NETT Economy Magazine | Numero 0

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L’Editoriale Presentiamo gli obiettivi e anche un po’ la genesi di una rivista che vuole essere qualcosa in più di uno strumento d’informazione.

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envenuti. Quello che vi trovate tra le mani è qualcosa in più di un magazine. È un progetto. Per spiegarlo partiamo dal nome: NETT Economy, dove NETT rappresenta l’acronimo di Non È (mai) Troppo Tardi, un omaggio alla trasmissione della Rai ideata e condotta dal maestro Manzi che, negli anni ’60, diede una spinta a favore della lotta all’analfabetismo, in quegli anni una vera piaga sociale. Con questo penso sia palese lo scopo educativo alla base di tutto questo. Un progetto, dicevamo, e non è nemmeno particolarmente nuovo. Quindi vi racconto la storia, che è anche un po’ la mia storia, almeno degli ultimi anni. Intorno al 2006, dopo oltre vent’anni di ininterrotta professione giornalistica mi rendo conto che quel lavoro non mi piaceva più. Cambio strada e guardo verso Internet, ma lo faccio alla mia maniera. Piuttosto che concentrarmi su come utilizzare il web, parto da un’analisi più approfondita su come funziona e, principalmente, su cosa puntava a diventare in futuro. Ma quello che allora era il futuro, oggi è il presente. O forse il passato prossimo. Nel frattempo, quelle che erano opportunità, adesso sono diventate emergenze. Nelle altre pagine di questa rivista e sul sito www.netteconomy.it troverete spiegazioni su quella che all’epoca dei fatti era un’intuizione e portava già ad una inevitabile conclusione: per sviluppare realmente un sistema di aziende è necessario e preliminare fare crescere l’intero territorio.

franco mennella Su questa base cominciai ad elaborare un progetto che fosse di natura territoriale e lo presentai alla politica. Arrivai a ottenere una partecipazione della Provincia regionale e della Camera di commercio. Collaborazione che si racchiuse in un mero contributo economico, quando la necessità era quella di una partnership più ampia, che avesse un valore strategico. Fallita questa strada provai a coinvolgere il mondo dell’associazionismo di categoria, ma anche in quel caso non si arrivò a comprendere l’obiettivo, probabilmente per una eccessiva focalizzazione sugli obiettivi personali ed aziendali rispetto quello generale. Arrivo fino a quella che doveva essere la base di partenza, un evento, il primo nato con una logica di condivisione, dove a costo minimo per il Comune sono state organizzate due settimane costellate da oltre 200 microeventi. Si chiamò Festival del Vento e doveva rappresentare l’inizio. Invece rappresentò la fine per uno sfilacciamento del gruppo, anche in questo caso per l’eccessiva impazienza di raccogliere i frutti di un progetto che, essendo strategico, necessitava di tempi diversi. Ho fatto anche altri tentativi, ma il fascino dell’idea scemava quando si comprendeva che c’era da lavorare. E da progettare. Ma a volte s’incontra il gruppo giusto, che condivide l’idea ed il progetto prende vita perché, come dice un proverbio africano, se un uomo sogna è solo un sogno, se sognano in molti è la realtà che comincia.

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