso, non teme crisi né rivali: chi ha denaro sonante non ha motivo per non investirlo nel settore immobiliare, basti pensare alla convenienza di un acquisto in questo particolare periodo storico (in cui prezzi si sono notevolmente abbassati), oppure alla redditività data dalla locazione di un appartamento in una nota località turistica (bastano due soli mesi di locazione per costituire una buona percentuale di redditività), senza considerare, poi, la crescita del valore dello stesso, molto più rapida rispetto al mattone residenziale. E se la fortuna dell’investitore non dovesse essere dalla sua parte e niente andasse per il verso giusto, avrebbe pur sempre un tetto in una bellissima località dove potersi rifugiare, o un capitale immobiliare da rivendere al miglior offerente, per recuperare, qualora ce ne fosse bisogno, il finanziamento iniziale.

Miami - Florida (U.S.A.)

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Š PHOTO: Centre de Presse de Monaco


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UN SOGGIORNO...PRINCIPESCO Le favolose suggestioni della Corniche d’Or

Monaco, Monte-Carlo, Principato: parole magiche, che, soltanto a pronunciarle, evocano un universo di sogni e di suggestione. La posizione eccezionale tra mare e montagna, i giardini, le manifestazioni sportive e culturali, il lusso frenato fanno dello stato monegasco la destinazione ideale per un soggiorno indimenticabile, senza dubbio la meta prediletta per chi ama la “dolce vita” ed il privilegio di usufruire di una selezione infinita di servizi extra-lusso. Da soli o in compagnia, per una vacanza romantica, semplice turismo o per un viaggio d’affari, il Principato di Monaco offre un universo dalle mille sfaccettature, romantico, lussuoso, elegante. In poche parole, principesco. A Monaco le giornate possono susseguirsi senza mai assomigliarsi, le distrazioni sono numerose e variate, tra le quali molteplici eventi e manifestazioni di fama internazionale che richiamano appassionati di mezzo mondo oltre a tutta l’elite internazionale. A gennaio si disputa il Rally di Montecarlo, a metà maggio è imperdibile il GP di Formula 1. Sempre a gennaio si svolge il bellissimo Festival Internazionale del Circo, a marzo il Gran Premio della Magia (con i migliori prestidigitatori del mondo), a luglio il Concorso Internazionale dei Fuochi d’Artificio.


Per non parlare, poi, dei capolavori artistici e architettonici che fanno da cornice alla città. Inaugurato nel 1910 dal suo fondatore il Principe Alberto I, il Museo Oceanografico di Monaco, dedicato a tutte le scienze del mare, è un capolavoro di architettura monumentale. La sua maestosa facciata domina il mare, a picco, da 85 metri. Nelle imponenti sale del “Museo”, aperte al pubblico su due piani, sono presentate collezioni eccezionali di fauna marina, raccolte dal Principe Alberto, numerose specie di animali marini conservati o scheletri (tra cui una balena di 20 metri), modelli di navi-laboratorio del Principe Alberto, realizzazioni artigianali, utilizzando prodotti del mare. Nei sotterranei, il famoso “Acquarium” offre al visitatore l’affascinante spettacolo di una fauna ed una flora marina esuberante. Le specie più rare di pesci dai mille colori, provenienti da tutti i mari del globo, guizzano in 90 vasche direttamente alimentate da acqua marina. Mondo di silenzio, ma anche di bellezza che affascina per le sue meraviglie di forme e di colori. I filmati sul vasto tema del mare, soprattutto quelli realizzati per la televisione dal Comandante Jacques-Yves Cousteau, sono proiettati in continuazione nel ricco scenario della “Sala delle conferenze”, dall’acustica eccezionale (circa 300 posti).

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Infine la terrazza pubblica offre un panorama magnifico che si estende dalla riviera italiana fino al massiccio dell’Esterel. Il Casinò è forse il luogo più rinomato dell’intero Principato, ed è visitato da migliaia di persone che tentano la fortuna e, perché no, anche di scorgere qualche Vip che soggiorna nel vicino Hotel De Paris o presso l’Hermitage. Opera di un architetto entrato nella storia, Charles Garnier, al quale si deve anche la maestosa Operà di Parigi, il Casinò di Monte-Carlo è stato sin dall’origine dedicato all’Arte del Gioco. Costruito nel 1863, addossato al mare, ha visto le ore gloriose di Monte-Carlo e ha dato ai giochi momenti di nobiltà. Con l’invenzione del Jackpot negli anni ‘30, le macchinette a soldi videro il numero dei loro adepti crescere in modo spettacolare per divenire oggi un ingrediente indispensabile delle notti e delle feste. Oggi la tradizione si perpetua e Monte-Carlo continua a rappresentare per i veri giocatori un’autentica referenza. Trente quarante, chemin de fer, banco a due tavoli, roulette inglese e la roulette europea contribuiscono ogni sera a coltivare la leggenda del centenario Casinò. Seguendo le evoluzioni tecniche e le aspirazioni dei giocatori, Monte-Carlo accoglie

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numerosi giochi automatici, sovente inediti e in esclusività, e la Societé des Bains de Mer crea nuovi luoghi affinché la passione viva. Il Café de Paris, dall’atmosfera trepidante, il Sun Casino, piccola Las Vegas del Mediterraneo, o ancora la Sala delle Palme, dove la febbre dei giochi si infiamma d’estate. Ma Monte-Carlo non è solo la meta per i giocatori d’azzardo. C’è spazio per melomani, artisti, semplici sognatori. Il Grimaldi Forum, un centro di esposizioni in funzione da pochi anni, sorge in prossimità della spiaggia, ed ospita innumerevoli opere artistiche e concerti. Impossibile, poi, non citare il Giardino Esotico, che ospita numerosissime specie di piante grasse e non. Al suo interno vi sono delle spettacolari grotte naturali, visitabili, ricche di stalattiti e stalagmiti. Una particolarità delle grotte è che il percorso, che inizia nel punto più alto del Principato, trova la sua massima profondità a diversi metri sotto il livello del mare. In questa compilation di fotogrammi tratti dalla città monegasca, un ultimo cenno è riservato agli amanti del lusso e dello sfarzo: nelle vie del Principato si possono ammirare tante supercars, Ferrari, Bugatti, Lamborghini, Koenigsegg, Porsche, che circolano tra hotel da sogno, boutique da nababbi e yacht da sultani.

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MERCEDES Classe A

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Mercedes CLASSE A 89


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Il Design: Design e dinamismo sono le caratteristiche

Gli elementi tipici del frontale sportivo e allungato sono:

che identificano, fin dal primo sguardo, la nuova Classe

la forma fortemente affusolata, i gruppi ottici originali, la

A, 18 centimetri più bassa rispetto al modello precedente.

mascherina del radiatore con stella centrale e doppie

I designer Mercedes hanno creato un’immagine esterna

lamelle a sinistra e a destra del marchio, come pure le

di forte impatto emotivo, con un carattere estremamente

prese d’aria laterali supplementari. La “dropping line” sulla

dinamico.

fiancata si estende fino al frontale della vettura.

Spigoli ben definiti e superfici tese caratterizzano il design,

Il profilo del tetto confluisce filante nella parte terminale

con un’alternanza di superfici concave e convesse che

appiattita, con lo spoiler che cela in modo invisibile tutte le

crea particolari effetti di luce, soprattutto sulle fiancate,

antenne e che conferisce alla vettura un accento sportivo

caratterizzando l’immagine complessiva della vettura.

nel successivo andamento delle superfici.


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La linea di cintura scorre a forma di cuneo, salendo

I gruppi ottici proseguono la linea delle spalle muscolose

verso il retro. ll bordo strutturale anteriore al disopra del

verso la coda e ne sottolineano l’incisiva larghezza con il

parafango scende morbidamente arcuato verso il retro,

loro orientamento orizzontale. Le funzioni di illuminazione

creando la cosiddetta “dropping line”.

sono affidate a fotoconduttori e moduli a LED.

Le spalle, modellate sopra l’asse posteriore, sottolineano il

Anche qui la collaborazione tra design e aerodinamica

carattere in stile Coupé. Un’altra linea si estende dinamica

appare particolarmente evidente: la superficie dei gruppi

davanti al passaruota posteriore verso l’alto, dove si

ottici posteriori non soltanto è interessante dal punto di vista

esaurisce dolcemente.

estetico, ma al contempo migliora anche l’aerodinamica

La coda decisamente ampia si presenta con un’alternanza

della vettura attraverso spoilerini ben definiti nella parte

di superfici concave e convesse e di spigoli.

posteriore.

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GLI INTERNI: Il design degli interni riflette l’immagine di prestigio e sportività degli esterni, con tutte le superfici degli inserti galvanizzate in Silvershadow, al fine di ottenere l’effetto di vero metallo con “cool touch”. Il quadro è composto da 2 grandi strumenti circolari, ciascuno dotato, a sua volta, di un piccolo strumento. I quadranti delle versioni e dei pacchetti di allestimento sportivi sono dotati di un fondo argentato con motivo a scacchi ed indicatori in rosso. Il volante, a tre razze, viene offerto con 12 tasti e modanatura galvanizzata. A catturare gli sguardi provvedono le bocchette di ventilazione, di tipo aeronautico, e il display a vista, con copertura in nero Pianoforte e cornice argentata. A richiesta, è possibile integrare lo smartphone nel sistema di comando e visualizzazione della vettura. Il carattere sportivo della vettura è accentuato dai sedili integrali con ampie possibilità di personalizzazione. Oltre alla dotazione di base, personalizzabile con numerosi equipaggiamenti a richiesta, la Casa offre tre versioni di allestimento configurate secondo i desideri dei Clienti: Urban, Style e AMG Sport.

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I MOTORi E LA TECNICA: La gamma di motori consente

corsa delle valvole sul lato di aspirazione, la quantità di

di soddisfare ampie aspettative in termini di potenza ed

gas freschi nella fascia di carico parziale viene limitata,

efficienza, con emissioni a partire da soli 99 gr/km CO 2.

riducendo così i consumi.

La nuova generazione di motori a benzina da 1,6 e 2,0

Anche i motori diesel convincono per efficienza e

litri di cilindrata spazia dai 90 kW (122 CV) della A 180,

ecocompatibilità. Il modello A 180 CDI parte con una

passando per i 115 kW (156 CV) della A 200, fino ad

potenza di 80 kW (109 CV) ed una coppia massima di

arrivare ai 155 kW (211 CV) della A 250.

250 Nm, mentre nella A 200 CDI la potenza massima è

Tutti i motori presentano l’abbinamento dell’iniezione diretta

pari a 100 kW (136 CV) e la coppia raggiunge 300 Nm. Il

con il turbocompressore a gas di scarico, un processo

modello A 220 CDI possiede una cilindrata di 2,2 litri, 125

di combustione perfezionato, settori stratificati più ampi

kW (170 CV) e 350 Nm, per prestazioni eccellenti.

per l’esercizio a combustione magra attraverso iniettori

Tutti i motori sono dotati di funzione ECO start/stop di serie

a comando rapido per l’iniezione multipla del carburante.

e possono essere abbinati al nuovo cambio manuale a

Con il CAMTRONIC debutta a livello mondiale un’innova-

sei marce e, a richiesta, al cambio automatico a doppia

zione nel motore da 1,6 litri: grazie alla regolazione della

frizione 7G-DCT.



LIVING THE LEGEND


IL MITO DI HARLEY-DAVIDSON SI RINNOVA cON IL NUOVISSIMO “DYNA SWITCHBACK” Si scrive “Harley” e si pronuncia “Leggenda”. Un nome, quello della celeberrima due ruote americana, che da sempre evoca immagini romantiche di libertà ed indipendenza: lunghe strade da percorrere senza meta, solo per il gusto di vivere il viaggio su una motocicletta da sogno. Il marchio Harley-Davidson incarna questa leggenda e ha generato un vero e proprio stile di vita.


L’ultima nata nell’affascinante famiglia Harley-Davidson è

Alimentata da un portentoso motore che offre ottime

Dyna Switchback, un asso del trasformismo.

prestazioni su strade ed autostrade, è, a parità di cilindrata,

Con borse laterali rigide in tinta con la carrozzeria e il

la custom touring più leggera della sua categoria.

parabrezza montato sulla forcella, Switchback è una

Una nuova geometria dell’avantreno, dei componenti

custom touring.

premium della sospensione, l’ABS di serie ed il pneumatico

Ma in pochi minuti e senza l’ausilio di attrezzi è possibile

anteriore ribassato, le conferiscono, poi, una guida

rimuovere le borse laterali e il parabrezza. Ed ecco che lo

all’insegna dello stile e della manovrabilità.

Switchback si trasforma in una custom cruiser stradale

Eccezionale con e senza borse laterali, la Switchback

con uno scintillante faro nacelle, cerchi in lega di alluminio

è un gioiello di design, caratterizzato da linee classiche,

a cinque razze e manubrio “mini-ape”.

pulite ed essenziali.


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CARATTERISTICHE PRINCIPALI • Motore Twin Cam 103™ da 1690cc (103-ci), montato su supporti elastici, con valori nominali di coppia pari a 126 Nm @ 3500 giri/min. Il motore è dotato di iniezione elettronica sequenziale e cambio Cruise Drive™ a sei marce. • Scarico cromato 2 in 1. • Ammortizzatori posteriori monotubo da 36mm, caricati ad azoto, dotati di molle progressive con precarico regolabile. La forcella anteriore idraulica con steli da 41,3mm e cartuccia idraulica da 20mm offre migliori prestazioni in termini di manovrabilità e comfort di guida. • Il pneumatico anteriore Dunlop® 130/70B18 ribassato e la geometria specifica dell’avantreno riducono gli sforzi nello sterzare e migliorano la risposta della moto. • Borse rigide rimovibili in tinta con la carrozzeria con capacità complessiva di 13,6 kg. La chiave di accensione chiude anche le borse laterali. • Parabrezza a sgancio rapido montato sulla forcella. • Cerchi in lega di alluminio neri a cinque razze lavorate; anteriore da 18” e posteriore da 17”. • Sistema ABS di serie. • Parafanghi anteriore e posteriore avvolgenti. • Faro nacelle cromato. • Foderi forcella e coperture ammortizzatori posteriori cromati. • Console cromata del serbatoio con blocchetto di accensione integrato. • Sella “two-up”, caratterizzata da impuntura custom, alta 695mm e con sezione trasversale stretta che consente alla maggior parte dei piloti di appoggiare saldamente i piedi a terra. • Manubrio “mini ape-hanger” in acciaio inossidabile con riser arretrati. • Serbatoio carburante da 17,8 litri.


LA STORIA: Il mito di Harley-Davidson è nato nel 1903 da

A partire dal dopoguerra, la leggenda entra sempre più a

un’intuizione di Arthur Davidson e William Harley.

far parte della vita quotidiana di milioni di fan nel il mondo.

Come tutte le grandi cose, anche il mito nasce in silenzio

Nel 2003, l’Harley-Davidson, un marchio ormai trasfor-

e prende la forma di una piccola bicicletta motorizzata,

matosi in vero e proprio mito, festeggia il suo centesimo

realizzata nel piccolo garage di Arthur Davidson, affiancato

compleanno, celebrato in grande stile a Milwaukee con

dall’amico William Harley. È questa la prima Harley-

il più grande raduno della storia della casa e, molto

Davidson della storia. Siamo nel 1901, a Milwaukee, negli

probabilmente, della storia del motociclismo in assoluto.

Stati Uniti, piccola cittadina che otterrà la notorietà grazie

Ma non è finita qui. Il 12 luglio 2008 nasce a Milwaukee

al telefilm americano “Happy Days” ed alle avventure dei

il primo Harley-Davidson Museum del mondo, che offre

suoi leggendari protagonisti, Ricky Cunningham e Fonzie.

ai visitatori la possibilità di vivere, tra passato e presente,

A due anni di distanza, nonostante i pochissimi esemplari

quell’atmosfera di libertà, passione e orgoglio “on the

venduti, il 28 agosto 1903 viene fondata la società

road” che rappresentano l’anima della casa americana.

Harley-Davidson. La crescita dell’azienda è graduale ma

Oggi, nel 2012, Harley-Davidson continua a registrare

ininterrotta: nel 1907 le motociclette prodotte sono 150,

risultati incredibili, in termini di produzione di modelli di

mentre nel 1917 addirittura 12.904.

successo e di fedeltà degli appassionati.




EDITORE Giovanni Colella editore@mylifestyle.it DIRETTORE RESPONSABILE Vincenzo Paticchio CAPOREDATTORE Annalisa Nastrini ARTICOLI REDAZIONALI Si ringraziano per la gentile collaborazione: Laura Ceriotti Diego Antenozio Donato Fasano Elena Matteucci Anna Di Risio Carlo Maria Cella Paola Primavera Elena Fumagalli Gian Andrea Positano Benedetta Boni Daniela Pezzetti Carola Muttoni Lucia Re Sartò Renata Fossati Marianna Petruzzi Marta Trezzi redazione@mylifestyle.it IMPAGINAZIONE E GRAFICA Plus - Comunicazione & Eventi FOTOLITO, ALLESTIMENTO E STAMPA Martano Editrice

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MY LIFESTYLE N. 12 Spring 2012 Credits delle immagini in copertina e nella pagina accanto: © Harley-Davidson Autorizzazione del Tribunale di Lecce: n. 1003 del 24/10/2008 È vietata la riproduzione parziale o totale di articoli e immagini senza la preventiva autorizzazione scritta da parte dell’editore

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