GIUGNO 2015
speciale donne arabe protagoniste nei movimenti toponomastica femminile le donne di villa pamphili biennale arte venezia le CINQUANTA artiste
prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 70 - n.06 ISSN 0029-0920
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Giugno 2015
DELFINA
di Cristina Gentile
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SOMMARIO
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14 Una Carovana femminista a Roma per scoprire pratiche e territori di Silvia Vaccaro
01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE di Tiziana Bartolini
16/22 FOCUS/ CIBO ribelle
4/7 ATTUALITà 04 HILLARY CLINTON E LA RESISTENZA di Giancarla Codrignani 06 IL CORANO SECONDO LE TEOLOGHE E FEMMINISTE di Stefania Friggeri
8/10 BIOETICA ISTITUTO ITALIANO DI BIOETICA I NOSTRI PRIMI VENTI ANNI di Luisella Battaglia
16 Siamo ciò che mangiamo Macrobiotica, medicina naturale, crudismo e naturopatia di Marta Mariani 18 La scelta del crudismo Intervista a L. Bragagnolo e M.Benedettini di Marta Mariani 20 Fare la spesa è un gesto politico La scelta del cibo è un potere delle donne di Giovanna Badalassi
11/15 INTRECCI 11 ASSOCIAZIONE ARCHIVIO UDI PROVINCIA DI SIENA. LA FESTA DI NOIDONNE intervista a tiziana bruttini
23/25 JOB&JOB
12 TOPONOMASTICA FEMMINILE A ROMA Le donne di Villa Pamphili di Barbara Belotti
23 Umbria. Viaggiare a cavallo con Elena Riccioni di Roberto Dati 24 Donne in Campo Trentino Intervista a Mara Baldo di Tiziana Bartolini
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 70 - numero 06 Giugno 2015
Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma
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GIUGNO 2015 RUBRICHE
PROGETTO GRAFICO Elisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org
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26 /34 MONDI
35/43 APPRODI
26 SLOVENIA/AVANTI CON I DIRITTI CIVILI di Cristina Carpinelli
35 Serena Ballista/ Funambolika di Tiziana Bartolini
28 SPECIALE DONNE ARABE Protagoniste dello spazio pubblico di Emanuela Irace
36 Biennale di Venezia Cinquanta donne tra i 126 artisti di Flavia Matitti
29 TUNISIA/Movimenti e pulsioni femministe di Ilaria Guidantoni
38 Urban Dance. Funky Fresh a Modena intervista a serena mignano di Graziella Bertani
30 La guerra contro l’insidia mentale di Alessandro Politi
40 CINEDEAF: CINEMA PER CONOSCERE IL MONDO DELLA SORDITA’ di Federica Federico
31 Il medio oriente dei giorni nostri di Domenico Losurdo 32 Quando in Egitto torna il velo integrale di Daniele Scalea 33 Guardare al Maghreb con gli occhi di Gramsci di Angelo d’Orsi 34 EGITTO / “Speak up”, parla Laboratori contro le molestie sessuali di Zenab Ataalla
amiche e amici del progetto noidonne
Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
41 CINEDEF: INTERVISTA A DEBORAH DONADIO 41 THE TRIBE / Myroslav Slaboshpytskiy di Francesca Di Meo 42 Un RIFF molto al femminile Tra femminismo e burlesque Intervista alla regista Lorenza Fruci di Elisabetta Colla
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Daniela Angelucci Zenab Ataalla Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luisella Battaglia Barbara Belotti Luca Benassi Graziella Bertani Barbara Bruni Cristina Carpinelli
Giancarla Codrignani Elisabetta Colla Viola Conti Roberto Dati Francesca Di Meo Federica Federico Angelo d’Orsi Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Ilaria Guidantoni Catia Iori Emanuela Irace Domenico Losurdo Marta Mariani Flavia Matitti
07 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 10 Le idee di Catia Iori 15 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 23 Strategie private di Cristina Melchiorri 44 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 45 Spigolando / REBIBBIA di Paola Ortensi 46 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 46 Donne&Consumi di Viola Conti 47 L’oroscopo di Zoe 48 Poesia Keffyieh intelligenze per la pace di Luca Benassi
Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi Alessandro Politi Daniele Scalea Silvia Vaccaro LA foTo di CoperTinA È di mArTA fACChini
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IL VALORE POLITICO
DI GESTI ANTICHI
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ontinua il nostro originale percorso dentro all’alimentazione intesa come veicolo di messaggi, come contenitore di idee e vissuti, come espressione di modi di essere. Dopo il ‘cibo malato’ del numero di aprile/maggio, questo mese ragioniamo sul ‘cibo ribelle’ in quanto espressione di una contestazione alle modalità delle produzioni e dei consumi, all’organizzazione degli ingredienti o della cottura. Dietro e dentro la ribellione ci sono scelte di vita, filosofie esistenziali, studi e sperimentazioni. Però c’è anche una sete di sapere e una manifestazione di autodeterminazione. Rifiutare le tradizioni, anche quelle alimentari e culinarie, vuole anche essere una presa di coscienza di sé con una autentica riprogettazione che passa anche attraverso il cibo. Siamo esseri abitudinari e cambiare, lo sappiamo, è faticoso e assai poco agevole. Chi abbandona carni e salumi, ha anche la forza di sostenere poi un’esposizione pubblica rispetto ad una scelta che è spesso strettamente connessa a motivazioni personali, persino intime. Se poi tali scelte sono inflessibili, rendono difficile la vita di comunità, visto che lo stare insieme è sinonimo di condivisione di cibo e di convivialità. Dalla macrobiotica al crudismo, chi si ciba in modo alternativo è mosso da convinzioni profonde e salde in grado di sorreggere l’impegno quotidiano e l’organizzazione che questa scelta richiede. Ben oltre una moda, dunque, il mangiare fuori dagli schemi consolidati rappresenta e racconta qualcosa che viene da lontano e le cui potenzialità non sono ancora espresse compiutamente.
Le donne sono molto coinvolte nelle scelte salutiste per tante ragioni. Hanno una particolare attenzione per il proprio corpo, che ascoltano e osservano nelle varie fasi della loro esistenza. Poi c’è l’ascolto della dimensione interiore, altro capitolo immenso. E il cibo nutre anche l’anima, o compensa disequilibri. Sono le donne che possono muovere e cambiare la cultura dominante, certo a partire da se stesse, ma con il potere che possono esercitare anche nell’ambito della loro sfera di competenze, nella famiglia o nella scuola. È una consapevolezza che sta crescendo, se si considera l’aumento costante del consumo di cibi biologici, il proliferare dei gruppi di acquisto, l’incremento dell’organizzazione di orti condivisi e anche urbani o delle piccole coltivazioni sui balconi. E non sono poche le famiglie che fanno il pane in casa, cuocendolo nel forno elettrico della cucina. Più che risparmio, è un ritorno al saper fare e al gusto di scegliere ingredienti e di sperimentare. Ecco, di nuovo, un’autodeterminazione del voler essere anche altro. Con il piacere di riuscirci e di scoprire che, in fondo, non è per niente difficile e che il tempo - incredibile - si riesce anche a trovarlo. Decostruzione del cibo quale via per una possibile dis-omologazione culturale? Chissà, forse... intanto accendiamo il forno e cominciamo ad impastare. Dare valore politico ad un gesto antico non può che produrre un nuovo pane, saporito e con un valore aggiunto. Tiziana Bartolini
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HILLARY CLINTON E LA RESISTENZA
Le partigiane lottavano per un’idea diversa del mondo, ma non si sono imposte. Le donne al potere oggi rispondono al modello unico. Maschile di Giancarla Codrignani
L’
intellettuale francese Christian Salmon commenta così la candidatura di Hillary Clinton: “Se lei regalasse a Obama una delle sue palle, ne avrebbero due ciascuno”. Non è una delle solite, tristi, battute maschili nei confronti delle donne in carriera; è molto peggio: riconosce in una donna possibile Presidente degli Usa i connotati storici del proprio genere. Di femminile Hillary, fin qui, ha mostrato il “dovere” di chiudere un occhio sulle idiozie del marito per “difendere la famiglia”. Oggi dice: “I’m running for president. Everyday Americans need a champion, and I want to be that champion” (mi candido alla Presidenza: ogni giorno gli americani hanno bisogno un campione, io voglio essere quel campione”). Ed io sono un poco inquieta. Anche perché è stata lei a voler liberare la Siria dalla tirannide armando i sunniti, impresa che, giudicando da uomo, non è stata un gran che. Le donne di potere, d’altra parte, entrano d’obbligo nel tunnel di quella parità che l’uomo non riconoscerà mai contraddittoria all’uguaglianza: il modello è unico, senza differenze di diritti e di regole sociopolitiche. Vedi le “governanti” Angela Merkel o Dilma Rousseff. Solo Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario, in un’intervista contesta: “se fossi davvero potente potrei ridurre la disoccupazione. E anche portare un
po’ più di buonsenso in stanze dove c’è troppo testosterone e troppa presunzione”. La storia non si fa con i “se”. Tuttavia… se verificassimo quanto l’esclusione delle donne - il “grande spreco” - ha danneggiato la realizzazione di un diverso potere? Machiavelli, in fondo, non aveva del potere un’idea esaltante: forse perfino a lui sarebbe piaciuto farsi un’idea “di genere” sul testosterone. Abbiamo celebrato il “Settantesimo della Liberazione”. Di anni in cui uomini e donne mettevano a rischio la stessa vita contro il nazifascismo, ormai identificabile con la violenza, la morte, la guerra (tutte cose in odio alle donne più che al bisogno di potere dei maschi). Ma le donne pensavano di uscirne in altro modo. Con pari autorità ma diversa idea del potere. A beneficio di tutti. Sono tanti i libri sulla “resistenza al femminile” che raccontano la delusione e la rabbia di essere state cancellate fin
dalla sfilata del giorno trionfale perché «i compagni non mi hanno lasciata andare e nessuna partigiana garibaldina ha sfilato». La resistenza taciuta di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina (del 1976, riedita da Bollati Boringhieri nel 2003) raccoglie le testimonianze di dodici partigiane piemontesi che evidenziano - dice Anna Bravo - la soggettività femminile come “luogo di tensione tra coazione e libertà e strumento di ininterrotta contrattazione con le norme e con se stesse”. La “staffetta” (riduttivo al posto della “partigiana”) «rischiava di più, andava in mezzo al nemico, disarmata, faceva quello che faceva e se era presa…» (Elsinky). È un’altra resistenza, non militare anche quando spara. Alle donne
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non verranno riconosciuti né l’appartenenza alla lotta di Liberazione né i gradi e a chi chiede spiegazione il compagno dell’Anpi risponde «ma tu sei solo una donna!». «I gradi li ho voluti per giustizia, ma non ho preso né le 9.000 lire che davano né, dopo, le 70mila» e anche Vittoria, che aveva ospitato gli inglesi, rifiuta l’assegno e dice alle autorità britanniche che la decorano, che conosceva gli inglesi per i bombardamenti, ma ha rischiato la vita per loro per far capire che l’Italia antifascista era “la vera Italia”. Arrigo Boldrini, esperto militare, riteneva che, essendo il rapporto tra combattenti e addetti ai servizi di 1 a 7 (e nella guerra partigiana da 1 a 15), il numero ufficiale delle donne partigiane fosse fortemente deficitario. D’altra parte la scelta di tante donne non è di diventare soldate: la guerra è orribile, la si fa per porvi fine, ma è gratis. Dopo si lavora per la pace: «quando abbiamo parlato dal balcone del municipio avevo detto: Quello che è stato è stato. Dobbiamo ricostruire insieme e perdonare» (Lucia). È un’altra idea del vincere. Dopo, le partigiane riconosceranno che «allora le donne non hanno saputo farsi valere, prendendo magari posti chiave nell’organizzazione» (Laura). Perché loro sarebbero «formidabili». I compagni non portano la moglie ai dibattiti
perché “tanto non capisce”: «Non capisce niente perché a te fa comodo che non capisca» (Vittoria). Eppure, anche se “nei rapporti all’interno della famiglia c’è ancora una mentalità vecchia….«la donna è riuscita a scoprire se stessa, la forza che ha» (Cecilia). Trottolina, diciotto anni, era la sola donna del distaccamento maschile e aveva «accettato tranquillamente che dicessero che facevo la puttana. Ma non ho mai fatto un peccato perché la morte poteva venire da un momento all’altro e non avrei potuto confessarmi e non andare all’inferno… i commissari politici venivano a indottrinarci (uso la parola brutta, cattiva), avevano studiato e parlavano, parlavano…ci facevano venire un po’ di barba… Adesso quando parlo con una persona dico “se quella viene con me, mi dico, costruiremo un mondo migliore”. Purtroppo c’è molto da fare anche all’interno del Pci per emancipare i nostri maschi…. anche noi femmine abbiamo un po’ dentro il male del padrone, ma i maschi ce l’hanno proprio, legato al fatto di forza». A Trottolina si aggiunge Matilde: «sono stata per un po’ segretaria di zona e di sezione e mi sentivo dire “una donna non deve figurare… (cioè) devi esserci, devi lavorare, ma abbia pazienza, capisci com’è il mondo… Io imperterrita, ho continuato, e il resto cosa importa? Speranze realizzate
dopo la Liberazione? realizzate in pieno, no». Anzi, «niente: andavamo bene solo per rischiare la vita» (Lucia). Non erano donne eccezionali. Era la ragazza sposata dai genitori perché lui “tiene un’azienda”, mentre in realtà era lo scansafatiche violento e ubriacone che la famiglia voleva scaricare ad una sposina a cui il marito avrebbe fatto “anche fisicamente orrore”. Era la piccola borghese che in collegio sentiva la suora inveire contro Mussolini (“cretino, cretino”) ascoltando la radio. Era l’ostetrica “la sola donna pubblicamente scomunicata in provincia di Cuneo”. Donne fiere e felici di quello che facevano, consapevoli di contribuire al bene della società intera che non doveva mai più finire nelle dittature che portano sempre alle guerre. Ad alcune il marito non ha poi permesso di fare politica e sono piene di rimpianto per il passato. Come dice Anna Bravo, hanno agito con la “logica del dono”, con un’idea del rapporto con l’uomo fondato su scambio, reciprocità, progettazione comune e magari con un po’ del disprezzo femminile per l’infantilismo e la vanità maschile che rende vulnerabili le donne davanti al potere. Se fossero state “compagne” anche dopo la Liberazione avrebbero messo corpi e cuori nelle istituzioni organizzando “una quotidianità dove ci sia posto per la politica e una politica che non devasti la quotidianità”. Solo che a “loro ha fatto comodo” che le donne non avessero rappresentanza del loro diritti diversi; molte hanno tradizionalmente accettato le ragioni del potere unico e quell’ “essenziale funzione familiare”, come dice la Costituzione, che le rende un ammortizzatore sociale. Potranno accettare anche il modello unico, quello in cui le donne sperdono la differenza del gender? Intanto, mentre Hillary si candida, Samantha Cristoforetti rientra dal volo orbitale indicando percorsi di futuro da riempire di senso e non solo di robot. Per individui da rendere tutti uguali? tutti paritariamente “maschi”? b
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IL CORANO SECONDO LE TEOLOGHE E FEMMINISTE di Stefania Friggeri
Il ruolo delle donne nel lento processo di laicizzazione dell’Islam. Le lotte comuni delle femministe occidentali e di quelle musulmane
“È
il Corano l’ultima fonte di autorità … io credo fermamente che il Corano sia aperto ad interpretazioni multiple, come risultato dell’opera umana nel tentativo di comprenderlo a fondo … non esiste un’interpretazione congelata, ma varie interpretazioni dovute ad evoluzioni spaziali e temporali, nonché a differenze nella classe sociale, nell’ educazione, e nel genere di chi legge il Corano”. Queste le parole di Zeinah Anwar, intervistata da Anna Vanzan nel suo “Le donne di Allah” dove dà voce alle femministe che cercano di smontare la lettura tradizionale del Corano in chiave patriarcale e misogina. Afferma ad esempio Rashida: “l’Islam prevede già i pieni diritti delle donne, il femminismo islamico altro non è che la riscoperta di quei diritti” ed aggiunge “in questo senso il femminismo islamico si pone in fase inversa rispetto a quello occidentale: quest’ultimo rappresenta un balzo in avanti, mentre quello islamico deve tornare indietro, andare alla scoperta di quei diritti”. La figura delle teologhe che cercano la legittimazione dei loro diritti e chiedono di superare i vecchi dogmi giurispruden-
ziali, è presente da sempre all’interno del mondo musulmano ma la loro rivisitazione del Corano viene giudicata un freno alla modernità da parte degli intellettuali che professano idee eterodosse. Hamid Zanaz, ad esempio, fuggito all’estero, nel suo “Sfida laica all’islam” definisce il loro impegno “una rivisitazione mitica”, un tentativo fallimentare di modernizzare la società fornendo un “alibi razionale ad idee ormai scadute”, ovvero: il femminismo, se rimane prigioniero del Corano, non potrà vincere la sua sfida perché manca l’obiettivo di estromettere la religione dalla sfera pubblica e dai costumi della società. In verità anche all’interno dell’Islam in molti si fanno una domanda: è possibile progredire verso la modernità senza laicizzarsi? Alcuni paesi a maggio-
ranza musulmana si stanno muovendo verso la laicità (in prima fila la Tunisia) ma altrove la laicità è vista come un’invasione culturale dell’Occidente, anzi viene vissuta come sinonimo di ateismo (Arabia Saudita in testa). E le femministe, che reinterpretando il Corano cercano di superare la contraddizione fra teologia e modernità, sono accusate di slealtà verso la cultura di appartenenza, di importare idee dall’Occidente colonialista: ancora una volta nella storia il corpo delle donne (l’uso del velo, il controllo della sessualità) viene strumentalizzato per marcare l’identità di una cultura e la sua diversità rispetto alla cultura dell’altro. Le teologhe/femministe, secondo il costume abituale dei commentatori dei testi sacri, cercano con la loro straordinaria competenza filologica di enucleare il significato esatto del testo ma dalle università e dall’autorevolezza di singoli studiosi sono uscite, e tuttora escono, interpretazioni diverse dei versetti, alcuni molto discussi. Sono parecchi, infatti, i versetti che mettono in difficoltà le teologhe musulmane. Nella sura Nissa (donne) il versetto 3 recita (traduzione di F. Peirone, Mondadori): “Se avete paura
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di non trattare con equità gli orfanelli sposate pure due, tre o anche quattro donne di cui siete innamorati; ma se temete di diventare ingiusti, sposatene una sola, o ricorrete alle vostre schiave”, e il versetto 34: “Gli uomini hanno sulle donne autorità per la preferenza che il dio ha concesso al maschio sulla femmina e a causa di ciò che essi hanno speso per loro delle sostanze proprie. Le femmine che si rispettano sono sottomesse, gelosamente custodiscono l’onore in assenza del marito in cambio della protezione che Dio ha concesso loro”. E ancora: il Corano non si rivolge genericamente all’umanità ma si rivolge ai maschi, talora con un tono autoritario ed insieme simpatetico, ad esempio “anche se siete perdutamente innamorati” è meglio sposare una schiava credente di una donna non musulmana. La storia ci insegna che l’Europa è passata dall’impianto teologico tradizionale dei doveri (verso Dio e verso il principe) a quello secolarizzato dei diritti solo quando ha provato disgusto ed orrore per tutto il sangue versato nelle guerre di religione (la guerra dei Trent’anni ha provocato, in proporzione, più morti della Seconda guerra mondiale). Ed oggi nel mondo islamico, per conquistare il dominio della “umma” (e per la supremazia geostrategica), i sunniti, sostenuti dall’Arabia Saudita filoamericana, combattono gli sciiti, che guardano all’Iran filorusso. Oggi, sullo sfondo delle primavere arabe, la barbarie criminale dei conflitti di matrice religiosa induce molti musulmani a guardare senza sospetto al principio tradizionalmente rifiutato come prodotto di importazione, ovvero la laicità. Le femministe/teologhe forse preparano davvero il terreno all’avvento della laicità, ma intanto conforta vederle lottare insieme alle femministe laiche, consapevoli, queste e quelle, che per mutare il contesto culturale occorre riunire le forze e combattere insieme sui punti comuni, a partire dal diritto di famiglia.
di Camilla Ghedini
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opo l’ennesimo schiaffo morale, oggi mi dedico alla tirchieria! In cui non v’è dubbio che tutti si imbattono, tirchi compresi, e allora sai che guerre! Mia madre mi ha sempre detto ‘Chi è avaro coi danari lo è anche nei sentimenti’. Mio padre ha sempre ribattuto ‘Meglio non avere cose da difendere, tranne la propria dignità’, che tradotto significa meglio non accumulare, meglio non avere un’ambizione sfrenata, meglio non ‘arricchirsi’ perché si perde la libertà, perché l’obiettivo diventa il portafoglio. E lui, papà Alfio, che di cose importanti ne ha fatte un bel po’, è riuscito a vivere così, condividendo tutto in nome di un principio sacrosanto: ‘Quel che non serve a te, serve a qualcun altro’. Leggi: ‘Vivi dell’essenziale e con decoro, e se hai la fortuna di avere di più, dallo ad altri’. Sep-
andata a fare la spesa, davanti a un sacchetto dell’aspirapolvere inserito nella lista, ho cercato non il prezzo, non i modelli compatibili, ma... la quantità di calorie! Da quel momento, ritrovata la ragione, ho deciso che nei periodi in cui ingrasso apprezzo le donne in carne; quelli in cui dimagrisco, le filiformi. In un modo o nell’altro, sto nei miei ‘panni’. Ecco perché mi chiedo come un tirchio - che spesso risparmia proprio sulla qualità dei prodotti da mettere in tavola - non si accorga di essere tale! Non riesca a porre rimedio a questo ‘disturbo’, perché è un disturbo!! Qualche esempio con ‘connubio’. Vai a prendere il caffè con qualcuno per lavoro. Dopo che tu hai ordinato ti dice che no, lui non desidera niente, che è a posto così. Poi mentre tu mangi un cornetto con la crema, perché hai fame, lui
CREPI L’AVARIZIA! pure talvolta imbrigliata in questo Vangelo laico, ho effettivamente sempre avuto disprezzo per gli avari, che poi, che vita fanno? A contare pezzi di carta e monete. Ma per cosa? Non c’è bisogno di leggere il capolavoro di Molière, L’avaro appunto, per sapere che la ‘roba’ porta solitudine e incapacità di vivere relazioni normali. Penso ai tirchi come alle persone ossessionate dalla dieta. I primi contano i danari, i secondi le calorie. I primi guardano al segno più, gli altri al meno. Entrambi vivono male. Io, una volta, decisa a dimagrire, ho fatto una scheda con la mia alimentazione settimanale. Pensavo di potercela fare con 1200 calorie al giorno e così non ho mangiato un piffero per quasi un mese, durante il quale ho trascorso molto tempo a letto perché troppo debole per alzarmi. E in uno di quei giorni, adrenalinica perché sarei
deglutisce all’unisono con te, perché col cavolo che non voleva nulla, il punto è che temeva di doverti offrire la colazione! Ma la soddisfazione del ‘risparmio’, dico io, vale la poco dignitosa ‘figuretta’ e soprattutto il sacrificio? Ancora, vai al cinema, e prima di entrare in sala prendi i pop corn e la Coca Cola, e una volta seduta trovi una tua ex compagna di classe che i pop corn non solo li ha portati da casa, ma proprio se li è fatti in casa! E con che occhi compiaciuti te lo dice, dandoti della scema perché ‘hai buttato via i soldi’! Allora, io penso, meglio avere qualche chilo di più e le tasche vuote ma sapere ridere. Perché i chili in meno e le monete in più la vita non la riempiono, semmai la dimezzano. Perché nel frattempo si è rivelata la propria ingenerosità e si è persa la libertà. Acquisendo, questo sì, ogni giorno un po’ più di solitudine.
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Luisella Battaglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
I NOSTRI PRIMI VENTI ANNI G
comprensivo e ‘totale’ che ha spinto uardare alla bioetica nell’orizverso una crescente attenzione per il zonte della “complessità” sitema delle differenze. Se alla bioetica gnifica proporre un collegamento tra si è spesso rimproverato di compiele sue diverse dimensioni: quella mere analisi astraendo dalle situazioni dica, che riguarda la nascita dell’uoconcrete, una cultura, maturata spemo, la sua salute e la sua morte dicie in ambito femminista, ha nanzi alle possibilità offerte corretto radicalmente tale dalle biotecnologie; quella ambientale, che s’inte- LE DIMENSIONI MEDICA, tendenza avviando una concentrazione sul sogressa alle questioni di AMBIENTALE E ANIMALE DELLA BIOETICA; LO getto donna, i suoi valore connesse alle SGUARDO DELLE DONNE E diritti, i suoi bisogni, conseguenze prati- L’ETICA DELLA CURA FINO ALLA dinanzi alle sfide che del rapporto tra BIOPOLITICA. LA COMPLESSITÀ E LA RESPONSABILITÀ della biotecnologie. l’uomo e la natura; CONDIVISA SONO STATE IL quella animale, che er questo, fin FILO CONDUTTORE DEL si occupa degli aspetti dalle sue origini, CONVEGNO DI GENOVA morali, sociali e giuridici l’Istituto si è impegnato delle relazioni dell’uomo a ‘dare voce alle donne’, con le altre specie. La rifles- ancora in gran parte assensione filosofica è chiamata ad un conti o scarsamente rappresentate nei fronto interdisciplinare con le diverse Comitati di maggior rilievo politico - e scienze della vita, dalla biologia alla quindi a valorizzare gli apporti delle medicina umana e veterinaria, dall’estudiose alle aree della bioetica, favocologia all’etologia. Da qui una serie rendo il confronto tra diverse prospetdi interrogativi per molti aspetti inediti: tive teoriche e orientamenti normativi. quali sono i confini del nostro universo La riflessione sulla specificità femmimorale? Quali le nuove frontiere della nile si è rivelata, in questo modo, uno giustizia? Come raccordare gli intestimolo per focalizzare un complesso ressi dell’umanità attuale con quelli di questioni spesso ignorate o rimosdelle generazioni future, dell’ambiense e per individuare precise richieste te e delle altre specie? politiche, modellate su una realtà in continua evoluzione, con particolare e è derivato, da un lato, un riattenzione, quindi, sia per la ‘bioetica pensamento della visione condel quotidiano’ - che tocca temi che venzionale della bioetica, prevariguardano direttamente la nostra vita lentemente confinata al solo ambito di tutti i giorni (come, ad es, l’alimenumano, in base ad una opzione di vatazione) - sia per la ‘bioetica di frontielore antropocentrica; dall’altro, un inra’ - che guarda al futuro, alle nuove teresse ad affrontare questioni di safrontiere aperte dalle biotecnologie, lute e di qualità della vita in modo più
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e intendiamo per bioetica un’etica applicata al bio-realm (regno della vita) essa riguarda l’intero mondo vivente, umano e non umano e, per estensione, anche l’ambiente in cui si svolgono le varie forme di vita. È questo il significato originario del termine - come era stato coniato nel testo di Van Potter, Bioetica, un ponte per il futuro (1971) - a cui si è ispirato nella sua attività l’Istituto Italiano di Bioetica che ha festeggiato i suoi 20 anni con un convegno sul tema Uomo, natura, animali. Per una bioetica della complessità (17 aprile, Genova, DISFOR-Aula magna), dedicando i suoi lavori ad uno studioso insigne, punto di riferimento per molti di noi, di recente scomparso, Giovanni Berlinguer.
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Il filo verde come l’ingegneria genetica. Non ci è sembrato, infatti, in alcun modo irrilevante che i soggetti i cui corpi sono la materia delle nuove tecnologie riproduttive fossero in schiacciante maggioranza donne, mentre coloro che progettano, sperimentano, applicano tali tecnologie fossero in schiacciante maggioranza uomini… l pensiero della differenza ha avuto pertanto importanti riflessi in campo bioetico poiché ha spinto a considerare da vicino la realtà femminile, dando vita a istanze che sarebbero state sommerse da analisi ‘neutrali’ e avviando ricerche riferite a quel terreno storico-sociale da cui nascono le questioni di vita e di morte. Un campo di grande interesse ci è subito apparso quello delle nuove tecnologie riproduttive: qual è il loro impatto ci si è chiesti - sulla vita delle donne? Nel dibattito contemporaneo si tende a sottolineare una fondamentale ambivalenza: da una parte, i progressi medici e scientifici hanno offerto alle donne più ampie opportunità di decidere se, quando e a quali condizioni essere madri; dall’altra, hanno accresciuto la possibilità di esercitare un controllo maggiore, rispetto al passato, sulle loro scelte. li interrogativi riguardano, dunque, la salute e il benessere psico-fisico delle donne ma anche i riflessi delle biotecnologie sui ruoli sociali: al di là della dimensione propriamente biologica, esse investono infatti la dimensione simbolica e affettiva. In questo quadro si sono sollevate inquietanti domande sulla loro affidabilità (sul loro carattere sperimentale e non semplicemente terapeutico); sui formidabili interessi in gioco, sui condizionamenti sociali (lo stigma della sterilità), sulle conseguenze politiche. Tutti interrogativi che nascono da un peculiare approccio diretto insieme al ‘concreto’ (il vissuto delle donne, la quotidianità dei loro bisogni) e al ‘simbolico’ (il
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significato del corpo, il valore della maternità). Non dimentichiamo che uno degli scopi principali del pensiero femminista in bioetica è stato quello di mettere in evidenza le questioni di potere (nel senso di autonomia, consapevolezza, autodeterminazione sulle scelte riproduttive, terapeutiche etc.) e dunque di denunciare l’oppressione subita dalle donne. Si pensi ad argomenti - cui l’Istituto ha dato ampio spazio - come quello della salute femminile, la medicina di genere o il ruolo delle donne, sia come pazienti che come professioniste, in ambito medico. In questo contesto sono maturate le istanze di democratizzazione della bioetica, la ricerca di nuove forme di empowerment, l’esigenza di “dare voce a chi non ha voce”. l concetto di genere ci è subito apparso una categoria esplicativa e interpretativa di importanza cruciale nel cui ambito è stato possibile collocare la tematica della cura che, declinata in molteplici direzioni bioetiche, è stata il vero leitmotiv del Convegno: innanzitutto un modello da applicare in vista di un’umanizzazione della medicina, nel segno di una ‘alleanza terapeutica’ che riceve il suo senso da un’originaria disposizione di solidarietà, ma anche un paradigma alternativo, valido sia nel nostro rapporto con la natura che col mondo animale, col superamento della tradizionale visione androcentrica del ‘dominio’.
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di Barbara Bruni
API E PESTICIDI
Secondo uno studio pubblicato su Nature e condotto dalla Newcastle University, i pesticidi hanno sulle api un effetto simile alla nicotina sugli uomini: possono creare dipendenza. Le api hanno dimostrato una preferenza per soluzioni dolci cui è stata aggiunta una dose di pesticidi, rispetto a quelle senza. Altri ricercatori svedesi, dell’Università di Lund, nello studiare gli effetti dei pesticidi neonicotinoidi sulle api hanno però riscontrato un dato importante e, per certi versi, drammatico: se le popolazioni di api selvatiche - le bombo o Bombus terrestri - si sono dimezzate nei campi trattati con i pesticidi, nulla è invece cambiato per le api da miele Apis mellifera - che frequentano i campi trattati dalle medesime sostanze chimiche.
I CHIOSCHI DELL’ACQUA
Sono ormai più di 1.300 i Chioschi dell’acqua disseminati nei comuni italiani. Si tratta di installazioni che offrono alla cittadinanza l’erogazione di acqua potabile trattata, refrigerata e gasata in forma gratuita o, in alcuni casi, a fronte di un costo medio di 5 centesimi di euro al litro. Il numero dei Chioschi è in continua espansione e il servizio è sempre più utilizzato dai cittadini perché, anche in caso di servizio a pagamento, il prezzo risulta ancora inferiore rispetto all’acquisto di acqua in bottiglia. A fronte del prelievo annuo di 300mila litri da un Chiosco diminuisce l’utilizzo della plastica, risparmiando così circa 200mila bottiglie (ossia 60 tonnellate di Pet).
LA RACCOLTA DEL VETRO
Migliorano, dal 2010 al 2015, sia la quantità che la qualità della raccolta dei contenitori di vetro usati in Italia. Secondo i dati di una ricerca commissionata dal COREVE, il consorzio che raccoglie il vetro usato, la percentuale degli italiani che conosce le regole per effettuare in maniera corretta la raccolta del differenziata è salita dal 51% al 74%. Diminuisce, inoltre, la percentuale di persone che farebbero confluire nella raccolta i “falsi amici” del vetro, ossia gli oggetti di cristallo (-13,1%), il pyrex (-7,3%), le lampadine (-6%) e la ceramica (-1,3%).
ANCORA DUE ANNI PER LE ALOGENE
La Commissione tecnica sulla direttiva Ecodesign a Bruxelles ha rimandato di due anni la messa al bando delle lampadine di classe C, e inferiori - ossia le meno efficienti - precedentemente fissato per settembre 2016, e che slitta, invece, al 2018. Ad avere la meglio nell’Ue saranno quindi le vecchie alogene. Alcuni Stati membri hanno fatto marcia indietro e a pagarne le conseguenze saranno le bollette degli europei. Secondo le stime di EEB (European Environmental Bureau), mandare subito in soffitta le vecchie alogene avrebbe garantito ai cittadini risparmi per 6,6 miliardi di euro in bolletta, 780 milioni solo in l’Italia. Sempre secondo EEB, i paesi frenanti sarebbero stati l’Italia, la Francia, la Germania e la Polonia, sulla base di motivazioni tecniche per cui i Led non sarebbero ancora in grado di coprire le esigenze del mercato. Dall’altro lato della barricata, invece, Belgio, Danimarca e Svezia, i cui dati di mercato rivelano come le Led di qualità siano pronte a rimpiazzare le alogene.
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a questione della cura, dei bisogni cui risponde, delle relazioni cui dà luogo è al centro da decenni del dibattito femminista. Se la cura - ci siamo chiesti - è un ‘attività umana necessaria e fondamentale perché è assente dal nucleo dei valori sociali e politici e non fa parte integrante della nostra idea di cittadinanza? Probabilmente, siamo condizionati da un’immagine del cittadino che ci deriva da secoli di pensiero sociale contrattualista - quello appunto di un individuo autonomo, razionale, capace di stipulare patti vantaggiosi con controparti in grado di reciprocare. La cura, pertanto, sembra priva di valore nella vita pubblica perché la politica viene descritta come un’arena in cui si confrontano e si mediano interessi contrapposti. Ma è ancora sufficiente il contratto sociale o occorre pensare ad una visione della democrazia che integri in sé il valore della cura? E quale può essere il ruolo delle donne in questa prospettiva? La realtà e la nostra esperienza ci mettono ogni giorno sotto gli occhi molte situazioni in cui gli individui non possono contare sulla stessa abilità nell’utilizzare le proprie risorse. Bambini, anziani, persone non autosufficienti, disabili, rischiano di non poter esercitare quei diritti fondamentali di cui pure sono nominalmente titolari. Per questo ci è parso importante riconoscere la centralità della cura e proporla come valore capace di informare la vita politica e di rendere i cittadini consapevoli della loro interdipendenza, preoccupati dei bisogni del prossimo, coscienti della comune vulnerabilità e, quindi, disponibili a porsi empaticamente dal punto di vista altrui. Sbaglieremmo, tuttavia, - ci siamo detti - a pensare che l’attitudine del ‘prendersi cura’ sia una sorta di ‘provincia delle donne’: occorre, a nostro avviso, da un lato universalizzare i valori del lavoro di cura, legati per ragioni storiche alla vita femmini-
le, dall’altro ribadire che tale compito è sostanzialmente accessibile anche agli uomini che dovrebbero finalmente assumersi la loro quota di responsabilità. Come si legge nell’antico mito narrato da Igino, ognuno di noi è figlio di Cura, la dea che forgia l’uomo dal fango (uomo da humus) e lo possiede per tutto il tempo della sua vita destinandolo - per riprendere le parole di Heidegger - a “quel modo d’essere che domina da cima a fondo la sua vicenda temporale nel mondo”. Sappiamo che i problemi affrontati in medicina e nelle scienze biomediche richiedono risposte concrete circa i diritti delle persone coinvolte e i modi di allocazione delle risorse. e si vuole evitare il rischio di una ‘dittatura degli esperti’ - e qui la bioetica si apre alla “biopolitica” - è necessario che siano adeguatamente rappresentati tutti gli attori sociali coinvolti: perché le scelte legislative siano rispettose della libertà di tutti - valgano come esempi negativi la famigerata legge 40 sulla procreazione assistita o la scandalosa mancanza di una legge sul ‘testamento biologico’- occorre che siano ben visibili le implicazioni delle ricerche, i valori in gioco, i costi e i benefici. In molti stati europei si sono approntate conferenze periodiche rivolte alla cittadinanza per diffondere informazioni e attivare il dibattito pubblico sui più rilevanti temi della bioetica. Non così nel nostro. A questa carenza il nostro Istituto ha cercato di porre rimedio organizzando ogni anno una Conferenza Nazionale per le Scuole in modo di fare della bioetica una parte essenziale della cultura delle giovani generazioni per prepararle a maturare una coscienza critica e, quindi, ad assumere decisioni consapevoli. Solo così sarà possibile lavorare per attuare quella ‘democrazia cognitiva’ in cui la conoscenza diventi la base sicura per un’etica della responsabilità condivisa.❁
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IDEE di Catia Iori
GLI ORRORI MASCHILI
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occa spesso alle donne dover sopportare errori e orrori commessi dagli uomini: non so perché, ma è una sconsolante constatazione. Un dato di fatto. Oltre il novanta per cento dei crimini, delitti, stragi, genocidi e misfatti vari, dalla Genesi in poi, sono stati compiuti da maschi del genere umano. Quanti atti di violenza femminile ricordate a memoria d’uomo, voi che mi leggete? Le atrocità compiute da donne sono rare, perlopiù ascrivibili a casi di autentica e conclamata follia. E non è nemmeno opponibile il nesso tra violenza e potere, perché sono o diventano violenti anche i più umili e derelitti fra gli uomini. Sono appassionata di letture antropologiche e questa mi pare essere una considerazione del tutto pertinente in questi giorni: il maschio umano, perché negli animali raramente è così, ha coltivato e sviluppato nei millenni la competizione violenta, il gusto della sopraffazione, la foga distruttiva in un istinto ferino e maniacale. Noi donne, in genere, siamo chiamate a raccogliere i cocci e a rimetterli insieme custodendone l’integrità rimasta e curando con tutte le nostre forze ogni minimo sussulto di vita. E quindi come donna, mi sento offesa quando si parla genericamente dei misfatti dell’umanità attribuendo, anche al mio genere, l’enorme bagaglio di nefandezze compiute dagli uomini. Non solo, ma ho come l’impressione suffragata dai fatti, che ogni passo delle donne verso la propria autonomia rinfocoli la violenza maschile. È la questione del femminicidio, ma è anche la questione della furibonda reazione tribale che l’Islam più retrogrado oppone alla volontà delle donne di quei paesi di studiare, lavorare, viaggiare, guidare la macchina. Ricordiamo poi che le società patriarcali non contano solamente sulla sottomissione delle donne ma anche sulla loro complicità. Non esiste peggiore servitù di quella consenziente perché calpesta completamente il rispetto di se stesse. Di madri che insegnano alle figlie a obbedire e tacere è pieno il mondo. Io ne conosco molte e non solo quelle di bassa estrazione sociale, anche quelle borghesi, apparentemente sazie e tranquille, che devono tutelare il patrimonio familiare e proteggere il futuro dei figli. Nel silenzio di un compromesso continuo. A volte penso che non riuscirò mai a vedere il compimento del processo di liberazione delle donne e il crollo definitivo della società patriarcale. E coi tempi che corrono vorrei rinascere tra due secoli, quando forse il bastone e la paura non la faranno più da padroni e si potrà convivere in una società più civile, o almeno davvero civile, passo decisivo per uscire dalla attuale barbarie. Che sa di preistoria. Che sa di dolore.
Giugno 2015
A SIENA, è festa!
Tre giorni dedicati a NOIDONNE, alla memoria e all’attualità con una festa organizzata dall’associazione Archivio dell’Udi della Provincia di Siena etica e politica della cura) e occasioni riservate alla memoria. Poi, onestamente, la parte gastronomica serve a ricavare un po’ di autofinanziamento”.
Nell’archivio voi custodite documenti e testimonianze che con una mostra itinerante - Le carte parlano - da anni state facendo conoscere in tutta la provincia di Siena. Quale riscontro avete avuto?
Dal 26 al 28 giugno l’associazione Archivio dell’Unione delle Donne Italiane della Provincia di Siena organizza il ‘Festival di Noi Donne’ dal titolo ‘I sapori della tavola, i saperi della vita’ (via dei Pispini, 18 - giardino ex ‘Borri’, davanti a piazza
Santo Spirito). Abbiamo chiesto alla presidente Tiziana Bruttini
quali sono gli obiettivi di questo impegnativo appuntamento. “Il 2014, prima, e ora il 2015 sono due anni di importanti ricorrenze per la storia dell›Udi di cui noi conserviamo la memoria in provincia di Siena. Abbiamo ricordato i 70 anni dalla nascita dell›Udi, nell›ottobre del 1944, e abbiamo poi pensato che potesse essere interessante ripercorrere 70 anni della storia italiana e delle lotte e conquiste delle donne attraverso Noi Donne, il giornale che le ha accompagnate. Inoltre - continua Bruttini - la nostra, come tutte le associazioni che si sostengono con il lavoro volontario e il tesseramento, organizza spesso iniziative di autofinanziamento. Ad esempio organizziamo pranzi a cui accompagniamo anche momenti ludici e di riflessione: la rievocazione delle feste delle sartine che concludevano i corsi di cucito organizzati dall›Udi è stata una di queste. Da queste esperienze è nata l›idea di una festa di più giorni con momenti di riflessione (segnalo, tra gli altri, l’intervento di Luisella Battaglia sul tema Con voce di donna,
La nostra mostra è stata inaugurata nel 2009 a Siena, da allora ha girato molti comuni della provincia. L’ultimo è stato Chiusi, dove è rimasta dall’8 dicembre 2014 fino all’8 marzo scorso. Sia in questo ultimo caso che nei precedenti, nel periodo di apertura della mostra abbiamo sempre organizzato incontri che, partendo dalla memoria che le carte ci tramandano, fossero anche occasioni di riflessione sull’oggi. Il nostro intento è sempre stato costruire un filo rosso fra la storia che le nostre carte documentano e ciò che oggi è necessario fare. In particolare, ci siamo soffermate sul tema della cura che vogliamo approfondire anche nella festa di “Noi donne”. Sia la mostra che le iniziative ad essa correlate hanno visto una buona partecipazione che ha unito donne che in quelle carte e foto si sono ritrovate a donne che hanno fatto altri percorsi, ma che sono interessate a conoscere e confrontarsi.
Tramandare la conoscenza delle lotte delle donne è un problema non facilmente risolvibile. Il linguaggio delle carte, metterle in mostra come state facendo, è un veicolo efficace per sensibilizzare le giovani generazioni? La sensibilizzazione delle giovani generazioni è un tema da noi molto sentito e su questo versante da anni interveniamo nelle scuole superiori con progetti di storia delle donne e di storia di genere. Anche in questo anno scolastico abbiamo proseguito un progetto triennale con il Liceo della formazione di Siena e, in occasione dei 70 anni dalla Liberazione, abbiamo realizzato due progetti sul ruolo delle donne nella Resistenza in due istituti professionali quasi completamente maschili. Crediamo che questa sia la via maestra per poter raggiungere le giovani generazioni e la mostra è stata un aiuto a raggiungere questo obiettivo. Allo stesso modo i documenti che conserviamo sono uno strumento utile quando gruppi di studentesse visitano l’archivio e possono toccare le carte e leggerle direttamente. Vediamo che si emozionano, ed è una bella cosa.b
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TOPONOMASTICA FEMMINILE A ROMA
Le donne di Villa Pamphili Da Artemisia Gentileschi a Camilla Cederna passando per Simone de Beauvoir il parco romano è un “Pantheon all’aperto” dell’universo femminile di Barbara Belotti
Le intitolazioni di vie e piazze delle nostre città riflettono una cultura storica e una dimensione sociale ancora molto misogine; lo squilibrio in favore dei personaggi maschili è l’espressione del potere degli uomini che hanno fatto e hanno scritto la storia, rendendo invisibile il genere femminile. Al contrario la natura suggestiva del parco romano di Villa Pamphili fa da sfondo a viali quasi tutti dedicati alle donne, un ribaltamento del sessismo che prevale nell’odonomastica cittadina. A partire dalla fine degli anni Settanta, ma con una maggior frequenza negli anni successivi fino al 2007, si è seguita la politica di intitolare a donne di valore i viali interni del parco. Le figure commemorate costituiscono un’inversione di tendenza rispetto alle scelte odonomastiche del passato, che privilegiavano nomi di sante, figure religiose o legate all’impegno sociale di tipo assistenziale e caritatevole. Le protagoniste di Villa Pamphli hanno avuto ruoli attivi e paritari nella società, dimostrando capacità di pensiero e di azione, indipendenza intellettuale e morale. Con questo caleidoscopico panorama di genere si è voluto rimediare alle evidenti e continue “distrazioni” delle amministrazioni politiche, creando una sorta di “Pantheon all’aperto” dell’universo femminile, un risarcimento tardivo alla memoria delle donne e alla loro storia. Sono trenta le aree intitolate a donne vissute in un arco temporale che va dal XVII secolo (con il ponte dedicato ad Artemisia Gentileschi) fino ai giorni nostri (con le targhe ad Anna Politkovskaja e Oriana Fallaci, collocate pochi mesi dopo la loro morte).
A. Politkovskaja / Eleonora d’Onofrio
Cristina Belgioioso / Mauro Zennaro
Carla Capponi / Denisa Nistor Podar
Camilla Cederna / Denisa Nistor Podar
Giugno 2015 Simone de Beauvoir / Denisa Nistor Podar
Viale 8 marzo / Ginevra Maccarrone
Sigrid Undset / Ginevra Maccarrone
Giorgiana Masi / Denisa Nistor Podar
Sono figure storiche, dalle protagoniste della difesa della Repubblica Romana a quelle che difesero Roma dalla violenza nazifascista; sono donne “di scrittura”, come le sorelle Bronte, Camilla Cederna o Sigrid Undset, premio Nobel per la letteratura nel 1909; sono esponenti del pensiero femminista, come Anna Maria Mozzoni o Simone de Beauvoir. Chiuse all’interno del parco le strade femminili possono apparire isolate in una sorta di ghetto che le sottrae allo spazio fisico della città e alla sua sfera simbolica; ma passeggiare fra gli alti pini della villa può offrire un’interessante prospettiva di genere e un’utile occasione per ricordare o scoprire l’altra voce del mondo. Il progetto didattico Orienteering: lungo sentieri di parità, organizzato da Toponomastica femminile per le scuole primarie del Comune di Roma, ha trasformato Villa Pamphili in un grande laboratorio nel quale, attraverso il gioco, lo sport e la cultura, si sono avviate nuove opportunità per conoscere la storia e la cultura femminili. La consapevolezza di quanto è stato creato, inventato, realizzato dalle donne consente significativi rispecchiamenti ed educa le nuove generazioni al rispetto delle differenze e al superamento degli stereotipi culturali, percorso fondamentale per prevenire la discriminazione e la violenza contro le donne. b
Oriana Fallaci / Barbara Belotti
Artemisia Gentileschi / Barbara Belotti
Dolores Ibarruri / Denisa Nistor Podar
Alda Costa / Cecilia Mazzarotto Maria Carta / Denisa Nistor Podar
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UNA CAROVANA FEMMINISTA
PER SCOPRIRE PRATICHE E TERRITORI Il viaggio nel continente europeo è iniziato l’8 marzo e le organizzazioni romane si preparano ad accogliere la Carovana al suo passaggio per la Capitale di Silvia Vaccaro
C’è
ancora bisogno di femminismo? È la domanda che si pongono maggiormente proprio le attiviste e le teoriche, sempre intente a ragionare, interrogarsi, produrre, confrontarsi, confliggere, senza stancarsi mai di lottare per una rivoluzione all’interno dei rapporti di potere tra generi. Della necessità di una vitalità del movimento delle donne, ne scrive Lea Melandri in un recente articolo: “Alla domanda «perché ha ancora senso dirsi femministe», risponderei così: Perché il salto della coscienza storica prodotto dal femminismo non si esaurisce con una generazione. Tutti sappiamo cosa vuol dire essere maschi o femmine, ma è come se ognuno/a singolarmente dovesse scoprirlo, partendo da una domanda che nasce dentro di sé, per rendersi conto che i ruoli e le identità di genere, il rapporto di potere tra i sessi, non appartengono alle leggi immutabili della natura, ma alla storia, alla cultura, alla politica, e come tali possono essere modificate”. E continua, nel pezzo, con altre sette buone ragioni che confermano la necessità attuale di una teoria e di una pratica femminista anco-
ra viva. Purtroppo il resto della società spesso alla domanda se ci sia ancora bisogno del femminismo risponde di no, con argomentazioni che partono da alcuni dati ma che spesso toccano il ridicolo e svelano una profonda ignoranza. Alcuni dicono che non c’è più bisogno perché ci sono le ministre, o come piace ai più “i ministri donna”, perché una donna italiana, l’astronauta Samantha Cristoforetti, abita da mesi lo spazio (nonostante la straordinarietà della sua impresa professionale e personale non le abbia risparmiato feroci critiche per il suo fare, a detta dei suoi detrattori, troppo “da rockstar”), perché cresce la quota delle donne manager nelle aziende. Peccato che le donne continuino a morire per mano di uomini che non accettano le separazioni, che non si comprenda affatto l’importanza, nella creazione di un immaginario e di una realtà diverse, dell’uso sessuato della lingua proposto, tra le altre, dalla presidente della Camera Laura Boldrini (su cui sono piovute insulti e critiche ridicolizzanti, come quella televisiva e a mezzo stampa della comica Luciana Litizzetto), e tutti i dati sull’occupazione femminile confermino che le donne in Italia lavorano ancora poco e male, subendo mobbing e molestie. Dunque la risposta è che non solo c’è bisogno del femminismo, ma che servono tutti i femminismi, diversi e plurali,
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Le strategie operative per i consultori familiari
I che riusciamo a praticare e diffondere. E a far incontrare. È con questo intento che lo scorso 8 marzo è partita dal Kurdistan turco la Carovana femminista, progetto itinerante nato in seno al gruppo attivo dal 1998 conosciuto come la Marcia Mondiale delle donne, una rete internazionale femminista di oltre 6.000 associazioni presenti in più di 150 paesi. Come è nato il progetto ce lo ha raccontato Vania Martins, portoghese residente a Oxford, che ha seguito la Carovana durante l’evento di lancio e per le successive due settimane in Turchia e Grecia. “Nell’ultimo incontro internazionale, che si è tenuto a San Paolo in Brasile nell’agosto 2013, le delegate della Marcia mondiale decisero che le iniziative sarebbero state diverse nei vari continenti, per poter dare maggiore forza alle singole azioni sui territori. Fu deciso di organizzare delle Carovane, una per continente, ed è così che abbiamo iniziato a immaginare quella che avrebbe girato l’Europa”. Le attiviste hanno deciso di finanziare il progetto attraverso la rete con una campagna di crowfunding che in poco tempo ha raggiunto e superato la somma richiesta per le spese di viaggio, che toccherà tutti i paesi dell’Europa dell’est e dell’ovest. “Un gruppo di otto ragazze tra cui una filmaker canadese e una ragazza della delegazione brasiliana compongono il gruppo fisso che completerà l’intero percorso, ma altre attiviste si sono aggiunte e si aggiungeranno via via per alcuni tratti”, ci ha spiegato Vania. Intanto a Roma un gruppo di attiviste, provenienti da diversi collettivi e organizzazioni, sta preparando l’accoglienza per il passaggio della Carovana nella Capitale, previsto per la fine di agosto. A fare da ponte tra il gruppo portoghese, che ha partecipato attivamente al progetto sin dall’inizio, e le attiviste romane c’è Francesca Esposito, residente a Lisbona, dove è dottoranda in Psicologia di Comunità presso l’ISPA-IU di Lisbona. “Ho seguito gli incontri della Carovana dall’inizio ed è molto importante per le ragazze che l’hanno organizzata incontrare le donne nei territori, scoprirne le lotte, fare rete, conoscersi, realizzando così una mappatura delle pratiche e degli spazi di resistenza anti-sessista e anti-razzista che le donne occupano nei vari paesi”. Anche NOIDONNE, insieme al gruppo che si sta incontrando in questi mesi a Roma, seguirà la preparazione dell’accoglienza della Carovana durante il suo passaggio nella Capitale. b
l Progetto Obiettivo Materno Infantile, varato nel 2000 (DM 24 aprile), ma anticipato nelle linee essenziali da risoluzioni di commissioni ministeriali approvate alla fine degli anni Ottanta (con conseguente stanziamento di 25 miliardi per il potenziamento dei consultori nel Sud) e a metà degli anni Novanta (con conseguente legge 34/96: un consultorio ogni 20mila abitanti e 200 miliardi per il potenziamento del consultori in tutta Italia). Tuttavia il POMI è indigeribile per molti operatori, dirigenti, amministratori e politici. Indica obiettivi di salute da perseguire, le azioni da compiere per la promozione della salute, da effettuare con strategie operative a cui sono associati gli indicatori di processo, risultato ed esito con cui valutare se la strada per raggiungere gli obiettivi di salute è quella giusta e se gli obiettivi di salute vengono raggiunti. La promozione di salute viene intesa secondo l’indicazione della Carta di Ottawa del 1986, atta a far emergere, valorizzare, promuovere e sostenere le competenze delle persone e delle comunità nel controllo autonomo del proprio stato di salute. I programmi strategici sono il percorso nascita, con l’offerta attiva dei corsi di accompagnamento alla nascita prioritariamente a tutte le primipare e delle visite in puerperio a tutte le donne che hanno partorito utilizzando la persistenza dell’allattamento al seno come potente e complessivo indicatore di esito; l’educazione sessuale delle/gli adolescenti con l’offerta attiva di corsi a tutte le classi delle scuole medie, con la verifica dei cambiamenti delle conoscenze, delle attitudini e dei comportamenti e, nel tempo, con la riduzione di gravidanze indesiderate e conseguente ricorso all’aborto; la prevenzione del tumore del collo dell’utero con l’offerta attiva del Pap test da effettuare ogni 3 anni a tutte le donne di età compresa tra 25 e 64 anni. Non è difficile immaginare quali programmi satellite è possibile sviluppare con le suddette popolazioni “bersaglio”, quanti bisogni insoddisfatti di salute (intesa in senso globale) possono essere fatti emergere in fase prodromica per essere presi in carico, compresa l’evenienza della violenza contro le donne e l’omofobia, se le attività previste dalle strategie operative dei progetti strategici vengono svolte efficacemente nella prospettiva della promozione della salute, cogliendo tutte le sinergie e sfruttando le integrazioni. In tale prospettiva viene delineato un organico, con una funzione pivotale dell’ostetrica, con definito orario di lavoro adeguato a svolgere tutte le attività previste dalle strategie operative e quelle da svolgere con chi si presenta spontaneamente in un bacino di riferimento di 20mila abitanti. Qualcuno mi deve venire a dire quale di tali programmi non sia attuale. I consultori familiari della legge 405/75 e delineati secondo il POMI sono i servizi pilastri di una sanità pubblica sostenibile del 21esimo secolo.
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CIBO RIBELLE | 1
SIAMO CIÒ CHE MANGIAMO di Marta Mariani Tra i tanti modi di ribellarsi ad un sistema fondato sullo sfruttamento di persone e territori ci sono anche le scelte del nutrimento quotidiano
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hristopher McCandless (il ragazzo realmente esistito del West Virginia che, nell’immediato postlaurea, decise di devolvere le sue finanze all’Oxfam e lasciare la famiglia per intraprendere un avventurosissimo e pericolosissimo viaggio verso le terre alaskiane) sentiva ormai da tempo i limiti del denaro, della società occidentale, dei supermercati, della vita “artificiale”. Per questo si mise in marcia, attraversò gli Stati Uniti, determinato a cambiare tutto, regredire alla vita selvaggia: cacciare, difendersi con il fuoco, sopravvivere, diventando l’emblema della ribellione totale contro il consumismo e capitalismo. La scelta di McCandless non è stata molto imitata, ma negli ultimi anni stiamo assistendo ad altri tipi di ribellione al sistema, decisamente meno estreme e meno solitarie. Parla da tempo di “decrescita”, infatti, quella corrente di pensiero economico-politico incline alla riduzione controllata degli sprechi e, soprattutto, dei consumi, tesa all’equilibrio ecologico ed ecosistemico, quindi ad un più sapiente bilanciamento del rapporto fra l’essere umano e la natura. Serge Latouche, filosofo ed economista vivente, pioniere francese della ‘décroissance’, appunto, nel suo ‘Breve trattato sulla decrescita serena’ scrive: “La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessità di abbandonare l’obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte del capitale”. Di qui, si capisce che dire ‘basta’ al consumismo, ai supermercati, “all’orologio”, ancora non implica né eremitaggio, né solitudine. Anzi. Ecovillaggi e cohousing (ovvero, soluzioni familiari di coabitazione partecipata), attualmente, fanno rima con: orto e giardinaggio, medicina naturale, crudismo e naturopatia, terapie olistiche, bioedilizia, ecoturismo, discipline orientali di ricerca interiore e di crescita spirituale.
Sì, perché il comune denominatore di tutte queste attività è nientemeno che la terapia della più grave malattia del nostro secolo: l’avidità di denaro, quindi lo sfruttamento estenuante e l’ansia del profitto che da essa derivano. È interessante notare che il fulcro della ribellione al sistema e alla dittatura del dio denaro passi, nella maggioranza dei casi, per una riflessione e per una radicale ridiscussione del valore del cibo. Queste frange ribelli, cioè, queste comunità di “pacifici dissidenti”, infatti, ripensano e ridefiniscono il senso e il valore della nutrizione, al punto che spesso lo stravolgimento delle tradizioni gastronomiche e alimentari già consolidate diventa il modo privilegiato di indurre al cambiamento il sistema economico-sociale.
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La cosa non sorprende se si pensa alla centralità del cibo nel quadro delle missioni sanitarie di un soggetto come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ad oggi così si esprime: “migliorare le abitudini alimentari non è prerogativa del singolo individuo, bensì è una necessità sociale che richiede ormai un approccio interdisciplinare, multisettoriale e culturalmente adeguato”. Un approccio del genere, ad esempio, viene dalla naturopatia, propaggine disciplinare della medicina complementare, o alternativa, che, mirando al riequilibrio della fisiologia corporea, vede nel cibo il mezzo di rieducazione ad un bioritmo armonioso, quindi ad un equilibrio psicofisico ed emozionale. Correnti del tutto affini sono, inoltre, l’igienismo e la macrobiotica. L’igienismo, nato negli States con Isaac Jennings, Sylvester Graham e Russell Thacher Trall già sul tramontare del Settecento, fu sistematizzato solo con Herbert Shelton nel XX secolo. Esso consacra delle leggi comportamentali che regolano la salute della specie umana e inquadrano la stessa entro un campo di dinamiche che fluttuano dall’ordine al disordine. Un àmbito entro il quale il corpo umano avrebbe delle notevoli virtù autoterapeutiche, trascurate dalla medicina tradizionale per focalizzarsi esclusivamente sulla terapia del sintomo. Georges Ohsawa, il principale divulgatore della macrobiotica, (nato a Kyoto nel 1893) fu un autodidatta giapponese che si pose come intermediario culturale fra l’Occidente e l’Oriente, e in Europa permise la diffusione dell’antichissima teoria cinese dello Yin e dello Yang: le forze antagoniste regolatrici di tutti i fenomeni cosmici. Ohsawa classificava gli alimenti stessi secondo queste due forze opposte e complementari. Proprio tramite la sua classificazione, la macrobiotica (che categorizza il cibo
sulla base di aspetti fisici, chimici e biochimici, ma anche storici, biologici, ecologici e morali), intende bilanciare gli apporti energetici riconducibili ai principi opposti, fino a riorganizzarli entro l’armonia universale. Come è evidente, il cibo è un grande contenitore di molte istanze di cambiamento, cui spesso sono sottese ideologie rivoluzionarie, per quanto pacifiche e silenziose. C’è, forse, un trait-d’union importante, allora, tra cibo e stile di vita, quindi tra cibo, orto, ecovillaggio e cohousing. Un sottile filo rosso che collega alcune idee di “decrescita”, di ecologia e, più in generale, di armonizzazione psico-socio-ambientale. Con questa lente, sembrano unificabili le prospettive italiane, per esempio, di innovazione socio-economica che riscontriamo, ad oggi, in Piemonte, Abruzzo, Toscana ed Umbria: regioni capofila e motrici del cambiamento. Se l’associazione torinese CoAbitare ha già messo in piedi un efficace progetto di convivenza e timebanking, e l’Ecovillaggio Habitat toscano ospiterà per il prossimo luglio il diciannovesimo raduno nazionale della Rete Italiana Villaggi Ecologici, possiamo forse rintracciare in queste esperienze, il desiderio di forme di scambio, convivenza e confronto meno aggressive sul versante socio-economico, e più coinvolte nelle urgenti questioni energetiche e ambientali globali. Insomma, la parola chiave di questi movimenti sembra essere ‘l’autosufficienza’ nel benessere materiale e corporeo. Gli ecovillaggi, infatti, così come le realtà di cohousing già esistenti, vedono nel cibo, un mezzo indispensabile; nella gruppalità, una risorsa insostituibile, che però sentono autentica solo al di là delle leggi di mercato. “Non si tratta”, dice ancora Latouche, “di sostituire una buona economia ad una cattiva economia, una buona crescita ad una cattiva crescita, o a un cattivo sviluppo, si tratta piuttosto di uscire, senza mezzi termini, dall’economia”.
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Crudo e mangiato!
LAURA. Il crudismo è uno stile di vita basato sulla scelta di nutrirsi con alimenti “vivi e integri”, ossia il più possibile vicini al loro stato naturale. MARCO. Le origini del crudismo possono essere rintracciate addirittura in tempi remoti. Nel corso della storia, ad esempio, questa particolare dieta alimentare compariva già nell’antica Grecia con Ippocrate, o nell’antica Roma. In Italia, peraltro, era lo stile alimentare adottato dalla scuola medica salernitana. Molto più tardi comunque, negli Stati Uniti, Herbert Shelton, uno dei pionieri del crudismo, fece numerose ricerche e sperimentazioni sui cibi crudi. Ad oggi il crudismo è stato nuovamente apprezzato, rinascendo e diventando uno stile di vita piuttosto rinomato.
verdura, noci e semi. Per trarre il massimo da questi alimenti, poi, bisognerebbe assumerli crudi, integri, prediligendo processi di trasformazione leggeri, che permettano di conservare le proprietà dell’alimento. La filosofia crudista non ha nulla a che vedere con lo slogan “mangio tutto crudo, qualsiasi cosa sia”. Un pensiero di questo tipo non è affatto una scelta salubre, né sensata. E’ preferibile, piuttosto, mangiare crudo al 75%, per esempio, evitando prodotti processati o inadatti alla nostra fisiologia. Personalmente sono arrivata al crudismo per motivi di salute. È stato un percorso lungo, lento, graduale, in cui via via ho scoperto e sperimentato i benefici dell’alimentazione vegetariana e vegana, prima, poi gli insegnamenti igienisti e del crudismo. Questi ultimi due passaggi sono stati importantissimi e mi hanno veramente permesso di dare una svolta alla mia vita. M. Io sono arrivato al crudismo per curiosità oltre che per motivi di salute. Avevo 22 anni quando, per problemi intestinali, fui costretto a stravolgere il mio stile di vita. Praticai lo yoga e passai ad un’alimentazione vegetariana. Così, mi appassionai alla nutrizione. Poi, durante un viaggio in Sudafrica, nel 2009, conobbi una comunità di crudisti che organizzava eventi culinari per la promozione della consapevolezza alimentare. Con loro feci un’esperienza annuale crudista, adottando una dieta di cibi crudi ad alto contenuto di grassi.
Esiste un solo movimento crudista, o anch’esso ha le sue frange e le sue fazioni? Cosa vi ha portato a scegliere, su tutti, il regime alimentare crudista?
In quali aspetti principali (salute, vita sportiva e dinamica o lavorativa, vita relazionale etc...) le abitudini crudiste hanno maggiormente rivoluzionato le vostre vite?
di Marta Mariani
La scelta di aderire all’alimentazione crudista si fonda prima di tutto sul bisogno di stare bene
Laura Bragagnolo e Marco Benedettini , di Crudo&Salute, sono entrambi appassionati di alimentazione crudista. Dal 2013 sono impegnati nella divulgazione di opere in lingua italiana sulle nozioni di Frederic Patenaude. A loro abbiamo rivolto, per il focus “Cibo ribelle”, le nostre domande e la nostra attenzione. È possibile, in poche righe, definire il crudismo e chiarire meglio o l’origine di questa particolare dieta?
L. Esistono diverse correnti nel crudismo. Alla base delle scelte alimentari di un crudista c’è (o dovrebbe esserci) la consapevolezza di quali siano gli alimenti adeguati alla fisiologia dell’essere umano, quindi, principalmente: frutta,
L. Come dicevo, per me il crudismo ha avuto un impatto positivo, in primis, sulla salute - che comunque è alla base di molti altri aspetti dell’esistenza. Ho superato, cioè, problemi cronici (con cui convivevo da lungo tempo)
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liberando energia e vitalità, dedicandomi finalmente alla vita con più gioia e soddisfazione. Di qui sono venute altre scelte, come quella di impiegare parte del mio tempo per la divulgazione di ciò che è stato utile per me. Oltretutto, un grande “dono” che ho ricevuto dalla pratica degli insegnamenti igienisti e crudisti è stato, di recente, la maternità: un corpo e una vita più sani mi hanno permesso di accedere a questa esperienza che, senz’altro, sta rivoluzionando completamente la mia vita! M. Onestamente, il crudismo ha rovinato la mia vita nei primi 2-3 anni. Un continuo alternarsi di crisi di depurazione, abbuffate e vita sociale disastrosa. Inizialmente trovavo grandi difficoltà nel reperire le giuste informazioni su uno stile alimentare corretto, e andavo a tentativi. Quando rivoluzioni la tua dieta devi domare molte diverse dinamiche psicologiche ed emotive, cosa non facile. Dopo 3-4 anni, pian piano, trovai una sorta di equilibrio. Anche se non avevo del tutto abbandonato né i cibi cotti, né i condimenti, stavo iniziando a reperire informazioni valide sull’igienismo e sulla dieta crudista a basso contenuto di grassi. Adesso che ho trovato il mio equilibrio non tornerei mai indietro. I benefici sulla salute sono tanti. Ho molta più energia di quando avevo 20 anni (ora ne ho 32), sono più flessibile e dinamico, ho un sistema immunitario più reattivo, mi sento molto più positivo e più a mio agio con la natura e l’ambiente.
Vi capita di sentirvi giudicati per queste scelte legate alla nutrizione? Le persone che vi attorniano generalmente come reagiscono?
L. Mi è capitato, talvolta, di sentirmi giudicata e ritenuta forse un po’ “fissata” o estremista. Ma questo è successo via via sempre meno, forse perché io stessa ho adottato un approccio più morbido e non ho più bisogno di affermare rigidamente le mie idee, né di convincere gli
altri. In generale, mi trovo meglio evitando gli “ismi” e le posizioni fondamentaliste. La vita è per definizione fluida, in costante evoluzione, e credo richieda queste stesse qualità da parte nostra. M. Le persone giudicano continuamente, ma il fatto di sentirsi giudicati accade perlopiù dentro di noi. Qualunque cosa fatta “fuori dagli schemi” verrà guardata con giudizio e scetticismo. È un bene, in fondo, perché fa venire a galla quei giudizi che noi esprimiamo su noi stessi, e ci consente di riconoscerli e abbandonarli. Imparando noi stessi a non giudicare potremo essere finalmente liberi da questo meccanismo egoico. In questo modo, il giudizio degli altri non riuscirà più ad attecchire in noi, al massimo potrà farci sorridere. È vero che quando una certa serenità trova spazio dentro di noi, anche gli altri smettono di giudicare in nostra presenza.
La diffusione del crudismo in America e in Europa è un dato attualmente sensibile e certificato. Alcuni media vogliono vedere in questo fenomeno soprattutto il dilagare di mode alimentari. Voi cosa ne pensate? A cosa si deve il favore di cui gode questo nuovo regime nutrizionale?
L. Credo che alla base di questo fenomeno e, in generale, alla base della crescita di interesse per le scelte vegetariana e vegana ci sia un bisogno fondamentale delle persone: quello di stare bene; assieme alla consapevolezza crescente che scelte fino a poco tempo fa ritenute “normali” si sono rivelate in realtà disastrose per la salute umana e del pianeta. La consapevolezza, data dall’esperienza personale, del resto, è sempre più sostenuta dalle testimonianze e dalle ricerche di numerosi autori scientifici, le cui osservazioni non fanno che confermare la salubrità di un’alimentazione preferibilmente vegana, basata su una grossa percentuale di cibi crudi. M. Credo che il crudismo sia divenuto una moda grazie anche alla diffusione di questo stile alimentare nelle cerchie di attori famosi americani. È comunque, questo, un segnale di interesse importante. Il diffondersi di questo stile di vita, infatti, ha dato modo a molte persone di interessarsi agli aspetti più salutisti del vivere.
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FARE LA SPESA È UN GESTO POLITICO di Giovanna Badalassi
Le donne hanno la responsabilità della gestione dell’alimentazione propria e della famiglia: un potere sociale ed economico che chiede consapevolezza
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state in arrivo e, come ogni anno, tempo di dieta. Dieta di ogni tipo, oramai si sono creati dei veri filoni letterari: la Dukan, la Metabolica, quella a zona, quella dell’uva, la Montignac, la Tisanoreica, solo per citarne alcune. Poi ci sono i regimi alimentari: i vegetariani, i crudisti, i vegani. per non parlare degli appassionati di cibi rigorosamente bio o tendenza Slow Food. In tutte queste sperimentazioni alimentari le donne sono protagoniste: la prova bikini rappresenta uno stereotipo oramai inattaccabile e, anche quando sono gli uomini a mettersi a dieta, molto spesso dietro c’è una figura femminile che li convince a mettersi a stecchetto, fa la spesa e prepara amorevoli pasti. Dietro a questo fenomeno un po’ kitch e spesso eccessivo delle diete, si nascondono però delle dinamiche di genere culturali, sociali ed economiche importanti, che coinvolgono la salute di tutti. Le donne hanno infatti da sempre un rapporto privilegiato con il cibo. Anche se non sta scritto da nessuna parte che debbano essere le donne ad occuparsi dell’alimentazione di tutta la famiglia, il retaggio culturale, nato dal mito primordiale della mamma che allatta, rimane fortissimo. Ancora oggi in un giorno medio settimanale1 l’86,4% delle donne over 15 cucina, lava e riordina le stoviglie contro il 40,5% degli uomini. Una responsabilità importante, che può condizionare la salute e il benessere di tutta la famiglia, oltre che delle donne stesse. Come esercitano le donne questa capacità/responsa-
bilità? A giudicare dalle statistiche mondiali sullo stato di salute degli italiani, sempre tra i primi in classifica, molto bene, si direbbe. E questo nonostante le ansie alimentari di molte, i sensi di colpa per gli strappi alle regole, e una continua ricerca di un equilibrio alimentare di cui le appassionate di diete estive rappresentano solo la versione più pittoresca. Le donne alla fine sono delle autentiche campionesse nella gestione del proprio rapporto con il cibo: le loro maggiori aspettative di vita (84,9 anni contro gli 80,2 per gli uomini)2 sono in gran parte riconducibili a comportamenti alimentari particolarmente virtuosi. Infatti le donne3 • bevono meno bevande gassate (53,3% contro il 63,6% degli uomini over 11), e meno alcolici e superalcolici fuori pasto (15,8% le donne contro il 36,5% degli uomini) • fanno in maggior numero una colazione adeguata (82,6% contro il 76,7% della popolazione con più di 3 anni) • mangiano più verdure (il 56% delle over 3 almeno una volta al giorno contro il 46,5% degli uomini), e più frutta (77,1% delle over 3 contro il 71,7% degli uomini) • prestano più attenzione al consumo di sale (71,5% delle over 3 contro il 62,1% degli uomini) Ne consegue inevitabilmente che sono più magre (solo il
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36,8% delle donne in Italia sono sovrappeso o obese contro il 55,6% degli uomini) e quindi sono meno soggette a fattori di rischio per la propria salute. Tutto bene quindi? Si e no. Rimangono forti criticità a seconda delle classi sociali e del livello di istruzione che mettono maggiormente a rischio l’alimentazione e la salute degli adulti e dei bambini, e che richiedono un percorso di crescita e di consapevolezza non solo delle donne ma anche degli uomini. Tra gli uomini over 15 i laureati sovrappeso o obesi sono infatti il 46,4% contro il 68,7% di coloro che non hanno superato la licenza elementare, mentre tra le donne over 15 le laureate sovrappeso o obese sono il 19,9% contro il 57,7% delle donne con licenza elementare. L’alimentazione corretta dei bambini, e il ruolo prevalente delle madri in questa attività, rappresenta poi un ambito di particolare criticità sociale e sanitario che le chiama ad un percorso di crescita nella gestione della loro salute sempre più consapevole. Tra i bambini4 di 8-9 anni infatti quelli in sovrappeso sono il 20,9% e quelli obesi il 9,8%, con una maggiore concentrazione nelle regioni del centro e del Sud. Importante (anche qui!) è il ruolo delle madri dei bambini in sovrappeso. Tra queste infatti il 38% ritiene che il proprio figlio sia sottonormopeso e solo il 29% pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. È insomma una grande fatica, preparare da mangiare per tutta la famiglia, stare dietro alla salute di tutti, sopportare e superare i capricci alimentari dei bambini e, spesso, dei grandi. Avere rigore e disciplina ogni giorno, o almeno provarci. Una fatica che però, oltre ad essere un fardello di responsabilità spesso opprimente, rappresenta anche un importante potere economico e, alla fine, se lo vediamo in prospettiva più ampia, anche politico. Se infatti le
famiglie spendono in acquisto di alimenti e bevande non alcoliche 143,2 miliardi di Euro5 l’anno, e se consideriamo che la responsabilità della spesa quotidiana ricade soprattutto tra le incombenze femminili, capiamo immediatamente il potere economico in questo ambito che hanno le donne, e la rincorsa dell’industria alimentare ad aggiudicarsi le loro scelte di acquisto. Come vengono spesi questi 143,2 miliardi di Euro? Lo sappiamo bene, ogni volta che andiamo a fare la spesa, ma è interessante vedere i dati dei segmenti di mercato più salutisti. Per la nostra italianissima dieta mediterranea, che è indicata come una delle più sane, se adottata senza eccessi, si parla di un giro d’affari di 35 miliardi di Euro6 e di un valore potenziale del “brand” di un miliardo di Euro. Tutto l’alimentare bio coinvolge il 68% degli italiani per un fatturato complessivo di 3,1 miliardi di Euro7, mentre per i soli prodotti dietetici (barrette, beveroni, pasti sostitutivi, prodotti fatti apposta per chi segue un determinato regime alimentare), si spendono 150 milioni di Euro l’anno8. Le donne hanno quindi un forte potere di acquisto in questo ambito, e possono fare la differenza nello scegliere di mangiare più o meno sano, nel rivolgersi a negozi bio o a prodotti delle multinazionali, dietro ai quali si nascondono interessi economici di rilevanza mondiale che troppo spesso vanno a scapito della qualità del cibo. Si calcola infatti che il 70% dei prodotti alimentari sia concentrato in sole 10 multinazionali che fatturano ogni anno 450 miliardi di dollari e hanno una capitalizzazione di 7.000 miliardi9. È facile immaginarne il potere di persuasione attraverso campagne di marketing di livello globale, soprattutto rispetto ai ceti sociali più modesti e con un livello di istruzione inadeguato a proteggerli dalla forza accattivante del messaggio pubblicitario.
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STRATEGIE
PRIVATE
di Cristina Melchiorri
NuLLA dI PERSONALE! Sono Emanuela, ho venticinque anni e lavoro da poco in una azienda di abbigliamento per bambini. Oggi ho discusso con i miei colleghi, che sostengono che noi donne siamo permalose e non sappiamo avere divergenze senza metterla “sul personale”. Non accettiamo le critiche, o i rimproveri. Che invece gli uomini sanno scontrarsi e litigare per poi proseguire a collaborare sul lavoro senza rancore. Quindi siamo più fragili nel gioco di squadra e come leader di un team. Va da sé che mi sono seccata e l’ho presa molto “sul personale”... Emanuela Ricci, Casalecchio di Reno (Bologna)
Decidere se mangiare cibo sano e genuino, fare una dieta o piuttosto affidarsi ciecamente al potere della pubblicità è quindi una scelta molto importante alla quale le donne sono chiamate e che ha riflessi non solo sulla salute propria e della propria famiglia, ma anche su interi settori di business alimentare. C’è da quindi da augurarsi che, dietro alle nuove mode alimentari, cresca ancora di più la consapevolezza per una corretta alimentazione, che sappia essere non solo appannaggio dei ceti più istruiti ed abbienti, ma che sappia diventare un patrimonio culturale e sociale condiviso a tutti i livelli della società. E le donne, volenti o nolenti, saranno le protagoniste di questa crescita. A pensarci bene, un potere sociale, politico ed economico enorme.
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Fonte: Istat, http://dati.istat.it/ Anno 2008 Indagine sull’Uso del Tempo Fonte: Istat, http://dati.istat.it/ Anno 2014 Fonte: Istat, Aspetti della Vita quotidiana, Anno di rilevazione: 2013 Fonte: http://www.iss.it/binary/pres/cont/SINTESI_OKKIO.pdf Fonte: Istat, Conti economici nazionali, Anno 2013 http://dati.istat.it/ Fonte: http://food24.ilsole24ore.com/2014/11/dieta-mediterranea-vale-miliardoeuro-prossimo-obiettivo-marchio-condiviso/ 7 Fonte: http://www.coldiretti.it/News/Pagine/676--%E2%80%93-6-Ottobre-2013.aspx 8 Fonte: http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/12/13/news/diete_barrette_beveroni_e_pillole-70816235/ 9 Fonte: http://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2014/12/19/news/i_padroni_del_cibo-103273466/
Cara Emanuela, direi che c’è del vero...Penso che derivi dall’imprinting che da piccoli maschi e femmine ricevono dall’educazione famigliare, dalla scuola, e che si conferma negli stessi differenti modi di giocare, che foggiano carattere e comportamenti dell’età adulta. Se vedi un gruppo di ragazzi che giocano a pallone li sentirai spesso litigare, li vedrai interrompere il gioco per discuterne le regole e poi riprenderlo. Azzuffarsi e uscire insieme dagli spogliatoi per andare a mangiare una pizza. Una discussione fra bambine produce effetti diversi: il gioco si interrompe e ciascuna torna a casa. Da ragazza facevo parte di una squadra di nuoto. Venne da noi l’allenatore della squadra maschile, ma restò solo sei mesi. “Quando un nuotatore arriva in ritardo agli allenamenti, gli faccio fare venti vasche per punizione e lui le fa, senza protestare. Ho applicato la stessa regola ad una nuotatrice, e lei si è messa a piangere. Le compagne sono venute da me a lamentarsi, dicendo che non dovevo far piangere la ragazza. Io non volevo farla piangere, pensavo conoscesse le regole!” Per l’allenatore era normale che uno sportivo che viola una regola accetti la punizione. Ma noi ragazze abbiamo pensato che l’allenatore avrebbe dovuto lasciar correre e l’interessata ha visto la punizione come un rifiuto personale. Un altro esempio? Giocando a tennis due ragazze spesso palleggiano e non tengono conto del punteggio, mentre due ragazzi giocano una partita con lo scopo di vincere l’uno sull’altro. Nel lavoro l’equivalente del palleggio è fare correttamente il proprio lavoro. Ma questo atteggiamento non aiuterà una donna a diventare un leader...dovrà gareggiare, anche scontrandosi con la propria riluttanza a competere. Bisogna voler vincere e rimanere amica di chi hai sconfitto. Nulla di personale.
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TURISMO RURALE LAVORARE NEL VERDE CON I CAVALLI di Roberto Dati
Eterna Donna su Immota Terra dal 12 al 14 giugno. Viaggio a cavallo nei paesaggi rurali dell’Umbria Elena Riccioni, accompagnatrice turistica ed esperta nell’arte dell’accoglienza,
promuove da anni forme di turismo rurale responsabile, nelle sue varie declinazioni: crociere sul lago di Bracciano, cura e gestione della stazione ferroviaria in disuso di Anguillara Sabazia, turismo a cavallo. Infatti, ricollegandosi alla proclamazione del 2015 quale anno della “Donna per la Terra”, dichiarato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nonché all’evento “Donna che nutre il Pianeta” in occasione dell’Expo, con il supporto di AITR - Associazione Italiana Turismo Responsabile e di WTM Responsible Tourism (Fieramercato del turismo responsabile di Londra), Elena ha ideato lo speciale circuito “Eterna Donna su Immota Terra. Viaggio a cavallo nei paesaggi rurali Umbri”, che si svolge dal 12 al 14 giugno 2015. Elena ha scelto la campagna umbra per la sua bellezza ambientale e culturale, ma soprattutto perché è un luogo dove si può ascoltare meglio la Terra: quieta e silente, non produce buoni frutti se la si forza, ha bisogno di cura e tempo per dare il meglio. Secondo le tradizioni più antiche la terra è donna. La terra accoglie la vita, la rigenera, la nutre e la trasforma e proprio la donna, assieme alla Terra, sono la chiave di volta per un futuro migliore. È questa la sottile linea rossa che tesse la tela del viaggio: trovare noi stessi, riscoprendo uno stile di vita lento, basato
sui ritmi della natura, e capire l’importanza di alimentarsi con cibi sani e biologici, per mantenere il nostro corpo in salute. Elemento centrale di questo percorso è il cavallo, compagno dell’uomo fin dalla notte dei tempi: viaggiare cavalcando ci permette di rivivere le atmosfere e le abitudini delle ospitali campagne umbre, dove nessun viandante veniva lasciato vagare senza un ricovero per sé e per il proprio animale e un pasto semplice, ma caldo. Un mondo che Elena tenta di riportare alla luce, fatto di persone e valori autentici, di luoghi di rara bellezza. Le donne saranno le protagoniste principali di questo viaggio. Donne guide equestri, donne imprenditrici che gestiscono meravigliosi agriturismi o donne fornaie e contadine che offriranno i loro prodotti: “Incontreremo alcune di loro e - assicura Elena - ci lasceremo ispirare dalla loro passione e dalle loro storie: Isabella è una giovane che, seguendo le orme di suo padre e di suo nonno, entrambi agricoltori, gestisce l’Agriturismo La Capretta e al tempo stesso studia per diventare avvocata e poter così difendere i contadini. Presso l’azienda agricola Tenuta di Corbara, dove gusteremo il cibo preparato secondo la tradizione contadina umbra, Marta, oggi produttrice di eccellenza,ci racconterà del suo ritorno alla terra lavorando nell’azienda agricola di famiglia. Mangeremo il pane buonissimo di Donatella, che imparò a farlo da bambina seguendo i preziosi insegnamenti di suo padre:il suo pane, fatto con miscele di farine antiche e macinate a pietra, è oggi una forma di arte”.
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BIOLOGICO SCELTA DI VITA di Tiziana Bartolini
La soddisfazione del raccolto e l’energia della natura. Tutte le ragioni dell’agricoltura secondo Mara Baldo, presidente di Donne in Campo del Trentino
Il suo è stato un ritorno alla campagna, dopo un periodo in cui ha provato a cercare altre strade. Come ha capito che l’agricoltura era la scelta giusta da fare? Sono nata in una famiglia di contadini. Noi cinque figli dopo la scuola aiutavamo i nostri genitori in campagna e fin da giovane ho capito che lavorare la terra è faticoso. Crescendo ho cercato di fare altre esperienze ma, dopo 15 anni come impiegata, sono tornata alla campagna. Certo, ha influito il fatto di aver sposato un agricoltore, ma soprattutto mi sono resa conto che stavo bene: mi dava soddisfazione raccogliere il frutto del mio lavoro, ero in sintonia con il tempo, vedevo il cambio delle stagioni. Il vivere all’aperto mi dava un sacco di energie e così sono rimasta.
Mele biologiche, quindi sane, gustose e anche belle.
“Certo che si può, basta guardare le nostre!”. Mara Baldo è molto orgogliosa anche delle ciliegie e degli ortaggi che produce la sua azienda agricola biologica. “Non utilizzando concimi chimici, ma solo organici, si produce meno ma la qualità ne trae grande vantaggio. E questa è una soddisfazione immensa per chi, come me, ha creduto nel biologico e ci ha investito energie e risorse economiche”. La presidente di Donne in Campo del Trentino è una donna salda nei principi e aperta all’incontro con l’altro/a. Una vita densa, quella di Mara Baldo, che l’ha vista tornare alla terra dopo esperienze lavorative in altri settori.
Diceva del biologico. Come è avvenuta la scelta di cambiare il metodo di produzione? Ho sempre avuto grande sensibilità verso l’ambiente e per il cibo sano. Mi interessa sapere da dove viene quello che mangiamo e come è stato coltivato. Piano piano ho cercato di convincere mio marito dell’importanza di produrre senza l’uso di sostanze chimiche, utilizzando solo prodotti di origine naturale. Inizialmente non era d’accordo, ma si è poi convinto e lui stesso ora dice che non riuscirebbe più a tornare indietro! Da qualche anno coltiviamo ortaggi, cavoli, carote, patate, cipolle, rape e altri ortaggi sempre con metodo biologico. È una produzione che curo io, che costa molto lavoro ma che mi dà tanta soddisfazione.
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È possibile, realisticamente, che oggi i giovani si dedichino all’impresa agricola partendo da zero, cioè senza avere terra di proprietà e competenze che magari derivano più dalle famiglie che dagli studi?
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DONNE IN CAMPO IN TRENTINO Iniziative e progetti
Gli studi aiutano, ma poi le competenze si maturano col tempo e contando anche su bravi tecnici che seguono le aziende. Il problema vero sono gli investimenti iniziali: oltre il terreno - che è difficile trovare in affitto - costano molto anche le attrezzature. In concreto vedo molto, molto difficile che un giovane che ha voglia di mettersi a lavorare la terra senza avere alle spalle una famiglia di agricoltori ce la possa fare. A quelli che vogliono provare direi che l’unico modo per riuscire è rimboccarsi le maniche: l’agricoltura chiede fatica, costanza, tenacia.
Con ‘Scampagnate in fattoria’, dal 2010 nelle domeniche d’estate le donne aprono le loro aziende alle visite della popolazione. Un’iniziativa consolidata nel tempo che ha fatto conoscere ed apprezzare le imprenditrici di Donne in Campo e i loro prodotti, che sono moltissimi: dalle erbe officinali (che poi trasformano in tisane o in creme ed unguenti a base di erbe naturali) alle produzioni di frutta, ortaggi e di piccoli frutti; dalla coltivazione della vite alla produzione di vino; dall’allevamento di mucche, capre, pecore galline alla produzione di salumi fino alla trasformazione del latte in formaggio con vendita diretta ai mercati.
Come è vista, oggi, una donna che lavora la terra? Che posto ha nella scala sociale il valore del suo lavoro?
Collaborazione con le Bauerinnen, associazione di
Per le esperienze che ho direi che è vista bene le viene riconosciuta la tenacia perché quando si mettono in mente una cosa cercano di realizzarla a tutti i costi. Quasi sempre le donne lavorano la terra e sono anche titolari di aziende di piccole dimensioni, riescono a curare la trasformazione e la vendita diretta dei loro prodotti, creano attività parallele di accoglienza come le fattorie didattiche o piccoli agritur. È tutta femminile l’attenzione ai particolari ed è per questo che il loro lavoro è riconosciuto. Le donne hanno arricchito l’agricoltura anche di significati: oggi il mondo agricolo trasmette valori, passione, rispetto per il territorio e l’ambiente, cultura. Il rapporto diretto che le donne hanno con il consumatore ha dato loro, e sta dando, un ruolo sempre maggiore in termini di importanza e credibilità. Senza nulla togliere alle aziende a conduzione maschile, voglio sottolineare che il nostro approccio è diverso. Non è un caso che comincino ad esserci donne anche in posti di responsabilità e anche io, quando partecipo agli incontri tecnici, ai corsi di aggiornamento o alle assemblee, mi sento ascoltata e rispettata. Anche nella nostra azienda, pur nella conduzione familiare, ci siamo dati gli stessi diritti.
contadine dell’Alto Adige.
Nel Comitato per l’Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio (Cif) partecipano ad un tavolo di lavoro che comprende una rappresentanza di tutte le categorie di lavoratrici di tutti i settori e che ha lo scopo di aiutare le imprenditrici a trovare gli strumenti, anche finanziari, necessari per avviare una nuova attività o per sostenere quelle già in essere.
Recentemente hanno presentato il registro CO-MANAGER, un nuovo strumento di conciliazione (forse il primo in Italia) che intende aiutare le imprenditrici in caso di maternità o di problemi familiari e di cura degli anziani. Con la presentazione di un progetto all’Agenzia del Lavoro si può avere un finanziamento finalizzato alla sostituzione dell’imprenditrice, che così non sarà costretta a chiudere la propria azienda.
Una collaborazione con le scuole, iniziativa in cantiere, prevede la realizzazione di laboratori in azienda o direttamente nelle classi per far conoscere ai bambini come si lavora in campagna con l’obiettivo di educarli al rispetto della natura, dell’ambiente, degli animali. Il ‘Treno dei sapori delle Donne in Campo’ è la più recente iniziativa presentata alla Mostra dell’Agricoltura di Trento. “Anche grazie ai laboratori organizzati per grandi e piccini abbiamo potuto parlare con moltissime persone spiegando il nostro lavoro. È bello vedere come aumenta l’interesse intorno all’agricoltura”, spiega Mara Baldo. E la soddisfazione, giustamente, premia la passione.
Treno dei sapori delle Donne in Campo
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SLOVENIA
Avanti con i diritti civili
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a Camera dello Stato - il parlamento sloveno - ha approvato il 3 marzo 2015, con 51 voti a favore e 28 contrari (5 astenuti), un emendamento alla legge sul matrimonio e la famiglia che equipara i matrimoni omosessuali a quelli eterosessuali. La modifica di legge deve ora essere firmata dal presidente della repubblica per entrare in vigore. Il matrimonio, secondo la nuova definizione, è considerato l’unione tra due persone indipendentemente dal loro sesso. L’emendamento è stato presentato dai parlamentari del partito d’opposizione “Sinistra Unita”, ed è stato appoggiato dai rappresentanti di Alleanza per Alenka Bratušeke da quelli della coalizione di governo: partito di Miro Cerar di centro-sinistra, partito del Centro Moderno, partito socialdemocratico. DeSUS, il partito democratico dei pensionati della Slovenia, che fa anch’esso parte della coalizione governativa, ha lasciato ai suoi parlamentari la possibilità di votare secondo la propria coscienza. Decisamente contrari all’emendamento, invece, i partiti di centro-destra (Partito democratico sloveno di Janez Janša e Nova Slovenija). Subito dopo l’approvazione, circa duemila persone hanno manifestato davanti alla sede del parlamento a Lubiana per protestare contro i matrimoni gay. Con l’approvazione dell’emendamento, le coppie omosessuali possono ora sposarsi acquisendo in questo modo i diritti e i doveri di cui godono le coppie eterosessuali, sia dal punto di vista giuridico che economico-sociale. Tra i diritti delle coppie gay c’è anche la possibilità di adozione dei bambini. La Slovenia entra, dunque, nell’elenco degli stati che hanno approvato legalmente il matrimonio tra persone
La Slovenia è il tredicesimo paese in Europa, il ventunesimo nel mondo, e il secondo tra gli stati post-socialisti dell’Europa centro-orientale ad aver approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Che possono anche adottare bambin* di Cristina Carpinelli dello stesso sesso. È il tredicesimo paese in Europa, il ventunesimo nel mondo, e il secondo tra gli stati postsocialisti dell’Europa centro-orientale. Il primato, tra i paesi dell’ex blocco socialista, lo detiene l’Estonia, che ha già legalizzato i matrimoni tra le persone dello stesso sesso (ottobre 2014), anche se la nuova legge entrerà in vigore il 1° gennaio 2016. Insomma, un fatto rilevante per la Slovenia se si considera che le vicine Ungheria e Croazia hanno divieti costituzionali sui matrimoni omosessuali. Anche se in quest’ultimo paese, a dispetto della norma costituzionale, su proposta dei partiti della coalizione liberal socialista di centrosinistra è stata approvata il 15 luglio 2014 una legge che riconosce uguali diritti e garanzie per le coppie di fatto lgbt. Va precisato che in Slovenia nel 2006 erano state permesse le unioni civili per le coppie gay e lesbiche (che escludevano però l’adozione). Era stato, infatti, approvato un registro per le coppie dello stesso sesso che garantiva loro di ereditare pensione e beni in caso di morte o malattia di uno dei due partner, ma negava il matrimonio e la facoltà di adottare bambini. Nel 2010 il governo sloveno si era impegnato a riconoscere il matrimonio tra persone dello stes-
so sesso nel nuovo codice di famiglia, ma fu obbligato a compiere passi indietro per via delle reazioni dei settori cattolici e della destra slovena, che si focalizzarono soprattutto sull’adozione. Nel mese di marzo 2010 il parlamento della Slovenia approvava, in prima lettura, la riforma che introduceva il matrimonio ugualitario, ma le forze ostili alla riforma furono così forti che il governo dovette cedere, annunciando nel 2011 il ritiro della norma. Nonostante ciò, il parlamento riuscì a far approvare una versione modificata della legge che almeno riconosceva importanti migliorie per i diritti delle coppie dello stesso sesso (rispetto alla legislazione del 2006). Ad esempio, per quel che riguarda l’adozione, la versione aggiornata della legge, pur non permettendo quella congiunta, dava, tuttavia, il via libera alla “stepchild adoption”. Nel 2015, a distanza di qualche anno, il parlamento è riuscito finalmente a far passare il matrimonio ugualitario. Un successo senza eguali per il proponente dell’emendamento alla legge sul matrimonio e la famiglia, Matej T.Vatovec, di “Sinistra Unita”, secondo cui “l’orientamento sessuale non può essere un elemento discriminatorio in nessuna situazione. Aver approvato la normativa - aggiunge Vatovec - ha significato compiere un ulteriore passo verso una società del ventunesimo secolo più civile, inclusiva e tollerante”. Per la capogruppo del partito di Miro Cerar, Simona Kustec Lipicer, “…essere diversi è un dono, una parte di un insieme e non un motivo di divisione o disgregazione della società. Nessuno può e deve interferire sulle scelte personali degli altri, ognuno ha il diritto di scegliere come vuole gestire la sua relazione affettiva”. Il deputato socialdemocratico, Matjaž Nemec, ha sostenuto che “la gogna nei confronti della diversità è durata già troppo a lungo”. Di diverso avviso gli opponenti all’emendamento. Per il partito democratico sloveno, la famiglia tradizionale va tutelata, non posta sotto minaccia. Alla stessa maniera si sono pronunciati i deputati di Nova Slovenija. Irena Vadnjal, presidente del Comitato cultura di questo partito, ha sostenuto che “legalizzare il matrimonio omosessuale vuol dire passare in futuro
al matrimonio poligamo e, poi, all’unione legalizzata fra uomo e bestie. Gli omosessuali vogliono che il loro stile di vita venga imposto a tutta la società”. Per Jelka Godec Schmidt, nota illustratrice e scrittrice di libri per bambini, “il diritto di famiglia non puù essere modificato solo perchè alcuni articoli sarebbero in contrasto con la Costituzione, la motivazione non regge”. Il punto maggiore della discordia riguarda la possibilità del partner omosessuale di adottare il figlio del proprio/a compagno/a. L’adozione congiunta di bambini da parte di persone dello stesso sesso rimane, del resto, anche in altri paesi, che hanno previsto una qualche forma di unione di fatto legale tra coppie omosessuali, la questione più controversa. Il ministro del lavoro, la famiglia e gli affari sociali, Anja Kopa Mrak, ha più volte sottolineato che “la nuova legge non toglie nulla a nessuno, anzi amplia i diritti fondamentali”. Ma non la pensa così una parte della popolazione slovena, pronta a sostenere l’iniziativa referendaria abrogativa del provvedimento, di cui si è fatta promotrice la Conferenza episcopale, capofila nella raccolta firme per indire il referendum contro tale provvedimento. La Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale slovena ha, infatti, inviato a tutti i sacerdoti del paese e ai responsabili delle società cattoliche, indicazioni circostanziate su come dare avvio alla raccolta delle firme tra i fedeli. Firme necessarie per indire la consultazione popolare. Il presidente della Commissione, Tadej Strehovec, ha chiaramente messo per iscritto in una missiva ai parroci e ai responsabili dell’associazionismo cattolico le motivazioni. In questa missiva, Strehovec ha chiesto ai parroci di convincere i fedeli a firmare, chiarendo che con la legge appena varata dal parlamento sulle nozze gay, la Slovenia entra a far parte di quel trend occidentale “che è contrario all’ordine naturale dell’unione tra uomo e donna”, considerato come “il luogo naturale per lo sviluppo di una nuova vita e, allo stesso tempo, il migliore ambiente per la crescita e lo sviluppo dei figli”. E “non è una posizione discriminatoria - precisa ancora il documento di Strehovec - nei confronti di una comunità priva di questi valori e di queste potenzialità, ma solamente l’accettazione delle leggi naturali”. Come andrà a finire non è ancora dato di sapere. Certo è che per avviare un referendum sono necessarie 40mila firme e dai sondaggi più recenti risulta che il 60% della popolazione è favorevole ai matrimoni gay. Non solo. Nel 2013 la Slovenia ha cambiato la sua legislazione in materia di referendum non permettendo che si facciano plebisciti in materia di diritti umani. b
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PADRONE
DELLO SPAZIO PUBBLICO Le donne del mondo arabo continuano ad avere una centralità e il dibattito pubblico nei vari paesi non può ignorarle
SPECIALE DONNE ARABE
di Emanuela Irace
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anno sfilato per le vie di Tunisi e Rabat. Nella Casbah di Algeri e a Bengasi. Hanno guidato dove non potevano. Dall’Arabia Saudita allo Yemen quando si scardina la tradizione si attraversa sempre corpo e immagine femminile. Ovunque le cosiddette Primavere arabe hanno avuto per protagoniste le donne. Centrali sulla scena del Maghreb - arabo, laico e musulmano - sono state parte attiva del movimento rivoluzionario che dal 2011 ad oggi - con le dovute differenziazioni e gradi di intensità - ha travolto regimi e riformato Costituzioni. Padrone dello spazio pubblico, come le loro mamme e nonne durante gli anni delle guerre di liberazione nazionale, si sono trasformate in cittadine, passando dalla Resistenza contro la dominazione coloniale, alla sua filiazione neo-liberista. Censurate o raccontate in prima pagina. Tradite o utilizzate per tacitare l’Occidente sul buon esito delle rivoluzioni arabe, sono diventate la posta in gioco di ogni transizione democratica. E preda ambita in ogni deriva post rivoluzionaria a matrice jihadista. Paladine della libertà o campionesse della restaurazione islamica le donne restano l’ultimo elemento visibile che connota l’islam politico. Senza questione femminile e senza nascondimento
del corpo - verrebbe meno l’architrave stesso che uniforma il Governo di uno Stato al principio religioso che lo regola. E le città non sarebbero più le stesse. Ma se è fuori di ogni logica esportare forme di Stato e di Governo, lo è ancor più affrettare percorsi di modernizzazione in nome di una omologazione predatoria, calata dall’alto, esterna alle tradizioni di un paese. Omologazione che segue le regole del mercato - più del buon senso - con la volontà di normalizzare e globalizzare affidandosi alle armi del pensiero unico. E invece lo sguardo delle donne arabe si moltiplica ed è impossibile restarne fuori. Per questo NOIDONNE ha cercato di ampliare la prospettiva. Ne è uscito uno speciale sulle donne arabe, grazie al contributo degli amici Angelo d’Orsi, Alessandro Politi, Ilaria Guidantoni, Daniele Scalea e Domenico Losurdo. Ciascuno ha focalizzato un fotogramma restituendo a chi legge un mosaico di espressioni e impressioni. Un contributo doveroso nei confronti delle tante donne che reggono sulle proprie spalle i destini del pianeta. Sono madri e combattenti, con il corpo velato o col cappello, cittadine o suddite. Sono donne che aspettano e indicano la strada, con il coraggio di non sapere mai quale direzione prenderà il proprio mondo. b
TUNISIA
MOVIMENTI E PULSIONI FEMMINSTE di Ilaria Guidantoni Le donne durante il terremoto politico sono uscite allo scoperto. E in prima fila non c’erano solo le intellettuali
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movimenti di rivolta, come nella Tunisia del 2011, hanno rimesso al centro pulsioni femministe che hanno attraversato il “mondo arabo” trasversalmente in passato, sposando, nella fase incandescente della ribellione, la causa politica. La protesta è stata dunque un’occasione per un nuovo discorso sul femminile che durante i regimi dittatoriali era stato soffocato. Proprio le donne durante il terremoto politico hanno avuto la capacità di uscire allo scoperto in prima fila e non solo le intellettuali. È chiaro che il “femminismo” in questi paesi è ancora nelle mani di una classe borghese e intellettuale - senza che questo rappresenti una contraddizione - perché non c’è stato solo il Sessantotto e questo se è arrivato, è giunto a lambire le classi più colte. Oggi c’è un nuovo orizzonte consolidato dal fatto che, almeno nel Maghreb, le donne sono mediamente più colte degli uomini (il 60% dei laureati è donna) e più aperte. In primo piano è emerso il corpo perché il corpo è il nostro front line nel mondo e perché è quello che chi non appartiene al mondo arabo vede per primo e l’elemento sul quale si concentra. Attenzione però a non ridurre il femminile al suo corpo, una tentazione che può colpire la stessa donna con una facile e pericolosa retorica dell’autoliberazione com’è accaduto con il movimento delle femen, una trappola. Infine bisogna far attenzione a non interpretare con i parametri non arabi né coranici e neppure mediterranei alcuni segni e comportamenti rischiando un grande equivoco. Si sta giocando una fase molto delicata che in questo spazio può essere solo accennata di recupero dell’iden-
tità e dell’appartenenza alla propria cultura che non necessariamente significa adesione religiosa od omologazione nel senso dell’arabizzazione come per l’Europa del periodo post bellico lo è stato il parametro degli Stati Uniti. C’è la voglia proprio dalla parte del corpo di andare all’origine, prima della šhari’ah e dello stesso Corano per recuperare un elemento di spiritualità e ad esempio evidenziare con il velo sia un elemento archetipo delle società, il suo uso è documentato per la prima volta in un documento legale assiro-babilonese del XIII secolo dove il capo coperto era un segno di rispettabilità per le donne altolocate. Lo spirito di decoro, il senso di protezione e la necessità di imporre il pubblico rispetto attraverso dei segni tangibili è molto radicato nel mondo arabo-musulmano dove il parametro estetico nel senso etimologico del termine è rovesciato rispetto a quello europeo, ad esempio. Il corpo pubblico è censurato là dove il corpo privato è liberato e come si legge nel Corano - in perfetta e costante reciprocità uomo-donna - sia il corpo della donna un vestito per l’uomo e sia il corpo dell’uomo un vestito per la donna (sura al-baqarat, dal versetto 187) e in un altro passaggio un corpo da arare. Insomma il velo è segno di decoro non di castità. Lo stesso moucharabieh la finestra grigliata in legno non è come, si pensa un elemento di clausura per la donna ma di vantaggio per cui come si legge in un bel racconto di Elias Canetti tratto da Voci di Marrakesh è la donna che sceglie, guarda, corteggia, schermandosi. Ecco perché nelle recenti manifestazioni femminili avvolte nelle bandiere troviamo giovani alla moda accanto a donne semplici, anziane e velate. La donna velandosi si svela in una capacità di movimento autonoma, paradossalmente: all’esterno sottomessa, è colei che decide la direzione della famiglia in una contiguità tra eros e cibo: ecco perché un detto tunisino recita che tutte le donne sono uguali al mercato e in sala parto e in questa riconoscibilità il corpo diventa strumento di dialogo tra donne completamente diverse per censo, cultura e ambito sociale. E ancora la maternità è osannata dal Corano e tutelata anche nella vedovanza e nel divorzio e perfino l’allattamento dove il rigore chiesto alle donne non è punitivo ma protettivo come nella sura LXV al-talaqi, del divorzio appunto. b Ilaria Guidantoni. Giornalista, scrittrice, esperta in cultura, lingua araba, politiche di genere e donne musulmane. Vive tra l’Italia e la Tunisia. Convegnista nei paesi del Maghreb., ha ricevuto numerosi premi in Marocco, Tunisia e Algeria.
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LA GUERRA SPECIALE DONNE ARABE
CONTRO L’INSIDIA MENTALE di Alessandro Politi
Se le donne non sono libere, gli uomini restano dei sudditi sottomessi al tiranno con il triste privilegio di essere i kapò familiari. Il problema non è il velo, ma come garantire i diritti riformando la sharia
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i parla molto in questi mesi di guerra contro l’ISIS con un’impressionante regolarità che risale almeno ai tempi dell’infausta Guerra al Terrore. E giù droni, spie, bombe, assassini ed operazioni speciali. Un circo già visto e di limitata utilità strategica, nonostante il costo di vite, feriti, coraggio e ferocia. Dawla (il vero nome di ISIS, significa Lo Stato) mi ricorda un testo di una donna famosa perché incarna esattamente due caratteristiche di un suo scritto celebre “La rabbia e l’orgoglio”. Difficile dimenticare le sue sprezzanti parole verso la cultura araba, riprese coi gesti dei polverizzatori di civiltà ritenute “aliene” ed “impure”. La guerra che invece va condotta, una guerra innanzitutto mentale, intellettuale e concettuale è contro l’insidia che si annida negli spiriti quando si parla di questi problemi, dimenticando la sostanza di grande strategia per la costruzione di un futuro degno nel Golfo, nel Levante, in Nordafrica e nel Mediterraneo intero. Se le donne non sono libere, gli uomini restano dei sudditi sottomessi al tiranno con il triste privilegio di essere i kapò familiari. Il problema non è il velo in tutte le sue forme, il problema è come garantire i diritti riformando la sharia. Lasciamo da parte i testi sacri, sin troppo manipolati da spregiudicati politici di ogni colore religioso ed andiamo alla sostanza giuridica dei diritti. Esiste lo stato di diritto, con o senza il grande dio trascendente? È una questione bruciante anche in Israele.
Che futuro hanno le donne, visto che invece l’ISIS le vuole schiave e sottomesse, i regimi moderati le vogliono presentabilmente sottomesse e le democrazie opulente ed indebitate le vogliono incatenate a flessibilità produttive che se ne infischiano di ogni diritto ed umanità, ma ben vestite, sessualmente liberate e sorridenti? La guerra non è per un pezzo di terra, ma per una vita degna di essere vissuta. Il resto sono salvinate d’accatto.
Alessandro Politi Analista strategico. Ha diretto l’Osservatorio Scenari Strategici e di Sicurezza di Nomisma. Saggista ed editorialista, collabora con le principali testate nazionali ed estere. È consulente del Governo italiano e del CoPaSiR.
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IL MEDIO ORIENTE DEI GIORNI NOSTRI di Domenico Losurdo
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n Medio Oriente le rivoluzioni anticoloniali hanno comportato un netto avanzamento dell’emancipazione femminile, imposta però a una società civile ancora largamente egemonizzata da costumi patriarcali e maschilisti tanto più pervicaci in quanto santificati da una secolare tradizione religiosa. È su questa cultura e questi ambienti che l’Occidente ha fatto leva per riaffacciarsi prepotentemente su un’area da esso a lungo dominata. I risultati sono devastanti: in Libia “la sezione costituzionale della Corte suprema di Tripoli reintroduce la poligamia in nome della legge musulmana”. Non si tratta di una svolta inaspettata. Nel “discorso della vittoria” da lui pronunciato il 28 ottobre 2011, il leader imposto dagli aerei NATO e dai miliziani e dal denaro delle monarchie del Golfo si era affrettato “ad annunciare che nella ‘nuova Libia’ ogni uomo avrebbe avuto il diritto di sposare sino a quattro mogli nel pieno rispetto del Corano”. Sì: “A suo dire, era questo uno dei tanti provvedimenti mirati a cancellare per sempre il retaggio della dittatura di Gheddafi. Quest’ultimo, specie nella prima fase più socialista e ‘nasseriana’ del suo quarantennio al potere, aveva cercato di concedere alcune migliorie allo status delle donne, introducendole massicciamente nel mondo del lavoro e appunto limitando, per quanto era possibile in una società tribale come quella libica, la poligamia” (L. Cremonesi in “Corriere della Sera” dell’11 febbraio 2013). Socialismo, nasserismo? È quello che di più odioso vi può essere agli occhi dell’Occidente neoliberista e neocolonialista; sennonché, la controrivoluzione neocoloniale è al tempo stesso la controrivoluzione antifemminista. Tra la massa di profughi, a soffrire in modo tutto particolare sono le donne, spesso destinate a essere vendute quali “spose”. Vediamo quello che avviene in Giordania: “Tanti tassisti di Amman ormai si sono industriati. Attendono i ricchi sauditi e dei paesi del Golfo all’aeroporto o di fronte agli hotel a cinque stelle. Basta poco per capire cosa vogliono”. Le ragazze e le donne siriane sono ricercate per la loro bellezza. E per di più: “Costano poco, bambine di 15 o 16 anni cedute dalle famiglie per cifre che possono restare nei limiti dei 1.000 o 2.000 euro. Una quisquilia, noccioline
per gli uomini d’affari del Golfo. Sono abituati a spendere ben di più. Una notte in compagnia di prostitute ucraine in un albergo a Dubai può costare anche il doppio” (L. Cremonesi in “Corriere della Sera” del 28 novembre 2012). E così, i membri dell’aristocrazia corrotta e parassitaria al potere nei paesi del Golfo, da sempre appoggiata dall’Occidente, possono trarre un duplice vantaggio dalla politica di destabilizzazione da loro perseguita in Siria: indeboliscono un regime laico e anzi blasfemo per il fatto di promuovere l’emancipazione delle donne; possono procurarsi a prezzi di svendita donne, ragazze e bambine di bellezza fuori del comune. Va da sé che, nelle aree della Siria conquistate dai “ribelli”, le donne sono costrette a subire il ritorno all’Antico regime: esse devono coprire interamente il loro corpo e sono condannate alla segregazione e alla schiavitù domestica. (tratto da Domenico Losurdo, La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, Roma 2014)
Domenico Losurdo Filosofo, intellettuale, saggista di fama internazionale. Insegna all’Università di Urbino. Storico ed editorialista. Le sue opere su Locke, Stalin e Arendt sono state tradotte in diverse lingue.
SPECIALE DONNE ARABE
Controrivoluzione neocoloniale e controrivoluzione antifemminista
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QUANDO IN EGITTO TORNA IL VELO INTEGRALE di Daniele Scalea Un’involuzione e un cambio di rotta che non riguarda solo il Nordafrica ma che interessa anche l’Occidente
ziani si trasferiscono temporaneamente in Arabia Saudita. Quando ritornano in patria, portano con sé la sensibilità e gli usi wahhabiti. In Egitto ricompare il velo integrale. Quest’involuzione non è certo limitabile al solo Egitto. Numerosi sono i ricordi, ad esempio, della Libia dei primi anni ‘70, dove almeno a Tripoli era raro trovare una donna velata. Oggi difficilmente se ne troverebbe una senza velo. Le donne nordafricane pagano, in maniera certo più dura e invalidante, un cambio di rotta che interessa però anche l’Occidente. Se l’Europa procede sulla strada del laicismo mentre gli USA hanno vissuto un risveglio religioso, nell’una come negli altri è oggi più difficile - per quanto può valere l’esempio - vedere un topless in spiaggia di quanto lo fosse trenta o quarant’anni fa. Iniziative come le “quote rosa” confermano la tendenza a vedere nelle donne una parte debole della società (perché solo ciò che è debole ha bisogno di tutela). Il femminismo ha puntato su una mascolinizzazione della donna, in ciò rivelando un pur inconscio complesso di inferiorità verso l’uomo. In ultimo, il femminismo è stato recentemente “superato a sinistra” dalla “teoria del genere”, che in parte si coniuga con esso, ma nell’essenza lo nega: perché se non esiste il genere femminile, non ci sono più femmine che il femminismo debba tutelare, emancipare, parificare all’uomo nella società. Esiste solo l’individuo con la sua particolare e irripetibile identità. Si tratta di un processo mondiale sfavorevole al ruolo della donna nella società, che interessa anche ma non esclusivamente il Nordafrica.
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Egitto è stato pioniere nel movimento femminista nordafricano. Le donne egiziane sono state le prime a entrare in parlamento o a ricevere istruzione. Molto si deve a Hoda Sha’rawi, autentica figura di rottura. Nasce infatti come epitome del vecchio regime: figlia di una schiava cresce semi-illetterata in un harem e data in sposa a un cugino all’età di tredici anni. Influenzata dalla cultura francese e dall’attività politica del marito, si impegna però nel movimento nazional-liberale egiziano, esaltando il ruolo femminile nella nuova società panarabista. All’infrangersi del sogno panarabo, i contraccolpi sono piovuti anche sul femminismo locale, con la diffusione di correnti meno disposte ad accoglierlo. Negli anni ‘70 tanti lavoratori egi-
Daniele Scalea Università La Sapienza. Direttore generale dell’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie), condirettore della rivista scientifica “Geopolitica”. Saggista. Ha un blog sull’Huffinghton Post.
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GUARDARE AL MAGHREB CON GLI OCCHI DI GRAMSCI di Angelo d’Orsi
ertamente, potrei dire che tutto quello che è accaduto, e ancora accade, in quella larga fetta di terra africana che si affaccia sul Mediterraneo, è degno della massima attenzione, se si assume il punto di vista di chi cerca di comprendere le possibilità, le modalità e i limiti dei fenomeni rivoluzionari. Così è stato per Antonio Gramsci, che alla causa della rivoluzione ha dedicato la sua breve e intensissima esistenza, da giornalista militante, da dirigente di partito, da teorico. La sua capacità di adattare il concetto alle situazioni storiche, ha costituito uno dei punti di forza del suo pensiero; ma un altro elemento peculiare è l’idea che la rivoluzione non trovi mai un punto conclusivo, una fine, che in qualche modo essa debba e non possa che proseguire, nelle società e negli individui. Inoltre, non tutte le rivoluzioni sono uguali, ci spiegherebbe Antonio: la rivoluzione in Occidente, dopo la catastrofe del movimento socialista internazionale, non può essere la stessa che in Oriente, ossia fondata sull’assalto frontale; ma piuttosto sulla costruzione di una controegemonia da parte delle classi subalterne. Sta qui forse il cuore della riflessione: ma il Maghreb oggi è Occidente o Oriente? L’uno e l’altro, per la compresenza di arretratezza e sviluppo, di influssi culturali europei (e statunitensi) ma per la persistenza di valori, culture, immaginari risalenti all’Islam e anche alle contaminazioni con l’Africa “nera”. Il Mghreb oggi è però, essenzialmente, un Sud del mondo; una coordinata geograficosociale che Gramsci non teorizza esplicitamente, ma che dobbiamo tirare in ballo, tenendo conto di come egli sia stato in grado di allargare la gabbia del marxismo classico e anche eterodosso, introducendo i “subalterni”, un concetto, evidentemente, ben più largo e comprensivo della classe operaia o dei proletari. E proprio tenendo conto di questa ambivalenza del Maghreb, tra culture e società diverse, tra mondi opposti, tra fedeltà al passato e spinta verso l’avvenire, possiamo gramscianamente sottolineare non solo la novità di una rivolta corale, sebbene variamente articolata, dei subalterni, ma individuare in essa la centralità della componente femminile, dall’Egitto alla Tunisia, dall’Algeria al Marocco… La classe subalterna, in seno ai subalterni, potremmo definirla: e quanta attenzione Gramsci dedicasse alle donne, lo sanno bene i suoi biografi e studiosi, di come insistesse con i “compagni” operai a non considerare le loro mogli e sorelle persone dimidiate,
rispetto alle quali era consentito derogare alla legge dell’uguaglianza socialista e comunista. Ma Gramsci esamina pure la “rivoluzione passiva”, ossia quella dall’alto, quella senza le masse, quella che di fatto conserva, pur cambiando i regimi politici. Nel Maghreb abbiamo assistito anche a questo tipo di “rivoluzione”, a partire, magari, da genuine sommosse popolari, nelle quali l’altra metà del cielo ha svolto un ruolo rilevante, come del resto era capitato in quelle rivolte negli anni della Grande guerra o del Primo dopoguerra in Italia, e specie nella Torino di Gramsci: nel 1917, e poi nel 1919-20. E anche allora alla rivolta seguì, per carenze di direzione politica, non la rivoluzione vera, ma una forma di rivoluzione passiva, il fascismo. Il rischio è oggi presente in Nordafrica, come si può vedere, in specie in Egitto, ma non soltanto. Si può concludere evidenziando una situazione di “crisi” nella quale nessuna delle forze in campo è in grado di scalzare l’altra, e da essa si esce, generalmente, o con un colpo di mano reazionario, oppure con la vittoria delle istanze del sovvertimento sociale. Questa la teoria gramsciana, che però nel presente, essendo cambiate, almeno in parte, le coordinate politiche e culturali di riferimento, può essere rivista, riadattata e aggiornata. Non esistono solo queste due possibilità, oggi, nel Maghreb: permane un’altra via, quella dello strisciante ritorno alla situazione precedente, che, nondimeno, non potrà mai essere esattamente il cupo immobilismo di prima, perché troppi dadi sono stati tratti, troppe situazioni sono comunque in movimento, e certe conquiste, in particolare quelle relative ai diritti sociali delle donne, e alla loro nuova agibilità politica, sono ormai, probabilmente, augurabilmente, irreversibili. E alle donne, in primo luogo, io credo, spetta oggi, ancora, la parola e l’azione, per evitare che tali conquiste e quelle ulteriori necessarie non vengano perdute, come, più in generale, non sia smarrita la bussola del cambiamento, sociale, culturale, e politico.
Angelo d’Orsi Storico, insegna all’ Università di Torino. Intellettuale, editorialista e saggista è fondatore di Historia Magistra. Nel panorama internazionale è tra i massimi esperti di Antonio Gramsci. Ha un blog su MicroMega.
SPECIALE DONNE ARABE
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Provare a leggere le “rivoluzioni del Maghreb” con gli occhi di Gramsci? Una sfida stimolante, anche se al limite dell’irriverenza, forse
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“Parla”
delle molestie sessuali
e non avere paura
EGITTO
Nato come un progetto d’esame, in poco tempo si è trasformato in un programma di assistenza per ragazze e studentesse che sono state vittime di molestie nel campus universitario
di Zenab Ataalla
Il Cairo. “Speak up” è il nome della campagna informativa contro le molestie sessuali avviata alla fine dell’anno scorso da un gruppo di studenti universitari dell’università del Cairo. “Tutto è iniziato come il progetto finale d’esame per il corso di Comunicazione. In quell’occasione alcuni degli studenti hanno scelto di parlare delle molestie sessuali, notando all’interno dell’Università un aumento di circa il 20 per cento negli ultimi anni” dice Soah Abu Zeid, una delle coordinatrici del progetto. Quello che ha spinto i ragazzi ad affrontare il problema è stato soprattutto la mancanza di supporto alle vittime e “la difficoltà delle ragazze a parlarne. Da qui anche l’ispirazione del nome Speak up, cioè Parla, con cui si “vuole sollecitare le ragazze ad andare in un luogo dove confidarsi in totale anonimato, senza la paura di essere giudicate per qualcosa di cui non hanno alcuna colpa”. Noura Aicha, una studentessa di Economia, aggiunge: “è difficile in Egitto parlare di questa tematica, tutto quello che rientra nella sfera sessuale è un tabù, e lo è ancora di più quando parliamo di molestia. Una ragazza che viene irrispettosamente etichettata, sfiorata o toccata, preferisce tacere e continuare a vivere come se nulla fosse mai accaduto per paura della cattiva reputazione”. Il silenzio è il pericolo più grande, sottolinea Soah Abu Zeid. “Il problema principale che si deve affrontare è superare quel muro di indifferenza contro il quale si scontrano le studentesse, in ogni caso vittime di un sistema sbagliato - continua Soah - ecco perché uno degli obiettivi della campagna è semplicemente quello di aumentare la consapevolezza tra gli studenti che vi è una organizzazione per combattere le molestie nel campus e permettere che i molestatori vengano individuati ed incriminati”. All’inizio pochissime studentesse e studenti si avvicinavano ai punti informativi, organizzati a cadenze mensili e sparpagliati qua e là all’interno del campus universitario. È da febbraio,
invece, che le cose sono cambiate e questo grazie anche al Comitato Antimolestia dell’università, istituito a giugno scorso. “Il fatto di essere appoggiate dal Comitato ci permette di condividere il lavoro che facciamo ed avere un appoggio da parte dell’università, cosa che cambia notevolmente le carte in tavola. Attraverso un lavoro fatto a più mani, possiamo far arrivare un’informazione anche solo per sentito dire. Questo è il nostro punto di forza. Attraverso i social network comunichiamo le ultime notizie. Chi ci legge sa che non è solo e sa dove andare, se ha bisogno di aiuto”. “Ora stiamo lavorando in modo più efficace. Sono già in fase di avvio alcuni seminari e altre attività non solo da noi, ma anche presso le università di Ain Shams e di Helwan, le altre due grandi università della capitale. L’obiettivo è che si parli e si continui a parlare del problema delle molestie verbali e fisiche in Egitto”. Il cambiamento è già in essere. Quello che è considerato un problema (anche il solo parlarne) si sta trasformando in un attivismo su tutti i fronti che parte prima di tutto dalle ragazze, giovani e future donne del paese. b
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LA PROSPETTIVA FEMMINISTA CHE (ANCHE) GLI UOMINI POSSONO CONDIVIDERE
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a libertà che voglio per me e per le altre donne ha come presupposto fondamentale è la decostruzione del simbolico che sta all’origine di problemi non più rinviabili, come la violenza sulle donne o come la non parità di accesso al mondo del lavoro, ma che non possono essere risolti singolarmente tamponando qua e là le falle del nostro sistema patriarcale. La messa in discussione del simbolico, cioè della cultura sessista a 360 gradi, partendo dal nostro quotidiano, è l’unica occasione che abbiamo per avviare un cambiamento strutturale del nostro ordinario e che, proprio perché ordinario, non siamo abituate a guardare in modo critico, con spirito di conoscenza”. Serena Ballista ci introduce così al suo ‘Funambolika. Monologo di un’aspirante femminista’. Il libro, auto-pubblicato e in vendita nella vetrina de ilmiolibro.it e anche nelle librerie Feltrinelli, propone “insospettabili ragioni per prendere posizione contro la cultura sessista che legittima la violenza maschile sulle donne” a partire dalle “espressioni simboliche” che possono esser osservate - anche dagli uomini – da una prospettiva femminista. E, attingendo direttamente dal libro, ecco l’avvio della spiegazione: “vivere da femminista significa aprire in prima persona un conflitto con le altre donne e con gli uomini, auspicando la pace, su un terreno che rimane su un piano strettamente culturale con tutte le sue conseguenti ricadute nella quotidianità”. Ma come, e perché anche gli uomini possono fare propria la prospettiva femminista? “Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’immagine mentale che si ha dell’uomo come essere monolitico, senza tempo e sempre uguale a sé stesso, che rispecchia la norma rispetto alla quale le donne sarebbero portatrici - invece - di genere e quindi di differenza, facendo coincidere l’essere maschile con l’essere umano coerentemente con la tradizione maschilista, la parzialità di genere non soltanto femminile, ma anche maschile con il risultato che, paradossalmente, l’onnipresenza del maschile nella narrazione storica lo rende invisibile. In altre parole, è come se aver assunto ad universale il maschile, l’avesse reso inenarrato ed inenarrabile, dappertutto ma in nessun luogo: da qui, la teorizzazione del concetto di onnipresenza invisibile e della conseguente necessità di avviare, a partire dagli anni Settanta, anche dei men’s studies negli Usa e nel Regno
Unito, paralleli ai women’s studies. Quindi gli uomini che pretendono di mettere in discussione l’ideologia patriarcale, il maschilismo, l’androcentrismo, il fallologocentrismo o come lo vogliamo chiamare - abbiamo davvero l’imbarazzo della scelta - fanno un’operazione non soltanto “utile” alle donne e alla società, ma a loro stessi, prima di tutto. Ma come accade per le donne, anche per gli uomini avventurarsi in questa pratica di decostruzione culturale, significa anzitutto fare i conti con se stessi, con le proprie abitudini mentali, potendo ripensarsi criticamente come essere umano. E, a questo punto, c’è un partire da sé anche maschile che soltanto il maschile potrà mettere sul tavolo della discussione e far dialogare con quello femminile, evitando così che né le donne né gli uomini siano oggetti di studio ma parte attiva di questo nuovo umanesimo. In questo senso, dico che la prospettiva femminista può fare da guida anche agli uomini”. Tiziana Bartolini Serena Ballista (1985) è ricercatrice e formatrice esperta in studi di genere anche nell’ambito di progetti europei e collabora con il Centro documentazione donna di Modena. È presidente dell’Udi di Modena dal 2014. Insieme a Judith Pinnock è autrice di Bellezza femminile e verità. Modelli e ruoli nella comunicazione sessista (Lupetti, 2012) e A tavola con Platone. Esercitazioni e giochi d'aula sulle differenze culturali, sessuali e di genere (Ferrari Sinibaldi, 2012). Funambolika. Monologo di un'aspirante femminista è la sua ultima pubblicazione.
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Monica Bonvicini, Latent combustion, 2015, Arsenale (Photo Jens Ziehe. Courtesy of the artist)
ARTISTE ALLA BIENNALE DI VENEZIA di Flavia Matitti
Circa 50 donne tra i 136 artisti (o collettivi di artisti) provenienti da 53 Paesi a Venezia per la Biennale dal titolo “Tutti i futuri del mondo”
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l 9 maggio ha aperto al pubblico la 56ª edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, che si concluderà il 22 novembre. Nata nel lontano 1895, la Biennale di Venezia è ancora oggi considerata, a livello mondiale, la più illustre e importante manifestazione riservata all’arte contemporanea. Non sarà allora inutile ricordare che si è dovuto attendere fino al 2005 per trovare alla guida della storica rassegna una donna, o meglio due: le spagnole María de Corral e Rosa Martínez. E la soluzione della curatela affiancata adottata nel 2005 ha naturalmente suscitato ilarità e polemiche, quasi il messaggio fosse che per sostituire un uomo servissero due donne. Finalmente nel 2011 la cura della Biennale è stata affidata per intero a una sola donna, la svizzera Bice Curiger. Quest’anno invece per la prima volta l’incarico della direzione artistica dell’esposizione internazionale è andato a un africano, il nigeriano Okwui Enwezor (classe 1963), dal 2011 direttore della Haus der Kunst di Monaco di Baviera e già curatore dell’undicesima edizione di Documenta (2002), la prestigiosissima rassegna di arte contemporanea organizzata ogni cinque anni a Kassel, in Germania. Il titolo scelto dal curatore per questa edizione della Biennale è All the World’s Futures, ossia “tutti i futuri del mondo”, un tema che intende far riflettere sulle tensioni
politiche, economiche e sociali che agitano il presente e sul modo in cui tali tensioni si ripercuotono sugli artisti e sulla loro idea di futuro. L’esposizione che ne è scaturita, allestita nel Padiglione centrale ai Giardini e all’Arsenale, appare permeata da un’inquietudine profonda e da un generale senso di sfiducia o di allarme. Enwezor ha scelto per la sua mostra 136 artisti (o collettivi di artisti) provenienti da 53 Paesi. Le artiste sono circa una cinquantina e due sono italiane: Monica Bonvicini (Venezia, 1965) espone Latent combustion, una installazione formata da alcune minacciose motoseghe appese al soffitto; Rosa Barba (Agrigento, 1972) presenta l’installazione filmica Bending to Earth. Molto toccante appare il lavoro della pittrice sudafricana Marlene Dumas (Cape Town, 1953), presente con una sala personale, dove mette in scena Skulls, una serie di 36 dipinti ciascuno raffigurante un teschio. Da segnalare che il Leone d’oro per il miglior artista della mostra è andato all’americana Adrian
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Joan Jonas, They Come to Us without a Word, 2015, Padiglione degli Stati Uniti (Production Still. Courtesy of the artist)
Chiharu Shiota, The Key in the Hand, 2015, Padiglione del Giappone (Photo by Sunhi Mang. Courtesy of the artist)
Piper (New York, 1948), filosofa e artista concettuale. Piper espone ai Giardini alcune grandi lavagne sulle quali è scritta ossessivamente la sconsolante frase: “Everything will be taken away”. All’Arsenale, invece, ha allestito tre desk presso i quali il visitatore può compilare e sottoscrivere una propria dichiarazione di intenti, impegnandosi poi a osservarla in futuro. Significativo anche il fatto che il Leone d’argento a un promettente giovane artista sia stato vinto dal coreano Im Heung-Soon (Seul, 1969), autore di un’installazione video, Factory Complex, che indaga le condizioni del lavoro femminile in Asia. Affiancano la mostra di Enwezor le partecipazioni nazionali, ben 89, allestite nei vari padiglioni. Quest’anno la presenza femminile è notevole e numerosi sono i paesi che hanno puntato tutto su una sola artista, alla quale hanno affidato l’intero padiglione, con risultati di grande intensità, poesia, ironia, forza e vitalità. Tra gli altri è il caso dei padiglioni degli Stati Uniti (Joan Jonas), Russia (Irina Nakhova), Gran Bretagna (Sarah Lucas), Giappone (Chiharu Shiota), Norvegia (Camille Norment), Svezia (Lina Selander), Svizzera (Pamela Rosenkranz), Grecia (Maria Papadimitriou) e Australia (Fiona Hall). Senza contare il padiglione dello Swatch affidato alla portoghese Joana Vasconcelos, che ha ideato un Giardino dell’Eden fatto di luminosi fiori artificiali. Nel Padiglione Italia, curato da Vincenzo Trione, espongono 15 artisti, ma tra loro le donne sono due: Vanessa Beecroft (Genova 1969) e Marzia Migliora (Alessandria, 1972), che presentano due lavori di grande efficacia e sensibilità. Durante la conferenza stampa Trione ha risposto così a chi gli domandava come mai avesse invitato solo due donne: “Le scelte che ho fatto non sono sessiste o geografiche, ma sono guidate solo dalla qualità della ricerca, i nomi poi sono venuti da sé”. La Santa Sede, che partecipa quest’anno per la seconda
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Sarah Lucas, I Scream Daddio, 2015, Padiglione della Gran Bretagna (Photo by Cristiano Corte © British Council)
Marlene Dumas, Skull, 2013-15 (Courtesy of the artist)
volta dopo l’edizione del 2013, ha un Padiglione ispirato al prologo del Vangelo di Giovanni: In Principio… la parola si fece carne. Curato da Micol Forti, il Padiglione presenta il lavoro di tre artisti: la colombiana Monika Bravo (1964); la macedone Elpida Hadzi-Vasileva (1971) e il fotografo del Mozambico Mário Macilau (1984). La giuria della Biennale ha assegnato il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale all’Armenia, ma ha deciso di dare una menzione speciale al Padiglione degli Stati Uniti per la presentazione di Joan Jonas (New York, 1936). L’artista multimediale, pioniera del video e della performance, che con grazia e sapienza porta lo spettatore a interrogarsi sui rapidi e radicali cambiamenti del nostro mondo e sul destino dell’umanità. b
56. Esposizione Internazionale d’Arte Venezia, Giardini – Arsenale fino al 22 novembre 2015. www.labiennale.org
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La cultura urbana dal degrado all’arte. L’esempio della Urban dance
di Graziella Bertani
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uando cerchiamo di indirizzare il nostro “occhio” verso le nuove forme di comunicazione metropolitana giovanile spesso, sbagliando, non riusciamo a cogliere appieno il suo valore “artistico”. La danza urbana, per esempio… Ne parliamo con Serena Mignano - giovane laureata in scienze dell’educazione, insegnante di danza classica che della danza e della lotta al degrado attraverso questo strumento ha fatto la propria missione di vita presiedendo l’associazione LUST , che gestisce il centro La Fenice. Mignano è direttora festival Funky Fresh, che trasforma Modena in capitale internazionale di questa arte.
Come nascono il progetto del Centro La Fenice, il Funky Fresh e perché proprio un’insegnante di danza classica è attenta all’”Arte” della danza urbana?
Il centro La Fenice, nato da un progetto di riqualificazione del Comune di Modena per l’area Erre Nord, è stato aperto nel 2010 ed ha una funzione artistica, educativa e sociale prima di tutto perché opera in un quartiere a rischio, ma
Serena Mignano, insegnante di danza classica, spiega il festival Funky Fresh e il messaggio culturale e sociale della danza di strada anche perché è composto da operatori amanti sia della cultura artistica sia del benessere sociale e cittadino. E in questo centro che dal 2011 si elabora un progetto che riesce ad unire tutte queste componenti: il Funky Fresh nato dall’idea di un collega di fama internazionale che ha visto nella Fenice il potenziale per reggere l’importanza di questo evento. La prima edizione debutta nel 2012. Siamo partiti chiamando a Modena i primi ballerini funk del calibro di Tony GoGo (Giappone), Archie Burnette (Usa), uno dei primi ballerini di Waacking. L’edizione attuale si è evoluta e migliorata, portando alla ribalta il significato base della cultura urbana: talento, passione, ma soprattutto condivisione da parte di 300 ballerini che si radunano per scambiarsi passi, tecniche, consigli e per apprendere culture e storie diverse. Io nasco come appassionata di danza classica, a cui ho dedicato la mia infanzia e la mia adolescenza. Ho deciso di dedicar-
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mi all’insegnamento, soprattutto con la propedeutica, perché ritengo siano gli anni più delicati nella formazione di un’artista e di uno sportivo. Mi sono avvicinata alla cultura hip hop e in seguito a quella funk grazie a due miei grandissimi amici: Fabrizio Santi e Simon Sdido, che mi stanno insegnando molto sulla storia, le origini e il presente di quest’arte. Ciò che mi ha conquistato della cultura della danza urbana è il senso di libertà, disciplina e razionalità mista all’irrazionalità che naturalmente le appartiene. Sembra senza senso, ma non lo è. Chi frequenta questo mondo ha il piacere di poter essere come vuole: si è accettati dal gruppo per ciò che si è, l’importante è che ognuno rispetti l’altro e si dia da fare per la crescita del gruppo stesso. Questo implica libertà di pensiero e di azione, ma anche disciplina e autogestione. E finalmente si sta lasciando da parte il concetto che una femmina non possa fare tutto per aprire la porta ad un’idea molto più razionale: ognuno fa ciò che si sente di fare al massimo delle proprie potenzialità fermo restando che corpo femminile è diverso da quello maschile e richiede una propedeutica differenziata.
Perché la Danza Urbana rappresenta un’opportunità? Quali sono i canoni?
I primi ballerini di street dance erano presenti in America già dagli anni ‘30. Chi balla in strada prende spunto da tutto e tutti, per questo molti passi derivano da altre danze (salsa, afro, ecc) e da ciò che ci circonda (politica, disagi sociali, eventi). Alla base della cultura urbana c’è il cerchio, elemento che tiene unita la crew: All’interno del cerchio tu puoi essere chi vuoi e per essere accettato devi solo lavorare, impegnarti e rispettare gli altri membri della crew. Le sfide avvengono ballando. È all’interno del cerchio - dove gli altri possono sostenere e aiutare - grazie al talento e all’impegno che si risolvono i problemi. Se vuoi essere il migliore devi dimostrarlo col lavoro, e chi si dimostra vincitore è colui che durante la sua performance riesce a mostrare talento, tecnica, musicalità, groove, stile e capacità di condivisione. Anche l’atteggiamento ha la sua importanza. Occorre saper ballare, a tempo di musica, con stile e con rispetto. Nella danza classica siamo abituati ad una disciplina imposta molto ferrea, che lentamente diventa un’autodisciplina, una sicurezza e forza interiore; nella danza urbana se vuoi crescere e vuoi far crescere il tuo gruppo la disciplina è necessaria, non forzata, ma compresa e accettata. Studiando pedagogia ho sempre paragonato la metodologia della street art a quella Montessoriana: prova e riprova, ad ogni errore una crescita e soprattutto libertà di espressione. Ecco che non potevo far a meno di interessarmi a questo mondo. La cultura funk, alla base di tutta la cul-
tura urbana presente oggi, è dinamica, innovativa e stimolante, ricca di insegnamenti e valori importanti. Nella danza classica, inutile nasconderlo, sei sola con te stessa, davanti ad uno specchio; inoltre se il tuo fisico non corrisponde a determinati canoni sei fuori. Nella cultura urbana il gruppo è presente a darti supporto e consiglio e non devi saper fare tutto, ma lavorare su ciò che maggiormente ti appartiene, migliorando il tuo corpo su ciò che puoi realmente fare! In Italia questa cultura arriva tardi rispetto ad altri paesi e solo adesso sta emergendo una, diciamo, “cifra italiana”. Abbiamo assimilato qualcosa che veniva dall’esterno e lo stiamo trasformando in un linguaggio che ci appartiene giorno dopo giorno, sempre di più. È bello scoprire come arte, cultura ed educazione possano viaggiare così uniti. È necessario tramandarla nel verso giusto, allontanarla dal mondo commerciale che se n’è appropriato e ripristinarla per ciò che è.
A chi la consiglieresti?
Io ho fatto hip hop, house e locking. Non sono una ballerina hip hop nemmeno da lontano, ma ammetto che mi ha aiutato ad avere una maggiore consapevolezza del mio corpo, un migliore ascolto musicale ed una maggiore attenzione verso i dettagli. Grazie allo studio della cultura urbana e contemporanea ho meglio compreso il mio studio classico. Ho imparato ad accettare il mio corpo e a capire come migliorarmi e come lavorare. Inoltre ho riscoperto la bellezza di sorridere in sala mentre ti alleni anche quando non riesci a concludere una sola sequenza. La consiglio a tutti quelli che ballano. Ma fondamentalmente io credo che un ballerino debba sperimentare un po’ di tutto. Studiare principalmente la propria disciplina, ma provare anche il resto, perché la “contaminazione” arricchisce la nostra cultura e una persona con un bagaglio culturale ampio è una persona completa, sana, intelligente e pronta a capire il mondo! Siamo in un mondo multiculturale ed è importante conoscere, apprendere e imparare perché non possiamo vivere chiusi in un guscio! b
La versione integrale dell’intervista è su: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06350
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CINEDEAF PER CONOSCERE IL MONDO DELLA SORDITà APPUNTAMENTO VOLTO ANCHE A FAVORIRE IL DIALOGO TRA DIVERSE CULTURE E PREVENIRE IL DISAGIO SOCIALE
di Federica Federico
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in arrivo la terza edizione del CINEDEAF, il Festival e della Comunità Radiotelevisiva Italofona. Bella novità della Internazionale del Cinema Sordo di Roma. Madrina sua terza edizione è la nascita di un Comitato di sostegno della manifestazione l’attrice Valeria Golino e testi“Amici del Cinedeaf”, costituito da personalità del mondo delmonial lo Chef Rubio che per il festival ha realizzato la cultura e dello spettacolo tra cui: Loredana Cornero - che una ricetta interamente in LIS (Lingua dei Segni Italo presiede - Igiaba Scego, Giulio Scarpati, Dario D’ambrosi, liana). Appuntamento il 5, 6 e 7 giugno al Palladium, nel caPatrizio Roversi e molti altri. ratteristico quartiere della Garbatella con un calendario ricco di Nella sezione “registi” competeranno oltre 30 opere proveappuntamenti ed eventi speciali per un festival che ha fatto della nienti da tutto il mondo (USA, Nuova Zelanda, Canada, Cina, ricchezza di offerta culturale un segno distintivo. ecc.) tra lungometraggi e cortometraggi, documentari e ficUn’occasione unica per conoscere il mondo della sordità ma tion, realizzati da filmakers sordi - per i quali la tematica è non solo. Il Cinedeaf è, infatti, uno spazio di incontro in cui libera - ma anche udenti che si siano interessati al tema della promuovere la diversità come ricchezza, favorendo il dialogo sordità. Altra sezione della competizione è quella delle “scuofra le diverse culture. Per questo sensibilizzare il pubblico e le”. Un’opportunità, data ai giovani studenti italiani e stranieri, il territorio alle tematiche legate al ricoper produrre cortometraggi e videoclip noscimento giuridico della LIS e di conche rappresentino l’esperienza di incluseguenza alla cultura sorda è una delle sione in classe tra sordi e udenti e che prerogative del Cinedeaf. La lingua dei raccontino la sordità vista attraverso gli segni, lo ricordiamo, è riconosciuta occhi delle giovani generazioni. infatti in tutta Europa tranne Italia, Due gli eventi speciali in programma: la Malta e Lussemburgo. proiezioni del film The Tribe, del regista Il cinema, in questo festival, diventa un ucraino Myroslav Slaboshpytskiy, e, imL’Istituto Statale per Sordi di Roma. ISSR mezzo per combattere il disagio e preperdibile, l’appuntamento con il supereL’Istituto Statale per Sordi di Roma (www.issr.it) è la prima scuola pubblica venire la marginalizzazione, a cominroe sordo di No Ordinary Hero – The super sordi (attiva già dal 1784). Oggi è ciare dalle fasce più giovani della poperDeafy Movie del regista Troy Kotsur. un centro di servizi di eccellenza che svolge attività di documentazione, polazione. Un incontro e uno scambio, Interpreti John Maucere, primo attore consulenza, formazione e quindi, tra professionisti, appassionati o sordo ad entrare a far parte del Talent aggiornamento sulla sordità ed è in via di trasformazione in Ente Nazionale di semplici curiosi del settore cultura, cineShow Program di Tom Hanks per la ABC Supporto per le Persone Sorde. Le sue ma, educazione e sociale. Emanazione e la vincitrice del premio Oscar per Figli attività sono orientate a rendere visibile la realtà e le problematiche delle dell’Istituto Statale per Sordi di Roma, di un Dio Minore Marlee Matlin. Tanti gli persone sorde nonché a contribuire il festival viene organizzato quest’anno eventi collaterali fuori sala, gli incontri e le all’affermazione dei loro diritti di cittadinanza e alla concretizzazione con il patrocinio, tra gli altri, del Miniiniziative dedicate alla formazione, all’apdei principi della Convenzione ONU stero per i Beni Artistici, Culturali e del profondimento e all’intrattenimento. ❂ sui diritti delle persone con disabilità recepita con legge dello stato italiano Turismo, del Ministero degli Affari Esteri, Informazioni: nel 2009. della Regione Lazio e della RAI, con la www.cinedeaf.com mediapartnership dell’Agenzia ANSA mail: cinedeaf@issr.it
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DEBORAH E LA VALIGIA DEI SOGNI… CHE SI AVVERANO! Dal CINEDEAF alla collaborazione con Valeria Golino passando per la video ricetta con Chef Rubio. A conferma che i sordi possono fare tutto, tranne che ‘sentire’
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eborah Donadio è una giovane sorda diplomata all’Accademia della Moda e del Costume di Roma, con una grande passione per il mondo del cinema e del teatro. Arriva a Roma da un piccolo paese in provincia di Matera con una valigia piena di sogni e una gran voglia di imparare. Oggi collabora con l’Istituto Statale per Sordi di Roma all’organizzazione della 3° edizione del CINEDEAF - Festival Internazionale del Cinema Sordo e nell’ultimo anno è stata protagonista di un videoclip musicale (I baci vietati - Perturbazione feat. Luca Carboni) e ha lavorato come consulente al fianco di Valeria Golino su un set cinematografico professionale. Vogliamo sapere da lei come è arrivata in così poco tempo a collezionare tante esperienze.
Cosa è successo da quando sei arrivata a Roma Deborah? È iniziato un momento della mia vita molto intenso, e anche faticoso, ricco di stimoli e di opportunità. Ho iniziato partecipando a un progetto di teatro integrato fra sordi e udenti, poi ho collaborato con Radio Kaos ITALIS e iniziato l’Accademia. Nel frattempo mi sono imbattuta nel CINEDEAF e sono entrata attivamente, già dalla precedente edizione, a far parte della sua organizzazione. E poi? Questo mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con il mondo dello spettacolo attraverso esperienze molto diverse: un videoclip musicale, una divertente videoricetta LIS realizzata insieme a Chef Rubio, proprio a sostegno del nostro festival, e un film su un set professionale con l’attrice Valeria Golino - quest’anno Madrina d’onore del Cinedeaf - nei panni della mamma di un ragazzo sordo. Progetti in cantiere per il futuro? Intanto il festival - il 5, 6 e 7 giugno - e poi continuerò a darmi da fare per poter lavorare nel settore culturale e creativo. Sempre attraverso l’Istituto sono coinvolta nella produzione teatrale della prima edizione italiana di “Figli di un dio minore”, infine con alcuni degli organizzatori del CINEDEAF, sordi e udenti, abbiamo presentato un progetto di produzione e formazione cinematografica legato alla sordità che è rientrato tra i 20 finalisti del bando Culturability – Spazi di innovazione sociale… incrociamo le dita!
The Tribe
Amore e violenza senza traduzioni
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he Tribe (Ucraina, 2014) è un omaggio al cinema muto che tale non era perché i suoi attori, attraverso gestualità ed espressività, erano in grado di comunicare emozioni e concetti. Proprio per mostrare la forza dei sentimenti Myroslav Slaboshpytskiy ambienta la sua storia in un mondo fatto di silenzio, quello della comunità sorda segnante. Volutamente, quindi, il film esce in sala in lingua dei segni ucraina senza sottotitoli perché ‘per l’amore e la violenza non servono traduzioni’. Il film, evento speciale Cinedeaf, pur nella sua crudezza mostra la ricchezza e la potenza racchiuse nella comunicazione non verbale contribuendo a sfatare un immaginario edulcorato che vede la persona con disabilità identificata nel ruolo di vittima e, di rado, in quello di carnefice. The Tribe ha anche un ulteriore merito, quello di muovere un’attenta critica sociale al rischio di sfruttamento femminile cui le donne sorde sono pericolosamente esposte, vivendo una condizione di maggiore vulnerabilità. Vincitore nel 2014 del Gran Premio della Semaine de la Critique del Festival di Cannes, The Tribe ha vinto molti altri premi internazionali tra i quali Film Rivelazione agli European Film Awards e Miglior Lungometraggio al Milano Film Festival. Francesca Di Meo
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A tutto schermo
Quattordicesima edizione del Riff. Vocazione Festival: fra donne in fuga, ricerca artistica ed impegno sociale
UN RIFF (MOLTO AL) FEMMINILE di Elisabetta Colla
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nche quest’anno al RIFF - Rome Independent Film Festival, giunto alla sua XIV edizione, c’era solo l’imbarazzo della scelta quanto a temi e protagonisti femminili. A partire dai due film di apertura, Mi chiamo Maya, di Tommaso Agnese, con Valeria Solarino e Carlotta Natoli, storia della fuga iniziatica dell’adolescente Niki insieme alla sorellina Alice, in seguito ad un tragico evento, alla ricerca di un’utopica libertà verso una nuova vita, ed A Blast, film greco diretto da Syllas Tzoumerkas che racconta il cambiamentodi Maria, donna in fuga da una vita familiare scontata e monotona in una Grecia schiacciata dal peso della crisi. Interessanti anche il film spagnolo Todos Estan Muertos, di Beatriz Sanchís, storia di una pop-rock star famosa negli anni, ritiratasi dalle scene perché affetta da agorafobia. Fra i documentari, al fianco dei più impegnati, come Non so perché ti odio: tentata indagine sull’omofobia ed i suoi motivi, di Filippo Soldi (coprodotto dalla Movimento Film), che analizza le possibili cause dell’omofobia, e Born in Gaza, dell’italo-argentino Hernán Zin, che racconta la tragedia della guerra attraver-
so storie di bambini cresciuti a Gaza, ampio spazio è stato dato all’arte e allo spettacolo con Burlesque. Storia di donne, di Lorenza Fruci, Il fattore umano, di Matteo Alemanno e Francesco Rossi, un profilo biografico del grande fotografo Tano D’Amico, Il segreto di Otello, di Francesco Ranieri Martinotti, sull’antica trattoria romana di Otello, punto d’incontro di artisti come Pasolini, Fellini, Antonioni, Visconti, Scola e Monicelli. b
LORENZA FRUCI Tra femminismo e burlesque NOIDONNE al RIFF 2015 ha intervistato Lorenza Fruci, la solare e poliedrica regista del docu-film Burlesque. Storia di donne, dove racconta con grande passione, lei che ama raccontare storie anche scritte da autrice e giornalista, l’incontro umano e professionale con l’arte del cinema e, in particolare, con il burlesque.
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Lorenza Fruci è giornalista, scrittrice, autrice, e lavora come freelance per diverse testate. Si occupa prevalentemente di temi al femminile, di costume, spettacolo e cultura. Ha scritto i saggi:“Malafemmena. La canzone di Totò” (Donzelli 2009), “Burlesque. Uno spettacolo chiamato seduzione” (Castelvecchi 2011), la biografia “Betty Page. La vita segreta della regina delle pin-up” (Perrone 2013), oltre a racconti e poesie. È autrice del corto “Cortile” e del documentario “La Zibaldina. Una storia di crowdfunding”, che si è classificato secondo al Premio Chiara Baldassari 2013.
Giornalista, scrittrice, documentarista: in quale pelle ti senti più a tuo agio? In quella di “racconta storie” legate alla realtà e all’attualità. Il modo e il mezzo per raccontarle li scelgo di volta in volta: un articolo, un saggio o un documentario sono forme diverse per portare comunque una luce su un tema. Se l’obiettivo è informare l’articolo può essere la forma migliore, se invece si può far arrivare un messaggio attraverso le emozioni penso ad un racconto; un documentario, poi, può parlare a più persone contemporaneamente, in maniera diretta, facendo riflettere e intrattenendo. È la storia che decide il mezzo attraverso il quale prendere forma.
Quali sono le tue passioni ed in quali ‘modelli’ artistici femminili ti riconosci? La mia prima passione è la fotografia, ma anche la scrittura e la poesia in particolare, e poi l’arte in generale. Non ho modelli artistici in cui mi riconosco, ma ho dei punti di riferimento, delle artiste che amo, apprezzo e prediligo come Virginia Woolf, Susan Sontag, Alda Merini, Mina Abramovic, Doris Lessing, Cindy Sherman. Nel giornalismo ovviamente stimo Oriana Fallaci.
Com’è nata l’idea di un documentario sul burlesque? Il documentario viene dopo il libro “Burlesque. Quando lo spettacolo diventa seduzione”, da me scritto qualche anno fa, un saggio storico sul burlesque come forma di spettacolo. La scrittura e la promozione di questo libro mi hanno portato a scoprire le storie di alcune artiste italiane che, prima di diventare tali, facevano un’altra vita e tutte, raccontandomi il loro percorso, avevano esclamato, una all’insaputa dell’altra, “il burlesque era la mia vita ed io non lo sapevo”. Mi è sembrato un segno da interpretare e tramutare in una storia da
raccontare in maniera corale. Nel docufilm racconto le scelta di vita di Eve La Plume, Milena Bisacco, Scarlett Martini, Albadoro Gala, Janet Fischietto e Betty Rose. Molte di loro avevano anche un contratto a tempo interminato a cui hanno rinunciato per seguire la loro passione per questa disciplina. Mi è sembrato anche un modo di parlare di lavoro, tema di grande attualità, da un punto di vista inconsueto.
Pensi che il burlesque valorizzi la femminilità e l’autodeterminazione femminile? Secondo te è in linea con le conquiste della donna? Sul burlesque ci sono diverse teorie, anche antitetiche tra di loro. Molti la considerano una disciplina anti-femminista perché ci vedono la strumentalizzazione del corpo, come se le donne (così come gli uomini d’altronde) potessero prescindere dal loro corpo. Molti la considerano una disciplina femminista proprio perché con il burlesque la donna si riappropria del proprio corpo e lo usa come crede, in totale indipendenza e autonomia da stereotipi e strumentalizzazioni esterne. Basti pensare che, nella maggior parte dei casi, le performer creano da sole i loro numeri, essendo registe di se stesse. Io credo che il burlesque oggi, soprattutto come fenomeno di costume, sia una delle discipline che aiuta le donne, soprattutto quelle comuni non artiste, a valorizzare la loro femminilità, a ridarle il giusto peso, e in alcuni casi a recuperare la loro autostima. Essendo poi una forma di spettacolo permette di esprimersi a livello artistico ironizzando sul corpo, anche come risposta all’eccessiva importanza che i mass media gli hanno attribuito. Quando una donna può decidere e scegliere in autonomia di giocare con il proprio corpo, qualsiasi sia la sua forma e taglia, credo che sia una donna libera.
Credi che la parità di genere sia raggiunta oggi o ritieni ci siano battaglie ancora da combattere? Se sì quali? Credo che ancora oggi ci sia molto da fare per la parità di genere, soprattutto per quanto riguarda i temi della conciliazione vita privata-lavoro e della differenza di salario tra i sessi, sui quali sto già lavorando con un libro-documentario. In generale ritengo che vada scardinata l’organizzazione della vita sociale e lavorativa basata sui tempi e sulle modalità maschili, è necessario che le donne inizino a imporre il loro modo femminile di vivere, di lavorare, di agire, di pensare, di gestire il tempo e le risorse. Sono secoli che subiamo il punto di vista maschile sul mondo ed oggi è maturato il tempo di cambiarlo. Nei decenni precedenti molte donne al potere, per imporsi, hanno assunto atteggiamenti e comportamenti maschili, oggi invece finalmente si iniziano a vedere donne nei posti di potere con fare da donne e non da uomini. È il momento di ripensare la società e la sua organizzazione con le tipiche peculiarità femminili. b
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LEGGERE l’albero di Bruna Baldassarre
REBIBBIA:
I CAMBIAMENTI CHE FANNO ESPLORARE Cara Bruna, sono un musicista di 27 anni e ci sto provando con tutte le mie forze per crearmi un futuro promettente. Amo fare troppe cose anche in ambito musicale, ma troverò la mia vera dimensione? Sarà collegato anche con qualche scelta difficile e conflittuale in ambito sentimentale? Che vedi dal mio albero? Rik Caro Rik, il tuo albero ha una chioma chiusa e indica il bisogno di essere guidato verso l’autonomia! Sembrerebbe un gioco di parole ma per un giovane può essere ancora così. La forma della chioma denota anche un carattere schivo, che non manifesta facilmente i propri sentimenti, come se avessi appreso a difenderti con il silenzio, con l’adeguamento, ai danni di una soddisfacente autostima. Il bisogno di farti valere viaggia di pari passo con il timore di sentirti ostacolato. Il tratto ombreggiato denota inquietudine, ansia, probabilmente per tutto ciò che ti sembra di non riuscire a gestire come vorresti ma allo stesso tempo è anche come se amassi ‘tratteggiare’ la tua vita con programmi estrosi restando affascinato dall’idea di cambiamenti che ti permettano di esplorare più cose. I rami sono appena accennati e i conflitti ai quali accenni forse riguardano qualche trauma o inibizione che ha spento la spontaneità delle tue pulsioni, come se non fossi riuscito a vivere fino in fondo le tue emozioni. Intanto fai molto bene a sperimentare facendo ‘troppe cose’ proprio per cogliere intuitivamente la tua vera passione, così non accentui un conflitto che potrebbe indurre ingiustamente a non sentirti degno del successo che meriti. Il tronco allargato sottolinea l’uscita dall’egocentrismo adolescenziale per conquistare la necessaria autonomia e autorealizzazione, con determinazione e consapevolezza. Le tue tappe traumatiche avvengono negli anni: 3, 8, 11. L’accenno alle radici, soprattutto la forma, denota una facoltà creativa dell’inconscio ma anche un rischio di pesantezza. Stai completando la fase della vita in cui sei trascinato dalle forze giovanili del corpo. Allo stesso tempo intelligenza e entusiasmo danno le ali al tuo essere! Intorno ai 28 anni molte persone si trovano a affrontare dilemmi interiori ma ogni crisi porta a un nuovo risveglio. Il rischio è di mettere da parte il talento, proprio come la Parabola dei talenti nella Bibbia! Non si devono sotterrare le capacità ma trasformarle. In questa fase un incontro può far emergere una molteplicità di nuovi elementi aiutando a superare qualsiasi inadeguatezza. Quando il comportamento verso l’altro è fecondo e fruttuoso allora si sviluppa del nuovo e la relazione può accrescere.
Un “cibo dell’anima” esiste! Quando ricordiamo alcuni piatti, o tavolate, torniamo a persone, affetti, profumi, gesti, atmosfere indimenticabili, che ci accompagnano per sempre. Si tratta di un nutrimento, facendo un occhiolino all’Expo, del corpo e dello lo spirito, memoria di ricordi divenuti sfaccettature della nostra stessa identità. Di questo abbiamo chiacchierato, durante i nostri incontri settimanali a Rebibbia, con Franca, Laura, Sylvie, Sonia, Loredana, Federica, René, Ala e Cinzia. Una alla volta o intrecciandosi con la voce, sono andate a memorie così vive da riempire la piccola stanza di profumi, piatti, quasi visibili più che virtuali. Franca evoca emozioni che le mancano: far la spesa al mercato, coi suoi colori ed il fruscio dei prodotti… .l’impressione, quasi, di coglierli dalla terra, poi le polpette con la carne del lesso e il camino acceso guardando la nonna, veneta, girare nelle “bronze” la polenta bianca da mangiare col latte sopra e le pannocchie calde e abbrustolite. Ancora in quel mescolarsi di tradizioni e regioni, tipico delle famiglie italiane, suo padre calabrese aveva introdotto nei menù di famiglia gli spaghetti con la ‘nduja. Laura ripensa al buon odore di torrefazione del caffè preparato dalla nonna e al gusto delle sue cotolette. Ricordi che la riportano a suo figlio Samuel. Laura si “squaglia” quando rievoca la voce del suo bimbo… ‘mamma oggi fai le lasagne?’.. lasagne cucinate secondo la tradizione e accompagnate poi da un tiramisù che completava la gioia di Samuel - ora più che ventenne - e ancora il piatto di spaghetti ad aglio e olio preparato alle tre di notte, quando arrivava Luca, suo grande amore. Sylvie dice di
Giugno 2015
SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
CIBO DELL’ANIMA O DELLE EMOZIONI non avere un rapporto particolare col cibo, ma aggiunge che a lei, tosco-congolese, piacerebbe gustare la pappa col pomodoro, i ravioli alle patate col ragù noti come ravioli alla mugellana. Ciò che le manca davvero, però, è “un bricco di vino rosso di qualità”. Non le dispiacerebbe, poi, gustare del fufù: una sorta di polenta bianca tipica della cucina congolese, fatta di farina di manioca. Sonia, prima ancora di citare le tante pietanze che in casa si gustavano grazie alle diverse origini regionali dei suoi genitori, esprime la nostalgia per quell’odore di legna bruciata che accompagnava i cibi preparati sul fuoco. Poi, come se le vedesse e riuscissimo a vederla anche noi lì in prigione, evoca la pagnotta di pane nero fragrante e profumata tipica del Cilento, la focaccia ripiena di carciofi, salame e uova e, ancora, tanti primi piatti: impastati, cucinati o consumati in famiglia. A rafforzare il senso e il significato di questi ”cibi emozione e ricordo” è Loredana. Lei che, data la sua abilità e passione per la cucina anche a Rebibbia, con tutti gli ingredienti che riesce a comperare, realizza ricette tradizionali e anche “ripensate” dichiara che, in fondo, non le manca nulla. Parlando, però, racconta di come abbia nostalgia di quando fabbricava in casa liquori come il limoncello e il liquore al caffè, oppure quando preparava le bottiglie di pomodoro che chiudono nel vetro il profumo dell’estate. Ma Loredana, quasi testimonial del nostro ”cibo dell’anima”, racconta ancora una volta come sua figlia, quando viene a trovarla dalla Spagna, si porti via nella valigia i cibi che le prepara: lasagne, melanzane alla parmigiana, polpette, panzerotti, petto di pollo impanato. Direi
che non c’è bisogno di commenti... Continuiamo a trovare conferme nei pensieri di Federica: a mancarle sono i pranzi di sua mamma, quel profumo di sugo che dalla mattina si diffonde in casa e che si accoccolerà nella lasagna seguita, talvolta, dalle polpette preparate con carne e pane - le rosette - rafferme e ammorbidite in acqua e latte “per non renderle troppo pesanti”. La nostalgia per René più che dal cibo (un ottimo riso allo zafferano della prozia) nasce dal gesto d’amore. “La mia prozia mi accoglieva e sottolineava di averlo cucinato proprio e solo per me - e precisa - se devo riferirmi puramente al gusto, a Rebibbia mi manca tanto la pizza della pizzeria. Sono stata in un carcere in Venezuela e quando venivano i miei genitori e mi portavano confezioni di riso in bustine già pronte, quello che in Italia non consideravo minimamente, lì mi sembrava un piatto d’eccellenza”. A conferma che il cibo e il suo significato possono suscitare emozione rispetto alla memoria che ne abbiamo c’è il racconto di Ala, che strappa un sorriso a tutte nonostante per lei il sorriso sia amaro. Da quando è in prigione sua madre le continua a portare del pesce, sottolineando che contiene fosforo, quel fosforo di cui secondo lei Ala ha bisogno. Se ne avesse avuto di più, sostiene, non avrebbe fatto gli errori che l’hanno portata in carcere! E poi Cinzia racconta che all’improvviso, in fuga da Milano, raggiungeva - magnifica sorpresa - la mamma a Palermo, la quale col sottofondo del canto del mare e della voce di Mina, mentre si scambiavano parole e racconti, con gesti sempre uguali di un rito antico preparava la caponata servita su crostini.
RICETTE RICETTA di Cinzia CAPONATA SERVITA SU CROSTINI INGREDIENTI: melanzane, sedano, olive nere, capperi, cipolla, sugo di pomodoro, olio PREPARAZIONE: friggere in olio extra vergine le melanzane tagliate a dadini dopo averle lasciate un paio d’ore in acqua e sale. A parte, tutto a pezzetti: sedano, olive snocciolate, cipolla, capperi, da saltare in padella con olio d’oliva e aiutandosi con sugo di pomodoro, quanto basta per amalgamare. In fine un ulteriore amalgama delle melanzane e del soffritto di cui sopra con zucchero e aceto. Due ore in frigo e poi su crostini caldi.
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Giugno 2015
FAMIGLIA
Sentiamo l’Avvocata SÌ ALL’ETEROLOGA di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
L
a fecondazione eterologa è al centro di un vivo dibattito giurisprudenziale. La Corte Costituzionale si è pronunciata con la decisione n. 162 del 10 giugno 2014, che ha abolito il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa. I giudici hanno dato ampio respiro alla loro motivazione ed alla loro decisione di abolire il suindicato divieto, sulla base di valori costituzionali che non possono essere non dico violati, ma neanche dimenticati. In particolare, nella sentenza in esame si legge che “deve innanzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato…è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione, poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango…(omissis)...La disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla salute, che va inteso nel significato proprio dell’art. 32 Cosituzione, comprensivo anche della salute psichica, oltre che fisica”. Ribadisce ancora la Corte Costituzionale che la tutela della salute psichica deve essere di pari grado rispetto a quello della salute fisica. Diritto di autodeterminarsi, inteso come libertà di scelta rispetto a temi che attengono alla sfera intima e personale di uomini e donne, e diritto alla propria salute, che va salvaguardata sia fisicamente, sia psicologicamente, anche rispetto alle scelte che le persone hanno il diritto di fare, in ragione di temi che riguardano il loro mondo interiore e che hanno ricadute sul benessere psico-fisico. Spero che famiglie, donne, uomini, mariti e mogli facciano propri questi principi anche per trasmetterli ai loro figli, per la costruzione di un mondo più sano e più libero.
DONNE
E CONSUMI di Viola Conti
ENERGIA: CRITICITÀ E SCORRETTEZZE FEDERCONSUMATORI PRESENTA A AGCM E AEEGSI UN REPORT DETTAGLIATO SULLE CRITICITÀ E LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE DELLE AZIENDE. Nel 2014 sono oltre 500mila i reclami scritti presentati in tale comparto. Il 18% riguarda forniture non richieste e pratiche commerciali scorrette; il 47% attiene, invece, a fatturazioni anomale: entrambe patologie riferibili, il più delle volte, ad operatori del libero mercato. Alla luce di questa grave situazione Federconsumatori ha redatto un report dettagliato sulle principali criticità rilevate e che ha presentato all’Antitrust e all’AEEGSI richiedendo interventi urgenti ed esemplari contro i comportamenti intollerabili delle aziende. Ecco alcune delle principali criticità. Ritardi nelle volture gas e luce. Le tempistiche prescritte per il perfezionamento di tali operazioni sono di 15 giorni ma alle volte vengono impegnati anche 12 mesi. Contratti non richiesti. Le aziende non rilasciano nei tempi necessari per la tutela dell’utente la documentazione relativa a tali contratti per verificare la medesima e fare, laddove possibile, il disconoscimento. Contratti truffa e art. 66 quinquies d.lgs 21/14. Art. 66-quinquies. Fornitura non richiesta. Procacciamento clienti, un sistema che non può funzionare! L’attuale sistema di tutela è inefficiente ed insufficiente. Lettura contatori. Come previsto dall’AEEG le aziende devono obbligatoriamente effettuare un tentativo di lettura ad anno, tuttavia anche su misuratori accessibili o teleletti, si protraggono misurazioni su stima anche per oltre 5 anni. Consumi palesemente difformi dallo storico. Si registrano casi di consumo irreale di migliaia di metri cubi in soli pochi mesi: paradossale se paragonato alle medie di una famiglia italiana. Risposte ai reclami. Le risposte ai reclami da parte dei venditori sono, molte volte, tardive e non entrano nel merito delle problematiche evidenziate. Conciliazioni. In moltissimi casi hanno esito negativo per mancata formulazione di una proposta da parte della società. Informazioni dettagliate su www.federconsumatori.it
Giugno 2015
L’OROSCOPO DI
Giugno CARA ARIETE, nella sua opera Abbozzo di una morale senza obbligo né sanzione (1885), il filosofo francese Jean-Marie Guyau ipotizzava una morale totalmente priva di norme e prescrizioni, di punizioni e divieti, basata sulla naturale (secondo lui) tendenza dell’essere umano verso la simpatia universale. Sarai degna di una tale idea, nel mese di giugno, capace di una cosmica empatia con il mondo, grazie a Venere e Giove in Leone, tutti lì a propiziare ogni tuo successo. CARA TORO, la spiritosa Lena Dunham, giovane attrice, produttrice e regista della serie televisiva Girls, ha detto di essere contenta della sua completa inaffidabilità come narratrice, dato che a ogni storia finisce per aggiungere sempre, fatalmente, un dettaglio inventato. Che ne pensi, per una volta, di provare a fare come lei? Non ti sto suggerendo di inventare menzogne a ogni piè sospinto. Ma di lasciarti alle spalle la tua natura terrestre e concreta per assecondare la tua creatività. Almeno per un po’... CARA GEMELLI, la scrittrice romena Herta Müller, vincitrice del premio Nobel con la motivazione di saper “dipingere il paesaggio degli spodestati, grazie alla “concentrazione della poesia e alla franchezza della prosa”, ha dichiarato recentemente: “Solo i limiti della lingua rendono possibile la poesia. Sono la cosa migliore che la letteratura possa offrire”. Ne sai qualcosa, cara amica dal segno d’aria, visto che nessuno come te spinge il linguaggio, la comunicazione, l’invenzione, fino al limite. Ebbene, Mercurio, pianeta “messaggero”, ti protegge per tutto il mese. Approfittane! CARA CANCRO, diceva Bruno Munari, grande artista, grafico e designer, che ognuno di noi vede quello che già sa. È proprio così, purtroppo, ed è un po’ triste: siamo guidati dalle nostre abitudini, spesso chiusi alle novità, incapaci a volte anche solo di percepire l’inedito, che sfugge alla nostra attenzione e quasi si dilegua davanti ai nostri occhi. Ebbene, è il momento di cambiare le cose! I pianeti ti rendono sensibile e capace di guardare il mondo da una diversa prospettiva, ti consiglio di seguire senza paura questa inclinazione.
PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI
CARA LEONE, sui giornali francesi tutti gli avvenimenti non classificabili nelle rubriche ordinarie vengono riuniti sotto il nome di Les faits diverses, I fatti diversi. Spesso si tratta di incidenti, eventi tragici, insomma di cronaca nera. Mi è sempre sembrata una prova di apprezzabile nonchalance, chiamare semplicemente “fatto diverso” un evento magari terribile. Perché ti dico questo? Niente paura, non c’è alcun evento tragico dietro l’angolo. Semplicemente, ti propongo di abbandonare il tuo consueto atteggiamento drammatico e di accogliere l’estate con un po’ di leggerezza. CARA VERGINE, il kintsugi è un’arte giapponese che consiste nell’incollare gli oggetti di ceramica infranti con suture d’oro. I risultanti di questa operazione sono bellissimi: vasi e oggetti in ceramica con splendenti ragnatele dorate che si diramano sulla loro superficie. Arrivi all’estate abbastanza stanca e nervosa, e con qualche coccio infranto di troppo. Ma Giove ti aiuterà a praticare il tuo personale kintsugi, e a riparazione fatta le cose appariranno migliori di prima. CARA BILANCIA, oggi un’amica mi ha raccontato questa vicenda, capitata a una conoscenza comune. Trovatosi da solo di fronte al buffet gratuito di un convegno, il protagonista della storia si è ovviamente tuffato sui dolci. Alla ripresa della conferenza, avvenuta alle 14 e 30 (indubbiamente, un orario punitivo!), il goloso amico si è però addormentato sulla sedia, una sedia di quelle antiche, dorate e foderate di velluto; è caduto per terra rompendo la sedia irreparabilmente, con conseguente gran rumore, e nel contempo si è lacerato i pantaloni. Esiste una figuraccia più grande? Valeva la pena per gustare qualche dolce in più? Ebbene, forse, a volte, ogni tanto, sì! Ci siamo capite? CARA SCORPIONE, guardo la posizione dei pianeti nel tuo segno nel corso di questo mese e penso all’aforisma del pittore francese Georges Braque: “Il quadro è finito quando ha cancellato l’idea”. Cosa voleva dire? Forse, che l’opera è terminata solo quando l’idea iniziale scompare sotto le linee, i disegni, i colori, forse, che l’arte non è nel messaggio, nel concetto, ma semplicemente nel suo apparire. Perché ti dedico queste parole? Per invitarti a non concentrarti troppo sull’aspetto intellettuale e cerebrale delle cose, e a dedicarti invece alle bellezze della vita.
CARA SAGITTARIO, sembra che a Bali, se appartieni alla casta bassa, il primo figlio, maschio o femmina che sia, si chiama sempre Wayang, il secondo Madè, il terzo Nyoman e il quarto Ketut. E dal quinto si ricomincia con Wayang! Che dire? Certo, si perde un po’ di poesia, ma ci si semplifica la vita... quello di cui avresti bisogno nel corso di questo giugno, in cui hai proprio voglia di appianare tanti piccoli fastidi rimasti insoluti. Forse non c’è bisogno di cambiare nome ai tuoi familiari, ecco, ma ti suggerisco, quanto a senso pratico, di prendere esempio dai balinesi! CARA CAPRICORNO, affermava Kierkegaard, malinconico e geniale filosofo da cui prese l’avvio l’esistenzialismo, che “la vita si comprende all’indietro, ma si vive in avanti”. Ti capita spesso di volere comprendere e analizzare piuttosto che buttarti nella mischia dell’esistenza, vero? Appartieni a un segno saturnino, flemmatico e concreto, ed è inutile voler cambiare la tua natura. Ma per questo mese, in cui sei sostenuta dagli stimoli mercuriali, ti propongo – ho detto propongo: è inutile voler convincere un Capricorno! – di smetterla di guardare indietro e di spingerti un po’ più in avanti. CARA ACQUARIO, qualcuno, non so più chi, mi ha riferito un proverbio cinese che mi sembra proprio fare al caso tuo: “Sceglierai la direzione giusta solo quando arriverai al bivio sulla tua strada”. Non stare lì a scervellarti sulle mille direzioni possibili prima del tempo, non stare lì a ripetere nella tua mente le varie opzioni future senza sosta né costrutto. Rischi di disperdere le tue energie. Concentra invece la carica che ti concede Marte sul presente! Quando arriverai al famoso bivio, si vedrà... CARA PESCI, scriveva negli anni Settanta la filosofa francese Luce Irigaray che nel sistema patriarcale, costruito da maschi per altri maschi, la donna può trovare uno spazio per sé attraverso un “mimetismo ludico”. Cioè destrutturando con il gioco e con l’ironia le forme del patriarcato, in breve non rivaleggiando con gli uomini, ma “scombinando” il sistema. Mi piace! Certo, dovremmo incontrarci e discutere insieme se questo possa valere ancora oggi, ma intanto... riflettiamoci su!
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Keffyieh
intelligenze per la pace Un’antologia poetica che raccoglie voci italiane e straniere contro i conflitti mediorientali di Luca Benassi
È
convinzione comune che la poesia non serva a nulla, se non forse a comunicare qualche sentimento, e che non sia compito della parola poetica provare a cambiare una realtà afflitta a livello planetario da violenze, guerre, disastri ambientali. Non tutti la pensano allo stesso modo: il poeta, saggista ed editore, prematuramente scomparso nell’ottobre del 2014, Gianmario Lucini era fermamente convinto che l’unico antidoto alla violenza e allo sfruttamento dei popoli fosse la poesia come strumento di pace capace di connettere sensibilità, intelligenze, superando barriere culturali e stereotipi. La sua casa editrice, Edizioni CFR, aveva raccolto le migliori voci del panora-
ma letterario contemporaneo e fin dal 2011 ha incominciato a pubblicare antologie poetiche tematiche: “L’impoetico mafioso - 105 poeti per la legalità e la responsabilità sociale” (2011), “Nun si cuntunu i ciri nta l’artari (non si contano i ceri sull’altare)” (contro il pensiero mafioso, 2011), “Oltre le nazioni” (in memoria di Vittorio Arrigoni, giornalista pacifista ucciso a Gaza nel 2011, sul tema della solidarietà fra i popoli, 2011), “Ai propilei del cuore” (poeti contro la xenofobia, 2012), “Il peso del vento” (contro la ‘ndrangheta, 2012), “Cuore di preda” (contro la violenza sulle donne, 2012), “Il ricatto del pane” (antologia di poeti per il lavoro, 2013), “Cronache da Rapa Nui” (miscellanea di scritti e immagini su temi ecologici, 2013). Lucini, poeta civile e autore di scritti politici lui stesso, aveva l’abilità di raccogliere poeti e poetesse di esperienze e capacità diverse, tutti democraticamente impegnati attorno i temi più scottanti del nostro tempo, dal lavoro, all’ecologia, alla guerra, alla violenza contro le donne, al fenomeno mafioso. Questi progetti non erano solo editoriali: le antologie venivano presentate in giro per l’Italia, soprattutto nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche. Al momento della scomparsa del poeta, era in stampa l’antologia “Keffyieh, intelligenze per la pace”, a cura di Lucini e Mario Rigli che raccoglie voci italiane e straniere sui conflitti mediorientali, soprattutto israelo-palestinesi, dalla quale sono tratti i testi qui pubblicati. L’eredità di Lucini, che voleva che le antologie girassero per il Paese e che le voci dei poeti gridassero la loro collera per l’ingiustizia e smuovessero le coscienze, è stata raccolta dalla moglie Marina Marchiori e dagli amici. In particolare Maria Corsi, poetessa e redattrice del semestrale di ricerca e cultura critica Poliscritture ha organizzato una serie di incontri per presentare l’antologia e ricordare l’infaticabile lavoro di Gianmario Lucini.
MARCELLA CORSI
Desert Storm
preghiere che sventolano gli alti piani dello sguardo, bianche lenzuola distendono di casa in casa desideri di paci cittadine perché l’anima ha un peso di monte che va di faggio in faggio e s’apre col vento alle punte del cielo perché l’anima ha un peso di mare che va di vela in vela a salutare il fondo le ventose rapprese al braccio del corallo perché l’anima ha un peso di terra di braccia di pelle di panna a montare su treni lanciati su ponti caduti o da cadere e troppo spesso la gente non la dà a vedere LAURA CORRADUCCI
a Gianmario
la puzza del vomito sul ponte ci scostava la speranza un po’ più in là i documenti schiacciati nello stomaco avevano il sapore bianco del pane mentre la plastica delle bottiglie si scioglieva nelle albe senza sole seduto a terra mi contavo gli anni con le mani pensando a mia madre che diceva “scrivi appena ti sistemi” la sera sentivo i brividi alle gambe e un vento che passava fra le costole un ladro venuto a rubare la paura il futuro iniziava così negli sputi degli uomini alla notte con i sogni appesi intorno come stelle
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