Non di Solo Pane n°714 - 14 Giugno 2015

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Non di solo

PANE Sussidio di preghiera per la famiglia Domenica 14 Giugno 2015 Tempo Ordinario

Anno XV - n째

714

Questa settimana: preghiamo con la sindone

Itinerario quotidiano di preghiera


Offerta della giornata “Pregare, forse il discorso più urgente”

Sito di Non di Solo Pane:

Sussidio di preghiera per la famiglia

www.nondisolopane.it

Giugno 2015

Preghiamo con la Sindone

Vi offriamo questa settimana, in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone, alcune riflessioni sul telo dove la tradizione vuole che sia stato avvolto il corpo di Gesù dopo la deposizione dalla Croce. Ogni dettaglio della Sindone ci «racconta» ciò che accadeva a un condannato che veniva sottoposto al supplizio della croce. Come vedremo nelle pagine che seguono, tali

dettagli possono essere posti in parallelo con un brano evangelico e tutti trovano un perfetto riscontro con il racconto dei vangeli. Si potrebbe dunque dire che il telo sindonico rappresenti un altro vangelo non scritto da un autore umano, che ci ricorda quel santo Mandylion, cioè il «volto santo», immagine denominata, come detto, acheròpita che in greco significa, appunto, «non fatta da mano d'uomo». La Sindone appare dunque ai nostri occhi come una vera icona, cioè una finestra affacciata sul mistero, che ci narra quanto è veramente accaduto e che ci rimanda costantemente al profondo orizzonte della fede. Proprio per cogliere meglio tale orizzonte, il brano evangelico e la descrizione dei particolari della Sindone sono stati affiancati da alcune meditazioni di una grande mistica medievale, Angela da Foligno (+ 1309). È stata scelta una tra le tantissime voci di credenti che lungo la storia del cristianesimo hanno testimoniato con la vita il loro amore e la loro vicinanza all'Uomo dei dolori.

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Domenica 14 Giugno

XI Domenica del Tempo Ordinario “Un buon cattolico non si immischia in politica? Quello non è vero, non è una buona strada. Un buon cattolico si immischia in politica offrendo il meglio di sè“

III Settimana del Salterio

Il santo del Giorno: Sant’Eliseo Ricco possidente, origi­ nario di Abelmeula, il suo nome che significa «Dio salva» risponde bene alla missione svolta tra il popolo di Israele, sotto il regno di Ioram (853­842 a.c.), Iehu (842 ­815 a.c.), Ioacaz (814­ 798 a.c.) e Ioash (798­ 783). Eliseo era un uomo deciso e lo dimostra la prontezza con cui rispose al gesto simbolico di Elia che, per ordine di Jahvé, lo consacrava profeta e

suo successore. Eliseo prese parte attiva alle vicende politiche del suo popolo attraverso il cari­ sma della sua profezia e può essere considerato il più taumaturgico dei pro­ feti dell'Antico Testa­ mento. La Scrittura ricor­ da infatti una lunga serie di prodigi da lui operati: stendendo il mantello di Elia divise le acque del Giordano; rese potabile l'acqua di Gerico; riportò in vita il figlio della su­

namita che lo ospitava; moltiplicò i pani sfaman­ do un centinaio di perso­ ne. Profeta non scrittore, come il suo maestro Elia si preoccupò del suo pae­ se in tempi difficili du­ rante la guerra contro i Moabiti e durante quelle contro gli Aramei. Morì verso il 790 a.C. e venne sepolto nei pressi di Sa­ maria, dove ai tempi di San Girolamo esisteva ancora il suo sepolcro.

Brano Evangelico: Mc 4, 26­34

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, su­ bito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa pos­ siamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più picco­ lo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere an­ nunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Contemplo: Il seme germoglia e cresce (Mc 4,27) Il regno di Dio è già presente in mezzo a noi, ma sta ancora crescendo e svi­ luppandosi verso la mietitura, in un destino mirabile. Il futuro, per i credenti in Gesù, non è condanna, disperazione e nemmeno rassegnazione fatalistica. L'insegna­mento di Paolo lo dice chiaramente: «Anche se siamo in un esilio lontano dal Signore, siamo sempre pieni di fiducia e camminiamo nella fe­ de», la fede in colui che ha vinto la morte e ci associa al suo trionfo nella glo­ ria di amore e di intimità con Dio.

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a p p r o f o n di m e n ti

Siamo piante nel regno di Dio Meditazione di don Luciano Vitton Mea

Gesù parla di Dio e del suo Regno con un linguaggio semplice, che tutti comprendono. Parte dalla quotidianità, dalle esperienze concrete della gente che lo ascolta, spesso prende lo spunto dal loro duro lavoro. Così aiutava le persone a scoprire le cose di Dio nella vita di ogni giorno, vita che diventava trasparente; le parabole sono quindi una sorta di chiave per aprire, attraverso la semplicità della vita quotidiana, i segni della presenza di Dio che scorre tra i declivi dei giorni e delle stagioni che passano segnando il volto degli uomini. Nelle due brevi parabole di questa domenica Gesù ci presen-

ta l’immagine del seme. Nella prima viene tratteggiata, come in un bel quadro, la storia del seme che cresce. Quando il contadino lascia cadere i semi nella terra li abbandona a un lento processo che li porterà prima a germogliare, poi a crescere ed infine a portare frutto. Il seme stesso, a contatto con la terra, l’acqua e il sole, sprigiona la propria forza vitale germoglia e cresce. Così è il Regno di Dio. E’ un percorso, ci sona tappe e momenti di crescita. Avviene nel tempo. Produce frutto al momento giusto, ma nessuso sa spiegare la sua forza misteriosa. Nessuno ne è il padrone! Solo Dio! Questa breve parabola è una

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sferzata di speranza, ci da fiducia in questi tempi difficili dove la presenza di Dio, e quindi anche del suo Regno, sembra essere offuscata dall’indifferenza e da una caduta di qui valori fondamentali che dovrebbero caratterizzare una vita autenticamente cristiana. Il pensiero dominante non facilita la crescita del seme della Parola, ma non dobbiamo scoraggiarci; anche se non lo vediamo il regno di Dio cresce in noi e fuori di noi perché il padrone della messe conosce i tempi della mietitura. Gesù, oggi, ci rassicura: dobbiamo gettare il seme della Parola in terra, abbondantemente; non solo nelle chiese ma anche sull'asfalto dei nostri quartieri di periferia. Uscire e gettare il seme, senza preoccuparsi. Parlare di Dio, bene, con verità, con coerenza. Poi, ci penserà il seme, progressivamente, a crescere. Infine non dobbiamo mai dimenticarci che noi stessi siamo il campo di Dio, il terreno dome il seme della Parola deve attecchire, crescere e fruttificare. Infatti “quando concepiamo buoni desideri, gettiamo il seme nella terra. Quando co­minciamo ad operare rettamente, siamo lo stelo. Quando cresciamo maggiormente nell'opera buona, arriviamo alla spiga. Quando ci rafforziamo nella perfezione della nostra condotta, ormai produciamo il chicco pieno nella spiga”. (Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele 2, 3, 5)

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La Sacra Sindone

Il volto

Appena detto questo, una delle guardie pre­ senti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: “Così risponde al Sommo Sacerdote?”. Gli rispose Gesù: “ Se ho parlato male dimostra­ mi dove è il male. ma se parlo bene, perché mi percuoti?” (Gv 18, 19­23).

Contemplazio: Nasconde e rivela In casa, soli con Gesù, i discepoli vogliono sapere il significato della parabola. Loro non lo capiscono. Gesù rimane attonito dinanzi alla loro ignoranza (Mc 4,13) e in quell'occasione risponde con una frase difficile e misteriosa. Dice ai suoi discepoli: «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato!». Questa frase spinge la gente a chiedersi: Ma allora a cosa serve la parabola? Per chiarire o per nascondere? Forse Gesù si serve di parabole affinché la gente continui a vivere nell'ignoranza e non arrivi a convertirsi? Certamente no! Poiché nel vangelo di oggi Marco dice che Gesù usava parabole «secondo quello che potevano intendere» (Mc 4,33). La parabola rivela e nasconde allo stesso tempo! Rivela a coloro che sono dentro, che accettano Gesù, Messia Servo; rivela ai poveri, ai semplici di cuore, a coloro che abitano nelle tante “Galilee” delle genti.. Nasconde a coloro che insistono nel considerarlo il Messia, il Re grandioso. A tutti quelli che presumono di possedere Dio e lo imprigionano in norme fatta da mani d’uomo. Costoro capiscono le immagini della parabola, ma non riescono a coglierne il significato.

Il volto dell'uomo della Sindone presenta una tumefazione sullo zigomo destro, mentre su quello sinistro vi sono i segni di incisioni procurate probabilmente da ripetute cadute; sulla palpebra sinistra vi è un grumo di sangue; due rivoli di sangue appaiono fuorisciti dal naso; sotto il labbro superiore vi sono gocce di sangue; sulla punta del naso vi è un'ammaccatura. Sono inoltre presenti alcune ferite sui sopraccigli ed ecchimosi sulle palpebre. In Cristo vi fu dolore ineffabile, molteplice e nascosto. Poiché il dolore fu in Cristo indicibilmente acutissimo, il quale fu disposto per lui dall'ineffabile sapienza divina. Questa divina ed eterna disposizione ineffabile, unita a Cristo dall'eternità, era per lui causa di sommo dolore. Infatti, quanto più la disposizione divina è meravigliosa, tanto più per Cristo è causa di più acuto e intenso dolore.

Agisci Vigilerò sul mio cuore perché non ceda all’ira, ma si apra all’altro con mitezza e, se necessario, con disponibilità alla riconciliazione.

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XI Tempo Ordinario “L’educazione non può essere neutra: o è positiva o è negativa. O arricchisce o impoverisce“

Martedì 16 Giugno III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: Sant’Aureliano di Arles Aureliano fu eletto ve­ scovo di Arles nel 546. Su richiesta del e Childe­ berto, fu nominato da papa Vigilio vicario del­ la Sede Apostolica nella Gallia e investito del pallio. Fondò il monaste­ ro di S. Pietro, cui diede una regola ispirata a quella di s. Cesario e partecipò al concilio di Orléans del 549, nel qua­ le fu rinnovata la con­ danna di Nestorio e di Eutiche. Ricevette una

lettera, del 29 aprile 550, da Vigilio in ri­ sposta a una sua, in cui si lamentava dell'atteg­ giamento papale riguar­ do ai "tre capitoli". Il pontefice si giustificò dicendo che non inten­ deva ammettere alcuna proposizione contro quanto stabilito dai concili di Nicea, di Calcedonia e di Efeso (I) e gli domandò di intervenire presso Chil­ deberto affinché costui

ottenesse dall'ariano To­ tila e dai Goti, il rispetto della Chiesa di Roma. Aureliano morì a Lione, forse il 16 giug. 551, e fu sepolto nella basilica dei Santi Apostoli. Menzio­ nato da Floro e da Ado­ ne, il nome di Aureliano figura anche nel Martiro­ logio Romano, che ne ricorda la festa nella data di oggi.

Brano Evangelico: Mt 5, 43­48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui catti­ vi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Contemplo: Fa

piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45)

Per Gesù «i nemici sono amici cattivi». Non si accontenta di predicarlo, ma è amico dei poveri che vogliono capire, degli infermi che vogliono guarire, dei peccatori che non sanno come fare a riparare i loro peccati. Andando verso poveri, infermi e peccatori, Gesù intende far conoscere a tutti la gratuità e l'u­niversalità della «nuova» vicinanza di Dio. Dio offre ai peccatori la sua grazia. Tutti sono invitati al banchetto del Regno: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

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meditazione

Amare e pregare

La Sacra Sindone

La corona di spine

Meditazione di Fiorella Elmetti

È possibile amare e pregare per i nemici? Con le sole forze umane no. Bisogna spingersi oltre. Bisogna avere il desiderio di conoscere Cristo, assumere i suoi sentimenti insieme alla capacità di vedere la bellezza che sta nell'altro, anche nel meno meritevole. A riguardo, ecco una breve testimonianza del teologo Bonhoeffer, morto in un campo di concentramento e proprio per questo autorevoli: "Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire. Il suo volto che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nella preghiera si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato... Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che da parte nostra non possa essere superato nella preghiera. Intercedere non significa altro che presentare il fratello a Dio, vederlo nella luce della Croce di Gesù come povero uomo e peccatore bisognoso di grazia. Con ciò viene a cadere tutto quello che me lo rendeva antipatico". Preso atto di questo, non possiamo, quindi, dire che sono parole astratte, buttate lì tanto per dire. Sono parole, invece, vissute in prima persona, come lo sono quelle di Etty Hillesum, anch'ella morta ad Auschwitz: "...Dobbiamo respingere interiormente questa inciviltà: non possiamo coltivare in noi quell'odio perché altrimenti il mondo non uscirà di un solo passo dalla melma". Se lo dicono loro che, come Gesù, innocenti, hanno pagato di persona l'ingiustizia dell'umanità, uscendone più che vittoriosi, anche noi possiamo amare e pregare per i nostri nemici.

E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicina­ vano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi (Gv 19,2-3). La corona di spine posta sul capo del condannato appare formata da un casco di resistenti e lunghe spine. Tale sorta di casco, simile alle corone dei re orientali, ha ricoperto l'intera superficie del capo. Le ferite causate dalla corona di spine sembrano essere almeno una cinquantina. Sulla fronte appare evidente una colatura di sangue: sembra provenire da una grossa vena frontale; la sua forma a 3 rovesciato è dovuta alle rughe della pelle formatesi per i forti sforzi di resistenza al dolore. In Cristo vi fu dolore intensissimo e acuto per la mirabilissima compassione che ebbe per il genere umano che amava in sommo grado. Infatti aveva compassione di ciascuna persona con sommo dolore, secondo la misura dei peccati e delle pene in cui ciascuno doveva incorrere e in cui sarebbe incorso certamente.

Agisci Darò spazio alla preghiera personale, silenziosa, chiudendo la porta della “camera del cuore” per stare alla presenza del Signore con verità, lasciandomi guardare e amare da Lui.

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Lunedì 15 Giugno

XI Tempo Ordinario Un cristiano senza gioia non è cristiano. È come il sigillo del cristiano, la gioia. Anche nei dolori, nelle tribolazioni, nelle persecuzioni. Un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato“

III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: Santa Albertina Berkenbrock

Albertina Berkenbrock, nata l’11 aprile 1919 a São Luis (Brasile), all’età di soli 12 anni il 15 giugno 1931 fu uccisa perchè come Maria Goretti difese eroicamente la sua casti-

tà. Dopo un rapidissimo processo di beatificazione, il 16 dicembre 2006 è stato riconosciuto il suo martirio ed il 20 ottobre 2007 è stata dichiarata "beata".

Etimologia: Albertina = forma diminutiva di Alberta, illustrissima, dall'antico germanico.

Brano Evangelico: Mc 5,38­42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio” e “dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pór­ gigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».

Contemplo: Da' a chi ti chiede (Mt 5,42) La legge del taglione o della reciprocità, dice che nella società tutti hanno gli stessi doveri e diritti. Umanamente è un grande passo verso una società più giusta. Però Gesù supera la legge vecchia con la legge dell'amore. Mosè ha chiesto a Dio: «Mostrami la tua gloria» e la rispo­ sta è stata: «Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (cf Es 33,17­23). Noi seguiamo le spalle di Gesù nel cammino verso Dio, noi seguiamo la legge dell'Amore.

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meditazione

La Sacra Sindone

La flagellazione

Buttarsi alle spalle Meditazione di don Luciano Vitton Mea

Porgere la guancia sinistra a chi ti percuote quella destra. Una logica apparentemente assurda, fuori da una qualsiasi prospettiva umana e di comune buon senso. Per comprendere questo insegnamento dobbiamo avere la capacità di andare oltre il mero significato delle parole, oltre la superficie di un concetto che ci appare irrazionale, per coglierne, nei fondali vasti e sconfinati della sapienza divina, tutte le ricchezze di una scelta di vita. Porgere l’altra guancia, cioè buttarsi alle spalle il male subito, non permettere che i ruvidi segni di uno schiaffo continuino ad abbruttire il nostro volto; lasciare sul ciglio della strada il mantello soffocante della vendetta, la tunica adombrata dal risentimento, dall’odio, dal dilaniante rancore. Porgere l’altra guancia, cioè buttarsi alle spalle il peggio di noi stessi, l’odore malsano della cattiveria; lasciare le cuciture di un abito che ti stringe, soffoca, umilia. Porgere l’altra guancia, cioè rivestirsi con il lenzuolo che profuma di bucato, cingersi con i fiori del prato, cogliere dall’albero un diadema di ciliegie. Lascia ai figli di questo mondo il veleno della rivalsa, porgi l’altra guancia, rivestiti con il meglio che Dio ha posto nel tuo cuore.

don Luciano

Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: vo­ lete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Ba­ rabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare (Gv 18,3819,1).

I segni della flagellazione si possono ravvisare sul petto, sulla schiena e sui polpacci. Il condannato era assicurato a un ceppo o a una colonnina e veniva colpito a turno da due persone. Le fruste terminavano con una o due vertebre di pecora e piccole sfere di piombo. I colpi erano inferti, presso i Romani, sino allo sfinimento; sino a trentanove presso gli Ebrei. L'uomo della Sindone fu colpito un centinaio di volte. In Cristo vi fu il dolore proveniente dall'ineffabile lume divino che gli fu dato. Dio stesso infatti, luce ineffabile, illuminando Cristo in modo indicibile con questa eterna disposizione fonte di ineffabile unione - trasformatasi in luce divina - fu per lui causa di un dolore inenarrabile.

Agisci Porterò nella mia preghiera, davanti al Padre, una situazione che mi reca sofferenza o una persona con cui vivo un rapporto difficile.

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Pagine bibliche: il Libro di Giobbe/3

Gli approfondimenti di Non di Solo Pane

La dura arte del vivere Meditazione di don Luciano Vitton Mea

Probabilmente, se il Libro di Giobbe fosse affidato oggi a una commissione dottrinale o teologica per decidere se inserirlo o meno nel canone, si giungerebbe a non inserirlo nel timore di creare disagio e disturbo. (Carlo Maria Martini) Giobbe non maledice Dio. Anche quando la moglie con parole taglienti lo provoca “Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!”, Giobbe rimane integro, un uomo fermamente religioso: «Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?». Giobbe contesta Dio, lo processa ma non lo nega. La moglie gli suggerisce una sottile forma di ateismo, di morire, di lascarsi morire: con un coccio in mano e seduto sull’immondezzaio del villaggio, abbandonato da tutti, sen-

za più affetti, marchiato come impuro, scomunicato e avvolto dalla buia notte del non senso perché continuare a vivere? Seduto sui rifiuti del villaggio in compagnia di altrettanti “Giobbe” maledetti e dimenticati perché continuare a lottare, a chiedere la presenza e la Parola di un Dio che sembra essere sordo e muto di fronte alla sofferenza innocente? Giobbe sceglie la via più difficile e continua a credere, maledice il giorno in cui è nato ma sceglie di vivere. Diventerà la voce di milioni di innocenti che tra le immondizie della terra scelgono, con dignità, la dura arte del vivere, la dura crosta della fatica di credere. Giobbe, come tutti gli abbandonati della terra, non ha la presunzione di spiegarci il senso del dolore innocente, ma si chiede se è possibile parlare di Dio di fronte al dolore innocente. C’è questa possibilità? E’ possibile parlare di Dio in un reparto di oncologia pediatrica,

nelle tante Auschwitz di ieri e di oggi, nelle chiuse stanze di un manicomio dove i malati sono abbandonati a sé stessi e giocano con i propri escrementi? E’ questa la strada scelta dall’autore di questo meraviglioso libro: continuare a parlare di Dio non tra le pietre votive del Tempio ma nei concimai delle periferie dove i Giobbe di turno imprecano, processano tutto e tutti, ricordano con nostalgia i giorni “ del loro autunno quando si lavavano i piedi nel latte e la roccia gli versava ruscelli d’acqua”, pregano, piangono, sperano. Giobbe percorre la via della vita, accetta la sfida della propria sventura perché seduto su un cumolo di spazzatura sa porsi delle domande, si mette in ricerca e chiede a se stesso e a noi: “Può l’essere umano credere in Dio in modo disinteressato, senza attendersi ricompense né temere castighi? C’è qualcuno che, in una situazione di sofferenza ingiusta, sia capace di affermare la propria fede in Dio e di parlare di lui, gratuitamente?” Domande attuali, moderne, dell’uomo di ieri, di oggi e di sempre. Ecco perché Giobbe esce dai canoni biblici e diventa patrimonio di tutta l’umanità, compagno fedele di chi, ricoperto di un morbo maligno , non cerca risposte banali alla sua sofferenza. Partendo da queste considerazioni un desiderio di Giobbe è già stato esaudito: “Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia!”. Ogni sofferenza, ogni lacrima è impressa con stilo di ferro, il grido degli ultimi è scritto da sempre sul libro di Dio.

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XI Tempo Ordinario “La Chiesa, ci diceva Benedetto XVI, cresce per attrazio­ ne, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetu­ dine, sentono il bisogno» di cui parla «il profeta Zacca­ ria: “Vogliamo venire con voi!”“

Mercoledì 17 Giugno III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: Santa Beata Teresa del Portogallo La beata Teresa del Por­ togallo, al secolo princi­ pessa Teresa Sanches de Portugal, era figlia di Sancio I, secondo sovra­ no portoghese. Suoi non­ ni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Le due beate Mafalda e Sancha furono sue sorelle. Teresa nac­ que nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e

sposò il suo consangui­ neo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fer­ nando. Nel 1196 tale matrimonio fu dichia­ rato nullo per «impedimentum affini­ tatis» e quattro anni dopo Teresa si ritirò nel convento benedetti­ no di Lorvao, che lei stessa aveva preceden­ temente fondato, e do­

po averlo trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo reli­ gioso. Alla morte del padre Sancio I nel 1211, sorsero alcune diatribe dinastiche. Risolto il conflitto familiare, però, Teresa potè trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghe­ se di Lorvao, ove morì il 18 giugno 1250.

Brano Evangelico: Mt 6,1­6­16­18

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giu­ stizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suo­ nare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricom­ penserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Contemplo: Dio ama chi dona con gioia (2Cor 9,7) Siamo più abituati a pensare che Dio vede nel segreto, ci controlla e ci giudi­ ca. Pensiamo poco invece alla presenza di Dio che «è nel segreto», vive con noi, a nostro favore, e ci insegna il modo di amare, di pregare e di digiunare. Egli ci dice: «Amatevi come io vi ho amato, con la potenza dell'umiltà. Pre­ gate come io vi ho insegnato, in compagnia dello Spirito che vi ho inviato. Siate lieti nell'offerta della vostra vita, perché "Dio ama chi dona con gioia"».

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meditazione Velato di discrezione

La Sacra Sindone

Il peso della croce

di don Luciano Vitton Mea

Il vero bene va fatto nel silenzio, dev’essere velato di discrezione, nascosto nel profondo del cuore, scritto sulle pagine di un libro che solo Dio conosce. “Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Il vino per diventare buono, per acquisire dolcezza deve rimanere in cantina, lontano dalla luce del sole, nascosto in botti di rovere. Se viene esposto diventa acido e si trasforma in aceto. Un gesto di bontà esposto alla luce dell’umana compiacenza si gusta, si altera, perde la freschezza del bacio, li profumo del fiore. Un racconto che ho letto alcune sere orsono mi pare appropriato al brano del Vangelo di oggi. “Il muratore posava il mattone sul letto di cemento. Con gesto preciso della sua cazzuola vi gettava una copertura. E, senza chiedergli il parere, posava su un nuovo mattone. A vista d'occhio le fondamenta salivano, la casa poteva elevarsi alta e solida per ospitare uomini. “Ho pensato, Signore, a quel povero mattone interrato, nella notte, alla base del grande edificio. Nessuno lo vede, ma lui fa il suo lavoro e gli altri hanno bisogno di lui. Signore, non conta che io sia in cima alla tua casa o nelle fondamenta, purché io sia fedele, al mio posto, nella tua Costruzione”. Non suoniamo mai la tromba davanti a noi; Dio fugge al suono scordato della “vanagloria”.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota (Gv 19,16-17).

L'uomo della Sindone presenta la spalla destra più bassa della sinistra e, inoltre, essa appare gonfia ed escoriata. Escorazioni simili sono evidenti sulla scapola sinistra. Sono i segni del «patibulum», il palo trasversale che il condannato doveva portare al luogo del supplizio, dove già era piantato in terra lo stipite («stipes»). In Cristo vi fu anche il dolore veemente e acuto, poiché aveva l'anima gentile e nobile. Quanto la sua anima era più nobile e delicata, tanto più grave e acuto era il dolore che soffriva. Quell'anima, che era nobilissima, soffriva un dolore grandissimo, e tutti quei dolori traevano origine da quella suprema e assolutamente ineffabile disposizione divina.

Agisci Oggi donerò un poco del mio tempo e tutta la mia attenzione ad una persona che so che sta attraversando un periodo difficile.

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XI Tempo Ordinario “Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!“

Giovedì 18 Giugno III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: San Alena da Forest E' una santa giovane martire del Belgio, n e l t e m p o dell’evangelizzazione del Paese; la sua ‘Vita’ fu compilata da un anonimo alla fine del secolo XII e risente delle caratteristiche delle narrazioni fantasiose agiografiche, che tanto furono usate da autori, che non avevano notizie certe dei santi di cui

narravano. Alena (Elena) nacque da genitori pagani a Dielbeek presso Bruxelles e si sarebbe fatta battezzare di nascosto della famiglia nella chiesa di Forest. Il fatto scatenò le ire del padre, che sembra fosse un re del paese, il quale ordinò ai suoi soldati di prenderla quando tornava dalla chiesa

e di portarla dinanzi a lui. Sembra che nella fase della cattura e del trascinarla con forza, uno dei soldati le spezzò un braccio ed Alena in seguito a questa traumatica ferita, morì il 17 giugno 640.

Brano Evangelico: Mt 6,7­15 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdo­ nerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdo­ nerà le vostre colpe».

Contemplo: Dacci oggi il nostro pane (Mt 6,11)

Il Simbolo (o Credo apostolico) e anche il «Padre nostro», nell'antica Chiesa di Roma e di Milano, era «consegnato» ai catecumeni, per im­ pararlo a memoria. Per una tradizione esplicita non doveva essere scrit­ to, ma imparato, appunto, a memoria. A chi chiedeva: «In che modo può essere tenuto a mente se non viene scritto?», sant'Ambrogio rispon­ deva che ciò che è scritto spesso è dimenticato, se non si ripassa con quotidiana ripetizione, come invece si deve fare.

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ pagina 13


Meditiamo la Parola "Padre… la chiave di ogni preghiera"

La Sacra Sindone

La trafittura delle mani

Meditazione di Fiorella Elmetti

Secondo Papa Francesco, la preghiera del Padre nostro “...apre le porte. Al momento del sacrificio, ha detto il Papa in una bella omelia, Isacco si accorge che qualcosa non andava, perché mancava la pecorella, ma si fida di suo padre e la sua preoccupazione l’ha buttata nel cuore di suo padre. E ancora: “padre” è la parola che ha pensato di dire quel figlio che se n’è andato via con l’eredità e poi voleva tornare a casa. E quel padre lo vede venire e va di corsa da lui, gli si getta al collo, per cadere su di lui d’amore. “Padre, ho peccato”: è questa la chiave di ogni preghiera, sentirsi amati da un padre: abbiamo un Padre. Vicinissimo, eh!, che ci abbraccia… Tutti questi affanni, preoccupazioni che noi possiamo avere, lasciamoli al Padre: Lui sa di cosa abbiamo bisogno. Ma, Padre, che? Padre mio? No: Padre nostro! Perché io non sono figlio unico, nessuno di noi, e se io non posso essere fratello, difficilmente potrò diventare figlio di questo Padre, perché è un padre di tutti. Mio, sicuro, ma anche degli altri, dei miei fratelli. E se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire Padre a Lui. Così, ha aggiunto, si spiega il fatto che Gesù dopo averci insegnato il Padre Nostro, sottolinei che se noi non perdoneremo gli altri, neanche il Padre perdonerà le nostre colpe. “E’ tanto difficile perdonare gli altri, ha constatato, è difficile davvero, perché noi sempre abbiamo quel rammarico dentro... Ma Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo: è Lui che ci insegna, da dentro, dal cuore, come dire ‘Padre’ e come dire ‘nostro’. Chiediamo oggi allo Spirito Santo che ci insegni a dire ‘Padre’ e a poter dire ‘nostro’, facendo la pace con tutti i nostri nemici”. A me quando prego il Padre nostro sembra che il cuore si dilati... figuriamoci a Dio.

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù di­ ceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte (Lc 23,3334).

Le mani dell'uomo della Sindone sono sistemate sul basso ventre. La destra è posta sotto la sinistra, la quale presenta la ferita prodotta dal chiodo. La posizione di tale ferita conferma che l'inchiodatura avveniva non nel palmo, ma nel carpo, nel cosiddetto «spazio di Destot». Un chiodo fissato in quel punto lede il nervo mediano, che causa il ripiegamento del pollice, il quale, per questo motivo, non appare nella Sindone. Lungo le braccia sono visibili le colature di sangue. Quanto più Cristo amava profondamente i suoi eletti, tanto più sopportava con maggiore compassione e dolore le loro sofferenze e le loro pene, secondo la disposizione della divina volontà.

Agisci Porterò nella mia preghiera, davanti al Padre, una situazione che mi reca sofferenza o una persona con cui vivo un rapporto difficile.

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ Tempo Ordinario ­ pagina 14


Venerdì 19 Giugno

XI Tempo Ordinario “Quando non si adora Dio, si diventa adoratori di altro. Soldi e poteri sono idoli che spesso prendono il posto di Dio“

III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: San Romualdo Abate

Nobile, divenne ere­ mita e dopo l'espe­ rienza in Spagna, nei pressi di monastero sotto l'influenza di Cluny, iniziò una se­ rie di peregrinazioni lungo l' Appennino con lo scopo di rifor­ mare monasteri ed eremi sul modello degli antichi cenobi dell'Oriente. La sua

fama e il suo carisma lo misero più volte in contatto con i potenti, principi e prelati. Convertì Ottone III che lo nominò abate di S. Apollinare in Classe, carica che Romualdo rifiutò cla­ morosamente dopo un anno rifugiandosi a Montecassino dove portò il suo rigore

ascetico. Riprese le sue peregrinazioni fondando numerosi eremi, l'ultimo dei quali fu Camaldoli. Questo nome deriva dal campo che un tale Maldolo aveva dona­ to a Romualdo, in cerca di solitudine.

Brano Evangelico: Mt 6,13­19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassì­ nano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Per­ ché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del cor­ po è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebro­ so. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tene­ bra!».

Contemplo: Dov'è il tuo tesoro, là è il tuo cuore

(cf Mt 6,21)

I tesori sulla terra sono per lo più accumulati inutilmente. «Il ricco de­ ve distribuire e il povero deve meritare» insegna una sana contabilità delle ricchezze materiali. La contabilità di Gesù però è superiore alla nostra, perché guarda alla felicità delle persone. Si è fatto mostrare la moneta del tributo, ha pagato la tassa del tempio, ma è venuto per sal­ vare le persone. Diceva: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ Tempo Ordinario ­ pagina 15


Pagine bibliche: il Libro di Giobbe/3 La Sacra Sindone

Meditiamo la Parola L’infinito di Dio

La trafittura dei piedi

a cura della Redazione

Cosa ci è prezioso? Cosa o chi rappresenta il nostro "tesoro"? In cosa stiamo investendo nella vita? Certo: tutti desideriamo legittimamente una vita serena, una casa, un buon lavoro, qualche soddisfazione. Ed è bene che sia così, soprattutto in questi tempi di fatica lavorativa. Ma sappiamo anche che ciò che ci occorre è molto di più: il nostro cuore è fatto per l'infinito e solo l'infinito di Dio può davvero colmarlo. Qui, in parte, e altrove, definitivamente. Se abbiamo intuito il valore del vangelo, della vita nuova in Dio, della sua presenza, vale la pena investire tutte le nostre energie in lui. Così come non esitiamo a cercare qualche buon investimento che metta al sicuro i nostri risparmi, investiamo per la vita vera. E si vede da lontano in cosa noi o altri stiamo investendo: lo sguardo buio di cui parla Gesù è quanto mai attuale:

Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognu­ no avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il mo­ tivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due la­ droni, uno a destra e uno alla sua sinistra (Mc 15,22­27). I piedi sono stati inchiodati con un chiodo solo, conficcato nel secondo spazio intermetastale. Il piede sinistro è stato posto su quello destro: ciò è provato dal fatto che la gamba sinistra è leggermente flessa rispetto alla destra. La rigidità cadaverica ha mantenuto tale posizione. Cristo amava ineffabilmente ognuno dei suoi eletti - secondo la misura di ciascuno - sentendo in modo vivo le offese da loro compiute, o che avrebbero commesso, e le pene che per tante offese dovevano sostenere, aveva compassione di loro sopportando le loro pene con sommo dolore.

quante persone incontriamo che hanno uno sguardo intorbidito dai loro pensieri e dai loro ragionamenti malvagi! Se, invece, poniamo la nostra fiducia in Dio e ci lasciamo abitare da lui, allora anche il nostro sguardo diventerà luminoso e trasparente...

Agisci Oggi chiederò luce e forza di Spirito Santo per fare chiarezza e pulizia dentro di me, guizzando con agilità spirituale da tutto ciò che m'impedisce di essere puro e libero.

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ pagina 16


Gli approfondimenti di Non di Solo Pane

Pagine bibliche: il Libro di Giobbe/4

Le vie di Dio Meditazione di don Luciano Vitton Mea

La verità su Dio passa sempre attraverso la strada degli uomini. Gesù nel vangelo di Giovanni, rispondendo a Tommaso gli dice: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». San Tommaso esplicita da far suo questo concetto: “ Gesù è al tempo stesso via e meta. Via secondo l'umanità, meta secondo la divinità. Dunque, in quanto uomo, dice: «Io sono la via»; in quanto Dio aggiunge: «la verità e la vita»”. Non si può arrivare a Dio se non si parte dall’uomo, quello reale, che abbiamo davanti agli occhi. E’ questo l’errore che commettono Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita: partono da una presunta verità su Dio senza passare dall’uomo Giobbe, senza a-

vere pietà delle sue piaghe, senza ascoltare il suo lamento. Troppe volte coloro che si professano credenti partono da una prospettiva che elude le ragioni dei poveri, il lamento dei maledetti che portano nella loro carne un morbo che li rende ripugnanti e schifosi. Spesso, troppo spesso, amiamo il profumo dei salotti e rifiutiamo di accostarci ai letamai della storia dove sale l’odore repellente della carne divorata da “una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo”. Gli amici di Giobbe sono miopi, presumono di sapere ma in realtà hanno smarrito la via che conduce al vero volto di Dio. Dio non è un’idea, un concetto più o meno complicato, Qualcuno che si lascia intrappolare in norme che tradiscono l’uomo di fango fatto a sua immagine e somiglianza; Egli è il Dio della storia, Colui che

interviene e che libera, che ha promesso di esserci: “Io sono Colui che sono” dice dal roveto ardente, cioè “Io sono il presente, Colui che c’è e che ci sarà”. Mentre i vari Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita si chiudono in una stanza per cercare di capire e di spigare il dolore innocente, Dio visita i letamai, si siede sul suo mucchio di spazzatura; non parla, non spiega, va dietro la sbarra degli amputati, ascolta i capi d’accusa. E’ un Dio imprevedibile, lo trovi proprio la dove l’accusano di essere il “totalmente altro”, il lontano, l’assente. Per raggiungere Dio, verità e vita, dobbiamo intraprendere la via dell’uomo, le tante Via Crucis della storia. «Dice Agostino: “Cammina attraverso l'uomo e giungerai a Dio». E' meglio zoppicare sulla via, che camminare a forte andatura fuori strada. Chi zoppica sulla strada, anche se avanza poco, si avvicina tuttavia al termine. Chi invece cammina fuori strada, quanto più velocemente corre, tanto più si allontana dalla meta». Gli amici ci Giobbe hanno camminato troppo, hanno perso la strada, si sono allontanati dalla meta.

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ Tempo Ordinario ­ pagina 17


XI Tempo Ordinario “Oggi Cristo bussa alla porta del vostro cuore, del mio cuore. Vi chiama e chiama me ad alzarvi, ad essere pienamente desti e attenti, a vedere le cose che nella vita contano davvero“

Sabato 20 Giugno III Settimana del Salterio

Il Santo del giorno: Beato Luigi Matienzo

Mercedario del con­ vento di Logrono (Spagna), il Beato Lu ig i Mat ie nzo , nell’anno 1579 a Tu­ nisi in Africa, realiz­ zò una numerosa re­ denzione di 220 schiavi, tra i quali vi era un gruppo di im­ portanti cavalieri por­

toghesi, ragione per cui aumentò il costo della redenzione. Non avendo abba­ stanza beni per il pa­ gamento rimase in pegno per tre anni chiuso in un tenebro­ so carcere soffrendo molti maltrattamenti fino a quando non fu

riscattato. Ritornato in patria con nel cuo­ re e sulla bocca sem­ pre la passione di Cristo, morì santa­ mente nel suo con­ vento. L’Ordine lo festeggia il 20 giu­ gno.

Brano Evangelico: Mt 6,24­34 In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la pro­ pria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte que­ ste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete biso­ gno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Contemplo: Non preoccupatevi per la vostra vita (Mt 6,25) Le parole di Gesù non sono incoerenti come i nostri ragionamenti umani. Qualcuno le definisce paradossali, perché alla maniera dei filosofi vuole farci riflettere su tutta la realtà, anche quella invisibile. La realtà per Gesù non si limita all'uomo sulla terra, il quale si preoccupa, quando non è un fannullone, di lavorare per sé e per gli altri. Gesù insegna la Provvidenza di Dio, il Padre che si prende cura degli uccelli, dei gigli del campo e soprat­ tutto degli uomini «che egli ama» (Lc 2,14).

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ pagina 18


Meditiamo la Parola

Maria donna rivoluzionaria

La Sacra Sindone

Il colpo di lancia

Meditazione di Fiorella Elmetti

Perfettamente in linea con il vangelo di oggi, Henri Nouewen ha scritto che "Ogni giorno porta con sé una sorpresa, ma possiamo vederla, udirla o sentirla quando essa giunge solamente se l’aspettiamo. Non dobbiamo avere paura di accogliere la sorpresa di ogni giorno, sia che essa ci venga come un dolore o come una gioia. Essa aprirà un nuovo spazio nel nostro cuore, un luogo in cui possiamo accogliere nuovi amici e celebrare in modo più pieno la nostra umanità condivisa". La sorpresa, appunto, di oggi ci viene pensando a Maria, vista come una donna rivoluzionaria, non ingessata da mantelli, corone nuvole: "Avete soffocato l'afflato rivoluzionario di Maria di Nazareth, esaltandone il divino e mettendo da parte la sua umanità. Maria è donna, donna sola con un figlio, vedova in un tempo in cui la vedovanza era un abominio. Era un'ebrea in una terra oppressa dai Romani, rifugiata in Egitto per sfuggire alla persecuzione. Maria fu una profuga. Madre affannata, che spese la vita a seguire un Figlio che talvolta non capiva un folle, suo figlio. Maria, donna libera, che segue per le vie della Palestina il figlio, viaggiatrice, teologa, scrutatrice. Maria donna dell'assemblea, che presiede la celebrazione della Pentecoste secondo i costumi del suo popolo. Statue e immaginette l'hanno legata, rappresentata in posa statica tra nubi e lune, lei che spese tutta la sua vita a camminare, il cui cuore non conobbe tregua. Donna dai sandali consunti per le passeggiate montane, per far visita alla sua parente, per annunciare. Ed è per questo che con tutto il cuore la chiamo "Madre!". Come la mia mamma era una lavoratrice instancabile e donna del popolo". Questa prospettiva di Maria ce la avvicina come donna che pensa di vivere intensamente l'oggi.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato — era infatti un giorno solenne quel sabato —, chiesero a Pilato che fosse­ro spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate (Gv 19,31-35). Sull'immagine frontale, alla sinistra dell'osservatore, si osserva una apertura cutanea nella zona pericardica della lunghezza di circa 5 centimetri. L'aspetto è quello di una ferita post-mortale provocata da una lancia che è penetrata tra la quinta e la sesta costola. Dalla ferita sono fuorusciti sangue e acqua. Affinché Gesù Dio e uomo ci mostrasse qualcosa dell'eccessivo e ineffabile dolore e per insegnarci a esserne sempre profondamente afflitti, gridò quella parola quando era nella croce dicendo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Agisci Porto in offerta a Cristo, al suo altare, la mia sterilità, le mie distrazioni e chiusure al suo amore e ai fratelli, perché lui le trasformi e la mia vita diventi carica di frutto.

Non di solo pane ­ Numero 714 ­ Tempo Ordinario ­ pagina 19


Sussidio di preghiera per la famiglia

Coordinatrice Fiorella Elmetti Redazione don Luciano Vitton Mea, don Carlo Moro, don Fabio Marini, don Diego Facchetti, Fiorella Elmetti, Tiziana Guerini e Cristina Sabatti

Anno XV- n. 714 Domenica 14 Giugno 2015 Chiuso il 9 Giugno 2015 Numero copie 1400

333/3390059 don Luciano

Grafica e stampa don Luciano Vitton Mea Ideato da don Luciano Vitton Mea

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