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Le 22 leggi del Marketing: la Digital Version Note a margine al libro “Le 22 immutabili leggi del marketing. Se le ignorate, è a vostro rischio e pericolo!” di Al Ries e Jack Trout, riletto ai tempi della digital disruption
Le dispense di NETT Economy
Formazione e informazione per l’ingresso nei mercati digitali
un progetto appleseed - agenzia di marketing digitale
SOMMARIO
Premessa 1. La legge della Leadership
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2. La legge della categoria
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3. La legge della mente
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4. La legge della percezione
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5. La legge della focalizzazione
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6. La legge dell’esclusività
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7. La Legge della scala
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8. La legge della dualità
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9. La legge dell’opposto
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10. La legge della divisione
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11. La legge della prospettiva
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12. La legge dell’estensione di una linea di prodotti
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13. La legge del sacrificio
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14. La legge degli attributi
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15. La legge della sincerità
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16. La legge della singolarità
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17. La legge dell'imprevedibilità
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18. La legge del successo
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19. La legge del fallimento
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20. La legge della montatura pubblicitaria
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21. La legge dell’accelerazione
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22. La legge delle risorse
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Per concludere
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Le 22 leggi immutabili del marketing - D igital version
Le 22 leggi del marketing: la Digital Version Note a margine al libro “Le 22 immutabili leggi del marketing. Se le ignorate, è a vostro rischio e pericolo!” di Al Ries e Jack Trout, riletto ai tempi della digital disruption.
a cura di Franco Mennella
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Definizione: maggio 2018 NETT Economy è una realizzazione Appleseed srls, agenzia di Marketing digitale
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Premessa Questa nota introduttiva è davvero importante, vi prego di leggerla. Questa dispensa è la trasposizione di quelle che potremmo definire le mie personali “note a margine” di uno dei libri chiave del marketing moderno, un testo dal titolo inequivocabile: “Le 22 immutabili leggi del marketing. Se le ignorate, è a vostro rischio e pericolo!” di Al Ries e Jack Trout. Il libro originale è una disamina accurata e puntuale di diversi scenari di marketing, ricavati attraverso l’analisi di marchi famosi ed il loro modo di gestire il mercato. 22 leggi assolutamente immutabili, sicuramente, ma che il vento impazzito della digital disruption ha comunque scosso parecchio. Partiamo dicendo che la lettura preliminare del libro di Ries e Trout aiuterebbe. Qui ci limiteremo ad enunciare le leggi, estrapolando per ognuna un breve stralcio puramente “narrativo”. Leggendo questa dispensa dovete dare queste leggi per “assodate”, leggendo l’originale ne apprezzereste la dimostrazione. Come cita il titolo di questa dispensa, qui parliamo della digital version di queste leggi, dello scenario nel quale operano oggi, al centro di un mercato stravolto dalla tecnologia digitale. Rimangono “immutabili”, certo, ma fino ad un certo punto; lo scenario 4.0 è troppo lontano dalla visione tradizionale per poterle leggere senza “note a margine”. A questo proposito, dobbiamo sottolineare un concetto. Avete realmente idea di cosa s’intende quando si parla di mercato 4.0? Questa moda di mettere una cifra con il puntozero a seguire per indicare una novità ha fatto perdere molto del significato reale di questo termine, che nasce per indicare delle profonde trasformazioni. Che hanno conseguenze. Nello sviluppo di software siamo abituati a vedere versioni 1.0 che si trasformano progressivamente in 1.1, 1.2, 1.3 e così via. Ad un certo punto si passa alla 2.0. Perché questo salto? Fin quando è stato possibile sono state apportate correzioni ad un sistema, migliorando. funzioni o correggendo errori, ma i meccanismi di base rimangono invariati. Ad un certo punto, però, non basta più correggere e si cambia radicalmente sistema. La conseguenza di questo salto è che, giunti al cambiamento di cifra iniziale, alcune delle applicazioni e dei programmi che usavamo quando si cresceva in decimali non funzionano più, ce ne accorgiamo con gli aggiornamenti “critici” sul nostro smartphone o sul nostro PC. Il sistema è cambiato radicalmente e quelle applicazioni sono obsolete. Nel mercato è lo stesso, e a dettare i tempi di questo cambiamento è la tecnologia digitale, con una progressione inesorabile. Gli anni ‘90 sono i tempi del mercato (e del web) 1.0. Niente di particolarmente sconvolgente, si è trattato solo di accorciare le distanze, di condividere più facilmente informazioni, ma i vecchi siti web erano solo la versione digitale degli o ld media. Pochi parlavano a molti, in forma sostanzialmente unidirezionale. Il salto verso il nuovo millennio ci porta nell’era 2.0. La comunicazione smette di essere unidirezionale, nascono i blog e la possibilità di commentare. Questo mette in gioco anche le aziende, che non possono più permettersi di stare in disparte e devono comprendere come interagire con il proprio mercato.
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Nel frattempo cambia ruolo anche uno dei big player del digitale, Google, che smette di essere un semplice motore di ricerca, diventando un distributore d’informazioni ed uno dei principali player dell’advertising online. La sua prima mossa è stata quella di affinare il sistema, smussando le armi agli smanettoni che puntavano a truccare i risultati di ricerca. Mette al centro i contenuti: testuali, multimediali, di storytelling, di community, non importa. Quello che conta è la qualità del contenuto e, se possibile, la sua unicità. Tutto cambia nuovamente quando social e condivisione globale dei contenuti sparigliano completamente il tavolo. Arriviamo alla 3.0 e il concetto di dematerializzazione d’impresa diventa assoluto: Facebook, il maggiore gestore di contenuti al mondo, non ha un redattore; Uber, la più grande catena di trasporto urbano, non possiede un taxi, AirB&B, uno dei big dell’offerta di ricettività non ha una struttura proprietaria. E oggi le 5 aziende più grandi del pianeta sono digitali, ed hanno scalzato i Paperoni del petrolio e dell’industria pesante. La trasformazione diventa profonda perché il cliente non è più alla fine del processo produttivo, ma al centro. Il suo parere, il grado di soddisfazione, la percezione dell’azienda diventano valori essenziali, amplificati dalla condivisione sui social media. Cambia anche la dinamica di mercato, oggi attraversato da picchi intensi e veloci, fomentati dagli influencer della Rete. Quando esplode una moda non ci mette dei mesi a propagarsi, esplode contemporaneamente su tutti i mercati, auto alimentandosi esponenzialmente per poi saturare il mercato e collassare in periodi brevissimi. Oggi siamo alla versione 4.0 del modo digitale. Cluoding, robotica, IoT, realtà aumentata, connessione globale, profilazione, intelligenza artificiale. Sono tutti termini che hanno lasciato le pagine dei libri di fantascienza e si sono materializzati nella vita reale. Vale tutto quello detto per la 3.0, ma l’automazione, la possibilità di interconnessione e le conquiste della tecnologia rendono tutto immensamente più veloce e dobbiamo farci i conti partendo da una premessa ineludibile: il sistema operativo è cambiato e molte delle vecchie applicazioni non funzionano più. Molto di ciò che sapevamo, che abbiamo provato e che magari ha funzionato fino a ieri, oggi potrebbe essere il nostro principale problema. In meno di trent’anni abbiamo vissuto 4 trasformazioni epocali, ognuna paragonabile alla rivoluzione industriale dell’800, la cui evoluzione ha cavalcato due secoli. E nel frattempo abbiamo vissuto un periodo di crisi che ha fatto riecheggiare il ricordo del crack del ‘29, l'inizio del crollo di un sistema. Parlare di cambiamento è assolutamente un eufemismo: sono radicalmente cambiate le regole di base. La digital disruption è una realtà e sta comportando le stesse conseguenze che ha scatenato la glaciazione al tempo dei dinosauri: ha cambiato completamente lo scenario. I dinosauri, che fino al giorno prima regnavano sul pianeta, non avevano la possibilità di cambiare e adattarsi, a loro non è rimasta altra scelta che estinguersi. In linea puramente teorica noi abbiamo la possibilità di cambiare e adattarci. Ma dobbiamo volerlo. Oppure estinguerci. franco mennella
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1. La legge della Leadership E’ meglio essere i primi che meglio degli altri. Molti ritengono che la questione fondamentale nel marketing sia convincere i potenziali clienti di stare proponendo il prodotto o il servizio migliore. Falso. Se avete una piccola quota di mercato e dovete lottare con concorrenti più grandi e meglio finanziati, in tal caso la vostra strategia di marketing era scorretta sin dall’inizio. Avete violato la prima legge del marketing. La prima legge è senza dubbio la più dura, ma è anche tremendamente vera. Non si sfida Mike Tyson sul ring; le possibilità di vittoria sono poche e l’investimento è altissimo. Per qualche raro caso di successo si contano infiniti e dolorosi fallimenti. Nel mondo digitale la prima legge acquista ancora più valore ed un significato più profondo, ma nello stesso tempo i nuovi scenari ci offrono una possibile via d’uscita alla impossibilità dichiarata di affrontare i mercati presidiati da competitor strutturati. L’impatto del digitale, infatti, ha trasformato il mercato in una sommatoria pressoché infinita di nicchie. Le motivazioni tecniche e socio-economiche che hanno portato a questo scenario le trattiamo in altre sedi, ma il dato è assodato: tutti i mercati sono scomponibili in nicchie. Questo ci offre un ampio ventaglio di canali sui quali giocare e, quindi, la possibilità di aggredire “scientificamente” segmenti e bisogni assolutamente specifici e definiti. Il gioco, quindi, non è tanto quello di dimostrare di essere migliori dei competitor ma piuttosto trovare una nicchia di mercato dove possiamo dominare. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare: la digital disruption non ha moltiplicato solo le nicchie, ma anche i canali, rendendoli accessibili in maniera semplice e, tutto sommato, economica. Una mossa vincente, oltre ad essere “primi sul mercato”, può essere proprio quella di trovare un canale dove possiamo superare la concorrenza. Facciamo un ESEMPIO: se il nostro concorrente è posizionato sulla ricerca organica di Google è davvero la nostra migliore chance spendere tempo e risorse per combatterlo su un terreno dove è già dominante? Oppure è meglio vedere qual è il suo posizionamento su Facebook e verificare se possiamo attaccarlo su quel fronte? In entrambi i casi, nicchia o canale, una competizione non prevede necessariamente uno scontro frontale; trovare il “fianco scoperto” e scegliere quello per attaccare i concorrenti è spesso la scelta più efficace. Non affrontiamo Tyson sul ring, sfidiamolo a scacchi.
2. La legge della categoria Se non potete essere i primi di una categoria, inventatene una nuova in cui diventarlo. “Lear’s” non è la prima rivista femminile. E’ stata la prima rivista per donne mature (quella per le donne che non sono nate ieri). Questo va contro il pensiero del marketing classico, che è orientato alla marca: come convincere la gente a preferire la mia marca? Lasciate perdere la marca. Pensate alle categorie.”
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Risulta abbastanza chiaro come questa legge sia fondamentalmente un corollario della prima. E nella digital version q uesto legame è ancora più netto. Vediamo perché. Conoscevo un ragazzo che, andando al Liceo ai tempi dei Giochi della Gioventù aveva fatto una scelta magari poco sportiva, ma sicuramente molto efficace. Si era iscritto per il lancio del peso, una categoria che i suoi coetanei snobbavano sistematicamente. Questo gli permetteva di andare direttamente alle regionali (era l’unico in provincia) e di competere per andare alle nazionali, ottenendo vacanze e viaggi pagati. Nel marketing è lo stesso, ieri come oggi: se la categoria dove ti trovi a competere è particolarmente affollata o monopolizzata da un Big Player, la migliore strategia è “spezzettare” la categoria madre trovando una (o più) particolarità che permettano di essere più persuasivi rispetto un gruppo di persone che apprezzano specificatamente quella particolarità. Come spiegano gli autori, Lear’s non ha provato a proporsi come rivista per donne, segmento già fortemente presidiato da diversi Big Player. Ha cercato un segmento specifico, una categoria dove poteva essere primo. ESEMPIO Ho un ristorante ed il mio competitor è affermato come leader della ristorazione nel territorio. Uno scontro frontale sarebbe dispendioso ma, analizzando il mercato e verificando i numeri dei possibili target, possiamo scegliere una specializzazione (pesce, dolci, cucina tradizionale, vegana, ecc..) e proporci come il meglio di quella categoria dove, presumibilmente, non avremo competitors. Ecco perché la digital version di questa legge rappresenta una derivazione della prima ma, in parte, anche il suo superamento; gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione ci consentono di analizzare dettagliatamente il mercato, individuare bisogni specifici e creare prodotti che soddisfino in maniera forte uno specifico aspetto delle richieste del mercato. L’impatto digital su questo aspetto è enorme, visto che i nuovi media ci consentono abbastanza agevolmente di intercettare la potenziale clientela interessata alla specificità che intendiamo proporre. Se sono specializzato in menù vegani ci sono centinaia di pagine Facebook dove condividere i miei contenuti e posso agevolmente indirizzare i miei annunci AdWords o Facebook Ads direttamente a quella specifica audience.
3. La legge della mente E’ meglio essere i primi nella mente che i primi sul mercato. “E’ meglio essere i primi nella mente del cliente potenziale che i primi sul mercato. […] Essere i primi nella mente è tutto nel marketing. Essere i primi sul mercato conta solo nella misura in cui vi consente di arrivare per primi nella mente.” La digital version di questa legge potrebbe essere: “Insegui” il tuo potenziale cliente e “colpiscilo” al momento giusto.
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Probabilmente è la legge dove l’impatto del digitale è più forte. L’idea di base è la stessa: essere nella mente del cliente quando sta effettivamente decidendo di comprare. La comunicazione Old Media ci costringeva alla ripetitività ed alla crescita quantitativa dei messaggi. Il primo premio di questa competizione era conquistare il mercato fino a sostituire il nome del prodotto con quello del brand. Bevanda gasata e Coca Cola, Bic al posto di penna, Nutella e crema alla nocciola. Sono casi in cui non riusciamo più a sganciare mentalmente il prodotto dalla marca, e sono casi sicuramente vincenti. Ma per fare questo sono state necessarie risorse e tempo. Nel mondo digitale le cose cambiano. O meglio, possono cambiare. La tecnica di presidio assoluto del mercato e la capacità di entrare stabilmente nella mente del cliente rimane sempre la carta più forte. Ma, considerato come questa opzione non sia sempre disponibile, è importante sapere che la tecnologia ci consente di cambiare le regole del gioco. Invece di entrare nella mente del cliente in maniera indefinita, come sono riuscite a fare le Big Company che abbiamo elencato, possiamo essere presenti in un momento preciso. O comunque nei paraggi di quel momento. Vediamo perché ci conviene farlo.
Gli studi di Google sul percorso di acquisto di un cliente hanno evidenziato un momento denominato ZMOT (Z ero Moment Of Truth, ovvero Momento zero di verità). Rappresenta il momento chiave, l’attimo in cui il cliente sta arrivando ad una decisione di acquisto. Conquistare quel momento è la chiave del successo. Strutturalmente facciamo la stessa cosa declamata dalla terza legge, siamo primi nella mente del cliente. La differenza sta nel “quando” ci siamo.
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I modelli tradizionali ci costringevano ad esserci sempre, in modo da essere presenti anche quando il cliente decideva effettivamente di acquistare il prodotto che promuoviamo. Il modello digitale ci permette di individuare quel “quando” e concentrare i nostri sforzi in quel punto preciso. I canali dove seguire il cliente sono davvero tanti. Su Google, su Facebook, nell'email, nei banner in giro per il web o sullo smartphone La strategia consiste nell’accerchiare ed assediare il potenziale cliente fino a diventare l’opzione migliore nella sua mente nell’unico momento che ci interessa veramente: quando avrà deciso di comprare. Detta in maniera più semplice: fai di tutto per “connetterti” in tutti i modi ai tuoi potenziali clienti ed inseguirli fino a quando non comprano (ed anche dopo). Come costruire correttamente un modello strategico e tecnologico che ci permetta di agire efficacemente in questo senso merita ben altri approfondimenti. Il punto è che questa legge, oggi, conserva il suo potere e probabilmente lo accresce, ma l’approccio per rispettarla è cambiato strutturalmente. Questo aspetto è spesso ignorato dagli imprenditori, che magari si preoccupano di essere “Primi su Google” ma non pensano alla domanda “Quando un utente esce dal mio sito, cosa faccio per fargli ricordare della mia azienda?”
4. La legge della percezione Il marketing non è una battaglia di prodotti, è una battaglia di percezioni. “Molti pensano che il marketing sia una battaglia di prodotti. Immaginano che il prodotto migliore vinca nel lungo periodo […] Poi scendono fiduciosamente nell’arena del marketing, certi di avere il prodotto migliore e che alla fine il prodotto vincerà. E’ un’illusione. Non esiste una realtà oggettiva. Non esistono i fatti. Non esistono i prodotti migliori. Nel mondo del marketing esistono solo percezioni nella mente del cliente effettivo o potenziale. La percezione è la realtà. Tutto il resto è un’illusione. Partiamo da due premesse che sono evidentemente vere ma che spesso dimentichiamo: ● ●
il prodotto migliore NON esiste; avere il prodotto/servizio dalle migliori caratteristiche NON è affatto garanzia di successo.
Eppure, nella comunicazione si tende ad esaltare la qualità del proprio prodotto. Niente di più sbagliato: bisogna comunicare i benefici che il prodotto/servizio porta ai clienti. O meglio, sottolineare allo specifico cliente la soddisfazione del suo bisogno assolutamente personale. Nient’altro, questa è l’unica cosa che interessa al tuo cliente: il vantaggio che avrà dall’acquisto del tuo prodotto/servizio.
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ESEMPI: a) Marco si occupa di Ventilazione Meccanica Controllata (VMC). Come comunicare il servizio 1. Ventilazione Meccanica VMC [Sbagliato] 2. Muffa in casa? Eliminala DEFINITIVAMENTE agendo sulla CAUSA (poco ricambio d’aria) invece che sull’effetto (la muffa sui muri) come fanno tutti. [Giusto] b) Simone si occupa di vendita di depuratori d’acqua domestici. Come comunicare il prodotto 1. Limpida per Natura [ Sbagliato] 2. L’acqua di alta montagna comodamente dal rubinetto di casa! [Giusto] Nel primo caso abbiamo sbagliato usando una definizione tecnica che, probabilmente, il nostro utente non conoscerà o, comunque, non valuterà. Lui ha un problema (la muffa sui muri) e tu gli proponi una soluzione (il ricambio d’aria). Il fatto che questa soluzione, tecnicamente, si chiami Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) è una informazione secondaria e da fornire successivamente. Nel secondo caso, invece, abbiamo sbagliato nel puntare solo sul concetto astratto e sulla supposta qualità di ciò che vendiamo, senza fornire informazioni reali sul prodotto e cioè che parliamo di acqua da bere dal proprio rubinetto di casa. L’obiettivo deve essere l’individuazione dei reali bisogni e problemi dei clienti, ma anche delle parole realmente usate per identificarli. Questo ci permetterà di creare una comunicazione in grado di rispondere ai loro dubbi, problemi o esigenze suggerendo i benefici e vantaggi che il prodotto/servizio porterà loro. Fin qui, in definitiva, siamo rimasti all’interno della parte “immutabile” della legge. La digital version aggiunge delle necessità ineludibili: comprendere le modalità di ricerca dei nostri potenziali clienti e su questo costruire un efficace keyword panel. Con questo termine s’intende il gruppo di parole chiave principali per le quali vorremmo essere trovati sui motori di ricerca e la percezione del cliente ha molto a che vedere con la sua ricerca d’informazioni. ESEMPIO: Tornando all’esempio sui sistemi antimuffa, è improbabile che un utente medio usi un termine tecnico quando cerca la soluzione al suo problema. Più probabilmente utilizzerà termini più strettamente legati all’esigenza. In pratica è più semplice che cerchi “muffa sui muri” piuttosto che “ventilazione meccanica”. Centrare le proprie keyword su questo approccio è la scelta vincente. Torneremo sull’argomento, ma sgombriamo il campo da ogni dubbio: le keywords non si usano più come una volta, quando bastava ripeterle nel testo o “pomparle” con diavolerie da smanettoni. Oggi vanno gestite seguendo una logica diversa, che punti a spiegare correttamente le specificità dei nostri contenuti, piuttosto che intercettare ricerche ampie e fuori obiettivo. Ma, in ogni caso, la gestione delle keywords è la principale chance di essere efficace (e vendere).
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Anche perché, e questo spiega perché questa legge cresca di valore nel mondo digitale, offrire informazioni complete e coerenti col prodotto/servizio offerto è sicuramente il modo corretto per dialogare con gli algoritmi di Google e Facebook. Sono loro, in realtà, a fare la prima cernita. I sistemi di profilazione ad intelligenza artificiale dei grandi colossi digitali hanno l’obiettivo dichiarato di fornire ai propri utenti la risposta più attinente ai loro bisogni. Se riusciamo ad essere chiari, corretti ed efficaci con questi sistemi, saranno loro a svolgere gran parte del duro lavoro della raccolta di potenziali clienti.
5. La legge della focalizzazione Il concetto più potente nel marketing è possedere una parola nella mente del cliente. “Un’azienda può avere un successo incredibile se riesce a trovare il modo di possedere una parola nella mente del cliente potenziale. Non dev’essere una parola complicata né inventata. Le parole migliori sono quelle semplici, prese direttamente dal dizionario. Questa è la legge della focalizzazione. Vi aprite un varco nella mente restringendo la focalizzazione su una singola parola o concetto. Nel marketing è il massimo sacrificio.” Questa legge non viene modificata particolarmente dal vento della digital disruption. Il concetto è sostanzialmente invariato, ma il proliferare di canali possibili dove comunicare costringe ad una maggiore attenzione. Qualcosa varia, per la verità. La possibilità di giocarsi parole “non inventate” oggi è molto difficile. La globalizzazione del mercato ha messo tutti in comunicazione ed è difficile trovare parole non usate in nessun angolo del globo. Ma se evitiamo di intenderla in forma integralista, la validità della legge resta invariata. Dobbiamo solo sforzarci un po’ di più e concederci qualche libertà. Lo stesso progetto NETT Economy si basa su questa idea: una parola coerente con il progetto e comunque comune e memorizzabile (net economy) con una variazione (la doppia T) che la rende unica, sia nella mente che, elemento oggi più rilevante, nella ricerca. Questo significa anche che dobbiamo sottolineare l’unicità nella comunicazione (parlando di NETT economy usiamo spesso la frase “con due T”) ma questo lo affronteremo meglio altrove. Il versante più interessare è che oggi può risultare più efficace impiantare la nostra parola nella mente di Google. Se immetti termini di ricerca come “Enjoy” o, più recentemente, “taste the feeling”, termini assolutamente generici e che affrontano situazioni molto ampie, il sistema di correlazioni dei motori di ricerca non potrà prescindere da come la Coca Cola abbia da tempo “presidiato” questi termini. E questo rappresenta un vantaggio assoluto. In generale, quindi, l’obiettivo è quello di produrre contenuti quantitativamente e, principalmente, qualitativamente adeguati a convincere Google che, ad esempio, il nostro brand di bici da mountain bike sia associato a termini generici che riguardino il nostro mercato, come “cicloturismo”, “passeggiate ecologiche” o quant’altro abbiamo previsto nella nostra strategia di marketing e comunicazione.
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Possedere una parola non serve a molto, però, se non viene associata in forma indissolubile al brand. Per raggiungere questo obiettivo, oggi come ieri, bisogna puntare sulla coerenza complessiva della comunicazione, sia testuale che grafica. Sul versante grafico segnaliamo un termine inglese che: visual hammer. Letteralmente sarebbe martello visivo e indica quei modelli grafici (colori, forme, simboli, parole, ecc…) che vengono usati nella comunicazione del marchio e che diventano così assolut” ed identificativi da rappresentare immediatamente e senza dubbi tutti i valori del brand. L’esempio più da manuale è la “virgola” della Nike o la mela della Apple. Tutti segni minimalisti che spesso bastano ad evocare nella mente del cliente tutta la comunicazione connessa al marchio. Da questo punto di vista non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Ma bisogna stare molto attenti. La grafica non sta più composta all’interno di un foglio A4 stampato in tipografia. Gli stessi contenuti sono visualizzati su smartphone, tablet, schermi del computer, Smart Tv da 70 pollici, smart watch e, a breve, da strumenti di domotica e IoT (Internet of Things). Studiare una comunicazione visiva univoca, oggi, significa tenere conto di questa varietà infinita ed indefinita di possibili visualizzazioni dei nostri contenuti.
6. La legge dell’esclusività Due aziende non possono possedere le stessa parola nella mente del cliente potenziale. Quando un concorrente possiede una parola o una posizione nella mente del cliente potenziale, è inutile tentare di possedere la stessa parola. Nel mondo della comunicazione generale, la legge enunciata rimane invariata. Nel mondo digitale ha bisogno di una postilla. Perché dobbiamo sostituire il termine generico “parola” con quello più specifico di “keyword”. Per non indurre in confusione, ribadiamo come la logica delle keywords è profondamente cambiata rispetto ai ruggenti anni ‘90, dove era tutto uno smanettamento per posizionare artificiosamente keywords ritenute importanti. Oggi le tecniche per intercettare le ricerche sono più evolute, ma anche più efficaci, se le conosci. In ogni caso, però, il posizionamente delle keywords rimane un concetto base e, rielaborando questa legge, possiamo affermare che sia sbagliato puntare a quelle già controllate da concorrenti. La migliore strategia è cercare nuove Parole chiave che la concorrenza non presidia efficacemente. ESEMPIO: Se l’imprenditore vende “mobili per ufficio”, pensa inevitabilmente che il massimo risultato si abbia conquistando il primo posto nelle ricerche della keyword “mobili per ufficio”, così come, se vende “confezionatrici industriali”, vuole essere primo per “confezionatrici”. Purtroppo non funziona così.
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Focalizzare la propria strategia sulla parola chiave principale è probabilmente l’errore più diffuso in questo settore. Le keywords generiche, infatti, sono molto competitive e quindi “costose” da posizionare, e il risultato non è mai garantito. Inoltre, keywords generiche corrispondono spesso ad un intento di ricerca spesso più volto a trovare informazioni che a un vero e proprio acquisto. Bisogna comprendere il nuovo ruolo che le parole chiave hanno nelle strategie di posizionamento sui motori di ricerca. Non basta più sapere semplicemente quali parole cercano gli utenti, ma perché stanno effettuando la ricerca. Il termine genericamente utilizzato è ovviamente inglese, search intent e vuole identificare il motivo che spinge l’utente a cercare qualcosa sui motori di ricerca. In pratica, cerca di definire l’obiettivo della ricerca dell’utente collegandolo al bisogno che vuole soddisfare.
Per sottolineare l’importanza di comprendere il concetto, però, basti pensare come l’intenzione della ricerca sia uno dei fattori più rilevanti tra quelli utilizzati dai motori per organizzare le pagine dei risultati di ricerca. In particolare, la search intent è alla base dell’algoritmo Hummingbird di Google. Il motore di ricerca cerca di comprendere l’intenzione dell’utente sulla base della sua query, per costruire le pagine dei risultati organici della ricerca (SERP) in grado di fornire risposte più vicine al bisogno reale dell’utente. Nel posizionamento sui motori di ricerca, puntare a keywords generali ed ampie rappresenta spesso un grave errore; è necessario piuttosto analizzare e verificare l’esistenza di keywords specifiche con una concorrenza inferiore e che, soprattutto, rappresentano quasi sicuramente utenti più vicini all’acquisto. Vendendo “mobili per ufficio” dovrei essere più interessato ad essere posizionato efficacemente su parole chiave più specifiche come “scrivanie direzionali”, “tavoli sala riunione”, “pareti attrezzate divisorie”, ecc… Riepilogando, la migliore strategia è evitare la corsa al termine generico più competitivo e meno efficace per puntare a parole chiave più specifiche, probabilmente più facili da posizionare e più indicative di un interesse di acquisto da parte dell’utente.
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7. La Legge della scala La strategia da usare dipende da quale piolo della scala occupate. “La vostra strategia di Marketing deve dipendere dalla tempestività con cui siete entrati nella testa della gente e, di conseguenza, da quale piolo della scala occupate. […]” Quando Al Ries Jack Trout parlano di “scala”, vogliono visualizzare il cammino di un’azienda (ovviamente in salita), verso il proprio successo nel mercato. Ogni piolo è un passo in più. Su questa legge, l’effetto digital è particolarmente forte perché, anche se ne cambia di poco il significato, ne ha stravolto i numeri e l’impatto. Qualsiasi consulente ha sentito dire dai propri clienti la frase “Ma la tale azienda usa questa strategia e sta facendo un sacco di soldi.” Questo succede da sempre ma il mondo digitale ha aumentato all’inverosimile la possibilità di conoscere “storie di successo”. Quando vedete una storia di successo, però, vedete soltanto il finale, e anche nei film horror ci può essere il lieto fine. Ma solo se siete disposti a sopportare l'orrore precedente. Questo per dire che il cammino di un’azienda è difficile e gli snodi dove si annida il fallimento sono tanti: crollo emotivo, insufficienza finanziaria, possibilità alternative, ecc… Chi ha avuto successo e attua una specifica azione ha alle sue spalle il superamento di questi ostacoli. Prima di seguire una strada, assicuratevi di essere attrezzati per farlo. Inoltre, quando analizzate una storia di successo dovete mettere in conto la possibilità che quel segmento si sia esaurito o che, comunque, sia stabilmente presidato da competitors che sarebbe costoso ed impegnativo provare a scalzare. Senza alcuna reale garanzia di successo. E poi c’è lo Shark Fin. Il ciclo di vita di un prodotto, nel mondo digitale, si è fortemente contratto. Cicli che si misuravano in mesi ed anni oggi si misurano in settimane. Anche questo è un argomento che ha bisogno di più impegnativi approfondimenti, ma il grafico sottostante da un quadro preciso che dovrebbe bastare per far comprendere la rivoluzione dei mercati nell’era digitale.
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La velocità dei mercati rende ancora più rischioso guardare le storie di successo: quando le conoscete anche voi potreste essere dal lato sbagliato della curva. Questo per quanto riguarda l’impatto del digitale, ma torniamo alla legge in sé e ai “pioli della scala”. ESEMPIO Un imprenditore ha ideato un prodotto nuovo nella sua categoria e dopo l’analisi decide di promuoverlo realizzando una landing page da sponsorizzare con Google Adwords e Facebook Ads. Nel realizzare la landing, ad un certo punto si chiede: “Ma se nella landing mettiamo il pre ordine come fa Remarkable?” L’idea proposta è quella di copiare una strategia vincente vista precedentemente, inserendo nella landing la possibilità di un pre-acquisto del prodotto, ad un prezzo scontato, come faceva all’epoca Remarkable, un prodotto anch’esso in fase di lancio. La Legge della Scala, però, ci spiega come questo sia assolutamente un errore perché non tiene conto di un fatto estremamente importante: il nostro imprenditore partiva da un piolo diverso rispetto a Remarkable. Stiamo parlando di una piccola azienda, come milioni di piccole aziende italiane, sconosciute al pubblico. Così come era totalmente sconosciuto il prodotto, ancora in fase di progettazione e non disponibile sul mercato. Remarkable, sebbene anch’esso all’epoca dei fatti non fosse ancora sul mercato, è stato ideato e prodotto da una StartUp Norvegese che aveva a disposizione “una macchina del marketing” ben finanziata, come dimostrano le notizie pubblicate online già dal 2016, quando invece la vendita del prodotto è stata disponibile solo dall’estate 2017. In pratica, aveva le “carte in regola” per costruire la credibilità necessaria a porre il potenziale cliente in una condizione favorevole all’acquisto. Possiamo non averne la forza, potremmo essere in ritardo, potrebbero mancare i presupposti. Le possibile cause sono tante, la conclusione è unica: copiare una “strategia” non essendo neanche lontanamente nella situazione di chi l’ha messa in pratica è una via sicura verso il fallimento.
8. La legge della dualità A lungo andare ogni mercato diventa una corsa a due cavalli. All’inizio una nuova categoria è una scala con molti pioli. Gradualmente la scala diventa una faccenda a due pioli. Nel settore batterie ci sono Eveready e Duracell. In quello della pellicola fotografica, Kodak e Fuji. Nel noleggio auto, Hertz e Avis. Nei collutori, Listerine e Scope. Negli hamburger, Mc’Donald’s e Burger King. Nelle scarpe da ginnastica, Nike e Reebok. Nei dentifrici, Crest e Colgate. Se valutate gli effetti futuri del marketing, scoprirete che in generale la battaglia si riduce ad uno scontro titanico fra due contendenti principali – di solito la vecchia marca affidabile e quella nuova. Questa legge è tristemente vera ed inflessibile se parliamo di sistemi macroeconomici e Big Company. Bene o male regge anche a livelli più piccoli, ma se una Big Company che presidia un settore possiede le risorse per occupare ogni ambito ed aspetto, la stessa cosa non vale sempre nei mercati più piccoli.
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I mercati dove a competere sono le PMI sono sempre pieni di segmenti non sfruttati, di ambiti non presidiati, di nicchie ancora percorribili e la capillarità dei mercati digitali consente di individuarli e di raggiungerli. Sul versante economico ci saranno sempre i due Big Player a contendersi il grosso della torta, ma intorno a loro una galassia di PMI ha la possibilità di ricavare agevolmente uno spazio di vivibilità, spesso anche approfittando di dati e strumenti messi in gioco dai due più grandi competitors. Possiamo dire che la Legge della dualità viene in parte superata dalla digital disruption. I canali digitali permettono di intercettare segmenti su aree territoriali che prima erano inaccessibili alle piccole imprese. Solo le grandi aziende avevano la forza economica ed organizzativa per supportare i costi di comunicazione, di marketing e di logistica su aree territorialmente molto ampie. Raggiungere economie di scala era il vero (e quasi unico) fattore competitivo. Oggi possiamo vendere in tutto il mondo, il digitale ci ha aperto una strada potenziale verso milioni di nuovi possibili clienti. A patto che non dimentichiamo mai che ci ha messo a fianco di migliaia di concorrenti, molti dei quali particolarmente preparati ed agguerriti. Grandi opportunità, quindi, ma anche la necessità di attrezzarsi per coglierle. In più è nato un modello di business che consente l’accesso alle PMI a servizi, tecnologie e consulenze fino a qualche anno fa inaccessibili. I servizi vengono venduti “su misura”, la logica del cloud consente di accedere a software avanzatissimi pagandone effettivamente l’utilizzo (Google Cloud offre la tariffazione al secondo) e, per i più innovativi, la sharing economy consente di realizzare gruppi di acquisto, contrattazioni collettive, ecc… Anche in questo caso sono temi che vanno sviscerati nel particolare, ma adesso possiamo trarne una conclusione. I mercati tendono comunque a prevedere una corsa a due nei piani alti della classifica, ma il mondo digitale, come è stato già sottolineato in molte leggi già analizzate, consente l’individuazione di segmenti, nicchie o comunque canali percorribili per consentire un business “di secondo livello” dove la competizione è tra le PMI. L’importante è non dimenticare mai come questo “secondo livello”, oggi, veda PMI agguerritissime che conoscono e sfruttano a pieno le opportunità dei nuovi modelli. Possedere almeno lo stesso livello di competenze è la base minima per la competizione.
9. La legge dell’opposto Se vi battete per il secondo posto, la vostra strategia è dettata dal leader. Nella forza c’è debolezza. Dovunque il leader è forte, un aspirante n. 2 ha l’opportunità di capovolgere la situazione. Allo stesso modo in cui un lottatore usa la forza dell’avversario contro di lui, così un’azienda dovrebbe sfruttare la forza del leader, facendone una debolezza. Il punto debole della concorrente può essere trovato nella sua forza: il marketing dell’azienda, almeno in parte, può essere costruito anche sul (o meglio contro) il concorrente. Non sempre e con molta attenzione, ma il risultato, quando ci si riesce, è dirompente perché ci permette di utilizzare a nostro vantaggio la capacità di penetrazione del mercato del competitor che si trova davanti a noi.
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La rivoluzione digitale influenza pochissimo questa legge, ma la rende più facile da mettere in pratica grazie ai meccanismi di segmentazione del mercato. ESEMPIO: Un mobiliere specializzato nella vendita di cucine di livello medio alto che nella sua comunicazione parla di Ikea sottolineando la scomodità di montarsi i mobili, storico “punto di debolezza” della società svedese. La domanda deve essere: siamo sicuri che questo possa essere visto come un punto debole da chi deve comprare la cucina? In realtà questo problema è stato superato da tempo dalla comunicazione di Ikea che lo ha fatto percepire come parte della motivazione del basso prezzo al posto della normale equivalenza tra il risparmio e la bassa qualità. Proviamo, invece, a vedere come potremmo contrastarli sul loro punto di forza. In questo caso, il punto di forza Ikea è proprio il low cost, il prezzo basso. Immaginate una coppia che debba arredare casa e, come tutti, visiti diversi mobilifici. In una larga percentuale si potrà notare come, se per i bagni o i complementi d’arredo Ikea & Company vengono solitamente presi in considerazione, per la cucina il discorso è radicalmente diverso. La cucina doveva essere “buona”. Le motivazioni sono di natura sia psicologica che pratica, ma sicuramente quella dell’Ikea non è percepita come “buona”. Dopotutto, si tratta di un nuovo richiamo della quarta legge: non è una battaglia di prodotti, ma di percezioni. E i sistemi digitali ci rendono anche molto semplice intercettare quello specifico target che potrebbe essere sensibile a questo tipo di comunicazione. Impostare la comunicazione contrastando il competitor maggiore sul suo punto di forza, in questo caso sottolineando la percezione diffusa che il basso prezzo sia legato ad una bassa qualità, può risultare vincente. In particolare in un segmento (le cucine) dove la percezione della qualità è una determinante leva d’acquisto.
10. La legge della divisione Nel tempo una categoria si dividerà in due o più categorie. Come un’ameba che si divide dentro una capsula di Petri, l’arena del marketing può essere vista come un mare di categorie in continua espansione. Una categoria inizia come singola entità. I computer, ad esempio. Tuttavia, nel tempo si fraziona in altri segmenti. Mainframe, minicomputer, workstation, personal computer, laptop, notebook, pen computer. Al Ries e Jack Trout nel libro ci spiegano che una categoria nel tempo è destinata a dividersi in diverse altre categorie (come abbiamo visto sopra nell’esempio sui computer). Nel Marketing Digitale questa legge fa immediatamente pensare alla “coda lunga” della SEO. Rimandando l’approfondimento ad altri testi, qui ci basta sapere che per Long Tail s’intende una visione del mercato che divide i “blockbuster” (prodotti ad alta vendita, parole chiave ad alta ricerca, mercati a forte competizione, ecc…) dagli infiniti segmenti di piccoli prodotti (o piccoli mercati, o chiavi di ricerca con molti termini, ecc..) che, insieme, compongono il
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mercato. Nella visione “long tail”, la somma dei piccoli segmenti supera di gran lunga la somma dei blockbuster. Nelle politiche SEO l’utilizzo delle tecniche Long tail è determinante. Il mercato delle keyword secche e ad alto traffico è fortemente competitivo e, inoltre, la “vittoria” di una strategia SEO puntata sulle keyword generiche non sempre corrisponde al raggiungimento degli obiettivi di marketing, attirando anche target non perfettamente corrispondenti agli obiettivi fissati.
Con la parola chiave “animali domestici” intercettiamo tutte le tipologie di passioni legate agli animali da tenere in casa, ma se, per esempio, dobbiamo vendere collari antipulci per cani ci troveremmo ad intercettare larghe fasce di pubblico che non fanno parte del nostro target con spreco di tempo e risorse. Chi si fa attizzare dalla passione per la SEO commette spesso un grosso errore, soprattutto se è alle prime armi. L’errore è quello di provare a scalare le SERP utilizzando chiavi secche, spesso costituite da una singola parola per poi accorgersi, magari dopo settimane (o addirittura mesi) che il gioco non vale la candela. E che si potevano magari ottenere risultati molto più interessanti, in termini di traffico e conversioni, puntando su chiavi più lunghe e semplici da posizionare. Alla fine tutto si riduce ad una semplice azione: individuare i modi in cui la gente cerca un prodotto o un servizio e produrre contenuti coerenti su cui farli atterrare. Dopo tutto ne parlavamo già analizzando la seconda legge: spezzettare il mercato in nicchie e categorie è la chiave del successo. Individuare e conquistare le parole di quello specifico segmento è il modo per conquistarlo. ESEMPIO Un Personal Trainer divide la propria clientela i due categorie: maschi con la pancia e donne con la cellulite. Nel suo sito/blog presenta sia contenuti dedicati agli uomini per buttar giù la pancia che alle donne per smaltire la cellulite. Grazie a questo potrà intercettare, ad esempio su Facebook, i due target di clienti in maniera separata e, quindi, più efficace. I sistemi di promozione digitale (AdWords e Facebook Ads in testa) si basano tutti sullo stesso concetto: funzionano meglio su obiettivi e target piccoli e definiti.
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11. La legge della prospettiva Gli effetti del marketing si fanno sentire nell’arco di un periodo di tempo prolungato. L’alcol è un eccitante o un sedativo? Visitando un qualsiasi bar o grill-room, il venerdì sera dopo il lavoro, quasi sempre definireste l’alcol come un eccitante. Il rumore e le risate sono prove concrete dei suoi effetti stimolanti. Eppure alle quattro del mattino, vedendo alcuni fruitore dell’happy hour che smaltiscono la sbornia per strada, lo definireste più come un sedativo. Chimicamente l’alcol è un forte sedativo. Tuttavia, nel breve termine agisce come eccitante poiché riduce le inibizioni. Molte mosse di marketing evidenziano lo stesso fenomeno. Gli effetti a lungo termine sono spesso il contrario di quelli a breve termine. Se parti da Zero ci vuole pazienza. Devi piantare il tuo seme e aspettare che cresca il tuo albero dei clienti. Ci sono business per i quali la fiducia dei clienti potenziali la si costruisce nel tempo. Ci vuole tempo. Se vendi un prodotto/servizio per il quale i tuoi clienti impiegano mesi per arrivare alla decisione, non si può pretendere di ottenere risultati degni di nota da una campagna di Marketing Digitale di poche settimane. Ma prima del mercato, per passare alla digital version della legge, ci sono i canali: Google, Facebook, Twitter e il digitale nel suo complesso, con la sua rete di device, applicazioni, aggregatori ecc… C’è una parola che ha un senso assoluto nei mercati digitali: trust, fiducia. Immaginate la mole immensa di dati che sistemi come Google e Facebook devono analizzare per costruire il risultato della vostra ricerca o il vostro wall. Sono le due compagnie più grandi al mondo ma la loro potenza ed il loro reddito è basato sull’affidabilità delle loro proposte e sulla coerenza dei contenuti mostrati all’utente rispetto le sue aspettative. Agli inizi del millennio si è combattuta una vera e propria guerra tra i webmaster smanettoni che sapevano manipolare i risultati delle ricerche e Google. Inutile sottolineare chi abbia vinto. Ma la guerra non è finita e i motori di ricerca studiano quotidianamente nuovi modi per essere certi di fornirci sempre i risultati che noi stiamo cercando. Se qualcuno cerca “sdraio da spiaggia”, non si accontenteranno di una semplice generica affermazione sulla pagina dove abbiamo scritto “sdraio da spiaggia” 15 volte di seguito. Cercheranno di comprendere se sei la migliore scelta per il loro utente oppure no. Se non li convinciamo del tutto sceglieranno un altro che gli algoritmi hanno ritenuto più affidabile. Come si ottiene il trust? Con una buona programmazione, con i giusti contenuti, con una strategia efficace. E con il tempo. Il marketing funziona, ma solo se lo usi correttamente e nei tempi giusti, non pensando che sia una bacchetta magica che moltiplicherà il fatturato della tua azienda. Questo vuol dire che non ha molto senso spendere cifre consistenti nei sistemi di advertising senza avere “preparato il terreno”. Il punto è superare il vecchio concetto di “pubblicità”, che metteva la vendita come diretta conseguenza della promozione. Semplicemente non funziona più così. Si attuano strategie di medio e lungo periodo, si fa uno screening del mercato, si individuano i segmenti dove agire. E poi si agisce.
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Quando pubblicate un post su Facebook, nei 30 secondi che impiegate a scriverlo, saranno stati pubblicati oltre 1 milione e 600 mila altri post. Negli stessi 30 secondi sono stati spesi quasi 50 mila dollari soltanto su AdWords. Pensare che un post o una campagna possa avere successo con questi numeri è davvero illogico.
12. La legge dell’estensione di una linea di prodotti C’era una pulsione irresistibile ad estendere il patrimonio di marca. Quando cercate di essere tutto per tutti, inevitabilmente finite nei guai. “Preferisco essere forte in qualche cosa”, h a dichiarato un manager. “Piuttosto che debole in tutto”. La digital version, in questo caso, è praticamente diretta: concentra i tuoi sforzi in un “Funnel di Promozione” online alla volta e fallo funzionare. Solo dopo pensa ad altro. Se Ries e Trout nel libro parlano di come l’estensione di linea dei prodotti disperda le risorse delle aziende, la stessa cosa può essere applicata all’estensione dei Funnel di promozione. Ovviamente qui sarebbe il caso di parlare di cosa sia un Funnel, ma come abbiamo spesso ribadito in queste pagine, sono argomenti che necessitano di approfondimenti dettagliati. In questa sede ci limitiamo a darne una definizione sommaria. Il funnel rappresenta il percorso che una persona potenzialmente interessata ad un prodotto o un servizio compie prima del suo acquisto. Genera diverse figure, attraverso il processo di Lead nurturing, ovvero la costruzione di rapporti con i potenziali clienti, anche se questi non stanno attualmente cercando di acquistare un prodotto o servizio. In base alla profondità del rapporto i soggetti nel funnel vengono progressivamente definiti seguendo questo schema di progressione:
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● Visitors - individui o organizzazioni con un potenziale bisogno del prodotto o servizio - vengono raccolti con campagne mirate; ● Leads - visitors con la conoscenza diretta del prodotto o servizio - vengono coltivati con azioni dirette; ● Prospects - leads altamente interessati al prodotto o servizio e già contattati - vengono invitati apertamente all’acquisto; ● Customers - prospects che hanno già acquistato un prodotto o servizio - si coltiva il customer care. Il funnel è una strategia, ha bisogno di programmazione coerente, progettazione efficace e risorse adeguate. Inoltre va costantemente analizzata per ottimizzare ogni singolo passaggio e migliorare efficacia ed efficienza. Questo vuol dire anche (e forse soprattutto), un focus specifico di tutta l’azienda che deve essere concentrata su questo processo. Questo potrebbe far pensare che basti avere molte risorse per aprire più funnel contemporaneamente. Ma non è esattamente così. Il problema si pone anche nell’analisi dei risultati del funnel. Se si considera come, alla fine, il vero dato che sancisce il risultato di una strategia di marketing è la redditività finale e, in particolare, il ROI1 dello specifico investimento, mettere in parallelo due azioni non ancora consolidate “sporcherebbe” i risultati di entrambe le azioni, rendendo più complessa l’analisi e, quindi, l’ottimizzazione. Insomma, non ha senso aprire troppi fronti quando si combattono battaglie delicate. ESEMPIO Una campagna su Adwords, per promuovere la vendita su Google di prodotti Si parte a marzo da zero e si lavora tanto, con scarsi risultati nelle prime settimane (come era prevedibile) che però pian piano migliorano. Si arriva a luglio ad avere un tasso di conversione del 5,76%. Può essere un buon momento per, ad esempio, lasciare AdWords ed aprire un Funnel su Facebook? Assolutamente no! Il principale errore è quello di pensare di “estendere il Funnel di promozione”, abbandonando uno strumento che aveva cominciato ad ottenere risultati per passare ad un’altra promozione per la quale dobbiamo cominciare da zero, senza dati di riferimento. Banalmente si tratta di lasciare il certo per l’incerto, quando “il certo” sta dando risultati. Ma non avrebbe funzionato molto meglio anche un affiancamento così prematuro. Nella migliore delle ipotesi, due campagne non ottimizzate tendono a sovrapporsi con uno spreco
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Return On Investment, l’effettivo ritorno economico e di risorse dell’investimento
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consistente di risorse e, come abbiamo detto, comporta anche una sostanzialmente minore affidabilità dei dati di feedback. In ogni caso significa “aprire una nuova linea di prodotti”, approccio che viola la legge dell’estensione. L’ipotesi migliore è quella di continuare col primo strumento, con l’obiettivo di migliorare ancora le performance e, raggiunto davvero un livello ottimale e stabile, affiancare (e non sostituire) un secondo “Funnel di promozione”. Ovviamente stiamo parlando di funnel “che funzionano”. Va da sé che sono il feedback e l’analisi del ROI a dettare i tempi e le risorse assegnate alla strategia. Squadra vincente non si cambia, ma se comincia a zoppicare, o si aggiusta o si cambia. Ma tornando allo spirito iniziale della legge sulle estensioni delle linee di prodotto c’è anche un altro elemento, fortemente e tipicamente digital, da tenere in considerazione: la rete sociale. Concentrandosi in una comunicazione “di nicchia” tenderemo a intercettare persone con grandi “passioni”. Più la nicchia è ridotta, in linea di massima, maggiore è l’intensità della passione. Tra gli appassionati di calcio ci sono sicuramente molti (e rumorosi) ultrà, ma la maggior parte sono semplicemente “interessati”. Gli appassionati di tiro con l’arco sono infinitamente meno, ma sono quasi tutti “ultrà”. Nella comunicazione social questo rende tutto diverso: una persona genericamente “interessata” magari sarà intercettata dal contenuto ma non ne sarà coinvolta. Gli “ultrà”, invece, leggeranno, metteranno “Mi Piace”, condivideranno, interagiranno. In questo modo rilanciano all’interno della loro cerchia il nostro messaggio, supportandoci nella comunicazione. Rivolgendo l’attenzione verso pubblici ampi, una consistente percentuale delle nostre risorse sarà indirizzata verso soggetti semplicemente “interessati” che potranno anche essere raggiunti dal nostro messaggio, ma tutto si interrompe lì. Nella comunicazione verso gli “ultrà”, il raggiungimento equivale spesso all’inizio di un nuovo percorso all’interno della cerchia dei suoi contatti. La comunicazione prosegue e si allarga “gratuitamente”. Eliminiamo un altro equivoco continuando l’esempio sul calcio. Se attuiamo una comunicazione generalista rivolta a tutti (interessati ed ultrà) non abbiamo “allargato”. Quelli che abbiamo definito genericamente “ultrà”, sono in realtà interessati ad una specifica squadra e, quindi, saranno raggiunti più efficacemente da comunicazioni più mirate. Ci troveremmo quindi a presidiare un ampio pubblico di “interessati”, mentre gli “ultrà” verrebbero soltanto sfiorati dalla comunicazione, senza garanzia di coinvolgimento.
13. La legge del sacrificio Bisogna rinunciare a qualcosa per ottenere qualcosa. La legge del sacrificio è il corollario della legge dell’estensione di una linea di prodotti. Se volete avere successo oggi, dovete rinunciare a qualcosa. Le cose da sacrificare sono tre: la linea di prodotti, il target di mercato ed il cambiamento costante. Concentrati su un SOLO obiettivo, quando lo centri ne punti un altro.
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Abbiamo già esplorato questo versante analizzando la dodicesima legge, ma qui possiamo entrare, rimanendo strettamente nella digital version, su un aspetto specifico che riguarda gli investimenti nell’advertising puro: le inserzioni su AdWords e Facebook Ads, per esempio. Ma anche la scelta nel “dispiegamento sul web” della nostra comunicazione. Abbiamo ribadito in ogni modo possibile che si tratta di una battaglia costruita sulla conquista di singole nicchie, assumendo (e verificando) che queste nicchie siano numericamente sufficienti a soddisfare le esigenze economiche dell’azienda. Abbiamo anche sottolineato, in ossequio alla prima legge, che la forza sta nell’essere primi in una nicchia, piuttosto che “i migliori”. Ma per non continuare a considerare queste leggi delle mere enunciazioni di principio, bisogna comprendere che devono guidare le nostre scelte. E le scelte comportano sempre dei sacrifici. Scegliere significa dire sì a qualcosa, ma anche no a qualcos’altro. ESEMPIO Dobbiamo impostare una campagna AdWords per il nostro piccolo B&B con 4 camere a 500 metri dal mare inserito in un antico giardino con piante stagionali sui cui frutti si basa la prima colazione. Il nostro budget è di 10 euro al giorno (che per essere chiari significa 3.650 euro l’anno, una cifra consistente per un B&B di 4 stanze). La scelta è se e come dividere il budget tra l’offerta “mare” e l’offerta “colazione con i prodotti del giardino”. Alla luce di quanto detto dobbiamo comprendere che: 1. il segmento “mare”, numericamente molto forte, è di per sé competitivo. Inoltre, essendo a 500 metri dalla nostra struttura, distanza buona ma sicuramente non percepita come “davanti al mare”, la comparazione può essere facilmente negativa. 2. il segmento “colazione con i prodotti del giardino”, molto più piccolo numericamente, è sicuramente meno competitivo e la possibilità di offrire questa esperienza è limitata nella concorrenza. La scelta è apparentemente tra tre ipotesi: dividere il budget tra le due offerte, preferirne uno o preferirne l’altro. La prima opzione è anche la prima da cancellare: abbiamo 4 stanze da riempire, quindi ognuno dei due segmenti è assolutamente in grado, proprio grazie agli strumenti della comunicazione digitale, di coprire la nostra esigenza. Essere secondi in entrambi non avrebbe senso. Quindi dobbiamo fare una scelta: sudare per competere in un mercato difficile o conquistare in maniera abbastanza agevole una nicchia sufficiente a coprire le nostre esigenze? La domanda è evidentemente retorica e ci porta alla digital version della legge del sacrificio: scegli il campo dove combattere e sacrifica gli altri canali. Investire tutto il budget sul canale dove siamo sicuramente più competitivi ci consentirà una maggiore penetrazione ed un ROI positivo, oltre a ridurre considerevolmente i costi di advertising. La stessa politica di AdWords punta a far costare meno gli annunci che siano più espliciti nel proporre una offerta univoca e dettagliata, sempre nell’ottica di fornire il risultato più pertinente possibile a chiunque stia cercando un contenuto o un prodotto.
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14. La legge degli attributi Per ogni attributo esiste un attributo contrario ed efficace. Nel capitolo 6 (La legge dell’esclusività) abbiamo chiarito che non potete possedere la stessa parola o posizione del vostro concorrente. Dovete cercare una parola tutta vostra. Dovete cercare un altro attributo. Troppo spesso le aziende tentano di emulare il leader. “Saprà cosa funziona”, si dicono come giustificazione logica, “facciamo qualcosa di simile”. Non è una buona idea. È molto meglio cercare un contributo opposto in grado di contrapporvi al leader. La parola chiave in questo caso è opposto. Simile non va bene. Se il concorrente non lo comunica, l’attributo può diventare tuo. “Se il prodotto non può essere modificato e resta uguale, è possibile dire al pubblico qualcosa che non era mai stato rivelato prima.Questo non è un beneficio esclusivo del prodotto, ma diventa esclusivo e si riveste diciamo così, di unicità in quanto viene affermato come tale. […]” Claude Hopkins, autore della frase e uno dei padri “immortali” della pubblicità, raccontava abitualmente la storia di una delle sue grandi campagne per una birra. Per documentarsi fece un giro della fabbrica in cui stava a sentire educatamente tutte le meraviglie del malto e del luppolo. Ma diventò tutto orecchie quando scoprì che le bottiglie vuote venivano sterilizzate con il vapore. Il cliente obiettò che tutti i birrai facevano la stessa cosa. Hopkins pazientemente spiegò che non era importante quello che facevano ma quello che dicevano in pubblicità. Scrisse così una campagna diventata un classico della pubblicità, che dichiarava con fierezza: “Le nostre bottiglie vengono lavate a vapore”. Ci concentriamo nel trovare benefici nuovi da comunicare nei nostri prodotti/servizi quando molte volte ne esistono già di fortissimi che non sono mai stati comunicati. Né da te né dai tuoi concorrenti. La digital version di questa legge non ne cambia il senso ma ne amplifica l’impatto e l’importanza. L’impatto perché è sicuramente più semplice individuare un attributo e la nicchia più adatta per comunicarlo, l’importanza perché bisogna essere veloci: se non lo fate voi potrebbero farlo dei concorrenti che, come voi, hanno sottovalutato l’importanza di un attributo apparentemente secondario. Inoltre, gli attributi su cui puntare possono variare nel tempo, purché coerenti con l’immagine complessiva del brand. Pensate alle tecniche di Real Time Marketing, che portano i marchi a campagne lampo a seguito di notizie, eventi o trend di particolare rilevanza. Il Real Time Marketing è un approccio al mercato che fa leva sulla capacità aziendale di rispondere velocemente ad eventi e stimoli esterni. Le situazioni che permettono alle aziende di sfruttare il tempo reale a proprio vantaggio possono emergere da due traiettorie: quella della prevedibilità dell’evento e quella della tipologia di azione aziendale.
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Il campo sicuramente più sfruttato, perché comunque mantiene delle parti di prevedibilità è quello relativo agli eventi pianificati che possono essere sfruttati proattivamente. Ricadono in questa categoria gli eventi promossi dall’azienda (lanci di prodotto, conferenze stampa, dibattiti) o ai quali essa partecipa come sponsor (eventi, anche televisivi). In questo caso i contenuti da condividere nei vari ambienti di rete potranno essere preparati per tempo. Poi durante l’evento, grazie ad un monitoraggio delle keyword legate ad esso, si potranno individuare le opportunità offerte dalle conversazioni. ESEMPIO Il caso di studio più famoso è quello di Oreo, che durante il black out del Super Bowl 2013, grazie ad un team di 15 persone ideò e promosse il tweet “Senza luce? nessun problema. Puoi sempre inzuppare al buio”, ottenendo migliaia di rilanci e un’inattesa copertura stampa. In questo caso è stato scelto un attributo coerente con il prodotto ma sicuramente non principale che, però, si prestava perfettamente ad essere associato ad un argomento molto commentato sui social. Questo interesse può trascinare la nostra comunicazione con effetti benefici sul marchio. Ma una cosa va aggiunta, quando si parla della necessità o meno di seguire trend lanciati da altri ed è una legge non scritta del marketing: se studi troppe case history, non sarai mai una case history.
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15. La legge della sincerità Se ammettete una qualità negativa, il cliente ve ne riconoscerà una positiva Ammettere un problema va contro la natura umana e aziendale. Può suonare controintuitivo il fatto che, per entrare nella mente del cliente sia un’ottima idea iniziare con una ammissione di debolezza per voi volgere questa stessa debolezza a proprio favore. Il marketing è spesso una ricerca dell’ovvio. Ecco perchè a volte sono proprio le idee più semplici a funzionare. Tutto gira intorno al fatto che non è possibile cambiare l’idea che una persona si è fatta nella propria testa. Il modo più efficace per sfruttare a proprio vantaggio questo meccanismo è lavorare su concetti già installati nel cervello dei clienti. Quando un’azienda inizia la sua comunicazione ammettendo un fatto negativo, il cliente per istinto apre la mente (a differenza di quando i messaggi di marketing sono troppo pomposi e pieni di sé). Una volta aperta la mente il gioco è più in discesa. L’onestà è la migliore politica. L’esempio vincente della legge della sincerità è quello della carta di credito American Express che in una delle sue campagne più riuscite inizia il suo messaggio in questo modo: “Francamente, American Express n on è per tutti”. I due autori lo dicevano in un mondo dove la comunicazione era unidirezionale e per i clienti era difficile far sentire la propria voce e le loro rimostranze. I social e la digital disruption ne hanno amplificato in maniera esponenziale la portata. La reputation online è la principale, e spesso l’unica, moneta di scambio sui mercati digitali e provare a nascondere un errore è una pratica sempre peggiore dell’errore stesso. L’ampiezza dell’audience alla quale ci riferiamo ci “costringe” all’onestà e all’ammissione dei limiti. La gestione dei social e degli adeguati protocolli di crisis management sono l’unico possibile approccio a un versante estremamente delicato della presenza aziendale sui mercati digitali. Questo vuol dire predisporre degli adeguati “centri d’ascolto”, dei sensori sul mercato che traccino e intercettino le conversazioni che ci riguardano, intervenendo prima che possano creare problemi. L’esempio più immediato sono le recensioni di prodotto ed è proprio in questo campo dove bisogna imparare a riconoscere correttamente i propri sbagli, ma anche a rivendicare in maniera efficace i propri punti di forza. Sicuramente non bisogna mai ignorarli, e anche un semplice ringraziamento è determinante per rafforzare le relazioni. Ma il vero banco di prova sono le contestazioni e il modo di rispondere alle recensioni negative. Onestà e mettersi nei panni dell’interlocutore, queste le uniche armi possibili per combattere questa battaglia.
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16. La legge della singolarità In ogni situazione solo una mossa produce risultati sostanziali Nel marketing non è sufficiente impegnarsi di più per ottenere successo. La storia insegna che la singola mossa audace è ciò che è in grado di ribaltare la situazione. Inoltre, in qualsiasi situazione solo una mossa produrrà risultati sostanziali. Bisogna far leva sul punto debole del concorrente e metterci tutte le energie per annientarlo. Il marketing somiglia molto alla strategia militare, ambito in cui l’imprevisto è ciò che fa prendere una piega inaspettata alla battaglia. Per trovare questa singola mossa, cosa non semplice, è necessario uscire fuori dal quartier generale ed essere coinvolti nel processo, conoscere il mercato: devi sapere cosa funziona e cosa no. La mossa di Pepsi è stata far diventare l’attributo “originale” di CocaCola, un qualcosa di negativo (piace alle persone grandi), posizionandosi come la bevanda per le nuove generazioni (piace ai giovani). La ventata digitale rende tutto questo allo stesso tempo estremamente semplice ma anche estremamente delicato. Semplice perché la tecnologia per acquisire e leggere i dati del nostro mercato e dei nostri utenti è oggi alla portata di tutti. Costa relativamente poco ed è semplice da utilizzare. Ma questo fatto, sicuramente positivo, crea uno spiacevole effetto collaterale che abbiamo affrontato. Non possiamo parlare più di fattori competitivi, ma di semplice sopravvivenza. L’accessibilità della tecnologia, la disponibilità di dati, trend e sistemi avanzati di analisi e monitoraggio rende tutti questi fattori assolutamente non competitivi; se li hanno tutti, nessuno ha un vantaggio. Di contro non possiamo permetterci di non usarli perché i nostri concorrenti, quelli che vogliamo battere, li usano sicuramente o li useranno a breve. Quindi torniamo alla scelta della mossa, che rimane il vero fattore competitivo perché è compiuta dal management e immette quel “fattore umano” che potrebbe rappresentare il vero plus del nostro prodotto. Anche se la scelta è (e deve rimanere) assolutamente “umana”, il punto è che i nostri competitor fanno le loro scelte sulle base di dati, analisi e strumenti di gestione. Non fare lo stesso significa giocare a blackjack affidandosi alla fortuna contro uno che conta le carte: le possibilità di vittoria sono poche. Ma non basta un approccio mentale: servono gli strumenti. Le aziende, oggi, non possono davvero rinunciare a due strumenti che devono diventare l’architettura principale della loro azione sul mercato: E RP e C RM. L’ERP (Enterprise Resources Planning, pianificazione delle risorse d’impresa) è uno strumento che, interfacciato con tutti i settori e i ruoli, interni ed esterni, dell’azienda, ci fornisce comodi ed efficaci strumenti di analisi sull’andamento dell’azienda e sui risultati prodotti da ogni singola azione, oltre a verificare margini di ottimizzazione in settori delicati come la gestione del personale o dei centri di costo. Il CRM (Customer Relationship Management, Gestione delle reazioni con i clienti) rappresenta, invece, il database dei nostri clienti e delle loro interazioni con la nostra
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struttura. Richieste d’informazioni, interazioni sui social, acquisti di prodotti, recensioni e quant’altro possa intercorrere tra l’azienda e il cliente. Una gestione efficace di questi dati cambia completamente il rapporto con la clientela rendendo possibili ed efficaci azioni avanzate di marketing. Il punto è che per prendere decisioni servono numeri affidabili e, oggi, un imprenditore senza dati è solo un ennesimo uomo con un’opinione.
17. La legge dell'imprevedibilità A meno che non scriviate i piani dei vostri concorrenti, non potete prevedere il futuro. La ricerca è di certo impeccabile quando analizza il passato, mentre con il futuro non è così infallibile. L’unico modo per testare nuove idee è metterle in pratica realizzandole. Le persone non possono sapere cosa faranno finché non si troveranno faccia a faccia con la tua idea. L’unica arma che hai è quella del continuo cambiamento, non è facile ma è l’unico modo di gestire un futuro imprevedibile. La digital version di questa legge non intacca il ragionamento di base, ma ci sono due elementi nuovi che vanno considerati: 1. la velocità dei mercati; 2. l’affermarsi di nuove metodologie di organizzazione aziendale. La competizione per la conquista dei clienti nei nuovi mercati è diventata una lotta senza quartiere e si gioca sul tempo di reazione a quello che accade in azienda e fuori dall’azienda. Il cuore di tutto rimane la pianificazione, ma non è più pensabile che le vecchie metodologie di processo siano adeguate a gestire i nuovi scenari. Ed è in questo scenario che prende forma l’approccio A gile. Agile è un idea nata da un dato assolutamente empirico: il 70% dei progetti costruiti su tecniche di programmazione tradizionale (TPM, Traditional Programming Management) non funzionavano più e, principalmente, non davano i risultati attesi. La domanda è stata subito: perché? E la risposta era semplice. Ragionare per obiettivi inamovibili e programmazione blindata non può funzionare se il mercato è diventato instabile e veloce. Questo sposta l'attenzione dal prodotto alla persona e questa metodologia costruisce un modello di pensiero centrato su questo. La prima applicazione di Agile è stata nello sviluppo software e ha puntato tutto sul mettere le persone e le loro interazioni al centro del processo produttivo, ma il campo d’intervento si è subito allargato. L’approccio, inoltre, si presta perfettamente ad integrare nel processo anche il cliente, l’elemento che i nuovi modelli di marketing, oggi marcatamente customer oriented, considerano sicuramente il più importante nell’intera catena di produzione e commercializzazione.
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Le 22 leggi immutabili del marketing - D igital version
Tornando alla legge dell’imprevedibilità, la Digital Version ci da una possibile risposta al problema: per governare “il continuo cambiamento” si applica un modello nato proprio per riportare gli scossoni del mercato e della concorrenza all’interno di un perimetro gestibile.
18. La legge del successo Il successo porta all’arroganza e l’arroganza, spesso, al fallimento. Quando la gente ha successo, tende a diventare meno obiettiva. Spesso sostituisce il proprio giudizio a ciò che vuole il mercato. Un esempio classico è sottovalutare alcuni concorrenti piuttosto che tentare improbabili estensioni di linea. Entrate nella legge per primi, focalizzate, impadronitevi dell’attributo più importante. I promotori brillanti hanno l’abilità di pensare come il cliente. L’unica cosa che conta nel marketing è la p ercezione del cliente. Pensa a Steve Jobs che non correva dietro le ricerche di mercato ma cercava di anticipare i bisogni dei clienti. Creava qualcosa che le persone non sapevano ancora di volere. Gli amministratori delegano spesso le attività di marketing, ma questo è un errore! Il marketing è troppo importante per essere affidato a un tirapiedi. Pensa se Steve Jobs avesse delegato le sue scelte di marketing, cosa sarebbe stato degli anni gloriosi di Apple? Le cose cambiano e il primo passo, come sempre, è l’accettazione. I dinosauri dominavano il pianeta ma l’era glaciale ha distrutto le grandi foreste, levando il cibo ai dinosauri erbivori che sono morti. Questo ha tolto il cibo anche ai carnivori, incapaci di prendere le piccole e fuggevoli prede che il nuovo scenario climatico aveva prodotto. E così un cambio nel sistema ha costretto i dinosauri all’estinzione. A loro discolpa va detto che non avevano possibilità di scelta. Per le imprese è diverso. Ricordate Blockbuster? Aveva il monopolio mondiale di noleggio e vendita delle videocassette VHS, una Big Company dal fatturato ultramiliardario. Il suo fallimento è stato rapido, sull’onda del digitale che ha reso obsoleto il supporto. Eppure, se avesse anticipato lo scenario digitale e si fosse “convertita” in tempo avrebbe potuto sfruttare un patrimonio assoluto in termini di marchio consolidato e database clienti. Altri esempi storici sono gli orologi al quarzo e il tracollo della Nokia. Negli anni ‘60 la Svizzera deteneva il monopolio del mercato degli orologi da polso che, al tempo, erano a carica manuale. Non compresero la novità del movimento al quarzo lasciando campo libero ai giapponesi che li hanno spazzati via per anni. Fin quando sono tornati, in ossequio alla legge della categoria, con un nuovo prodotto, lo Swatch, più accessorio d’abbigliamento che misuratore di tempo. Ma quella mancanza di visione è costata davvero cara. Probabilmente è andata peggio alla Nokia, ex leader assoluto del mercato dei telefonini. Mentre si affacciano gli smartphone all’orizzonte, in casa Nokia si continuava a pensare al telefono. Ed è quasi sparita. Ma anche un indiscutibile come Bill Gates ha sottovalutato Internet non riuscendo mai a conquistare una posizione dominante malgrado presidiava la quasi totalità del mercato digitale consumer, lo stesso mercato dove il web ha proliferato. Tutti casi enormi, ma quelli piccoli sono tutto intorno a noi, dove imprenditori che hanno avuto successo in un
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determinato modello economico pensano di potere trasportare la propria esperienza nei nuovi scenari senza bisogno di alcun aggiornamento. Secondo l’American Marketing Association questa tipologia di azienda (che rappresenta circa il 50% del mercato) fallirà nei prossimi tre anni. A rendere tutto più complesso è arrivata la digital disruption e, come abbiamo già visto, lo Shark Fin. In mercati complessi, instabili e veloci, adagiarsi sul proprio successo è la strada più sicura verso il fallimento. La costante è il cambiamento: i nuovi scenari hanno bisogno di nuove strategie.
19. La legge del fallimento Il fallimento va messo in conto e accettato Riconoscere tempestivamente il fallimento e limitare le perdite. Inutile continuare a sbattere la testa contro il vetro per poi spaccarsela definitivamente. Il fallimento può diventare un nuovo punto di partenza se preso nel giusto modo. Se la soluzione “A” non ha funzionato, cerchiamo di capire cosa non ha funzionato e studiamo una soluzione “B”. Questo è un problema che colpisce i lettori compulsivi di case history di successo e la digital version la intacca pochissimo nella sua importanza. Ma rende possibili alcune pratiche che rendono molto più semplice fare quello che la legge, in fondo, sottintende: imparare dai propri errori. Ieri come oggi, però, per imparare dai propri errori sono necessarie precise ed irrinunciabili condizioni: ● ● ●
riconoscerlo come un errore; individuarlo con esattezza; acquisirlo alla conoscenza di base per evitare di ripeterlo.
Basta guardare la legge precedente, quella del successo, per comprendere come sia difficile soddisfare la prima condizione. Superato questo problema rimane da individuare la procedura, il modello organizzativo che ci consente di individuare i problemi e comprenderli nella maniera più efficace per evitare di ripeterli. Affrontando la Legge dell’imprevedibilità abbiamo già accennato ai modelli Agile. Quelli sono modelli organizzativi, schemi all’interno dei quali pilotare i flussi di lavoro dell’azienda e parlando della Legge della singolarità abbiamo sfiorato il tema dei CRM e degli ERP. Questi due strumenti (o forse sarebbe meglio definirli approcci) sono pensati esattamente in quest’ottica: analizzare tutto il flusso del nostro business alla costante ricerca di punti deboli da sistemare o opportunità da sfruttare meglio. Monitoraggio e tuning (letteralmente sintonizzazione, come si faceva con le vecchie radio) sono le parole d’ordine. Verificare continuamente i dati ed effettuare le eventuali correzioni avendo ben chiaro il risultato da raggiungere. E questo ci porta a riprendere un’altra legge, quella sull’estensione della linea di prodotto.
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Perché la necessità di analisi e monitoraggio rende ancora più importante la focalizzazione degli obiettivi. ESEMPIO Questo esempio è puramente concettuale e si basa sulla matematica, ma non vi preoccupate, non si tratta di fare calcoli, solo di comprendere un concetto. Prendiamo due equazioni: A. x+15=20 B. x+y=20 Nel caso A) è estremamente semplice calcolare la x, che sarà uguale a 5 (20-15). Nel caso B) il problema è diverso; Il valore della “x” dipende dalla “y” e, quindi, non possiamo conoscerlo effettivamente. Analizzando i dati di una singola azione è più semplice ed immediato calcolarne l’effetto (positivo o negativo), cosa impossibile, o comunque più complessa, se avviamo azioni contemporanee. Se, quindi, dobbiamo individuare con certezza un passo falso compiuto all’interno della nostra presenza sul mercato, affrontare una linea di prodotto (o un Funnel) alla volta è sicuramente la scelta più produttiva. E poi c’è un’altra parolina che va tenuta presente in quest'ambito: knowledge base, base di conoscenza. Rappresenta la somma delle conoscenze condivise all’interno dell’azienda. Sottolineiamo l’attributo “condivise”, perché si eviterà di ripeterlo solo se l’errore, il fallimento, e le sue cause, sono conosciute a diversi livelli all’interno dell’azienda. La digital version di questa legge? Semplicemente una riconferma ed un invito a muoversi velocemente. I sistemi tecnologici, oggi, rendono questi processi estremamente semplici e gestibili, a costi assolutamente sostenibili. L’unico ostacolo è la resistenza al cambiamento all’interno dell’azienda. Partendo dai vertici.
20. La legge della montatura pubblicitaria La situazione è spesso il contrario di come appare sulla stampa. Quando IBM aveva successo, era di poche parole. Ora organizza un sacco di conferenze stampa. La storia è piena di fallimenti di marketing che avevano successo sulla stampa. Le uniche rivoluzioni prevedibili sono quelle già in atto. Lasciate perdere la prima pagina. Se volete indizi sul futuro, cercate gli articoletti innocui che stanno in fondo al giornale. Il personal computer è stato introdotto nel 1974. IBM ha impiegato 6 anni prima di contrattaccare con il PC. Le vere rivoluzioni arrivano a notte fonda senza essere annunciate e in un certo senso è come se vi cogliessero di sorpresa alle spalle. Questa legge è proprio cambiata. Anche in questo caso il senso rimane pressoché invariato, ma la sostanza è mutata profondamente. Prima le notizie erano nascoste in fondo. Adesso, come in un romanzo di Sherlock Holmes, sono nascoste in bella vista. Le notizie corrono sulla Rete ed arrivano anticipazioni, spoiler, soffiate, elucubrazioni, teorie e quant’altro.
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L’abbiamo chiamata era della post-verità, abbiamo coniato il termine fake news e abbiamo scoperto come la realtà possa essere manipolata, perché per le idee, come per i prodotti, è sempre una questione di percezione. I motivi alla base di queste alterazioni sono tanti: possono essere ideologici o commerciali. Ma anche questo secondo versante ha molte sfaccettature: si va dalla banale caccia di click alla pubblicità ingannevole, dalle notizie provocatorie ai tam tam messi ad arte per influenzare i mercati. Ci si interroga molto su come contrastare questa deriva ma le soluzioni rischiano di essere peggiori del male. C’è soltanto una soluzione che non ha controindicazioni, ma è difficile da applicare sulle masse dei cittadini. Di contro sarebbe facile applicarla alla nostra azienda. La soluzione è la conoscenza reale ed approfondita dei sistemi. Si può essere ingannati dalle fake news se si ignora l’argomento della bufala. La conoscenza batte le fake news in partenza, ma deve essere reale, non la lettura distratta di qualche titolo su Facebook. Perché, per per dirla alla Stephen Hawking, “il vero pericolo non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”. E proprio parlando dei titoli su Facebook, un versante importante è il concetto di “bolla informativa”. Questo termine indica un effetto estremamente importante dell’informazione digitale. Come abbiamo spesso ripetuto, tutti i sistemi digitali tendono a selezionare i contenuti in base ai nostri interesse e alle nostre peculiarità, ricavate attraverso l’analisi dei nostri comportamenti in Rete. Cosa cerchiamo, cosa leggiamo, cosa condividiamo, su quali contenuti mettiamo un “Mi piace”, ecc.. L'effetto conseguente è spesso devastante: se cominciamo a seguire assiduamente una tesi allucinante, il sistema comincerà a proporci con sempre maggiore frequenza contenuti simili. Tra primi a parlarne fu la rivista W ired, il cui direttore, per una settimana, ha interagito spesso con contenuti omofobi e razzisti. Alla fine il suo wall era completamente pieno di post su questo tenore. Lui sapeva cosa stava facendo, ma chi comincia inconsapevolmente può convincersi realmente che l’intero mondo, tutto quello che appare sul wall, la pensi in quel modo, creando, appunto, una sorta di bolla informativa. Ricapitolando e tornando alla digital version della legge sulla montatura pubblicitaria, per conoscere realmente il mercato, le sue dinamiche e i suoi possibili sviluppi bisogna imparare a leggere il mondo digitale, comprendendone i meccanismi e le logiche. Perché la tecnologia digitale, più di ogni altro strumento, è un’arma a doppio taglio: se la conosci la puoi usare, se non la conosci sarà lei ad usare te.
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21. La legge dell’accelerazione I programmi di successo non sono costruiti sulle mode passeggere, sono costruiti sulle tendenze. Una moda passeggera è l’equivalente di un’onda nell’onda, mentre una tendenza è come la corrente. La prima è oggetto di una grande montatura pubblicitaria, la seconda molto poco. Se avete a che fare con un ramo d’affari in rapida crescita con tutte le caratteristiche di una moda passeggera, la cosa migliore che potete fare è smorzare quella moda passeggera. Così facendo la prolungate fino a farla diventare una tendenza. La digital version di questa legge corrisponde a un timido “sì, però…” Non è possibile negare che impostare un’azienda sull’onda emotiva di una moda passeggera è da stupidi, a meno che non si tratta di una consapevole scelta “mordi e fuggi”. Ma anche all'interno di una struttura pensata per durare nel tempo, nel mondo dei social e dell’informazione in tempo reale, è necessario lucidare la tavola da surf e prepararsi a cavalcare alcune di queste onde. Ne abbiamo già parlato, in termini di Real Time Marketing, nell’analisi della legge sugli attributi, ma qui entriamo a fondo su un termine, newsjacking, che ci permette proprio di pensare al surf. Fare newsjacking significa sfruttare l’energia della “tempesta del secolo” (ricordate Point Break?), aspettando l’onda che, se cavalcata, può dare la gloria e assicurare visibilità, fama e successo: il surfer (o il marketer) deve fiutare l’onda giusta e saperla domare. La domanda da tenere presente riguarda quanto contano reattività e scelta del tempo. Diciamo subito che spesso sono i fattori principali nel determinare il successo. Essere il primo a “fiutare” l’onda e cavalcarla intelligentemente concederà un grosso vantaggio rispetto a chi tenterà qualcosa quando questa starà scemando d’intensità ed energia e l’attenzione si sta dirigendo verso qualcos’altro. Cercare di sfruttare l’evento sensazionale può rientrare, in quella che Rand Fishkin definisce Barnacle Strategy e cioè la strategia di agganciarsi intelligentemente a qualcosa di enorme, che attrae grandi volumi (siano essi eventi o notizie) per cercare di sfruttarne in qualche modo la portata. È un po’ un’azione pirata!
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ESEMPIO Dopo una dichiarazione di Guido Barilla al programma La Zanzara di Radio 24, il patron dell’azienda aveva dichiarato che non avrebbe mai fatto uno spot con una famiglia gay perché, per la sua azienda, la famiglia è quella tradizionale. La dichiarazione aveva sùbito fatto il giro del web, tantissimi i tweet sull’argomento. Althea ha così colto l’occasione per inserire il suo punto di vista inserendosi a gamba tesa sulla conversazione sul web, con uno slogan che scimmiottava quelli Barilla, ovvero “Dove c’è Althea, c’è famiglia”, su un’immagine di due uomini che si baciano.
22. La legge delle risorse Senza finanziamenti adeguati un’idea non può decollare Il marketing è un gioco che si combatte nella mente del cliente. Per entrare in quella mente servono soldi. La pubblicità è costosa. Combattere la seconda guerra mondiale è costato 9.000 dollari al minuto. Trasmettere uno spot pubblicitario di un minuto durante il Super Bowl della NFL costa 1,5 milioni di dollari. Steve Jobs e Steve Wozniak avevano un’idea geniale. Ma sono stati i 91.000 dollari di Mike Markkula a portare Apple Computer verso il pubblico. Questa sembra una legge che ha poco a che fare con la rivoluzione digitale. Ma soltanto se si guarda il versante tecnologico dei nuovi modelli di business. Comprendendo che la Digital Disruption ha divelto i vecchi schemi aziendali si scopre che questa legge rimane immutabile nel concetto ma cambia completamente nell’applicazione. Abbiamo visto, affrontando le altre Leggi, come i modelli aziendali che hanno assorbito correttamente il digitale siano diventati agili, veloci, basati su cicli brevi e incrementali, per usare le risorse quando realmente servono e quando sono in grado di produrre risultati percepibili. Se questo è vero nei cicli di produzione (e vi garantiamo che lo è), immaginate cosa significa nella gestione dei flussi finanziari. Le risorse finanziarie, come le altre, vanno reperite just-in-time e non just-in-case. Il capitale rimane sempre un fattore critico determinante, quindi, ma la possibilità di segmentare la necessità rende tutto sicuramente molto diverso e, se sai come fare, abbastanza più agevole. Dove esiste il concetto di Venture Capital, le aziende che finanziano Start Up chiedono esplicitamente che le aziende da finanziare siano organizzati con approcci moderni ed efficienti, anche per modulare meglio l’impegno effettivo di risorse.
Per concludere L’analisi in chiave digitale di questi 22 principi immutabili ha un solo scopo: rendere chiaro che la Digital Disruption ha stravolto tutto, arrivando a “piegare” anche alcuni capisaldi indiscutibili del mercato. Se un vento è così potente da scuotere le grandi navi da crociera, pensate cosa può fare ad un gommone fuoribordo.
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