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Pakistan – Trekking del Baltoro
Pakistan – Trekking del Baltoro
di Daniele Frescurato
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“Qualcosa è nascosto. Vai a cercarlo. Vai e guarda dietro ai monti. Qualcosa è perso dietro ai monti. È perso e aspetta te. Vai!” [#rudyardkipling]
Dopo due anni di pandemia un viaggio intercontinentale ha un qualcosa di magico. Avevo adocchiato questo trekking nel 2020 e, dopo averlo rimandato a data da destinarsi, quest’anno si è rivelato essere l’anno buono. Questa volta mi sono affidato ad un’agenzia di viaggi italiana, Viaggia con Carlo, che si è appoggiata per le questioni burocratiche a ViaggiGiovani e alla corrispondente agenzia locale Adventure Pakistan.
L'organizzazione del viaggio non ha comportato particolari problemi, anche grazie al supporto e all'esperienza delle agenzie contattate. Alcuni problemi si sono manifestati invece durante lo svolgimento del viaggio, il quale richiede uno spiccato spirito di adattamento.
I mesi prima della partenza sono passati veloci e con l’approssimarsi di agosto è anche salita la tensione per questa avventura fuori dall’ordinario. Io sono partito da Venezia e ho incontrato il resto del gruppo a Istanbul, dove abbiamo fatto scalo per raggiungere la nostra destinazione finale, l’aeroporto di Islamabad. Al gran completo, una squadra di dieci persone, compreso l’assistente di Viaggia con Carlo. Tutte persone piacevole e con esperienza di viaggi/trekking in giro per il mondo. Un gruppo affiatato e preparato è fondamentale per questo tipo di esperienze.
Dopo una giornata dedicata all’adattamento al fuso orario, l’espletamento di aspetti burocratici come il cambio della moneta e una visita a quel poco che
Islamabad ha da offrire, siamo ripartiti per Skardu, nel nord del Pakistan, base di partenza di tutti gli itinerari nel nord del Paese. Per il viaggio di andata, il meteo ci ha gentilmente concesso di effettuare un volo interno che ci ha permesso di gustarci una spettacolare vista sul Nanga Parbat.
Nel pomeriggio abbiamo visitato Skardu con le sue viuzze caotiche che ci hanno fatto entrare in contatto con una versione più autentica del Pakistan rispetto a quella che abbiamo conosciuto nella capitale. L'atmosfera è molto più rilassata e gli stranieri possono tranquillamente aggirarsi per i bazar senza essere fermati dai locali per selfie e/o curiosità come ci è capitato ad Islamabad. Il secondo giorno invece l’ho passato a letto come prima vittima del mal di pancia che poi a rotazione ha colpito più o meno tutti i componenti del gruppo. La dieta pakistana l’ho trovata buona e varia, ma chiaramente i batteri e le abitudini alimentari sono diversi. Di conseguenza, i problemi digestivi sono dietro l’angolo e ci hanno reso complicate alcune giornate.
Ancora frastornato dal malessere il giorno successivo ho affrontato il viaggio in jeep verso Askole, punto di partenza del nostro trekking. Si tratta di un viaggio di circa sette/otto ore, da compiersi su strade sterrate poco più larghe dei mezzi, a picco su fiumi in piena (in successione, l'Indo, lo Shigar e il Braldu), ponti sospesi e guadi che non promettevano nulla di buono. In due punti la strada risultava pure interrotta e abbiamo dovuto aggirarli a piedi con conseguenti cambi di jeep già strategicamente posizionate per collegare i diversi punti.
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Arrivati ad Askole ci siamo accampati presso una sorta di campeggio in attesa della partenza vera e propria del trekking … partenza che abbiamo dovuto rinviare in quanto la data prevista coincideva con una giornata di lutto religioso. Bandiere nere, muezzin operativi a tutte le ore del giorno, reti telefoniche staccate per motivi di sicurezza e portatori che non si sono presentati alla partenza non ci hanno lasciato scelta.
Ci siamo messi il cuore in pace e, armati di pazienza, abbiamo trascorso un giorno di riposo ad Askole, passeggiando in lungo e in largo nel paesino entrando in contatto con la vita quotidiana del Pakistan rurale … Un
villaggio povero di circa 600 abitanti in cui i servizi sono limitati al minimo essenziale. Un vero e proprio tuffo nel passato!
Finalmente il gran giorno della partenza è arrivato e ormai smaniosi di camminare ci siamo avviati lungo la strada per entrare nel parco nazionale del Karakoram centrale. Il trekking in sé è lungo circa 170 chilometri e prevede la risalita del ghiacciaio del Baltoro fino a Concordia, alla confluenza con ghiacciaio del Godwin-Austen, la visita dei campi base del Broad Peak e del K2 con il rientro a Concordia, la deviazione verso il ghiacciaio del Vigne, il superamento del Gondogoro La (punto cruciale e più alto dell’itinerario) e la discesa nella valle di Hushe, il punto finale. Il tempo di percorrenza è di circa 15 giorni, variabili in base alle condizioni meteo, le quali giocano un ruolo fondamentale, vista la quota piuttosto elevata. Le tappe del nostro itinerario sono riportate nella tabella riepilogativa che segue.
Le prime tappe sono quelle che hanno maggior sviluppo (fino a 20 chilometri al giorno). Si tratta di un lungo falsopiano su terreno sassoso e morenico con caldo a volte insopportabile in cui l’attraversamento di guadi minacciosi (affrontati a piedi nudi o con mezzi di fortuna come improbabili cesti di legno attivati con sistemi a carrucole) spezza la monotonia.
La svolta arriva dopo qualche giorno con l’approssimarsi al campo di Urdukas, che ripaga ampiamente l’attesa con una vista meravigliosa sulle Torri di Trango, le Cattedrali del Baltoro e il Paju Peak. Da qui in poi si risale (sempre in falsopiano) il ghiacciaio del Baltoro, anche se il passaggio vero e proprio avviene sul terreno detritico che lo ricopre. La massa del ghiacciaio è molto frastagliata, ricca di corrugamenti, con crepacci, laghi e torrenti superficiali, le cui condizioni cambiano di giorno in giorno.
La vista sulle montagne che lo circondano diventa idilliaca. Ci godiamo infatti la vista delle cime del Masherbrum e del Mustagh Tower, mentre sullo sfondo di fronte a noi si fa sempre più imponente la figura del Gasherbrum IV, quello di Bonatti e Mauri per intenderci.
In una giornata di sole splendida arriviamo finalmente a Concordia, dove si apre un panorama a 360° sulle vette del Karakorum: a destra abbiamo il Chogolisa e il Mitre Peak, mentre di fronte abbiamo il gruppo dei
DATA TAPPA
9/8 Giorno 1: Askole (giornata di lutto religioso) 10/8 Giorno 2: Askole - Joula 11/8 Giorno 3: Joula - Paju 12/8 Giorno 4: Paju - Khoburste 13/8 Giorno 5: Khoburste - Goro I 14/8 Giorno 6: Goro I - Concordia 15/8 Giorno 7: Concordia - Campo Base K2 16/8 Giorno 8: Concordia (giornata di pioggia) 17/8 Giorno 9: Concordia (giornata di pioggia) 18/8 Giorno 10: Concordia - Ali Camp 19/8 Giorno 11: Ali Camp 20/8 Giorno 12: Ali Camp - Kushpang 21/8 Giorno 13: Kushpang - Saicho 22/8 Giorno 14: Saicho - Hushe
Gasherbrum (con il Gasherbrum IV in primo piano). Più a sinistra vediamo il Broad Peak e scorgiamo sua maestà, il K2. La vista è semplicemente meravigliosa e ci lascia senza fiato. Alcune delle montagne più alte del mondo e teatro di imprese alpinistiche che normalmente si leggono sui libri sono lì davanti a noi. La sera all’improvviso la nostra guida locale ci convoca nella loro tenda: con mio grande piacere ho la fortuna di poter conoscere Sajid Ali Sadpara, giovane alpinista pakistano (figlio di Muhammad Ali Sadpara), appena rientrato da un concatenamento tra Gasherbrum I e II senza ossigeno.
In vista di un cambio del meteo nei giorni successivi, senza esitazioni il mattino successivo ci dirigiamo verso il campo base del K2. Lasciato il ghiacciaio del Baltoro si percorre per un tratto il GodwinAusten e, superato il campo base del Broad Peak, raggiungiamo quello del K2 e visitiamo il memorial. Un luogo mistico con cumuli di pietre, incisioni, targhe metalliche e piatti di latta, ciascuno dei quali riporta il nome di uno o più alpinisti morti sulla montagna. Lasciato il campo base del K2, con una lunga ed estenuante marcia facciamo ritorno al campo allestito a Concordia, arrivando al tramonto sotto una leggera pioggia.
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Il tempo si è effettivamente guastato e ci costringe a rimanere fermi a Concordia per i due giorni successivi sotto una pioggia incessante. Qui ci vengono in soccorso carte, dadi e libri che ci siamo portati dall’Italia per ammazzare il tempo.
Al terzo giorno, la situazione meteo migliora leggermente e, aggirato il Mitre Peak, risaliamo il ghiacciaio del Vigne fino a raggiungere l’Ali Camp. Qui recuperiamo (per quanto possibile) le forze e la sera del giorno successivo partiamo alle dieci con le lampade frontali per affrontare il Gondogoro La, scortati da due guide del Rescue Team che guidano il gruppo. Dopo aver superato un tratto di morena, attraversiamo il ghiacciaio e arriviamo alla base del passo. Iniziamo a distinguere i caratteristici seracchi e le corde fisse che proteggono la salita. A parte la quota, la salita si rivela essere relativamente facile da un punto di vista tecnico e arriviamo al passo verso le
quattro del mattino. La parte più insidiosa però è la discesa. Il primo tratto è ripido, franoso e in parte pure ghiacciato. Fortunatamente anche questo tratto è stato attrezzato con corde fisse che agevolano il passaggio. Cerchiamo quindi di affrettare il passo e metterci al riparo dalle scariche. Dopo la prima parte il percorso diventa più facile e finalmente dopo circa dodici ore di cammino siamo al campo di Kushpang.
Negli ultimi giorni attraversiamo la valle di Hushe, con splendidi scorci sul Laila Peak e sul Masherbrum nella parte alta, tra infinite morene, fino alle incredibili fioriture multicolori, gli immancabili cespugli di rosa canina e gli ampi pascoli coltivati che preannunciano il ritorno nella civiltà nei pressi del villaggio di Hushe. Qui ci aspettano un meritato ristoro e le jeep che nel pomeriggio ci riportano a Skardu.
Dopo un preziosissimo giorno di riposo a Skardu, ci avviamo verso il rientro ad Islamabad, questa volta via terra. La prima notte facciamo tappa a Chilas, un anonimo villaggio nei pressi del Nanga Parbat. Anziché proseguire direttamente verso Islamabad, il giorno successivo però si decide di procedere verso Naran, una cittadina che dovrebbe essere di interesse turistico. La scelta non è purtroppo delle migliori in quanto lungo il percorso ci imbattiamo nel monsone che porta con sé piogge incessanti e conseguenti frane. Pochi chilometri prima di Naran di fatto rimaniamo bloccati e passiamo la notte in pullmino anziché in albergo in attesa che alcune ruspe liberino la strada dall’ennesima frana. All’alba per fortuna la strada viene liberata e possiamo procedere con nostro respiro di sollievo. Dopo la notte insonne, dribbliamo altre frane e finalmente ci lasciamo alle spalle le montagne, facciamo un minimo di colazione e arriviamo sani e salvi ad Islamabad a metà pomeriggio. Ci riposiamo alcune ore, usciamo a cena in un ristorante alla moda sulle colline che circondano la città e ci avviamo verso l’aeroporto per rientrare in Italia.
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Questo trekking è sicuramente di grande soddisfazione per chi lo affronta, soprattutto per la possibilità di vedere con i propri occhi montagne leggendarie che hanno segnato la storia dell’alpinismo. Meno interessante è
invece il percorso in sé. La prima parte è abbastanza monotona e condizionata dal caldo. Occorre armarsi di tanta pazienza e di spirito di adattamento. Le differenze culturali possono risultare talvolta snervanti. Usi e costumi sono diversi. I ritmi sono lenti, c’è una mentalità fatalista e in Pakistan è prassi dare una mancia per qualunque cosa. Bisogna pertanto informarsi con l'organizzazione locale sulle entità delle mance per evitare incomprensioni. A livello fisico, il trekking è impegnativo. Non tanto per le difficoltà tecniche, ma piuttosto per la necessità dell’organismo di adattarsi. Oltre alle difficoltà legate alla quota, vanno infatti tenuti in considerazione i potenziali malanni fisici, tra i quali i problemi digestivi e il clima secco che può essere causa di raffreddore e mal di gola. Serve quindi una buona preparazione fisica e va presa in considerazione la possibilità di aggiungere giorni di riposo al fine di migliorare l'acclimatamento ed avere eventuali giorni di recupero.
Rimane però un’avventura indimenticabile che vale la pena di essere vissuta! Dunque … allenatevi e rispolverate i passaporti!