MARZO 2015
GUERRIGLIERE KURDE IN LOTTA CONTRO L’IS FEMMINICIDIO LA COSTITUZIONE PARTE CIVILE MENO GIORNALI MENO LIBERI CAMPAGNA PER IL PLURALISMO NELL’INFORMAZIONE
prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 70 - n.03 ISSN 0029-0920
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8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI 15/02/15 21.11
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DELFINA
di Cristina Gentile
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SOMMARIO
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01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE di Tiziana Bartolini
4/7 ATTUALITà 04 Vent’anni fa andavamo a Pechino di Giancarla Codrignani 06 Non è scontro di civiltà e neppure di religione di Stefania Friggeri
8/9 BIOETICA Ma quanto vale un corpo? Bellezza ideale, ritocchi, identità di Cinzia Ciardi
10/13 INTRECCI 10 Parlando di 8 marzo a Rebibbia Raccolte ‘in diretta’ nel carcere romano: testimonianze, riflessioni e poesie 12 Laboratorio Zen Insieme Antimafia sociale a Palermo Intervista a Mariangela Di Gangi di Mirella Mascellino
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14/20 FOCUS/ 8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI
21/25 JOB&JOB
14 Soldate Kurde e del Rojava Rivoluzionarie per davvero IntervistA a Ozlem Tanrikulu di Marta Facchini
22 Donne in Campo/8 marzo in campagna. Ricordi e riflessioni
15 Ancora forte il vento dei femminismi IntervistA a Libera Pisano di Marta Facchini 16 La via dell’incontro e dell’ascolto Intervista a Marisa Iannucci di Costanza Fanelli 17 Femminismi musulmani Un incontro sul Gender Jihad Assirelli, Iannucci, Mannucci, Patuelli di Costanza Fanelli 18 Il mosaico africano Intervista a Marina Gori e Radhia Khalfallah di Casa Africa di Marta Mariani 19 Obiettivo è sempre l’emancipazione Intervista a Maria Geneth Il Filo di Arianna di Marta Mariani
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
Direttora Tiziana Bartolini
Anno 70 - numero 03 Marzo 2015
Editore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 Roma
Autorizzazione Tribunale di Roma n°360 del Registro della Stampa 18/03/1949 Poste Italiane S.p.A. Spedizione abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 DCB Roma prezzo sostenitore €3.00 euro Filiale di Roma
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SUPERVISION lisa Serra - terragaia.elisa@gmail.com E Abbonamenti Rinaldo - mob. 338 9452935 redazione@noidonne.org
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21 Campagna Meno Giornali Meno Liberi
24 Well_B_Lab*/Parlamentari Il vero potere delle elette di Giovanna Badalassi
26 /31 MONDI 26 Paesi Baltici/ Fantasmi in Europa di Cristina Carpinelli 28 Turchia/Erdogan, caccia alle infedeli di Emanuela Irace 29 Egitto/Lei è l’Egitto, associazione dalla parte delle bambine di Zenab Ataalla 30 Gran Bretagna/Institute of sexology di Silvia Vaccaro
32/43 APPRODI 32 LIBRI Le donne dimenticate di Via Catalana/Ugo Sestieri di Paola Ortensi
amiche e amici del progetto noidonne
Clara Sereni Michele Serra Nicola Tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia Francesca Brezzi Rita Capponi Giancarla Codrignani Maria Rosa Cutrufelli Anna Finocchiaro Carlo Flamigni Umberto Galimberti Lilli Gruber Ela Mascia Elena Marinucci Luisa Morgantini Elena Paciotti Marina Piazza Marisa Rodano Gianna Schelotto
Ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
Le donne e la Prima Guerra Mondiale/ Antonella Fornari di Alida Castelli Premio Marostica Città di Fiabe 33 Anna Maria Ortese Centenario della nascita 34 Se chiudo gli occhi/Simona Sparaco di Rita Capponi 35 Diversità delle donne nel lavoro Concorso fotografico 38 Femmincidi/ UDI Bologna Costituzione parte civile di Rossella Mariuz 39 Giuseppina MaRturano/ Bimba col pugno chiuso 40 UDI Forlì/Sculture Mirroring-rispecchiarsi nella Dea 41 Quando la tavola non era imbandita/UDI Ferrara di Camilla Ghedini 42 La poesia spezzata di Zuzanna Ginczanka Intervista alla regista Mary Mirka Milo Il nome del figlio/Francesca Archibugi di Elisabetta Colla
ringraziamo le amiche e gli amici che generosamente questo mese hanno collaborato
Daniela Angelucci Zenab Ataalla Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre Tiziana Bartolini Luca Benassi Barbara Bruni Rita Capponi Cristina Carpinelli Alida Castelli Cinzia Ciardi
Giancarla Codrignani Elisabetta Colla Viola Conti Marta Facchini Costanza Fanelli Stefania Friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Emanuela Irace Marta Mariani Rossella Mariuz Mirella Mascellino Cristina Melchiorri Simona Napolitani Paola Ortensi Silvia Vaccaro
05 Versione Santippe di Camilla Ghedini 09 Il filo verde di Barbara Bruni 13 Le idee di Catia Iori 25 Strategie private di Cristina Melchiorri 44 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 44 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona Napolitani 45 Spigolando di Paola Ortensi 46 Donne&Consumi di Viola Conti 46 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 47 L’oroscopo di Zoe 48 Poesia Carla Mussi La fiaba della poesia di Luca Benassi
Con il contributo straordinario di Assunta, Barbara, Cinzia, Franca, Laura, Loredana, Lucia, Sylvie dal carcere femminile di Rebibbia (Roma) per l’articolo di pag 10 e 11
‘noidonne’ è disponibile nelle librerie Feltrinelli ANCONA - Corso Garibaldi, 35 • BARI - Via Melo da Bari 117-119 • BOLOGNA - Piazza Galvani, 1/h • BOLOGNA - Piazza Porta Ravegnana, 1• FIRENZE - Via dei Cerretani, 30-32/r MILANO - Via Manzoni, 12 • MILANO - Corso Buenos Aires, 33 • MILANO - Via Ugo Foscolo, 1-3 • NAPOLI - Via Santa Caterina a Chiaia, 23 • PARMA - Via della Repubblica, 2 PERUGIA - Corso Vannucci, 78 - 82 • ROMA - Centro Com.le - Galleria Colonna 31-35 • ROMA - Via Vittorio E. Orlando, 78-81 • TORINO - Piazza Castello, 19
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IL MERCATO E LE VOCI DI LIBERTà
e testimonianze nel focus di questo mese raccontano punti di vista diversi sull’8 marzo e confermano l’urgenza di parlarsi e conoscersi di più. Le crisi sempre più gravi in cui sono immerse le nostre comunità ci interpellano anche e soprattutto come donne, alla luce delle tante e profonde differenze che ci dividono nonostante la vicinanza fisica e tecnologica. Quel noi rassicurante in cui ci riconoscevamo, al di là di ogni specificità, non c’è più. Ci rendiamo conto che a separarci, ben oltre i veli, è una sottile e perdurante dipendenza dal potere maschile. I limiti alla libertà di agire imposti alle donne in contesti tribali hanno la stessa matrice culturale che determina l’accettazione acritica del sistema alle non poche donne ai vertici di istituzioni politiche e finanziarie nazionali ed internazionali. Sono donne al potere ma ci si domanda se sono anche donne di potere, nel senso che vogliono non solo gestire ma anche ambire a modificare meccanismi e logiche. Per ora la risposta è negativa. Anche a quei livelli manca il noi, forse. Massa critica, si è detto per anni, ma l’ipotesi non sembra più adeguata se guardiamo, per esempio, al nostro Parlamento pieno di donne e giovani eppure al collasso funzionale. Se è impossibile stilare un’agenda unitaria al femminile, concordare su qualche priorità si potrebbe. Al primo punto dell’ipotetico elenco vedremmo bene una verifica delle scelte. Un esempio riguarda NOIDONNE proprio in queste settimane, che possono segnare il discrimine tra la vita e la morte del giornale e che la campagna MENO GIORNALI MENO LIBERI illustra. Alle cospicue rappresentanze femminili in Parlamento e nel Governo chiediamo un impegno immediato per non far chiudere questo giornale (sarebbe la fine per una storia unica e irripetibile). Alle donne
nominate nei Consigli di Amministrazione di aziende pubbliche e private chiediamo di farci avere risorse economiche per continuare a pubblicare. Che la chiamino pubblicità o donazione poco importa, ma consigliamo loro di non ascoltare le prevedibili obiezioni del marketing sulla tiratura, inadeguata per il mercato pubblicitario. Ha senso avere il potere se si prova a cambiare le leggi del mercato, trovando ottime ragioni a partire da una, nobilissima: sostenere la cultura e l’informazione delle donne. Sì, proprio quella tradizione politica e democratica che nei settanta anni di NOIDONNE con riflessioni, inchieste, battaglie ha consentito di ottenere una legge dello Stato che sancisce l’obbligo delle donne nei CdA e ha ottenuto qualcosa di analogo nelle Assemblee elettive. Vale la pena di ricordarlo: nulla è mai conquistato per sempre e il vento dell’antipolitica è prigioniero del suo stesso pericoloso populismo. Ma oggi come ieri, e ancora di più domani, senza il coraggio della disobbedienza, NOI DONNE corriamo il rischio di tornare al silenzio. Tiziana Bartolini COOPERATIVA LIBERA STAMPA GRAZIE A ISA E A COSTANZA, BENVENUTA A GIANCARLA Salutiamo Isa Ferraguti che si è dimessa da Presidente della Cooperativa Libera Stampa, carica che ricopriva dal 1997. Le succede Costanza Fanelli, che torna alla guida della Cooperativa dopo 17 anni, ma che non ha mai smesso di seguire da vicino questa nostra impresa. L’impegno di Isa in questi anni è stato sempre prezioso, e decisivo in molti passaggi. Si è assunta l’onere di guidare un’impresa che al tempo era in grande difficoltà, un impegno che ha compreso anche la salvaguardia della testata e di un vasto patrimonio storico. Raggiunto e superato il traguardo dei 70 anni del giornale, è maturato il tempo per un avvicendamento. Ringraziamo Isa per la tenacia, la determinazione e il coraggio che ha mostrato negli anni e in tanti difficili situazioni vissute. Diamo il benvenuto nella Cooperativa Libera Stampa a Giancarla Codrignani, amica da sempre di NOIDONNE nonché sua firma di punta, ringraziandola per aver accettato l’invito a far parte di una realtà imprenditoriale femminile - piccola, onesta e libera - che è pronta a raccogliere le nuove sfide seppur in un futuro quanto mai incerto e difficile. Un futuro che, come è stato sempre nella vita del giornale, oltre che dipendere dalla passione e dall’ impegno di chi lo fa è anche in mano alle lettrici, abbonate, sostenitrici.
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VENT’ANNI FA ANDAVAMO A PECHINO Oggi occorre scrivere un’altra puntata. Con meno ambizioni, ma con assoluta urgenza
di Giancarla Codrignani Le ragazze non ne sanno niente, le madri evidentemente sono di memoria corta, ma allora erano tutte contente. Eppure è di quel tempo l’invenzione di parole come gender, empowerment, mainstreaming, networking e perfino accoutability. Tranne gender - oggi entrata in una discussione molto più complessa - non hanno dato il successo sperato. Comunque era bello vedere a Pechino donne guatemalteche o nigeriane precipitarsi ai computer disponibili per informare le amiche lontane in tempo reale: tutte speravano. Invece, a partire dal networking, dopo siamo
state meno brave: in nessun paese abbiamo costruito reti internazionali, allora quasi già fatte da sole. Eppure pareva importante mantenere i contatti per poi cooperare. Oddio, non facciamoci sensi di colpa: nemmeno nessuna di noi si fidava (si fida) delle istituzioni, Nazioni Unite comprese (Susan Sontag le definiva luoghi in cui si fanno discorsi a cui le donne sono così ingenue da credere). Diffidenza non senza ragione: l’Onu “doveva” una grande Conferenza alla Cina, certo non quella sulla popolazione (Il Cairo) o sui diritti umani (Vienna); le donne invece garantivano che non ci sarebbero stati incidenti diplomatici. Eppure, la tradizione degli infanticidi delle bambine si era tradotta in selezione con l’ecografia dei feti femmine: fu per tutti “normale”. Tuttavia i problemi all’ordine dei lavori erano davvero importanti; e
largamente dibattuti: nel 1975 a Città del Messico l’Onu aveva aperto il “Decennio della Donna”, poi diventato ventennio e i governi avevano approvato la Convenzione internazionale contro ogni forma di discriminazione verso le donne (Cedaw). A Pechino tutti i paesi si sentirono impegnati con 1.200 delegati; e un grandissimo Forum parallelo delle Organizzazioni non-governative (con 8.000 donne) agitò liberamente i problemi di tutte e fu bellissima la complicità tra i due luoghi, con le rappresentanti governative che riportavano nell’aula decisionale le richieste delle donne dei popoli. Gli Obiettivi strategici e il Programma d’azione rileggevano a partire dalla soggettività critica femminile tutti i problemi: povertà, istruzione, salute, violenza, conflitti, economia, processi decisionali, meccanismi istituzionali, diritti umani delle donne, i media, l’ambiente e, infine, le bambine, senza trascurare le disposizioni finanziarie e la creazione di strutture. Le donne provenienti dai paesi islamici sessuofobi animarono una sorta di Parlamento e presentarono “Cento misure” di esigenze femminili, contestando il patriarcato islamico e proponendo la revisione dogmatica del Corano. Il Vaticano si dissociò dal documento finale per ciò che riguardava la salute e il diritto delle donne “a controllare la propria sessualità”. Il numero enorme di dibattiti e il colore di un movimento davvero globale aveva lasciato sperare in una “rivoluzione copernicana”. Ma funzionari che ave-
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vano scritto i documenti che le ministre avrebbero letto indicavano già la linea di tendenza. Susanna Agnelli si staccò dal testo scritto: “Vorrei aggiungere che queste analisi non possono essere complete senza un’adeguata riflessione sull’impatto di genere”, che evidentemente il governo non sapeva nemmeno che cosa fosse. Era presente anche Betty Friedan: La mistica della femminilità del 1961 era già datata e Betty se ne rendeva conto: “oggi le ragazze tendono a dire: non sono una femminista, però... rivendicano i diritto a una professionalità di alto livello, che è quello per cui ha lottato per anni il movimento femminista”. Bisognava, dunque, che tutte andassero oltre, verso “una nuova visione” perché dall’economia arrivava il “contrattacco” alle conquiste ottenute: “affinché la nostra lotta abbia successo, è essenziale superare gli obiettivi immediati, concentrandoci su quelli a lungo termine”. Sono ancora le due vie da percorrere: nuove pratiche e nuove idee. Le idee forse non sono mancate nelle nostre “scuole di pensiero”; ma si fa presto a dire che i governi non mantengono la parola, se non si sa come gestire le proprie rivendicazioni: per riformare il Pil, ad esempio, le Cavarero e le Muraro dovevano associarsi, che so?, ad Antonella Picchio. Così anche da noi sono uscite molte parole, che - nemmeno ce ne accorgiamo - sono diventate vecchie. La sinistra non ci ha aiutato perché anche lei ha solo parole invecchiate. Anche Papa Francesco si scontra con un vecchio cattolicesimo ormai privo di senso. È il mondo che cambia, forse non così rapidamente come sembra: la premier norvegese Gro Harlem Brundtland diceva che i principi di Pechino «saranno un ponte verso il futuro». Dopo vent›anni, le aspirazioni grandiose di Pechino sono invecchiate. Ma il futuro incalza. Vent›anni dopo dobbiamo scrivere un›altra puntata. Con meno ambizioni, ma con assoluta urgenza. b
di Camilla Ghedini
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ggi avrei voluto scrivere di memoria, di quella che non abbiamo più in testa, perché è conservata nel disco rigido del pc, cui abbiamo affidato passato ed emozioni. Che tali forse non possono nemmeno essere definite perché bruciate a gran velocità e quindi neppure degne di essere ricordate. L’unico archivio nel quale io credo è il corpo. Nei giorni scorsi ho riletto una lettera inviata a una persona che ho veramente amato. Era l’ottobre 2013 e scrivevo così: “Non mi convincono le persone che tentano di conquistare gli altri con tormenti dell’anima, complessità intellettuali, narrazioni di vita antica e mura difensive da abbattere. Io preferisco il processo contrario, perché i dolori, le inquietudini e le vergogne sono talmente intimi che richiedono una
rà che anche io ho un cuore. E come me tanti altri, che delle parole fanno poco uso ‘personale’. Io da sempre preferisco quelle silenti, che ci arrivano solo come vibrazione dell’anima. Le preferisco a quelle scritte, spesso tanto anticipatorie quanto gratis. Belle da ammirare in vanagloria sullo schermo del cellulare o da sentirsi rivolgere, ma sulla cui veridicità ci sarebbe da discutere. Quante volte si sprecano i ‘ti voglio bene’ senza riflettere sul significato vero dell’enunciazione, che sta per ‘io voglio il tuo bene, a discapito del mio, secondo i tuoi bisogni’. Il guaio è che le persone come me passano per burbere, soprattutto oggi giorno che vomitare la propria vita di fronte a una platea avida di fatti altrui è cosa facile. Non a caso per il nome della rubrica mi sono ispirata a Santippe, passata alla
LE BELLE PAROLE SILENTI confidenza sperimentata, anche e soprattutto, prima, nella gioia e nel divertimento. Non credo ai legami affettivi, di amicizia o sentimento, nati sulla condivisione del malessere, che poi, secondo varie declinazioni e gradi di intensità, appartiene a tutti. Per questo, forse, io all’inizio mi presento nella versione più superficiale. Poi, se voglio bene, sbaglio. Eccome. Perché divento fragile come la pasta frolla, cui bisogna dare una forma che spesso non prende nonostante si cerchi di modellarla con la forza delle mani. Perché tornano paure antiche, che non sono quelle naturali della vita amorosa. Sono quelle che rimangono nella memoria del corpo, da prima, da subito, dal primo vagito”. Ho ripreso questo concetto, testuale, e l’ho inserito nel mio libro di prossima uscita, dove chi mi rimprovera un certo cinismo scopri-
storia come moglie rompiscatole di Socrate senza che nessuno si interrogasse su cosa pensasse e desiderasse lei. Non cercare il ‘consenso’ viene individuato come difetto o nelle migliori delle ipotesi come incapacità di ‘lasciarsi andare’. E invece così non è, perché il vissuto è dentro e c’è anche se non viene dichiarato; le emozioni sono nella pancia, nelle braccia e nelle gambe, anche se coperte dai vestiti; le paure sono arginate da un bisogno di ordine che non è vigliaccheria. Per fortuna la vita vera non è come la politica e non è indispensabile mettersi ai voti e piacere a tutti. Ecco, io ho fatto questa scelta, in amore e in amicizia. Per noi ‘non cinici’ la libertà è questa, presentarci per quello che non siamo, lasciando a chi ha pazienza e curiosità l’esclusività di scoprirci per quel che siamo. Senza troppe parole.
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NON È SCONTRO DI CIVILTà E NEPPURE DI RELIGIONE di Stefania Friggeri
Non dimentichiamo che anche la religione cristiana è stata egemone per secoli, ha dettato regole del vivere e influenzato il pensiero Onde evitare che il vento dell’islamofobia gonfi le vele delle forze reazionarie che additano nell’islam il nemico, declamando un cristianesimo identitario che proclama le radici cristiane d’Europa, è opportuno non dimenticare che anche alle nostre latitudini la religione cristiana ha goduto per molti secoli della totale egemonia culturale influenzando la modalità di sentire e di pensare, dettando i costumi e le regole del vivere civile. All’interno del mondo cristiano non sono mai mancati acerbi contrasti tra il potere spirituale e il potere temporale, ma il famoso detto “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio” ha offerto solidi argomenti a favore della separazione dei poteri e il cristianesimo, dopo una lotta plurisecolare e sanguinosa fra la Chiesa e i regnanti, ha dovuto venire a patti col principio della laicità dello Stato. Anche se ancora oggi nelle società secolarizzate, compresa la Francia, l’invadenza della chiesa nella vita pubblica rimane militante, come conferma l’intervista rilasciata dopo il 7 gennaio da Lux, giornalista superstite di Charlie Hebdo: “La Francia, nonostante tutto, resta culturalmente un vecchio paese cattolico. E l’abbiamo visto bene in questo periodo di agitazione politica e continue manifestazioni intorno alla legge sul matrimonio per tutti. Una Francia profonda e retrograda che va ben al di là dei cattolici integralisti (quelli non li avevamo certo dimenticati perché ci hanno fatto circa dodici processi in vent’anni).” Dunque le vignette, a volte anche brutte e volgari secondo alcuni, scaturivano dal rifiuto di venire a patti con “la vecchia forza politica della Chiesa, quel potere oscuro che non è mai scomparso in Francia e che interviene pesantemente nelle questioni sociali … In uno stato laico la gen-
te non si identifica rispetto alla religione o ad un gruppo etnico, ma rispetto alla cittadinanza … La Francia è forse l’ultimo baluardo dell’universalismo dei valori laici contro il comunitarismo ormai vincente.” A parere di Luz dunque l’agente patogeno dell’estremismo fanatico sarebbe il comunitarismo che riduce l’identità poliedrica di ogni individuo nell’identità unica e totalizzante della confessione religiosa e/o della comunità dei fedeli.
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Nel suo “Identità e violenza”, uscito in Italia negli anni in cui si comincia a parlare di “scontro di civiltà”), Amartya Sen riflette a lungo su quanto sia problematica la condizione esistenziale di chi vive la competizione fra due diverse identità (ad es. “sono cittadino francese o sono in primo luogo un musulmano?”) soprattutto se, nel contesto sociale in cui vive, la persona viene vista non nelle sue molteplici sfaccettature identitarie ma come membro di una singola identità, religiosa oppure etnica (“L’ebreo è un uomo che gli altri uomini considerano ebreo, è l’antisemita che fa l’ebreo”, J.P. Sartre). Parole profetiche quelle di A. Sen se riferite ai ripetuti casi di violenza da parte di chi aderisce al fondamentalismo religioso: attraverso internet, o i compagni spesso incontrati in carcere, il giovane musulmano riesce a dare un senso al vuoto della sua vita recuperando le radici ataviche e facendosi membro della “Umma”, la comunità dei fedeli; e dopo aver cancellato le sue molteplici affiliazioni, identificando se stesso solo ed esclusivamente come un autentico musulmano, il futuro terrorista, ormai rinato (born again), entra nella comunità dei combattenti, ne sposa l’identità settaria e conclude l’affiliazione con un viaggio iniziatico. E oggi è forte il richiamo esercitato dall’ Isis a causa dei successi militari e del potente messaggio politico: il ritorno del Califfato, l’età dell’oro dell’islam, che restituirà ai musulmani “la dignità, la potenza, i diritti e l’autorità del comando” (Al Baghdadi). Pur tenendo presente tutte le grandi differenze del contesto storico e culturale, Loretta Napoleoni nel suo libro intitolato all’Isis argomenta così: “Negli anni quaranta ebrei di varie parti del mondo si unirono in una lotta contro gli inglesi per riconquistare la loro antica terra, una patria ancestrale donata da Dio, dove potevano nuovamente trovare la liberazione. Come l’antica Israele è sempre stata per gli ebrei la Terra Promessa, così il Califfato rappresenta per i musulmani lo stato ideale, la nazione perfetta in cui trovare la salvezza dopo secoli di umiliazione, razzismo e sconfitte per mano degli infedeli, ossia delle potenze straniere e dei loro associati musulmani.” L ’Isis, infatti, rappresenta un genere di stabilità non insolito nelle regioni che hanno sofferto conflitti prolungati dove la popolazione vive da anni nella miseria e nel terrore: vittima della violenza scatenata dalle guerre e dagli scontri tribali fra gruppi
religiosi o fazioni politiche, vittima della corruzione delle èlites al potere colluse con gli interessi stranieri, vittima del cinismo dei grandi della terra che stanno a guardare, anzi no: foraggiano con soldi ed armi il gruppo “amico” e fanno la guerra per procura. E come ieri in Afganistan i telebani, dopo la dissoluzione dello Stato, hanno riempito il vuoto politico cacciando i signori della guerra, oggi l’Isis ha riportato l’ordine nelle regioni del Medio Oriente, dove l’autorità dello Stato si era dissolta nell’anarchia della guerra permanente. Lo Stato islamico non prevede per le donne alcuna attività extradomestica, ma ha sviluppato programmi assistenziali e sanitari, coma la campagna antipolio, in un miscuglio di premoderno e moderno incomprensibile per l’Occidente. Dove nel settecento, grazie all’influenza benefica sul corpo sociale esercitata dai moralisti inglesi e dagli illuministi francesi, la religione ha cessato di essere una bandiera di combattimento; nonostante i privilegi di cui hanno continuato a godere le chiese cristiane, in Europa vengono scritti i primi Statuti attraverso i quali al cittadino viene riconosciuta la libertà religiosa, e dunque la libertà di pensiero e di espressione. Anche nel mondo musulmano, multiforme e diversificato come hanno dimostrato le cosiddette “primavere arabe”, sono presenti oggi forze che chiedono emancipazione dal potere religioso (ovvero dal patriarcato, dal sessismo, dalla omofobia, dal fondamentalismo) ma non v’è dubbio che questo processo sarà lungo, troppo lungo, soprattutto se consideriamo il potere esercitato dagli stati teocratici e dai loro petroldollari. E intanto in Europa si leva sempre più minacciosa la voce di chi chiama alla “guerra di civiltà”, individuando la soluzione di una crisi ormai globale attraverso misure inefficaci ma di forte impatto mediatico. Un quadro fosco perché se ci sforziamo di sfuggire alla scioccante emotività del presente e guardiamo agli avvenimenti in una prospettiva di lungo respiro, ne emerge che non saranno né la politica securitaria né l’attività dell’intelligence a liberarci dal fanatismo dei criminali che uccidono in nome di Allah, ma solo l’impegno delle forze che condizionano la politica internazionale a ripulire il verminaio che appesta il Medio Oriente. A partire dalla questione israelo-palestinese. b
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Cinzia Ciardi Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
MA QUANTO VALE UN CORPO? Bellezza ideale, ritocchi e identità
non è Hybris: è un investita all’accettazione delle mento per la salute. Ma la proprie parti oscure e, paura è un sentimento quando va bene, anQUESTA RIFLESSIONE umano e il desiderio che delle imperfeNASCE DAI MIEI PIEDI di bellezza mi aiuta zioni fisiche che FASCIATI PER nella presa di dediventano parte UN INTERVENTO cisione. Dopo l’indell’identità. L’acALL’ALLUCE VALGO tervento vedo i miei cettazione di questi piedi bellissimi, ma propiedi un po’ scomodi è vo un’emozione intensa. stato un po’ più impegnaSono parte di me ma non li tivo del resto. Un principio riconosco. Mi rendo conto che anche molto sentito nella nostra cultura è la mia identità è toccata da questo quello del valore: ma quanto vale un cambiamento, come se fosse un rito corpo? Quanto più vale tanto più va di passaggio. Li chiamo i miei “fior di preservato intatto. E cosa si intende loto”. E rifletto. Che differenza c’è per intatto? Uno dei valori più quotati con la pratica dei piedi fasciati? È sufè l’efficienza: un corpo è tutelato e ficiente avere lo scopo di migliorare valorizzato quanto più è tenuto in efuanto ci appartiene il nostro la funzionalità per giustificare questo ficienza. Ma un intervento comporta corpo? Quanto c’è di indiviintervento? Senza dubbio sì, perché dolore, paura, immobilità. Fino al moduale in tutto il tagliare, strinla pratica antica metteva a repentaglio mento in cui i benefici attesi in tergere, curare per rendere sano e bello la sopravvivenza delle bambine. Ma il mini di recupero di funzionalità supee quanto invece deriva dalla nostra concetto di funzionalità va guardato rano i costi. Allora interviene la paura cultura? Questa riflessione nasce dai con attenzione, perché anche i piedi relativa alla manipolazione del corpo: miei piedi fasciati per un duplice infasciati servivano ad uno scopo ben ferire, amputare, eliminare. Nel mio tervento di alluce valgo. Li paragono preciso: limitare la capacità di movicaso qualcosa di me che ho faticoai “fior di loto”, l’antica pratica di famento delle donne, ed in questo sensamente imparato ad amare. Fin da sciatura dei piedi delle bambine cineso erano efficaci. Lo stesso ideale di prima dell’intervento un pensiero si che le famiglie ritenevano requisito bellezza, anche se a noi occidentali inaspettato mi ha sorpreso: l’idea che di bellezza e di virtù. L’alluce valgo, fa raccapricciare la forma raggiunta avrò finalmente i piedi belli, invece, è una patologia condai piedi fasciati, rispondeva ad un nonostante abbia sempre genita che provoca una gusto diverso dal nostro, al consideconsiderato Hybris maprotuberanza dolorosa. CHI SI SOTTOPONE A rare valori e canoni estetici diversi. nipolare il corpo per Durante l’adolescenza DOLOROSI E A VOLTE Quelle donne avranno amato i loro farlo diventare qualpesava sulla mia auRISCHIOSI INTERVENTI piedi fasciati? Immagino di sì. Sarancosa di diverso da tostima assieme ai CHIRURGICI SUBORDINA no stati il loro risultato conseguito, ciò che è. L’operabrufoli e altri difetIL SUO BENESSERE ALLO STRAPOTERE l’aver adempiuto alle aspettative del zione in questo caso ti. La maturità porDELL’IMMAGINE
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PIERCING, TATUAGGI, MUTILAZIONI GENITALI, CIRCONCISIONE, CHIRURGIA ESTETICA, LIPOSUZIONE, LIFTING SACRIFICANO I CORPI SULL’ALTARE DELL’APPARTENENZA
gruppo. E tutto ciò avviene all’interno della famiglia, dove l’appartenenza domina sull’individuo, dove i costi individuali vanno a premiare l’identità familiare. Dove l’individuo scompare dentro il gruppo. Dove i piedi belli, qualunque sia la loro forma, servono a tutelare l’identità del gruppo, che è composto solo da individui conformi. Ovunque si interviene sul corpo, femminile ma anche maschile. Piercing, tatuaggi, mutilazioni genitali, circoncisione, chirurgia estetica, liposuzione, lifting, sono tutte azioni tese a modificare i corpi in direzione di un modello ideale che esprima un’appartenenza. Ogni epoca ha i suoi valori. Forse però non è il caso di accettare un eccessivo relativismo: quando i valori annientano il benessere dell’individuo è il momento di cambiarli. Intervenire è difficile, e soprattutto comprendere dove si può intervenire. Anche nel caso delle mutilazioni genitali il gruppo si fa portavoce di ideali estetici che vengono condivisi ed è difficile far accettare alle madri la forma naturale dei genitali, considerata brutta, per garantirsi una miglior salute. Il corpo dell’individuo deve acquistare valore nei confronti dell’identità collettiva per potersi permettere di subire solo manipolazioni che ne migliorino il benessere. La stessa chirurgia estetica sottostà ad una discrepanza di valore tra individuo e gruppo: chi si sottopone a dolorosi interventi, a volte rischiosi e raramente utili, subordina il suo benessere allo strapotere dell’immagine. Certe pratiche hanno un impatto pesante, quelle tradizionali tese a consolidare il ruolo subordinato dell’individuo nella comunità sono spesso invalidanti: i piedi fasciati miravano a ridurre la capacità di movimento e di autonomia
delle donne; le mutilazioni genitali vogliono attuare un controllo sulla fertilità femminile, anche attraverso la riduzione del piacere. Queste pratiche soddisfano una necessità primaria: garantire l’appartenenza. Il problema vive una forte recrudescenza nelle situazioni di immigrazione: di fronte ad una percezione di forte estraneità e a politiche ostili dei paesi ospitanti diventa pressante la ricerca di una identità forte. Solitamente le seconde generazioni, che sentono più acuto il disagio di essere estranei al luogo in cui vivono, ricercano la loro identità attraverso le tradizioni degli antenati. Per questo le pratiche di mutilazione del corpo costituiscono un problema non trascurabile anche nei contesti occidentali. Più l’identità dell’immigrato è minacciata, più forte sarà il richiamo delle pratiche tradizionali. Le politiche miranti a ridurre questi fenomeni devono tenere presente questo effetto: le norme che le vietano sono inefficaci quando rinforzano il sentimento di estraneità. Una politica di accoglienza che miri a riconoscere il valore degli individui attenua il richiamo delle tradizioni ataviche, facilitando la costruzione di una identità nuova, possibilmente radicata nel luogo di vita, che protegga i corpi da mutilazioni fatte per rafforzare vecchie identità. ❁
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Il filo verde di Barbara Bruni
EDUCAZIONE AMBIENTALE & SCUOLA
L’educazione ambientale diventerà una materia obbligatoria, dalla materna sino alla secondaria superiore. È una “mini rivoluzione” che porterà tra i banchi di scuola, già dal prossimo anno, temi come il riciclo dei rifiuti e la tutela del mare e del territorio. Si parlerà, dunque, di biodiversità e alimentazione sostenibile durante l’insegnamento di geografia, scienza e arte, in attesa di imporsi con un’ora strutturale.
FRANE E INONDAZIONI
Secondo l’ultimo rapporto del CNR, nel 2014 in Italia si sono registrati 33 i morti e 46 feriti a causa delle frane e delle inondazioni. Inoltre, circa 10mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro case. Le regioni più colpite sono state la Liguria, il Piemonte e la Lombardia, seguite da Emilia-Romagna e Toscana. I comuni con il maggior numero di vittime sono stati Genova e Refrontolo (TV). Ottobre e novembre sono stati i mesi peggiori.
TRAFFICO ILLEGALE DI SPECIE PROTETTE
ll traffico illegale di specie animali e vegetali protette, o in via di estinzione, vale oltre 23 miliardi di dollari e si posiziona al quarto posto dopo quelli di droga, armi ed esseri umani. Il Cites, del Corpo Forestale dello Stato, stima che venga consumata una violazione ambientale ogni 43 minuti. I reati contro animali e fauna selvatica rappresentano il 22% del totale e, solo nel 2014, si sono registrati in Italia 174 reati, comunque in calo rispetto ai 269 del 2013. Con circa 23mila interventi ciascuna, Lombardia e Toscana si attestano come le regioni più controllate nel Belpaese. In particolare, sono stati posti sotto sequestro 389 animali vivi, 963 animali morti o parti di animali - trofei di caccia e animali imbalsamati -, circa 500 kg di anguille vive e 10 kg di coralli.
L’EREDITÀ DI FUKUSHIMA
La pesante eredità di Fukushima sul regno animale e vegetale inizia a dare i primi segnali. Secondo una serie di studi pubblicati sul Journal of Heredity, l’esposizione alle radiazioni derivate dal disastro nipponico del 2011 ha già fatto registrare farfalle malate e malformate, rondini con piume aberranti, nonché piante e scimmie con difetti genetici. In particolare, da un esperimento rivolto alle farfalle sembra che siano nati esemplari malati da larve sane fatte schiudere su foglie raccolte nei siti contaminati. Anche da semi di riso sani piantati in queste zone si sono sviluppate piantine con seri danni genetici.
GANGE PULITO
Dopo tanti fallimenti e promesse mancate, l’India rilancia il progetto di risanamento del Gange, il fiume sacro per milioni di induisti ma con un tasso di inquinamento record a causa degli scarichi fognari e industriali, oltre che delle cremazioni che avvengono senza sosta sulle sue sponde. Il governo del premier Narendra Modi ha garantito di ripulire le acque del fiume entro il 2018, prima delle prossime elezioni.
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PARLANDO DI 8 MARZO A REBIBBIA
LE DETENUTE DEL CARCERE FEMMINILE ROMANO RACCONTANO LA LORO GIORNATA DELLA DONNA
È
come se nell’aria i pensieri che volano siano altri, questo lunedì di gennaio in cui parliamo della Giornata Internazionale della donna con le detenute del corso. Pian piano le riflessioni su questo appuntamento - festa o giornata che sia prendono forma e da ciascuna esce un’idea, un ricordo, un sentimento. Questa discussione sarebbe stata impensabile se non le avessimo già conosciute, se loro non ci avessero già conosciute. Se insieme non avessimo realizzato il progetto ‘A mano Libera’ e composto l’inserto pubblicato nel numero di febbraio di NOIDONNE. Ed eccoci qui, insieme, al di là di ogni formalità: ridendo, empatizzando, incazzandoci, piangendo. Potrebbe essere un titolo, un attacco…Tu chiamala, se, vuoi, disambiguazione. Otto marzo a Rebibbia, libertà delle donne e privazione della libertà. Carcere delle donne e carcere degli uomini. Per Laura è la commemorazione delle donne uccise a New York: “mi ricordo un 8 marzo di tanti anni fa, avevo 15 o 16 anni e feci sega con le mie compagne di scuola per vedere Piazza di Spagna… ricordo la fontana della Barcaccia piena di mimose…Due anni fa ho ricevuto la mimosa da Luca e l’ho talmente apprezzata che mi è passata perfino l’allergia”. Le fa eco Assunta “io portavo la mimosa a mia madre, e lei la portava a me: la coglievamo dall’albero dietro casa, che si riempiva di profumo. Oggi sono contenta quando me la porta il mio compagno”. Nei ricordi di Cinzia “fino a 10 anni fa l’8 marzo era festeggiato, a Milano, da certo pubblico della sinistra. Nelle fabbriche si spegnevano le macchine, si davano 30 o 60 minuti di pausa, si distribuivano mimose alle operaie. Lo facevo anche io, da imprenditrice. Quest’anno lo faranno le mie sorelle”. Per Franca “festeggiare, o meglio ricordare le donne per tutto il loro percorso come mogli, madri o come punto di forza nella Resistenza ed in ogni manifestazione è farlo ogni giorno. Le donne in ogni epoca e sino ad oggi sono il simbolo di sacrificio, abnegazione, volontà ferrea” e aggiunge “nonostante si pensi agli uomini quali esseri potenziali in qualunque campo, le donne sono impareggiabili in ogni luogo o istituzione”. Ed è una “festa convenzionale” per Sylvie, “con donne che vanno a cena fuori, a vedere gli spogliarelli degli uomini”… una festa che “non mi è mai piaciuta”. Nell’impressione di Barbara - che forse ha nostalgia di quel ‘Gale8marzo’,
oggi diventato solo business - c’è amarezza quando dice a voce alta “cosa altro aspettarsi da un mondo manovrato da burattinai cosiddetti uomini?” Non si può sottovalutare l’emozione di Lucia che s’intenerisce se un uomo dona a una donna anche solo un tralcio di mimosa. E ancora i ricordi di un passato per chi, come Barbara, non dimentica e nella voce comunica un po’ di nostalgia quando racconta di “quel vivaista che insegnava alle detenute floricoltura e che l’8 marzo coglieva le mimose dall’albero che c’è ancora nel giardino della Direzione, le confezionava e le regalava alle detenute”. Ma dall’8 marzo come appuntamento, il merito dei problemi prende corpo e il dialogo si estende, va oltre, entra nel vivo, arriva a saltare il muro e valutare differenze con gli uomini detenuti nell’altra parte del carcere. “Meglio che non lo fanno più, odio gli addobbi, sono felice che abbiano levato quelli di Natale, non facevano altro che aumentare la mia tristezza, c’era un albero così grosso che contribuiva a levarmi l’aria. È cattiva l’aria di Rebibbia - racconta Laura -, i corridoi sono pieni di dolore. Il carcere ti leva la dignità. Ho pianto l’altro giorno, quando dopo la visita dei miei genitori, di 75 anni, mi hanno spogliata nuda, mi hanno fatto fare le flessioni, mi hanno perquisita. Come se i miei potessero avermi portato la droga. Mia madre mi strazia il cuore quando mi abbraccia prima di andare via e mi dice. ‘Fai la brava, mangia’, e mentre esce si gira verso di me per mandarmi baci”. Segue Loredana “mi viene da ribellarmi ogni volta che, in fila per la terapia, vedo una signora di 75 anni affaticata: nessuna la fa passare e le infermiere non la trattano con il rispetto dovuto all’età e alla condizione di malata. O quando vedo arrivare ragazze che non parlano italiano e, dopo aver fatto il modulo di primo ingresso, aspettano per ore senza capire cosa fare”. Si inserisce Barbara: “ho pianto il 10 gennaio, che era il mio compleanno e dopo molti anni l’ho voluto festeggiare. È stato un bel pomeriggio, ma alla fine
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mi hanno accusato di aver rotto lo stereo che il carcere mi aveva dato, e le mie compagne che sapevano che non era così non mi hanno sostenuta”. Conferma Sylvie: “è vero, ne sono testimone” e aggiunge “ho perso il senso di me; certe volte non riesco neanche a parlare, sto depauperando il mio vocabolario a forza di sentirmi dire che parlo difficile. Così, la solidarietà è un lusso che non riesco a praticare, e mi trovo a pensare che è un bene che siano gli uomini a detenere il potere. La maggior parte delle donne ha preconcetti e pregiudizi che gli uomini non hanno”. Interviene e puntualizza Assunta: “no, è che gli uomini sanno fare un gioco di squadra, sanno chiedere tutti insieme, e così ottengono quello che vogliono. Il mio compagno, che ha fatto 5 anni di galera, mi dice sempre che il loro modo di essere compatti è molto forte”. “E infatti ottengono: hanno molti più diritti di noi - conferma Loredana -. Noi non possiamo chiamare gli avvocati praticamente mai, loro hanno una telefonata con il legale al mese. Loro, a differenza nostra, hanno più scelta e più facilità negli acquisti, ad esempio. Il carcere delle donne è carcere due volte. E poi, molte di noi qui hanno perso il loro uomo. Il tempo è lungo da passare, anche fuori, e noi donne siamo più forti ad aspettare e a rinunciare”. Ma Lucia non ci sta a vedere solo il negativo, e pur parlando piano sembra urlare quando aggiunge “tutto vero, ma io voglio sorridere, quando sono entrata qui ero nera in tutto il corpo per le botte che avevo preso fuori, e non posso dimenticare l’inferno che ho lasciato”. Quasi a confermare il bisogno di tutte di guardare oltre il muro del dolore… b arrivano le simpatiche poesie di Cinzia e Loredana.
FEMMINILE SINGOLARE MINSTERIALE di Cinzia Mangano Al femminile non dirige il direttore non comanda il comandante non ispeziona l’ispettore né assolve il giudice istruttore Al femminile non condanna il magistrato né dice messa il prelato A voi chiedo, con osservanza quali sono le regole dell’uguaglianza se le donne ai ministeri sono obbligate a portar le braghe e il ghigno degli artiglieri A codesto illustrissimo mi appello vogliate riconoscerci un modello in verità del nostro ventre è la forma del mondo La sottoscritta per concludere pone in calce una domanda al femminile detenuta sconta pena o è in attesa che si risolva il problema? Confido in un vostro autorevole intervento affinché possiate chiarirmi il malcontento In attesa di giudizio resto attenta ma che sia universale e non solo maschile singolare. La detenuta XX
DONNE di Loredana Può essere compagna di vita Con aggettivo possessivo diventa “la mia donna”! Al plurale suona familiare “le mie donne” Donna come Eva nell’offrirti una semplice mela Befana se non ti è grata Strega quando la mela è avvelenata Donna Rosa in una baudiana canzonetta Desiderio in una un po’ più vecchia Nobile, Pia, Santa come Madonna Regina di fiori, di spade, di cuori Quando te la giochi a carte Donna è colei che sta nell’ombra Ma è più grande di te Donna quella che ti offre il sorriso Che scalda il cuore Donna tuttofare, mamma, sorella, amica Donna sportiva, astronauta, scienziata Maestra - e non solo di vita Donna in cucina dipinge e le mani parlano di sé Donna d’affari e si dimostra molto più scaltra di te Donna cantante Che con voce graffiante Ti ricorda la vita distante Missionaria, carcerata Donna assassina quando si difende dal mostro Ma che resuscita e lo mette al suo posto Donna guardia che sorveglia l’assassina Ma che non dimentica il cuore in cantina Donna azzoppata dalla vita Ma che supera ogni salita ardita Donna fortunata e generosa Che non dimentica e offre senza posa Donna Fata Turchina Alle prese con la vita taccagna Donna copertina senza il cervello di una gallina Donna direttora Che conserva l’A finale Perché non vuole l’usuale matrice Che termina con Direttrice Donna lettrice, scrittrice, donna felice Donna truccata, ma mai mascherata Donna Cupido Sognata, agognata Donna passione, per sempre Donna distante, diamante Poliedrica, misteriosa Per te, donna, meravigliosa Ricevi Questa gialla mimosa!
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ZEN
AUTODETERMINAZIONE E ANTIMAFIA SOCIALE di Mirella Mascellino
A Palermo l’associazione Laboratorio Zen Insieme contribuisce a costruire comunità a partire dalle donne e dai bambini. Mariangela Di Gangi ci spiega come
Mariangela Di Gangi è una giovane donna di 29 anni
e da circa tre anni è la presidente dell’associazione Laboratorio Zen Insieme, che opera nel quartiere omonimo e difficile di Palermo, coordina un team di educatori, attiva e segue progetti trovando fondi, facendo rete con altre associazioni del territorio che lavorano in quartieri difficili della città, scambiandosi e condividendo pratiche e know-how. Come definiresti lo “Zen”? Lo definirei certamente in modo diverso da come fa la maggioranza delle persone a cui rivolgeresti questa domanda e come io stessa lo avrei definito prima di trascorrervi il tempo che vi ho trascorso. Lo Zen è un quartiere ed una Comunità. È anche una periferia, particolarmente isolata e molto trascurata dalle istituzioni. Ma è, innanzitutto, una Comunità di persone. Donne e uomini che ogni giorno si scontrano con mille difficoltà, prima tra tutte, quella del pregiudizio. Io ho incontrato gente che ce la mette tutta per andare avanti, per migliorare lo stato delle cose, e che ha imparato a non aspettare che altri lo facciano per loro.
Che cos’è il Laboratorio Zen Insieme? Laboratorio Zen Insieme è un’associazione di volontariato, la più antica tra quelle che si sono insediate nel quartiere. Nasce nel 1988 con l’intento di costruire percorsi innovativi nell’ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Negli anni, il modo di operare si è evoluto, ma la mission rimane la stessa di sempre, convinti come siamo che l’antimafia, chiamiamola antimafia sociale, oggi si faccia proprio intervenendo sulla povertà e sulla capacità di autodeterminazione delle persone. Vi occupate di donne, bambini, ragazzi o di tutto? Storicamente l’associazione ha rivolto le proprie attività principalmente ai bambini, agli adolescenti e alle donne, anche perché pensiamo che intervenire sulle madri sia utile a migliorare la condizione dei più piccoli. In questo momento, ad esempio, stiamo svolgendo un importante intervento contro l’abbandono scolastico degli adolescenti che, non ricadendo nell’obbligo scolastico, tendono a non comprendere il valore reale dell’istruzione, abbandonando
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IDEE di Catia Iori
LA MATERNITÀ, CHE CAPOLAVORO SAREBBE
L gli studi. Noi, insieme ad altri soggetti del terzo settore attivi nel quartiere, proviamo a mettere insieme tutti gli ambiti che costituiscono la cosiddetta comunità educante, attivandoci affinché si faciliti la permanenza degli adolescenti nel circuito scolastico. Contemporaneamente ci occupiamo di avviare un percorso di formazione per giovani donne del quartiere, attraverso cui esse potranno garantire un servizio per l’infanzia nei locali della nostra associazione. Proviamo a non trascurare neanche l’aspetto della riqualificazione degli spazi del quartiere, grazie al ruolo attivo degli abitanti stessi. Come vivono le donne nel quartiere? Come sempre, quando un luogo è carente di servizi e di opportunità, a farne le spese sono principalmente le donne, alle quali viene sottratta l’opportunità di pensarsi diversamente dal ruolo che il contesto ha immaginato per loro. Se l’occupazione è un problema generale, è certamente più difficile l’accesso delle donne al mercato del lavoro, soprattutto in un quartiere in cui è più semplice pensarsi come mogli e madri, soprattutto se servizi come gli asili sono solo miraggi. Quali sono le attività e i progetti che seguite? Attualmente siamo più impegnati nel ripristino della piccola produzione artigianale di borse, già realizzata in passato, coinvolgendo le donne del quartiere. Stiamo investendo molto su questo percorso, fondamentale per dare opportunità reali di emancipazione alle donne. Il nostro prodotto, oltre ad essere il risultato di un progetto “sociale”, deve essere innovativo, di qualità e “alla moda”.
e donne lo sanno. Cosa manca alla loro vita. A mancare all’ appello sono i diritti primari di ogni femmina. Quelli che la natura, anzi Madre Natura, ci ha donato rendendoci non solo essenze privilegiate ma esseri umani oblativi e generativi, capaci di cuore, di amore, di calore. Le relazioni che i maschi poco sicuri della loro vita ci invidiano fino a morirne di rabbia, di impotenza, di frustrazione. La maternità, che capolavoro! dopo nove mesi la tua creatura spunta quasi dal nulla. Ci hai pensato per tanto tempo, hai previsto ogni tua piccola mossa ma quel momento ti cambia per sempre la vita e ti rende la donna più appagata del mondo. Tutto passerebbe in secondo piano se solo....se solo quell›evento sempre più raro nelle nostre città fosse vissuto coralmente, si trasformasse in uno spettacolo di gioia e di speranza almeno per tutto il vicinato. E invece nulla. Appare un nastrino rosa o azzurro ai portoni delle case e dal momento del parto nessuno ne ha più notizia. Nessuno si da la briga, a meno che non si tratti ovviamente del compagno o dell›amica, di sapere come viva la mamma, come si organizzi per dare al piccolo cibo e coccole, se abbia denaro sufficiente per comprargli il necessario, se stia soffrendo perché tutto intorno a lei cambia e nessuno o quasi è in grado di aiutarla. Certo una nonna, una suocera, una vicina nei piccoli paesi si rimedia sempre, ma nelle nevrotiche città del produrre che ne è di quel cucciolo e di quel profumino delicato che inonda lettini e fasciatoi? E il lavoro per cui la mamma si era sacrificata gli anni più belli della sua giovinezza, che fine farà? Troppo costoso mantenere a casa quella puerpera, dicono i saggi amministratori dell’azienda e poi...scherziamo? su che tipo di attività potremo contare da qui al futuro? Metti che le si ammali, metti che il marito divorzi, metti che lei - santiddio - abbia sempre in mente il cucciolo...che ce ne facciamo di una risorsa del genere? Meglio sostituirla con una single o una divorziata meglio ancora se interessata con qualche dirigente interno... E che ne sarà del futuro della nostra mamma? se il nido costerà troppo dovrà starci lei ogni ora col suo baby..altro che servizi sociali a buon mercato e che...siamo in Danimarca??? addio allo sport che la faceva sentire in forma e tonica. Non parliamo poi delle amiche o delle sue letture. E ora come la mettiamo col futuro? ci decidiamo a fare le mamme? Ma sì, dai, chissenefrega di tutta quella sarabanda di colleghi senza arte né cuore..Mai saprà che cosa si sono persi nella loro vicenda esistenziale...e forse io ho sempre pensato che gliela facciano pagare alla signora mamma...ma scherziamo? mette al mondo il futuro e pretende pure di avere tutti i giochini di cui si circondano gli altri comuni mortali? il lavoro sicuro e rispettoso dei suoi ritmi, gli aiuti domestici e di accudimento gratuiti, la possibilità di dedicarsi alle sue vere passioni? ma che siamo matti...che soffra pure e paghi alto il prezzo di poter sperimentare, lei sola, la gioia di concepire una creatura così almeno non ci sentiamo - sembrano pensare i ragionieri della vita - così poveri e negletti...
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8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI | 1
RIVOLUZIONARIE PER DAVVERO di Marta Facchini
Ozlem Tanrikulu è la Presidente di UIKI-Onlus, l’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. L’Ufficio denuncia la repressione e la violazione dei diritti cui è sottoposto il popolo kurdo e promuove la pace e la solidarietà attraverso attività di sensibilizzazione e informazione. Con Ozlem parliamo del significato dell’otto marzo: l’UIKI, rilanciando l’appello della rappresentanza internazionale del movimento delle donne kurde, chiede di dedicare la Giornata delle Donne alle donne rivoluzionarie delle YPJ, le Unità femminili di Difesa del Popolo nel Rojava, che hanno combattuto, ma non solo, per la liberazione di Kobane. Le guerrigliere kurde sono state in primo piano nella lotta contro l’IS. Puoi parlarci del ruolo che le donne ricoprono nella cultura kurda e nella lotta armata? Le donne nel movimento curdo stanno prendendo parte alla lotta per l’autodeterminazione in tutti i settori della società. Le forze di difesa sono solo uno dei vari ambiti: il lavoro di controinformazione e di denuncia, il lavoro di cura e di sostegno insieme al lavoro per la pace mostrano la strada verso nuovi rapporti di genere basati sulla libertà e liberi dall’oppressione.
Combattono la loro guerra di Liberazione dall’IS e difendono anche la nostra libertà. Ozlem Tanrikulu propone di dedicare l’8 marzo alle donne del Rojava e alla resistenza del YPG
Ne è parte anche la scelta della co-presidenza, ossia la doppia rappresentanza di genere per ciascun incarico di responsabilità sia dal punto di vista militare sia per le cariche elettive. A livello pratico, nell’attività politica rivoluzionaria all’interno del movimento kurdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali. C’è ancora molto da fare ovviamente perché la mentalità feudale saldata alla modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune.
L’otto marzo è la Giornata Internazionale della donna. Che significato ha per te questa giornata? Al di là delle differenze geopolitiche, pensi che ci sia un filo conduttore che lega insieme la lotta di tutte le donne? Noi pensiamo che ciascuno debba risvegliarsi e lottare per sé, che non arriverà nessuno da fuori a “salvarci”. Dev’essere una presa di coscienza di tutte le donne del mondo, in ciascun contesto secondo le possibilità reali del momento e del luogo. L’otto marzo si ricorda la presa di coscienza seguita alla strage di operaie chiuse a chiave dentro la fabbrica per la quale lavoravano negli Stati Uniti. Se c’è un filo conduttore, eccolo: l’otto marzo è una giornata simbolica per tutte le donne, che deve ricordarci che questo cammino - dall’analisi alla presa di coscienza fino alla decisione concreta di cambiare le cose - è un percorso che va scelto, deciso, e portato avanti secondo le proprie possibilità, tenendo presente che non sarà un per4continua a pag. 20
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8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI | 2
ANCORA FORTE IL VENTO DEI FEMMINISMI di Marta Facchini
Per Libera Pisano le donne sono state la rivoluzione del Novecento. Riconoscimento e gratitudine a chi prima di noi ha combattuto il sistema
phical coordinates di cui curerà il numero, previsto per ottobre 2015, dal titolo Porno-logies. Bodies, performance and desire in the contemporary debate.
Che significato assegni alla Giornata Internazionale della Donna? Personalmente non ho mai sentito il bisogno di festeggiare il mio essere donna che ho sempre vissuto, in modo schizofrenico, come un destino e una scelta. Non esiste una categoria assoluta della donna in cui mi riconosco, ma ritengo ci sia piuttosto una pluralità delle singole esistenze che sfugge a qualsiasi generalizzazione. Tuttavia, ci sono state grandi battaglie di donne che hanno condotto a conquiste di civiltà decisive, senza le quali molte cose, oggi date per scontate, non sarebbero state possibili. Ritengo che l’unico significato che si possa assegnare all’otto marzo sia quello di una giornata di consapevolezza storica, riconoscimento e gratitudine per chi, prima di noi, ha ritagliato con fatica degli spazi di lotta sgretolando un complesso sistema di dominio.
La Giornata Internazionale della Donna è fissata dalla Confederazione internazionale delle donne comuniste nel 1921 per ricordare una manifestazione di donne che aveva avviato la prima fase della rivoluzione russa. Nella storia del Novecento, l’otto marzo ha rappresentato l’azione comune delle donne oltre le differenze politiche, economiche, nazionali. Se oggi sembrano rafforzati i particolarismi, credi che sia ancora possibile parlare di azioni comuni delle donne?
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lasse 1985, Libera Pisano consegue nell’aprile 2014 il titolo di Dottore di Ricerca in Filosofia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, con una tesi dal titolo Lo spirito manifesto. Percorsi linguistici nella filosofia hegeliana. Ora, Libera è Visiting Research Fellow alla Humboldt Universität zu Berlin con un progetto di ricerca su Mendelssohn e Hegel. Si è occupata della questione del linguaggio negli scritti di Hegel, del pensiero di Vico, di tradizione anarchica, di utopia e gender studies. È redattrice delle riviste filosofiche Lo Sguardo, Filosofia italiana e Azimuth. Philoso-
Credo che nel Novecento nessuna rivoluzione sia stata più grande di quella consumata sul corpo e sulla condizione delle donne. Questo grazie ai femminismi e a determinate contingenze storiche che hanno consegnato un’altra visione del mondo. In Italia, forse più di altri paesi europei, le lotte dei movimenti femministi sono state di grande forza e hanno condotto a importanti risultati politici. Oggi l’efficacia delle azioni comuni delle donne è molto diversa rispetto al passato. Ci sono nuove forme di aggregazione politica dal basso, anche grazie all’uso massiccio di internet che agevola la diffusione e la partecipazione a iniziative diverse. Negli ultimi anni abbiamo assistito a grandi imprese femminili a livello globale, anche molto provocatorie, per la rivendicazione di diritti e di libertà ma anche per la necessità di risemantizzare spazi finora preclusi alle donne. Basti pensare alle guerriere curde della resistenza di Kobane o alla protesta delle donne iraniane, ma anche alle Pussy Riot, alle più radicali Femen o al collettivo delle Ragazze del porno, per dirne alcune.Tuttavia se prima c’era un sostrato teorico che dava forma a qualsiasi azione collettiva, oggi si avverte uno strappo profondo tra la vasta e sempre più variegata gamma degli studi di genere e l’attivismo dei movimenti. Questa crepa 4continua a pag. 20
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LA VIA DELL’INCONTRO E DELL’ASCOLTO A cura di Costanza Fanelli
Italiana di religione islamica e presidente di Life, Marisa Iannucci parla del femminismo islamico, delle differenze tra le donne, dell’ascolto che manca e dei pregiudizi verso chi indossa il velo
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arisa Iannucci è studiosa del mondo islamico, specializzata in lingua e cultura araba con una attenzione particolare al pensiero riformista dell’Islam, agli studi di genere e alla tutela dei diritti. Attivista dei diritti umani, è presidente dell’Associazione Life, una onlus indipendente che si occupa di tematiche di genere, dialogo interreligioso e interculturale e culture del mondo musulmano. Di religione islamica, vive a Ravenna e ha pubblicato numerosi saggi e materiali sulla questione del genere nella dimensione religiosa. L’abbiamo incontrata alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, in occasione di una affollata presentazione dell’ultimo libro che ha curato insieme ad altre “Femminismi musulmani. Un incontro sul Gender Jiad”.
Da studiosa del mondo Islamico e come donna impegnata direttamente per valorizzare l’apporto originale di un femminismo musulmano, secondo te cosa dovrebbe essere, oggi, l’8 marzo e cosa non è? La Giornata internazionale della donna è una data importante perché ricorda il protagonismo sociale e politico delle donne nella storia, cosa che forse le giovani generazioni addirittura ignorano. In questo senso e non come “festa della donna” accezione riduttiva e fuorviante - è un’occasione di incontro, condivisione e confronto importante tra le donne, soprattutto tra le protagoniste delle lotte degli anni ’70 e le più giovani. È significativo poi che attualmente venga celebrata in tutto il
mondo, soprattutto in paesi dove la vita delle donne è più difficile, e dove le attiviste femministe sono poche.
Che distanze e vicinanze caratterizzano oggi “le comunità” di donne nel mondo nelle loro diverse forme di lotte di libertà individuale e collettiva? È importante che le donne si incontrino e si ascoltino. Donne di diverse età, di diversa provenienza geografica, culturale e religiosa. Ciascuna ha una propria storia e la porta con sé insieme ad un pezzo di mondo. Insieme si può tessere un tappeto in cui ogni individuo è un nodo, e insieme si è più resistenti. Le distanze sono evidenti, ma io sono convinta che nella società multiculturale che viviamo le donne impareranno ad incontrarsi ed ascoltarsi, se pure con fatica. In fondo anche negli altri paesi è così. Ci sono diverse comunità di donne che hanno in comune elementi che a noi in Occidente sembrano omogeneizzanti, ma che non lo sono affatto. Vorrei portare l’esempio significativo del Marocco, dove nel 2004 è stato riformato il Codice di famiglia. Le numerose associazioni femminili e femministe del Paese avevano ed hanno orientamenti molto
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diversi: ve ne sono di laiche e di religiose, sia riformiste che conservatrici. Hanno portato avanti istanze in parte comuni in parte diverse, ma tutte sono riuscite ad incidere nel processo di riforma, che è apparso come un primo passo, con un lungo cammino ancora da fare. In Italia le donne musulmane femministe e che si occupano di studi di genere sono poche. In questi anni - dal 2000 circa - non ho visto interesse da parte degli ambienti femministi italiani per il nostro lavoro. In qualche caso vi è stata aperta ostilità. Ora qualcosa sta cambiando per una maggiore consapevolezza delle donne attiviste musulmane - il femminismo islamico per quanto giovane, come movimento si sta rafforzando - per le numerose sollecitazioni della società in cui viviamo e degli avvenimenti mondiali che condividiamo ormai in tempo reale. Ma le distanze sono ancora molte. A Ravenna, la città dove vivo, la mia associazione (Life) non è stata coinvolta nella Casa delle donne recentemente aperta. Abbiamo diversi fronti di impegno; il patriarcato delle comunità musulmane, l’islamofobia in crescita, che colpisce soprattutto le donne (velate) e anche la solitudine, perché spesso non sentiamo la solidarietà delle donne che tanto si impegnano nella lotta femminista. Ci vuole più ascolto reciproco, e più conoscenza. Conoscenza che significa poter creare delle relazioni personali prima di tutto, tra persone reali. Condividere le storie, le pratiche di ognuna per fare emergere le vicinanze, che ci sono, perché soffriamo degli stessi mali. Il patriarcato opprime tutte le donne, e anche se le forme di lotta sono diverse, e a volte anche il fondamento - è il caso dei femminismi musulmani -, abbiamo obiettivi comuni. Cambiare una cultura patriarcale e sessista che anche in Italia è manifesta: la violenza sulle donne è un problema che riguarda tutte, un problema culturale e quindi strutturale; la politica, che è espressione di un potere totalmente maschile; il lavoro, dove non c’è ancora parità, nonostante le importanti conquiste fatte in passato grazie al femminismo.
Da donna italiana di fede islamica vivi problemi particolari nel quotidiano nel tuo paese? Ogni scelta che si fa nella vita ha delle conseguenze e vanno messe in conto. Essere musulmani in Italia significa fare parte di una minoranza (piuttosto rilevante ormai) e per questo si è più soggetti a discriminazioni, anche multiple, essendo una donna, e anche velata. La mancanza di un riconoscimento da parte dello Stato italiano (non c’è un’intesa che regoli il rapporto con le comunità islamiche) rende la quotidianità più difficile, ma è il pregiudizio e la paura del diverso a generare le maggiori difficoltà. Il velo è ancora un problema per l’accesso al lavoro, competenze e titoli non riescono facilmente a penetrare questa preclusione. La situazione internazionale e la disinformazione su tutto ciò che riguarda il mondo musulmano non aiuta. L’islamofobia nel nostro paese è ormai istituzionale. Inoltre come italiana sicuramente suscito qualche diffidenza in
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più, perché è difficile comprendere una scelta che ha a che fare con valori che non sono conosciuti. Sono soprattutto le donne ad avere più difficoltà a relazionarsi con me, perché associano l’Islam all’oppressione delle donne e quindi ritengono questa scelta non solo autolesionista ma addirittura un’offesa, venendo da un’italiana, alle lotte che le femministe hanno portato avanti e che hanno permesso i cambiamenti che ci sono stati nel nostro Paese. Ovviamente non è così, ma c’è bisogno di conoscenza reciproca per capirlo e di un grande rispetto per le scelte di libertà degli altri. Ognuno ha percorsi diversi, di vita e di liberazione.
SGUARDI DA SVELARE “I veli non sono solo quelli che coprono fisicamente, ma anche quelli che ci velano lo sguardo, i più difficili da sollevare perché non si vedono”. Le curatrici del libro “Femminismi musulmani. Un incontro sul Gender Jihad” (Fernandel Edizioni) Ada Assirelli, Marisa Iannucci, Marina Mannucci e Maria Paola Patuelli ci riportano al dibattito sulla condizione delle donne musulmane, per raccontare il senso del lavoro che hanno fatto per creare luci nuove alla comprensione di quanto si è mosso e si sta muovendo nel mondo musulmano sul piano di una visione e costruzione politica e culturale femminista. Il libro nasce da un percorso di incontri tra donne, femministe italiane e di altri paesi, musulmane, di religione cattolica e non credenti e anche di un uomo musulmano femminista, praticando un metodo di relazioni in presenza, che non ha nascosto le diversità, i conflitti, la realtà a volte di grovigli non subito dipanabili. Toccando nodi che fanno tanto discutere (rapporto tra religione e norme, tra Islam e Stato, tra uguaglianza di genere e Sharia) il volume ci aiuta a entrare nel complesso percorso di disvelamento e liberazione da interpretazioni delle stesse Scritture Coraniche, convinzioni e pratiche storiche che hanno costruito e consolidato regole, comportamenti di subalternità e oppressione delle donne. Un lavoro paziente, individuale e di gruppo, che però è in crescita e da anche i suoi frutti, se pensiamo al percorso fatto in Marocco per varare il nuovo Codice di famiglia o anche in Tunisia per quanto riguarda la nuova Costituzione. Versione integrale: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06129
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IL MOSAICO AFRICANO di Marta Mariani
IL fEMMInISMO OCCIDEnTALE SI È unIfORMATO ALLA vISIOnE ECOnOMICISTA, È DIvEnTATO AuTOREfEREnzIALE E hA PERSO DI vISTA I DIRITTI gLObALI. SPIEgAnO PERChÉ marina GOri E RADhIA khalFallah DI casa aFrica
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asa Africa si affaccia su un continente davvero complesso, guarda e tutela gli interessi di molte etnie, ha un’ottica necessariamente multiculturale e interreligiosa, associazionista prima ancora che femminista. A Marina Gori e Radhia Khalfallah abbiamo chiesto di spiegarci come vedono, dal loro punto di vista, l’8 marzo. “In molti paesi africani e in alcuni paesi arabi viene dedicata alla donna, in date diverse, una giornata che celebra episodi significativi delle battaglie femminili ed è l’occasione per fare un bilancio dei progressi fatti, mobilitarsi per rivendicare nuovi diritti e denunciare le discriminazioni ancora subite. In Sud Africa il 9 agosto si commemora la mobilitazione con cui nel 1956, in pieno apartheid rischiando la vita, 20mila donne si radunarono davanti la sede del governo per protestare contro
Gabon il 17 aprile, in Niger il 13 maggio. Mentre si celebra l’8 marzo in Senegal (dove è festa nazionale), in Congo, in Burkina Faso (dove, dal 1984, è stata proclamata festa nazionale per decisione del compianto presidente Thomas Sankara), in Algeria e in Camerun, dove la giornata viene vissuta come una grande mobilitazione delle donne in tutto il paese, dalle campagne alla capitale. Una curiosità: in Iran il 19 aprile dello scorso anno la moglie del presidente Rouhani volle celebrare una giornata della donna organizzando una cena tutta al femminile nel giorno dell’anniversario della nascita di Fatima, figlia del Profeta Maometto. L’iniziativa fu fortemente criticata come immorale dal deputato ultraconservatore Ruhollah Hosseinian che venne perciò sbeffeggiato sui social network da numerosi internauti. Nel 1974 durante la Conferenza di Dakar dell’Organizzazione delle Donne Africane, organizzazione fondata in Tanzania nel 1962, venne designato il 31 luglio come “giornata della donna africana” (African Day Women). Quanto detto prova come sia sentita dalle donne di tutto il mondo l’esigenza di disporre di una giornata in cui incontrarsi, confrontarsi per fare il punto dei progressi fatti e delle rivendicazioni ancora da portare avanti. Una giornata in cui scendere in piazza per far sentire la propria voce coinvolgendo così anche il mondo maschile. Il fatto che ciò avvenga in date diverse può essere il segnale di perduranti contrapposizioni che stentano a ritrovare quei punti unificanti e universali di cui abbiamo parlato sopra e che dovrebbero orientare tutte le battaglie femminili. Contrapposizioni che a volte traggono origine da una subordinazione ideologica delle donne alla cultura maschile. La giornata della donna dovrebbe essere veramente internazionale, unificante e, si aggiunga, scevra da condizionamenti commerciali.
Secondo voi l’ottica femminista occidentale sta dimenticando di combattere delle battaglie più urgenti e più “globali”?
l’imposizione dei ‘pass’. La giornata della donna viene celebrata in Tunisia il 13 agosto. In tale giorno, nel 2012, migliaia di donne si riversarono nelle strade di Tunisi per chiedere l’immediato ritiro della norma inserita nel progetto di riforma della costituzione che voleva cancellare il principio di parità tra i sessi riducendo la donna a semplice complemento dell’uomo nell’ambito della famiglia e della società. In Marocco la giornata della donna si celebra il 10 ottobre, in
Ci sembra che il femminismo occidentale si sia uniformato alla visione economicista e utilitarista del sistema neoliberista che si è andato affermando in Europa e negli Stati Uniti e ai modelli culturali su cui questo sistema poggia. È così diventato autoreferenziale e si è chiuso in se stesso perché ha perso di vista quei progetti politici a vasto raggio per una strategia globale dei diritti umani fondati sull’eguaglianza e sulla tutela dei diritti dei più vulnerabili di cui abbiamo parlato sopra. Il fatto di riappropriarsi di questi valori significa per le donne valorizzare la propria diversità e far valere la propria capacità (empowerment) di contribuire ad una diversa organizzazione dei rapporti sociali. Versione integrale in www.noidonne.org
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L’OBIETTIVO È SEMPRE L’EMANCIPAZIONE di Marta Mariani
Occorre aprire un confronto tra le diversità e capire che siamo unite contro il patriarcato. Parola di Maria Geneth de Il Filo di Arianna
da molti anni assunto una pratica di riflessione fondata sulla complessità e sulla necessità di posizionarci. Non si può parlare di “femminismo”, ma di “femminismi”. Certamente, questi femminismi si esprimono in diversissime situazioni geografiche, politiche, sociali.
Quale spirito andrebbe rilanciato in occasione di questa data? Il senso e lo spirito vanno ricercati secondo noi nella volontà di costruire in ciascun luogo le migliori condizioni per le donne e nell’apertura di un confronto tra le molte diversità. Crediamo, infatti, che tutte le battaglie che le donne conducono nei diversi luoghi del mondo si possano sempre riferire ai paradigmi fondamentali di emancipazione, messa in discussione del patriarcato, affermazione della differenza di genere.
Secondo lei, l’ottica femminista occidentale sta dimenticando di combattere delle battaglie più urgenti, più “globali”, più “multiculturali”? A noi non pare. Anzi, a noi sembra che il femminismo italiano sia sempre attento alle difficili condizioni che vivono le donne in altri luoghi. Il Filo di Arianna, ad esempio, già dagli anni Novanta ha invitato autorevoli donne provenienti da Paesi islamici a portarci esperienze ed immagini del loro mondo. È proprio a partire da quelle esperienze che si è voluto avviare il dialogo e il confronto.
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na delle voci che abbiamo raccolto per cercare di capire se l’8 marzo sia ancora un appuntamento capace di accomunare tutte le donne (così tante e così diverse in questo mondo plurale) è quella della Dott.ssa Maria Geneth, ginecologa, attivista, femminista e Presidente de Il Filo di Arianna. L’associazione veronese, nata nel 1984, ha come scopo quello di “creare uno spazio perché le donne possano svolgere studi e ricerche che affrontino il problema del loro rapporto con la cultura e con la società, mettendo a confronto le loro acquisizioni ed esperienze per proporre nuove vie e modalità di studio”. Per questo Il Filo di Arianna collabora con le più importanti istituzioni culturali, quali l’Università e la Società Letteraria di Verona.
Secondo il suo parere l‘8 marzo può ancora dirsi un simbolico denominatore comune per tutte le donne? L’8 marzo, secondo noi, in Italia, rischia di diventare una commemorazione piuttosto vuota di senso. Si corre spesso il pericolo di una banalizzazione, tanto che finisce per essere, talvolta, solo ‘il giorno delle mimose’. La nostra associazione ha
“Fin da piccola mi sono data da fare perché la mia vita si dipanasse fuori dalle mura di casa. Da giovane ero certa che il mondo sarebbe cambiato secondo il mio progetto e grazie all’azione mia e di chi la pensava come me. Così non è stato, ma riesco ancora a trovare buoni motivi per pensare, discutere, progettare, concretizzare, indignarmi, ridere. Molte di queste cose le faccio anche in quanto presidente del Filo di Arianna di Verona”. Maria Geneth
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4continua da pag. 15 (ANCORA FORTE IL VENTO DEI FEMMINISMI)
tra teoria e prassi dovrebbe essere ricucita per vedere in che termini le azioni collettive delle donne costituiscano al contempo una nuova prassi politica.
4continua da pag. 14 (RIVOLUZIONARIE PER DAVVERO)
corso lineare e uguale per tutte, ma che a livello mondiale va perseguito. A mio parere, il senso dell’otto marzo è dare a tutte le donne il coraggio di dire che questo percorso è possibile. Noi come donne curde chiamiamo tutte le organizzazioni delle donne a dedicare la Giornata Internazionale delle Donne alla rivoluzione delle donne nel Rojava e alla resistenza delle Unità di Difesa delle Donne YPG.
Avete incontrato le riflessioni femministe? Siamo passate attraverso la fase dello studio delle esperienze rivoluzionarie degli altri popoli, e anche quelli delle donne, per poter elaborare un sistema originale che si adattasse al nostro contesto. Sono state fondate accademie femminili dove le donne hanno la possibilità di formarsi, di discutere, di conoscere i diversi sistemi e movimenti. Ci sono anche occasioni di scambio diretto; ci siamo incontrate con donne dall’Europa e da altri luoghi così abbiamo potuto confrontarci dialetticamente e direttamente, mettendo alla prova i concetti teorici. Un punto su cui abbiamo fatto un percorso parallelo a quello femminista è la messa in crisi del concetto di potere/dominio maschile, che è poi quello sottostante allo stato-nazione storicamente inteso: se si resta ferme al concetto che un cambiamento avviene solo attraverso la presa del potere, possiamo al limite ottenere un cambio di regime e avere qualche possibilità in più ma non avremo cambiato la società, non avremo fatto una vera rivoluzione. Ci può essere un primo momento in cui le donne si organizzano autonomamente e mostrano che sono capaci di prendere in mano le loro vite senza aspettare il permesso da un uomo, che sia il loro padre, marito, o il loro comandante. Non si tratta di una libertà esteriore nella quale la donna imita l’uomo o guadagna il privilegio di farsi sfruttare al pari dell’uomo dalla modernità capitalistica. Questa è una falsa idea di libertà. Successivamente, quando le donne avranno imparato ad avere fiducia in se stesse, potranno portare il loro esempio di vita concreto come modello per le relazioni fra generi a qualsiasi livello della società: non è strano sentire, ad esempio, combattenti peshmerga che in Sud Kurdistan, nelle unità congiunte di difesa costituite per evitare nuovi massacri contro gli ezidi a Şengal, affermino che preferiscono farsi comandare da donne combattenti delle YPG o delle HPG perché più affidabili dei loro comandanti maschi.
Di fronte alle nuove razionalità della vita economica, e al governo dei corpi che questa implica, ritieni che i pensieri delle donne possano rappresentare un momento di critica? Nel panorama filosofico internazionale ritengo che le novità più interessanti vengano proprio dagli studi di genere. E non è un caso. Uno dei grandi temi della contemporaneità è la biopolitica, la disciplina che studia l’insieme delle pratiche con cui il potere agisce sui corpi. La declinazione inevitabile di tale argomento da parte degli studi di genere ha dischiuso orizzonti teorici originali. Penso ai contributi della Butler, della Braidotti, di Donna Haraway, di Nancy Fraserma anche al frastagliato arcipelago queer e transgender. Bisognerebbe, inoltre, cercare di essere più consapevoli della preziosa riflessione filosofica del femminismo italiano di Lonzi, Muraro e Cavarero. In Italia gli studi di genere, tranne pochissime eccezioni, restano fuori dell’accademia, mentre non è così nel resto del mondo dove si moltiplicano gli istituti di Queer/Women’s/GenderStudies.
Nei loro rapporti con il presente, ritieni che i femminismi siano ancora forma e pratica di cambiamento? Assolutamente sì. Pur nelle sue declinazioni diverse, il femminismo è ancora oggi un pensiero critico che lancia alcune sfide significative, sia pratiche che teoretiche, per la comprensione del presente. Questo per almeno due ragioni: è sia una modalità con cui guardare la storia in controluce facendosi carico delle ragioni e delle storie altrui, sia coraggio e pratica di cambiamento che dischiude scenari etici possibili a partire da sé. Secondo me, si tratta di una preziosa e irrinunciabile forma di resistenza di cui siamo tenute a rendere conto.
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MENO GIORNALI MENO LIBERI LA CAMPAGNA NAZIONALE PER LA RIFORMA DEL SETTORE E PER IL PLURALISMO DELL’INFORMAZIONE Nel 2014 hanno chiuso 30 testate storiche e perso il lavoro circa 800 giornalisti e 1.000 tra grafici e poligrafici. Ora sono in pericolo 200 testate, 3.000 posti di lavoro tra giornalisti, grafici e poligrafici. 300 milioni di copie in meno se Governo e Parlamento non ripristineranno i contributi per l’editoria 2013. (tagliati retroattivamente a bilanci già chiusi). Sono questi i numeri del disastro che si abbatterà sull’editoria non profit italiana cancellando tante voci libere e minando il pluralismo: 500mila pagine di informazione verranno a mancare, con danni gravissimi per l’indotto (tipografie, trasporti, distributori, edicole) e per le economie locali.
NOIDONNE è in lotta insieme a questi giornali! Le associazioni e sindacati del settore
(Alleanza delle Cooperative Italiane Comunicazione, Mediacoop, Federazione Italiana Liberi Editori, Federazione Italiana Settimanali Cattolici, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Articolo 21, Sindacato Lavoratori Comunicazione CGIL, Associazione Nazionale Stampa Online, Unione Stampa Periodica Italiana) hanno lanciato la campagna “MENO GIORNALI MENO LIBERI” per salvaguardare il pluralismo dell’informazione e per una riforma urgente dell’editoria. L’appello è a firmare una petizione, pubblicata sul sito www.menogiornalimenoliberi.it e su tutti i social network con l’hashtag #menogiornalimenoliberi per chiedere di mettere mano ai tagli immotivati del contributo diretto all’editoria e di avviare subito un Tavolo di confronto sull’indispensabile riforma dell’intero sistema dell’informazione (giornali, radio, tv, internet). A conti fatti i costi per lo Stato saranno largamente superiori al valore del Fondo per il contributo diretto all’Editoria, individuabile, per il 2015, in circa 90 milioni di euro. Il paradosso è che le realtà editoriali senza scopo di lucro pagheranno due volte gli abusi che si sono verificati in passato e che giustamente sono stati denunciati a più riprese: prima perché c’erano soggetti che ricevevano
indebitamente i contributi, ora perché la battaglia per l’abolizione dei finanziamenti pubblici portata avanti da alcune forze politiche rischia di farle scomparire per sempre. La Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione, mentre lo Stato italiano è agli ultimi posti in Europa per l’investimento pro capite a sostegno del pluralismo dell’informazione. Anche il Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento ha ricordato come garantire la Costituzione significhi “garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia”. Senza questi giornali l’informazione italiana sarebbe in mano a pochi grandi gruppi editoriali e in molte regioni e comuni rimarrebbe un unico soggetto, monopolista di fatto, dell’informazione locale e regionale. Senza questi giornali, impegnati da sempre a narrare e confrontare con voce indipendente testimonianze e inchieste connesse a specifiche aree di aggregazione sociale e culturale e ad affrontare con coraggio tematiche di particolare rilevanza a livello nazionale, l’informazione italiana perderebbe una parte indispensabile delle proprie esperienze”.
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OTTO MARZO IN CAMPAGNA Abbiamo chiesto alle responsabili regionali di Donne in Campo (CIA) di scrivere un ricordo e qualche riflessione sul presente intorno all’8 marzo, raccontato da chi vive in campagna. Ecco una sintesi delle loro risposte “Oggi, come ai tempi di mia nonna, io e
mia sorella, che siamo la quarta generazione di vivaisti della mia famiglia, insieme a nostra madre lavoriamo in azienda tutti i giorni con la consapevolezza che essere donna vuol dire avere pari diritti, pari doveri, ma essere diverse. Nell’ambito agricolo la forza fisica per alcune cose fa la differenza, e questa è una qualità piuttosto maschile, ma noi affrontiamo tutto con un altro genere di forza, che è determinazione, precisione, caparbietà.. Certo mi rendo conto che le cose non sono proprio come un tempo e se dovessi fare un confronto con il passato posso dire che mia nonna è stata un pilastro per la costituzione dell’azienda, ma ha sempre lavorato alle spalle di mio nonno. Oggi, invece, io sono una imprenditrice agricola in prima linea!”
Maria Grazia Milone, Calabria “Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da siciliana e da donna, mi ha riempito di gioia e di speranza. Più volte ci ha citato nel suo discorso di insediamento: donne parlamentari, donnechenondevonoavere paura di violenze e discriminazioni, donne che donano con generosità il proprio tempo agli altri, chenon siarrendonoalla sopraffazione,chelottano contro le ingiustizie e che cercano una via di riscatto”.
Gea Turco, Sicilia
marzo quest›anno lo dedico alle nostre nonne e mamme che ci hanno trasmesso valori e saperi che non avremmo potuto trovare in nessun libro di scuola, con la promessa e la speranza di trasmetterli ai nostri figli”.
Domenica Trovarelli, Abruzzo “È sempre stato un giorno come tutti gli altri, si lavorava con lo stesso ritmo, dedizione e serenità che ha sempre contraddistinto le donne della nostra azienda, che non hanno mai dovuto dimostrare nulla. Rispetto le battaglie per la parità ed il riconoscimento dei diritti delle donne, ma il punto cruciale della nostra riflessione credo debba essere questo: siamo sicure di essere arrivate veramente dove si voleva? Oggi, è vero, sediamo ai tavoli istituzionali ma quello che succede in azienda - dove vieni ascoltata, capita e supportata - non succede su quei tavoli dove ti rispettano e ti stimano, ma quando poi c›è da fare il salto per supportarti in una decisione importante gli uomini scompaiono… puoi solo contare sulle donne ... e non è poco!”
Pina Terenzi, Lazio “Se potessi chiedere a mia nonna (che non c’è più) direbbe che non ha mai avuto tempo per queste cose… Ma forse quel tempo lo ha avuto: quando rimaneva in casa a cucinare le nevole con le altre donne, quando portavano da mangiare agli uomini in campagna camminando per chilometri con le ceste in testa, quando accudivano i bambini che si ammalavano, quando pensavano loro al bestiame .. forse era in quei momenti che manifestavano il loro ‘essere’ Donna, con la determinazione, la volontà e anche tanti sacrifici. E allora il mio 8
“La mia attività agricola più che trentennale è nata saltando una generazione, sono nata in città e lì ho vissuto fino alla fine dell’Università. I miei ricordi sono quelli studenteschi, le manifestazioni , il femminismo, che tanto ha fatto per dare coscienza alle donne delle loro possibilità e dei loro diritti. Leggendo i racconti delle mie colleghe apprendo storie di donne determinate e costruttive e questo mi riempie di gioia perché vedo, soprattutto nelle giovani, la capacità di contribuire a far cre-
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scere l’agricoltura in cui noi crediamo: ecocompatibile, attenta all’ambiente, alla salute, all’etica del produrre e dell’allevare. Spero che le nostre idee vengano recepite dal mondo agricolo maschile, che si fermi il consumo di territorio e si possa lavorare insieme per far respirare le nostre città”.
gioiello.....come migliorarlo.....ecco basta renderlo come un quadro di svariati colori, che devo posizionare con le mie mani nella dolce terra da me curata, colori di semi che quando nascono e li ammiro mi devono lasciar soddisfatta degli sforzi compiuti e dirmi sono una donna meritata.....sono una mimosa”.
Renata Lovati, Lombardia
Michelina di Bartolomeo, Molise
“L’Otto marzo si sentiva nell’aria. Tutte nei campi la nonna, la mamma, io, le zie e le cugine, tutte donne! Quei profumi di fine inverno li ricordo ancora mentre tutte insieme si lavorava per riordinare i campi, preparandoli al risveglio primaverile. Non fatica ma serenità ci accompagnava nel nostro lavoro, quel lavoro che, fatto con tanto amore, ci ha portato a coltivare fino ad oggi la nostra passione: l’agricoltura!“
a cura di Tiziana Bartolini
Barbara Fidanza, Liguria “Quando ero piccola le volontarie passavano casa per casa in bicicletta a consegnare Noi Donne insieme alla mimosa: era un rito, ed era una festa leggere sul giornale di temi che erano ancora tabù. Oggi sembra che i diritti per le donne siano tutti conquistati, invece siamo un Paese arretrato culturalmente. Vorrei che le donne fossero supportate con i servizi sociali e che non dovessero, loro, adeguarsi agli schemi esistenti per poter competere alla pari con un uomo. Vorrei una società organizzata in base alle loro diversità”.
Sofia Trentini, Emilia Romagna “Sino a qualche anno fa non mi occupavo di agricoltura e l’8 marzo con altre donne cercavo di dare valore alla libertà e al coraggio. Oggi, dopo scelte di vita che mi hanno fatto cambiare lavoro, luoghi, ritmi di vita, per questo giorno preparo un evento che parla di arte, di talento e di natura che porterà noi imprenditrici agricole nel Museo Tattile Omero di Ancona, a testimonianza che la relazione tra il produttore e il suo prodotto è un elemento essenziale e il comportamento del coltivatore nei confronti dei prodotti agricoli ha un impatto diretto sulla loro qualità. Noi donne che nell’agricoltura abbiamo riposto energie imprenditoriali e valori, riteniamo che l’agricoltura sia come un’arte creata attraverso il cuore e la mano femminile. Con questa esperienza cerchiamo di trasferire alla città l’amore per un territorio bellissimo con un paniere di produzioni uniche e di qualità”.
Donatella Manetti, Marche “8 marzo, irrepetibilmente ritorni, mi lasci a pensare i vecchi ricordi conservati nella mente con un dolce sorriso, poi però cerco di ricordare cosa cambiare e rendere il mio campo un
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CIBO NARRANTE “Otto marzo, otto amiche sedute a tavola, il calore del camino, il profumo del buon cibo, un fiore accanto ad ogni piatto, complicità e tanta voglia di vivere e sognare. Molti anni sono passati da quella sera, ma il ricordo è inciso nel mio cuore e mi emoziona ancora. Una nevicata tardiva aveva imbiancato le colline rendendo difficoltoso ogni spostamento, così la decisione di condividere e festeggiare in modo speciale la nostra giornata a casa mia. Ognuna di noi avrebbe comunicato il proprio messaggio attraverso gli ingredienti di una ricetta preparata per l’occasione: storie, sogni, bisogni e desideri mescolati a profumi, colori e sapori di un cibo narrante…. Ed ecco comparire sulla tavola l’elegante dignità dei crostini neri, quelli della domenica, la semplicità delle fette col cavolo nero, la cooperazione consapevole della ribollita, l’integrazione sofferta degli gnudi di borragine e ricotta con la fierezza della salsa al pomodoro, la fantasia creativa dell’insalata di campo orchestrata dall’aroma dell’olio di oliva, la sfida delle erbette spontanee saltate in padella, la paziente affermazione del saporito peposo nel tegame di coccio e per finire la travolgente passione del salame al cioccolato, avvolto da una tiepida crema alla vaniglia. Profumi intensi ed aromatici che evocavano, attraverso le diverse consistenze, le complessità e le sfaccettature dell’universo femminile e del suo diritto a essere. Le otto amiche hanno poi scelto strade e ruoli diversi per realizzarsi e realizzare i loro sogni nella collettività, ogni strada ha rappresentato una sfida ed un’avventura che continua nel tempo… è cibo per l’anima come quello della serata speciale. Una di loro fisicamente non c’è più, ma le parole di Lorena continuano a parlare attraverso noi e la figlia. Oggi, in una società che ci vuole sempre più relegate all’apparire, è assai forte la necessità di rappresentare la giornata dell’8 marzo non solo di per sé, ma soprattutto per delineare quel percorso di riconquista del ruolo di genere che le donne hanno intrapreso e portano avanti come elemento fondante per combattere discriminazione, violenza, segregazione, diritto al lavoro, diritto a esserci… Gli ingredienti scelti, come in ogni valida ricetta di quella sera di diversi anni fa, permetteranno di affrontare ogni percorso con coraggio… e il coraggio delle donne fa più rumore!”
Daniela Vannelli, Toscana
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IL VERO POTERE DELLE NOSTRE PARLAMENTARI Mai avute così tante donne in Parlamento, ma il numero non ci racconta qual è il loro potere reale né l’efficacia legislativa. I dati OpenPolis e del Parlamento ci aiutano a capire la strada ancora da fare affinché la cospicua rappresentanza abbia anche un impatto innovativo
L’attuale Legislatura si caratterizza per numerose peculiarità, tra cambi di governo e di maggioranze, protagonismo governativo a discapito dell’agibilità politica del Parlamento, riforme istituzionali. Si vedrà in futuro quali saranno le ricadute, positive e negative, di tutte queste novità. Intanto, in occasione dell’8 marzo, vale la pena trarre alcune prime riflessioni sul ruolo delle parlamentari, che non sono mai state così tante in tutta la storia d’Italia - quasi il 30% -, una percentuale identificata in tutti i processi come punto di svolta del cambiamento e che avrebbe la possibilità di lasciare il segno. Lo stanno facendo? Farsi un’opinione in questo senso è molto complicato, considerata la criticità del momento politico ed economico, alcuni elementi li forniscono i dati di OpenPolis, della Camera e del Senato. In generale, l’ultimo rapporto di Openpolis sull’indice di produttività dei ‘palazzi’, pone l’accento su dinamiche parlamentari molto particolari quali il progressivo accentramento da parte del governo della funzione legislativa: l’84% delle leggi approvate - e tutte quelle più importanti - nella XVII Legislatura sono infatti di iniziativa dell’esecutivo, che ha così ridotto molto il campo di azione di Deputati e Senatori insieme alle dinamiche di negoziazione politica. Risultato di questa tendenza è che “dei quasi 1.000 fra deputati e senatori quelli che riescono veramente ad influire sui processi parlamentari non arrivano a 100. Molte volte non bastano impegno e presenza costante, quello che veramente conta è presidiare ruoli politici - ad esempio capogruppo - o istituzionali - ad esempio presidenza di commissione - che regolano l’agenda dei lavori e definiscono le priorità”.
All’interno di questo processo, vediamo che ruolo hanno assunto le donne e quale contributo stanno offrendo ai lavori parlamentari. Intanto, è importante sottolineare che la maggiore presenza femminile in questo Parlamento è frutto di un forte ricambio generazionale e della classe politica. Sia alla Camera che al Senato le donne hanno infatti mediamente alle spalle un numero di anni di mandato inferiore a quello degli uomini: 3,6 anni in media per le donne alla Camera, contro i 4,6 degli uomini, 3,6 anni per le Senatrici contro i 5,9 dei Senatori. Una dinamica confermata anche dalla sottorappresentazione delle donne politicamente più longeve: tra i 50 deputati più longevi vi sono solo 9 donne elette, il 18% (contro il 30,8% medio delle donne alla Camera), mentre trai senatori più longevi le donne sono solo 3 su 50, il 6% (contro il 28,3% di donne al Senato). L’indice di produttività parlamentare, che premia sia la quantità del lavoro legislativo sia la qualità in termini di norme approvate in via definitiva, ci restituisce anche per le donne un potere parlamentare legato agli incarichi parlamentari che sono stati ad esse attribuiti. Alla Camera, su una produttività media di 60,19 punti, quella riferita alle donne è lievemente più bassa (52,6) rispetto a quella degli uomini (63,5). Tale differenza è dovuta essenzialmente al maggior numero di ruoli e cariche che gli uomini hanno assunto nelle Commissioni e nelle cariche di responsabilità (Presidenti di Commissioni, di gruppo ecc). Infatti, se le parlamentari alla Camera arrivano al 30,8%, la loro presenza nei ruoli di responsabilità (Capo Aula, Capo Commissione, componenti del Governo o Presidenti di Commissioni) scende invece al 22,8%, con un indice di produttività di 76,6 contro 108 degli uomini. Diversa è la situazione al Senato dove le donne sono riuscite
STRATEGIE
PRIVATE a meglio esprimere il proprio potere legislativo in termini di produttività. Nonostante le senatrici siano il 28,2% del totale, la percentuale con un incarico parlamentare scende anche in questo caso al 22,3%. L’indice di produttività delle elette è però di 92,6 punti conto i 91,2 dei colleghi uomini. Tale risultato è merito delle senatrici che hanno avuto incarichi, sulle quali è confluito un maggiore carico di rappresentanza: per queste infatti la produttività è di 145,1 punti contro quella di 103,4 punti espressa dai senatori. Ma su quali ambiti e politiche si impegnano maggiormente le nostre rappresentanti? Analizzando la composizione delle Commissioni parlamentari si osserva ancora una certa segregazione dei temi politici trattati. Le donne componenti delle Commissioni che si occupano di Salute, Lavoro e Previdenza, Istruzione, cibo e agricoltura e sono infatti il 43% al Senato e il 45% alla Camera, mentre le parlamentari attive nelle Commissioni per i Lavori pubblici, Comunicazioni, Difesa, Territorio e ambiente, Affari costituzionali, Affari esteri, Industria, Giustizia e Politiche europee non superano il 21,8% al Senato e il 27% alla Camera. Un’evidenza empirica che va letta sotto diversi aspetti. Da una parte si trova conferma dell’interesse delle parlamentari per i temi politici tradizionalmente femminili e particolarmente critici in questo periodo di crisi: lavoro, sociale, famiglia, diritti, conciliazione, istruzione. Un impegno da valorizzare certamente in termini positivi. D’altro canto occorre riflettere sull’influenza delle decisioni dei partiti che lasciano alle donne le politiche caratterizzate da una forte debolezza in termini di potere politico e finanziario. Temi politici considerati ben più rilevanti in termini di potere reale rimangono infatti ancora appannaggio dei parlamentari maschi. Questa segregazione è da considerarsi nociva per tutto il sistema, non solo per la minore rappresentatività femminile. Un maggiore riequilibrio della rappresentanza in settori attualmente così segregati consentirebbe infatti di migliorare l’equità e l’efficienza della funzione legislativa, anche modificando reti di relazioni lobbystiche consolidate con un contributo di maggiore trasparenza. Siamo quindi ad un punto di passaggio, nel quale i progressi di rappresentanza femminile ottenuti nelle ultime elezioni non si sono ancora tradotti in un impatto sul sistema particolarmente innovativo e di cambiamento. Forse ci vorrà ancora tempo per vedere dispiegarsi appieno la potenzialità innovatrice delle elette. Certo è che questo processo, che pure appare irreversibile, va seguito e sostenuto, sia nel migliorare ancora la rappresentanza femminile in termini quantitativi, sia nel favorirne la piena espressione dei contenuti e delle proposte in sede parlamentare. ❂
Giovanna Badalassi, Well_B-Lab*
Novembre | Dicembre 2014
di Cristina Melchiorri
L’UOVO O LA GALLINA? Sono Angela, lavoro da dieci anni in una media azienda di produzione di tessuti e faccio parte di un team di ricerca su nuovi filati per la produzione. In questo periodo l’azienda sta decidendo quale sarà il capo della squadra e io vorrei essere scelta. Quindi è importante che io mi muova al meglio. Il team è di 12 persone e quasi tutti i componenti, uomini, sono molto più esperti di me sul prodotto e sono da molto tempo in azienda. Mi sto chiedendo se devo prima potenziare la mia autorevolezza o invece partire da una mia idea e far nascere su questa il confronto e il gioco di squadra. Vorrei davvero farcela… Angela Luino (Abbiategrasso/Milano)
Cara Angela, è nato primo l’uovo o la gallina? Se ti dovessi dare una risposta “corretta” forse direi: parti da una tua idea precisa e cerca di impostare il lavoro del team su come realizzarla. Così capiranno che anche se sei più giovane di loro, e perfino una donna, hai le idee chiare e ti conquisti sul campo la tua autorevolezza. Temo però che non sia la strada migliore, o comunque non la più veloce. Perché se la tua azienda sceglie ora, non hai tempo per il percorso più lungo. Devi farti scegliere. Se guardi la cronaca politica italiana, e la stessa ascesa di Matteo Renzi al ruolo di Presidente del Consiglio, ti accorgerai che le azioni e i progetti di riforma che sta realizzando sono la conseguenza e non l’origine del suo rapporto di forza con il Parlamento e con maggioranza e opposizione. In altri termini, non è si è mosso costruendo il suo consenso di partito e istituzionale con la forza delle idee, ma prima ha conquistato il potere, con alcuni slogan convincenti, basati sul desiderio della gente di facce nuove in politica e nella Pubblica Amministrazione e con una buona energia personale. Poi, da quella posizione di forza sta attuando la sua politica. Quindi, vai da chi decide e proponiti per il ruolo. Senza arroganza ma con franchezza e sicurezza delle tue qualità e potenzialità. La tua autorevolezza la conquisterai sul campo, dopo, e solo dopo, che sei stata nominata leader del team. Quindi a te, Angela, e a noi donne, prima serve la gallina, cioè il potere. Le uova verranno.
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PAESI BALTICI
I FANTASMI
CHE SI AGGIRANO PER L’EUROPA RICONOSCIUTA LA CITTADINANZA AI FIGLI DI RUSSI “NON CITTADINI” RESIDENTI STABILMENTE IN LETTONIA, ESTONIA E LITUANIA
di Cristina Carpinelli In questi ultimi anni, uno dei punti prioritari dell’agenda politica dei tre Stati baltici è stato quello di semplificare le procedure di naturalizzazione per le persone che vivono da tempo nella regione Baltica e che, nonostante ciò, sono considerate “non-cittadini”. Si tratta, nella maggior parte, di minoranze di etnia russa, verso cui sono state praticate per diverso tempo politiche discriminatorie attraverso rigorose politiche linguistiche e di cittadinanza. A tutt’oggi, circa 300mila abitanti di lingua russa in Lettonia e circa 100mila (abitanti di lingua russa) in Estonia non possiedono una cittadinanza, nonostante che tra loro vi siano persone nate e cresciute in quei paesi. Tali abitanti sono etichettati, in modo spregiativo, come “persone di lingua russa”, “gente che parla russo”, o “sradicati”. Sul loro passaporto, di colore grigio (che identifica i passaporti degli stranieri), sono scritte parole come: “nepilsoņ” (non-cittadino) per i russi residenti in Lettonia, “mittekodaniku” (non-cittadino) per i russi residenti in Estonia, oppure semplicemente “alien” (alieno). La legge di cittadinanza dei tre Stati baltici esclude per i “non-cittadini” la titolarità dei diritti politici, l’accesso ai pubblici impieghi e sottopone a restrizioni l’acquisto di proprietà private. Nel 1993, il Consiglio d’Europa ha definito i criteri di adesione dei paesi all’Unione europea in occasione del Vertice di Copenaghen, uno dei quali richiedeva che il paese candidato avesse raggiunto una stabilità istituzionale tale da garantire la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze. Proprio appellandosi a questo criterio, il Consiglio d’Europa e l’O-
SCE hanno rivolto agli Stati baltici, nel corso degli anni Novanta e primi anni Duemila, non poche raccomandazioni, affinché questi conformassero la loro normativa interna alle direttive UE in materia di protezione e rispetto delle minoranze. A seguito delle sollecitazioni del Consiglio d’Europa, Lettonia ed Estonia, in particolare, hanno riformulato alcune norme contenute nella legge di cittadinanza, con lo scopo di ridurre il numero di “non cittadini” presenti sul loro territorio.
IN LITUANIA, la minoranza russa è esigua rispetto agli altri due paesi baltici. Per questo, ha da subito adottato - dopo l’indipendenza dall’Urss - una legge sulla cittadinanza (1991) meno improntata sulla “tutela etnica”. Se è vero, infatti, che la cittadinanza è riconosciuta solo a tutti coloro che la possedevano prima del 15 giugno 1940 (giorno in cui il paese è stato occupato dall’Armata Rossa per essere poi inglobato nell’Urss), escludendo di conseguenza le persone di etnia russa, che per poterla acquisire devono sottoporsi ad una procedura di naturalizzazione che prevede delle condizioni piuttosto rigide (possedere un reddito fisso e legale, conoscere la lingua lituana, i principi fondamentali della Costituzione e la storia del paese, giurare fedeltà allo Stato, risiedere stabilmente nel paese, ecc.), tuttavia, la legge - già nella sua prima versione - concede “automaticamente” la cittadinanza a tutti i bambini nati in territorio lituano (dopo la riconquista dell’indipendenza) da genitori privi di cittadinanza e stabilmente residenti a prescindere dalla loro origine etnica, dalla durata del periodo di residenza o dalla conoscenza del lituano (art. 10). Negli altri due Stati baltici, la situazione è più complessa. ANCHE IN ESTONIA, in base alla legge di cittadinanza vigente, sono considerati automaticamente cittadini tutti coloro che avevano acquisito la cittadinanza prima del 16 giugno 1940 (giorno in cui il paese è stato
occupato dall’Armata Rossa per essere poi inglobato nell’Urss). Coloro che non rientrano in questa categoria (praticamente quasi tutti i residenti russi) devono sottoporsi ad una procedura di naturalizzazione simile a quella prevista dalla legge di cittadinanza lituana. Tuttavia, un emendamento alla legge estone di cittadinanza del dicembre 1998 ha semplificato la procedura di naturalizzazione per alcune categorie di persone (es: disabili). Tra queste, sono incluse le persone nate nel paese dopo la riconquista dell’indipendenza. La legge dice, infatti, che i figli minori (sotto i 15 anni d’età) nati nel paese dopo il 26 febbraio 1992 da genitori “non-cittadini”, stabilmente residenti in Estonia da almeno cinque anni, possono ottenere - su richiesta dei genitori - la cittadinanza
tramite la naturalizzazione senza il presupposto di passare gli esami di cittadinanza. Sulla base di questo emendamento, hanno ottenuto la cittadinanza 13.592 bambini. In tempi più recenti, (giugno 2014), il parlamento estone ha approvato un altro emendamento alla legge, in base al quale i nati dopo il 26 febbraio 1992, i cui genitori (privi di cittadinanza) non abbiano avanzato richiesta di cittadinanza in favore dei figli, possono ottenere automaticamente la cittadinanza nel caso in cui vivano nel paese da almeno otto anni (stabilmente da cinque), non siano residenti permanenti di un altro Stato, abbiano un permesso di soggiorno valido o il diritto di soggiorno al momento di richiesta della cittadinanza.
IN LETTONIA (al pari degli altri due Stati baltici) non è concessa la cittadinanza alle persone che non l’avevano prima dell’occupazione sovietica del paese (17 giugno 1940), poiché “non possono considerarsi cittadini coloro la cui presenza sul territorio aveva trovato fondamento su un atto di occupazione illegittimo”. Per costoro si applica la procedura di naturalizzazione analoga a quella degli altri due Stati baltici. Tuttavia, a seguito di un emendamento alla legge di cittadinanza del 1998, è stata concessa la registrazione come cittadino ai nati dopo il 21 agosto 1991, figli di apolidi o di “non-cittadini” residenti nel paese con un permesso di soggiorno stabile.
La richiesta di cittadinanza deve essere presentata da entrambi i genitori, nel caso in cui l’interessato non abbia raggiunto i 15 anni d’età; può, invece, essere avanzata dall’interessato stesso, se di età compresa tra i 15 e i 18 anni, qualora dimostri di risiedere stabilmente nel paese, di conoscere la lingua ufficiale e di aver frequentato una scuola con il lettone come lingua veicolare. Ulteriori modifiche alla legge di cittadinanza (ottobre 2013) hanno previsto il conseguimento automatico della cittadinanza a favore dei minori nati in Lettonia dopo il 21 agosto 1991 da apolidi o “non-cittadini” residenti permanenti nel paese, ammettendo che la richiesta di registrazione come cittadino possa essere presentata anche da un solo genitore (e non più, come in passato, necessariamente da entrambi) o direttamente dall’interessato, se di età compresa tra i 15 ed i 18 anni, qualora dimostri di risiedere stabilmente nel paese e di conoscere la lingua ufficiale nel caso in cui non abbia conseguito titoli scolastici presso scuole con il lettone come lingua veicolare. Inoltre, si è provveduto alla semplificazione del procedimento richiesto per la naturalizzazione ordinaria, esonerando dalle verifiche di conoscenza linguistica tutti coloro che abbiano conseguito determinati titoli scolastici presso istituzioni aventi il lettone quale lingua veicolare. In breve, nei tre Stati baltici, a seguito delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa e dell’OSCE, sono state riviste in questi ultimi anni le procedure di naturalizzazione, agevolando di molto i giovani nati dopo l’indipendenza. Per quanto riguarda, invece, i cittadini di gruppi d’età più avanzata, la naturalizzazione rimane ancora condizionata al superamento di una serie di test: conoscenza della lingua, dei principi fondamentali della Costituzione e della storia del paese, giuramento di fedeltà allo Stato, godimento di un reddito fisso e legale, ecc. ❂ Glossario: Apolide: persona priva di qualunque cittadinanza. Non-cittadino: chi non gode dei diritti di cittadinanza di un paese.
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ERDOGAN TURCHIA
CACCIA ALLE INFEDELI di Emanuela Irace
Le donne sono sempre più condizionate dalla misoginia degli islamo-conservatori dell’AKP
C’
era da aspettarselo. Dopo aver ritoccato la Costituzione in senso presidenziale e dopo aver vinto la prima carica dello Stato il neoPresidente Erdogan, a meno di un anno dall’insediamento, mostra la faccia oscura del regime: appoggio ai terroristi del Daesh e stretta sulle donne. Due evoluzioni dell’Erdogan pensiero che oltre a fomentare il conflitto in Medio Oriente aprono la porta a una vera e propria caccia alle infedeli. Altro che islamismo moderato. Il settimo partner commerciale dell’Ue - primo tra i paesi esportatori in Europa - procede senza ostacoli in una campagna per la moralizzazione della Turchia che piace tanto ai combattenti dello Stato Islamico. I terroristi del Daesh sembrano rappresentare la posta di una partita che in Medio Oriente si gioca a forza di lotta alle minoranze e stabilizzazione di entità geografiche a base etnica. Una manciata di piccole nazioni accanto alla bandiera nera del Califfato. Kurdi, yazidi, shiiti, sunniti a fianco di ebrei e palestinesi. Ciascuno con il proprio Stato, magari segregazionista e rigidamente a base etnica. Uno scenario geopolitico che annulla il concetto stesso di Stato plurinazionale, che diminuisce la forza dello scacchiere medio orientale e che piace tanto all’Occidente capitalista, interessato a fare affari smembrando Stati di cui un tempo era potenza mandataria. La rielaborazione del neo-colonialismo a matrice liberista utilizza tutti i mezzi a disposizione, nel silenzio generale e sulla pelle dei popoli. La guerra che si combatte in Siria è la chiave di volta, già testata in Iraq, Libia, Egitto ecc. per azzerare Governi scomodi ma legittimi. E intanto, mentre il Presidente Erdogan studia da “capo dei sunniti”, in Turchia la posizione delle donne
è in bilico e sempre più condizionata dalla misoginia degli islamo-conservatori dell’AKP. Solo il 29% lavora. Mancano le infrastrutture per l’infanzia, accedere a posti di responsabilità è un miraggio e chi critica il sessismo di società e governo viene screditato e aggredito sui social network. Violenze e intimidazioni sono la norma per chi, come le giornaliste, denunciano lo statu quo. Una vera e propria caccia alle streghe. Esplosa con l’attacco nel luglio scorso del richiamo alla probità dei costumi: “Le donne non possono ridere in pubblico” perché è indecente e disdicevole. Sembra una barzelletta, ma se a dirlo è Bulent Arinc, vice Primo ministro del partito di Governo, le cose si complicano e le affermazioni deliranti della politica trovano terreno permeabile nella società. Con una serie di pratiche e suggerimenti che vanno dall’incoraggiamento ad indossare il velo, al biasimo per scollature e rossetti considerati troppo audaci, fino al divieto di vendere alcool vicino alle moschee o nei negozi dopo le 21. Fiore all’occhiello della propaganda politica l’apartheid dei sessi, tentato a più riprese contro la cosiddetta promiscuità tra ragazzi e ragazzi nei bar, o per strada dove si vorrebbe impedire anche soltanto il prendersi per mano. “La donna deve essere moglie e madre e il suo ruolo è all’interno della famiglia”, dichiarazioni che hanno fatto scoppiare la protesta delle donne laiche abituate a studiare e a vivere la religione come fatto privato. Una sola Ministra (della Famiglia) e 77 deputate su 535. Chiusura di molti centri anti violenza e marcia verso una società patriarcale, religiosa, pia e moralmente orientata. Negli ultimi due anni il neo Presidente Erdogan ha più volte sottolineato che la natura delicata delle donne impedisce
loro di ricoprire incarichi di vertice o lavori troppo rudi. Su questo fronte molto della propaganda fatta è opera di Ermine Erdogan, moglie del Presidente tra le prime ad indossare il velo e ad occuparsi di programmi specifici per “educare” le giovinette. Secondo i dati del ministero della Giustizia dall’insediamento dell’AKP nel 2002 ad oggi le violenze contro le donne sono cresciute in maniera esponenziale. Si stima che siano tre le donne uccise ogni giorno per il solo fatto di essere donne. Un paradosso per la Turchia che nel 2011 è stata la prima a firmare e a ratificare la “Convenzione di Istanbul”, per la prevenzione e la lotta contro la violenza alle donne. b
Egitto
DALLA PARTE
DELLE BAMBINE di Zenab Ataalla
“Lei è l’Egitto”, l’associazione che punta sulle giovani per cambiare la società
S
i chiama Heya Masr, Lei è l’Egitto, ed è tra le associazioni egiziane impegnate a fornire alle giovani tra gli otto ed i venti anni di età gli strumenti per realizzare il loro potenziale e a incoraggiare la comunità nell’apprezzare il valore femminile. Formalmente nata nel 2013, in poco tempo è diventata un punto di riferimento per le bambine che vivono nei pressi delle Piramidi, a Giza, città diventata un’appendice de Il Cairo grazie a veloci collegamenti stradali. “Heya significa Lei in arabo. Con questo nome abbiamo voluto esplicitare l’importanza che l’elemento femminile ricopre nello sviluppo della società” spiega Moody Demetry, il fondatore americo-egiziano che, diviso tra gli Stati Uniti e l’Egitto, ha deciso di darle avvio. Laureatosi con il massimo dei voti in ingegneria e con un’esperienza presso una ong americana che sviluppa progetti umanitari in Egitto, il passo che porta Moody Demetry a creare l’associazione e a rinforzare il legame con le sue origini è breve. “Durante il mio volontariato alla Negma ho iniziato a pensare a cosa potessi realmente fare per aiutare il mio Paese. Dopo la Rivoluzione del 2011 era chiaro che se si voleva
fare qualcosa per il futuro dell’Egitto bisognava partire dal basso e dalle donne. Esistevano molte associazioni che lavoravano sulle questioni femminili, ma erano rivolte alle adulte e soprattutto alle vittime di molestie sessuali, aumentate a dismisura nel periodo post rivoluzionario. Erano del tutto assenti, invece, realtà che si occupavano delle bambine, soprattutto di quelle delle classi meno agiate”. Ed è proprio su di loro che si snodano le attività dell’associazione, che oggi conta più di 80 ragazze impegnate settimanalmente con un programma intenso. Le partecipanti, suddivise in diverse classi a seconda dell’età, seguono corsi di autostima, attività mirate a fortificare il carattere e la personalità, passando per seminari improntati sulla corretta alimentazione, l’attività fisica e le capacities building, portate avanti anche grazie alla collaborazione con alcune organizzazioni locali. “Lavoriamo sia internamente che esternamente. Le lezioni frontali e la pratica permettono di raggiungere il nostro obiettivo: incoraggiare queste piccole donne a credere nei loro sogni. Con un lavoro di squadra portato dalle volontarie, la maggior parte delle quali ha frequentato i nostri corsi precedentemente, aiutiamo chi viene ad Heya Masr a non abbandonare l’idea di essere quello che vorrà essere un giorno. E soltanto così facendo possiamo fare la differenza”. Attraverso un percorso di formazione a tutto tondo le bambine e le ragazze riescono ad esprimere ciò che sentono e quello che vogliono diventare. E lo fanno anche con l’appoggio della famiglia, che “ha un ruolo fondamentale”. Per questa ragione i genitori e i fratelli sono coinvolti e sono invitati ad assistere ad una sessione di quattro ore in cui le ragazze spiegano cosa stanno imparando e dove vogliono arrivare”. Perché, conclude Moody , “Heya Masr è nata per aiutare queste giovani ad acquisire una consapevolezza fisica e sociale che parta prima di tutto dalla scoperta del loro potenziale e della loro forza. Ed è su questo che continueremo a lavorare. Perché Loro sono l’Egitto”. Sono l’Egitto del futuro. b Foto di Heya Masr
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EGITTO
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SESSUOLOGIA
SCIENZA DI LIBERTÀ GRAN BRETAGNA
A Londra una mostra dedicata ai contributi più importanti nello studio del comportamento sessuale
di Silvia Vaccaro borando teorie che li hanno resi famosi e che resistono, in alcuni casi, nel dibattito attuale. Il giro comincia con la parte dedicata al sapere raccolto da Magnus Hirschfeld, fisico e sessuologo, fondatore dell’Institut für Sexualwissenschaft, sorto durante gli anni della Repubblica di Weimar e dato alle fiamme nel maggio del 1933, tre mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere. L’Istituto promuoveva la ricerca scientifica come spinta verso una maggiore giustizia sociale, soprattutto rispetto al trattamento delle minoranze sessuali. In questa sezione si trovano anche riferimenti ai lavori di Havelock Ellis, medico e psicologo britanniPiù in generale, però, nella morale comune il sesso era co e Richard von Krafft-Ebing, considerato faccenda privata di cui non si doveva disquipsichiatra tedesco, entrambi sire pubblicamente, argomento scandaloso che generava fondatori della sessuologia e in da pudori e pruderie di ogni sorta. Così è stato per molcontatto con Sigmund Freud, padre della to tempo, almeno. La mostra “Institute of psicoanalisi del quale è possibile leggere sexology”, in corso alla Wellcome Collecalcune lettere. tion di Londra fino al 20 settembre, si proLa sua intuizione rivoluzionaria fu di collegapone l’interessante compito di scavare nella Per molto tempo re la sfera della sessualità all’attività neurolomemoria degli ultimi centocinquant’anni di l’atto sessuale è gica: sebbene lui cercasse una causa fisica storia della sessuologia, e lo fa attraverso le stato considerato faccenda privata, per spiegare l’insorgere delle nevrosi, l’inricerche e le scoperte di studiosi e attivisti di cui non si venzione della psicoanalisi gli permise di foche, con il loro sguardo scientifico e liberadoveva disquisire calizzarsi sui processi mentali alla base dei tore, hanno dato un contributo sostanziale pubblicamente comportamenti, riuscendo a fornire supporto all’evoluzione dei costumi sociali. Ispirati ai suoi numerosi pazienti e contribuendo in dalla volontà di “curare le perversioni” o da modo sostanziale ad una rivoluzione coperquella di liberare i desideri repressi, questi nicana che investì l’arte, la letteratura, il cipersonaggi hanno cercato di sgombrare il nema e le scienze sociali e filosofiche di tutto il novecento. campo dai tanti tabù esistenti, elevando la sessualità ad Nella mostra si possono anche ammirare alcune splendide oggetto di studio scientifico, ponendo interrogativi ed ela-
Londra. “La chiamavano bocca di rosa metteva l’amore, metteva l’amore, la chiamavano bocca di rosa metteva l’amore sopra ogni cosa”, così il poeta Faber raccontava la storia di una donna che si prostituiva e che viveva con gioia l’esperienza di dare e ricevere piacere. Insieme a lei personaggio verosimile di fantasia - altre donne e altri uomini nella storia dell’umanità hanno vissuto la sessualità con atteggiamento disinvolto e libero, e alcune delle loro storie sono state ampiamente raccontate in libri di storia e romanzi.
foto della serie “Faces and phases” delle classi più povere per scattate da Zahele Muholi, nota foriuscire a prevenire gravitografa africana contemporanea che danze indesiderate. Nel restituisce la pluralità e la diversità 1925 la clinica si trasferì della comunità lesbica, con una serie al centro della città e via di ritratti in bianco e nero. Nelle teche via si creò una rete che sono esposti esemplari di vibratori dediventò successivamengli anni ’30 come il “Veedee”, meglio te il Consiglio Nazionale conosciuto come il Veni Vidi Vici in di controllo, oggi Family grado di “calmare l’isteria femminile”, Planning Association. La pacchetti vintage di condom, antichi BBC l’ha inserita tra i “Gremodelli di spirali, immagini di coppie atest Britons”, tra i cento intente a darsi piacere, fotografie in britannici più influenti nella chiave anatomica di organi sessuali, storia. L’altra studiosa a cui statuette e riproduzioni, numeri di la mostra rende omaggio è Playboy e di Spare Rib, giornale femMargaret Mead, antropominista pubblicato in Inghilterra dal loga statunitense, che nel 1972 al 1993. Su un maxi schermo 1925 iniziò le sue ricerche la proiezione una lunga intervista di sui costumi sessuali degli gruppo dichiaratamente sullo stile dei abitanti di Samoa, stato inComizi d’amore pasoliani, fatta ad un sulare del Pacifico. Al suo gruppo di fanciulle americane intente ritorno, tre anni dopo, puba discutere di corpo e piacere. E di blicò L’adolescente in una femminismo. Come non tirare in ballo società primitiva (Coming il potere liberatorio delle rivendicazioof Age in Samoa) che si ni delle donne? E tra i tanti contributi raccolti vengono fuori interrogava sulla sessuai nomi di due studiose e appassionate che hanno portato in lità degli adolescenti in primo piano, ben prima degli anni ‘70, l’importanza del deun confronto tra giovani siderio femminile: Marie Stopes e Margaret Mead. La pristatunitensi e samoani. La ma, inglese, fu attivista per i diritti delle donne e pioniera nel tesi di Mead era che la campo della pianificazione familiare. Nata ad Edimburgo sessualità, in un contesto nel 1880 da padre archeologo e madre suffragetta, studiò sessualmente più permissivo, ne giovava, dimostrando la paleobotanica prima a Londra e poi a Monaco di Baviera. radice culturale e sociale (e non biologica) della difficoltà In Inghilterra divenne celebre per il suo libro “Married Love”, sessuali che vivevano molti giovani negli USA. La mostra pubblicato nel 1918 e condannato dalla Chiesa, che venoffre numerosi altri spunti come quelli forniti dallo psicoadette oltre duemila copie in quindici giorni. nalista austriaco Wilhelm Reich, che già nel In questo rivoluzionario volume si fornivano 1939 teorizzava “una sessualità libera in una Molto prima consigli alle donne affinché non considesocietà egualitaria” e di William Masters e del femminismo rassero il proprio corpo come una proprieVirginia Johnson, studiosi americani che Marie Stopes tà del marito e si riconoscessero il diritto ad osservarono decine di volontari durante il e Margaret Mead un’attività sessuale che desse loro piacere. rapporto sessuale arrivando nel 1966 ad afhanno portato Tantissime le donne con cui negli anni Marie fermare la profonda complessità della rispoin primo piano riesce ad entrare in contatto, e che le scrista femminile al piacere. l’importanza vono lettere affettuose, esposte nelle teche Indiscutibile, dunque, il ruolo della sessuodel desiderio della mostra, e di sincero ringraziamento logia intesa come scienza in grado di dare sessuale per i saggi consigli. Forte del prestigio soun impulso alla rivoluzione dei costumi soper le donne ciale e incurante dell’ostilità della Chiesa, nel ciali, in passato e ancora oggi, in un pre1921 aprì una clinica per la pianificazione sente che sembra quasi del tutto “liberato” familiare a Holloway, a nord di Londra (nelma in cui il moralismo e il perbenismo - mali la configurazione attuale della città proprio all’inizio della antichi legati a retaggi religiosi e culturali - non sono stati zona 2) che offriva un servizio gratuito alle donne sposate del tutto debellati. b (Immagini tratte dal sito della mostra)
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GRAN BRETAGNA
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
QUELLE CHE… LE STAFFETTE NON BASTA
Le Donne dimenticate di Via Catalana di Ugo Sestieri è un breve e intenso racconto (pubblicato come eBook) sulle donne del gruppo di Assiotea, nome di colei che sfidò il filosofo Platone perché sosteneva che le donne fossero inferiori all’uomo. Partigiane a Roma, vogliono affermare il loro “diritto” ad andare al di là della funzione di semplici staffette e vogliono essere armate, protagoniste della Resistenza. I loro nomi di battaglia sono quelli di grandi donne del passato scienziate, pensatrici - non a caso figure dimenticate o ai margini della storia. È Trotula (Giulia), l’ultima arrivata nella casa-nascondiglio che è palcoscenico della storia di Via Catalana al confine del Ghetto, a mettere in moto le dinamiche nel gruppo. Nel prepararsi ad una precisa azione (la protezione di una manifestazione degli studenti di un liceo) c’è la presa di coscienza. All’autore si deve nel finale l’invito alle donne, per quanto indiretto e concatenato agli avvenimenti, a difendersi per non tornare indietro, un rischio sempre attuale, in particolare nei periodi di difficoltà economica. La versione integrale: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06154
Paola Ortensi
LA GRANDE GUERRA VISTA DALLA LORO PARTE “Esili come brezza nei venti di guerra” è il sottotitolo che Antonella Fornari, biologa, scrittrice, ha voluto dare al suo libro “Le donne e la Prima Guerra Mondiale” (ed. DBS). Una ricerca interessante che racconta cosa significò la Grande Guerra per le donne nelle zone montane del nord Italia. All’inizio del conflitto vivevano in una condizione antica fatta di sottomissione, di matrimoni “quasi sempre senza tenerezza”. Poi quelle donne “con i loro vestiti austeri e i capelli nascosti dai fazzolettoni annodati” avrebbero visto partire per il fronte padri, mariti e figli. Sole, hanno affrontato una nuova vita, spesso in balia di avvenimenti che, spostando più volte la linea del fronte, le avrebbero costrette, come i soldati, ad un esodo forzato. Fornari ci racconta la
vita e le scelte di molte di loro. Dalla soldata Viktoria Savs, eroina delle Tre Cime di Lavaredo, che ottenne a soli 16 anni di seguire il padre arruolandosi nella brigata Innsbruk del Landsturm, alla cadorina Lina Toffoli che, austriaca di nascita, si innamora e sposa un fante italiano di Potenza Picena. Spiccano le “Portatrici Carniche” e ad una di loro, Maria Plozner Mentil, madre di quattro figli morta per mano di un cecchino durante una delle salite alle trincee, è stata intitolata la caserma intitolata nel suo paese natale Paluzza (Ud). Tante le fotografie, di donne di uomini e delle montagne teatro della guerra. La versione integrale: http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06156
Alida Castelli
PREMIO MAROSTICA
CITTÀ DI FIABE
“Marostica Città di Fiabe”, concorso di letteratura per l’infanzia e la preadolescenza promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Marostica, si rivolge a scrittori di ogni età e parte d’Italia. Rinnovato nell’immagine e nei contenuti, è uno dei premi letterari italiani più prestigiosi che vanta 27 anni di storia e una giuria prestigiosa. Il concorso, a tema libero, è per testi inediti in lingua italiana, per bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni e si articola in tre categorie: poesie e filastrocche; fiabe, favole e racconti fantastici; racconti realistici. Il Premio è dedicato alla poetessa e scrittrice per l’infanzia Arpalice Cuman Pertile (1876-1958), autrice di più di 70 pubblicazioni, celebre non solo per il suo lascito intellettuale, ma anche per il suo impegno sociale e politico, soprattutto per le sue posizioni anti-interventiste che le costarono cattedra e esilio. Un bell’esempio per le nuove generazioni e per gli scrittori contemporanei per l’infanzia che potranno dare continuità narrativa e poetica ai valori sempre attuali della scrittrice. Il bando scade il 23 aprile 2015.
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ANNA MARIA ORTESE
IL
c entenario della nascita di Anna Maria Ortese è stato contrassegnato dalle iniziative che l’associazione Eleonora Pimentel di Napoli, attraverso la presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Esther Basile, ha organizzato. Il libro scritto dalla stessa Basile e pubblicato dall’editore Ali&no con il titolo “Anna Maria Ortese” ne è stato un tramite e testimonianza. L’appuntamento alla Camera dei Deputati dello scorso 25 febbraio alla presenza della Presidente Laura Boldrini e con la partecipazione, tra gli altri, del poeta Elio Pecora e con il reading affidato alla professionalità dell’attrice Milena Vukotic è stato l’incontro di punta di un lungo percorso. A descrivere la vicinanza con la Ortese sono le parole di Esther Basile “Parlare della Ortese oggi significa parlare anche di pratiche femminili che rinnovano il percorso delle scrittrici e che bisogna riprendere. La sua è stata un’avven-
tura che sa di coraggio e di disvelamento; nelle sue pagine le voci narranti e le figure agenti, siano esse appartenenti al mondo animale o vegetale, aprono un nuovo spazio. Entrare nel mondo ortesiano ha significato essere accompagnate da studiose come Gabriella Fiori e Monica Farnetti alla riscoperta di mondi e corpi celesti, appunto. Si scopre così una alterità che è anche il tramite della propria identificazione, che ci obbliga all’ascolto, che ci riunisce in una nuova comunità per un percorso in salita che tiene conto della specificità della scrittrice, dell’altezza della sua voce che diventa incarnazione di una sorta di fragilità e di potenza allo stesso tempo. Abitare la contraddizione è non solo
una condizione del pensiero umano che trova spazio e si riflette ampiamente nelle considerazioni e nell’elaborazione filosofica anche di Simone Weil a cui accosterei la Ortese. È una dimensione del percorso di vita anche della Ortese, al tempo stesso tormentato e limpido, che in niente contrasta con il filo ed il segno fondamentale unitario della sua ispirazione. Poi c’è la Ortese battagliera, anche nei suoi reportage giornalistici dove nulla è affidato al caso, dove le immagini sono il risultato di una condivisione. Il modo in cui si sviluppa l’opera della Ortese è un lungo processo di maturazione proprio per quella sorta di coerenza alla vita, alla testimonianza, alla ricerca direi mai realizzata di una quiete. Preoccuparsi dell’offesa al mondo oltre che delle offese fatte all’uomo, comporta un uso di strumenti caratterizzati dal realismo degli anni ’50. Soli i visionari (artisti e poeti) possono scoprire e cantare adeguatamente il mondo. Anna Maria Ortese si concede poco, riservata e acuta, intelligente e conservatrice. È la ‘stranezza’ continua che suscita l'esperienza della vita stessa, che in Ortese non è mai egocentrata, ma sempre ‘cosmica’, una viva relazione fra tutte le creature viventi, da cui non è esclusa la pietra (e dunque la terra e i suoi abitanti come ‘corpo celeste’, mai separato dall'universo): la scrittura può raccogliere e restituire questa relazione solo assecondandone il movimento, quindi operando nello stesso senso della vita e della natura, per somiglianze, per spostamenti, per metafore”.
“Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch'è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d'argento. Il mare! Ecco cos'è una vita quando gli anni si mettono a correre tra noi e la riva diafana sulla quale siamo apparsi la prima volta: assopito, remoto, mormorante mare”. (da Il Porto di Toledo).
“Allora fu dichiarata la sovranità divina dell'Intelligenza. […] E l'Intelligenza, paludata di Ragione, aveva giurato di agire, e fondare la libertà democratica: che non è la libertà del respiro. È semplicemente la libertà di tutti, la libertà senza limite, che alla fine toglie il Respiro a tutti”. (da Corpo celeste)
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ALLA SCOPERTA DEL MAGICO SÉ di Rita Capponi
L’AUTRICE DI ‘NESSUNO SA DI NOI’ TORNA CON UN ROMANZO SUL CORAGGIO
“S
e chiudo gli occhi” (Giunti editore) è un romanzo sul coraggio. Il coraggio, così raro, di vivere secondo le proprie potenzialità e di raggiungere, se non proprio la felicità, quella pienezza e quella pace che così tanto le somigliano. Ed è l’ultimo lavoro di Simona Sparaco, che torna dopo il successo di “Nessuno sa di noi”, caso editoriale del 2013 nonché finalista al Premio Strega, con una storia decisamente più ambiziosa e articolata, a conferma del talento narrativo di un’autrice che sa come far parlare il cuore dei suoi personaggi. A raccontarci la sua storia questa volta è il cuore di Viola, una trentenne che, da quando suo padre, Oliviero De Angeli, scultore di successo, l’ha abbandonata, ha deciso di proteggersi, e di infilarsi in un guscio dove nessuno può raggiungerla, nemmeno lei stessa: si vede da chi ha sposato, da come si veste, da cosa fa, da come si muove; è una donna che vuole confondersi, e ci riesce benissimo. Finché Oliviero non torna nella sua vita, perché le vuole parlare, e allora una vocina sepolta dentro di lei le dice di ascoltarlo. E dopo molte resistenze, Viola accetta di seguirlo in un viaggio che li porterà nella loro terra d’origine, le Marche, alle pendici del monte Sibilla. Per ascoltare la verità di una storia d’amore sconvolgente, di un mondo arcaico e carico di echi e di rimandi, e per scoprire quanto coraggio serve per guardare la verità. Quanto ancora per riuscire a perdonare. È un paesaggio di una bellezza sconvolgente quello che ci accompagna nella lettura di questa storia. Il suo fulcro è Montemonaco, con le sue frazioni, Rocca e Foce; e complice anche la magia elettrica di quei posti ancestrali, la forza prorompente della natura, il luogo unico e sacro della nostra infanzia, metaforico e reale, la Sparaco riesce a dar vita a una scrittura luminosa e incantatrice. Una storia potente, che grazie alla sua forza positiva e alla bravura di Simona nello scandagliare le emozioni e i sentimenti umani, continua a tornare nei pensieri e nel cuore.
Tante donne nel suo libro… Viola e suo padre - il femminile a confronto con il maschile che lo ha generato e guidato - partono insieme per un viaggio che li condurrà in un mondo antico, animato di leggende, un mondo dove le donne da sempre giocano un ruolo fondamentale. Oliviero è stato cresciuto e allevato da donne speciali,
donne come nonna Antina e Nora, veggenti, guaritrici, che sanno come parlare all’animo umano. Sono marchigiana di origine e mi sono ispirata alle donne che ho conosciuto nella mia infanzia, alla loro voce squillante, l’energia matriarcale che trasudava in ogni gesto, in ogni passo, nonché a una veggente in particolare, realmente esistita, Pasqualina Pezzola, che sapeva compiere viaggi a distanza con la mente e diagnosticare malattie rare e incurabili. Il luogo dell’infanzia di Oliviero è il luogo dell’infanzia dei popoli, dove la violenza si annida anche nelle sue leggende, e dove donne forti e libere vengono raccontate come streghe dalle quali è giusto difendersi. Nonna Antina dice al nipote “il perdono è femmina”, e questa frase racchiude molto del senso ultimo del libro che ho voluto scrivere. E’ un libro che parla di donne e del loro potere visionario, dell’infanzia, e della magia che si nasconde dietro la nostra capacità di sognare.
Quanto è cambiata la sua scrittura con la maternità? Fino a prima di Diego, mio figlio, ero anarchica nel mio modo di scrivere. Potevo anche assecondare l’ispirazione e andare a dormire alle sei del mattino per scrivere un capitolo in più. Davo libero sfogo alla bambina che era in me. Con la maternità, il mio mondo artistico si è dovuto piegare a una responsabilità molto più grande. Mi era ancora concesso di giocare, certo, ma con diversi paletti e limitazioni in più. Alle sei del mattino, per esempio, mio figlio mi chiede il biberon. ❂
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CONCORSO FOTOGRAFICO
LAVORO: ESPRESSIONI E PROFESSIONI
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on è stato certamente facile il lavoro della giuria concorso fotografico ”La diversità delle donne nel lavoro e nelle professioni” lanciato dal comitato udinese “Donne che guardano al futuro” nel selezionare i portfolio, composti da quattro fotografie ciascuno, delle donne che hanno preso parte al concorso voluto con l’intento di promuovere e diffondere una cultura visuale che esplorasse i processi culturali attraverso i quali una donna interpreta la propria vita lavorativa nelle sue diverse espressioni. I lavori sono stati valutati da una giuria transfrontaliera composta dalla fotografa Ulderica Da Pozzo, Ester Pacor vicepresidente di Espansioni e Viviana Benussi vicepresidente della Regione Istriana. Sono risultate vincitrici ex aequo l’udinese Antonella Oliana, interior designer, con l’opera “Dinamismo” ed Eva Tomat con il portfolio “Attrici indipendenti” che riprende le prove di uno spettacolo teatrale. Il secondo premio è stato assegnato a Franca Filaferro di Buia che ha presentato “Il lavoro, la creatività, la cura, la tradizione” e il terzo all’architetto udinese Daniela Delli Zotti con “Cura. Tale madre tale figlia”. Le vincitrici, attenendosi al regolamento del concorso, hanno narrato, attraverso le immagini, sensazioni, storie, incertezze, che hanno per protagoniste delle donne alle prese con la dimensione del lavoro al di fuori dei luoghi comuni che normalmente le definiscono nella cultura attuale.
1° premio ex aequo “Dinamismo” di Antonella Oliana per aver presentato un personaggio originale,che, rompendo i confini della tradizione, mantiene l'identità femminile. Il mini racconto parla dei piani dell'esperienza, ironizza e provoca, e, nel gioco dei riflessi, svolge il tema del doppio ruolo delle donne nella vita quotidiana.
1° premio ex aequo “Attrici indipendenti” di Eva Tomat per aver costruito un foto racconto che esprimere la condivisione, le affinità e la coesione di un gruppo di donne impegnate a "mettere al mondo" un loro progetto espressivo basato sui linguaggi dello sguardo e del gesto.
2° premio “Il lavoro, la creatività, la cura, la tradizione” di Franca Filaferro per aver presentato diverse figure femminili, riprese nei propri ambienti di lavoro, al fine di documentarne la diversità e la capacità di mantenere la propria identità.
3° premio “Cura.Tale madre tale figlia” di Daniela Delli Zotti per avere collegato il rapporto generazionale alla trasmissione dei saperi tra donne.
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foto di Antonella Oliana
foto di Eva Tomat
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foto di Franca Filaferro
foto di Daniela Delli Zotti
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FEMMINICIDI
ORA PROTAGONISTE NEI TRIBUNALI di Rossella Mariuz*
La costituzione di parte civile dell’UDI di Bologna nel processo penale per il femminicidio di Silvia Caramazza: un lungo percorso di femminismo
L’
uccisione di donne di tutte le età e di tutti i ceti sociali è un fenomeno affatto marginale, che impegna analisi e riflessioni da parte delle associazioni femministe che si interrogano su quali risposte devono essere date al temibile fenomeno sia a livello sociale che politico. La costruzione di politiche adeguate ad arginare l’onda misogina cavalcata dal femminicidio si prospetta come strumento a lunga scadenza, e da qui la necessità di azioni importanti che confermino qui ed ora il portato della cultura di genere e respingano con fermezza le istanze patriarcali e discriminatorie produttive di diseguaglianza tra i sessi e, in definitiva, responsabili anche del fenomeno della violenza e della negazione dei diritti di cittadinanza alle donne. Una di queste azioni importanti, a Bologna, l’ha messa in campo l’UDI con il Gruppo Giustizia UDI Bologna al fine di sostenere la cultura di genere e l’affermazione di tutti i diritti di cittadinanza delle donne nel processo a Giulio Caria, responsabile dell’efferata uccisione e del successivo occultamento del cadavere in un freezer della convivente Silvia Caramazza, dopo averla sottoposta per anni a vere e proprie azioni di stalking, reato altresì contestato nel capo d’imputazione insieme all’omicidio e all’aggravante di aver agito con crudeltà. In vista del processo iniziato il 9 giugno 2014, un mese prima (5 maggio 2014) l’assemblea UDI ha deliberato la costituzione di parte civile nel processo contro l’imputato di femminicidio ed ha disposto a tale fine una saliente modifica del proprio statuto. In data 5.6.2014 il GUP del Tribunale di Bologna, sulla base della previsione statutaria dell’art.4 lett. 2 f) e sulla base di concrete azioni politiche di radicamento territoriale dell’associazione, ha ammesso la costituzione di parte civile dell’UDI di Bologna riconoscendola portatrice di un diritto soggettivo e di aver patito un danno diretto ed immediato dal femminicidio di Silvia Caramazza. Molto importante è sottolineare che la legittimazione attiva a costituirsi parte civile nel processo per femminicidio è stata riconosciuta dal GUP del Tribunale all’UDI di Bologna grazie
alla pratica politica dell’associazione, documentata agli atti del processo al momento della costituzione di parte civile, forte di parecchi decenni di presenza sul territorio contro le discriminazioni e contro la violenza di genere, che si è consolidata tra partecipazione pubblica al lavoro sinergico con istituzioni cittadine e con le altre associazioni femministe, e con la gestione su tutto il territorio metropolitano di sportelli di accoglienza, assistenza legale-informativa e messa in rete con agenzie e servizi sociali locali, un lavoro fatto di impegno politico e risorse proprie. L’effettività dell’ impegno sostanziale e del lavoro svolto in favore di una moltitudine di donne ha qualificato la soggettività politica di UDI di Bologna, concretizzandolo in una determinata realtà storico-geografica, ponendo come scopo principale del sodalizio dell’associazione Udi di Bologna sia nello statuto che nella pratica politica il contrasto alla violenza di genere e al femminicidio. Nel pro-
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cesso sono stati introdotti i contenuti del lavoro del progetto “stalking stop“ elaborati dall’’esperienza delle operatrici in ambito legale e psicologico, che hanno contribuito a mettere in luce il profilo personale dell’imputato, i suoi scopi e il portato delle sue azioni criminose, il tutto introdotto tecnicamente attraverso le regole processuali penalistiche. La sentenza di condanna redatta sulla base del rito abbreviato ha inflitto a Giulio Caria 30 anni di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie, un risultato comunque soddisfacente. *Avvocata del Gruppo Giustizia, UDI Bologna
TUTTO È INIZIATO NEGLI ANNI ’70…
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a “pratica politica del processo penale” che sottende la costituzione di parte civile delle associazioni femministe non è nuova al movimento delle donne, e nasce nella seconda metà degli anni settanta facendo cassa di risonanza al delitto del Circeo, dove gli aggressori stuprano e uccidono Rosaria Lopez e stuprano Donatella Colasanti. In questa prima fase il movimento femminista elabora una costruzione concettuale del problema della violenza contro le donne puntando sul significato simbolico della legge penale, attuando la “pratica politica del processo penale” al fine di raggiungere alcuni obiettivi tra i quali il passaggio dello stupro da evento privato a fatto politico, la messa in discussione della cultura dominante sia sociale che giuridica che trasforma le donne da parti offese a imputate in virtù della conservazione di stereotipi sociali oppressivi e inaccettabili. (…) Nel decennio successivo una forte critica del movimento femminista porta al disuso della pratica del processo penale in virtù delle contraddizioni dell’uso politico dello strumento, semplificativo e riduttivo del fenomeno della violenza, strumento che relega le donne allo stereotipo della vittimizzazione. (…) Dall’esigenza di sviluppare elaborazioni e strategie politiche del pensiero sulla differenza sessuale nascono i Centri Antiviolenza con la pratica innovativa della relazione tra donne. Tale pratica sposta il piano simbolico dalla repressione del reato e punizione del colpevole al piano della progettualità femminile per il riconoscimento della differenza come soggettività sessuata, e presupposto della libertà delle donne per riprogettarsi e liberarsi dalla violenza. (…) La strategia processuale viene interpretata come strumento per produrre risorse per le donne, attraverso la relazione donna-avvocata diretta a far crescere consapevolezza e autonomia. (…) Il contesto attuale è caratterizzato da una assunzione complessa del problema della violenza di genere nelle varie componenti, quella sociale, sanitaria, educativa, di politica criminale e legislativa formata dalle molteplici componenti che vengono trattate dalle agenzie-soggetti di riferimento. Le associazioni femministe “ fanno rete “, i centri antiviolenza “ fanno coordinamento nazionale”(…).. Versione integrale, vedi http://www.noidonne.org/blog.php?ID=06155
Avv. Rossella Mariuz, Gruppo Giustizia UDI Bologna
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GIOVANNA, UNA DI NOI La grande e lunga vita della piccola donna di 101 anni narrata con un documentario che mescola sapientemente interviste e animazioni. “Bimba col pugno chiuso” racconta la vita di giovanna marturano, “una storia di parte, di quella parte che per un secolo ha lottato contro il totalitarismo fascista e per una vera giustizia sociale”. La testimonianza, secondo la stessa marturano, è di “una donna e di una famiglia comune” ma che proprio comune non può dirsi. se ne comprendono le ragioni ascoltano dalla sua voce i racconti che iniziano dai ricordi di bambina e giungono ai nostri giorni costantemente significando il senso della lotta continua per l’ideale della libertà. non sono materiali di repertorio a dare corpo al documentario, ma i disegni e le animazioni realizzati da maurizio ribichini, in collaborazione con salvo santonocito e adriano mestichella. “Bimba col pugno chiuso” è stato prodotto da todomodo grazie ai contributi di 441 persone e realtà associative non solo nazionali che hanno sostenuto la sua realizzazione con una campagna di crowdfunding (produzionidalbasso.com) cui si è aggiunto poi un sostegno della provincia di roma. L’UDI Romana “La Goccia” in occasione del 70° della nascita dell’associazione ha presentato il documentario alla casa internazionale di roma (“giovanna marturano, una di noi”, 24 febbraio) alla presenza, tra gli altri, della figlia di giovanna, anna grifone, e del nipote simone celani.
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DEA TERRA TRA ARTE E NATURA Torna l’appuntamento artistico organizzato da UDI Forlì - Archivio UDI Forlì-Cesena. Rosetta Berardi e Alessandra Bonoli protagoniste della mostra “Mirroring – rispecchiarsi nella Dea” La mostra si inaugura sabato 7 marzo - ore 17,30 e resta aperta fino al 29 marzo Info: 3489508631
È
l’Oratorio San Sebastiano (presso il complesso museale del San Domenico) la straordinaria cornice della nona edizione della mostra promossa da UDI Forlì Archivio UDI Forlì-Cesena. “Mirroring – rispecchiarsi nella Dea” è il titolo dell’esposizione che si inaugura il 7 marzo e che sarà visitabile fino al 29. Protagoniste dell’esposizione, curata da Angelamaria Golfarelli, sono due artiste di fama internazionale: Rosetta Berardi e Alessandra Bonoli, con opere che esprimono pienamente il tema conduttore attraverso la relazione fra Arte e Natura (è infatti la Terra la Dea citata nel titolo della mostra). Una relazione che nel percorso espositivo di entrambe le artiste è sempre stata fondante ed ha ispirato, nel caso di Rosetta Berardi, numerosissime sue opere ed installazioni, e nel caso di Alessandra Bonoli è divenuta elemento totalitario della sua intera produzione artistica. Mirroring esporrà, di Rosetta, uno straordinario lavoro pittorico di grandissimo impatto emotivo e poetico dedicato al rogo della pineta di Ravenna, che giocando sui toni del bianco e del nero eleva la rappresentazione di un dramma reale delineato dalla spettrale raffigurazione dei pini carbonizzati verso una sacralità profonda e seducente che impone una riflessione inderogabile sul ruolo devastante dell’uomo nei confronti dell’ambiente che abita e di cui, troppo spesso, dispone senza misura e rispetto. Alessandra, invece, da interlocutrice appassionata del paesaggio e delle sue più arcaiche e remote sonorità, esporrà le sue sculture geometriche offrendo ai visitatori l’incon-
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tro inusuale con le rigide regole matematiche che misurano il rapporto con la materia e lo spazio, e una sensibilità svelata e delicatissima che sancisce una visione ideale dell’artista e dell’opera d’arte che nell’ambiente non solo si colloca ma di cui riproduce i suoni e i respiri/sospiri, rivolgendo alla Dea profonda attenzione e rispecchiandosi in essa. In un amalgama perfetto che questa mostra sa rendere sia attraverso l’indagabilità di un evento doloroso, sia nella spettacolarità di un ascolto condiviso del respiro della Terra. Perché Rosetta Berardi e Alessandra Bonoli hanno voluto riempire di significati espressi e messaggi occulti il loro lavoro che, identificando il femminile con la Terra, consacra l’arte ad unico ed irrinunciabile elemento d’unione, portatore di rinascita e bellezza. Un elemento portatore di vita, quella stessa di cui Donne e Natura da sempre sono fautrici. b
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Quando la tavola non era imbandita
i sono stati tempi in cui le tavole erano imbandite più di amore che di ingredienti, più di fantasia che di grassi, più di immaginazione che di calorie. Era meno di un secolo fa, nel Dopoguerra, quando mangiare significava nutrirsi, quando la gola o la noia non c’entravano nulla. Eppure gli occhi e l’olfatto erano ripagati da piatti preparati dalle abili mani di mamme e mogli che con pochi alimenti accudivano la famiglia. Questo e non solo è Quando la tavola non era imbandita, testo realizzato dall’UDI di Ferrara per i suoi 70 anni e curato nello specifico da Micaela Gavioli e Vera Perri, con la complicità ‘involontaria’ di “NOIDONNE”. Già, perché le oltre sessanta ricette contenute sono state trascritte dai numeri pubblicati tra il 1944 e il 1949. La maggior parte risente della tradizione romana, con le sue ricche verdure, perché nella capitale, allora, la rivista aveva la maggiore diffusione. Ma Micaela e Vera hanno voluto omaggiare la città estense con un’appendice dedicata, frutto in questo caso della tradizione orale, con nonne che hanno svelato i loro ‘segreti’. Il risultato è uno straordinario spaccato di storia economica e sociale che percorre ad uno ad uno quegli anni. Scopriamo così che nel 1944, in piena Guerra, la cosiddetta ‘polenta di caccia’ altro non era che polenta insaporita con olio e rosmarino, e che di cacciagione non c’era traccia. O che nel 1949, a conflitto terminato, ‘mangiare insieme’ esprimeva un bisogno di aggregazione di cui è esempio l’arrosto di agnello allo spiedo per le festività pasquali. Il libro, davvero sfizioso, ‘scatta’ una fotografia della realtà che oggi potrebbe apparirci misera ma che era invece ricca di quella curiosità di cui per contro il benessere ci ha impoveriti. Il testo è molto più di un ricettario. È semmai un dizionario di antiche virtù che di questi tempi, chissà, potrebbe addirittura tornarci utile. Il libro si può avere contattando l’UDI Ferrara alla mail: udi@udiferrara. it o al tel. 0532/206233. Camilla Ghedini
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Presentato a Roma il bel documentario diretto dalla regista Mary Mirka Milo, dedicato alla poetessa ebrea polacca fucilata dai nazisti a soli 27 anni
A tutto schermo
La poesia spezzata di Zuzanna Ginczanka di Elisabetta Colla
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ochi la conoscono, anche perché non tradotta in italiano fino al 2011, anno in cui esce Un viavai di brumose apparenze, raccolta curata e tradotta dal preparatissimo saggista e traduttore Alessandro Amenta (le traduzioni inglese e francese datano comunque tardi, a partire dagli anni Novanta), ma la poetessa polacca Zuzanna Ginczanka (1917-1944), destinata a conquistare la fama ed a morire tragicamente in soli 27 anni, può ben rappresentare il simbolo di tutte le vite spezzate nel fiore degli anni dalle atrocità del nazismo, delle dittature e dell’insensatezza della guerra. A poche settimane dalla fine della guerra, Zuzanna viene catturata, torturata e fucilata. A ricordare e far rivivere la sua bellezza, il suo talento e le sue opere, contribuisce oggi il bel documentario La poesia spezzata. Zuzanna Ginczanka (1917-1944), diretto e prodotto, per Light History, dalla giovane e solare documentarista Mary Mirka Milo (già autrice de I nazisti a Roma, distribuito dall’Istituto Luce), con il sapiente montaggio di Alessandro Milo e le musiche originali di Fabrizio Bondi. Con una sceneggiatura scritta a quattro mani dalla regista e da Alessandro Amenta, utilizzando fonti originali e inedite, il documentario ripercorre la vita della giovane poetessa di origine ebraica, inserendola nel più ampio contesto degli avvenimenti storici che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento. Zuzanna, abbandonata da entrambi i genitori quando era bambina, cresce con la nonna ebrea di lingua russa in una famiglia allargata dove si parlava anche il polacco, imparan-
Mary Mirka Milo nasce a Roma nel 1975. Si laurea presso l’Università degli Studi RomaTre in Storia e comunicazione. Nel 2008 fonda la Light History, azienda specializzata nella produzione di documentari storici per il mercato italiano ed estero. Regista e sceneggiatrice, ha realizzato i documentari I nazisti a Roma e Sachsenhausen. Le due facce di un campo, distribuiti dall’Istituto Luce.
do così entrambe le lingue; frequenta poi una scuola molto selettiva e, già giovanissima, si dedica alla scrittura, alla poesia ed alla satira, pubblicando piccoli capolavori ed entrando a far parte dei più esclusivi circoli letterari della Varsavia anni Trenta. Femminista ante-litteram, Zuzanna compone, nel periodo della ribellione giovanile, una poesia dal titolo La rivolta dei quindicenni (1933) considerata da Amenta “un inno alla gestione autonoma del proprio corpo e alla necessità di espressione del proprio desiderio carnale”, tale che la sessualità femminile assume pari importanza rispetto alle conquiste spirituali e intellettuali. Raggiunto il successo e conosciuto l’amore, Zuzanna entra nella spirale della seconda guerra mondiale, sfuggendo miracolosamente molte volte alla Gestapo, fino alla denuncia di una portiera dello stabile dov’era nascosta. In quell’occasione Zuzanna scriverà la sua più celebre poesia Non omnismoriar, dove viene indicato, caso rarissimo, il nome della sua delatrice (la poesia servirà da prova, dopo la guerra, per far condannare la donna). In occasione dell’anteprima italiana del documentario, svoltasi alla Casa del Cinema (presenti Alessandro Amenta, il prof. Roberto Morozzo della Rocca consulente storico, la prof.ssa di letteratura polacca Laura Quercioli Mincer, il direttore dell’Istituto Polacco di Roma), abbiamo incontrato la regista, Mary
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Il nome del figlio Il nuovo film di Francesca Archibugi, remake del francese ‘Le prénom’
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Chi non ha amato la Archibugi, regista di film quali Mignon è partita, Il grande cocomero e L’albero delle pere, che tra gli anni Ottanta e Novanta lasciarono emergere uno stile personalissimo ed una visuale ‘al femminile’ delle storie di tutti i giorni, dove dramma e commedia si fanno l’occhiolino, tratteggiando con maturità e indulgenza aspetti critici della società, a partire dal cuore e dalle vite dei personaggi ritratti? L’approccio non è cambiato: allegro ma non troppo, malinconico quanto basta, il gruppo di famiglia in un interno, pennellato con tocco ora lieve ora feroce da Francesca Archibugi nel suo ultimo film Il nome del figlio, remake della nota pièce francese Le prénom, si avvale di un magnifico cast d’attori italiani in stato di grazia ed ottimamente diretti. Paolo e Betta Pontecorvo, fratello e sorella, con i rispettivi partner ed un amico di vecchia data, si ritrovano a cena in occasione dell’annunciata gravidanza di Simona, la moglie di Paolo, una strappona di periferia che scrive best-seller piccanti: intorno al nome scelto per il nascituro nasce una discussione che scatenerà una vera e propria sarabanda di ricordi d’infanzia, incomprensioni coniugali, gelosie sopite, insoddisfazioni personali, rivelazioni inaspettate. Ogni personaggio è tratteggiato ad arte dalla sceneggiatura scritta dalla stessa Archibugi insieme al bravo Francesco Piccolo ed incarna un carattere tipico
della nostra bella Italia: Alessandro Gassman, nel ruolo di Paolo, avvicina i suoi registri attoriali sempre più a quelli del padre; Valeria Golino (sguardo liquido e grande ironia, ormai a suo agio nei ruoli di mamma) interpreta Betta, l’ago della bilancia familiare, la donna intelligente che ha sempre anteposto la sua felicità a quella dei figli e del marito; Rocco Papaleo, nei panni di Claudio, l’amico musicista la cui vita sentimentale è avvolta in un fitto mistero; Luigi Lo Cascio è il versatile Sandro, l’intellettuale del gruppo, marito di Betta, professore frustrato e distratto, che inventa compulsivamente twitter di qualità per chattare con altri accademici; infine Micaela Ramazzotti è Simona, la moglie di Paolo, verace e poco raffinata, all’apice del successo col suo romanzo-spazzatura (un ruolo già sperimentato dall’attrice, quello della finta svampita, in realtà portatrice della saggezza popolare). “Questo film - afferma la Archibugi - parla di come amicizia ed amore, se profondi, abbiano un valore fondamentale anche se sono tormentati. Il nostro è stato un viaggio con un equipaggio di attori molto generosi, con i quali abbiamo lavorato prima in modo molto meticoloso e pignolo, per lasciare poi spazio all’improvvisazione: credo che in questo modo siamo riusciti a rendere omogenea la cifra recitativa. Nel film, al di là dei conflitti, c’è molto amore”. Un’orchestra ben suonata, dunque, una stupenda casa a due piani come co-protagonista, con alcuni tocchi di regia in esterni, che rendono il film meno claustrofobico dell’omologo francese.
Elisabetta Colla
Ovunque andrò, sarà sempre: avanti, ma ogni avanti mi riporterà indietro. Sfericità, 1933 A parte me stessa non conosco altra lontananza. Nota a margine, 1936 È un’arte non da poco: portare il peso della propria felicità, con gioia, con sacrilegio non piegarsi sotto il cielo. Zuzanna Ginczanka trad. A. Amenta
Mirka Milo: la serenità e la carica umana che trapelano dagli occhi azzurri e sorridenti di Mary e la sua affabilità oratoria si sposano con una profonda sensibilità professionale, anche se nessuno direbbe, da un primo contatto, che i suoi interessi siano rivolti ad argomenti e momenti storici così altamente drammatici e dolorosi.
Come e perché hai cominciato ad occuparti di Zuzanna Ginczanka?
Perché ho avuto modo di leggere le traduzioni delle sue poesie - nel volume curato da Alessandro (Amentandr) - e mi sono innamorata subito del suo modo di raccontare: ho iniziato a pensare come creare un tessuto storico-narrativo che accogliesse la storia di Zuzanna attraverso il racconto della Storia collettiva. L’ideazione e la scrittura sono andate di pari passo: è stato emozionante trovare al Museo di Varsavia alcuni scritti inediti e gli scritti originali, con le note e le cancellature di Zuzanna. Un altro momento importante per noi (Alessandro ed io) è stato l’incontro con la signora Stauber, una delle più care amiche della poetessa, oggi 95enne, scampata miracolosamente all’arresto, mentre suo marito è morto in Siberia. Nelle sue parole e nei suoi racconti abbiamo rivissuto la storia di Zuzanna, incredibilmente vivificata da quella testimonianza.
Che emozioni ha suscitato in te, mentre giravi il documentario, la figura di una donna e di un’autrice come Zuzanna, che racchiudeva in sé un’ “anima eterea” ed al tempo stesso una forte passionalità? La figura di Zuzanna ha destato in me da subito una grandissima curiosità, come figura femminile e come poetessa, e mi ci sono rispecchiata molto: la sua bellezza persiana, il colore dei suoi occhi, uno chiaro ed uno scuro (come le birre, dicevano gli amici), l’attualità della sua figura e della sua poesia, rivolta contro ogni forma di pregiudizio e di conformismo, mi hanno colpito ed affascinato. Inoltre si tratta di una donna che comincia a parlare di sessualità femminile con grande libertà per i suoi tempi, e che non si arrende mai: pur abbandonata dai suoi genitori, resiste, studia e si afferma. La sua personalità emerge anche nelle foto che la ritraggono, in cui lei è sempre molto riconoscibile e presente. Colpiscono anche la sua voglia di vivere e la sua ironia - che utilizza per deridere i suoi detrattori e le follie della guerra - sempre viva nonostante il periodo buio e difficilissimo che la storia attraversava. Speriamo di trovare un distributore in Italia che possa far conoscere questa storia. b
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LEGGErE L’ALBERO Di BrUnA BALDASSArrE
FAMiGLiA
Sentiamo l’Avvocata LA nEgOZIAZIOnE AssIsTITA
gLI sPETTRI CHE InIBIsCOnO LA COMPREnsIOnE Cara Bruna, Sono un ex insegnante di 68 anni. Da circa venti anni non ho rapporti con mia sorella e i suoi figli. Purtroppo i motivi, apparentemente di natura economica, sono invece dettati da profonda gelosia. Soprattutto per mio padre, già novantenne e vedovo, mi piacerebbe risolvere questi complicatissimi rapporti, ma sembra impossibile. Che cosa vedi dal mio albero? Francesca Cara Francesca, Il bambino cresce e matura attraverso le forze d’imitazione formando una struttura provvisoria dell’anima, che viene successivamente trasformata dall’Io. Nell’incontro con l’altro questa struttura riaffiora come una specie di ‘doppio’ di sé. Esistono delle forze non ancora elaborate che si trasformano e appaiono agli altri come se rappresentassero il vero Sé della persona. Tali parti possono diventare come veri e propri ‘spettri’ che inibiscono la comprensione reciproca. Fortunatamente l’Io umano è sempre in continuo sviluppo e orientato verso il futuro in modo che la vita diventi un’autentica biografia umana e non una sequenza casuale di eventi, cioè si trasformi in una ricerca sulle vie dell’Io. L’Io è responsabile del senso e del significato della nostra vita. Il processo della coscienza trova il suo punto di partenza per arrivare alla conoscenza dei compiti e delle mete personali. Il fatto che ti sia posto il problema nei termini che descrivi è un segno di conoscenza dei tuoi compiti. Non dipende soltanto da noi la realizzazione delle mete, ma l’andare incontro a quelle che diventeranno azioni determinanti nella nostra vita può alleviare il peso delle dure prove e fare un passo favorevole alla causa. Il tuo albero ci svela subito l’anima di una donna che ha imparato a difendersi con il silenzio, con l’adeguamento, e l’autoaggressività. Le esperienze significative leggibili dal tronco del tuo albero avvengono negli anni: 13, 21, 32, 38, 49, 59, 64. Sei in una fase della vita in cui occorre riscoprire il senso della meraviglia, magari riguardando la propria infanzia e provando un maggiore senso di gratitudine. Pazienza e autodisciplina possono aiutare a superare gli ostacoli più difficili spalancando la porta al Bene.
di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
C
on la nuova legge n. 162/2014 sulla negoziazione assistita sta cambiando il rapporto tra i coniugi che si separano o si divorziano. Oggi, in tempi brevissimi, solo con la presenza degli avvocati, se ci sono figli, oppure da soli se non ci sono minori o maggiorenni a carico, in pochi giorni ci si separa. È quanto è avvenuto a Roma, il PM del Tribunale ha infatti autorizzato l’accordo tra i coniugi nei quattro giorni successivi al deposito del ricorso, la prima autorizzazione rilasciata nell’anno a Roma applica in modo puntuale la Riforma sulla de-guirisdizionalizzazione delle procedure di separazione e di divorzio. Ora l’atto, siglato dai coniugi, con l’assistenza dei rispettivi legali, andrà depositato per la trascrizione nei pubblici registri anagrafici, entro 10 giorni, decorrenti dal ritiro presso gli uffici del PM. In caso di ritardi il legale può subire una sanzione da 2.000,00 a 10.000,00 euro prevista dalla stessa legge. I due iter (procedura senza la presenza di Giudici al di fuori degli Uffici Giudiziari ed il normale procedimento di separazione o divorzio innanzi al Presidente del Tribunale) assicurano gli stessi effetti per legge e identici gli accordi e i documenti richiesti: unica differenza sono i tempi, tre settimane circa per la cd. Negoziazione assistita, circa 8 mesi per la normale richiesta di separazione al Tribunale. È naturale che il compito degli avvocati, in un contesto in cui la separazione ed il divorzio vengono regolamentati al di fuori dei tribunali, assume un peso particolarmente delicato. Gli avvocati sono cioè chiamati ad un importante ruolo di mediazione e di negoziazione che la legislazione offre loro, motivo di crescita della sensibilità dell’avvocatura italiana verso quel ruolo di mediazione che nei paesi stranieri caratterizza la loro professione. Infine, un’ulteriore considerazione: la responsabilizzazione degli avvocati dovrebbe andare di pari passo con una loro specifica specializzazione. Sarebbe opportuno che si creassero albi di avvocati specializzati nelle materie più importanti e significative, che regolano la vita della nostra società.
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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
MARZO, PRIMAVERA E MOLTO DI PIÙ Ogni mese del calendario risulta carico di giornate da ricordare, ma certo il mese di marzo, per quel che rappresenta, si fa notare per la quantità di appuntamenti. Date che la natura stessa impone (come l’equinozio di primavera) o decise nel tempo per convenzione (come l’otto di marzo) o San Giuseppe, divenuta festa del papà. E ancora. Spesso marzo coincide con un po’ del Carnevale e della Quaresima. Sull’8 marzo e dintorni con i suoi significati, appuntamenti e riflessioni lasciamo alla lettura del giornale e alle tante notizie che ci raggiungeranno, anche in questo 2015. Sulla primavera mi piace soffermarmi per i tanti significati
che assume oltre (e grazie) alle sue caratteristiche di una stagione che ci regala il rifiorire della terra e il benessere del tepore che si affaccia anche fra le piogge o i freddi improvvisi. Persino le nevicate a sorpresa, che possono arrivare all’inizio della primavera, motivano i tanti proverbi che lo definiscono nella sua imprevedibilità come “marzo pazzerello guarda il sole e prendi l’ombrello” - solo per citarne uno dei tanti che ben sintetizza l’andamento stagionale nel nostro emisfero. Perché vale la pena di ricordare che quando qui la primavera matura, altrove l’autunno incalza. La primavera
è da sempre simbolo del rinnovamento, della speranza di novità positive, di vitalità e rigenerazione. È anche un po’ segno di follia, come insegna il mese di marzo che ne annovera fra le ricorrenze il “suo compleanno”. E proprio in un’epoca così complessa e difficile come quella che stiamo attraversando forse la primavera rappresenta un riferimento a cui ispirarci, lavorando per novità positive, per nuovi inizi ma valutandone le difficoltà, le fragilità e la mutevolezza. Senza per questo arretrare dalla ricerca del rinnovamento. D’altra parte se una rondine non fa primavera, è lì ad annunciarci che le sue tante sorelle arriveranno a breve, in gruppo, dopo il lungo viaggio che le riporta dall’Africa dove emigrarono all’arrivo dell’autunno. E così magari: “Per San Benedetto avremo la rondine sotto il tetto”. “Vorrei girare il cielo come una rondine”, cantava Lucio Dalla nella bella canzone dedicata a questi uccelli che tornano sempre nidificando ovunque vi sia uno spazio protetto: nelle stalle in campagna, nei campanili o nei sotto tetti di case sicure. Marzo, di nuovo con la sua ricchezza e con il suo “disordine”, ci invita a ricordare San Giuseppe e con lui la figura del padre, magari gustando un gustoso bignè (di San Giuseppe, appunto) che con il suo ripieno di crema possa addolcire ogni pensiero. Le giornate si allungano e l’ora legale, rubandoci un po’ di sonno, ci dona luce in più da vivere per allungare il tempo delle cose che desideriamo fare. A proposito… il mese in questione da il nome anche ad un formaggio tipico del Lazio: le marzoline. Latte di capra o misto con pecora al sapore d’erba fresca, piccole pezzature di forma cilindrica, consistenza a seconda della stagionatura; vanno consumate fresche, stagionate o sott’olio in inverno.
RICETTE Bignè o zeppole di san Giuseppe Fritte o al forno, data la lunghezza della ricetta, si consiglia un libro o sito di cucina. SPAGHETTI CACIO e PEPE Il segreto sta nello squagliare il pecorino grattato (200 gr x 400 gr pasta) con due mestoli d’acqua di cottura degli spaghetti, in un cucchiaino d’olio buono e nel pepe fresco. CIAMBELLINE AL VINO Ingredienti per quattro persone: un bicchiere d’olio extravergine, un bicchiere vino bianco secco, farina 00 quanto basta, un bicchiere di zucchero semolato, una bustina di vanillina. Miscelare vino, olio, zucchero con una frusta, incorporare la farina fino ad avere un composto omogeneo; preparare ciambelline da infornare a 180° fino a doratura.
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ALICE È NATA IN CONSULTORIO
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l National Institute for Health and Care Excellence (NICE) nel dicembre scorso si è pronunciato sui luoghi del parto in modo innovativo, alla luce delle evidenze scientifiche: “Donne con gravidanze a basso rischio devono essere incoraggiate a partorire al di fuori dei tradizionali centri nascita ospedalieri, ma in ambienti, compresa la propria casa, con assistenza di ostetriche, non necessariamente attaccati all’ospedale”. In tal modo le donne e le persone che nascono corrono meno rischio di essere esposte a pratiche diagnostico terapeutiche inutili e potenzialmente dannose e ai rischi connessi al ricovero ospedaliero, a partire dalle infezioni nosocomiali. Contemporaneamente l’OMS si pronuncia contro la mancanza di rispetto e abusi verso le donne nei servizi implicati nel percorso nascita, considerando ciò non solo una violazione dei diritti delle donne a una assistenza rispettosa ma anche un insulto al loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità del corpo e alla libertà dalla discriminazione. Si ha a che fare quindi di una questione importante di sanità pubblica e di diritti umani. Le recenti raccomandazioni sul clampaggio del cordone ombelicale solo dopo la cessazione delle pulsazioni rappresentano una ultima puntualizzazione che coniuga i diritti della donna e della persona che nasce, nella consapevolezza che promuovere le competenze delle donne e delle persone che nascono ed averne pieno rispetto rappresenta una obbligazione assoluta della sanità pubblica. Ancora una volta Maita Sartori, dopo la sua straordinaria esperienza di assistenza rispettosa alla nascita sul ponte della nave Etna della Marina Militare nella missione Mare Nostrum, ci racconta di un altro evento simbolicamente straordinario: “Alice è nata in Consultorio mercoledì mattina. Sì, in un consultorio pubblico della nostra ASL nella prima cintura di Torino! Ed è nata con la camicia! Non solo perché le membrane si sono rotte spontaneamente poco prima della nascita, ma anche perché la sua mamma era contenta; l’ostetrica che l’ha seguita durante la gravidanza e l’ha accolta con sicurezza e un po’ di stupore, era contenta. L’infermiera pediatrica di cui aveva sentito la voce durante gli incontri di Accompagnamento alla Nascita che l’ha asciugata ed avvolta in un panno pulito e l’ha avvicinata al seno della sua mamma, era contenta! La sua mamma, una giovane donna italiana alla sua terza gravidanza, aveva un appuntamento in consultorio per un controllo a termine. Aveva un particolare dolore sul pube dal mattino, diverso dai dolori degli altri parti. Era indecisa se andare in ospedale o in consultorio. Ha deciso di andare all’appuntamento in Consultorio”. Non so come la pensiate, io credo che la mamma abbia scelto la continuità. Abbia scelto le persone che nei mesi hanno saputo valorizzare le sue capacità di scelta creando un legame di fiducia. Ecco credo che Alice e la sua mamma ci abbiano dato una gran lezione e fatto un gran regalo! Grazie di cuore, Maita. Applicare finalmente il Progetto Obiettivo Materno Infantile con il potenziamento e la riqualificazione dei consultori familiari rappresenta il punto di svolta cruciale per una sanità pubblica che promuove la salute come bene comune e contemporaneamente difende la sua sostenibilità.
DONNE
E CONSUMI di Viola Conti
TARIFFE:
AUMENTATE IL DOPPIO DELL’INFLAZIONE Il CREEF - Centro Ricerche Economiche Educazione e Formazione della Federconsumatori - ha aggiornato la consueta analisi sull’evoluzione delle tariffe dei servizi negli ultimi 10 anni. Da tale indagine emerge chiaramente che nell’ultimo decennio le tariffe sono aumentate mediamente del 41%, a fronte di un’inflazione del 20,4%. L’incidenza del costo di tali voci risulta, pertanto, sempre più pesante sulla spesa complessiva delle famiglie.
La crescita più marcata dal 2004 al 2014 è stata quella delle tariffe dell’acqua (+80,1%), dei rifiuti (+70,3%), dell’energia elettrica (+48,4%), dei trasporti ferroviari (+46,2%), del pedaggi autostradali (+46,5%), del gas (+42,9%), dei trasporti urbani (+33,5%). Il maggiore aumento si è registrato in servizi vitali per le famiglie, unico dato in controtendenza, -15,7% nei servizi di telefonia. Una seconda analisi suddivide invece l’andamento di tali tariffe in due fasi: una precedente alla crisi, dal 2002 al 2008, l’altra in piena crisi, dal 2008 al 2014. Basta dare uno sguardo alle tabelle riassuntive per comprendere come, nonostante la crisi ed il concomitante calo del potere di acquisto delle famiglie, alcune tariffe (acqua, rifiuti e trasporti) siano aumentate in maniera decisamente più pesante rispetto alla fase pre-crisi. Questo denota come la concorrenza in alcuni servizi non ha funzionato o non è mai decollata, la mancata vigilanza, il peso sempre più forte della pressione fiscale e, in alcuni casi, vere e proprie speculazioni hanno portato ad un aumento insostenibile delle tariffe, contribuendo cosi al grave impoverimento delle famiglie a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi anni. Proprio a causa dell’aumento dei costi relativi a tali servizi si registra, inoltre, un grave aumento della morosità e delle richieste di sospensione delle forniture. “Quel che è peggio è che, alla luce dei tagli agli enti locali apportati dalla nuova legge di stabilità, tali tariffe sono destinate a schizzare ulteriormente verso l’alto, in un quadro di deflazione - dichiara Mauro Zanini, Vice Presidente della Federconsumatori -. Una politica inaccettabile che comprometterà fortemente il potere di acquisto delle famiglie, già ridotto ai minimi termini, incidendo in maniera sempre più negativa e depressiva sull’intero andamento dell’economia.”
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L’OROSCOPO DI
Marzo
PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI
CARA LEONE,
CARA ARIETE,
“Non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo e mi fanno perdere anche un solo secondo di vita”. Anche tu, come me, condividi questa affermazione dello scrittore Goffredo Parise? Penso proprio di sì, specialmente nel corso di questo mese dall’aria frizzante, che annuncia una primavera piena di opportunità, sotto i migliori auspici dei pianeti. Fa’ in modo di non perdere nemmeno un secondo, un millesimo di secondo, di vita! CARA TORO,
lo scrittore Franco Arminio, che si definisce “paesologo”, ha detto una volta: “Vado per vedere un paese, ma alla fine è il paese che mi vede, mi dice qualcosa di me, che nessuno sa dirmi”. C’è un luogo che ti fa lo stesso effetto? Lo so che sei concreta e realista, e che vorresti indicazioni astrologiche ben più precise. Ma è proprio la tua ritrosia rispetto ai voli pindarici che mi induce a dedicarti queste righe un po’ sognanti (sono fatta così!). Cerca un luogo da cui sentirti guardata... CARA GEMELLI,
Pellegra Bongiovanni, poetessa siciliana vissuta nel Settecento, scrisse dei versi rispondendo al Petrarca a nome di Laura. Mi sembra geniale, e anche una specie di gustosa vendetta per il tempo scolastico passato a studiare il Canzoniere, o altri autori intoccabili. Pellegra dimostra che anche i grandi - Dante, Petrarca, Boccaccio eccetera - possono essere nostri diretti interlocutori. Guardati intorno e rifletti sui rapporti che intrattieni: è il momento di guadagnare, e mantenere, una posizione di parità. CARA CANCRO,
per questo mese ti dedico la riflessione del poeta Henri Michaux, che ha affermato di amare “le ripetizioni, le lungaggini, andare piano per la mia strada, tornare, tornare alla stessa cosa, essere litania, litania, come la vita, e star lì a lungo prima di finire”. È vero che il Sole e Nettuno ti sollecitano e ti rendono creativa, ma ti consiglio di non abbandonare il modo che ti è più proprio, onirico, nostalgico e comunque amante dei ritmi lenti.
“So che dietro non c’è niente. Se ci fosse qualcosa lo vedrei”, così scriveva Frida Kahlo al suo amore adolescenziale Alejandro Gómez Arias. Sarò telegrafica, dicendoti che questa netta affermazione della pittrice ci insegna almeno due cose: che spesso non c’è nulla dietro le apparenze e, nello stesso tempo, che è necessario e importante avere fiducia nella propria capacità di vedere, il mondo, le persone, i rapporti. CARA VERGINE,
scriveva Hegel (giustamente combattuto da Carla Lonzi, ma pur sempre un gran filosofo!) che un soggetto “è colui che è capace di avere in sé la contraddizione di se stesso e di sopportarla”. La capacità insomma di sentire e vivere nella consapevolezza dei propri limiti. Tuttavia, ciò rende questo soggetto anche infinito, poiché oltrepassa se stesso nel desiderio. Ebbene sì, ho detto proprio “desiderio”. E aggiungo: Venere molto positiva dalla metà del mese... CARA BILANCIA,
nel suo libro Clandestini. Animali e piante senza permesso di soggiorno, Marco Di Domenico presenta, attraverso brevi ritratti, specie animali o vegetali che hanno colonizzato habitat differenti da quelli di origine, stravolgendo gli ecosistemi che hanno incontrato o colmandone i vuoti. È il momento di immaginare il tuo personale e fantasioso “sistema di dispersione”, amica mia. Per combattere Marte, un po’ fastidioso, prova a superare i confini che senti come imposti. CARA SCORPIONE,
voglio tornare con te sulla vicenda Pellegra Bongiovanni, verseggiatrice settecentesca già citata nell’oroscopo dei Gemelli, che nel suo canzoniere ha dato la parola al personaggio di Laura, permettendole finalmente di rispondere, in differita, a Petrarca. Dare vita, e dare la parola, a qualcuno che è stato dimenticato, o che non l’ha mai avuta, levare dall’oblio, e ascoltare quello che potrebbero dire personaggi minori, secondari e nascosti. Questo potrebbe essere il tuo compito.
CARA SAGITTARIO,
“È un inganno ottico associare la mobilità all’efficienza. Il cameriere che, trafelato, volteggia tra i tavoli [...] è più lento del cameriere impassibile che posa i piatti con cautela. [...] Terragni era mobile nel significato più proficuo: faceva muovere gli altri”. Nel leggere queste considerazioni di Giuseppe Pontiggia su un personaggio del suo romanzo La grande sera, ho pensato a te e alla tua voglia di muoverti e viaggiare. Per questo mese, suggerisco di ascoltare il nostro autore: insomma, fai muovere qualcun altro... CARA CAPRICORNO,
il libro di Stefano Catucci Imparare dalla Luna prende l’avvio dalla volontà manifestata dalla Nasa di musealizzare, di considerare tesori culturali, i residui e le tracce lasciate dagli uomini sul nostro satellite. Si arriva così a riflettere sul nostro rapporto con il passato, che tendiamo a congelare in delle forme fisse anche quando è piuttosto recente. Non starai rendendo più prezioso qualcosa che hai vissuto, soltanto perché ricordandolo lo ammanti di nostalgia? CARA ACQUARIO,
il regista Giulio Questi, scomparso recentemente, negli ultimi anni ha realizzato vari cortometraggi in digitale. Di questi film è stato detto che, più che raccontare qualcosa, raccontano l’azione stessa e l’energia del girare. Qualcuno ha parlato di “action shooting”, parafrasando l’espressione action painting, usata per esempio per l’artista Jackson Pollock. Hai davanti un mese molto attivo: quello che ti interessa non è tanto che cosa sperimenterai, quanto il processo, il movimento, l’avventura. Evviva! CARA PESCI,
ti dedico questi versi di Rainer Maria Rilke. “Io temo tanto la parola degli uomini. Dicono sempre tutto così chiaro: questo si chiama cane e quello casa, e qui è l’inizio e là e la fine! [...] Vorrei ammonirli, fermarli; state lontani! A me piace sentire le cose cantare! Voi le toccate e diventano rigide e mute!”. Secondo te chi è che sta parlando? Un animale? Una donna? Un bambino? Secondo me, in ogni caso, è del tuo stesso segno: una Pesci sognatrice che sente il canto del mondo.
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Carla Mussi
La fiaba della poesia Una scrittura dove la magia cede il passo alla scoperta di una realtà feroce e inquieta di Luca Benassi
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arla Mussi è nota soprattutto come scrittrice di racconti (“La vera morte del pesce viola”, Edizioni Gazebo, Firenze 2000) e per rade apparizioni in antologie e riviste. Adesso esce allo scoperto come autrice di poesia, grazie al prestigioso premio Astrolabio che ha classificato al secondo posto la silloge “il cattivo dono”, pubblicata da edizioni Puntoacapo nel 2014, con una postfazione di Valeria Serofilli. Il libro rivela una poetessa acuta, dotata di rara perizia per un’esordiente, la cui scrittura si muove sui terreni della fiaba e del racconto, nei quali la magia del favoloso si innesta nell’amara scoper-
ta di una realtà feroce e inquieta. Non è un caso che i testi rimandino, soprattutto nella prima parte del libro, a Pinocchio e all’illusione di un paese nel quale il gioco e l’allegria mostrano la doppia faccia dell’ignoranza e della derisione. Non manca, infatti, un continuo ricorso al sarcasmo e all’ironia, che a volte trascende in un grottesco dai toni alterati, vicino all’illusionismo del capolavoro di Collodi, senza mai arrivare ad una resa incondizionata, ma, come osserva Serofilli, “con versi secchi e graffianti, non privi di una certa aggressività, dai quali emerge sempre la forza della parola, con quella consapevolezza anche del proprio male.” Si veda il testo di chiusura dove la ‘fine’ è resa in modo spiccio, attraverso il ricorso alla metafora scacchistica declinata in una manciata di versi brevi, fulminanti, attraverso una logica quasi matematica, di una consapevolezza che non lascia scampo, ma che allo stesso tempo segna una resa scelta e non subìta: “è mancato l’alfiere/ il cielo si è preso la torre/ ha mangiato la regina/ vacilla il re/ quel che fatto è fatto/ mi arrendo/ scacco matto.” Questa poesia si dipana in una serie di quadri o fotogrammi, debitori dell’esperienza narrativa, che spostano continuamente il punto di vista, l’assetto dell’osservazione, con esiti stranianti: è questo lo stratagemma per risolvere una centralità dell’io alle prese con le aporie di un’esistenza che si percepisce inquieta, in un continuo movimento di discesa e risalita, ma che tende al metafisico, al dialogo con un dio da amare, sfidare, accusare. Più di tutto Mussi crede nella parola, nella sua forza, nel suo essere terreno di caccia, di confronti, di vita; una terra di esilio come diceva Celan, nella quale tuttavia trovare la verità di se stessi: “in ogni parola nascondersi/ in ogni parola mostrarsi/ vacillare al soffio/ delle sillabe/ e sulle corde vocali/ arrampicarsi fino alle dita/ essere il soffio/ conoscere un luogo/ senza dimora/senza decenza.”
Il premio Quando potrò scavare nel campo dei miracoli non troverò le mie monete d’oro. Nella terra profonda tra i semi, tra radici, luccicherà il coltello e fremerà alla luce. Sobbalzeranno prive di pietà nel cuore, come un tonfo, la mia credulità e il mio trionfo. ~
Il lanciatore di coltelli Sono io il lanciatore di coltelli che non vede più bene la mano trema e teme ma non cerca rinunce. Sono la sorridente ragazza, infreddolita a braccia aperte contro il tabellone su cui prendo la mira. Nel mio niente, svestita l’oscurità infinita. ~ Questo non è un giorno amichevole, scucivo le tasche dei cappotti per perderci dentro i biglietti per perderci tempo a cercarli, nella fodera scoprivo i resti di altri giorni ormai inutili resi ciechi dal buio, sapevo perdere bene, non come questo umore che si perde per strada come un idiota uscito dall’ospizio che chiede a tutti soldi e sigarette, e brancola infelice senza vendette.
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