FEBBRAIO 2014
prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 69 - n.2 ISSN 0029-0920
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COOPERATIVE IL NUOVO WELFARE
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PICCOLI STEREOTIPI
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Fai del tuo otto marzo un giorno di impegno a favore delle donne Listino vendita copie noidonne 2014
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Febbraio 2014
DELFINA
di Cristina Gentile
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www.noidonne.org
SOMMARIO
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10/19 FOCUS/ PICCOLI STEREOTIPI CRESCONO
01 / DELFINA di Cristina Gentile 03 / EDITORIALE di Marina Caleffi
10 La SCreen Generation e La pSiChiatria infantiLe interViSta a federiCo tonioni puBBLiCità: L’opinione di franCeSCa poMBieri di Marina Caleffi
SPECIALE: 1951/1960 secondo inserto di Silvia Vaccaro
4/7 ATTUALITà 04 ChiaMarSi roSSana e non eSSere (Stata) feMMiniSta di Giancarla Codrignani
12 i Bei LiBri Che SpieGano Le differenze iL proGetto deLL’aSSoCiazione SCoSSe di Silvia Vaccaro
05 La LeGGe eLettoraLe e L’aCCordo di azione CoMune per La deMoCrazia paritaria
15 La (MaLa)eduCazione StradaLe i CarteLLi SeSSiSti e La Street art di Marta Mariani
06 MarianeSiMo, ConfLitto ed eCLiSSi di dio di Stefania friggeri
16 WeLL_B_LaB*/La parità Si CoStruiSCe anChe GioCando di Giovanna Badalassi
8/9 BIOETICA
18 BaMBini e BaMBine CoMe SCriGni M.r.doMiniCi e iL proGetto pSiCantropoS di Camilla Ghedini
neLLe CarCeri e nei Cie: quaLe tuteLa deLLa SaLute? di Grazia zuffa
FEBBRAIO 2014 RUBRICHE
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20/25 JOB&JOB
38/43 APPRODI
20 Cia/donne in CaMpo aGriCoLtura e SerVizi: L’innoVazione è donna di rosa anna devito
libri
22 perCorSi CooperatiVi/Cadiai SerVizi SoCiaLi: una BeLLa iMpreSa! interViSta a franCa GuGLieLMetti di Maria fabbricatore
38 iL CuoCo di BurnS niGht/roBerto aGoStini di elisabetta Colla
24 Life CoaChinG/2 Lo Spazio per Se SteSSe di Catia iori
DirettorA tiziana Bartolini
Anno 69 - numero 02 Febbraio 2014
eDitore Cooperativa Libera Stampa a.r.l. Via della Lungara, 19 - 00165 roma
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PresiDente isa ferraguti
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38 Storia di Stefania noCe/Serena Maiorana di Valentina ersilia
38 CharLotte deLBo: una MeMoria, MiLLe VoCi di isa ferraguti 39 udi /preMio iMMaGini aMiChe
26/27 EmILIA ROmAgNA
40 LSB the SerieS / La priMa WeB Serie di Silvia Vaccaro
28 /37 mONDI
40 SGuardi S-VeLati/teatro due, roMa di Silvia Vaccaro
28 VietnaM/dopo La Guerra un LunGo CaMMino di Costanza fanelli 32 Lettonia/andra e MarGarita, Mara e VizMa: paroLe e VerSi da ConoSCere di Cristina Carpinelli 35 SpaGna/aBorto: da diritto a deLitto di emanuela Borzacchiello
Mensile di politica, cultura e attualità fondato nel 1944
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Amiche e Amici Del Progetto noiDonne
Clara Sereni Michele Serra nicola tranfaglia
Laura Balbo Luisella Battaglia francesca Brezzi rita Capponi Giancarla Codrignani Maria rosa Cutrufelli anna finocchiaro Carlo flamigni umberto Galimberti Lilli Gruber ela Mascia elena Marinucci Luisa Morgantini elena paciotti Marina piazza Marisa rodano Gianna Schelotto
ringraziamo chi ha già aderito al nuovo progetto, continuiamo ad accogliere adesioni e lavoriamo per delineare una sua più formale definizione L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o cancellazione contattando la redazione di noidonne (redazione@noidonne.org). Le informazioni custodite nell’archivio non saranno né comunicate né diffuse e verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati il giornale ed eventuali vantaggiose proposte commerciali correlate. (L.196/03)
41 Centro di CuLtura deLLe donne hannah arendt auSChWitz, iL doVere di riCordare La Shoah
07 Salute BeneComune di Michele Grandolfo 09 Il filo verde di Barbara Bruni 19 Le idee di Catia iori 21 Strategie private di Cristina Melchiorri 44 Leggere l’albero di Bruna Baldassarre 44 Famiglia, sentiamo l’avvocata di Simona napolitani 45 Spigolando di paola ortensi 46 Con ago e filo fondazione Cerratelli 46 Donne&Consumi di Viola Conti 47 L’oroSCopo DI Zoe 48 poeSIa Giovanna Gentilini il lievito della poesia di Luca Benassi
42 hannah arendt/MarGarethe Von trotta di elisabetta Colla 43 anita B./roBerto faenza di elisabetta Colla
ringrAziAmo le Amiche e gli Amici che generosAmente qUesto mese hAnno collAborAto
daniela angelucci Giovanna Badalassi Bruna Baldassarre tiziana Bartolini Luca Benassi emanuela Borzacchiello Barbara Bruni Marina Caleffi Cristina Carpinelli Giancarla Codrignani
elisabetta Colla Viola Conti rosa anna devito Guendalina di Sabatino Valentina ersilia Maria fabbricatore Costanza fanelli isa ferraguti Stefania friggeri Cristina Gentile Camilla Ghedini Michele Grandolfo Catia iori Marta Mariani Cristina Melchiorri roberta Mori
Simona napolitani paola ortensi anna pariani Silvia Vaccaro Grazia zuffa
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BrandInfanzia tra stereotipi e mercato
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hi ha molto a che fare con i bambini scoprirà che nessuna azione esteriore resta senza influsso su di loro”. La riflessione di Goethe sembra essere quanto mai up to date. La comunicazione interviene in maniera determinante nella costruzione della realtà. E la nostra è “l’era delle rappresentazioni”. La pubblicità suggerisce prodromi per la costruzione di tale rappresentazione e “struttura” un sistema normativo dal quale apprendere significati, orientamenti e valori. I media forniscono un’immagine della realtà alla quale uniformarsi. E così monta la corrente. La televisione con la miscellanea tra programmi e pubblicità ha forgiato il bambino consumatore. Le nuove tecnologie hanno ampliato la gamma dei consumi possibili. Internet ha spostato l’asta ancora più in alto: i bambini e le bambine non sono più solo fruitori e fruitrici di un palinsesto più o meno idoneo, ma ha regalato loro la mobilità in “praterie” che si possono scegliere o addirittura creare bespoke. I minori, che sono forti consumatori, tendono a trarre elementi di realtà più dalla televisione e dal mondo digitale che dalla realtà stessa. L’efficacia degli spot ha raggiunto livelli sempre più alti, sviluppando un linguaggio innovativo che il “piccolo”, e permeabile, pubblico ha imparato a decriptare. Oggi la pubblicità rappresenta la versione 2.0 del corpus fiabesco, costituita da linguaggio animato; l’aiutante magico, il mondo alla rovescia, diventano il bagaglio culturale e formativo delle nuove generazioni. In molti casi il messaggio rappresenta uno stereotipo di genere, cioè una categoria distintiva dell’essere, o del “fare”, femminile e maschile. Se nella pubblicità ci sono delle bambine, queste hanno sempre “ruoli femminili”: im-
parano a badare alla casa e ai figli. Al contrario i maschi si dedicano ad attività sportive, giocano con gli amici, sono avventurosi, spericolati e ingegnosi. Le ragazzine aggraziate, responsabili, diligenti o ammiccanti e seduttive… Le mamme sono quasi sempre felici e disponibili e quando lavorano hanno comunque tempo per tutto e per tutti. I papà riverberano successo, sono quasi sempre serviti, e se la pubblicità assegna loro ruoli nuovi, chiedono consiglio alle donne in quanto “vere” detentrici delle skills. Le donne sono sempre belle, slim, con capelli fluenti, make up perfetto e quasi sempre seminude. Musica, colori, tono della voce - spesso a parlare sono voci infantili - concorrono a stimolare le emozioni. Quando la pubblicità racconta le persone comuni sembra suggerire che “con la normalità non si fa strada”. E, va senza dirlo, che senza quel prodotto, non si potrà mai essere “all’altezza”. Inoltre molte pubblicità spostano l’attenzione dal prodotto pubblicizzato alla “coppia di soggetti”, adulti o bambini che siano, parlando di “conquista”, “seduzione”, e facendo intendere un “dopo”, cioè uno sviluppo successivo della relazione, magicamente realizzabile grazie al consumo di quel determinato prodotto. Ma la black list potrebbe arricchirsi di altre voci…che “gridano vendetta”. Di questo e molto altro occorre scrivere perché, al di là di valutazioni non proprio ottimistiche, il tema scotta, ci riguarda come donne, cittadine, communication makers, kidmarketers, padri e madri. E interroga la nostra responsabilità su quanto facciamo, come e perché il “secolo dell’infanzia” sviluppi in pienezza il proprio potenziale. Marina Caleffi Twitter@MarinaCaleffi
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CHIAMARSI ROSSANA E NON ESSERE (STATA) FEMMINISTA di Giancarla Codrignani
Una riflessione sul protagonismo delle donne e sui ‘territori neutri’. A partire da Rossana Rossanda che quest’anno compie 90 anni e ha appena pubblicato due libri Rossana Rossanda
è l’esempio più importante (e istruttivo) del prezzo che pagano le società, nate tutte patriarcali, per continuare a negarsi il contributo delle donne, omologate o non omologate che siano. Rossana ha appena raccontato Il film del secolo (Bompiani) in cui la centralità della presenza femminile non ha trovato protagonismo storico. In Quando si pensava in grande (Einaudi) ha anche raccolto venti “colloqui” già pubblicati sul Manifesto, tutti con importanti testimoni del Novecento: “gli interrogati sono tutti uomini, come se non avessi incontrato nessuna donna coinvolta nella politica ‘classica’. Dico ‘classica’ perché i personaggi femminili più impegnati che ho avuto la fortuna di conoscere lavoravano su quella questione fondamentale che poteri, storia e diritto hanno sempre tenuto sottotraccia, cioè il rapporto e il conflitto di genere che percorre tutta la vicenda umana”. Era logico che una donna interessa-
ta al mondo in cui è nata, in cui ha occupato ampi spazi del territorio che chiamiamo “neutro” e che è vissuta tra ideologia e politica in termini di rivoluzioni, riforme, modi di produzione, democrazie e fascismi, privilegiasse il ragionare del genere egemone, dentro il quale stavano (e stanno) le convenzioni. Ancora oggi ragazzi e ragazze dai libri scolastici e dall’università imparano la neutralità del pensare, perfino quando incontrano elementi “di genere”: non si insegna che alle donne spettano non erogazioni di benefici, ma attuazione di diritti specifici. Per avere accesso all’universale non è ancora stato rotto il principio dell’Uno: così le donne stanno a disagio dentro le religioni per l’impossibilità di riconoscersi nel nome inesorabilmente maschile assegnato al divino da chi lo vede a propria immagine; e stanno a disagio sia nelle società gerarchiche inventrici dei ruoli, che sono superiori e inferiori a partire dal confronto uomo/donna, sia nelle lo-
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giche di potere che fino a poco fa discriminavano i figli in “legittimi” o “illegittimi” a beneficio del patrimonium, cancellando - cancellazione che permane - il diritto di chi i figli li fa, tutti allo stesso modo, ovunque. Rossana - che non è mai stata una femminista secondo i canoni, cosa di cui giustamente non le importa nulla, anche perché vi è poi entrata alla grande - è sempre stata fortemente donna per un sacco di ragioni evidenti ed ha goduto in misura eccezionale di considerazione, stima e successo nella società degli uomini che le hanno permesso di emergere come uno di loro perché lei gli teneva testa senza subalternità di nessun tipo e perché loro ne avevano paura. L’eccezione poteva essere femmina, per giunta bella. Tuttavia Rossana ha conosciuto anche donne autorevoli proprio in quel mondo politico della sinistra (e non solo) che conosceva meglio: perché non ne ha intervistata nessuna? perché anche se si chiamavano Anselmi o Tedesco, nella storia comune che pur scrivevano, “non contavano”. Gesù sfamò cinquemila persone “senza contare le donne e i bambini”, dicono gli evangelisti: nemmeno oggi le elette, le dirigenti, le ministre sono destinate a diventare memorabili. Non solo perché le Santanché e le Lombardi M5S vengono usate alla grande sui media pur essendo solo delle pedine, ma perché un’Emma Bonino, nostro ottimo ministro degli esteri, non fa notizia. E nemmeno i femminicidi impongono agli uomini il bisogno di interrogarsi. Il secolo che Rossana ha vissuto è stato un film, con scene di realismo sociale, di conflitti non risolti e grandi buffonate. Non sappiamo chi ne testimonierà il senso, tanto meno il senso che avrebbero voluto le donne. Prima o poi ci si accorgerà che, per evitare danni dalle trasformazioni del mondo in crisi, c’è bisogno della cultura-femmina. Rossana dà la misura di quanto si perde quando il “pensare in grande” abita un corpo di donna.b
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lEggE ElETTORAlE: NON SARà NuOvA SENzA pARI OppORTuNITà L’Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria: prevedere candidature paritarie donna-uomo e garanzie adeguate
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opo la pubblicazione delle motivazioni della Corte Costituzionale di critica alla vigente legge elettorale politica (il cosiddetto “porcellum”) sembra sia stata fissata una data ravvicinata per l’approvazione, da parte della Camera dei Deputati, di un nuovo testo di legge elettorale, anche indipendentemente dall’adozione delle riforme costituzionali. Come Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria (che raccoglie più di cinquanta associazioni, reti e gruppi femminili) desideriamo far presente di aver tempestivamente inviato al Presidente del Consiglio, al Ministro per le riforme, ai Capigruppo di Camera e Senato, al Segretario del PD e alle donne parlamentari il nostro documento per una legge elettorale “women friendly”, nel quale sono contenute le proposte per assicurare, quale che sia il sistema elettorale prescelto, norme che garantiscano una presenza paritaria delle donne fra i candidati e garanzie per la loro elezione. Tuttavia, dalle notizie di stampa sulla discussione in atto tra i partiti, non sembra che si tenga nel debito conto il problema del riequilibrio della rappresentanza sotto il profilo del genere. Auspichiamo che il problema venga tenuto presente nella Commissione competente della Camera dei Deputati e chiediamo che una nostra delegazione sia ricevuta dalla Commissione per poter illustrare le proposte. Esprimiamo fiducia nel protagonismo delle donne parlamentari e rivolgiamo loro un caldo appello perché agiscano concordemente a difesa del diritto delle donne alla parità di opportunità nella legge elettorale. Per l’Accordo: Daniela Carlà, Roberta Morroni, Marisa Rodano
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MARIANESIMO
CONFLITTO E L’ECLISSI DI DIO di Stefania Friggeri
La Vergine Maria parla alle anime semplici ed innocenti. A cosa serve una figura materna che soccorre e perdona Quali risposte trova nella tradizione cattolica l’urgenza di vivere entro una dimensione che risponda al bisogno di spiritualità? L’interrogativo ha una sua giustificazione perché, con l’accondiscendenza della Chiesa ufficiale, molti fedeli ormai hanno involontariamente decretato l’eclissi di Dio, sostituito nel tempo, passo dopo passo, dalla Vergine Maria: Cristo se ne sta sofferente in croce, Dio padre, un vecchio disinteressato e forse disgustato dallo spettacolo degli umani, è lontano e silente, la Madonna invece appare e parla anche ripetutamente alle anime semplici ed innocenti (ragazzini, pastorelle), come la Madonna di Medjugorje; e poi c’è la Madonna di Lourdes, quella di Fatima, quella di Loreto e altre ancora meno note. Scrive Vito Mancuso: “sulla base dei pochi passi evangelici concernenti la madre di Gesù…la tradizione cattolica ha elaborato la massima “de Maria nunquam satis”, “su Maria mai abbastanza”, generando così più di 30 celebrazioni mariane all’anno, 4 dogmi, le 150 avemarie del rosario (di recente diventate 200 con l’aggiunta di nuovi Misteri), le 50 Litanie lauretane e una serie sterminata di altre devozioni, chiese, ordini religiosi, antifone, musiche, immagini, santuari”. E molti fedeli invece di leggere la Bibbia prendono in mano il rosario; anche perché il
marianesimo, nella figura della madre accondiscendente che soccorre e perdona, restituisce fiducia e speranza, placa la paura e il dolore di vivere. La figura di Maria insomma, quasi a fondare una nuova religione, primeggia all’interno di quel vasto stuolo di santi che ricordano l’empireo pagano e indù: protettori dei mestieri o delle città, i santi venerati difendono dagli incidenti, dalle malattie, dagli eserciti invasori ecc. Come non stupirsi dunque se papa Francesco, che ha affidato il suo pontificato a “Nostra Signora di Fatima”, domenica 13 ottobre, anniversario dell’ultima apparizione, ha consacrato il mondo intero al Cuore Immacolato di Maria? la cui immagine, ovvero la statua della Madonna di Fatima, era sbarcata sabato 12 ottobre all’aeroporto di Fiumicino per essere esposta in piazza S. Pietro e poi spostata al santuario del Divino Amore. Papa Francesco, da cui i fedeli si attendono grandi riforme, tra di esse la rivisitazione, nella Chiesa e dunque nel sociale, della figura della donna, su un tema ormai così urgente e pressante, si tiene sulla linea della tradizione: come già papa Wojtyla nella “Mulieris Dignitatem”, celebra ed elogia grandemente la donna, ma finora non ha affrontato le radici del contesto storico, sociale ed economico, che tengono le donne subordinate e ai margini.
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Forse perché nell’orizzonte pur necessario delle “pari opportunità” le donne aspirano all’ “eguaglianza”, il principio che struttura ed organizza il conflitto. Dal principio di eguaglianza infatti, che ordina e indirizza il pensiero, ha origine un processo, individuale e collettivo, che rovescia le forme di potere escludenti ed asimmetriche: centro propulsore di un nuovo umanesimo femminile, il principio di eguaglianza chiama le donne a sfidare l’ordine valoriale del patriarcato, a stringere un impegno collettivo, a tessere la tela che mette a frutto la loro capacità di costruire relazioni, individuare spazi comuni, pratiche. Non è un caso infatti che la crisi del femminismo, della liberazione insieme individuale e collettiva delle donne, (“il personale è politico”), abbia generato un clima negativo di frammentazione e solitudine. Superabile tuttavia attraverso un confronto deciso e combattivo che, sfruttando le molte contraddizioni del sociale, rinnovi il sentimento corale di concertazione: per promuovere il rispetto dell’altro, valore fondante la cittadinanza fra diversi, ma eguali, e dunque per promuovere i diritti della donna, non ancora riconosciuti nelle società dove la religione invade impropriamente lo spazio pubblico. Come avviene in Italia dove l’influenza della chiesa è ancora oggi pervasiva e radicata. Non stupisce infatti che la figura della Madonna, simbolo del materno oblativo, venga riproposta come modello femminile anche se le sue parole in risposta all’angelo, (“sia fatta la tua volontà”), sono incompatibili con la cultura del conflitto. Così che in tempi in cui la libertà soggettiva e i diritti individuali sono riconosciuti come i valori fondanti della civilizzazione, “la chiesa rischia di perdere l’occasione storica di una grande e potente alleanza col genere femminile”. Queste le parole di Emma Fattorini nel suo intervento al convegno “Gesù nostro contemporaneo” tenuto a Roma dalla CEI nel febbraio 2013; e ancora: “non bisogna avere paura della sfida con la libertà femminile perché arricchisce in primo luogo il maschio stesso”. Ma anche il sociologo Stefano Allevi invita a rinunciare senza paura al “volemose bene” italico, ad accettare un conflitto positivo e guidato con intelligenza: “Spesso è solo attraverso il conflitto che le posizioni possono modificarsi e trovare i canali per evolvere: ignorare o sottovalutare non è né utile né conveniente perché non farebbe altro che proporsi nel tempo, con il rischio di accentuarne il contenuto distruttivo anziché quello evolutivo”. b
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sanità pubblica e interessi corporativi
A
lla fine di dicembre è ricorso il trentacinquesimo anniversario della legge di riforma sanitaria. Le leggi 405/75, 180/78, 194/78 e 833/78 sono la risultante delle lotte dei movimenti, a partire da quello più potente e radicale delle donne, con la rivendicazione dell’autodeterminazione e del rigetto del pensiero unico. Ma fatte le leggi si è ritenuto non più necessario il conflitto come capacità della comunità di rivendicare il miglioramento dei beni comuni, la salute in primis. E si è dato spazio a tutti i processi autoreferenziali delle categorie professionali coinvolte nei servizi pubblici. Anche i partiti hanno operato a difesa degli interessi corporativi. Nonostante la presenza di persone per bene, stimata da me al 30%, con un 50% di palude che si orienta come tira il vento, il 20% di mascalzoni, si è efficacemente organizzato per difendere gli interessi corporativi conquistando buona parte della palude. Le buone pratiche delle persone per bene sono state ostacolate dai politici e dagli amministratori e dai dirigenti da loro scelti, sotto la pressione dell’azione corporativa degli altri operatori. Le organizzazioni sindacali professionali e le confederazioni sindacali generali hanno enormi responsabilità. Queste ultime hanno disatteso una loro funzione essenziale: quella di garantire, fatti salvi i diritti sindacali legittimi, la qualità dei servizi pubblici. Solo la qualità, infatti, e non la mera esistenza dei servizi rappresenta il ritorno in termini di salario reale delle tasse e dei contributi dei lavoratori. Si è dato così ampio spazio alla minoranza dei mascalzoni per difendere miserabili bruscolini, peraltro avvelenati, perché il perseguimento della qualità è il motore del miglioramento delle competenze professionali e quindi del vero prestigio degli operatori. Ma cosa significa bene comune, come si costruisce, come si valuta, quali indicatori, chi partecipa al processo della valutazione e, prima, a quello della programmazione, quali attori hanno titolo, e, in particolare, quale è il ruolo della comunità e con quali strumenti? La legge 833/78 dava indicazioni generali che andavano sviluppate. I movimenti degli anni settanta hanno avuto intuizioni geniali, che però non sono state tradotte in conseguenze operative, quali responsabilità di programmazione, valutazione e formazione. Parlo per esperienza personale avendo operato su tutto il territorio nazionale, nessuna regione esclusa, in contatto con tutti i livelli politici, amministrativi, dirigenziali e di base. Potrei raccontare infinite vicende sulle straordinarie e geniali attività di sanità pubblica realizzate da semplici operatori (più spesso operatrici) e sull’azione sistematica di ostacolo e delegittimazione che hanno scatenato in reazione. Bisogna ripartire dal concetto di salute come bene comune con lo sviluppo di tutte le conseguenze operative, rimettendo in discussione il paternalismo direttivo e il modello biomedico di salute. Bisogna ripartire dalla Carta di Ottawa e dalle implicazioni che ne conseguono. Bisogna avere consapevolezza che la comunità non è sommatoria di individui e ciò comporta lo sviluppo di concetti innovativi delle strategie operative. Bisogna partire dall’affermazione, di cui rivendico la paternità, che un servizio sanitario pubblico universale ha ragione di esistere se, e soltanto se, è in grado di ridurre gli effetti sulla salute delle disuguaglianze sociali. Questo dice, in ultima istanza, l’articolo 32 della nostra meravigliosa e ineguagliata Costituzione, che va difesa ad oltranza.
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Grazia Zuffa* Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org
NELLE CARCERI E NEI C.I.E. QUALE TUTELA DELLA SALUTE? popolazione che entrano in carcere essenziale del problema: la “impehanno mediamente livelli di salute netrabilità” allo sguardo esterno degli più bassi della popolazione generale istituti penitenziari, che – come dice e sono particolarmente vulnerabili in il documento - conservano ancora in alcune aree chiave, come la salute larga parte il carattere storico di “sementale, le malattie gastroenteriche, grete”. le malattie cardiovascolari, le malattie Con ciò siamo al cuore della probletrasmissibili come le infezioni da Hiv matica bioetica: la contraddizione fra e l’epatite; per di più sono costretti in l’affermazione del diritto alla salute condizioni di vita tali, da rappresendei ristretti e lo stato stesso di detentare un fattore di rischio elevato per zione in un luogo sottratto alla vista, la salute. il che di per sé impedisce il controllo La salute dentro le mura, si sul rispetto dei diritti. Da qui è detto. La salute, non la la necessità di svelare le CONTRADDIZIONE sanità. È una precisazio“segrete” allo sguardo FRA L’AFFERMAZIONE ne importante, niente pubblico, facendo coaffatto scontata. Non noscere la vita dei DEL DIRITTO ALLA si tratta solo di apdetenuti e denunl Comitato Nazionale di Bioetica SALUTE DEI RISTRETTI prontare servizi e ciando violazioni ha di recente approvato un docuE LO STATO STESSO DI personale sanitae inadempienze, mento intitolato “La salute dentro le quando ci sono: un DETENZIONE IN UN LUOGO rio per offrire prestamura”. “Dentro le mura” non è solo zioni di cura decenti dovere delle istituzioun suggestivo sinonimo per indicare SOTTRATTO ALLA in carcere; e neppure ni, prima ancora che il carcere e la tutela della salute dei VISTA basta assicurare ai dedelle Organizzazioni Non detenuti. Intanto, perché non solo di tenuti le terapie al di fuori Governative. carcere e di detenuti si parla: ci sono del carcere quando queste si rivelino Il carcere non è solo il luogo dove è anche gli stranieri rinchiusi nei Centri necessarie: occorre agire in un’ottica difficile far valere i diritti, ivi compredi Identificazione ed Espulsione, in globale, di prevenzione/ rimozione so il diritto alla salute. È ancondizioni anche peggiodi tutti gli ostacoli che si frappongoche un luogo che “produce ri dei detenuti. Anche di no al raggiungimento della salute. sofferenza e malattia”. loro si occupa il docuTrattandosi del carcere, gli aspetti La parità nel diritto alla mento, chiedendo la GLI ISTITUTI ambientali balzano in primo piano. salute fra prigionieri e chiusura dei Cie. PENITENZIARI Non a caso la Organizzazione Monliberi si scontra con Ancora più imporCONSERVANO ANCORA diale della Sanità, in un documento una duplice contante, l’immagidi indirizzo specifico, indica misure traddizione: da ne delle “mura” IL CARATTERE STORICO base che riguardano le condizioni di un lato, i gruppi di evoca un aspetto DI “SEGRETE” E SONO
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“IMPENETRABILI”
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Il filo verde scarsi numeri dei reparti vita dei detenuti: il rispetAPPRONTARE to della legge (i morti SERVIZI E PERSONALE femminili. La differenza entra in gioco nel micome Stefano Cucchi SANITARIO PER OFFRIRE nore rigore punitivo dimostrano quanto PRESTAZIONI DI CURA con cui in genere sia facile scordare DECENTI IN CARCERE E AGIRE IN sono trattate, a la legge al riparo prezzo però di una dallo sguardo pubUN’OTTICA DI PREVENZIONE. raddoppiata dose di blico); celle pulite e A PARTIRE DAGLI ASPETTI paternalismo. Come servizi igienici ben funAMBIENTALI ha scritto a suo tempo zionanti; offrire ascolto e Tamar Pitch, le donne che sostegno ai detenuti; procommettono reati sono conmuovere la salute mentale, siderate non tanto pericolose, quanto compresi spazi e tempi adeguati “pericolanti”. Donne “che hanno sbaper la vita sociale, occasioni di lavogliato” per (connaturata?) “fragilità”: ro qualificato, opportunità culturali e meno “responsabili”, in quanto tali formative, contatti con l’esterno, someno meritevoli di punizione; ma prostegno al detenuto e alla detenuta prio in quanto meno responsabili, più perché mantengano i rapporti con la bisognose di “correzione”. In una pafamiglia, il/la partner, i figli. La salvarola, più simili al minore che all’adulto. guardia della rete affettiva delle perQuanto questa “minorazione” possa sone in carcere è un punto decisivo: tradursi in perdita di dignità e stima su questo il documento del Comitato di sé, è evidente. È pur vero che la Nazionale di Bioetica insiste, pren“minorazione” (come riduzione allo dendo una posizione netta a favore stato minorile, appunto), è un prodelle “visite riservate” (in locali senza cesso che investe, seppur sorveglianza) del coniuin misura meno rilevante, ge o del/della partner in LE DETENUTE gli uomini, in virtù dello modo da permettere la SONO PENALIZZATE stato di dipendenza sessualità e favorire assoluta in cui li col’affettività. SignifiIN QUANTO GRUPPO cativo il richiamo “MINORITARIO” E LE ATTIVITÀ stringe l’istituzione totale. A maggior al “principio etico della centralità DI LAVORO E DI FORMAZIONE ragione, l’invito a SONO INFERIORI A pensare un sistema della persona”, che “sensibile al genere” è deve valere anche in QUELLE DEGLI UOMINI valido: per costruire un condizioni di privazione nuovo sistema più giusto della libertà. per uomini e donne, a parFra le tante questioni affrontire dalla riflessione sulla differenza tate dal Comitato Nazionale di Bioetifemminile.❁ ca, si segnalano le donne detenute, *Comitato Nazionale per la Bioetica. per le quali si raccomanda un’attenzione particolare “nel quadro di un sistema di giustizia penale sensibile al genere”. La precisazione è importante. In una logica “paritaria”, le donne sono (paradossalmente, ma non tanto) penalizzate in quanto gruppo “minoritario”: generalmente, le attività di lavoro e di formazione offerte alle detenute sono inferiori a quelle degli uomini, in considerazione degli
di Barbara Bruni
IMPOSTE AMBIENTALI Secondo la Cgia di Mestre, c’è stata un’enorme progressione delle imposte ambientali: dai 22 miliardi 353 milioni di euro del 1990 si è passati a 44 miliardi nel 2011. Tuttavia, lo Stato continua a destinare solo l’1% dl totale alle attività messa in sicurezza del territorio.
STUDIARE GLI TZUNAMI Rinvenuta in Indonesia una grotta di calcare che svela la storia degli Tsunami. La caverna - scoperta dai ricercatori nella zona nord occidentale dell’isola di Sumatra - contiene le “impronte” delle gigantesche onde causate dai maremoti risalenti fino a 7.500 anni fa.L’antro, situato a un centinaio di metri di costa si trova a circa un metro sopra alla linea di marea ed è quindi stato protetto dalle tempeste e dal vento.
TONNO ROSSO Nonostante i segnali di ripresa dello stock di tonno rosso, resta invariata rispetto al 2013 la quota di tonno che i pescatori italiani potranno pescare: 1.950 tonnellate. La prossima riunione dell’Iccat l’organizzazione internazionale che gestisce la pesca del tonno e delle specie affini nell’Atlantico e nel Mediterraneo - è prevista per la fine del 2014, e si terràsotto presidenza italiana dell’Ue.
AUMENTA IL COSTO DELLA LUCE L’Autorità per l’energia ha disposto un incremento delle tariffe per la luce. L’aumento - partito già dal 1 gennaio scorso – è dello 0,7%. Resta invariato, invece, il costo del gas. L’aggravio per una famiglia media sarà pari a 4 euro in un anno. E la spesa annua per la “famiglia tipo” con consumi di 2.700 kWh all’anno e 3 kW di potenza sale così a 518 euro.
SPRECHI ALIMENTARI Gli sprechi alimentari domestici valgono in Italia 8,7 miliardi di euro, pari allo 0,5% del Pil. Secondo l’Osservatorio Waste Watcher, ogni famiglia italiana butta in media circa 200 grammi di cibo la settimana. In un anno si potrebbero recuperare in Italia anche 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, 2 milioni di tonnellate di cibo dall’industria agroalimentare e più di 300mila tonnellate dalla distribuzione.
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ArrivA lA sCrEEN gENErAtioN
pubblicità e mondo digitale e l’impatto sui minori: temi di attualità da approfondire. sollecitando le riflessioni dei genitori
di Marina Caleffi
l’
influenza che i mass media esercitano sui soggetti in età evolutiva è indubbia anche - ma non solo - sulla trasmissione di stereotipi sessisti. La televisione, il web e i videogiochi, ma soprattutto la pubblicità, premono in modo massiccio sui processi formativi ed educativi delle nuove generazioni. Dopo i millennials è corretto parlare di spot generation? “Credo di si, anche se la spot generation è parte di un processo più complesso veicolato dalle applicazioni digitali, che hanno reso la comunicazione sempre più portatile e interattiva, moltiplicando i contatti ma svilendone i contenuti, o meglio i significati”. Il certain regard di questo mese è quello clinico del Prof. Federico Tonioni (Istituto di Psichiatria e Psicologia Università Cattolica, Responsabile del Centro per le Patologie del web, Policlinico Gemelli di Roma) e autore di ‘Quando internet diventa una droga’ (Einaudi 2011) e ‘Psicopatologia web-mediata’ (Springer, 2013).
La pubblicità è fonte dell’immaginario mitico, è davvero in grado di costruire rappresentazioni sociali che insegnano ai bambini come è fatta la nostra società?
Penso che il medium coincida con il contenuto e in questo senso la comunicazione digitale, che è prima di tutto una comunicazione per immagini, rende la pubblicità multitasking e quindi diventa talmente pervasiva da condizionare le relazioni con l’ambiente circostante, favorendo fin dall’infanzia le occasioni di rappresentarsi in modo ideale rispetto a quelle di presentarsi dal vivo. La sensazione è che taluni kidmarketers abbiano tra-
sformato in arte l’abilità di recidere il legame tra genitori e figli. Il credo alla base sembra essere “lasciate che i bambini vengano a noi”…
Questo, in effetti, sembra essere un rischio concreto. Stabilire se la responsabilità ricada sui kidmarketers o, al contrario, su genitori sempre meno disponibili a frapporsi tra i bambini e gli screen digitali può essere un elemento importante.
La sessualizzazione dei media e delle bambine soprattutto, perplime quando gli addetti al marketing cercano di vendere a «piccole donne» vestitini ammiccanti. Nei media mainstreaming le ragazzine sono rappresentate in maniera sempre più sessualizzata. Quali rischi si corrono?
La sessualizzazione delle bambine non avviene nel loro immaginario ma nella mente di chi le osserva, senza cogliere il bisogno che ogni bambino ha di giocare attraverso l’imitazione degli adulti. Quindi in fondo fa più male alla mente dei grandi che a quella dei piccoli, anche se rappresenta uno specchio inquietante del senso di disvalore che aleggia di questi tempi sulle nostre esistenze. E questo pone riflessioni che attengono al valore di una persona, che dipenderebbe dall’appeal o dal comportamento sessuale…
Penso che il valore di una persona dipenda dalla capacità di vivere i propri limiti come risorse e quindi in questo caso non appeal e comportamento sessuale, ma la possibilità di dare un posto alla tenerezza sia ancora il valore più irrinunciabile. E non credo sia solo un’illusione personale.
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Bambini in pubblicità: il mercato detta le leggi La magia e la difficoltà di vendere e far comprare un sogno ce la racconta Francesca bomPieri, Art Director e Graphic Designer freelence, con un robusto curriculum nelle più importanti agenzie internazionali. “Quando ti passano il brief per una campagna pubblicitaria per un prodotti per bambini, e magari di moda, la prima cosa che pensi di solito è: finalmente posso sognare! E inizi sul serio a farlo, ritorni a vedere il mondo a colori accesi e dai libero sfogo alla fantasia. Per dire la verità questa è la prassi, ma per l’infanzia l’illusione che il mercato e tutte le sue regole possano per una volta non contare è più forte. Raccolte le idee e magari anche realizzate a livello di layout si passa alla presentazione al cliente. E purtroppo tutto torna di botto nei colori tenui se non grigi della realtà. Sono poche le aziende che osano rischiare di scostarsi dallo scenario comune in cui tutto deve essere patinato e simile al mondo glamour dei grandi per ‘raccontare’ invece una favola secondo i canoni della fantasia di un bambino. Avete mai visto un bambino disegnare una donna come una modella (a meno che non sia la figlia/o di un grande stilista e quindi veda bozzetti da che ne ha memoria e sia anche dotato di una manualità rara) all’età di 5/6 anni? Lavorare in pubblicità o in comunicazione oggi è molto frustrante per certi versi, il possibile dipende dalla predisposizione del cliente, ci sono regole dettate dal mercato contro cui non si può andare. Se l’imperativo è vendere un sogno - e questo non è mai cambiato negli anni - credo si possa però dire che l’immaginario dei sogni si sia piano piano trasformato a causa di un mondo che valorizza ‘l’apparire’ in un certo modo. Per comprendere se questo sogno sia giusto o no provate a partecipare alla realizzazione di uno shooting di una campagna per bambini: che dite sarà più facile farli giocare o imbellettarli e vestirli in modo che possano essere modelli per un giorno?” M.C.
serrate con screen di qualsiasi genere. Basta osservare un bambino assorto nel toucth screen di un iPhone per comprendere che la seduttività dello strumento sta nel suo potenziale dissociativo.
La persona è valutata in base a canoni che coniugano attrazione fisica e sensualità…
Entrambe fanno parte dell’amore e non sono necessariamente sinonimi di superficialità; soprattutto la sensualità fa riferimento a livelli profondi di noi stessi. La sessualità è suggestione spesso imposta in modo inappropriato alle persone e ai contesti…
Sono d’accordo e credo che in questo senso i bambini non siano sufficientemente tutelati. È un elemento che risveglia curiosità e fa leva sul’«effetto specchio», cioè quel naturale desiderio di apparire più grandi. E nello stesso tempo promuove una certa preoccupazione sull›aspetto fisico… È un problema complesso. Ogni bambino ha diritto di sentirsi più grande nel suo immaginario che, per essere funzionale a una crescita armonica, necessita di essere rispecchiato dal vivo nella relazione con i genitori. Si tratta di un rispecchiamento emotivo che avviene quando ci si guarda negli occhi e si pensa la stessa cosa e struttura progressivamente un sentimento di identità. In questo caso i bambini hanno bisogno di sentirsi visti e non semplicemente osservati e da questo dipenderà anche come vedranno e giudicheranno il proprio aspetto fisico. In fondo nessuno può vedersi bello se sente di non essere piaciuto ai propri genitori e in questo caso non piacere significa non essersi sentiti speciali. L’era digitale ha drasticamente diminuito le occasioni di guardarsi negli occhi a favore di interazioni sempre più
I bambini imparano a collegare l’apparenza fisica e l’acquisto del prodotto giusto e costoso che faccia apparire fisicamente attraenti e sexy, al successo individuale. Si può pensare che non ci sia impatto sull’evoluzione e sulle relazioni interpersonali che avranno da adulti?
Certamente un impatto sull’evoluzione è ipotizzabile, ma ciò che è evolutivo non diventa necessariamente patologico. Dobbiamo a volte considerare una certa tendenza naturale al pregiudizio, che peraltro rimane un diritto di ogni essere umano nella misura in cui può essere messa in discussione.
Anche se la convinzione dei kidmarketers è quella di aiutare i bambini ad avere “una vita migliore offrendo i consigli migliori” non sempre tutto pare legittimo, come del resto considerare divertente qualsiasi cosa possa stimolare i bambini a desiderare qualcosa a prescindere da ciò che sarebbe salutare…
Indubbiamente la tendenza è quella di promuovere un consumo compulsivo piuttosto che generare desiderio.
«L’istruzione non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco» scrive William Yeats...Tutta la nostra attenzione verso l›infanzia non rischia di essere vanificata da strategie pensate per ottimizzare il valore economico della stessa oltretutto infarcite da una serie di stereotipi che condizioneranno il loro comportamenti futuro?
Esiste questo rischio e ne siamo consapevoli anche se, secondo il mio modo di vedere, non esiste uno stereotipo capace di saturare il bisogno che, nel corso della vita, un fuoco si accenda dentro ognuno di noi. ä Twitter@marinacaleffi
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I BEI LIBRI CHE SPIEGANO LE DIFFERENZE L’ASSOCIAZIONE SCOSSE E IL SUO PROGETTO PER STILARE UNA BIBLIOGRAFIA DEI LIBRI ATTENTI AI GENERI E ALLA LORO VALORIZZAZIONE di Silvia Vaccaro
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n un mondo di bambini ipnotizzati da una maialina inglese e dalla sua famiglia buffa e politically correct, esistono altre belle storie per i piccoli dagli 0 ai 6 anni, fascia di età fondamentale nel processo di formazione dell’identità di genere. Una è quella che raccontano le ragazze di SCOSSE, associazione di promozione sociale romana che ha tra le sue attività “Leggere senza stereotipi”, un progetto dedicato proprio ai piccolissimi. Convinte da sempre di quanto fosse importante lavorare con questa fascia di
Nata dall’esperienza di due mamme lesbiche, Francesca Pardi e Maria Silvia Fiengo, che hanno sentito il bisogno di trovare un modo per spiegare ai loro figli tematiche delicate e profonde come l’amore omosessuale, la casa editrice LO STAMPATELLO propone un catalogo variegato di libri per l’infanzia. “Piccolo Uovo” con le illustrazioni del grande Altan e prima uscita dell’editore, racconta la storia di un piccolo uovo che non vuole nascere perché non sa dove andrà a finire. Parte allora per un viaggio che lo porterà a conoscere i più diversi tipi di famiglia, scoprendo che ognuna può essere un luogo felice dove crescere. Non solo quindi storie di famiglie omogenitoriali, ma anche titoli che trattano argomenti come gli stranieri di seconda generazione e le adozioni.
età, Sara Marini e Giulia Franchi, le due associate responsabili della sezione infanzia, hanno iniziato nei primi mesi del 2012 a studiare tantissimi albi illustrati – libri in cui c’è una totale interdipendenza tra testo e immagini – con lo scopo di produrre una bibliografia, quanto più completa possibile, dei libri più attenti alla valorizzazione delle differenze. Giulia, che lavora con i bambini, racconta: “Leggere senza stereotipi è nato nella pratica. Abbiamo dapprima spulciato il catalogo delle Biblioteche di Roma e partecipato a fiere nazionali e internazionali per poter rac-
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Quando associazioni e municipi collaborano per la realizzazione di albi e libri per l’infanzia attenti e all’avanguardia circa i modelli e i ruoli di genere da proporre ai più piccoli, possono nascere piccoli gioielli come “Et pourquoi pas toi?” (E perché non tu?), un album senza testo illustrato da Madalena Matoso, frutto della collaborazione tra la Délégation à la petite enfance della città di Ginevra e la casa editrice svizzera éditions Notari. Si tratta di un albo che promuove la parità di diritti tra uomo e donna (ma anche giovani e vecchi, persone di razze diverse…), che è stato regalato nel 2011 a tutti i bambini che frequentavano una classe prescolare. Tagliato a metà, con decine e decine di combinazioni possibili e una domanda costante rivolta al lettore: E perché non tu?, che tra le righe sembra voler chiedere a grandi e piccoli “quali sono i pregiudizi e gli stereotipi che limitano la tua libertà?”. Un modo divertente e scanzonato che invita a riflettere su tutte le costrizioni mentali che non rendono uomini e donne di ogni età e colore liberi di essere e di fare quello che desiderano, e al tempo stesso li inducono ad essere poco inclini ad accettare la libertà altrui. Un grande insegnamento alla felicità.
cogliere e organizzare il materiale. In un secondo momento abbiamo pensato di proporci per tenere dei corsi di formazione a genitori ed educatrici del nido perché crediamo che, oltre a realizzare laboratori creativi con i bambini, occorra formare chi passa molto tempo con loro”. E così che, dopo una fortunata trasmissione a Radio Popolare Roma nel novembre 2012, l’anno successivo sono partiti i corsi, oltre ai momenti di riflessione e di confronto all’Università La Sapienza e durante lo Sfamily Day alla Casa Internazionale delle Donne di Roma lo scorso maggio. “La risposta è stata sin da subito molto positiva. Educatrici e genitori si sono mostrati attenti e interessati e a seguito delle numerose richieste di condivisione della bibliografia, abbiamo deciso di pubblicarla sul sito di SCOSSE. Si tratta di un vero e proprio “work in progress”: tanti libri e albi illustrati, tutti reperibili nelle biblioteche del Comune di Roma, e per ognuno una scheda con la fascia di età di riferimento e i temi più importanti che vengono trattati. È possibile rintracciare due filoni: i libri che nascono proprio con l’intento di superare gli stereotipi e quindi sono da considerarsi libri “a tema”, e quelli che invece raccontano semplicemente delle storie, ma che nel farlo valorizzano le differenze”. Ma quali sono questi stereotipi che si ritrovano più spesso nei libri dei più piccoli? “I più frequenti sono quelli di ruolo. La mamma sempre in casa e in pantofole, impegnata in cucina e quasi mai alla guida o intenta a leggere, al contrario dei papà che sfogliano i giornali in poltrona. Occorre anche fare attenzione a come vengono rappresentate le ambizioni personali dei bambini e la loro gestione delle emozioni: spesso le bimbe nei libri sognano di fare le principesse, mentre i bambini hanno aspirazioni da astronauti,
e spesso le figure maschili presenti nelle storie, piccoli o grandi che siano, non mostrano il loro lato emotivo”. Sentire di poter essere quello che si vuole, sin dalla più tenera età, diventa dunque fondamentale, e ancor di più è importante che genitori ed educatrici lascino ai bambini la voglia di sperimentare anche con la propria identità di genere. A questo proposito Giulia racconta l’episodio di un’educatrice, mamma di un bimbo maschio che durante un corso di formazione, ha condiviso le sue ansie rispetto all’aver assecondato il figlio che le chiedeva bambole e giochi “da femmina”, concessione per la quale aveva ricevuto aspre critiche da sua madre. Un esempio concreto di quanto sia radicata una certa cultura che traccia un limite netto e invalicabile tra i due mondi, quello rosa e quello azzurro, a cui è impedito di mescolarsi. E l’Italia, senza troppe sorprese, è indietro rispetto ad altri paesi. “La Francia riserva da sempre grande attenzione per la qualità della letteratura per ragazzi, come testimonia lo splendido Salon du livre et de la presse jeunesse Seine-Saint-Denis che si tiene a Parigi ogni anno a fine novembre. E poi ci sono
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i paesi scandinavi, che sono sicuramente all’avanguardia per ciò che concerne i modelli di genere proposti nei libri, che riflettono quelli presenti nella società, in un circolo virtuoso che si autoalimenta”. La prospettiva internazionale interessa molto alle ragazze che si stanno aprendo, grazie ad una nuova associata che vive tra Roma e Barcellona, alla comunità autonoma alla Cataluna. “Al momento abbiamo preso contatti con Tantagora, una casa editrice che si occupa di trasmissione orale e stiamo facendo un lavoro sulla produzione di letteratura per l’infanzia della regione, sperando di poter organizzare anche lì alcuni corsi di formazione”. E in questo senso una bella soddisfazione è già arrivata per l’associazione che ha appena vinto una gara per la formazione delle insegnanti dei nidi e delle scuole per l’infanzia di Roma Capitale. “Saranno ventidue ore di formazione obbligatoria in sedici scuole, in otto Municipi. Come sempre partiremo dai bisogni delle insegnanti e la modalità sarà quella laboratoriale, utilizzando molto l’auto-narrazione. Lavoreremo sui ruoli, sui modelli familiari e su quello che emergerà proprio dal confronto con le insegnanti. “Leggere senza stereotipi” potrebbe dunque diventare un progetto virale, da far girare anche in altre città d’Italia come è già accaduto a Genova, dove è nata una biblioteca grazie all’associazione Usciamo dal silenzio. Intanto continuano anche i laboratori creativi (il prossimo il 19 febbraio) con i bambini presso la Libreria Tuba di Roma, che ha adottato da tempo il catalogo proposto da SCOSSE sui suoi scaffali. Un crescendo di iniziative di gioco per i più piccoli e di formazione per i grandi, perché ad ogni età è importante lavorare per decostruire gli stereotipi, ma prima si comincia meglio è. ä
Kalandraka è nata il 2 aprile, Giornata Internazionale del Libro per Ragazzi. Nel 1998 l’albo illustrato non esisteva nel panorama editoriale di Galizia. Kalandraka nasce allo scopo di fornire una nuova dimensione all’edizione di albi illustrati per i primi lettori: adattamenti di racconti tradizionali, fiabe classiche e opere originali per diffondere il lavoro creativo e artistico degli autori ed illustratori contemporanei. Da questa esigenza nasce la collana Libri per sognare, albi concepiti con il massimo di rigore estetico e letterario affinché i bambini imparino a valorizzare la lettura dai loro primi anni di vita. Scoprendo la magia che nascondono le loro pagine, i lettori li godono con gli occhi, le mani, l’udito, dunque, con tutti i loro sensi. I Libri per sognare sono stati pensati anche per essere letti ad alta voce, per rivendicare l’importanza della trasmissione orale della cultura. Infine, sono libri che oltrepassano i confini geografici, grazie alla loro traduzione a tante lingue e alla loro presenza nelle più importanti fiere internazionali di settore.
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LA (MALA) EDUCAZIONE STRADALE
uando parliamo di sessismo dei linguaggi siamo soliti pensare, forse, alla lingua vera e propria, quella fatta di parole (scritte o pronunciate), di proverbi, di concordanze a senso e di plurali al maschile. Quando, magari in un convegno sul maschilismo dei codici, veniamo invitati a riflettere sui messaggi irriflessi - che degradano il femminile a vantaggio del maschile - ci saltano in mente quelle formule tipiche della burocrazia: “nato a” (sulla
ne umane, stilizzate in modo che la figura rappresentata sia perlopiù un “maschile singolare”. È un “maschile singolare”, infatti, l’omino che attraversa la strada nel segnale di pericolo di attraversamento pedonale. Nel segnale triangolare che allerta l’automobilista circa la prossimità di una scuola c’è addirittura qualcosa di iperprotettivo (pensiamo al bambino che corre tenendo per mano una bambina). Un atteggiamento pietistico assodato, talmente chiaro che nessuno osa discutere quell’omino dalla forza maschia che spala i ciottoli nel segnale triangolare dei “lavori in corso”. È chiaro che per i lavori di manutenzione stradale ci vogliono braccia forti, gambe robuste, pettorali, barba e sudore. Da alcuni decenni a questa parte, un irriverente e scandalistico atteggiamento di protesta rispetto ad una tale stereotipia, viene proprio dalla street art. Bastano pochi ritagli di adesivi, qualche spruzzata di acrilico, o magari pochi tratti di pennarello ... e i segnali stradali diventano murales alla Keith Haring: spuntano subito capelli, gonne, tacchi a spillo, seni abbondanti, accessori, ombrelli, cagnolini e guinzagli. Sulla scia di queste dimostrazioni artistiche e anonime, qualche anno fa, l’Assessora di Fuenlabrada (una cittadina
carta d’identità); “io sottoscritto” (nelle autocertificazioni) e cose del genere... Tuttavia, bisogna ammetterlo, la parola non è tanto immediata quanto l’immagine. Per questo motivo, forse, sono le icone, i simboli, i segni ad essere maggiormente subdoli e subliminali. Un esempio lampante di questa maggiore immediatezza dell’immagine sulla parola ci viene offerta dalla segnaletica stradale. I segnali stradali (svecchiati e rinnovati di anno in anno, secondo precise ordinanze) presentano spesso ico-
spagnola a pochi minuti da Madrid) aveva promosso una segnaletica femminista. All’assessora, Rosalina Guijarro, piaceva attraversare la strada quando, al semaforo, scattasse, luminosa, una rispecchiante sagoma verde in gonnella. Si tratta di iniziative giocose, ma al contempo cariche di peso politico e ideale. Proviamo un momento ad immaginare la nostra reazione emotiva alla vista di un’icona femminile su un segnale di divieto di transito pedonale. Probabile che qualche incallito maschilista lo intenderebbe come “fuorviante”.... o peggio: selettivo! ä
di Marta Mariani
IL SESSISMO, SUBDOLO, DEI SEGNALI STRADALI E LA REAZIONE DELLA STREET ART
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La PaRITà SI COSTRuISCE aNChE gIOCaNdO L’identità di genere paritaria si costruisce sin dall’infanzia attraverso il modello educativo che ci propone la famiglia e la scuola. I giochi dei nostri figli rappresentano un importante esercizio di simulazione e di preparazione all’età adulta che ne alimenta l’immaginario anche per quanto riguarda la definizione del ruolo maschile e femminile
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l gioco è un’attività umana che fa bene e produce benessere a più livelli, sviluppando anche delle importanti capacità. Per questo l’uomo ha sempre giocato, sin dai tempi più antichi, basti pensare che giochi da tavolo sono stati trovati persino in tombe reali egizie.
Se però giocare è importante ad ogni età, per i più giovani rappresenta un’attività fondamentale per sviluppare le loro capacità e per contribuire alla maturazione della loro personalità, ivi compresa l’identità di genere. Infatti tutti impariamo a giocare sin da piccoli, ma il modo con il quale il gioco ci viene insegnato è diverso per i maschi e le femmine. Anche le attività ludiche dunque riflettono, ripropongono e sostengono le disparità di genere, poiché riproducono quei differenti stili di vita, responsabilità e impegni che l’essere uomo o donna comporta ancora oggi nella nostra società. Il ruolo delle donne nelle attività di riproduzione sociale,
infatti, si esprime certo al suo massimo livello nel momento in cui si assumono delle responsabilità familiari ma viene coltivato e alimentato sin dai primi anni dell’infanzia con modelli educativi differenti per bambini e bambine. Questa definizione di ruolo diventa così una parte identitaria importante per le donne, che le accompagna fino all’età anziana e che è alla base dei forti squilibri economici e sociali che ancora rileviamo. Quali sono dunque le differenze di genere che possiamo osservare nel gioco? La prima differenza è nella diversa quantità di tempo libero che maschi e femmine possono dedicare a questa attività: ad ogni età le donne hanno meno tempo libero degli uomini e quindi meno possibilità di giocare: le donne hanno infatti ogni giorno il 24,5% di tempo libero in meno degli uomini. Questo dato, che accomuna tutte le generazioni, con dei picchi nella fascia di età delle responsabilità familiari, è valido anche per i bambini e gli adolescenti. In un giorno medio settimanale, le bambine tra i 3 e i 13 anni hanno 18’ in meno di tempo libero rispetto ai coetanei, quelle tra i 14 e i 19 ne hanno 47’ di meno. Pare quindi che le aspettative sociali di un maggiore impegno familiare per le donne siano talmente elevate e scontate che anche i modelli educativi in qualche modo si sono evoluti in una forma di addestramento delle bambine ad un maggiore sacrificio dedicato alle incombenze familiari o allo studio a scapito del tempo libero e del gioco. La minore quantità di tempo libero si riflette quindi sulla minore quantità di tempo che le donne, siano bambine o adulte, possono dedicare al gioco. Una seconda differenza riguarda il genitore con il quale giocano i bambini. Giocare con il papà piuttosto che con la mamma determina una forma di indirizzo da parte del genitore verso la scelta dei giochi dei figli e delle figlie riflettendo un’identità di genere molto polarizzata sui ruoli tradizionali. Tra madre e padre l’impegno nel gioco con i figli è intanto molto differente: tra i bambini da 3 a 10 anni solo il 35% gioca tutti i giorni con il padre, il 57% invece con la madre. I maschi inoltre fanno giochi di movimento (correre, pattinare, andare in bicicletta, giocare a palla, escluso il calcio) soprattutto con il padre (56,6%; il 39,6% con la madre), mentre disegnano o colorano soprattutto con la madre (68,5%; il 33,4% con il padre). Le bambine invece fanno con i padri più giochi di movimento (44,8%) e giocano di più ai videogiochi (25,7%),
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mentre insieme alle madri si dedicano più spesso ai giochi di ruolo (25%), al disegno (71,8%), ai giochi in attività domestiche (54,7%) e ai giocattoli in generale (43,1%). Ne consegue che la scelta dei giochi preferiti dai bambini e dalle bambine è fortemente influenzata dall’offerta di gioco da parte dei genitori. Tra i 6 e i 10 anni i maschi giocano infatti soprattutto a pallone (74,2%), ai videogiochi (65,8%), fanno giochi di movimento (51,1%), con le automobiline e i trenini (51,1%), mentre le preferenze delle bambine vanno al disegno (77,7%), alle bambole (67,6%), ai giochi di movimento (64,1%) e ai videogiochi (47,5%). Certamente la scelta dei bambini e delle bambine è influenzata anche dalla caratterizzazione di genere contenuta nei giochi. In generale, si può osservare una maggiore polarizzazione di genere nei giochi che richiedono l’assunzione di un ruolo sociale o che ricreano un’ambientazione storica, mentre è più frequente trovare giochi neutri e praticati da tutti dove si richiedono soprattutto abilità di calcolo, linguistiche e di relazione. Un caso di particolare sbilanciamento di genere al maschile si può osservare ad esempio nei videogiochi i quali, tra l’altro, rappresentano un importante canale di alfabetizzazione alle nuove tecnologie per i giovani. Come si può osservare anche dall’esperienza diretta, l’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile per il 28,6% dei maschi contro il 14,8% delle femmine, con un picco nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (l’83,5% dei ragazzi contro il 66,4% delle coetanee). D’altronde tale caratterizzazione di genere non può stupire se si pensa alla tipologia di offerta dei più famosi videogames. Basta a tal proposito osservare le copertine di quelli più famosi dove gli stereotipi di ruolo sono particolarmente marcati. Un’analisi di genere sulle caratteristiche fisiche e di ruolo dei protagonisti dei videogames condotta negli USA conferma questa tendenza: su 67 personaggi analizzati, 55 erano uomini vestiti o parzialmente vestiti contro 12 donne.
Gli uomini erano sempre protagonisti (19 personaggi), antagonisti (21), supporter (17), eroi (23), cattivi (23). Il ruolo comunque minoritario delle donne si esprimeva nel ruolo della supporter (13), abbinato o alternato con quello dell’assistente (8) e della persona salvata (5). Non stupisce a questo punto che ci siano delle ricadute di genere anche nelle opportunità lavorative nel settore: a livello mondiale la maggior parte dei programmatori di videogames sono infatti uomini, mentre le donne occupate nell’industria dei videogames rappresenta solo il 16,4% (Haines, 2004). Una situazione più equilibrata si può invece osservare invece nei giochi da tavolo: • il 39% dei maschi e il 38% delle femmine tra i 6 e i 13 anni preferiscono giochi da tavolo • tra i ragazzi da 11 a 13 anni il 37% dei padri più frequentemente fa giochi da tavolo (monopoli, dama...) con i propri figli siano essi maschi che femmine La scelta del gioco e delle persone con le quali condividerlo ha dunque delle importanti ricadute nella definizione dell’identità di genere dei bambini e delle bambine. I genitori hanno quindi delle grandi responsabilità nell’offerta di gioco ai propri figli e figlie e possono influenzare in modo significativo la loro capacità di costruire poi in età adulta dei rapporti con l’altro sesso improntati ad una maggiore parità. ä Giovanna Badalassi, Well_B_Lab* giovanna.badalassi@wellblab.it
Fonti: Addabbo, T. & M.L. Di Tommaso (2011) “Children’s Capabilities and Family Characteristics in Italy: Measuring Imagination and Play”, Chapter 7 in Jerome Ballet, Mario Biggeri and FlavioComim (editors) (2011), Children and the Capability Approach, New York, Palgrave Macmillan, ISBN: 978-0230-28481-4, 2011. Istat (2011) “Infanzia e vita quotidiana”, Statistiche Report Peng, W. &Mou, Y. (2009) “ Gender and racial stereotypes in popular videogames”- University of Cambridge, MA and Michigan State University – USA
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BamBINI E BamBINE SCRIgNI dI uN fuTuRO mIgLIORE di Camilla Ghedini
Quaranta anni di lavoro sull’infanzia nel privato, nella scuola, in tribunale. la testimonianza di maRIa ROSa dOmINICI sul “corpo depositario della memoria, archivio dei fatti che vogliamo dimenticare” e sul progetto PSICaNTROPOS
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aria Rosa Dominici, psicoterapeuta/vittimologia, già Giudice Onorario del Tribunale dei Minori di Bologna e Consigliere Onorario presso la Corte d’Appello di Bologna, Sezione Minori, e membro del Cda della Onlus milanese Intervita, non è che una che ha peli sulla lingua. Non ama i fronzoli, la retorica e le celebrazioni. Ha dedicato gran parte della sua vita professionale ai minori, ai loro abusi e soprusi, alla loro tutela, all’affermazione dei loro diritti, alla ricerca della loro felicità. L’8 marzo non le piace, “perché la donna esiste 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, e non si deve giustificare, non deve entrare in nessuna competizione”. Non le piace perché il 9 marzo, di norma, i riflettori dei mass media e l’impegno delle istituzioni sono già rivolti ad altro. Non le piace perché tante donne, “soprattutto le giovani non conoscono neppure la storia dell’8 marzo, non hanno una vaga idea del concetto di forza, dignità e rispetto che sta alla base di questa ricorrenza” e pensano che tutto si riduca a una serata in libertà con le amiche e al ricevimento di un mazzo di mimose da parte dei colleghi E allora Dominici prova rabbia. Perché lei ricorda bene che il senso di questa festa glielo ha spiegato Margherita, la sarta che lavorava per la sua famiglia,
quando Maria Rosa era piccola, aveva meno di 10 anni e viveva a Pordenone. Ricorda bene che Margherita “mi leggeva a voce alta Noi Donne. Era così orgogliosa. Dal tono della voce traspariva passione, partecipazione, commozione. Mi spiegava gli articoli. Aveva fiducia in me, che da grande avrei potuto studiare, difendermi, realizzarmi”. E lì, con Margherita, che vicino all’ago, al filo e alle forbici teneva Noi Donne, Maria Rosa ha capito che sono i bambini e le bambine gli scrigni di un futuro migliore affinché date come il 25 novembre, Giornata Mondiale contro la violenza alle donne, e l’8 marzo, siano da festeggiare per i traguardi raggiunti sul lavoro e nella vita, non per continuare a rammentare quelli ancora da compiere. A Intervita, come ai congressi mondiali cui continuamente partecipa, credendo
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più che mai nella divulgazione delle idee, Dominici porta un’esperienza quarantennale di lavori eseguiti sull’infanzia, nella sua attività privata, nella scuola, nel Tribunale. Il presupposto da cui parte è chiaro: il corpo è il depositario della memoria, è l’archivio dei fatti che vogliamo dimenticare, perché soprattutto da piccoli non siamo in grado di rubricarli come buoni, cattivi, giusti, ingiusti, meritati, subìti. E così rimangono lì, sotto l’epidermide, pronti a risvegliarsi quando meno ce lo aspettiamo, spesso da adulti, quando intorno a noi si verificano episodi che, quasi inspiegabilmente, ci prendono le viscere. E allora il corpo ci parla e se siamo in grado di ascoltarlo, se abbiamo gli strumenti per farlo, ci racconta. Con questa profonda convinzione, Dominici ha dato vita nel 1996 a Psicantropos, un progetto a impostazione psicosomatica pensato per i bambini e calibrato sulla collaborazione tra insegnanti e genitori, giudicato d’eccellenza anche al Forum Europeo Urban Security di Saragoza del 2006. Affinato nel tempo e in varie scuole di ordine e grado, ha di fatto anticipato ciò che l’attuale Garante per i Minori e l’Adolescenza richiede. “Io confido nella famiglia, ma anche nella scuola, in cui confluiscono minori italiani, stranieri, portatori di handicap. I bambini devono essere abituati ad esternare le loro emozioni, a ‘disegnare’ il loro mondo, così da darci l’opportunità di cogliere nei loro segni situazioni di affettività ordinaria e, anche, di degrado straordinario. Solo così possiamo educarli al rispetto del loro e dell’altrui corpo e delle loro e delle altrui prerogative”. Dominici tiene conto di un aspetto fondamentale. I piccoli non sanno giudicare i fatti, non sanno giudicare che una violenza, un maltrattamento, un abuso, uno sfottò, una derisione, un’umiliazione sono tali, soprattutto se certi comportamenti li vedono in casa. Per questo è fondamentale che acquisiscano capacità critica verso il contesto sociale che li circonda. Ma serve, sempre e comunque, “informazione, prevenzione, formazione”. Solo così non si avranno adulti maschi convinti che discriminare e prevaricare una donna sia giusto, sia sul lavoro che in privato. E solo così non si avranno femmine per le quali è ‘doveroso’ essere sempre al massimo, anche fisicamente. E solo così si cesserà un braccio di ferro tra ‘generi’ che non ha motivo di continuare. L’8 marzo che vorrebbe la Dominici è quello in cui accendendo la tv non ci si imbatte in veline dal fisico mozzafiato che puntano sulla loro fisicità. O in programmi tv in cui sono gli uomini a parlare dei diritti delle donne, in un atteggiamento quasi concessivo. O in cui le donne, per fare valere i propri diritti, rischiano di diventare una brutta emulazione degli uomini. Lei vorrebbe un 8 marzo in cui sullo schermo compaiono volti rassicuranti e ordinari come quello di Margherita, che leggeva Noi Donne sperando in un mondo migliore. Che imbastendo le stoffe investiva in un mondo in cui esistere senza dover chiedere il permesso. ä
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IDEE di Catia Iori
dONNE E uOmINI ‘NuOVI’
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bbiamo detto tanto e di tutto. Della violenza di genere, del genocidio, dell’”invidia del grembo” in tutte le su possibili manifestazioni. TUTTE. Ho frequentato convegni ideologici, giuridici, antropologici. Ho scritto pure io di parità, di equilibrismi impossibili, di paura dell’amore con il genere maschile. E tuttavia all’avvio di questo nuovo anno, il mio cuore si sente costretto alla resa: è questo il destino ineluttabile che ci aspetta, noi donne, noi tutte, in questo terribile momento storico? Io continuo a vivere di speranza. Sarà ingenuo, sarà puerile ma a me piace cosi. E noi donne che portiamo la vita ovunque, dobbiamo pure ridare vitalità alla speranza, sennò tutto marcisce. Possiamo e dobbiamo credere ancora che ci sia luce in fondo al tunnel. Che ci sia consapevolezza gioiosa. Che le cose possano un giorno cambiare, magari ammorbidirsi col tempo. L’amore è possibile. L’armonia con un uomo è sia pure rara, fattibile. Quando l’uomo smette di trasformarsi in arma perché sofferente e la donna con pazienza e intelligenza sa amare se stessa e diventa protettiva di sé e al contempo vigilante sugli scivoloni del suo partner e quindi meno vulnerabile, potremmo forse ricominciare da capo. Un cammino nuovo, insieme. Definitivo, fatto di rispetto e di attenzione. Ci vuole semplicità per stare meglio e noi donne intellettuali spesso perdiamo il gusto delle piccole cose che nutrono la nostra anima. Occorre riscoprire la gioia della complicità come il profumo del caffè che accompagna l’inizio delle giornate radiose e significative. Felici perché ce ne accorgiamo e ne godiamo. Se solo i nostri compagni accettassero la loro fragilità come parte preponderante del loro essere e cominciassero ad elaborarla, anziché trasformarla in dispotismo, arroganza, invidia luciferina, si potrebbe pensare a una nuova straordinaria rivoluzione sociale e umana. E se solo si cercassero un referente maschile solido, una figura maschile di riferimento leale, forte, amoroso, potente, potrebbero diventare uomini che si innamorano davvero delle donne perché cercandole, le rispettano, le apprezzano, si alleano con loro e desiderano essere padri, fratelli, mariti, compagni amorosi e autentici. Esiste “l’invidia del grembo” ma c’è pure “l’invidia del pene”, non ne discuto ma occorre ristabilire nel tempo una cultura della conoscenza e dell’amore tra i sessi, una cultura rispettosa della differenza. Un nuovo patto può nascere che permetta al maschio di riscoprire il femminile che porta in sé e alla donna di fare altrettanto senza dimenticare che l’origine primaria di ogni cosa buona è dentro di lei e nella sua capacità di accettare i figli, maschi o femmine che siano!!!
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AgricolturA e servizi, l’innovAzione è donnA Dagli spray biodegradabili alla consulenza per l’organizzazione di matrimoni fino alla didattica. A Bari le imprese vincenti che vestono rosa di Rosa Anna Devito
“L’innovazione veste rosa”: è il Premio messo a disposizione dal Comitato per l’Imprenditorialità Femminile della CCIAA di Bari nell’ambito dell’iniziativa annuale Donna Crea Impresa allo scopo di valorizzare la capacità innovativa delle imprese femminili. L’iniziativa si è svolta dal 2 al 4 dicembre nello splendido scenario del salone della CCIAA di Bari. Imprese a titolarità femminile o società con legale rappresentante donna sono state invitate a presentare una scheda descrittiva della propria impresa, approfondendo la parte relativa ai contenuti di innovazione dei prodotti o processi produttivi. Il Comitato ha selezionato le aziende più innovative, che hanno esposto prodotti, idee e servizi nel salone. La CIA di Bari era rappresentata nel Comitato da Rosa Anna Devito, di Donne in Campo (Bari), ed ha presentato il progetto studio innovativo dell’Impresa Agricola Florovivaista Agrisol di Enza Balzano di Terlizzi (Bari) in collaborazione con il Dipartimento PRO.GE.SA (Università degli Studi di Bari), l’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (ICTP-CNR), il CRA (Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma). L’attività del progetto si svolge sulla base di strategie d’azione mirate alla validazione agronomica di film e spray biodegradabili utilizzati come materiali pacciamanti in floricoltura per aumentare la sostenibilità del processo produttivo. Le ricerche, miranti ad un uso razionale della risorsa idrica, avranno come oggetto specie floricole quali girasole, antirrino e statice. La
pacciamatura imita quello che succede naturalmente nei boschi, dove le foglie secche vanno ad accumularsi sul terreno ai piedi dell’albero formando la lettiera e limitando la crescita di altra vegetazione. L’effetto è dovuto sia ad un’inibizione di tipo fisico: impedimento alla penetrazione dei raggi solari, mancanza di spazio per lo sviluppo delle erbe infestanti, sia ad azioni di tipo biochimico, rilascio di sostanze bio-inibitrici che intossicano i semi e le parti di propagazione delle erbe infestanti. La pacciamatura è un’operazione attuata in agricoltura e giardinaggio che si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di materiale, al fine di impedire la crescita delle malerbe, mantenere l’umidità nel suolo, proteggere il terreno dall’erosione della pioggia battente, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale, diminuire il compattamento e mantenere la struttura e innalzare la temperatura del suolo. Questa tecnica permette di mantenere, al livello delle radici superficiali, una temperatura più elevata nei mesi freddi mentre diminuisce il bisogno di annaffiature durante i mesi caldi. La pacciamatura è una metodologia molto utilizzata nelle pratiche agronomiche sostenibili, quali l’agricoltura naturale e biodinamica. L’impresa vincitrice - “Per l’originalità dell’idea perseguita attraverso la valorizzazione del contesto pugliese ed il
STRATEGIE
PRIVATE
di Cristina Melchiorri
FAi ciÒ cHe AMi, AMA ciÒ cHe FAi Sono Valentina, trentacinque anni molto ben portati, dicono, ma mi sento stanca e frustrata. Dieci anni fa ho fondato con una collega e cara amica una piccola società di comunicazione, che nel tempo è cresciuta e ha tenuto bene il mercato anche in questo duro momento recessivo. Prima dello scorso Natale la scelta di ricapitalizzare la società mi ha portato in minoranza e ora sono stata licenziata dalla mia socia per divergenze di visione nella gestione. È possibile essere licenziati dall’azienda che hai fondato? Lo shock mi farebbe venire voglia di mollare tutto, ma non vorrei trovarmi a fare un lavoro qualunque…. Valentina Rosati (Assago, Milano)
Cara Valentina, è davvero una brutta esperienza. Non solo può succedere, ma hai un illustre precedente, Steve Jobs. Nel 1985, dopo aver realizzato il Macintosh, Jobs fu licenziato da Apple, che aveva creato a vent’anni nel garage di casa sua con l’amico Steve Wozniach. Apple infatti, diventata un colosso nel giro di dieci anni, aveva nominato un Amministratore Delegato che, proprio per divergenze di visione di business con Jobs, lo ha licenziato. “Ero devastato” ha confessato Jobs nel celebre discorso agli studenti di Stanford. “Avevo trent’anni ed ero fuori. Per alcuni mesi non ho saputo che fare. Scappare da Silicon Valley? Ma dentro di me avevo la consapevolezza che amavo ancora quello che avevo fatto. Ero stato respinto, ma ero ancora innamorato. Durante i cinque anni successivi ho fondato un’azienda chiamata Next e un’altra, la Pixar, che ha creato il primo film digitale, Toy story. Poi Next è stata comprata da Apple e quella tecnologia oggi è il cuore della rinascita di Apple. Niente di tutto ciò sarebbe successo se non fossi stato licenziato. L’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto è stato l’amore per quello che avevo fatto”. Ecco, Valentina, dobbiamo trovare ciò che amiamo, negli affetti ma anche nel lavoro, che occupa tanta parte della nostra vita. Sposeresti un uomo solo “discreto”? No. Perché accontentarsi? Dobbiamo fare quello che consideriamo un lavoro che ci realizza pienamente, e ci appaga. E amare ciò che facciamo.
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conseguimento della certificazione di qualità” - è risultata l’azienda barese “Emotion wedding & events”, una società di consulenza per l’organizzazione di matrimoni ed eventi, con certificazioni di alto profilo, anche Halal. Seconda classificata “per il percorso seguito nella nascita e nello sviluppo dell’idea imprenditoriale e per l’attenzione rivolta al territorio ed al mondo dell’infanzia” è stata “Naturalia sas” di Marianna Anaclerio, azienda specializzata nella didattica, anche ludica. “Il premio dedicato all’innovazione nell’imprenditoria femminile - ha commentato Nunzia Bernardini, presidente del Comitato camerale barese - è stata l’occasione per far emergere realtà imprenditoriali molto interessanti. A queste donne coraggiose, che esprimono con successo capacità ben oltre il contesto domestico nel difficile equilibrio dei tempi casa lavoro nell’impresa, va tutta la nostra gratitudine per l’impegno nello sviluppo economico della comunità barese”. “Un riconoscimento seppure simbolico, all’altra metà del sistema imprenditoriale che dimostra sempre un passo più veloce: nel periodo giugno 2012-giugno 2013, l’esercito delle imprese in rosa in Italia è cresciuto di 4.878 unità, pari al +0,34%, mentre le imprese nel loro complesso sono aumentate dello 0,13%. In Puglia sono 92.807 le imprese femminili su un totale di 381.333. È uno scenario ricco di creatività che il Comitato camerale promuove e sostiene con varie iniziative, fra cui anche percorsi formativi e che ogni anno culmina nell’evento Donna Crea Impresa, vetrina dell’intraprendenza imprenditoriale femminile”. ❂
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PERCORSI COOPERATIVI
Servizi Sociali: una bella impreSa! di Maria Fabbricatore
Da quaranta anni organizza l’assistenza anche per rendere libere le donne. È la cooperativa Cadiai e ce ne parla la Presidente Franca Guglielmetti Cadiai è una cooperativa sociale che da quarant’anni si occupa di assistenza agli anziani, ai disabili attraverso case-residenza e ai bambini con la gestione degli asili nido nel comune di Bologna e provincia. Abbiamo intervistato la Presidente Franca Guglielmetti. Da quanto tempo è presidente della Cadiai? Sono presidente dal 2008, sono succeduta a quattro presidenti donne com’è tradizione alla Cadiai, che cerchiamo di mantenere viva, in quanto è stata fondata da un gruppo di donne, che all’epoca svolgevano servizio di badanti, erano venti donne e tre uomini. Quest’anno celebriamo il 40° anno della cooperativa. Quarant’anni sono tanti e rispetto al passato sono cambiate tante cose. Come svolgete oggi il servizio verso i vostri assistiti? Ci sono stati molti cambiamenti e diverse fasi. Ora c’è una fase di ritorno alle origini, perché all’inizio la cooperativa svolgeva servizio ai privati. I primi utenti erano le famiglie private che avevano bisogno di assistenza presso domicilio o presso gli ospedali. Poi c’è stata una fase, che continua tuttora dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, con le assegnazioni di servizio attraverso la partecipazione alle gare. Dopo tutta questa fase di stretta collaborazione con l’ente pubblico abbiamo cominciato a essere più autonome. Le gare, che erano ogni due o tre anni, non ci consentivano di garantire continuità lavorativa ai nostri dipendenti, ai nostri soci, perché fino al ’94 le cooperative erano formate solo da soci, con
la nuova legge abbiamo potuto lasciare libere le persone di diventare o no socie. La scelta di diventare più autonome ci ha portato a fare importanti investimenti, perché una grande espansione in seguito l’abbiamo avuta con i progetti di costruzione e gestione di servizi promossi gli enti pubblici. Nella fase attuale stiamo tornando direttamente ai privati. Come mai questo ritorno alle origini? Per un forte restringimento dei servizi svolti dall’ente pubblico, sia direttamente, sia attraverso contratti con altri enti, e perché abbiamo subito dei tagli molto importanti, soprattutto nell’assistenza domiciliare, a partire dal 2008, quando io sono stata eletta presidente, quindi da quanto è cominciata la grande crisi economica. Abbiamo avuto un ridimensionamento del 40% dei servizi di assistenza domiciliare. La nostra esigenza era soprattutto il lavoro per le nostre socie, per le nostre dipendenti, per cercare di garantire continuità occupazionale. Abbiamo avviato, dunque, un’altra politica perché sul versante pubblico abbiamo subito solo ridimensionamenti. Ci sono alcune associazioni che chiedono che venga riconosciuta la figura del familiare curante anche attraverso una forma di retribuzione o di corresponsione di pensioni o simili, cosa ne pensa? La donna passerebbe tutto il tempo a casa, sarebbe una morte civile. Posso capire che nessuno è capace di curare così bene come il proprio parente, la moglie, le figlie, ma in questo modo il sacrificio delle donne sarebbe grandissimo. La storia della nostra cooperativa è esattamente il contrario: professionaliz-
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zare il lavoro di cura, non privatizzarlo chiudendolo nelle case. Noi lo vediamo nei familiari degli utenti, per esempio, affetti da Alzheimer, sono situazioni logoranti in modo impressionante. Oltre alle case-residenza per gli anziani e disabili, gestite asili nido per conto degli enti pubblici, ce ne può parlare? Negli anni abbiamo costruito tanti tipi di servizi, da quelli per la prima infanzia, quindi gli asili nido, fino alla cura degli anziani. Sono varie le forme con cui gestiamo gli asili nido. Quelli più importanti sono quelli che noi gestiamo globalmente, ma sempre per conto dell’ente pubblico. Le faccio l’esempio del comune di Bologna, che aveva bisogno di sei asili nuovi, il comune ha fatto nel corso degli anni dei bandi, in cui chiedeva ai partecipanti di fare una proposta per la costruzione e la gestione di questi asili. Noi abbiamo partecipato e li abbiamo vinti insieme ad altre cooperative bolognesi che si occupano delle costruzioni e della ristorazione. Abbiamo costruito gli asili e li gestiamo noi, i bambini pagano le stesse tariffe comunali e vengono iscritti attraverso le graduatorie comunali. Lo scambio con la Pubblica Amministrazione è questo: noi abbiamo fatto l’investimento, noi abbiamo messo per ogni servizio più di un milione di euro e il comune ci restituisce l’investimento fatto attraverso le rette che paga per ogni bambino iscritto. Questo ha consentito al Comune di poter fare il servizio, senza dover fare l’investimento, noi avevamo disponibilità economica, perché negli anni, con la nostra attività, avevamo accantonato gli utili per poterli reinvestire, così come prescrive la legge sulla cooperazione. Molte cooperative in Italia studiano il modello bolognese ed emiliano delle cooperative come spiega questa evoluzione, che come sa esiste in tutta Europa, e come mai si è sviluppato nel territorio emiliano nella forma più positiva? In effetti, il territorio dell’Emilia ha la più forte concentrazione cooperativa di tutta Europa. Si stima che un cittadino su due sia socio di una cooperativa in Emilia. Storicamente le prime cooperative emiliane sono quelle di consumo e sono quelle cooperative che nascono con l’emancipazione dei lavoratori, insieme ai sindacati, insieme alle associazioni, perché sono una delle forme di organizzazione dei lavoratori. All’inizio era-
no legati ai movimenti socialisti, probabilmente era una terra che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, aveva questa vocazione, sono nati qui alcuni movimenti sociali importanti tra cui quello cooperativo. L’idea della cooperativa, quando rimane fedele ai suoi principi, rispecchia un’idea di democrazia e di autorganizzazione dei lavoratori. La formula cooperativa è quella che regge di più alla crisi? Si, è vero, soprattutto per il livello occupazionale e del fatturato, cede sull’aspetto di utile che si ricava, ma tiene sull’occupazione di tutti anche a costo di non avere le posizioni, se tagliano i servizi, ma perché la cosa più importante è il socio. Cadiai come forma giuridica è una cooperativa di lavoro. Noi oggi abbiamo 1270 lavoratori, i soci sono 850, 400 non soci, non è obbligatorio essere soci per lavorare in cooperativa. È importante sottolineare la forma di gestione democratica: noi a maggio andremo a votare per ricomporre il consiglio, che è tutto dimissionario compresa io che sono la presidente. Ci sarà una commissione che andrà a cercare i candidati in tutti i nostri servizi. Io, come l’ultima persona che è entrata come socia, versiamo la stessa quota sociale, quindi in teoria abbiamo la stessa possibilità di essere presidente di questa cooperativa. Poi ci sono le regole definite nel regolamento elettorale che tutelano un principio cardine come è quello della democrazia. L’83 per cento delle vostre socie sono donne. Avete un codice etico per le pari opportunità? Rispetto a questo noi stiamo cercando di cogliere tutto quello che sia possibile per garantire le pari opportunità. Abbiamo bisogno di politiche particolari perché la nostra attività è quella che assicura pari opportunità per le altre donne. Mi spiego, noi lavoriamo negli asili che consentono alle altre donne di andare a lavorare, facciamo l’assistenza domiciliare che consente alle donne di non occuparsi tutti i giorni del loro caro non autosufficiente. Le nostre politiche di conciliazione diventano davvero complicate. Noi cerchiamo di lavorare sulla definizione dei turni di lavoro in modo tale che le persone riescano a trovare punti di conciliazione più favorevoli possibili per garantire tutte le opportunità. b
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LIfE CoaChIng [ Seconda puntata ]
di Catia Iori
Lo spazio per se stesse
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i chiedo “È possibile smarrire se stesse?” Sì lo è, quando ci allontaniamo dalle nostre più intime esigenze realizzative. Sono molte le donne anche adulte, che all’improvviso sentono l’esigenza di riprendersi in mano la propria vita. Dopo anni di matrimonio o di maternità impegnata, ciascuna di noi un giorno sente un antico richiamo a ciò che era da ragazzina o ricorda magari un vecchio sogno di un’amicizia a cui non si è dato corso benché ci fossero tutti gli elementi per capire che sarebbe stato utile e importante al nostro benessere. Eppure i segnali da seguire ci sono tutti, basta coglierli con fiducia. Il piacere che si prova facendo certe attività, al punto che il tempo vola e la fatica non si sente, indica la presenza di un forte interesse. La facilità di svolgere determinate mansioni o azioni, corrisponde certamente a un’attitudine e se poi riesce particolarmente bene, siamo in presenza di un talento. Alcune attività risultano addirittura appaganti, saziano un bisogno intimo, realizzano un valore, qualcosa in cui crediamo profondamente. Queste sono solo alcuni degli indicatori da tenere presente: interessi, attitudini, talenti e valori. Tutti li hanno, ma non tutti li fanno coincidere con le scelte personali e familiari, professionali e lavorative. Ci sono donne che vivono in apnea durante la settimana per poi dedicarsi con passione agli hobbies nei week-end (può trattarsi di una mostra o di un piacevole passatempo, di un figlio o di un film che risuona dentro e ci fa sentire vitali come non mai). Non è semplice né immediato arrivare al primo colpo a vivere allineati al
proprio lavoro o alla propria dimensione familiare, ma vale sempre la pena, anzi la gioia, di trovare il proprio posto nel mondo. Come? Cercando di focalizzare una direzione che abbia un senso, che faccia vibrare le corde della felicità potenziale. Un primo semplice esercizio da fare è giocare a comporre un puzzle, rispondendo a poche domande: Che cosa mi appassiona davvero? In che cosa riesco meglio? In che cosa credo profondamente? Quale effetto vorrei che avesse il mio lavoro o la mia presenza sugli altri? In quale occasione ho provato un senso di piena soddisfazione? In quale contesto mi piacerebbe lavorare per stare bene? Sono esempi di domande, ma quel che conta è rendere loquace il silenzio interiore con delle buone risposte. Poi si tratterà di esplorare possibili vie d’azione, realistiche, assumendosi la responsabilità delle proprie decisioni. La fortuna è l’incontro tra la preparazione e l’opportunità e…pare che aiuti le donne determinate.
Il teMa è questo: • bisogna darsi il tempo di fermarsi e farsi delle domande • occorre che le domande siano quelle giuste • domande secche, perentorie, chiare e sintetiche • darsi risposte vere, coraggiose e puntuali Agire di conseguenza. Ad esempio, la buona relazione con se stessi dipende dal rapporto che abbiamo col nostro corpo e con la sua intrinseca vitalità. Occuparsi della propria salute, fare attività fisica, una sana alimentazione, pianificare una opportuna prevenzione periodica di esami clinici sono segnali di buon rapporto con se stesse. Sei soddisfatta del tuo corpo? Ti senti bene nella tua pelle? Ti senti abbastanza tonica e allenata? Consideri giusto il tuo peso? Ti piace la tua immagine allo specchio? Qual è il tuo livello di energia? Ti senti stanca o riposata abbastanza per le tue attività quotidiane? Quando si è in un buon contatto con se stesse con un livello di soddisfazione basso, medio, o discreto se non alto riesci a identificare cosa fare per stare meglio.
E soprattutto scrivi. Scrivi sempre.
Ciò che non si scrive si ingarbuglia nella mente e si va a intanare in qualche meandro recondito della nostra testa che frulla si in continuazione ma che spesso non produce un risultato che porti gioia. Elucubrare, pensare, ruminare di continuo sono doti o assilli tipicamente femminili ma che spesso lasciano solo ansietà e disagio personale.
Copertina con Gina, n.10, marzo 1955 Copertina con Sophia, n. 3, gennaio 1959 Copertina con Audrey, n. 18, marzo1957
donne pagano con l’infelicità la loro emancipazione” e già allora erano presenti tanti temi che ancora oggi non trovano una soluzione. Noi Donne interpella le sue lettrici ogni settimana, chiedendo loro di inviare lettere e partecipare per raccontare la propria esperienza lavorativa e molte sono le donne che soffrono ad esempio la prigionia del lavoro a domicilio che isola le donne facendole sentire delle lavoratrici a metà nonostante tutte le incombenze. Senza dimenticare le lotte per la pensione alle casalinghe. “Anche in casa è entrata la rivoluzione!” si scrive sul giornale: tredici milioni di donne unite perché si discutesse in Parlamento una legge sull’indennità per la categoria. Si parla ancora di infanzia, ma i volti emaciati dei bambini dell’immediato dopoguerra cedono il passo ad inchieste sulla letteratura per ragazzi (a partire da quella americana giudicata troppo violenta) o sulle condizioni pessime di alcune scuole o sul diritto a non passare l’infanzia in carcere come nel caso dei figli delle Mantellate, carcere giudiziario femminile di Roma. Di maternità si parla moltissimo non solo perché la scienza va avanti e cominciano le prime operazioni fatte anche su bimbi piccolissimi, ma anche perché la libera scelta delle donne a concepire e portare avanti la gravidanza comincia ad essere un tema. Fece infatti scalpore il titolo dell’inchiesta di Giuliana dal Pozzo “Quando li vogliamo quanti ne vogliamo”, nel 1956, perché di fatto Noi Donne anticipa e si pone come interlocutore di rilievo in un dibattito che era appena incominciato sulla possibilità di pianificare le nascite e di parlare di diritto all’aborto. E di quegli anni sono anche le inchieste contro l’ONMI, Opera nazionale maternità e infanzia, ente assistenziale italiano fondato nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà, accusato di non essere un servizio all’altezza delle reali esigenze di donne e bambini, perché gestito male economicamente e secondo dettami profondamente sessisti ancora di stampo fascista. Non mancano gli uomini, interpellati in vari articoli sulla condizione delle donne e sull’avanzamento dell’emancipazione femminile. A parlare attori, giornalisti, ma anche persone comuni. È sempre di Giuliana Dal Pozzo la bellissima inchiesta del 1959 “L’uomo del secolo”, redatta con un occhio attento e straordinariamente moderno. “Sono due i modi con cui un giornale femminile guarda l’uomo: o come idolo o come nemico. Ci pare che tutti e due gli angoli visuali siano sbagliati, per-
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
L’ITALIA SI STA RIALZANDO DOPO LA GUERRA. NOI DONNE RACCONTA E ANTICIPA I GRANDI CAMBIAMENTI CHE SONO NELL’ARIA
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secondo inserto
Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro
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ché egli è un essere umano in una società ostile che oggi lo opprime così come opprime la donna. All’errore dell’uomo-idolo e dell’uomo-nemico vogliamo sostituire la certezza dell’uomo-alleato nella grande battaglia che oggi ci impegna: quella per l’emancipazione della donna.” u
a guerra è finita e il diritto al voto per le donne italiane è stato conquistato, nonostante la rappresentanza in Parlamento ancora si attesti su numeri molto esigui e le donne del Fronte Democratico si trovino all’opposizione del Governo della democrazia cristiana. Questo non impedisce loro di continuare a lottare per le battaglie che in quegli anni erano sentite come cruciali: la parità salariale tra uomini e donne, la maternità consapevole, la dignità dell’infanzia. E Noi Donne è un giornale che ogni giorno diventa più robusto anche grazie alla capacità di documentare e diffondere le voci di queste donne sempre in prima linea. La periodicità con cui esce è settimanale e a partire dal settembre del 1952 il colore apparirà finalmente sulle copertine e all’interno. Oltre alla direttora Maria Antonietta Macciocchi, sono Giuliana Dal Pozzo, Milla Pastorino e Fausta Cialente le firme delle inchieste sui temi più disparati: le case e gli sfratti, le condizioni lavorative, i consumi culturali delle donne, e anche il tema molto sentito del diritto ad una maternità consapevole. Colpisce anche l’attenzione per le giovani, a cui si chiede di parlare d’amore, di lavoro, di quanto si sentano vicine alle loro madri. Perduto il grigiore e la gravità di certi articoli degli anni precedenti, le giornaliste e i giornalisti si dilettano persino in domande irriverenti come quelle poste alle sedicenni dell’epoca, che presentavano problemi simili alle venticinquenni di adesso: cercano lavoro ma non lo trovano, sono innamorate ma fanno i conti con i soldi prima di mettere su famiglia, e a volte, come è normale che sia, non sanno ancora bene cosa vogliono dalla vita. Ci
Circo, nr 4, gennaio 1954 Cosa leggono le donne, nr 25, giugno 1952 Ragazze, nr 28, luglio 1952 Benvenute in redazione, nr 9, febbraio 1954
continua >
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
PRIMO CONGRESSO DELLA STAMPA FEMMINILE È il 25 ottobre del 1952 e la redazione di Noi Donne si fa promotrice di un’iniziativa atta a coinvolgere editori, giornalisti, lettori e intellettuali, con la volontà di dare nuovo slancio ai temi dell’emancipazione femminile e alla necessità che la stampa si occupi di sostenere questa causa così vitale per le donne e per l’intera società. Sarà il primo incontro tra coloro che scrivono e coloro che leggono: lo scrittore di fronte all’operaia, il giornalista a confronto con la casalinga e così via. Tra le adesioni autorevoli personaggi dell’epoca come Zavattini, Pratolini e Fiore e i giornalisti Anna Garofalo e Carlo Scarfoglio. L’analfabetismo, la difesa della cultura, la difesa della libertà di stampa, sono considerati problemi di “primissimo” ordine e Noi Donne si fa carico di avviare la discussione, con l’orgoglio di sentire stringere attorno a questi temi un interesse così vasto. In quell’occasione verrà lanciato il premio letterario intitolato al giornale, che avrebbe premiato con un milione di lire il miglior romanzo o saggio inedito che avesse come protagonista una bella figura di donna. Il premio andrà a Silvia Maggi Bonfanti con il romanzo “Speranza”.
sono però delle gran belle differenze a cominciare dal fatto che quelle che sono giovani o adolescenti negli anni ’50, sono nate prima della guerra e l’hanno vissuta da bambine, subendo perdite all’interno del nucleo familiare o comunque ritrovandosi spesso in situazioni di miseria. Poche studiano, la maggioranza lavora o ci prova, e questo, già lo dicevano gli psichiatri dell’epoca, le mette in una condizione di grande sofferenza, essendo passate repentinamente dall’infanzia alla vita adulta piena di responsabilità e doveri. Obblighi incombenti che allontanano le donne, giovani e non, dalle possibilità di svago, come la lettura. È di Milla Pastorino una bellissima inchiesta svolta tra librerie, biblioteche, e bancarelle dalla quale viene fuori che le donne leggono poco e male. Lettura privilegiata sono i fumetti, ovvero i fotoromanzi, colpa anche della mancanza di biblioteche, di sale lettura nelle fabbriche.u
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i pari passo con le uscite del giornale continuano i congressi dell’UDI. Nel 1953 la Presidente, Maria Maddalena Rossi scriveva su Noi Donne: “La funzione essenziale del Congresso sarà quella di favorire una larga unione di tutte le donne in un clima di collaborazione. Con l’apporto di tante forze nuove, vive, sensibili Noi donne raggiungerà un obiettivo di 300.000 copie”. Sempre di più Noi Donne ribadisce la sua natura di giornale di lotta e di rottura polemica con la stampa femminile corrente. Il giornale guarda al futuro, anche se è proprio nel 1953 che si celebrano i 10 anni dalla Resistenza “quella lotta di un’avanguardia di donne coraggiose, di ogni ceto sociale, unite nei gruppi di difesa della donna”, a cui Noi Donne non cessò mai di dare supporto e appoggio incondizionato, ricordando a distanza di dieci anni le 35.000 combattenti, le quasi 5.000 arrestate, torturate e condannate, le 3.000 deportate. Ma negli anni ‘50 cosa vogliono le donne? La parola d’ordine è lavoro: nove su dieci preferiscono alle attività tra le pareti domestiche quelle svolte fuori per se stesse e per la società, ed è di grande interesse vedere come il giornale dedichi una pagina al mese alle nuove professioni che stanno venendo fuori: la fotoreporter, la hostess, l’assistente di produzione. Non solo rose e fiori come è noto poiché la vita delle lavoratrici italiane risente di un continuo conflitto tra le esigenze della famiglia e le necessità del lavoro extra casalingo. “Ancora troppe continua >
Franca Valeri, nr 2, gennaio 1952 Anna Magnani e Walter Chiari, nr 3, gennaio 1952 Mina, nr 4, gennaio 1960 Cesare Zavattini, nr 21, maggio 1954
UN OCCHIO ALL’ARTE IN TUTTE LE SUE FORME Le notizie di costume e culturali assumono un’importanza enorme in questi anni. È il cinema l’elemento con cui si dialoga maggiormente con interviste a personaggi di rilievo e alcune pagine dedicate ai fotoromanzi con le scene ricavate direttamente dai film. Anna Magnani e Walter Chiari sono i personaggi più amati e raccontati. Ma come sempre Noi Donne stupisce chi si lascia riportare in un’epoca passata sfogliando le sue pagine delicate: si incontrano personaggi del calibro di Pablo Picasso, Cesare Zavattini, uomini di enorme fama e talento che concedono interviste e si raccontano. Passa l’idea che anche la massaia o la contadina del profondo sud Italia, poco istruita e retribuita, possa, grazie alla rivista, avvicinarsi ad un mondo che oggi chiameremmo glamour, sicuramente elitario e di grande spessore. Zavattini lancia un concorso: dalla storia di una lettrice scriverà una sceneggiatura! Franca Valeri invece si confida tra un atto e l’altro del suo spettacolo al Teatro dei Gobbi di Roma: “adoro i personaggi femminili che interpreto, come la sartina, l’impiegata, che sono buffi a causa la loro stessa ingenuità.” E poi intere pagine dedicate ai quadri e alle rappresentazioni del corpo femminile e al canto con i protagonisti del Festival di Sanremo. Nel 1960 a debuttare sarà una certa Mina, allora diciannovenne, che si preannuncia già da allora, diventerà una grande star.
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
Le braccianti, nr 28, luglio 1954 Braccia senza volto, nr 9, febbraio1960 L’uomo del secolo, nr 3, gennaio 1959 Le Mantellate, nr 9, marzo 1952 Hostess, nr 34, agosto 1954 Luoghi comuni, nr 12, marzo 1956
PRIMO CONGRESSO DELLA STAMPA FEMMINILE È il 25 ottobre del 1952 e la redazione di Noi Donne si fa promotrice di un’iniziativa atta a coinvolgere editori, giornalisti, lettori e intellettuali, con la volontà di dare nuovo slancio ai temi dell’emancipazione femminile e alla necessità che la stampa si occupi di sostenere questa causa così vitale per le donne e per l’intera società. Sarà il primo incontro tra coloro che scrivono e coloro che leggono: lo scrittore di fronte all’operaia, il giornalista a confronto con la casalinga e così via. Tra le adesioni autorevoli personaggi dell’epoca come Zavattini, Pratolini e Fiore e i giornalisti Anna Garofalo e Carlo Scarfoglio. L’analfabetismo, la difesa della cultura, la difesa della libertà di stampa, sono considerati problemi di “primissimo” ordine e Noi Donne si fa carico di avviare la discussione, con l’orgoglio di sentire stringere attorno a questi temi un interesse così vasto. In quell’occasione verrà lanciato il premio letterario intitolato al giornale, che avrebbe premiato con un milione di lire il miglior romanzo o saggio inedito che avesse come protagonista una bella figura di donna. Il premio andrà a Silvia Maggi Bonfanti con il romanzo “Speranza”.
sono però delle gran belle differenze a cominciare dal fatto che quelle che sono giovani o adolescenti negli anni ’50, sono nate prima della guerra e l’hanno vissuta da bambine, subendo perdite all’interno del nucleo familiare o comunque ritrovandosi spesso in situazioni di miseria. Poche studiano, la maggioranza lavora o ci prova, e questo, già lo dicevano gli psichiatri dell’epoca, le mette in una condizione di grande sofferenza, essendo passate repentinamente dall’infanzia alla vita adulta piena di responsabilità e doveri. Obblighi incombenti che allontanano le donne, giovani e non, dalle possibilità di svago, come la lettura. È di Milla Pastorino una bellissima inchiesta svolta tra librerie, biblioteche, e bancarelle dalla quale viene fuori che le donne leggono poco e male. Lettura privilegiata sono i fumetti, ovvero i fotoromanzi, colpa anche della mancanza di biblioteche, di sale lettura nelle fabbriche.u
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i pari passo con le uscite del giornale continuano i congressi dell’UDI. Nel 1953 la Presidente, Maria Maddalena Rossi scriveva su Noi Donne: “La funzione essenziale del Congresso sarà quella di favorire una larga unione di tutte le donne in un clima di collaborazione. Con l’apporto di tante forze nuove, vive, sensibili Noi donne raggiungerà un obiettivo di 300.000 copie”. Sempre di più Noi Donne ribadisce la sua natura di giornale di lotta e di rottura polemica con la stampa femminile corrente. Il giornale guarda al futuro, anche se è proprio nel 1953 che si celebrano i 10 anni dalla Resistenza “quella lotta di un’avanguardia di donne coraggiose, di ogni ceto sociale, unite nei gruppi di difesa della donna”, a cui Noi Donne non cessò mai di dare supporto e appoggio incondizionato, ricordando a distanza di dieci anni le 35.000 combattenti, le quasi 5.000 arrestate, torturate e condannate, le 3.000 deportate. Ma negli anni ‘50 cosa vogliono le donne? La parola d’ordine è lavoro: nove su dieci preferiscono alle attività tra le pareti domestiche quelle svolte fuori per se stesse e per la società, ed è di grande interesse vedere come il giornale dedichi una pagina al mese alle nuove professioni che stanno venendo fuori: la fotoreporter, la hostess, l’assistente di produzione. Non solo rose e fiori come è noto poiché la vita delle lavoratrici italiane risente di un continuo conflitto tra le esigenze della famiglia e le necessità del lavoro extra casalingo. “Ancora troppe continua >
Franca Valeri, nr 2, gennaio 1952 Anna Magnani e Walter Chiari, nr 3, gennaio 1952 Mina, nr 4, gennaio 1960 Cesare Zavattini, nr 21, maggio 1954
UN OCCHIO ALL’ARTE IN TUTTE LE SUE FORME Le notizie di costume e culturali assumono un’importanza enorme in questi anni. È il cinema l’elemento con cui si dialoga maggiormente con interviste a personaggi di rilievo e alcune pagine dedicate ai fotoromanzi con le scene ricavate direttamente dai film. Anna Magnani e Walter Chiari sono i personaggi più amati e raccontati. Ma come sempre Noi Donne stupisce chi si lascia riportare in un’epoca passata sfogliando le sue pagine delicate: si incontrano personaggi del calibro di Pablo Picasso, Cesare Zavattini, uomini di enorme fama e talento che concedono interviste e si raccontano. Passa l’idea che anche la massaia o la contadina del profondo sud Italia, poco istruita e retribuita, possa, grazie alla rivista, avvicinarsi ad un mondo che oggi chiameremmo glamour, sicuramente elitario e di grande spessore. Zavattini lancia un concorso: dalla storia di una lettrice scriverà una sceneggiatura! Franca Valeri invece si confida tra un atto e l’altro del suo spettacolo al Teatro dei Gobbi di Roma: “adoro i personaggi femminili che interpreto, come la sartina, l’impiegata, che sono buffi a causa la loro stessa ingenuità.” E poi intere pagine dedicate ai quadri e alle rappresentazioni del corpo femminile e al canto con i protagonisti del Festival di Sanremo. Nel 1960 a debuttare sarà una certa Mina, allora diciannovenne, che si preannuncia già da allora, diventerà una grande star.
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
Le braccianti, nr 28, luglio 1954 Braccia senza volto, nr 9, febbraio1960 L’uomo del secolo, nr 3, gennaio 1959 Le Mantellate, nr 9, marzo 1952 Hostess, nr 34, agosto 1954 Luoghi comuni, nr 12, marzo 1956
Copertina con Gina, n.10, marzo 1955 Copertina con Sophia, n. 3, gennaio 1959 Copertina con Audrey, n. 18, marzo1957
donne pagano con l’infelicità la loro emancipazione” e già allora erano presenti tanti temi che ancora oggi non trovano una soluzione. Noi Donne interpella le sue lettrici ogni settimana, chiedendo loro di inviare lettere e partecipare per raccontare la propria esperienza lavorativa e molte sono le donne che soffrono ad esempio la prigionia del lavoro a domicilio che isola le donne facendole sentire delle lavoratrici a metà nonostante tutte le incombenze. Senza dimenticare le lotte per la pensione alle casalinghe. “Anche in casa è entrata la rivoluzione!” si scrive sul giornale: tredici milioni di donne unite perché si discutesse in Parlamento una legge sull’indennità per la categoria. Si parla ancora di infanzia, ma i volti emaciati dei bambini dell’immediato dopoguerra cedono il passo ad inchieste sulla letteratura per ragazzi (a partire da quella americana giudicata troppo violenta) o sulle condizioni pessime di alcune scuole o sul diritto a non passare l’infanzia in carcere come nel caso dei figli delle Mantellate, carcere giudiziario femminile di Roma. Di maternità si parla moltissimo non solo perché la scienza va avanti e cominciano le prime operazioni fatte anche su bimbi piccolissimi, ma anche perché la libera scelta delle donne a concepire e portare avanti la gravidanza comincia ad essere un tema. Fece infatti scalpore il titolo dell’inchiesta di Giuliana dal Pozzo “Quando li vogliamo quanti ne vogliamo”, nel 1956, perché di fatto Noi Donne anticipa e si pone come interlocutore di rilievo in un dibattito che era appena incominciato sulla possibilità di pianificare le nascite e di parlare di diritto all’aborto. E di quegli anni sono anche le inchieste contro l’ONMI, Opera nazionale maternità e infanzia, ente assistenziale italiano fondato nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà, accusato di non essere un servizio all’altezza delle reali esigenze di donne e bambini, perché gestito male economicamente e secondo dettami profondamente sessisti ancora di stampo fascista. Non mancano gli uomini, interpellati in vari articoli sulla condizione delle donne e sull’avanzamento dell’emancipazione femminile. A parlare attori, giornalisti, ma anche persone comuni. È sempre di Giuliana Dal Pozzo la bellissima inchiesta del 1959 “L’uomo del secolo”, redatta con un occhio attento e straordinariamente moderno. “Sono due i modi con cui un giornale femminile guarda l’uomo: o come idolo o come nemico. Ci pare che tutti e due gli angoli visuali siano sbagliati, per-
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
L’ITALIA SI STA RIALZANDO DOPO LA GUERRA. NOI DONNE RACCONTA E ANTICIPA I GRANDI CAMBIAMENTI CHE SONO NELL’ARIA
1951 1960
secondo inserto
Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro
L
ché egli è un essere umano in una società ostile che oggi lo opprime così come opprime la donna. All’errore dell’uomo-idolo e dell’uomo-nemico vogliamo sostituire la certezza dell’uomo-alleato nella grande battaglia che oggi ci impegna: quella per l’emancipazione della donna.” u
a guerra è finita e il diritto al voto per le donne italiane è stato conquistato, nonostante la rappresentanza in Parlamento ancora si attesti su numeri molto esigui e le donne del Fronte Democratico si trovino all’opposizione del Governo della democrazia cristiana. Questo non impedisce loro di continuare a lottare per le battaglie che in quegli anni erano sentite come cruciali: la parità salariale tra uomini e donne, la maternità consapevole, la dignità dell’infanzia. E Noi Donne è un giornale che ogni giorno diventa più robusto anche grazie alla capacità di documentare e diffondere le voci di queste donne sempre in prima linea. La periodicità con cui esce è settimanale e a partire dal settembre del 1952 il colore apparirà finalmente sulle copertine e all’interno. Oltre alla direttora Maria Antonietta Macciocchi, sono Giuliana Dal Pozzo, Milla Pastorino e Fausta Cialente le firme delle inchieste sui temi più disparati: le case e gli sfratti, le condizioni lavorative, i consumi culturali delle donne, e anche il tema molto sentito del diritto ad una maternità consapevole. Colpisce anche l’attenzione per le giovani, a cui si chiede di parlare d’amore, di lavoro, di quanto si sentano vicine alle loro madri. Perduto il grigiore e la gravità di certi articoli degli anni precedenti, le giornaliste e i giornalisti si dilettano persino in domande irriverenti come quelle poste alle sedicenni dell’epoca, che presentavano problemi simili alle venticinquenni di adesso: cercano lavoro ma non lo trovano, sono innamorate ma fanno i conti con i soldi prima di mettere su famiglia, e a volte, come è normale che sia, non sanno ancora bene cosa vogliono dalla vita. Ci
Circo, nr 4, gennaio 1954 Cosa leggono le donne, nr 25, giugno 1952 Ragazze, nr 28, luglio 1952 Benvenute in redazione, nr 9, febbraio 1954
continua >
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
I migliori anni Il racconto di Giulietta Ascoli
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o avuto la fortuna di vivere i migliori anni della professione di giornalista nella redazione di Noi Donne. Anni che hanno coinciso con un periodo - tra la fine del ‘50 e la metà del ‘70 - tra i più stimolanti e vincenti della vita del giornale e persino, posso azzardarlo, del nostro paese. Era un’ Italia ancora arretrata e bigotta, ma anche disponibile a cambiare. Ricordo con grande affetto Giuliana Dal Pozzo, la nostra direttrice, Luisa Melograni, Bruna Bellonzi, Maria Maffei, Giuliana Ferri, intransigente caporedattore che gettò il mio primo articolo nel cestino perché era “zeppo di opinioni e mancava di fatti”. Eravamo molto unite e mai carrieriste, semmai ambiziose di far bene il nostro mestiere. Quelli sono stati gli anni delle grandi inchieste di Noi Donne sulla condizione femminile nel lavoro, come cardine numero uno dell’emancipazione. Si scopriva ‘l’incredibile disparità dei salari fra uomini e donne nelle grandi fabbriche del nord, la fatica del lavoro a domicilio nelle Marche e in Emilia, lo sfruttamento di ragazze bambini e bambine nelle campagne del sud, la condizione subalterna e disprezzata delle casalinghe. Conservo gelosamente le foto e gli articoli che mi sono rimasti di tanti incontri, di tante interviste. Foto che mi ricordano le amiche di Ferrara, i loro racconti di mondine, quando nel periodo della raccolta del riso erano costrette a stare lontane da casa e dai figli piccoli. L’Italia in un certo senso progrediva, in quegli anni. Cominciava l’era del benessere. Ma noi scoprivamo sul piano del costume e dei rapporti fra uomo e donna fatti che, a dir poco, sconcertavano. Noi della redazione di Noi Donne in quegli anni eravamo un passo più avanti delle nostre istituzioni politiche, di riferimento, soprattutto in un campo delicatissimo come quello del matrimonio indissolubile e della maternità che secondo noi doveva essere libera e cosciente. Comunisti e socialisti - salvo poche eccezioni - tergiversavano in materia di divorzio per non creare difficoltà al colloquio in corso con la DC e il mondo cattolico e tacevano molto imbarazzati in quello ancor più delicato e complesso dell’interruzione di gravidanza. Ebbene, Noi Donne si distinse con coraggio e audacia dando il via a una grande campagna per il diritto alla contraccezione in un tempo in cui parlare di pillola o di rapporti protetti era un vero e proprio scandalo. Avevamo scelto argomenti tabù che, affrontati con franchezza
sia nella Posta di Giuliana Dal Pozzo sia nei nostri articoli provocarono molte critiche e inviti alla cautela anche da parte di alcune dirigenti dell’UDI. A quei tempi certe idee provocavano un gran mal di pancia, a dire poco. Eppure il nostro affezionato pubblico era d’accordo e non si stancava di confermarcelo in mille modi. Sono stati anni entusiasmanti a ricordarli adesso... Un paese per tanti versi ipocrita e conservatore veniva messo alla gogna da un settimanale femminile che denunciava lo scandalo del matrimonio riparatore e ancor più le assurde attenuanti accordate all’uomo che compiva un delitto d’onore. Bisognava conquistare nuove leggi per cambiare un diritto di famiglia quasi medioevale, che a metà del ‘70 sarebbe stato rinnovato, ma dopo anni di proteste e di lotta. Conciliare lavoro e famiglia è stato un altro tema delle battaglie del nostro giornale. Era un problema. Che fare? Bisognava dare l’avvio a una grande campagna per gli asili nido. E così fu. Ma a Noi Donne decidemmo di comune accordo con l’UDI e l’amministrazione del settimanale che potevamo cominciare un esperimento in redazione, visto che eravamo in tante mamme, oltre che giornaliste, E così abbiamo adottato l’orario unico, sia pure per un periodo di un anno, promettendo che avremmo dato al lavoro lo stesso entusiasmo e davvero impegnandoci a fondo nel conseguire i risultati promessi.
Quanti ne vogliamo, nr 29, luglio 1956 Lavorano per vivere ma come vivono, nr 1, gennaio 1958
da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro
L’EMILIA-ROMAGNA NEL 2014
PROSPETTIVE DI UN SISTEMA IN MOVIMENTO di Anna Pariani, presidente Gruppo regionale PD
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REDAZIONALE
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onostante i pesanti tagli ai trasferimenti statali degli ultimi anni, anche per il 2014 la Regione ha scelto di non ridurre le risorse dedicate alla sanità, mantenendo un rapporto tra costi e qualità dei servizi che ci pone in assoluto ai vertici nazionali, tanto da essere presi come riferimento per la definizione di gran parte dei costi standard nelle politiche di spending review. A pressione fiscale invariata, dunque, la sanità pubblica emiliano romagnola è garantita e cresce di 70 milioni il fondo per la non autosufficienza. È chiaro che a fronte di 9 punti di Pil persi dal 2008 e una disoccupazione all’8,9% non possiamo “cantare vittoria” o dire risolti i tanti problemi derivanti dalla crisi economica. Possiamo però scegliere, come abbiamo fatto, di non operare tagli al bilancio delle politiche di welfare, di non lasciare solo nessuno e continuare a investire nel sociale quale baluardo di quei diritti e servizi alla persona che rendono più forte la comunità. Questo è possibile perché l’EmiliaRomagna è la Regione meno indebitata d’Italia e ha ridotto del 20% la spesa per il suo funzionamento; perché non ci siamo fermati mai, modificando l’organizzazione dei servizi, eliminando molte inefficienze e semplificando le procedure, in un percorso di riforme a 360° che continuerà fino al termine della legislatura. Abbiamo anche utilizzato interamente i fondi strutturali europei e investito nella capacità di spesa dei nostri Comuni, allentando a li-
vello territoriale i vincoli del patto di stabilità e consentendo a molti enti locali di investire le risorse in bilancio per opere pubbliche che danno occupazione e ossigeno alle imprese. Come dichiarato dal Presidente Errani nella relazione annuale di mandato, ci siamo dati molteplici obiettivi: da una grande attenzione al mondo del lavoro, alla tutela di disoccupati, inoccupati, persone in cassa integrazione o in mobilità, fino alla difesa del territorio emilianoromagnolo, al patrimonio che dalla costa all’Appennino richiede di essere mantenuto e valorizzato. Confermato anche in futuro l’impegno della ricostruzione nella zona colpita dal terribile sisma del 2012 e l’investimento sullo sviluppo delle attività produttive, sulla loro internazionalizzazione e innovazione, così come sul fondo di finanza agevolata e sostegno dei consorzi fidi per le aziende in difficoltà di tutta la regione. Fra le novità e i segnali positivi per il 2014, segnalo infine il lavoro del-
la Commissione assembleare pari opportunità, di cui faccio parte. Dopo un intenso percorso di incontri e audizioni che hanno coinvolto le rappresentanze, l’approvazione unanime di 8 atti di indirizzo volti a rafforzare i diritti femminili in ogni campo, sarà presto in discussione il progetto di legge quadro “per la parità e contro le discriminazioni di genere”. Una normativa che valorizzerà il contributo e il ruolo delle donne nelle istituzioni, nel lavoro, nella società, per cambiare in meglio tutti insieme e finalmente alla pari.
La valenza regionale
del progetto M.I.R.E. In occasione del Convegno “Ospitiamo il futuro” (23 novembre 2013, Centro L. Malaguzzi di Reggio Emilia), la presidente dell’Assemblea legislativa regionale Palma Costi è intervenuta definendolo un “sogno collettivo”, i cui punti di forza sono «il contesto in cui nasce, fortificato da un network educativo legato ai diritti dell’infanzia, la sinergia tra Reggio Children, il sistema sanitario reggiano e un centro d’eccellenza come l’Irccs dell’Ospedale Santa Maria Nuova». La presidente Costi ha sottolineato dunque questo «patrimonio di capitale umano,
SALUTE DELLA DONNA CURA MATERNO-INFANTILE: QUANDO IL SOGNO DIVENTA REALTÀ di Roberta Mori, presidente Commissione per la Parità
L’OMS ha inserito la Medicina di Genere nell’Equity Act
culturale e sanitario che rilancia il ruolo di avanguardia del modello emilianoromagnolo non solo a livello nazionale ma anche in vista dall’apertura delle frontiere sanitarie europee». Piena condivisione nelle parole del capogruppo PD in Commissione Sanità, il piacentino Marco Carini, che ha parlato di un progetto che «sembra riguardare l’idea stessa del progetto di vita che sta dietro una scelta di maternità.» «È un’idea tecnica dal sapore fortemente politico, ma di una politica che sa spingersi oltre il solo, e pur necessario, soddisfacimento del bisogno, per delinearsi nel suo significato più alto, quello di una politica delle relazioni, una politica di Comunità.» La stessa eccellenza al servizio della salute femminile che l’Assemblea legislativa ha promosso con due Risoluzioni ricordate dal consigliere: la prima sostiene le esperienze di breast unit quali organizzazioni integrate per la prevenzione e il trattamento del cancro alla mammella, la seconda impegna la Giunta regionale a inserire la medicina e ricerca di genere nella pianificazione socio-sanitaria. Entrambe approvate all’unanimità a fine 2012.
a testimonianza di come l’equità sia un principio che si applica non solo all’appropriatezza, ma anche all’accesso alle cure. La Medicina di Genere si inserisce dunque, a pieno titolo, in una proposta innovativa di strategie operative, organizzative e di ricerca per colmare le diseguaglianze della salute femminile rispetto a quella degli uomini, un problema che interessa il 55% della popolazione mondiale. La qualità della prestazione sanitaria passa attraverso l’appropriatezza fino ad una personalizzazione della cura che valuti le diversità e le differenze, rappresentando una sfida costante al miglioramento del sistema pubblico, forgiato sull’integrazione dei servizi territoriali e ospedalieri e sull’apporto multidisciplinare delle equipe mediche. Una rappresentazione plastica di questo approccio l’ha offerta il convegno “Ospitiamo il futuro. Nascita, procreazione, cura, didattica e ricerca, il progetto va avanti”, tenutosi a fine 2013 al Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, dove i massimi rappresentanti locali e regionali della sanità, della politica e della società civile hanno presentato pubblicamente M.I.R.E. (Maternità Infanzia Reggio Emilia), il centro di assistenza, cura e ricerca avanzata, interamente dedicato alle donne, che sorgerà nell’area dell’Arcispedale Santa Maria Nuova. Tale progetto nasce dall’idea di alcuni medici e primari di dotare il territorio reggiano – dove in particolare l’immigrazione ha incrementato la natalità e la complessità delle domande socio-sanitarie – di una
struttura integrata e davvero innovativa in grado di rispondere ad ogni fase e problematica della salute e del benessere femminile. Ciò significa la concentrazione di varie attività, tra cui: ricerca medica e scientifica integrata alle cure, accoglienza, consulenza e cura personalizzata delle pazienti, le migliori tecnologie disponibili al servizio della gravidanza, parto e puerperio, educazione alla genitorialità e trattamenti per favorire la procreazione, unitamente ad un allestimento degli spazi a misura di donna. I responsabili delle Aziende locali sanitaria e ospedaliera sono in prima linea sul progetto M.I.R.E., credendo alla sua fattibilità sin da quando si è manifestata la volontà politica unanime dell’Assemblea legislativa della Regione EmiliaRomagna attorno alla realizzazione del nuovo Ospedale maternoinfantile. Il sogno ha incrociato la realtà, grazie anche all’impegno dell’associazione Onlus CuraRe presieduta da Deanna Ferretti che, con iniziative di grande richiamo e spessore - basti citare la prestigiosa mostra itinerante “90 artisti per una Bandiera” ospitata anche nel complesso del Vittoriano a Roma -, ha già raccolto i fondi necessari per la progettazione preliminare dell’opera.
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Febbraio 2014
DOPO LA GUERRA UN LUNGO CAMMINO VIETNAM
LA CONDIZIONE DELLE DONNE E LA VISITA A
HA LONG DANANG HOI AN SAIGON
Testo e foto di Costanza Fanelli (seconda parte)
Le donne in Vietnam occupano un posto rilevante: le percepisci come il fulcro portante di quella organizzazione della vita vietnamita che si basa sull’intreccio stretto tra la famiglia e la rete di attività produttive e commerciali. Attività spesso legate alla sola sussistenza soprattutto nelle aree di campagna o lungo i tanti fiumi e canali che caratterizzano il paese. Nelle città e nei piccoli centri agricoli interi settori del commercio sono in mano alle donne. Contraddistinte da una grazia innata, attente alla loro estetica anche in situazioni pesanti di lavoro: i loro visi belli e sottili sono sempre protetti oltre che dai famosi cappelli a pagoda da fazzoletti e le loro braccia e mani da guanti per impedire al sole di scurire la pelle che deve rimanere bianca. È affidato alle donne molta parte del piccolo trasporto sull’acqua. per turisti, per trasportare merci e persone. Con perizia e eleganza guidano con i remi a pertica le piccole imbarcazioni con cui si possono percorrere i tanti corsi d’acqua e paludi, gli stretti canali circondati da mangrovie che segnano i grandi Delta del Fiume Rosso e del Mecong. I dati statistici attuali (2012) confermano le impressioni avute in questo viaggio: le donne sono
il 49% della forza lavoro, sono il 51% delle persone che lavorano in agricoltura e il 65% nel commercio, sono il 67% nel settore del turismo ma anche il 51% nella finanza e nel credito, sono il 69 % nel settore educativo e il 57% in quello legato alla salute. Ciononostante la percentuale di donne presenti nel Parlamento arriva NEllE cITTÀ E NEI pIccolI solo al 25%. A leggere i temi e gli cENTrI AGrIcolI obiettivi su cui è impegnata INTErI sETTorI oggi l’Unione Donne Vietnamite dEl coMMErcIo i problemi sono però ancora soNo IN MANo tanti: portare fuori dallo stato di AllE doNNE povertà oltre 700mila donne sole capifamiglia, consulenza e formazione professionale per la creazione di opportunità di lavoro per 100mila donne l’anno, partecipazione delle donne ai processi di sviluppo socio economico del paese, impegno per l’attuazione di leggi per le pari opportunità, interventi per migliorare la condizione e il ruolo delle donne nelle famiglie. ❂
Febbraio 2014
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nella baia di ha long
La vita si svolge nei villaggi sull’acqua, concentrati in particolari piccole baie e costruiti su palafitte o galleggianti per affrontare meglio le piene
La baia di Ha Long è uno dei tesori naturalistici più rilevanti e unici al mondo: tremila isole rocciose di tutte le dimensioni ricche di vegetazione immerse e sparpagliate nella grandissima insenatura del mare del Tonchino. Un labirinto di acqua, rocce di ogni dimensione e dalle forme più incredibili, un insieme di piccoli o grandi specchi di mare circondati da monti rocciosi incombenti, nel quale puoi navigare senza fine. Ma anche un vero ecosistema che si fonda sulla presenza diffusa di comunità di villaggi sull’acqua che vivono di pesca che è una delle ricchezze dell’area. Ha Long oggi è divenuto uno dei luoghi più importanti e frequentati per i flussi turistici. Ho fatto fatica a riconoscere quello che era il piccolo molo dal quale oltre venti anni fa sono salita in una imbarcazione, accompagnata dal gruppo di donne che mi ospitava. Quelle donne mi parlavano mentre navigavamo di piccoli loro progetti di riutilizzo di edifici che erano stati costruiti come foresterie
la baia di ha long
e che potevano aprirsi al turismo. Oggi per navigare nella baia di Ha Long parti da una grande stazione marittima, circondata da grandi alberghi e residenze per vacanze che accolgono un flusso continuo di turisti, in grande parte dell’est asiatico ma anche europei del nord. Lì ti aspettano imbarcazioni attrezzate per ospitare e fare navigare i turisti anche per vari giorni, piccoli alberghi naviganti. Allora mentre si navigava vedevi solo piccole imbarcazioni povere che erano anche le “case” del pescatore e della sua famiglia. Oggi le imbarcazioni dei pescatori servono principalmente per pescare. La vita si svolge nei villaggi sull’acqua, concentrati in particolari piccole baie e costruiti su palafitte o galleggianti per affrontare meglio le piene. Ci arriviamo con piccole imbarcazioni guidate da donne sempre sorridenti: case familiari galleggianti, tutto in vista, donne e bambini che vivono e si muovono in pochi metri. Ogni tanto i bambini si tuffano ridendo nell’acqua, è il loro gioco, ma anche il modo di semplificare i problemi di igiene personale. Barconi adibiti alle più diverse attività: vendita di vari tipi di prodotti anche botteghe destinate ai turisti. C’è anche la scuola per i bambini. Con grandi problemi di inquinamento ambientale che si cerca di fronteggiare con qualche tentativo di raccolta dei rifiuti.
VIETNAM
Ha Long
È affidato alle donne molta parte del piccolo trasporto sull’acqua. per turisti, merci e persone
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Gennaio 2014 una fabbrica di lanterne rosse di Hoi an
Saigon
un negozio di stoffe a Saigon
VIETNAM
È visibile il contrasto tra modernità e arretratezza, tra globalizzazione e sviluppo del fai da te. il vecchio centro coloniale è soffocato da una sequenza di alberghi
Danang Hoi An è conosciuta anche come uno dei posti dove nascono le “lanterne rosse” di ogni forma e dimensione
Danang è stata uno dei centri nevralgici della guerra poiché vi era posizionata la più grande base militare americana e nei suoi dintorni il conflitto è stato drammatico. Oggi Danang è tutta un cantiere: è una città moderna che si estende lungo un largo fiume, sulle cui rive i giovani la sera si riuniscono, parlano, sentono insieme la musica con strumenti elettronici uguali a quelli di altri milioni di giovani nel mondo. Danang è oggi una importante meta per turisti che cercano spiagge e baie bianchissime e lussuosi alberghi e resort, immersi nel verde e con piscine. Ma vicino a Danang c’è una delle cittadine più belle e particolari del Vietnam, Hoi An, un luogo pieno della storia precedente a quella che più conosciamo noi europei. Hoi An è stata nei secoli scorsi una delle più fiorenti enclavi delle potenze commerciali asiatiche in Indocina, ognuna ha lasciato qui una testimonianza culturale, architettonica, religiosa, civile. Templi e pagode di vario stile, palazzi civili eleganti costruiti tutti in legno, un ponte coperto che segna uno dei punti cruciali del lungo e pittore-
un laboratorio di abiti di seta
sco centro commerciale. Un crogiolo di culture oggi protetto dall’Unesco. Hoi An è conosciuta anche come uno dei posti dove nascono le “lanterne rosse”: di ogni forma e dimensione, una attività in mano alle donne che caratterizza il seguire ininterrotto di botteghe artigianali. Capitiamo nel giorno giusto: il giorno in cui si ricordano e festeggiano gli avi di ogni famiglia. E lo si fa in un modo meraviglioso, affidando alla corrente del fiume che lo attraversa una piccola lampada di cartone illuminata da una candela: tante lucine rosse nella notte che corrono e si rincorrono. Anche io ho messo la mia lampada pensando ai miei cari e ho aspettato finché non è scomparsa all’orizzonte.
La scuola è obbligatoria ma solo sulla carta e per tanti motivi è ancora alto il tasso di analfabetismo, specie nelle campagne. Saigon (oggi Ho Chi Minh city) si presenta come una città molto diversa da Hanoi. Lì è ancora più visibile il contrasto tra modernità e arretratezza, tra globalizzazione e sviluppo del fai da te. Il vecchio centro coloniale è oramai soffocato da una sequenza di albergoni delle più conosciute catene, ognuno a gara con l’altro per architetture sontuose e improbabili, per ospitare una quantità enorme di turisti per lo più asiatici, dell’est europeo ma anche di altri paesi occidentali. Saigon è la città più popolosa del Vietnam e lo si vede: il suo potere attrattivo verso aree di popolazione povera di campagna è in crescita, con tutti i problemi che già si conoscono. Un grande sviluppo economico e commerciale che avvantaggia alcuni e lascia da parte e poveri altri, segnato anche da nuove stratificazioni di privilegi legate al rigido sistema politico-burocratco di governo incentrato sulle gerarchie del partito unico. Un sistema segnato anche da forme diffuse di corruzione. Un rapporto squilibrato tra crescita economico e benessere sociale. Non c’è in Vietnam un sistema sanitario nazionale e pubblico a cui tutti possono fare veramente riferimento. Il destino di salute delle persone è affidato, oltre che alla perdurante diffusione della medicina tradizionale, ad una presenza maggioritaria di strutture private e costose o a fondazioni di carattere filantropico-sociale, per lo più di origine straniera. La scuola è obbligatoria ma, mi dicono, solo sulla carta e per tanti motivi è ancora alto il tasso di analfabetismo, specie nelle campagne. A scuola si va poche ore al giorno con turni di mattina o pomeriggio. Per il resto si condividono le attività produttive o commerciali della propria famiglia. Ma è rarissimo vedere bambini chiedere soldi o altro ai turisti. Semmai ti vendono qualcosa. Saigon porta ancora con sé la sua immagine di contro-capitale economica e commerciale rispetto alla capitale bu-
a colpire con azioni improvvise e invisibili. L’incubo dei marines. Oggi quella zona, Cu Chi, ancora segnata da crateri fatte dalle bombe americane è un grande museo turistico-educativo immerso nel verde: puoi misurare di persona la ridottissima dimensione degli spazi nei quali quelle donne e quegli uomini hanno vissuto tanto tempo, dove si erano organizzati per fare tutto: preparare armi e munizioni, agguati e trappole, ma anche vivere, mangiare, curare i feriti. Puoi riaccendere visivamente la memoria di quella che è stata la lotta impari tra il Davide vietnamita e il Golia americano. Intelligenza anche militare, determinazione e resistenza a tutti i costi per la conquista della indipendenza, una condizione storica di un popolo contadino abituato a lottare e a vivere in condizioni estreme. Ma i vietnamiti hanno da molto tempo oramai una grande voglia di lasciare tutto questo alle spalle, di pensare e lavorare al proprio sviluppo personale e di paese che si chiama industria grande e piccola, commercio di ogni dimensione e genere, rete di infrastrutture da fare, grandi problemi ambientali da affrontare. L’inglese, la lingua del loro più grande nemico, sta diventando la loro seconda lingua. Oggi l’America significa marchi commerciali, capi di vestiario, turismo che arriva.
sul delta del mekong una via a saigon
rocratica che è Hanoi. Ma è a Saigon che il turista e il viaggiatore, se vuole, è chiamato a ricordare cosa ha significato la guerra in Vietnam. Con un grande Museo della Guerra che ti ricorda le nefandezze compiute contro quel popolo in nome di una cosiddetta esigenza di presenza strategica occidentale in quelle aree. Ti ricorda anche, e forse è la parte più bella, il grande contributo di giornalisti e fotografi occidentali morti sul campo che hanno fatto conoscere al mondo quello che avveniva, aprendo e sconvolgendo le coscienze. Nei dintorni di Saigon sono avvenute le più distruttive campagne di guerra con bombe, esfolianti, una quantità enorme di vittime civili e militari. In Vietnam ci sono stati oltre tre milioni di morti. Centinaia e centinaia sono state le persone nate con deformità che ancora puoi incontrare. Ancora oggi si combatte sulle conseguenze della diossina sparsa a tonnellate sul paese. Le foreste vicine a Saigon erano anche uno dei cuori della lotta incredibile che i vietcong hanno combattuto attraverso la loro rete inestricabile di tunnel e cunicoli sotterranei dove centinaia di uomini e donne per lo più contadini vivevano pronti sempre
una casa barca sul mekong
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AndrA e MArgAritA, Māra e VizMa: parole e versi da conoscere LETTONIA
di Cristina Carpinelli
Un viaggio attraverso gli occhi delle scrittrici lettoni nella letteratura contemporanea
In Italia le scrittrici e poetesse lettoni sono ancora sconosciute. Tuttavia, negli ultimi anni, si comincia a parlare di loro grazie al sito “Baltica” (sez. biblioteca), che ospita alcune loro opere tradotte in lingua italiana. Tra queste scrittrici va senz’altro menzionata Andra Manfelde, la più giovane. Nata nel 1973 a Kuldiga (Lettonia), ha vinto alcuni premi letterari (l’ultimo nel 2011) e ha pubblicato diversi libri. Particolarmente bello è il romanzo “Zemnicas berni”/”Bambini nelle terre di Siberia” (2010), dove emerge la potenza e la linearità della scrittura di Andra. Si tratta di un racconto sugli anni della deportazione in Siberia di Krispaps e Anna e dei loro sei piccoli figli. Il 25 marzo 1949, 43mila persone (bambini, donne, anziani, intere famiglie) furono deportate dalla Lettonia in Siberia dal regime sovietico. Nello stesso anno, dalla loro casa di Kalnieši (distretto di Valtaika, regione di Kurzeme nella Lettonia occidentale), anche i protagonisti del racconto, Kristaps Emils Manfelds, Anna e le loro figlie, Irena, Lidija e Malda, furono deportati in Siberia, precisamente nel distretto di Omsk (pianura della Siberia occidentale,
poco lontano dalla frontiera col Kazakistan). Durante la deportazione nacquero altri tre figli: Karlis, Andris e Ilga. Fecero ritorno a casa sette anni dopo. Purtroppo non esiste una traduzione italiana del libro, tuttavia, alcuni suoi capitoli (tradotti da Paolo Pantaleo) sono disponibili nel sito “Baltica” (sez. biblioteca). Da segnalare dell’autrice anche il racconto autobiografico “Adata”/”L’ago” (2005), riadattato nel 2007 in libretto musicale per l’opera omonima rappresentata al Teatro Nazionale dell’Opera di Riga, e la raccolta di poesie “Betona svētnīcas”/”Santuari di cemento” (2008). Nel 2011 Andra Manfelde ha pubblicato “Ceļojums uz mēnesi”/“Viaggio sulla luna”, libro a metà strada fra poesia, narrazione di viaggio e romanzo, che ripercorre il giro compiuto dall’autrice fra Ventspils e Visby sull’isola svedese di Gottland, di fronte alla costa occidentale della Lettonia, dove la Manfelde vive. Un libro che conferma il suo talento poetico e narrativo. Altra donna importante è Margarita Stāraste-
Bordevīka, scrittrice e illustratrice di numerosi libri per bambini, fra i più amati in Lettonia. Nata nel 1914 a Vladimir in Russia, Margarita si considera una discendente livone di Cēsis, città della regione del Vidzeme in Lettonia. Dal 1992 al 2009 ha vissuto nei Paesi Bassi. Nella sua produzione si contano ben 20 raccolte di favole popolari. Una di queste, “Baltā trusīša ziemassvētki”/”Il Natale del coniglietto bianco”, contenuta nel libro “ziemassvētku pasakas”/“Favole di natale” (ed. 1943) è disponibile in lingua italiana nel sito Baltica (sez. biblioteca; traduz. di Paolo Pantaleo). Le sue opere sono molto apprezzate in Europa. Il giovane regista lettone, Dace Riduze, prendendo spunto da una sua fiaba, “zīļuks” (1969), ha prodotto un film d’animazione, che è stato proiettato al Festival Internazionale di Berlino nel 2011. Nel 1964 Margarita Stāraste-Bordevīka è entrata a far parte dell’Unione degli Artisti di Lettonia e, successivamente, sino al 1991, è stata membro dell’Unione degli Scrittori di Lettonia. Nel 1982 ha vinto il premio “Pastariņa” come migliore illustratrice del libro dell’anno e, infine, nel 1999 ha ottenuto l’Ordine delle Tre Stelle (la massima onorificenza lettone). Anche Māra zālīte è una scrittrice e poetessa lettone stimata nel suo paese. Nata nel 1952 a Krasnojarsk (città della Russia siberiana centrale), dove la sua famiglia era stata deportata negli anni Quaranta, Māra ha fatto ritorno in Lettonia all’età di quattro anni. Nei suoi lavori si percepisce una forte appartenenza alla comunità lettone, alla sua cultura e lingua: “La lingua lettone per me non è mai stata un semplice mezzo di comunicazione: essa porta con sé l’eternità.
Il linguaggio è un piacere per me. Quando leggo della buona letteratura, e arricchisco i miei contenuti e le mie forme espressive, si perfeziona anche la mia anima”. La lingua, afferma, ancora, “è la voce del mio sangue, la mia identità”. Vissuta in un tempo in cui le era negato parlare la lingua nativa (era obbligatorio parlare in russo), Māra ha sviluppato un forte legame con la lingua lettone, che emerge nelle varie forme della sua arte letteraria: poesia, prosa, testi teatrali e per canzoni liriche, sceneggiature per musical, persino opere rock. L’opera rock del 1988 “Lāčplēsis”, non è, tuttavia, solo l’espressione di un genere popolare. Essa segna anche un momento politico importante. I temi storici e mitologici, riflessi nell’opera rock, acquistano, infatti, un particolare significato: in quel momento l’Urss sta crollando e la speranza di una Lettonia libera è prossima a divenire realtà. Qualunque sia il genere che l’autrice affronta, il legame con l’identità culturale del suo popolo è costantemente vivo. Ha attivamente partecipato ai moti di protesta per una Lettonia indipendente. La sua opera teatrale “Pilna Maras istabina”/“La camera piena di Mara”, messa in scena nel 1983, che le valse l’apprezzamento di critici, lettori e spettatori, è un lavoro rivoluzionario, dove centrali sono le figure femminili che reclamano indipendenza per se stesse e parallelamente per il proprio paese. L’opera è un grido di ribellione contro “l’energia maschile”, che ha brutalizzato la sua terra e il suo popolo e, allo stesso tempo, un richiamo all’energia femminile, che per lei significa volgere lo sguardo all’antica Madre (terra e natura), madre di tutte le madri, che deve riprendere il suo posto originario. Nei lavori di Māra, le simbologie tipiche del
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folklore lettone e i loro legami con gli elementi maschile e femminile sono spesso presenti. Nel femminile ricade l’idea di patria (nutrimento della figura materna), in quello maschile le idee di potere e aggressività, che si sono manifestate nelle battaglie, negli stupri e nelle violenze sull’altro/a per il potere. Questi concetti sono ben espressi in uno dei suoi saggi più conosciuti “La Croce e la Spada”, contenuto nell’opera “Pensieri incompiuti”, dove lei si addentra nella storia antica della Lettonia (13° secolo), quando questa terra era conosciuta con il nome di Livonia. Māra zālīte ha lavorato per vari Comitati di redazione. È stata Capo-redattrice di uno dei periodici letterari più famosi nel paese “Karogs”/“Bandiera”. Attualmente è presidente dell’Associazione degli Autori Lettoni. Una sua poesia, “Di prima mattina vado per parole”, è disponibile nel sito “Baltica”. Ultima figura di spicco è quella di Vizma Belševica, la voce poetica femminile più potente e drammatica del secondo Novecento lettone. Nata nel 1931 a Riga da una famiglia povera, ha cominciato a scrivere molto presto, diventando negli anni Sessanta uno dei principali punti di riferimento della poesia lettone. La città di Riga, dove Vizma ha trascorso gran parte della sua infanzia, fa spesso da sfondo ai suoi lavori, soprattutto nella trilogia autobiografica “Bille”. Questa trilogia, pubblicata negli anni Novanta, ripercorre la vita dell’autrice durante gli anni Trenta, il primo anno di annessione della Lettonia all’Urss (1940-41), il periodo di occupazione nazista (1941-45) e, infine, i primi anni postguerra sotto il regime di Stalin. L’opera è oggi riconosciuta come uno dei più bei capolavori della letteratura lettone. In essa l’autrice denuncia la situazione delle nazioni oppresse in Urss. Anche nelle sue poesie c’è tutto il senso della coercizione, della parola che si fa sofferente grido di emancipazione. In epoca sovietica le sue poesie hanno subito la censura. Dal 1971 al 1974 Vizma non ha potuto pubblicare. Nella
sua lunga poesia “Notazioni di Enrico di Livonia a margine delle cronache livoniane” (“indriķa Latvieša piezīmes uz Livonijas hronikas malām”, in raccolta “Gadu gredzeni”/”Rings of Age”, 1969), in cui affiora l’immagine del cronista-lettone, obbligato a descrivere in modo piacevole i successi di un regime a lui estraneo, la poetessa, entrando in empatia con indriķa Latvieša, esprime il suo atteggiamento nei confronti del regime sovietico quando la Lettonia faceva parte dell’Urss. Di lei possiamo dire che è stata un’autrice straordinaria, scomparsa nel 2005 ma ancora vivissima nelle case di ogni famiglia lettone. Nel 1990 è stata nominata membro onorario dell’Accademia lettone delle Scienze. Ha ricevuto due volte il premio “Spīdolas”, che è il più alto riconoscimento nella letteratura lettone. Vizma Belševica ha pure ottenuto l’Ordine delle Tre Stelle. Nel sito “Baltica” sono presenti quattro sue poesie tratte dalle raccolte “Gadu gredzeni” e “Dzeltu laiks”/”autumn” (1987). Nel ciclo di poesie “Laika raksti”/”Time Signs”, appartenenti alla raccolta “Dzeltu laiks”, affiorano le voci di vari periodi storici, ponendo interrogativi severi sui poteri costituiti e su coloro che li subiscono nel momento presente. b
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Aborto:
da diritto a delitto Il ministro Alberto Ruiz-Gallardón e il governo del Partido Popular riformano la legge sull’aborto. É una trasformazione radicale contro l’autodeterminazione delle donne Nella Gran Vía di Madrid una ragazza è seduta in terra con un cartello al collo. Immobile e bocca chiusa da nastro adesivo nero. A parlare per lei il cartello rosso: “Per piacere, dammi un aiuto per andare a Londra ad abortire”. É il 21 dicembre 2013: il giorno dopo l’approvazione da parte del governo spagnolo della nuova normativa che cancella il diritto di scegliere una maternità volontaria e trasforma l’aborto da diritto in delitto. In quel pezzo di strada la ragazza è ferma dall’alba: “La performance ha stimolato reazioni differenti da parte dei passanti, per lo più positive. Per me è importante sottolineare l’importanza di riportare il dibattito sull’aborto per le strade”.
CAmbi rAdiCAli iN temPi di CriSi La riforma voluta dal ministro della giustizia Alberto RuizGallardón non è un passo indietro, né un ritorno al passato. É una trasformazione radicale che apre scenari complessi, la cui analisi e lettura deve inserirsi nel quadro generale della perdita dei diritti che caratterizza la crisi economica. Il nome della riforma già indica il cambio di paradigma: Ley de Protección de la Vida del Concebido y de los Derechos de la Mujer Embarazada (Legge di protezione della vita del concepito e dei diritti della donna incinta). Vita dell’embrione in primo piano e avente diritto di persona fin dal suo concepimento. In secondo piano, i diritti sessuali e riproduttivi della donna, nome declinato in un singolare indistinto che annulla e impoverisce in una stessa condizione biologica le differenti modalità di vivere la scelta della maternità. In Spagna la legge è stata definita “la più restrittiva della democrazia” perché limita la possibilità di interrompere la gravidanza solo in caso di violenza (fino alla 12esima settimana) e di grave pericolo di salute fisica e\o psichica per la vita della madre
(fino alla 22esima). A condizioni che si restringono, Secondo corrispondono meccanismi la nuova che si complicano: il goimpoStazione verno recupera dalla legge del 1985 la condizione del la donna danno psicologico, ma ne è vittima irrigidisce il procedimendell’aborto, to. Il grave pericolo dovrà non è capace essere attestato da un rapdi intendere, porto redatto da due medideve eSSere ci, che non devono lavorare coStantemente nella stessa struttura dove guidata e verrà praticato l’aborto, né accudita. e non potranno essere gli stessi è penalmente che lo praticheranno. AtperSeguibile tualmente il 97% delle interper legge ruzioni avviene in cliniche private, e sono gli stessi medici della clinica quelli che elaborano il rapporto e praticano l’aborto. Oggi il Partido Popular rompe questo vincolo per “garantire”, dice, l’imparzialità dei medici. I meccanismi che si complicano si sommano ai tempi che si allungano: secondo la legge attuale se una donna decide di abortire, riceve dal medico informazioni su alternative, aiuti alla maternità e rischi. Deve riflettere per un minimo di tre giorni e ritornare nel caso la sua decisione sia sicura e definitiva. Con la nuova Ley il minimo dei giorni richiesti passa a sette. “Un aumento del tempo previsto”, avvertono le organizzazioni in difesa dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, “che rischia di allungare tempi di attesa e rendere sempre più difficile abortire in strutture pubbliche entro il margine dei tre mesi previsi”.
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di Emanuela Borzacchiello
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l’Aborto è uNA violeNzA di Cui lA doNNA è vittimA
di accesso ai servizi pubblici in un percorso ad ostacoli. In questa fase, il governo aveva i medici che proposto di cancellare la gratuità prevista Il cambio di paradigma viaggia lungo le praticheranno per l’interruzione di gravidanza in quanto linee direttrici di un restyling comunicativo spesa non sostenibile dal sistema. La prosu cui ha puntato il governo per affermal’aborto posta era stata poi fermata grazie alle manire una vecchia visione dell’aborto inserita Saranno puniti festazioni dei movimenti femministi spagnoli in un contesto nuovo di crisi economica. penalmente e il fermo no dei partiti all’opposizione. Ma Una visione secondo cui la donna è vittima fino a tre anni chi persevera la vince e così l’altro attacco dell’aborto e l’aborto è violenza di genere. Il di carcere e Sei decisivo ai diritti sessuali e riproduttivi delle ministro Gallardón ha dichiarato che la dondi SoSpenSione donne è sferrato nell’agosto 2013, quando na è vittima perché subisce una pressione dall’attività il governo cancella la gratuità di una vasta sociale che la spinge ad abortire, a cui ‘si medica gamma di anticoncezionali. La giustificaziodevono aggiungere le difficoltà economine è la sostenibilità della spesa farmaceutiche che vivono in molte’. Secondo le nuove ca, la conseguenza è che in una situazione guide ideologiche del governo se la donna è vittima dell’aborto non sarà penalmente perseguibile di disoccupazione galoppante la contraccezione diventa per legge. Vittima non capace di intendere che necessita sempre più un peso economico per un numero crescente protezione, vittima non capace di volere in autonomia che di donne, soprattutto giovani. In questo quadro di tagli e deve essere costantemente guidata e accudita. Ad essere cambi di sistema, il ministro Gallardón inserisce il suo propuniti penalmente saranno i medici che praticheranno getto, cancellando non solo la riforma del 2010 - targata l’aborto, fino a tre anni di carcere e sei di sospensione partito socialista e che prevedeva la possibilità di interromdell’attività medica. Il portavoce del Gruppo Popolare al pere la gravidanza in tutti i casi se “la donna lo decide” fino Senato, Luis Peral, ha salutato così l’approvazione della alla quattordicesima settimana - ma anche la legge prelegge: “L’aborto è un dramma per le donne e una forma di cedente, in vigore dal 1985 al 2010, per cui era possibile violenza di genere che non si vuole riconoscere”, e aggiun- abortire in tre casi: violenza, gravi rischi di salute per la ge, “la decisione di abortire spesso si prende da sole, con madre e malformazione del feto. la pressione sociale dei genitori o dei datori di lavoro”.
CAmbi leGiSlAtivi CreSCoNo iN uNA SANità PubbliCA SemPre Più debole Il big bang dell’universo sanitario spagnolo è iniziato nell’aprile del 2012, con la presentazione della riforma sanitaria approvata nell’agosto dello stesso anno. Il governo di destra (Partido Popopular) puntava non solo su tagli profondi della spesa pubblica, ma a un cambio drastico del modello: da pubblico, gratuito e universale a privatistico ed esclusivo. L’attuazione della riforma passava per l’inasprimento di requisiti e la burocrazia trasformava la possibilità
Per lA NuovA leGGe mAlformAzioNi, mAlAttie iNCurAbili o ANomAlie del feto iNComPAtibili CoN lA vitA NoN SoNo Più uN motivo leGAle Per Abortire Il ministro specifica il perché della sua scelta: “Non ci sono embrioni di prima classe o di seconda, così come non ci sono persone di prima o seconda”, e ancora “le anomalie del feto non saranno previste dalla legge per non discriminare le persone portatrici di handicap”. Le donne che decidono di abortire per malformazione al feto, possono appellarsi al danno psicologico, ma dovranno presentare
due certificati: di uno specialista che accrele miNoreNNi diti che l’anomalia esiste e di un psicologo In molti dicono che il primo punto della lego un psichiatra che certifichi il pericolo per ge precedente ad essere stato cancellato, tutti gli la sua salute psichica. La Asociación de è stato quello più controverso durante il dioperatori Clínicas Acreditadas para la Interrupción battito per la depenalizzazione nel 2010: se Sanitari Voluntaria del Embarazo denuncia che: “il fino ad oggi le minori tra i 16 e i 17 anni potranno nuovo ordinamento impedirà alle donne di erano le responsabili uniche della propria obiettare e abortire nel nostro paese perché i requisiscelta, con la legge attuale potranno aborcade l’obbligo ti burocratici, legali e medici impediranno tire solo con il consenso informato dei geniper il che sia una pratica sanitaria normalizzata”. tori. “Dall’applicazione della legge abbiamo perSonale Punto su punto, le associazioni protestariscontrato che le minori che decidono di Sanitario no, spiegano quali saranno le conseguennon informare i genitori sono per la quasi toobiettore ze della legge. “Circa 105.341 donne ogni talità casi molto dolorosi, di minori violentate di fornire anno non potranno abortire se entrerà in in ambito familiare, migranti che vivono sole vigore la riforma Gallardón”, afferma Empar in Spagna, o che hanno situazioni familiari informazioni Pineda, una delle portavoci della Plataforestremamente difficili. La maggioranza delin materia ma Decidir nos hace libres, “a questo dato le minori, circa l’87% ha deciso di informare di interruzione bisogna aggiungere che delle 120.000 doni genitori”, assicura Pineda. La nuova legge della ne che ogni anno interrompono la gravidanentrerà in vigore entro la fine del 2014. Ingravidanza za, più di centomila 00 non avranno più una tanto, si susseguono iniziative e proteste in copertura legale”. Empar Pineda domanda tutto il paese: “questa legge non rappresendirettamente a Gallardón “cosa prevede il ta il sentire della maggioranza né della soministro per queste centomila donne? forse non ha una cietà né delle donne, per questo invitiamo tutti i settori della risposta perché non è stata ancora assimilata l’idea che società civile ad unirsi alle mobilitazioni per esigere che sia una donna, sicura di voler interrompere una gravidanza, lo ritirata”, scrivono nei loro comunicati le associazioni, ong, farà con o senza una legge, clandestinamente o, chi potrà, collettivi di donne. La protesta è iniziata e durerà per tutto il andrà all’estero”. tempo che sarà necessario, assicurano.
NeSSuN limite Per i mediCi obiettori Se la legge precedente limitava l’obiezione solo ai medici, ora potranno obiettare tutti gli operatori sanitari. Un’obiezione per tutti e a qualsiasi livello: cade l’obbligo per il personale sanitario obiettore di fornire informazioni utili in materia di interruzione della gravidanza. Nel 2012 il Comitato nazionale di bioetica spagnolo si era espresso in materia di obiezione di coscienza, affermando la necessità di prevedere in ogni struttura sanitaria pubblica un numero equilibrato tra obiettori e non.
QUALCHE NUMERO
Secondo i dati del 2013 diffusi nell’ultima ricerca di Acai (Asociación de Clínicas Acreditadas para la Interrupción del Embarazo): 35.500 donne interrompono la gravidanza per problemi economici; 66.107 per motivi personali; 3.234 per malformazione del feto; nel 2013 sono state 500 le minori che per gravi motivi hanno deciso di non comunicare ai genitori la decisione di abortire.
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LIBRI a cura di Tiziana Bartolini
Quello che resta è quindi la responsabilità di tutte e tutti di fronte a una mattanza che sembra senza fine. Quello che resta, però, è anche la resistenza di tante donne. Valentina Ersilia Serena Maiorana Quel che resta. storia di stefania noce. il femminicidio e i diritti delle donne nell’italia d’oggi Ed Villaggio Maori Edizioni, pp. 72, euro 12,00
STEFANIA E IL MOLTO CHE CI RESTA DI TE Quello che resta di Stefania Noce sono le foto di una giovane donna determinata, femminista, dai grandi e profondi occhi castani che sorride, scrive ed espone orgogliosa il suo cartello “Non sono in vendita” durante una manifestazione. Quello che resta è la storia della vita di una donna impegnata in tante battaglie per la giustizia sociale e per i diritti che viene spezzata da una mano assassina. Quello che resta è un’eredità importante, quasi incredibile per una ventiquattrenne che avrebbe voluto semplicemente continuare a vivere la sua quotidianità e la sua esistenza. Stefania Erminia Noce - SeN, come era solita firmare i suoi articoli - studentessa all’università di Catania e vittima di femminicidio. Uccisa il 27 dicembre 2011, insieme a suo nonno Paolo Miano, nella sua casa di Licodia Eubea (Ct) dall’ex fidanzato, Loris Gagliano. È la storia di Stefania, vittima di femminicidio ma prima di tutto donna - attraverso i ricordi, gli sguardi e le voci di chi l’ha conosciuta e amata - quella che Serena Maiorana racconta in “Quel che resta. Storia di Stefania Noce. Il femminicidio e i diritti delle donne nell’Italia d’oggi” (Villaggio Maori Edizioni). Imparando a conoscerla attraverso le parole altrui la racconta con le parole di Stefania, di cui cita testi e pensieri, ma anche con le proprie pur mantenendo uno stile narrativo accurato e rigoroso. La vita, il carattere e gli interessi di una ragazza piena d’energia. Poi la morte che mette in luce i contorni di un fenomeno, quello del femminicidio, tragicamente venuto alla ribalta ma troppo spesso mal raccontato dai media - tra stereotipi e cliché - minimizzato e non compreso da politica e società. Un libro, insomma, “per Stefania e per tutte le donne”, che inchioda alle proprie responsabilità istituzioni e società, complici e conniventi dell’uccisione di “vittime di una strage di Stato”, le donne uccise in Italia ‘in quanto donne’.
CUCINA FILOSOFIA DI VITA Originale formula quella del primo romanzo di Roberto Agostini, polivalente artista sempre attento al mondo femminile, già attore teatrale, drammaturgo e sceneggiatore, oggi infine scrittore, col neo-uscito volume ‘Il cuoco di Burns Night’. Dopo aver realizzato opere teatrali come ‘Romana: omaggio a Gabriella Ferri’ e ‘Scarti Nobili’ su Beatrice Cenci, l’autore ha lavorato con note scrittrici/artiste, firmando la regia delle ‘Lettere d’Amore’ di Dacia Maraini (rappresentato in Italia e all’estero) e collaborando come sceneggiatore con Liliana Cavani. Della sua prima opera narrativa, definita un noir, Dacia Maraini dà la seguente descrizione: “è uno strano romanzo, bello, ondoso e liquido nella prima parte e poi improvvisamente misteriosofico, violento, poliziesco e pieno di azione”. La storia è quella di un insegnante e professionista cuoco che, partito per il Sud America alla ricerca di sé stesso e della ricetta di una misteriosa e sopraffina ‘zuppa rossa’, scoprirà alchemiche connessioni fra il cibo esoterico, la zoologia fantastica di Jorge Luis Borges ed il mondo massonico del poeta scozzese Robert Burns, fino all’approdo verso una conclusione del tutto imprevedibile. “Le storie degli uomini, come le zuppe, si somigliano - così scrive l’autore, affidando ad un manoscritto di cucina rocambolescamente venuto alla luce, un determinante passaggio esistenziale/narrativo -. Spesso si ricordano ricchi minestroni colorati: in fondo non siamo tutti alla disperata ricerca di ingredienti da scambiarci per la nostra cottura finale? Nasciamo brodi insipidi e finiamo minestre saporite da tramandare”. Elisabetta Colla Roberto Agostini il cuoco di Burns night Es Atmosphere Libri, pp. 151, euro 14,00
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QUANDO LA MEMORIA DIVENTA GESTO POETICO
“Charlotte Delbo: una memoria, mille voci” è la mostra allestita a Carpi nel Castello dei Pio dalla Fondazione Fossoli in memoria della deportata, scrittrice di Auscwitz e di Ravensbruck. Già nel 1976 Primo Levi, parlando di letteratura, ne suggeriva l’approccio e la lettura. Invito che l’Italia non raccolse allora ma che oggi, nel centenario della nascita, è diventato inevitabile. La manifestazione che Carpi ha accolto prenderà veste europea a partire dal 9 maggio, con una tre giorni di incontri, dibattiti e laboratori, mostre e spettacoli nei quali la voce delle donne, a partire da Delbo, diventa prospettiva di dialogo, sollecitando la riflessione sulla
condivisione di una cultura e di una memoria comune. Il suo “Spettri, miei compagni”, edito dall’Associazione Il Filo di Arianna (2013), è una lunga lettera indirizzata all’attore-regista Louis Joubet nella quale l’autrice ritorna sull’esperienza della deportazione nei lager nazisti e del ritorno. Una straordinaria riflessione che, a partire dall’universo concentrazionario, si allarga ai temi universali del ricordo, dell’amore, dell’amicizia, dell’arte e del teatro, dove la memoria è un gesto poetico che libera il passato dalle immagini stereotipate dell’oggi e lo rende voce che interroga il presente. Isa Ferraguti
IMMAGINI AMICHE PREMIO ALLE PUBBLICITÀ RISPETTOSE DELLA DONNA
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l via la IV edizione del Premio Immagini Amiche, l’iniziativa promossa dall’UDI e dal Parlamento Europeo, con la collaborazione del Comune di Venezia, e presieduta dalla scrittrice e giornalista Daniela Brancati, è volta a valorizzare una comunicazione che, al di là degli stereotipi, veicoli messaggi creativi positivi. La partecipazione al premio è libera e gratuita per chiunque: basta andare sul sito www.premioimmaginiamiche.it entro il 28 febbraio e segnalare l’immagine che si vorrebbe veder premiata. Il premio è diviso in cinque sezioni: pubblicità televisiva, pubblicità stampata, affissioni, programmi televisivi e siti web. La premiazione, che si svolgerà il 10 marzo a Venezia alla presenza della Ministra Cecilia Guerra, vedrà due categorie di vincitori: la prima decretata dalla Giuria in base alle iscrizioni pervenute, la seconda decretata dal popolo del web in base al numero delle segnalazioni. Un premio, inoltre, verrà attribuito alle scuole e in particolare per i lavori dei giovani fra i 18 e i 20 anni che frequentano l’ultimo anno di scuola di design, arte, pubblicità. Una menzione sarà, infine, riservata alla città che avrà tenuto comportamenti virtuosi sulle immagini amiche, su segnalazione da parte di associazioni femminili. “Quella per una pubblicità consapevole e non lesiva per l’immagine della donna - ha detto Daniela Brancati - è una battaglia che portiamo avanti da quattro anni. Quest’anno
abbiamo trovato l’appoggio della presidente della Camera Laura Boldrini, la quale fin dal suo insediamento ha sollevato il problema e nel corso di un incontro ci ha confermato il suo sostegno e sollecitato ad andare avanti. Il
nostro obiettivo è quello di incoraggiare la crescita di una nuova generazione di creativi ed promuovere una nuova cultura della pubblicità che veicoli messaggi positivi e socialmente responsabili. Per far questo non occorrono leggi speciali o particolari censure basterebbe una riforma dello IAP, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, per la quale presenteremo proposte concrete”. “La pubblicità sessista e volgare spesso veicola un’immagine degradante della donna, facendo passare il messaggio che tutto sia lecito”. Ha affermato Vittoria Tola, responsabile dell’UDI (Unione donne in Italia)-, la storica associazione, da sempre in prima linea per i diritti delle donne che da molti anni lavora su questi temi. “Il premio - ha aggiunto - vuole dimostrare che si può fare della buona pubblicità senza cadere nei soliti stereotipi e da quando siamo partite con l’iniziativa, qualche risultato lo abbiamo ottenuto”.
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ARTE LGBT
le ragazze non dormono! di Silvia Vaccaro
In preparazIone le nuove puntate della prIma web-serIe sul mondo omosessuale femmInIle. LSB the SerieS è un progetto dI due gIovanI creatIve
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ual è la vita delle ragazze lesbiche? A questa domanda risponde la prima web-serie italiana sul mondo delle ragazze che amano altre ragazze. LSB the series di Floriana Buonomo e Geraldine Ottier, è il progetto che non c’era, la storia che non era stata ancora raccontata. “L’idea nasce dall’esigenza di parlare nel nostro piccolo di omosessualità femminile: nel resto del mondo c’è una ricca produzione di film, serie tv e web sul tema. In Italia abbiamo invece pochi casi di produzione mainstream a tematica lesbica. Quindi era naturale rimanere nel ‘circuito indipendente’, tant’è che LSB è stato prodotto, nonché scritto e girato, interamente da me e Geraldine. Lo scopo era quello di arrivare a tutti, e per questo abbiamo scelto il formato ‘web serie’, e la narrazione di storie vicine a noi, storie di ragazze della porta accanto, in cui immedesimarsi facilmente”. Così racconta Floriana, contenta degli oltre 6.500 iscritti al canale Youtube e delle 100mila visualizzazioni totalizzate dall’ultima puntata della serie. Una narrazione che non ha convinto tutta la comunità lesbica, ma che ha sicuramente incuriosito. “Il pubblico si è diviso: c’è chi ha ben accolto il progetto ed ogni settimana aspettava con ansia l’uscita online delle puntate, chi dopo aver visto qualche puntata con qualche titubanza, si è poi appassionato alle storie e c’è chi ci ha molto criticato perché non si è sentita rappresentata. Inaspettatamente però abbiamo comunque avuto un buon numero di ‘spettatori’.
E tanti sono i fan che ci seguono dall’estero”.A fare da colonna sonora la bella “Le ragazze non dormono”, della cantautrice romana Giulia Anania che ha sposato il progetto. “Ora stiamo scrivendo la nuove puntate – continua Floriana – e ci stiamo occupando di trovare i fondi per produrle. E se riusciamo, questa volta vogliamo fare meglio: nella prima stagione sul set eravamo quasi sempre in due a occuparci di ogni aspetto tecnico, adesso una piccola troupe sarà fondamentale. Arricchiremo anche le storie, inserendo nuovi personaggi e nuove dinamiche che non hanno trovato spazio nella prima stagione”. Per sostenere la realizzazione di questa seconda produzione, Flo e Gera, come si fanno chiamare sui social, hanno aperto il progetto ad una piattaforma di crowdfunding, aggiornando il loro pubblico attraverso il sito della serie sull’andamento delle donazioni. In bocca al lupo a queste due giovani creative! b
Sguardi S-velati a teatro: al via la quarta edizione Anche quest’anno le brave Annalisa Siciliano e Ambra Postiglione hanno portato a casa il risultato. È infatti partita il 10 gennaio la quarta stagione della rassegna capitolina Sguardi S-velati dedicata alle migliori proposte teatrali con tematiche al femminile, organizzata dal Teatro Due di Roma con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura, Arte e Sport della Regione Lazio e con il patrocinio del MIBAC, Roma Capitale, Casa Internazionale delle Donne, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, e altri enti del settore. Nel palinsesto tante opere che in comune hanno la provenienza off, dato che, anche per questa nuova edizione, l’obiettivo è quello di offrireuno spazio di concreta visibilità a giovani compagnie emergenti operanti ed attive nel “sottosuolo” della scena nazionale al fine di valorizzare le proposte più originali ed innovative. In programma una grande varietà di spettacoli: dalla messa in scena della vita di Billie Holiday ad uno spettacolo su donne e mafia, passando per un tributo ad Alda Merini. Oltre un mese di programmazione ricca e coinvolgente, fino al 13 febbraio al Teatro Due a Vicolo dei Due Macelli 37, nel cuore di Roma. S.V.
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la Shoah Spiegata alle giovani generazioni di Guendalina Di Sabatino, Presidente Centro Hannah Arendt
a teramo una gIornata dedIcata alla memorIa e alla conoscenza attraverso la parola e le ImmagInI: l’Incontro con la scrIttrIce edith Bruck e Il regIsta roBerto Faenza e una mostra d’arte
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uschwitz: il dovere di ricordare la Shoah. Quanta Stella c’è nel cielo, la testimonianza, il romanzo, il film”. Questo il titolo dell’incontro degli studenti di Teramo con la scrittrice Edith Bruck e il regista Roberto Faenza organizzato dal Centro di cultura delle donne Hannah Arendt di Teramo, impegnato a mantenere viva la memoria della Shoah e attento, con le proprie iniziative nelle scuole, alla formazione di una coscienza critica, civile e democratica dei ragazzi e delle ragazze. È un evento importante per riflettere con gli studenti delle scuole medie superiori e delle secondarie di primo grado della provincia sulla difficile condizione dei sopravvissuti ai lager nazisti nell’immediato dopoguerra, esperienza così soffertamente vissuta da Anita, l’adolescente protagonista del romanzo di Edith Bruck, “straordinario frammento di vita della scrittrice” nella definizione di Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano, 16 gennaio 2014). L’incontro si svolgerà l’8 febbraio nel Cine Teatro comunale della città con ottocento ragazzi - una delegazione per ogni scuola - che, attraverso domande frutto di studio e approfondimento sulla pagina tragica dello sterminio degli ebrei in Europa, apprenderanno dalla viva voce della scrittrice ebrea-ungherese-italiana Edith Bruck, sopravvissuta
ad Auschwitz, l’orrore prodotto da Hitler. E ascolteranno come, attraverso la sua esperienza personale, sia nato il soggetto protagonista del romanzo che ha per titolo un verso del poeta ungherese Sandor Petofi. “Quanta stella c’è nel cielo” è la condizione dei salvati che nessuno voleva ascoltare, né parenti né amici. “Nella forma più tipica (e più crudele), l’interlocutore si voltava e se ne andava in silenzio”, scriveva Primo Levi. Nel romanzo l’unico essere umano, inconsapevole della favola nera di Anita, è un bimbo di pochi mesi e la giovane racconta a lui il lager, modo per sopravvivere e per tornare a vivere. Il regista Faenza, Docente all’Università degli Studi di Roma La Sapienza spiegherà perché, per non dimenticare la Shoah, ha scelto di fare del romanzo un film e pensando ai giovani come pubblico privilegiato. Nel pomeriggio Edith Bruck inaugurerà nelle sale di Villa Capuani-Celommi di Torricella Sicura la mostra “Il dovere di ricordare la Shoah” ispirata alla figura della scrittrice nelle sue testimonianze. Il percorso espositivo proporrà disegni realizzati dagli studenti delle scuole secondarie di primo grado della provincia di Teramo, installazioni dell’artista Lea Contestabile docente dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila e lavori degli allievi della stessa Accademia. La mostra sarà visitabile fino al 25 aprile 2014. b
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A tutto schermo
HannaH arendt secondo Von trotta di Elisabetta Colla
La banaLità deL maLe e L’uso deL pensiero critico neLL’uLtimo fiLm deLLa regista tedesca dedicato aLLa grande fiLosofa ebrea
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on era compito facile quello che Margarethe Von Trotta si accingeva ad intraprendere decidendo di girare un film sulla pensatrice e scrittrice tedesca Hannah Arendt. Ma proprio per questa vocazione comune ad entrambe, la regista e la filosofa, di produrre opere originali e di pensare il mondo, la storia e l’arte da un’angolazione profondamente personale e, talvolta, inattuale, la pellicola, intitolata semplicemente Hannah Arendt, risulta così autentica, vibrante e sorprendente. La scelta narrativa è quella di descrivere un periodo ‘tardo’ della vita della Arendt, quando, già integrata da anni negli Stati
Uniti - dove emigrò nel 1941 con il marito e la madre, fuggendo alle persecuzioni della Gestapo in Germania e dal campo di prigionia di Gurs in Francia - vive a New York e conduce un sereno quotidiano, circondata da una cerchia di amici intellettuali, lavorando come insegnante alla New School for Social Research, insieme al marito Heinrich Blucher, ex componente della Lega Spartacus di Rosa Luxembourg e poi membro del Partito Comunista Tedesco. È il 1960, l’anno del processo al nazista Adolf Eichmann, ed Hannah si propone alla testata New Yorker come inviata speciale per seguire l’evento: vuole vedere in faccia uno dei ‘mostri’, capire perché ma, giunta in Israele, si accorgerà che Eichmann altri non è che ‘un uomo mediocre’, un burocrate, che ha abdicato la sua capacità di pensare - secondo Hannah la più alta delle qualità umane - e solo a causa di ciò ha potuto commettere ogni tipo di efferatezza, trincerandosi dietro il leit motiv tipico dei nazisti, che ‘eseguivano ordini supremi’. Nei suoi cinque articoli sul New Yorker, la Arendt descrive dunque la ‘banalità del male’ ed invita a stare in
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‘AnitA B.’ ovvero come sopravvivere al dopo auschwitz
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ratto dal romanzo della scrittrice e poetessa ungherese Edith Bruck, Quanta stella c’è nel cielo, il nuovo film del regista Roberto Faenza (Jona che visse nella balena, Prendimi l’anima), dal titolo Anita B., racconta la storia di un’adolescente che, sopravvissuta ad Auschwitz, cerca di ricostruire la propria identità nella Cecoslovacchia del Dopo Guerra, dove ben pochi vogliono ricordare gli orrori appena trascorsi. Ospitata infatti dall’algida zia Monika (la brava Andrea Osvart), unica parente viva che abita vicino Praga col marito, il figlio ed il giovane cognato Eli, Anita (interpretata da Eline Powell) si accorge presto che la ‘memoria’ non è gradita, quando le viene severamente vietato di parlare dei genitori o del campo di concentramento. Unici suoi confidenti il nipotino Roby, di appena un anno, e l’affascinante Eli, che farà di tutto per sedurla con conseguenze prevedibili. Nel mélange di lingue, popoli e culture della mittel-Europa in cerca di redenzione e ricostruzione, Anita conoscerà personaggi
incredibili come lo zio Jacob (Moni Ovadia nel ruolo a lui più congeniale), coscienza critica della comunità ebraica ed estroso musicista, la mascolina Sarah che, armata di pistola, organizza i traghetti per la Palestina, il giovane David, orfano dei genitori, due scienziati che si sono tolti la vita agli albori del nazismo. “Non ho mai chiesto ad Edith Bruck quanto ci sia di autobiografico in quelle pagine ma ho voluto aggiungere B. ad Anita, in omaggio al suo cognome. Il premio Nobel Elie Wiesel diceva che, nel momento in cui entri in rapporto con l’Olocausto, diventi a tua volta testimone. Per me è una bellissima responsabilità. Come la protagonista di Prendimi l’anima, anche Anita B. è in viaggio verso il passato con un solo bagaglio, il futuro, in un ideale tragitto comune a due donne coraggiose e indomite”. E.C.
guardia perché essa può annidarsi ovunque e solo l’utilizzo adeguato del pensiero può preservare il mondo dalle catastrofi. Il reportage scatenò negli Stati Uniti una vera e propria caccia alle streghe contro la filosofa, accusata d’insensibilità e crudeltà e di giustificazionismo contro il nazismo, anche per il suo j’accuse ai capi di numerose comunità ebraiche europee di aver collaborato con i nazisti in cambio di ‘quieto vivere’ o vantaggi personali, informazione emersa nel corso del processo con testimonianze schiaccianti. Molti fra i suoi amici più cari l’abbandonarono e la Arendt rischiò anche il posto all’Università, ma non abdicò mai alle sue convinzioni. “M’interessava, come in altri miei film - afferma la Von Trotta - trovare la donna dietro a questa grande pensatrice indipendente che non si può definire ‘femminista’- la cui visione su certi temi è stata capita con molto ritardo. Una delle sue frasi celebri ‘nessuno ha il diritto di obbedire’ evidenzia il suo rifiuto di obbedire a ciò che non fossero la sua autodeterminazione e le sue idee. Quando formulò il concetto della banalità del male venne aspramente attaccata come nemica del popolo ebreo ma oggi tale riflessione critica è parte del dibattito sui crimini efferati, come quelli nazisti. Secondo alcuni professori le pesanti accuse di essere ‘senza cuore’ e ‘priva di sentimenti’ vennero rivolte alla Arendt perché era una donna, dato che altri giornalisti espressero giudizi analoghi senza alcuna conseguenza.” Completato da preziose immagini di repertorio del processo Eichmann, da alcuni flash-back sulla relazione sentimentale giovanile fra Hannah e Martin Heidegger (suo professore e mentore all’Università, dal quale prese le distanze quando lui aderì al nazismo) e dalla magnifica interpretazione di Barbara Sukova (attrice cult in Anni di Piombo), il film, uscito nelle Giornate della Memoria, è distribuito in Italia in lingua originale (tedesco, ebraico ed inglese, sottotitolati) dalla coraggiosa Ripley’s Film. b
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lEGGERE l’ALBERO
FAMIGlIA
GRande Lotta e IdeaLItà
aCCoRdI tRa ConIuGI
dI BRUNA BAldAssARRE
di Simona Napolitani mail: simonanapolitani@libero.it
P
Cara Bruna, sono un 50enne secondogenito diventato a circa 13 anni primogenito dopo l’emigrazione di mio fratello. Ho vissuto un gran vuoto e il terremoto dell’Irpinia l’ha accentuato. Dal centro in campagna: una vita troppo isolata per un sedicenne. Già sensibile al sociale, ho iniziato da giovanissimo a occuparmi di politica sindacale, fino a diventare sindaco del mio paese. Ora stiamo osservando quanto di buono abbiamo realizzato fino a non perdere la speranza. Secondo te, che rappresenta il mio albero? Carmine Caro Carmine, “fino a non perdere la speranza”, caratterizza la tua lotta e la tua grande idealità, che spicca sopra a tutto, sollevando il tuo albero in cima ai sogni di ragazzo sperduto nella campagna, ma non nel cuore. Scrivi che hai ritrovato l’amore nell’impegno sociale, proprio l’amore fraterno che dovrebbe far riconoscere “il volto dell’Uomo” in ogni essere umano. La vera politica, quella che hai certamente fatto per il tuo paese, è occuparsi con un corretto pensiero, sentimento e azione del bene altrui, cioè per tutti, perché in quei tutti ci siamo anche noi. Il tuo albero ha una larga base che rappresenta, insieme alla forma del tronco l’inibizione iniziale, affiancata da una limpida concretezza, con una certa affannosità nella realizza-
Sentiamo l’Avvocata
zione. Il tuo albero è come un abete senza il Natale: la grande socialità sfuma nell’eccessiva intransigenza, soprattutto verso te stesso. Le tappe traumatiche che si evidenziano dal tronco risalgono ai tuoi: 12, 22, 31, 45 anni. Da un punto di vista biografico la fase dei tuoi 50 anni trova spunti interessanti nella favola de La signora Holle, dei Grimm, nel senso che dovremmo utilizzare bene le nostre forze per permetterci di sbocciare come una rosa e non avvizzire sotto una pioggia di pece.. Questa è proprio la fase del risveglio dell’organo della cordialità, il cuore, come afferma Lievegoed, fase biografica propizia per fare bene politica, agire per il bene di tutti attraverso un nuovo ritmo di vita e di lavoro. Auguri!
er fortuna la società è in continuo movimento e l’evoluzione dei rapporti e delle relazioni familiari, a volte, anticipano gli interventi del legislatore. È quanto avvenuto nel campo degli accordi tra coniugi in seguito alla separazione ed in vista del divorzio, da sempre ritenuti illeciti dalla Giurisprudenza perché avrebbero ad oggetto una commercializzazione dello status, relativo al vincolo matrimoniale, che potrebbe, quindi, diventare oggetto di trattativa per il raggiungimento di alcuni obiettivi (ad esempio ti concedo il divorzio se mi versi più denaro); la volontà matrimoniale non può subire alcuna compressione, deve essere salvaguardata l’assoluta libertà del soggetto in ordine al vincolo matrimoniale e nel rispetto del principio di autodeterminazione. Con una importante e significativa inversione di rotta, il Tribunale di Torino ha recentemente emesso una sentenza di segno assolutamente contrario al precedente e consolidato indirizzo giurisprudenziale, in particolare i Giudici piemontesi hanno affermato che l’accordo di natura patrimoniale concluso dai coniugi in sede di separazione e relativo al futuro divorzio non contrasta né con l’ordine pubblico, né con il buon costume. In particolare, le parti avevano stabilito, pochi mesi prima della separazione a conclusioni congiunte, che l’erogazione dell’assegno di mantenimento per la moglie, previsto durante il regime di separazione, sarebbe venuto a cessare, con l’impegno della moglie a “nulla pretendere al marito, né a titolo di mantenimento di una tantum” in sede di divorzio. Sennonché, la signora ci ripensa e chiede l’assegno divorzile: il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda della donna, in considerazione dell’accordo sottoscritto in precedenza.
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SPIGOLANDO tra terra, tavola e tradizioni di Paola Ortensi
Sua maestà
il latte È inverno, fa freddo e quella tazza di latte, protagonista per definizione della colazione mediterranea, diviene desiderabile anche la sera, calda e magari addolcita da un buon cucchiaio di miele. Il latte senza nessuna specifica nella nostra cultura è sempre quello di mucca. Ogni altro latte, iniziando da quello materno, il più importante e basilare nutrimento nella civiltà umana e animale, ha bisogno di essere precisato. Ed è così che iniziando dai più noti - dal latte di pecora a quello di capra, conosciuto anche perché importante per chi soffre di allergie, al
latte vaccino - si arriva a quello di bufala e di asina senza dimenticare quello di cammella o di yak. Non vanno poi neanche scordati quelli vegetali, come il latte di riso e di soia, fino al godurioso latte di mandorla…. che, volendo, ognuno può “produrre” in casa per la propria golosità. Il mondo del latte - o per meglio definirlo quello dei latti - è molto interessante e vale la pena cercare di saperne di più. Ogni latte ha infatti la propria specificità in termine di valori nutritivi rispetto agli elementi che lo compongono, come grassi e proteine tanto per citare quelli più noti. Tipi di latte più leggeri o più pesanti o più adatti alla caseificazione - come quello
di pecora che praticamente nessuno consuma se non come formaggio pecorino nei diversi stadi di stagionatura - o della magnifica ricotta che nel latte di pecora trova l’origine di tutte le ricotte. Continuando poi, una citazione ad hoc non può mancare per il latte di bufala trasformato in mozzarella o formaggi, quello di asina preziosissimo per la poca produzione e ottimo per l’alimentazione e come base della cosmetica. Quello di capra, sempre più diffuso per le sue caratteristiche di leggerezza e per essere la salvezza di tutti coloro che soffrono di allergie. Continuando sulle caratteristiche principali, è ancora interessante sottolineare che anche il colore - o meglio la tonalità di bianco - di ognuno dei nostri tipi di latte di fatto è diversa, andando dal bianco sul giallo al bianco quasi fosforescente. Ed è ancora una volta il tipo di componenti, in particolare la quantità del grasso, a determinare il colore. Il latte, che non solo per il neonato ma anche per l’adulto, si avvicina all’idea di alimento completo, oggi comperato nei supermercati ci offre una notevole gamma di possibilità: d’alta qualità, intero, parzialmente scremato, scremato totalmente, a lunga conservazione, e poi in polvere o condensato. A seconda di quello che hanno mangiato i nostri
animali, il latte e i formaggi, in particolare, saranno più o meno saporiti. Non a caso soffermandoci sui formaggi freschi, quelli lavorati in primavera quando le bestie possono anche giovarsi di erba fresca e in qualche caso andare al pascolo, il sapore risulterà particolarmente saporito e magari pieno di aromi. Il valore del latte come nutrimento motiva il detto “piangere sul latte versato” come simbolo di una perdita grave. Piccoli spunti quelli di queste righe, solo per aprire alla curiosità di un alimento tanto consumato quanto poco conosciuto nella sua storia all’origine.
RICETTE
Latte di mandorla In un mortaio 250 gr di mandorle sbollentate e pelate, 50 gr di zucchero fine. Ridurre in poltiglia, diluire con 1 dl di acqua distillata, passare al setaccio spingendo bene con la spatola. Flan di latte (parente semplice del crème caramel). Mezzo litro latte, 4 uova, 4 cucchiai di zucchero, la scorza di un limone. Tutto in una scodella, mescolare e amalgamare; dopo avere caramellato un recipiente cuocere a bagno maria fino a che non si è addensato.
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DONNE
E CONSUMI di Viola Conti
DRAPPEGGIO, MATERIA INTORNO AL CORPO
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ussola indiana leggerissima in cotone, conosciuta già dagli antichi romani come “ aria tessuta” che dal Bengala arriva in Europa nel ‘600 e diventa popolarissima nel ‘700 neoclassico per la morbidezza con cui fascia il corpo femminile. Fasciare il corpo, drappeggiare, plissettate, insomma muovere morbida materia intorno al corpo è cosa molto antica che si perpetua nel tempo fino ai nostri giorni. L’arte del drappeggio prende consistenza nel mondo dell’alta moda alla fine dell’800 con Charles Frederick Worth che divenne il promotore dell’abbandono della crinolina e della valorizzazione delle sinuosità femminili. Nel ‘900 il pensiero corre subito a Madame Grès, donna di eleganza indiscussa che con i suoi drappeggi rubati alla scultura, che lei tanto amava e praticava, divenne la più attenta e originale creatrice di modelli che hanno lo scopo di esaltare la femminilità delle donne che a lei si rivolgevano. E poi sempre a Parigi Madeleine Vionnet nel suo atelier di rue de rivoli al civico 222 nel 1912 si presentò al mondo come mago del drappeggio, un drappeggio studiato e analizzato, non frutto dell’improvvisazione come molti credevano ma dello studio del cartamodello che diviene ben presto il motto della sua vita professionale “il mio vestito è bello perché è ben tagliato”. Un noto giornale del tempo diceva di Vionnet: “È al di sopra della moda, le sue creazioni annunciano la moda di domani “. Negli anni ‘80 Alaïa grande stilista francese al quale è stato dedicato nel 2013 un grande omaggio al museo della moda parigino Gallierà, collezionava costumi antichi e abiti di grandi sarti come Vionnet, Dior, Balenciaga dai quali ha imparato l’uso magistrale del plissé e del drappeggio divenendo un loro degno erede. In Italia nel 1954 nei saloni di via Condotti a Roma, 120 modelli straordinari conquistarono la capitale del mondo: il sarto si chiamava Valentino. In quei giorni si trovava a Roma per girare Cleopatra la diva Elisabeth Taylor che volle un abito Valentino aderente e drappeggiatissimo che indossò per la proiezione in prima mondiale di Spartacus. Successo senza precedenti! Negli anni ‘60 Valentino realizza modelli il cui eco si riverbererà sull’intera storia della moda, erano decenni inquieti ove si afferma una contro cultura che giudica l’eleganza come un dato trascurabile irrilevante. Ma lui continuò per la sua strada. Le sue collezioni sono ricche di dettagli e ispirazioni catturate dal patrimonio artistico di tutto il mondo e di tutte le epoche: dagli egizi, al classicismo della Roma imperiale fino ai dipinti di Klimt e alla Pop Art. Ecco che guardare al passato è necessario per progettare il futuro, come è indispensabile andare contro corrente e credere in quello che si fa. In una prestigiosa rivista patinata apparve questa frase riguardante Valentino Garavani: “Sa offrire sempre, anche se il mondo va in altre direzioni, un menù sostanzioso, di lusso delicato e tenendo sempre presente la leggerezza come aria tessuta e tanto divertimento”.
BANCHE:
DALLA CMS ALLA CIV, SONO SEMPRE COMMISSIONI. E TROPPO ALTE!
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e banche stanno mettendo in atto lo stesso “giochetto” del Governo: cambiano il nome a tasse e balzelli, ma a pagare sono sempre i cittadini. È quello che sta succedendo con la CMS, la famigerata commissione di massimo scoperto finalmente cancellata nel 2012, che ora viene reintrodotta in sordina sotto il nome di CIV (acronimo di Commissione d’istruttoria veloce). In pratica, agli aumenti di spese su fidi e sconfini già avvenuti all’indomani dell’abolizione della famigerata commissione, a distanza di pochi mesi questa viene reintrodotta sotto il nome di CIV una commissione che le banche possono chiedere a chi sconfina sul conto. Commissioni che, ad oggi, hanno raggiunto livelli inauditi. Possono essere richiesti anche 50 Euro se si sfora per un solo giorno. Un comportamento intollerabile, ai limiti dello strozzinaggio, che tra l’altro non trova alcuna giustificazione nell’attuale situazione in cui versano le banche. Infatti i titoli e le obbligazioni dei maggiori istituti volano in borsa. Inoltre le banche continuano ad incassare lauti guadagni sia grazie all’ingiustificato aumento dello spread sui mutui (passato in pochi anni dall’1 al 3%, con un crescita inversamente proporzionale a quella dei tassi di riferimento Euribor e Eurirs), sia grazie all’applicazione di costi dei mutui e dei conti correnti ai livelli più elevati d’Europa. Le associazioni dei consumatori, chiedono pertanto che il Governo e l’ABI intervengano il prima possibile, per definire un immediato calmieramento dei costi ed avviare una seria politica di confronto con quanto avviene in tale settore a livello europeo.
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L’OROSCOPO DI
ZOE Febbraio CARA ARIETE, la necessità di concretezza e dedizione rispetto alle questioni familiari potrebbe renderti insofferente e irritabile nel corso di questo mese. Ti dedico perciò una delle migliori battute di Erma Bombeck, giornalista e umorista statunitense che una volta ha detto: “Per anni io e mio marito siamo stati a favore delle vacanze separate, ma i nostri figli sono sempre riusciti a trovarci!”. Forse non potrai essere libera come vorresti, e scalpiterai un po’, l’unica arma che posso proporti è quella dell’ironia. CARA TORO, la Luna nel mese di febbraio ti renderà molto attraente e disponibile agli incontri, piuttosto leggeri e momentanei. Questa volubilità, che avrei salutato con entusiasmo per un altro segno, non mi sembra molto congruente con il tuo carattere e i tuoi veri desideri. Come scrive Alain Badiou: “L’amore è una avventura ostinata”. Il filosofo con questo ossimoro sottolinea il momento dell’incontro, della contingenza, cui dovrebbe seguire però la durata. E tu la pensi come lui. Che devo dire? Focalizzati sulla prima parte della definizione – l’avventura – se ti va e ci riesci, per l’ “ostinazione” occorre aspettare un po’... CARA GEMELLI, “Scrivere. Non posso. Nessuno può. Bisogna dirlo: non si può. E si scrive. È l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire raggiungerlo. [...] Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità”. Sono parole di Marguerite Duras, ed evocano bene lo stato d’animo in cui potresti trovarti nei prossimi giorni: avrai voglia di abbandonare le banalità del quotidiano e di dedicarti all’ignoto, quello che si svolge davanti ai tuoi occhi e tuo malgrado, momento per momento. CARA CANCRO, come scrisse Arthur Rimbaud: “L’amore s’ha da reinventare, si sa”. E, oltre all’amore, senti di dover reinventare molte cose nella tua vita. Insieme a questo richiamo, a questa voglia di trasformazione, avverti però una certa resistenza provenire dagli altri e anche da te stessa. L’ultima parte del mese è forse quella più adatta a questo genere di metamorfosi, grazie al sostegno di Giove e del Sole. Ma la vera rinascita partirà da marzo, con la fine dell’inverno.
PREDIZIONI SEMI-SERIE E PRONOSTICI POSSIBILI
CARA LEONE, “Non è una grande idea nascere pecora: vita dura, pochi svaghi e niente certezze. [...] Ma una cosa si può dire con scientifica certezza: le pecore hanno il vantaggio di fare gruppo”. Così, con un tono tra il comico e il grottesco, sostiene Angelika Riganatou nel libro Mondo animale, in cui racconta le sue esperienze come veterinaria. La voglia di fare gruppo è proprio quello che ci vorrebbe per te nei prossimi giorni, ma forse esagero con le aspettative: come sperare che una Leone possa diventare pecora? CARA VERGINE, così affermò Robert Musil sulla sua attività di scrittore: “Volevo aiutare a capire il mondo e venire a patti con esso”. In sintesi, è il mio consiglio per te sull’atteggiamento da tenere nel corso di febbraio. Evita di polemizzare, sorvola su possibili motivi di discussione e soprattutto adotta un’attitudine più analitica del solito. Comprendere le cause dei tuoi dubbi potrebbe aiutarti per venire a patti in primo luogo con la persona più importante della tua vita, te stessa naturalmente! CARA BILANCIA, Mallarmé definiva la poesia “il caso vinto parola per parola”. Quanto mi piace questa idea dello scrivere: rendere necessaria e ineluttabile la contingenza, ovvero gli incontri, gli imprevisti, le piccole cose della vita. Possederai forse un potere di questo tipo nel corso del prossimo mese, grazie al trigono tra il Sole e Marte. Sarai in grado di rendere ogni cosa irrinunciabile e speciale. CARA SCORPIONE, il regista Roman Polanski ha raccontato di non credere alla psicoanalisi. Il motivo? Gli analisti cui ha fatto leggere la sceneggiatura del suo film Repulsion hanno affermato che la storia appare normale, e che lui è in fondo un uomo del tutto equilibrato... Insomma, Polanski è rimasto male di non essere stato considerato abbastanza matto! Ti racconto questo aneddoto per chiederti – per favore! – di non farti tentare dalla razionalità: ormai rimani solo tu, con le tue intuizioni da strega affascinante, a difendere il mistero e la follia... CARA SAGITTARIO, non sono certo io quella che propone come unica soluzione la trasparenza totale, se mi leggi ogni tanto lo saprai. Ci sono cose che non si risolvono enunciandole, cose che vanno gestite e non tematizzate, specialmente nei rapporti più stretti. In questo caso, però, tutto questo mistero potrebbe davvero nuocerti,
perché sproporzionato rispetto all’esiguo contenuto. Spiazza la Luna un po’ ambigua di questo febbraio facendo scelte chiare e discorsi aperti. CARA CAPRICORNO, il filosofo francese Emmanuel Lévinas ha scritto che chi è innamorato ama nella persona amata non “una qualità differente da tutte le altre, ma la qualità stessa della differenza”. Non una qualità oggettiva, riconoscibile e paragonabile con le qualità altrui, insomma, ma la sua cifra personale, quel quid che solo lui o lei possiede. Sarete amati nel corso di questo febbraio, e amerete molto, in modo più carnale rispetto alla vostra consueta attitudine. CARA ACQUARIO, la poetessa Antonia Pozzi è nata sotto il tuo stesso segno zodiacale, il 13 di questo mese, poco più di cento anni fa. Ebbene, proprio nel giorno del suo compleanno torna in Acquario il pianeta Mercurio, rendendoti eloquente e capace più del solito di grandi passioni. Per te, ecco i versi dalla sua poesia Lampi: “Stanotte un sussultante cielo/malato di nuvole nere/acuisce a sprazzi vividi/ il mio desiderio insonne/e lo fa duro e lucente/come una lama d’acciaio”. CARA PESCI, nel suo divertente e commovente romanzo Vivi. Ultime notizie di Luciano D. Nicoletta Bidoia racconta la sua amicizia con il protagonista, arrivato nella casa di riposo dove lei lavora come segretaria dopo anni di manicomio. L’autrice decide di prenderlo così com’è, e verrà nominata una delle “madonne messianiche” della religione da lui inventata, di cui si proclama messia. Vedi quante cose belle possono capitare, facendo entrare un po’ di follia nella propria vita?
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Febbraio 2014
Giovanna GenTilini
Il lIevIto della poesIa In questi versi vi è il fermento di un sentimento sincero che fa crescere il senso del tempo, della famiglia, dell’amicizia di luca Benassi
N
ella breve prosa che apre il volume, Gentilini ci introduce alla metafora portante del suo “Mentre rammendi ascolta il lievito”, pubblicato dalle edizioni Rossopietra di Cestelfranco Emilia (Modena), nel 2013: l’ago, il filo, l’attività del rammendare che, tramandata per via matrilineare, non è limitata al solo riparare vestiti e tovaglie, ma si estende al mettere insieme, al cucire e connettere ritagli di vita, emozioni, esistenze, corpi, passioni, affetti. Questo libro si offre come un grande affresco, anche nella studiata articolazione in sezioni, nel quale la poetessa, che è pittrice e autrice di raffinati acquerelli, acco-
sta i frammenti - quasi i tasselli di un mosaico - di una realtà domestica e quotidiana spesso squassata dalla dimensione erotica e passionale: «così/ di notte/ le tue ascelle/ rifugiano il mio viso/ le mie narici/ l’umidità della mia lingua/ che cerca riparo/ nella tua bocca.» Nei versi di Gentilini vi è, infatti, il lievito di un sentimento sincero e naturale, che fa crescere in questa poesia il senso del tempo, della famiglia, dell’amicizia, del passare delle stagioni, ma anche le braci di una passione che mai cede il passo all’abitudine e alla stanchezza. Scrive Alberto Bertoni in proposito: «la metafora dell’ago e del filo - derivata dal magistero sempre più attuale di Emily Dickinson - e quella molto più casereccia, ma non meno efficace, del lievito rappresentano appieno l’idea di poesia […], il loro compenetrarsi nelle tappe decisive dell’esistenza, ora filiale ora amorosa, ora radicata nella “casalinghitudine” ora invece proiettata con coraggio nella realtà esterna, dell’io narrante costituisce la novità stilistica non meno che tematica di una poesia che sa come rompere il bozzolo della registrazione di un mero diario di sentimenti, per assurgere a un’ambizione e a un intento di specie metafisica.» In effetti questi versi sono in grado di uscire dal bozzetto familiare ed intimo, per farsi assoluti e subito “nostri”, soprattutto quando si distaccano dalle mura domestiche per descriverci le strade di Delhi o Berlino, o raccontarci i drammi delle guerre, dei migranti e dei rifugiati, assumendo il tono di un’accorata poesia civile. Si tratta di una scrittura che trae la sua forza da una semplicità del dettato che non è mai banale, non spinge sul pedale del “poetico”, per ricercare invece una linearità che ricorda la già citata Dickinson o la cantabilità di Giorgio Caproni. In questa poesia, nella quale abilità pittoriche si mischiano a delicate armonie, chi legge vi troverà il segno di molti attraversamenti, di memorie vive, di esperienze che riverberano al di là del tempo, ben sapendo che alla fine «oltre la soglia/ mi aspetta/ il silenzio/ io - intanto/ qui/ faccio vuoto/ e lo covo».
Che faccio qui sola ad ascoltare il freddo che scende ho impastato sale acqua e farina e mi godo l’abbraccio del silenzio che rallenta la mente galleggia in spazio senza tempo l’impensato io ho aperto la porta e buttato la chiave le mani hanno posato sul tagliere un pane tondo e morbido che attende al buio ed io – con lui il lievito
Tu puoi aver leccato il miele dal favo bevuto il latte dal cocco succhiato il nettare dal fiore di magnolia ma se non hai sfiorato con un bacio le labbra dell’amato il dolce non conosci
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