(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
FILOSOFIA DELLA (RI)NASCITA NUMERO SPECIALE ANNO IX APRILE 2021 RIVISTA MENSILE N. 95
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Francesco Agnoli Nascere, morire, risuscitare
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Beato Angelico. Angelo annuncia la resurrezione di Gesù Cristo alle pie donne (1438 - 1440).
Giungano per voi e i vostri cari gli auguri per una santa Pasqua: che sia una vera risurrezione, una vera “rinascita” per tutti.
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Editoriale
Questa Rivista arriverà nelle vostre case nel tempo pasquale, tempo della Resurrezione. Per stare in tema, quindi, grati e onorati, abbiamo pubblicato, insieme a qualche articolo di bioetica, un saggio che il professor Francesco Agnoli ha voluto gentilmente donare a tutti noi: Nascere, morire e risuscitare. Si tratta di una serie di riflessioni sulla nascita, sulla morte, sulla vita oltre la morte e sulla resurrezione che Agnoli ci propone basandosi non solo sulla filosofia e sulla fede, ma anche sulla scienza. Perché anche gli scienziati di ieri e di oggi, “laicamente”, si pongono il problema della vita oltre la morte e cercano scientificamente delle risposte. Almeno fin dove la ragione e la scienza riescono ad arrivare. Certi del vostro apprezzamento, cari Lettori, giungano per voi e i vostri cari gli auguri per una santa Pasqua: che sia una vera risurrezione, una vera “rinascita” per tutti.
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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Nascere, morire e risuscitare p. 12
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La cultura della vita e della famiglia in azione
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Nascere, morire e risuscitare
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Sun Tzu
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Mirko Ciminiello
Francesco Agnoli
Roberto Marchesini
Enchiridion di bioetica
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Francesca Romana Poleggi
Il peccato originale nella società odierna (parte II)
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In cineteca
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In biblioteca
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Veronica Zanini
RIVISTA MENSILE N. 95 — Anno IX Aprile 2021 Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Agnoli, Mirko Ciminiello, Silvio Ghielmi, Roberto Marchesini, Francesca Romana Poleggi, Veronica Zanini.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che...
La Cina è in crisi La Cina dopo quarant'anni di brutale politica di controllo della popolazione (aborti forzati, sterilizzazioni forzate, infanticidi), nonostante oggi il Governo consenta più facilmente la nascita di un secondo figlio (comunque per sposarsi e fare figli bisogna avere un permesso dalla pubblica amministrazione!), si trova a dover fronteggiare uno spaventoso calo demografico. Il numero di nascite è diminuito per il quarto anno consecutivo: nel 2020 sono state registrate 10,04 milioni di nascite, il 15% in meno rispetto al 2019. Il rapporto tra i sessi è di 1,11 maschi per ogni femmina,
il che dimostra che gli aborti sesso-selettivi sono ancora diffusi (il rapporto tra i sessi naturale è di circa 1,06). I demografi Liang Jianzhang e Huang Wenzhang esprimono una seria preoccupazione: se anche le nascite fossero immediatamente "liberalizzate", il calo demografico continuerebbe ancora. Il Paese va incontro a uno spaventoso invecchiamento della popolazione e a un inevitabile e disastroso calo del Pil: la crisi demografica è sempre accompagnata dalla crisi economica.
Maschi violenti nelle carceri femminili In Irlanda, il 7 dicembre 2017, Sean Kavanagh ha preso a pugni un barista e ha lanciato una bottiglia a un’altra persona mentre veniva cacciato da un bar, dopo aver fatto diversi danni, e ha fratturato con un pugno il cranio di un amico che cercava di fermarlo. Poi si è giustificato perché la sua identità di genere era stata conculcata. I giudici lo hanno riconosciuto “vulnerabile" e, poiché si è identificato come donna, ha chiesto di essere carcerato in una prigione
femminile insieme a Barbie Kardashian, un trans che ha commesso reati di violenza fisica e sessuale estrema nei confronti delle donne e insieme a un pedofilo di cui non è stato detto il nome, che è stato condannato per 10 capi d’accusa di violenza sessuale e per crudeltà nei confronti di un bambino. Quello che preoccupa è che, considerando anche le decisioni di Biden negli USA, casi di questo genere diventano sempre più comuni.
Un trio di “papà” Un tribunale della California ha riconosciuto ad un trio di uomini il diritto di essere considerati tutti genitori dei loro bambini. I tre uomini, Ian Jenkins, Alan Mayfield e Jeremy Allen Hodges, conducono da tempo una relazione
“poliamorosa” tra loro tre. Già nel 2017, attraverso l’utero in affitto, hanno comprato una prima “figlia” e un anno e mezzo fa un secondo bambino.
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Aborto e depressione post partum Un aborto, naturale o indotto, è collegato a tassi più elevati di problemi di salute mentale. In particolare, l’aborto è un fattore di rischio per la sindrome post partum. Uno studio condotto dal dottor Reardon ed altri e pubblicato sull’ International Journal of Environmental Research and Public Health (https://doi.org/10.3390/ ijerph18042179) si è basato sulle cartelle cliniche di 1.939.078 assistite da Medicaid che tra il 1999 e il 2012 hanno partorito un bambino vivo. Di queste 207.654 (10,7%) avevano sperimentato almeno un trat-
tamento psichiatrico e 216.828 (11,2%) avevano avuto almeno un precedente aborto. Nel complesso, le donne che avevano abortito hanno il 35% di probabilità in più di doversi sottoporre a trattamento psichiatrico dopo il primo figlio. Tra quelle che hanno avuto assistenza psichiatrica dopo l’aborto, il 58% ha sofferto di depressione post partum; così come oltre il 99% delle donne con una storia di problemi psicologici riscontrati nell’anno precedente il loro primo aborto.
Il sessismo che non fa notizia Cosa accadrebbe agli esponenti di un’associazione che scrivessero sui social: « Bisogna uccidere tutte le donne che...»? Verrebbero bannati in modo permanente, come minimo; sarebbero considerati degli ignobili sessisti indegni del consesso umano dagli opinion makers del momento. Dunque, il 10 febbraio 2021, la UK Transgender Alliance ha twittato: «Ogni movimento per i diritti civili ha provocato spargimenti di sangue» quindi «una volta che le Terf cominceranno a essere uccise, le leggi cambieranno davvero». Terf è l'insulto usato dai transessualisti per definire le donne che riconoscono che il sesso di un essere umano è determinato dalla biologia e non dalle scelte personali.
È sempre più frequente vedere questo insulto (Terf) accompagnato da minacce di violenza fisica o sessuale. A dicembre 2019, la Trans Army, che all'epoca aveva quasi 130.000 fan su Facebook, aveva pubblicato l’immagine di un personaggio “queer” con un libro in mano intitolato How to Kill Transphobic * uckers (come uccidere i transfobici + parolaccia). Coloro che lo segnalarono ricevettero da Facebook la risposta secondo cui il meme non violava gli standard della comunità. Quindi, ha fatto bene Claire Coleman, australiano, di sesso maschile, bianco che si identifica come una lesbica nera a scrivere su Twitter: «Uccidere tutte le Terf è come uccidere tutti i nazisti».
Gli abortisti sono campioni della neolingua Hanno inventato l’espressione “pillola per il ciclo mancato” (missed period drug) per indicare un “rimedio” per la mancanza di un ciclo mestruale, un farmaco per “l’evacuazione uterina” o “una combinazione di farmaci, come il mifepristone e il misoprostolo”: la RU-486! La differenza di nome è giustificata dal fatto che in questo caso la donna prende il veleno (sì, veleno) senza fare un test di gravidanza, quindi senza sapere se è incinta, ma perché le è saltato il ciclo mestruale o è molto in ritardo. Insomma, è una pillola che “fa venire le mestruazioni” quando non vengono.
Ci hanno scritto anche anche un articolo in una rivista scientifica negli Usa che afferma: «Uno degli obiettivi principali di questo studio era valutare se le “pillole mestruali” potessero alleviare l’impatto delle norme sociali restrittive e dello stigma rispetto all’aborto chimico». Disinformazione, inganno, menzogna e sostanze potenzialmente pericolose spacciate per “medicinali” che fanno venire le mestruazioni: meritano questo le donne?
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Complimenti cari amici di Pro Vita & Famiglia, per la campagna sull’aborto. Tutti noi siamo stati degli embrioni e dei feti, e se gli abortisti per caso hanno ereditato tendenze materne devono ringraziare “il destino”, che allora l’hanno fatta franca. Che la RU-486 sia un veleno che uccide un piccolo essere umano lo dice la stessa propaganda, vista la sua funzione. O si pretende che sia un cioccolatino? E la cronaca ci testimonia che molte donne sono rimaste travolte dalla sua efficacia. Chi nega questo è solo uno squallido falsario. Attente, donne! Creature di Vita! Non lasciatevi ingannare! Complimenti ancora e buona Pasqua. Attilio
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Versi per la vita RIMORSO SOLITARIO Donna agnosciata e sola.... La sciolta consigliera di splendida carriera e decisione stolta adesso si è dissolta. Nessuno più consola. Il maschio di valore di dichiarato amore, in quello che ferisce ha già cambiato gusto e, preso dal disgusto, sveltissimo sparisce. Non è solo tristezza, ma asperrima amarezza per quanto, un tempo, è occorso come se fosse un niente. Adesso è un permanente durissimo rimorso. Eppure c’è un bambino che adesso è un angiolino che ti ricorda ed ama. Non senti che ti chiama? Non vuol sola lasciarti, soltanto a disperarti. Non vuol lasciarti sola, ti chiama e ti consola.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello
Come di consueto presentiamo ai nostri Lettori un resoconto delle principali attività svolte dai nostri circoli territoriali. Come sempre, il nostro grazie giunga a tutti i volontari che in tutta Italia hanno reso possibile trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. Il 26 gennaio, ProVita & Famiglia ha elargito un contributo in denaro al Centro Mamma Rita, una comunità educativa per minori e genitori gestita dalle Minime Oblate del Cuore Immacolato di Maria a Monza. Il 29 gennaio, a Roma, abbiamo consegnato 50 pacchi alimentari in favore di altrettanti nuclei familiari bisognosi. Il 2 febbraio, a Bolzano, in vista della Giornata per la Vita, i nostri volontari Francesco e Martha hanno organizzato delle affissioni di manifesti sulle pensiline degli autobus per sensibilizzare sul tema dell’aborto. A Pescara, la nostra volontaria Carola, in qualità di responsabile del locale Dipartimento Famiglia e Pari Opportunità di FdI, ha promosso un’interrogazione parlamentare e un esposto in Procura contro una società che sponsorizza l’utero in affitto, proponendo anche degli sconti. Il 6 febbraio, a Maccarese (RM), Francesca Romana Poleggi è stata invitata dal Parroco di San Giorgio Martire a tenere un incontro di formazione dal titolo “Come si può essere ‘contrari all’aborto’, ma favorevoli al ‘diritto di abortire’?” In occasione della Giornata per la Vita del 7 feb-
braio, il nostro circolo di Trieste, capitanato da Stefano, ha partecipato a un Santo Rosario nel “Cimitero dei Bambini” all’interno del Camposanto di Sant’Anna, insieme al Movimento Cattolico per la Vita, al Circolo G. Mattiussi, al Comitato Provinciale NO 194, al Movimento per la Vita Trieste, al Movimento con Cristo per la Vita, al Movimento mariano Maria Regina dell’Amore, al Gruppo Mariano di Muggia, alle Sentinelle in piedi, al Gruppo di preghiera di Monte Grisa. A Vicenza, Toni Brandi ha partecipato alla Manifestazione pubblica per la Vita organizzata dal Movimento Mariano Regina dell’Amore. È stato distribuito materiale e sono state raccolte firme per varie petizioni. Anche a Bologna il nostro Francesco ha raccolto firme e distribuito materiale, allestendo un banchetto per la Vita e la Famiglia. Un banchetto analogo è stato organizzato a Caravaggio (BG), da Daniela e Flavio (con la reazione scomposta e cafona degli abortisti che tutti conoscono). Il 10 febbraio, abbiamo sottoscritto un appello al Governo del Canada perché prenda provvedimenti contro la società MindGeek, proprietaria di almeno 160 siti pornografici tra cui PornHub,
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che lucra su abusi e sfruttamento sessuale anche di minori e bambini. Sempre il 10 febbraio la Regione Abruzzo ha deliberato che la pillola RU486 venga somministrata di preferenza in ambito ospedaliero, grazie al pressing della nostra Carola. Il 14 febbraio, ad Aprilia (LT), il nostro volontario Roberto ha organizzato un banchetto per la Vita e la Famiglia con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. Il 15 febbraio si è tenuta una riunione organizzativa via Zoom tra gli amici più attivi di Pro Vita & Famiglia.
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Lo stesso giorno abbiamo sottoscritto, con altre 70 associazioni, un appello al premier Mario Draghi affinché la sua agenda politica metta al centro la promozione della vita e della famiglia. Il 19 febbraio, a Ravenna, il nostro Simone ha ottenuto la pubblicazione anche sulla versione cartacea de Il Resto del Carlino, del suo comunicato stampa contro l’imbrattamento dei manifesti della campagna #stopaborto. In seguito, ha incaricato l’avvocato di tutelare l’immagine di Pro Vita & Famiglia contro le dichiarazioni diffamatorie contenute in un comunicato stampa di circa 40 associazioni femministe organizzatrici di una manifestazione contro la campagna #stopaborto. L’avvocato ha inviato una diffida a dette associazioni e ha inoltre presentato una querela per il deturpamento e l’imbrattamento dei manifesti della campagna #stopaborto. A Reggio Calabria, il nostro volontario Giorgio ha partecipato a un dibattito online sull’aborto, organizzato da Tempo Stretto, col movimento Non una di meno. Altri relatori: Stefano Palomba (Primario di Ginecologia del GOM), Roberto Pennisi (ginecologo), Irene Calabrò (assessore e avvocato).
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Nascere, morire e risuscitare Francesco Agnoli
Storico, filosofo, apologeta, Agnoli offre ai nostri Lettori una serie di spunti di riflessione sulla vita oltre la morte. Ce ne parla anche con espliciti riferimenti alla filosofia e alla fede cattolica, certamente. Ma anche e soprattutto da un punto di vista “laico”, scientifico, squisitamente razionale.
Cotidie morimur e cotidie nascimur: siamo esseri mortali e natali Nella preistoria si seppellivano i morti come fossero addormentati, in cammino (verso l’aldilà), in posizione fetale (prima della rinascita)….
La morte e la nascita, due poli della nostra vita rispetto a cui l’uomo si è sempre interrogato. Siamo creature mortali, e del resto, se non fossimo mortali non ci porremo alcuna domanda: se fossimo sempre esistiti e destinati ad esistere per sempre, infatti, non ci chiederemmo da dove veniamo, dove andiamo, perché ci siamo: saremmo, punto e basta. La mortalità dunque è la condizione necessaria per la riflessione sul senso (origine e direzione) della nostra esistenza. La storia ci dice che le civiltà umane hanno sempre dedicato uno spazio, un luogo, alla sepoltura dei morti, alle necropoli, ai cimiteri: questa è una caratteristica tipicamente e solamente umana, e indica che l’uomo, a differenza degli animali, ha sempre ritenuto che vi fosse un aldilà, un’altra vita. «Vita mutatur, non tollitur»: con la morte la vita è mutata, non è tolta, recita il prefazio della Messa dei defunti, per esprimere questo concetto antico come l’uomo. Quindi: mortali sì, ma proiettati oltre, con un desiderio di vita che prosegua. San Tommaso d’Aquino diceva che l’uomo «sente il cocente desiderio di vivere sempre e
di non morire mai»; mentre Soren Kierkegaard ricordava che «nulla di finito, nemmeno l’intero mondo, può soddisfare l’animo umano che sente il bisogno dell’eterno»; o, ancora, riflettendo sull’amore: «Che cosa ama l’amore? L’Infinito. Cosa teme? I limiti». In ogni esperienza del resto percepiamo il nostro limite, e desideriamo superarlo. Quindi esiste un contrasto fra la coscienza della nostra mortalità, che è tipicamente umana, e questo desiderio di vivere. Lucio Anneo Seneca scriveva, circa 2.000 anni orsono, «Cotidie morimur», cioè «Moriamo un poco ogni giorno», perché ogni istante che passa invecchiamo un po’ e quindi marciamo inesorabilmente verso il nostro decesso.
Mortali, ma natali Si può ritenere però che l’uomo, nel suo complesso, non sia soltanto un essere mortale, ma anche, per usare un’espressione di Hannah Arendt, un «essere natale»: «Gli uomini», affermava, «anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare».
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Ogni uomo è infatti «qualcosa di nuovo nella sua unicità», qualcosa di così unico da essere miracoloso: se rimaniamo sbigottiti riflettendo sul venire all’essere, circa 14 miliardi di anni fa, dal “nulla”, dell’Universo, quanto più dovremmo meravigliarci davanti alla nascita di ogni singolo uomo, essendo ogni singolo uomo ben più dell’Universo materiale stesso? Leggiamo ancora la Arendt: «Ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità [...]. Con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale [...]. Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, “naturale” rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione. È, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l’azione di cui essi sono
capaci in virtù dell’esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell’esperienza umana che l’antichità greca ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il Vangelo annunciò la ‘lieta novella’ dell’Avvento: “Un bambino è nato per noi”». È proprio così: quando nasce un bambino si introduce qualcosa di nuovo in un mondo preesistente, viene all’essere molto di più dell’intero universo, poiché con l’uomo entra in scena la libertà («Dio ha creato l’uomo per introdurre nel mondo la facoltà di dare inizio: la libertà»); lo stesso mondo fisico si rinnova, acquista un senso, ospitando ciò che gli dà significato, perché senza l’uomo sarebbe vuoto di intelligenza, di parole, di azioni, di atti d’amore, di vita… Per questo i padri della Chiesa, grandi filosofi e teologi, insegnano che l’uomo è sia “figlio”
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dell’universo creato - è fatto di terra e come tale appartiene alla “natura delle cose”, ad una riproduzione “automatica”, naturale - sia figlio diretto di Dio, essendo la sua anima (cioè ciò che lo rende unico, miracoloso) “infusa direttamente”, singolarmente, dal Creatore stesso.
Ma come si nasce? Osserviamo il momento più evidentemente stupefacente della nostra vita. Come siamo venuti al mondo? Anzitutto nasciamo da una relazione tra un uomo e una donna; da un incontro, quando va come dovrebbe andare, tra le loro anime e i loro corpi. Tra due anime diverse, uniche, e organi complementari, ognuno dei quali fatto per funzionare solo in relazione con quello, corrispondente, del sesso opposto. In altre parole il nostro cuore funziona da solo; così i nostri reni; gli organi riproduttivi, invece, no. Come i gameti: ogni nostra cellula ha 46 cromosomi, solo ovulo e spermatozoo
«L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto. Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore” (San Paolo, 1 Cor. 13, 8 - 13).
ne hanno la metà, 23... sono anch’essi “incompleti” e complementari, come gli organi da cui provengono. Come le persone che si sono unite. Lo spermatozoo è una cellula molto piccola, incapace di vita autonoma; la cellula uovo invece è la più grande cellula umana, ma anch’essa è incapace di vita autonoma, se non viene fecondata, infatti, degenera e muore. Ogni vita individuale nasce dunque dall’unione di due vite, due organi complementari, dal “matrimonio” (singamia) di due gameti.
Nasciamo e viviamo in relazione La relazione è dunque costitutiva del nostro essere, sin dall’origine. Ed è triadica, trinitaria: due persone che diventano una “cosa sola”, generano una terza persona, che è nello stesso tempo la “somma” dei genitori, ma anche qualcosa di nuovo e diverso, anche geneticamente-materialmente parlando. L’embrione che si annida nell’utero materno infatti «è un individuo che è biologicamente (in parte, ndr) estraneo: geneticamente infatti è diverso dalla madre, posto che metà dei geni gli vengono dal padre. È un individuo geneticamente diverso, un estraneo, ma non viene rigettato», come invece accade per tutti gli altri corpi estranei. Autonomo geneticamente - «La sua costruzione è autonoma e guidata da una legge intrinseca che stabilisce l’esecuzione di un piano ben definito dal primo istante» l’embrione umano rimane dipendente dalla madre per il nutrimento e mantiene con lei, dal primo giorno e per tutti i nove mesi, una relazione simbiotica di tipo biochimico e psichico: «Lontano dall’essere un ospite inerte, il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di “personalità” del feto prima della nascita. Queste supposizioni sono confortate da
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vari racconti di individui in ipnosi che hanno ricordato esperienze vissute nel periodo prenatale o l’esperienza della nascita. In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente».
Nascere al mondo Continuiamo a osservare: anche al momento della nascita siamo nudi, deboli, senza parola, dipendenti per la sopravvivenza, da chi ci ama.
Dipendiamo dall’amore altrui tanto per esistere, quanto per crescere, per rimanere in vita. Tutto l’Universo, insegna sant’Agostino, viene alla luce “dal nulla” per amore di Dio, ed è mantenuto nell’esistenza dallo stesso Amore. Usciamo dal nulla per divenire una piccolissima cellula, viviamo nella pancia oscura della mamma, dove quasi non si sente e non si vede, dove gli altri non ci vedono, per venire, infine, alla luce. Questa nascita al mondo è un evento traumatico: per accedere al mondo, a un di più in cui vedremo finalmente i nostri genitori, e poi il cielo, i fiori, tutto ciò che era prima inaccessibile e impensabile, è necessaria una
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impariamo però piano piano, e che ci permette di incontrare altre persone, altri mondi, arricchendo sempre di più il nostro linguaggio, le nostre esperienze. Scopriamo così l’amicizia, l’adolescenza, la musica, la letteratura, le scienze… spalancando davanti a noi sempre nuove porte, lungo l’avventura, per l’uomo infinita, della conoscenza. Così ogni mattina, per tutta la vita, quando ci risvegliamo, con la stessa luce del primo giorno a ferirci di nuovo gli occhi intorpiditi, affronteremo un nuovo giorno, che potrà essere, se lo vogliamo, una nuova, piccola nascita, altri mondi umani da conoscere, altre esperienze da vivere!
Tornare bambini
fatica, un salto, una ferita: la luce del sole colpisce per la prima volta i nostri occhi, fatichiamo a respirare, percepiamo il dolore della separazione dal caldo nido materno… ma un universo nuovo si spalanca! Mentre “moriamo alla vita uterina”, nasciamo ad una vita più ricca e completa. Così al momento della nascita in senso proprio siamo già “nati” 3 volte: nell’amore, nel pensiero dei nostri genitori (concepimento deriva da concepire, anzitutto nella mente, nel cuore); nel corpo della nostra mamma (fecondazione); e poi, finalmente, al mondo. Finita qui? No, certamente. La nostra natura relazionale è evidentissima nel linguaggio, che
Un giorno forse incontreremo la persona della nostra vita, quella a cui promettere tutto, e allora ci accorgeremo ancora una volta quanto sia grande la forza innovatrice dell’amore: sorgeranno in noi nuovi progetti, il desiderio di una nuova casa, di un nuovo assetto per la nostra vita… finché arriverà, come un turbine, a spazzare via di nuovo ogni abitudine, ogni routine, ogni ripetitività, la nascita di un figlio: ci troveremo di nuovo bambini anche noi, bambini-adulti, grati per l’esperienza della genitorialità, per il dono ricevuto, carponi a osservare di nuovo una formica o una farfalla, a ridere per le cose semplici della vita, come un tempo. I figli non sono forse una nuova giovinezza? Una giovinezza ancora più bella, più consapevole, più gradita, nel suo riapparire, quasi inaspettata? Un grande poeta italiano, Giovanni Pascoli, diceva che dentro di noi continua a vivere, anche quando siamo adulti, un “fanciullino”: è lui che scopre nelle cose «la loro lacrima e il loro sorriso»; è lui che sa stupirsi come un «novello Adamo»; è lui che vede in un albero, in un ragno, in un’ape, in uno stelo «cose che han molti secoli, o un anno, o un’ora…».
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«Se non ritornerete come bambini», diceva Gesù, «non entrerete mai»: Pascoli, poeta cristiano toccato dallo scetticismo, pensa che solo tornando bambini potremo fare della nostra vita non un’opera in prosa, noiosa, ripetitiva, banale, ma una poesia. Ogni uomo è dunque “un nuovo inizio”, il principio di una storia inedita; ogni uomo è “un iniziatore”: di una discendenza biologica, di gesti, azioni, imprese che solo lui compirà, che solo grazie a lui verranno all’esistenza, dal nulla. «Chi intraprende un’azione», è sempre la Arendt a parlare, «deve sapere di aver dato inizio a qualcosa di cui non potrà mai prevedere l’esito, se non altro perché con il proprio stesso atto ha già modificato ogni cosa, rendendo tutto più imprevedibile».
Ri-nascere con il perdono Figlia del popolo ebraico, affascinata dal cattolicesimo del suo amato Agostino, che ritiene il padre della sua “filosofia della nascita”, la Arendt sa che esiste anche una “natalità” spirituale. Come ripartire, dopo la devastazione dell’Europa prodotta dal nazionalsocialismo e dal comunismo? Come superare il dolore per un caro ucciso? Ma anche, più semplicemente, come mantenere vitale e il più possibile felice il rapporto con il marito, con gli amici, con le persone care? La Arendt è allieva, negli anni venti, a Berlino, di Romano Guardini, filosofo italiano che dovrà lasciare la cattedra universitaria dopo l’avvento del nazismo, nel 1939. I due si incontreranno di nuovo negli anni Cinquanta, a guerra finita. Guardini, essendo un sacerdote, affronta anche il tema del perdono e del pentimento. Questo perché la preghiera fondamentale del cristianesimo, il Padre nostro, dà un’importanza, inesistente nel mondo antico, al perdono. Il cristianesimo è così incentrato sul perdono che un cristiano “rinasce dall’acqua”, con il battesimo (che è anche “perdono” del peccato originale); è perdonato, nel sacramento della confessione, e deve perdonare (secondo la già citata preghiera del Padre nostro). Perdono sta insieme a pentimento. Cos’è il pentimento? Il voler dar vita a qualcosa di nuovamente nuovo. È il desiderio di ripartire, di rinascere, magari dopo un “peccato mortale”, cioè dopo qualcosa che ha ucciso non il nostro corpo, ma la nostra anima. E il perdono? Ciò che può ridar vita ad un rapporto incrinato, ad una relazione in difficoltà, che può cancellare una ferita mortale all’anima… Pur in una prospettiva laica, la Arendt condivide questo pensiero, e lo analizza: il perdono è qualcosa di miracolosamente natale, nasce lì dove sembrava aleggiare la fine; fa rinascere ciò che era sul punto di perire: «[…] l’atto del perdonare non può mai essere previsto; è la
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San Pietroburgo, abside della Chiesa della Resurrezione
sola reazione che agisca in maniera inaspettata e quindi ha in sé, pur essendo una reazione, qualcosa del carattere originale dell’azione. Perdonare, in altre parole, è la sola reazione, che non si limita a re-agire, ma che agisce in maniera nuova e inaspettata». (Hannah Arendt, Vita activa, La condizione umana). Il perdono, in altre parole, fa rinascere sia colui che lo concede, sia colui che lo riceve; risana il ferito e il feritore, cancellando il ricordo doloroso; permette di ripartire a ciò che si era fermato; fa nuovo ciò che stava per diventare troppo vecchio; lava ogni macchia e ridona freschezza alla relazione. Nel più bel film sulla nascita che conosca, October baby, alla protagonista sopravvissuta ad un aborto per avvelenamento e devastata interiormente dall’odio per sé e la madre che ha cercato di ucciderla, un sacerdote dice: «Capisco… san Paolo apostolo scrisse una lettera ai Colossesi in cui diceva: «Come il
Signore vi ha perdonati, così fate anche voi». Cristo ti ha perdonata, e poiché Lui ti ha perdonata anche tu hai il potere di perdonare, di scegliere di perdonare. Liberati, l’odio è un peso, un peso che non devi più sopportare, solo nel perdono puoi essere libera, perdono che va ben oltre la tua comprensione, o la mia…».
«Fame di nascere del tutto» Sempre nel Novecento un’altra filosofa, spagnola, Maria Zambrano, affronta il tema della nascita. Per lei ogni uomo più che essere nato, vive «una nascita interminabile»: «più che un nascere il suo è un andare nascendo». L’uomo infatti, a differenza dell’animale, porta in sé una “divina insoddisfazione”, un desiderio mai domo, e scopre che «non è mai nato del tutto», vuole «nascere di nuovo, resuscitare, e non più una, ma tutte le volte che occorre, fino
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a riuscire ad essere eternamente». L’uomo è dunque, annota la Zambrano, «una creatura non formata una volta per tutte e non terminata…». Ma quando, l’uomo - questo “mendicante dell’essere” che ha accettato la fatica e la gioia di rinascere tante volte, sostenuto dalla fede e dalla speranza, incalzato dall’amore; che ha portato la sua condizione di creatura, senza
annichilire la propria dignità, né inseguire un illusorio “delirio di deificazione” - potrà “nascere davvero, nascere del tutto”? La Zambrano, cattolica, vi accenna, brevemente, quasi come conclusione inevitabile eppure misteriosa, nel suo Il Corpus Domini a Firenze: «Signore, sarà così? Finiremo di nascere del tutto nel tuo Paradiso?». Piero della Francesca, La Resurrezione, 1460, Museo Civico di Sansepolcro (AR)
aprile 2021
Un medico e le esperienze pre-morte Proviamo a dare un’occhiata alle esperienze di pre-morte (Nde), studiate in medicina. Il medico Enrico Facco, autore di Esperienze pre-morte. Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica (Altravista, 2010, Milano), riporta 20 testimonianze di pazienti che hanno vissuto un’esperienza di pre-morte. In esse ritornano i seguenti concetti: «Vedevo dei ritratti, come se tutta la vita mi passasse davanti in modo vorticoso… ad un certo punto ho visto una luce che mi dava chiarezza: quello che ho visto e sentito non si può raccontare con le parole che conosciamo, non
riesco a descriverlo pienamente. C’era una luce, una comprensione profonda nel senso di chiarezza, cioè non era una luce come noi la intendiamo: era qualcosa di diverso, come se io conoscessi tutto…»; «Mi sentivo avvolta da questa luce, provavo una sensazione di pace, di benessere, di amore infinito…»; «Non avevo il corpo, ero coscienza. Poi arriva questo essere di luce, una luce bianca, speciale, non accecante, che era amore, amorevolezza…»; «Vedevo tutta la situazione attorno a me…»; «Riconoscevo me stessa e comprendevo che quello era il mio corpo, ma non avevo paura
«Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1 Gv 3,2), “a faccia a faccia” (1 Cor 13,12)… Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il Cielo”. Il Cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva» (Punti 10231024 del Catechismo della Chiesa cattolica).
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«Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9). A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa “la visione beatifica”»(Punti 1027-1028 del Catechismo della Chiesa cattolica).
né voglia di tornare indietro… ma io durante l’esperienza non avevo avuto percezione del tempo»; «Ciò che ho sperimentato ha causato in me importanti cambiamenti esistenziali. Innanzitutto è cambiata la gerarchia dei valori intorno agli ambiti nei quali si svolge la vita: molti fattori prima fondamentali, come le ambizioni nel lavoro, la carriera e il successo, sono passati in secondo piano. Sono invece diventati prioritari il valore della persona in quanto tale e dell’altro, vicino o lontano che sia…»; «Mentre mi trovavo in quel luogo avevo l’impressione di conoscere ogni cosa: non so dire quanto tempo sia durata la permanenza in questa situazione perché il tempo aveva perso ogni significato». Osservando queste descrizioni, in perfetto accordo con mille altre raccolte negli anni da altri medici, si notano alcune costanti: l’esperienza è definita come ineffabile; fuori del corpo; segnata dalla luce; dalla conoscenza intuitiva e immediata e dall’amore; da un amore infinito e pervasivo. E cambia spesso la vita di chi l’ha sperimentata.
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«Visioni dell’Aldilà»: intervista a Gloria Riva
Gloria Riva (Monza 1959), accanto alla sua passione per l’arte, coltiva lo studio della Sacra Scrittura, della Patristica e della spiritualità di Madre Maria Maddalena dell’Incarnazione. Ha pubblicato con la casa editrice san Paolo: Nell’arte lo stupore di una Presenza, Frammenti di Bellezza, Testimoni del Mistero. Quadri sul Vangelo di Luca; con Fabio Cavallari, Volti e Stupore, uomini feriti dalla bellezza. Dal febbraio del 2007 si è trasferita nella Diocesi di San Marino-Montefeltro, dove ha fondato una comunità Monastica. Gloria Riva, lei ha avuto una esperienza di pre morte. Ce la può descrivere? «A ventun anni ero fidanzata e stavo muovendo timidi passi verso la fede (abbandonata da qualche anno, in seguito a varie vicissitudini). Dopo un viaggio a Lourdes, dove ero rimasta colpita dal clima di preghiera, uscii un sabato sera con il mio fidanzato, diretta in discoteca.
Giunti a un semaforo, disposto al verde, attraversammo l’incrocio e dall’altra parte della carreggiata vidi arrivare una vettura a velocità elevatissima. Ci fu lo schianto e poi, per me, il silenzio e il buio. Ebbi la percezione netta di essere alla fine della mia vita e mi abbandonai totalmente a questa drammatica eventualità. Immediatamente percepii, dentro quell’oscurità, una grande pace e una grande serenità. Si aprì allora al mio sguardo una piccola luce bianchissima che mi veniva incontro dilatandosi. La pulsione beatifica di quella luce era come un richiamo. Ebbi la certezza che Dio era là e che Dio era amore. Desiderai con tutte le forze raggiungere quella luce ma vidi scorrere la mia vita davanti a me come in un film, ed ebbi la totale chiarezza di giudizio su di essa. Quella luce era amore, gratuito e quella gratuità nella mia vita non c’era. Mi avvolsero, così, due sentimenti contrastanti. Da un lato un dolore grande: l’eternità mi si of-
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friva in tutta la sua bellezza e io non la potevo raggiungere; Dio non mi giudicava, semplicemente si mostrava a me con la sua verità, ero io a giudicarmi e a comprendere tutta la dissomiglianza. D’altro lato però provai una gioia indicibile: ero pensata, amata, voluta per questo tempo, per questa storia. Non siamo un gioco a dadi, un caso in balia di un destino capriccioso. Quando mi rianimarono provai la sensazione del rifiuto della vita: avevo sette fratture, trauma cranico, emorragia interna. Ero una specie
di puzzle da ricomporre. Immobile. Il ricordo di quella luce però fu come la cartina di tornasole e avrei desiderato fin da subito gridare a tutti che non si muore. Mi sono ritrovata spesso a riflettere su ciò che mi era accaduto durante il mio stato di incoscienza. Mi sorpresi nel ricordare alcuni particolari che non riuscirei a ricollocare in ordine temporale, rispetto alla visione della luce. Dopo che mi liberarono dalle ferraglie dell’autovettura, vidi, riconobbi e salutai un caro amico che, in servizio
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Hieronymus Bosch, Visioni dell’Aldilà, Venezia, Gallerie dell’Accademia
alla croce rossa, era giunto a soccorrermi. Lui mi disse, in seguito, di avermi trovata immobile, apparentemente morta. Vidi il mio corpo come dall’alto e inorridii nel vedere una gamba completamente rovesciata rispetto alla direzione naturale, e tutta la gente sopra il mio corpo. Vidi infine il mio ragazzo sul ciglio della strada, con le mani strette ai fianchi, mentre ansimava pesantemente e provai dolore per il suo stato, mentre per il mio non provai nulla. Non sentii invece molte cose che infastidirono alquanto il mio fidanzato, come
ad esempio lo strillare delle sirene dei carabinieri, dell’ambulanza e dei vigili del fuoco. Sono giunta alla conclusione che i miei sensi erano sollecitati solo da relazioni affettive (l’amico, me stessa, il mio ragazzo)». Spesso si legge che chi ha vissuto una simile esperienza, poi ha cambiato stile di vita. Cosa è successo nel suo caso? «Rimasi in ospedale (tra uscite e rientri) sei mesi. Quei mesi cambiarono la mia vita. Come
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scrisse un giorno Andrè Frossard: Dio era dietro di me; a volte anche davanti a me. Che la vita fosse un dono da non sprecare mi apparve chiarissimo e senza retorica. Non fui più la stessa e scoprii pian piano che il matrimonio non mi sarebbe bastato, sentivo l’urgenza di testimoniare a tutti quello che mi era accaduto. Vedevo con occhi nuovi cose e ambienti cui prima ero avvezza, misurandone tutta la grettezza. Tornai a Lourdes per avere chiarezza sulla vocazione. Ci tornai con il mio fidanzato. Un giorno sfumò un appuntamento che avevamo alla grotta della Vergine (io ero dama, lui barelliere. Avevamo turni diversi e, quindi, pochi momenti di incontro). Presi a camminare e mi ritrovai davanti alla cripta. Non lo sapevo ancora, ma lì si faceva, allora, l’adorazione perpetua. Entrai e percorsi un lungo corridoio con cappelle laterali. Mi ritrovai poi in una cappella circolare bianchissima e nella penombra. Due suore vestite di bianco facevano adorazione davanti a un ostensorio che aveva la forma di un ramo di spine. Immediatamente avvertii una presenza forte e vidi che l’Eucaristia era illuminata da dietro, la distinsi chiaramente come una piccola luce nel buio. Eccola, pensai, la luce che ho incontrato sulla strada. Non c’è bisogno di morire per vederla. La chiesa la nasconde nel segreto dell’altare ogni giorno, là dove si celebra, là dove si adora. Decisi, in quel giorno, che non mi sarei più separata dall’eucaristia. Entrai perciò tra le monache dell’adorazione perpetua di Monza, ove rimasi ventitré anni. In Monastero maturai gradatamente la consapevolezza che il tesoro dell’Eucaristia era calpestato dagli stessi cattolici. Che c’era una bellezza a tutti incomprensibile e che bisognava aumentare la forza del richiamo. Seguendo dei laici, per incarico dei superiori, mi accorsi che era scomparsa dalla nostra vita quotidiana la forza unificante del simbolo e iniziai così a spiegare la Scrittura e la fede attraverso l’arte. Questo si rivelò pian piano un carisma, perciò giunsi alla determinazione di fondare un Monastero che accanto all’adorazione eucaristica (e quindi, fermo restando la vita di preghiera e contemplazione), avesse una particolare attenzione alla bellezza in tutte
le sue forme. Specie quelle legate alla liturgia. Cosa che ho realizzato nel 2007 nella diocesi di San Marino Montefeltro». «Spiegare una esperienza di pre morte come la mia è rischioso. Puoi essere compresa, ma puoi cadere nel banale, nell’occulto, nel new age. Ne ho fatto più volte esperienza. Dopo l’incidente mi imbattei, per caso, nel polittico di Bosch dal titolo Visioni dell’Aldilà. Lo avevo già incontrato tra i banchi di scuola, senza che mi facesse alcun effetto. Rivedere il pannello, chiamato dai critici empireo, suscitò in me una grande impressione. Compresi che soltanto chi aveva fatto un’esperienza simile alla mia poteva dipingere in modo così puntuale ciò che avevo visto. Nel pannello di Bosch una luce bianca circolare (simile a un’ostia) irrompe nel buio, pulsando. Ci sono anime che desiderano raggiungerla, ma alcune ne sono impedite dalla loro oscurità. Nella parte più bassa del pannello, angeli con ali nere frenano queste anime le quali hanno le mani in alto come inabilitate a muoversi. Il volto però è costantemente rivolto alla luce e questa tensione le purifica. Infatti un poco più in alto (più verso la luce) angeli dalle ali rosse (il fuoco purificatore) trattengono anime che ancora guardano la luce, ma che tengono le mani in preghiera. Il loro desiderio di Dio li purifica e così si elevano. Alla fine, in alto, proprio all’inizio del cono di luce bianchissima, ci sono anime accompagnate da angeli con ali bianche e con le mani tese verso l’abbraccio. Ho trovato questo dipinto perfettamente corrispondente a ciò che ho vissuto e mi ha confortato vedere come un autore del Cinquecento, che certo non poteva conoscere terapie intensive e accanimenti terapeutici, abbia dipinto qualcosa di molto vicino a quello che raccontano coloro i quali, per così dire, sono tornati indietro forse per avvertire il nostro mondo materialista che il Paradiso c’è».
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Gli scienziati e la Risurrezione Il grande matematico e fisico Blaise Pascal (1623-1662), padre della prima macchina calcolatrice, del concetto moderno di probabilità e molto altro, riflettendo sulla Risurrezione di Cristo, scriveva: «Con che ragione vengono a dirci che non si può resuscitare? Che cos’è più difficile: nascere o resuscitare? È più difficile che ciò che non è mai stato sia, o che ciò che è stato sia ancora? È più difficile essere o ritornare a essere? L’abitudine ci fa sembrare facile l’essere; la mancanza di abitudine ci fa sembrare impossibile il ritornare a essere. Che modo ingenuo, popolare di giudicare!» (Pensieri, 357). Pochi anni prima, Renato Cartesio (15961650), matematico e filosofo, nel suo celeberrimo Discorso sul metodo sosteneva che non vi è nulla di più assurdo che attribuire all’uomo lo stesso destino di morte eterna e definitiva che spetta agli animali. Infatti, «dopo l’errore di quelli che negano Dio, che penso di aver abbastanza confutato nelle pagine che precedono, non ve n’è altro che allontani di più gli uomini deboli dal diritto cammino della virtù che immaginare che l’anima delle bestie sia di natura uguale alla nostra e che, di conseguenza, noi non si abbia nulla da temere né da sperare, dopo questa vita, non più che le mosche e le formiche». Un altro dei padri della scienza moderna, il chimico Robert Boyle (1627-1661), riteneva che Dio, in quanto Creatore, non fosse vincolato in modo assoluto alle leggi da lui stesso create, e che quindi la resurrezione non potesse essere provata, dalla ragione umana, ma neppure negata. «Così la questione», scriveva in Holy Scriptures, «non dovrebbe essere formulata se possiamo o meno dimostrare la resurrezione con la semplice ragione, ma
Blaise Pascal (1623-1662)
se possa o meno, la resurrezione, essere confutata dall’irrefragabile ragione». Se rimaniamo in Inghilterra, sir George G. Stokes (1819-1903), già presidente della Royal Society, matematico e fisico di Cambridge, padre della dinamica dei fluidi e del teorema di Stokes, scriveva in una delle sue Gifford Lectures, argomentando sui miracoli e sulla Resurrezione di Cristo: «Sarebbe assurdo negare alla volontà creatrice le facoltà che posseggono gli esseri creati. Ora, c’è una facoltà del cui possesso siamo istintivamente persuasi, il libero arbitrio…». E aggiungeva: se pensiamo le leggi del creato, «come intese da una volontà superiore, bisogna pur supporre la possibilità di sospenderle in un particolare caso…». Un altro gigante, forse il massimo fisico dell’Ottocento, il padre dell’elettromagnetismo, James Clerk Maxwell (1831-1879), nel 1858, in una poesia a sua moglie, le scriveva che l’avrebbe voluta sempre vicina, e che il loro amore avrebbe sempre vissuto «in nome di Colui che ci amò entrambi».
“
Solo l’amore, purificato da peccati e preoccupazioni, oltre la tomba vivrà. Fortifica il nostro amore, o Signore, in modo che possiamo credere nel Tuo grande amore e che, aprendo a te tutta la nostra anima, possiamo ricevere il tuo dono generoso. Tutte le facoltà mentali, tutta la forza di volontà, giaceranno forse nella polvere quando saremo morti
”
ma nostro è l’amore e tale sarà ancora quando terra e mari spariranno. James Clerk Maxwell
«Non è vana la nostra fede, né le imprese dello spirito, perché Cristo è risorto. Nel fluire confuso degli eventi si è trovato un centro, è stato scoperto un punto d’appoggio: Cristo è risorto! Esiste una sola verità: Cristo è risorto. Se il Dio-Uomo non fosse risorto, allora tutto il mondo sarebbe divenuto completamente assurdo e Pilato avrebbe avuto ragione con la sua domanda sprezzante: cosa è la verità?» (Pavel Florenskij)
Facciamo un balzo temporale, e leggiamo questa breve riflessione del più grande logico matematico del Novecento, e per molti di sempre, Kurt Gödel (1906-1978). Secondo lui «il nostro mondo, con tutte le stelle e i pianeti che contiene, ha avuto un inizio e, con ogni probabilità, avrà una fine, diventerà, cioè, letteralmente, niente. Ma perchè allora ci sarebbe solo un mondo?» (Kurt Gödel, La prova matematica dell’esistenza di Dio, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p. 90). La conclusione logica di Gödel è la seguente: «In un mondo finito, Dio (infinito) esiste ed è unico». Leggiamo qualche altra considerazione dell’uomo che Albert Einstein considerava il genio più interessante del suo tempo: «L’affermazione che il nostro ego consista di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai enunciate»; «Poichè l’ego esiste indipendentemente dal cervello, possiamo avere altre fasi di esistenza nell’universo materiale o in un altro mondo…»; «Se il mondo è organizzato razionalmente e ha un senso» allora deve esistere un aldilà, «perché quale sarebbe il senso di formare un essere (l’uomo), che ha un tale ventaglio di possibilità per il suo sviluppo individuale e per le sue relazioni con gli altri, e non per-
René Descartes, detto Cartesio
mettergli di realizzarne un millesimo? È come se si costruissero le fondamenta di una casa, con molte difficoltà e molta spesa, per poi lasciar andare tutto in rovina».
«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (San Paolo, 1 Cor 2,9)
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Un ingegnere e la Sindone: intervista attorno al mistero della Resurrezione di Gesù Cristo Alessandro Paolo Bramanti si è laureato in ingegneria elettronica presso l’Università di Pavia, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca, e in fisica della materia presso l’Università del Salento. È ricercatore per una multinazionale dell’elettronica nel campo delle nanotecnologie, ed è autore di numerose pubblicazioni su riviste internazionali e inventore o coinventore di brevetti internazionali. Sulla Sindone ha scritto Sacra Sindone. Un mistero tra scienza e fede (Taranto, 2010). Il miracolo del quale il cristianesimo non può fare assolutamente a meno, è soprattutto uno: la resurrezione di Cristo. E, guarda caso, proprio di questo miracolo esiste quella che molti considerano una prova: la Sindone. Cos’è per lei un miracolo? E perché la Sindone appare a moltissimi scienziati, oggi, un miracolo? «Il miracolo è un’eccezione alle leggi della natura; e poiché tutto il mondo materiale deve sottostare alle leggi naturali senza possibilità di sospenderle o modificarle, il miracolo non può che venire da un intervento superiore, ossia direttamente dall’Autore delle leggi naturali stesse. Negare la possibilità assoluta di sospendere le leggi significa, in definitiva, negare l’esistenza del Legislatore; e questa posizione, oltre ad essere molto ristretta e limitante, certamente non può essere sostenuta con argomenti scientifici. La scienza è come un esploratore libero di muoversi in un paese - quello delle leggi naturali - che è sì, vasto, ma non infinito, ed
è circondato da una muraglia che lui, da solo, non può scavalcare. Ma se l’esploratore, a causa di questa sua incapacità, affermasse che non esiste niente oltre il muro, terrebbe un comportamento irragionevole e, in fin dei conti, un po’ ridicolo. Consideriamo ora la Sindone. È un oggetto materiale e, come tale, senza dubbio ubbidisce alle leggi naturali - compresa quelle dell’invecchiamento e della sensibilità al calore, come purtroppo constatiamo dall’ingiallimento del lino e dalle bruciature degli incendi che l’hanno insidiata lungo i secoli. Eppure, essa porta anche il segno di un intervento esterno; qualcosa che non proviene dalla materia, anche se nella materia stessa ha lasciato una traccia profonda. Quella doppia immagine insanguinata è inspiegabile alla luce di ogni fenomeno fisico noto. Un corpo senza vita - e quello “fotografato” sulla Sindone lo è senza dubbio, perché mostra i segni del rigor mortis, escludendo così che si tratti di un caso di coma o morte apparente; è meglio specificarlo visto che qualcuno si è persino spinto su ipotesi del genere pur di escludere la morte e quindi la Risurrezione - un corpo senza vita, dicevo, non può lasciare impronte nemmeno vagamente simili a quella. E in generale, in natura non vi è nulla di assimilabile. Per questo, molti scienziati ammettono onestamente la inspiegabilità della Sindone. Mentre altri, che pure la negano a parole, non perdono occasione – soprattutto a pochi mesi
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dalle ostensioni – di annunciare, con rulli di grancasse e squilli di fanfare, di essere riusciti a riprodurla e, perciò, di aver dimostrato che essa è un falso. E se fino ad ora ogni tentativo di imitazione del Lenzuolo si è rivelato, anche solo ad un’analisi superficiale, un fiasco clamoroso, è comunque molto interessante osservare l’accanimento di questi scettici. Deridono la credulità di chi ritiene la Sindone autentica, ma poi sprecano così tanto tempo e risorse nel cercare di fabbricarne una uguale, proprio per dimostrare che è falsa! Si direbbe che nel profondo siano rosi da un dubbio». Entriamo più nel dettaglio. La Sindone vista dall’ingegnere elettronico. «Partiamo da una semplice considerazione. Se la Sindone non è autentica deve ovviamente essere un manufatto fabbricato da un abilissimo falsario desideroso di arricchirsi con il commercio di finte reliquie. Ed è proprio questa, ovviamente, la teoria di chi nega l’autenticità del Sudario: un fantomatico fabbricante di reliquie medievale, rimasto
per ovvie ragioni anonimo, avrebbe forgiato l’oggetto nella propria officina per venderlo poi, magari insieme a tanti altri, in una sorta di mercato nero del sacro, spacciandolo come autentico. Un simile personaggio, probabilmente, avrebbe considerato la Sindone il suo capolavoro, il coronamento della sua carriera di mistificatore sacrilego! Ora, l’ingegnere è una sorta di inventore specializzato: il suo atteggiamento è quello di chi progetta e costruisce, sfruttando le leggi naturali a proprio vantaggio. Davanti alla Sindone, quindi, tenta di immedesimarsi nel falsario, immaginando quale geniale metodo di fabbricazione possa aver escogitato per imprimere sul lino l’immagine del grande Crocifisso. E l’ingegnere elettronico in particolare, essendo legato al mondo del microscopico e nanoscopico – cioè dei fenomeni che interessano la materia a scale che vanno dal milionesimo giù fino al miliardesimo di metro – è particolarmente portato ad accendersi di curiosità. Perché l’immagine sindonica è causata da una modifica fine nella struttura delle fibre tessili.
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Ma con quale strumento, si chiede l’ingegnere, e sfruttando quali fenomeni fisici, si può imprimere una modifica simile? Nel secolo ormai abbondantemente trascorso dall’inizio degli studi scientifici della Sindone le ipotesi teoriche e i tentativi sperimentali per spiegare e, possibilmente, riprodurre la Sindone, sono stati numerosissimi: ma nessuno ha dato risultati soddisfacenti. È fallito l’esperimento del calore, nel quale si è tentato di impressionare un telo con
un bassorilievo metallico riscaldato, perché l’immagine che ne è stata prodotta è penetrata nel lino molto più profondamente di quella della Sindone – che invece è superficialissima: ne è interessato solo il guscio cellulare esterno della fibrilla più esterna. Dell’uso di coloranti, umidi o secchi, nemmeno a parlarne: è accertato che tra le fibre di lino non vi siano pigmenti e nemmeno tracce di “pennellate”, neanche microscopiche. Non è stata una mano a disegnare l’immagine.
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Molto interessanti i recenti esperimenti con il laser: gli impulsi luminosi ultravioletti hanno modificato la struttura di alcuni minuscoli campioni di lino, producendo una colorazione apparentemente simile a quella della Sindone. Ma le differenze rispetto all’originale sono ancora abissali, come gli stessi autori della ricerca onestamente riconoscono. Perché la colorazione è ancora troppo profonda. E poi è troppo uniforme, mentre nella Sindone sembra che qualcuno
dalla visione microscopica abbia scelto punto per punto quali fibrille colorare e quali no, e abbia ottenuto il chiaroscuro solo variando la percentuale di colorate e di bianche da zona a zona. Un’altra caratteristica impressionante, questa. Per non dire che ci vorrebbe un laser di potenza inaudita a produrre un’immagine grande come quella del Telo di Torino. Aggiungiamo a tutto questo che dietro le macchie di sangue della Sindone il lino non
«Negare la possibilità assoluta di sospendere le leggi significa, in definitiva, negare l’esistenza del Legislatore; e questa posizione, oltre ad essere molto ristretta e limitante, certamente non può essere sostenuta con argomenti scientifici»
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è colorato, come se il falsario, con abilità da miniatore certosino e anche più, avesse prima deposto il sangue e poi colorato il lino girando accuratamente attorno ad ogni macchia, invece di produrre l’immagine e macchiarla successivamente, come sarebbe logico per un oggetto artificiale. Mettiamoci anche la precisione anatomica; la difficoltà di produrre un’immagine che da meno di un metro e mezzo di distanza diventa praticamente invisibile; la tridimensionalità; e varie altre sottigliezze. La scienza si arrende. L’ingegnere elettronico, con lei. Rimane una domanda. Se con le conoscenze di oggi fabbricare un oggetto così raffinato pare così inconcepibile, che chance avrebbe avuto un falsario medievale?». Tuttavia, come obiettano alcuni, non siamo nemmeno capaci di riprodurre molti capolavori artistici del passato, e non per questo li consideriamo miracoli. «Sì, ma c’è una profonda differenza. Di quelle opere d’arte, conosciamo bene la natura fisica: sono “semplicemente” strati di sostanze colorate deposte su tela, oppure “semplicemente” blocchi di pietra rotti, tagliati, forgiati. L’unicità di queste opere è di ordine artistico, non scientifico. Della Sindone, invece, non conosciamo proprio la natura fisica». La Sindone vista dal fisico? «Il fisico cerca una teoria scientifica che riesca a spiegare tutti i dati. Ma in questo caso, come già detto, la scienza brancola nel buio. A questo punto, due sono gli atteggiamenti possibili. Il primo. Il fisico fa propria la classica e ormai trita obiezione degli scettici: in futuro forse spiegheremo l’esistenza della Sindone in maniera scientifica. E troveremo che forse è nata da una combinazione molto improbabile - da cui l’unicità - ma del tutto naturale di vari elementi fisici. Forse. Un “forse” che nella mente di tanti scettici diventa un comodo “certamente”, con cui illudersi di aver liquidato il problema.
Il secondo atteggiamento. Il fisico considera i dati nella loro globalità. E si rende conto che la Sindone è stata studiata più di ogni altro oggetto al mondo, da un numero impressionante di esperti nelle discipline più disparate. E che tutti i dati convergono verso il dire che sia l’autentico Sudario di Cristo – tranne, apparentemente, la famosa datazione al carbonio 14, che però, come ho dimostrato altrove, è a dir poco inattendibile. A questo punto, se la mente del fisico non basta, deve subentrare la mente dell’uomo, la cui capacità sorpassa di molto la pura e semplice scienza. E bisogna considerare veramente tutti i dati in gioco. L’Uomo della Sindone è l’uomo dall’immagine in assoluto più riconoscibile della storia: Gesù di Nazareth. Quell’Uomo è l’unico di cui si annuncia, da duemila anni a questa parte, la risurrezione definitiva dai morti. E di risurrezione, si badi bene, non si è parlato soltanto dopo la morte. L’annuncio era stato dato già prima. Tant’è che quella notte, al sepolcro, si montava di guardia per impedire resurrezioni simulate. Il Lenzuolo di Torino porta l’impronta di quell’Uomo, un’impronta che parla della sua morte ma anche di una misteriosa sottrazione alla morte. È l’immagine di un cadavere che prima di corrompersi è sparito lasciando una traccia indelebile. È un’immagine fisicamente unica, unica quanto quell’Uomo stesso. Se davanti a questa coincidenza la mente rifiuta a priori anche solo la possibilità che la Sindone sia un muto Testimone della Risurrezione, lo fa per una scelta deliberata che non ha nulla a che vedere con la scienza. Non è un pensiero antiscientifico, questo. Al contrario, un fisico conosce meglio di ogni altro i limiti della scienza. La muraglia. Per questo può essere tra i primi a spiccare il balzo e andare oltre».
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Paradiso: «Sconosciuta realtà conosciuta» Il Paradiso è fuori del tempo e dello spazio. In che senso, dunque, è un “luogo”? Scrive Benedetto XVI in Ultime conversazioni (Rcs, Milano, 2016): «Bisogna staccarsi da antiche concezioni spaziali, che non sono più applicabili non fosse che perché l'universo non è infinito nel senso stretto del termine, pur se è abbastanza grande perché noi uomini lo si possa definire come tale. Dio non può essere da qualche parte dentro o fuori di esso, la sua presenza è completamente diversa... Come esiste una presenza spirituale tra gli uomini - due persone possono essere vicine pur vivendo in continenti diversi perché questa dimensione di prossimità non si identifica con quella spaziale - così Dio non è "in qualche posto" ma è la realtà. La realtà fondamento di tutte le realtà. E per questa realtà non ho bisogno di "dove" perché "dove" è già una delimitazione, non è già più l'infinito, il creatore, che comprende ogni tempo e non è lui stesso tempo, ma lo crea ed è sempre presente». Si dice, da parte degli atei, che l’uomo spera nell’aldilà perché immagina un domani migliore. Non è così. Se immaginassi soltanto un domani migliore, non lo chiamerei “paradiso”: lo chiamerei “casa di lusso”, “panfilo privato”, “villa con piscina zeppa di dobloni”… lo costituirei di cose che ho visto, che conosco, che esistono a questo mondo. Invece, tutti gli uomini sanno che “casa con piscina zeppa di dobloni” non è sinonimo di “felicità”. Perché? Può un fiore desiderare qualcosa di più dell’acqua e del sole? Un’ape qualcosa di meglio del polline? Una mucca del fieno fragrante? Può un pezzo di mera carne volere altro che il cibo, un buon letto, tutto ciò che serve per saziare i suoi appetiti materiali? No. La carne desidera carne, la materia vuole materia, la mucca agogna il suo fieno (neppure immagina l’esistenza della nutella o dei tortellini)… Solo l’uomo desidera qualcosa che non sa descrivere, che non sa neppure
immaginare, che non ha mai visto, né toccato, né assaggiato con i suoi sensi. Perché? Semplicemente perché l’uomo non è solo carne, solo materia, solo sensi. È molto, molto di più, come denunciano chiaramente il suo desiderio, la sua perenne insoddisfazione e inquietudine. «Non siete di questo mondo», dice Cristo ai suoi discepoli: questo mondo, in altre parole, non ci basta (o ancora: «Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?», Mc 8, 36-37) Ci hanno provato Marx, Lenin, Stalin, Mao…
Una poverissima idea dell’uomo ha generato una miserrima idea di Paradiso ed una fedele copia dell’Inferno
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Wenzel Peter, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre.
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a realizzare un mondo che non avesse più bisogno del Paradiso. Facciamolo qui, il paradiso, dicevano, sulla terra, così la religione, “oppio dei popoli”, morirà di inedia. L’uomo di domani, l’abitatore del mondo comunista, sarà felice, soddisfatto, non avrà più bisogno del Paradiso dei cristiani…Non è andata così: una poverissima idea dell’uomo ha generato una miserrima idea di Paradiso e una fedele copia dell’Inferno. E non va bene, mai, neppure nel ricco mondo capitalista. Certo, è meglio la casa con piscina, o anche senza, del gulag sovietico, ma neppure risulta che essere milionari significhi essere felici; accade più spesso che chi più ha, più cupamente desidera, mentre “chi si accontenta” più facilmente “gode”. Nel celebre romanzo di Giovanni Verga, I Malavoglia, il giovane protagonista, ‘Ntoni, vuole «diventare ricco, ricco…». Il nonno non capisce perché e gli chiede: «Ricco, ricco… e poi che farai?». ‘Ntoni ci pensa un attimo e non sa rispondere: il suo sogno rivela subito la sua pochezza. Allora cos’è questa felicità che i credenti chiamano Paradiso? Agostino, nella sua Lettera 130 a Proba, scriveva: «Forse a questo punto potresti domandarmi in che consista precisamente la vita beata. In questo problema molti filosofi hanno consumato il loro ingegno e il loro tempo, e tuttavia tanto meno sono riusciti a risolverlo, quanto meno hanno avuto in onore la vera sorgente della vita e le han reso grazie... C’è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza, dotta in quanto illuminata dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza...». Così commenta Benedetto XVI nella Spe salvi: «Agostino, nella sua ampia lettera sulla preghiera indirizzata a Proba, una vedova romana benestante
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La teologia cattolica afferma il Paradiso come “luogo” in cui «le anime dei santi vedono la divina essenza con visione intuitiva e anche facciale, non essendovi di mezzo alcuna creatura che funga in ragione di oggetto veduto, bensì mostrandosi la stessa divina essenza immediatamente, nudamente, chiaramente e apertamente» (Benedictus Deus di Benedetto XII); sostiene, a differenza di altre visioni religiose in cui la beatitudine consiste sostanzialmente in una estinzione nirvanica, in un annientamento totale dell’individuo, che in Paradiso si realizza la pienezza dell’essere, della singola persona, attraverso l’incontro con l’Amore stesso che mette in comunione con tutto. «Dalla visione di Dio», commenta un teologo del primo Novecento, «nasce l’amore; dall’amore, il possesso e il gaudio perfetto».
e madre di tre consoli, scrisse una volta: in fondo vogliamo una sola cosa, “la vita beata”, la vita che è semplicemente vita, semplicemente felicità. Non c’è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient’altro ci siamo incamminati, di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente. “Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, egli confessa. Ciò che sappiamo è solo che non è questo. Tuttavia, nel non sapere sappiamo che questa realtà deve esistere. “C’è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza (docta ignorantia)”, egli scrive. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa “vera vita”; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso la quale ci sentiamo spinti. Penso che Agostino descriva lì in modo molto preciso e sempre valido la situazione essenziale dell’uomo, la situazione da cui provengono
tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di essa e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa “cosa” ignota è la vera “speranza” che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo. La parola “vita eterna” cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. “Eterno”, infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche
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modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia...». Il Paradiso, la vita eterna, è una «sconosciuta realtà conosciuta»: conosciuta poiché in qualche modo la conosciamo, dal momento che il nostro spirito assaggia istanti di gioia, nel tempo, che trascendono il tempo stesso. Le grandi gioie interiori infatti “durano” magari pochi istanti, che però ci segnano più delle lunghe ore di noia o dolore. Quando proviamo una di queste grandi consolazioni spirituali, sentiamo che vale assai più di un piacere corporeo: è tanto più rara, quanto più preziosa. Sentiamo anche che essa, pur concentrata in un tempo preciso, lo sorpassa, dilatandosi in ogni direzione (posso sperare, oggi, anche per ciò che ho provato un anno
fa). L’uomo del resto ha un corpo che vive solo il presente, ma nella sua mente il passato, il presente e il futuro possono convivere nel medesimo istante (possiamo cioè ricordare il passato che non c’è più e immaginare il futuro che non c’è ancora). Poiché afferrata, per qualche istante, la felicità spirituale si rivela a noi come esistente; per la sua precarietà ci appare quasi come un miraggio. Le oasi nel deserto, qua e là ci sono. Se non ci fossero, non le cercheremmo neppure. Eppure come sbiadisce presto, dopo tanto faticoso camminare, il ricordo di quella già sorpassata; eppure come è grande il desiderio di quella che verrà… Ma ci sarà, veramente? Certo, non può non esserci, da qualche parte, l’acqua di cui abbiamo sete e che, per quanto centellinata, abbiamo già avuto modo di gustare! Ci saranno la Bellezza, il Bene, la Giustizia, l’Amore, la Verità che il nostro cuore tanto desidera? Certamente, perché qui, sulla terra, li abbiamo già visti... sebbene, come scrive san Paolo, più riflessi, quasi in uno specchio, che nella loro piena realtà.
A 700 anni dalla morte Per Dante Alighieri (1265-1321) il Paradiso è il luogo che «solo Amore e Luce ha per confine». Per questo è “luogo” ineffabile: «Vidi cose che ridire/ né sa né può chi di là su discende» (Par. I, vv. 5-6). Qui troviamo la luce, presente continuamente in tutto il canto («Dio è l’alta luce che da sé è vera», Par. XXXIII, v. 54); la conoscenza universale immediata, totale: «Nel suo profondo vidi che s’interna,/ legato con amore in un volume,/ ciò che per l’universo si squaderna (Par. XXXIII, vv. 85-87); la pace e la serenità: «E io ch’al fine di tutt’i disii/ appropinquava, sì com’io dovea/ l’ardor del desiderio in me finii» (Par. XXXIII, vv. 46-47); e il suo parziale permanere: «E ancor mi distilla/ nel core il dolce che nacque da essa» (Par. XXXIII, vv. 62-63)
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Sun Tzu
Roberto Marchesini
Chi è il nemico, nella battaglia per la difesa della vita? Non chiedo se lo conosciamo: chiedo se almeno sappiamo chi egli sia. Lo sappiamo davvero?
Duemilacinquecento anni fa Sun Tzu ha scritto: «Conosci il tuo nemico e conosci te stesso: la tua vittoria non sarà compromessa. […] Se non conosci il nemico ma conosci soltanto te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari alle tue possibilità di sconfitta. Se non conosci te stesso, né conosci il tuo nemico, sii certo che ogni battaglia sarà per te fonte di pericolo gravissimo». Chi è il nemico, nella battaglia per la difesa della vita? Non chiedo se lo conosciamo: chiedo se almeno sappiamo chi egli sia. Lo sappiamo davvero? Qualche tempo fa è partita la campagna di Pro Vita & Famiglia con i camion vela. Interessante, ma le reazioni sono state ancora più interessanti. Quelle più complesse (lasciamo stare le altre) erano più o meno ripetizioni su un tema: «Puoi essere contro l’aborto, ma non puoi
impedire ad altri di abortire», oppure «Sono contro l’aborto, ma non posso impedire agli altri di abortire». Che, più o meno, fa il paio con il famoso «Difendere il diritto all’aborto non vuol dire difendere l’aborto». Sinceramente, non credo che chi scrive queste frasi sia consapevole di ciò che ha scritto, né della parte che rappresenta. Però una certa parte viene rappresentata. Una parte che ha diffuso il suo pensiero così a fondo, nella nostra società, che viene dato per scontato. Qual è questa parte? Vale la pena di perderci qualche minuto; per conoscere chi è il nemico. L’affermazione «Puoi essere contro l’aborto, ma non puoi impedire ad altri di abortire» non è altro che la conseguenza di altre due affermazioni: 1) non esistono leggi assolute, morali o religiose; 2) la tua libertà finisce dove inizia la libertà di un altro.
Per anni il liberalismo lo abbiamo trattato come un amico, perché il nemico del nostro nemico deve essere nostro amico. Avevamo un nemico comune: era rosso, pericoloso e barbaro.
Statua di Sun Tzu a Yurihama, nella prefettura di Tottori, in Giappone. Sun Tzu è stato un generale e filosofo cinese, vissuto probabilmente fra il VI e il V secolo a.C.. A lui si attribuisce uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi, L’arte della guerra.
La prima deriva dal capostipite del liberalismo, Francis Bacon. Boiardo di Stato, considerato dalla scuola italiana come un filosofo, scrisse nero su bianco che le leggi morali e religiose, manifestazione della legge naturale, non son altro che «idola», invenzioni. La ragione dell’uomo non può cogliere verità eterne, metafisiche come le leggi morali e religiose; può cogliere solo ciò che gli trasmettono i sensi. Questo pensiero si chiama empirismo ed è una dichiarazione di impotenza della ragione umana. Ma, ancora di più, è la dichiarazione della perfetta irrilevanza della legge naturale, se essa esiste. La seconda è presa, quasi esattamente, dal libro di John Stuart Mill intitolato Saggio sulla libertà: «La libertà dell’individuo deve avere questo limite: l’individuo non deve recare fastidi agli altri». Francis Bacon, John Stuart Mill… cominciamo a farci un’idea, ora, di chi sia il nemico. È lo stesso che da duecento anni dice che siamo in troppi su questa terra (ovviamente, quelli di troppo sono “gli altri”); che «mettere al mondo un figlio senza ragionevoli prospettive di assicurargli, non solo alimento per il suo corpo, ma istruzione ed esercizio per la
sua mente, è un crimine morale, sia contro la sfortunata progenie, sia contro la società» (sempre Mill). Sarà un caso se il polacco RS è morto di fame e di sete in un ospedale del Regno Unito? Così come il piccolo Alfie? No, non è un caso. Per anni il liberalismo lo abbiamo trattato come un amico, perché il nemico del nostro nemico deve essere nostro amico. Avevamo un nemico comune: era rosso, pericoloso e barbaro. Mentre lui, il nemico, aveva bei vestiti di tweed, era colto e un linguaggio forbito; era ricco e non puzzava. Abbiamo permesso che diffondesse il suo pensiero, che lo diffondesse così a lungo e in profondità per cui, adesso, la gente cita Bacon e Mill e non lo sa nemmeno. Dà per scontato che ciò che hanno scritto questi due personaggi sia vero, evidente, la verità. È ovvio, è così: «Puoi essere contro l’aborto, ma non puoi impedire ad altri di abortire». Non c’è bisogno di studiare filosofia: ormai è mentalità comune. Bene, torniamo a Sun Tzu. Adesso conosciamo il nemico. Se conosciamo noi stessi, la vittoria non sarà compromessa.
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Enchiridion di bioetica Francesca Romana Poleggi
È stato recentemente pubblicato dalle Edizioni Studio Domenicano, Enchiridion di Bioetica. Documenti da Pio X a Francesco, a cura di padre Giorgio Maria Carbone. Un manuale breve, sintetico, ma completo che riassume i principali documenti del Magistero in tema di bioetica dal pontificato di Pio X (1903) a oggi. Ce ne ha parlato lo stesso padre Carbone, frate domenicano e sacerdote. È dottore in Giurisprudenza e in Teologia. Insegna Istituzioni di Bioetica presso la Facoltà di Teologia dell’Emilia Romagna. Padre Carbone ha scritto un’ampia introduzione per delineare i confini di un atto di magistero (cioè non ogni affermazione del papa è atto di magistero) e l’autorevolezza dell’atto di magistero (cioè non ogni atto di magistero non ha lo stesso peso di un altro). Ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande. Padre Carbone, serve ancora un manuale di bioetica nel nostro mondo dove impera il relativismo? Durante questo tempo di epidemia gran parte dell’opinione pubblica si è interrogata sul punto di equilibrio tra la tutela della salute individuale e collettiva e l’esercizio dei diritti di libertà, sui criteri per selezionare e ammettere i malati più gravi nei reparti di terapia intensiva. La bioetica è proprio quella disciplina che cerca di trovare una soluzione ragionevole a questi temi. Il fatto poi che molte persone si pongano queste domande sulla bontà e sull’appropriatezza di azioni umane suppone che queste persone siano convinte che le azioni umane non sono tutte alla pari, che esistono azioni buone e azioni cattive. Ciò manifesta il fallimento del processo di normalizzazione e di assuefazione imposto dal relativismo etico: con messaggi
martellanti grandi agenzie di comunicazione ci vogliono far credere che un’azione valga l’altra, che tutto sia relativo. Ora, il semplice fatto che mi ponga degli interrogativi per cercare la soluzione migliore significa che non tutto è relativo. E a questo proposito la bioetica ci aiuta a fondare razionalmente la ricerca del migliore atto umano in campo medico, sanitario, sperimentale e più in generale nel campo delle bio-tecnologie. Quindi, la riflessione bioetica è molto viva e più diffusa di quanto non si pensi. L’Enchiridion di Bioetica può dare un valido aiuto ad essa. L’Enchiridion raccoglie documenti della Chiesa: è quindi una lettura destinata ai Cattolici? Non è un testo rivolto solo ai cattolici, perché la bioetica – a differenza della teologia morale – si pone come disciplina filosofica subordinata all’etica razionale. Mentre la teologia morale suppone la conoscenza di quanto Dio ci rivela nella Scrittura e nella Tradizione e quindi suppone che il teologo moralista abbia la fede teologale, l’etica razionale e la bioetica tentano di fondare razionalmente le proprie argomentazioni e quindi suppongono che i cultori dell’etica
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e della bioetica facciano buon uso della ragione pratica e dell’esperienza. Ad esempio in questi «Documenti da Pio X a Francesco» l’insegnamento ricorrente dei pontefici secondo il quale la vita di ogni essere umano va tutelata ed è inviolabile è fondato facendo ricorso sia alla fede teologale – es. ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio e redento in Cristo – che all’esperienza razionale – es. constatiamo che gli uomini delle diverse generazioni e latitudini portano in sé caratteristiche comuni e in forza di queste essi compongono un unico genere, il genere umano, escludere un uomo da questo genere sarebbe una discriminazione iniqua. Cosa è cambiato nel tempo nell’insegnamento della Chiesa? L’Enchiridion di Bioetica copre una documentazione di 115 anni: il primo documento riportato è del 1906 e l’ultimo è del 2020. È stupefacente constatare la continuità, cioè la fedeltà e la costanza con la quale i pontefici hanno insegnato il bene della vita di ogni uomo, il bene dell’amore coniugale, il bene dell’atto medico e della ricerca scientifica, solo per fare alcuni esempi. In questo insegnamento costante notiamo anche un notevole progresso della dottrina. Ad esempio, insegnando sempre che la vita di ogni uomo è un bene da promuovere, i pontefici hanno approfondito i versanti di questa promozione. Penso alla vita prenatale e quindi alle diagnosi prenatali, alla fecondazione artificiale, alla sperimentazione sull’uomo e alle fasi finali dell’esistenza. Ma la Chiesa può interferire nella ricerca scientifica e nella medicina? A questa domanda risponde Giovanni Paolo II: «Non spetta alla Chiesa fissare i criteri scientifici e tecnici della ricerca bio-medica. Ma è suo dovere ricordare, in nome della sua missione e della sua tradizione secolare, i limiti entro i quali ogni ricerca intrapresa resta un bene per l’uomo, poiché la libertà deve essere sempre ordinata al bene. La
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Chiesa contempla in Cristo, l’uomo perfetto, il modello per eccellenza di tutti gli uomini e il cammino verso la vita eterna; essa desidera offrire delle linee di riflessione per illuminare i suoi fratelli nell’umanità e proporre i valori morali necessari all’azione, che sono anche i punti di riferimento indispensabili per i ricercatori chiamati a prendere decisioni che coinvolgono il senso dell’uomo».
Il processo di normalizzazione e assuefazione imposto dal relativismo ha fallito: le persone si interrogano su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato
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Il peccato originale nella società odierna (parte II) Veronica Zanini
Nella prima parte di questa riflessione filo-politica si è indagato su alcuni principi sui quali si fonda l’ideologia futurista del transumanesimo. Oggi si ragiona sul fatto che il transumanesimo è uno dei frutti di un malessere ancestrale presente nell’uomo fin dai “tempi biblici”.
I limiti dell’uomo Visti il mese scorso i principi transumanisti, vediamo oggi alcuni passi biblici, della Genesi, dai quali emerge una visione antropologica che include il limite, da contrapporsi alle derive ideologiche del transumanesimo e del postumanesimo. «Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn. 2,5-7). I termini utilizzati in questo racconto, adam, terrestre, e adamah, terra, mostrano il profondo legame tra l’uomo e la terra stessa; il materiale che Dio utilizza infatti per creare l’umano è la polvere del suolo, la parte più superficiale e delicata del terreno, facendo
di questo una creatura fragile nella sua costituzione fisica. La correlazione tra l’uomo e la terra verrà confermata subito dopo anche dal comando divino rivolto alla nuova creatura di governare la terra nella quale si radica la sua vita: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2, 15). Già dall’antichità dunque si riflette sulle condizioni antropologiche di limitatezza e fragilità, non concependo però queste caratteristiche in maniera avversa, ma solamente come costitutive della natura umana. Le nuove frontiere ideologiche odierne invece attribuendo un significato negativo alla cagionevolezza e alla caducità dell’uomo si prodigano per oltrepassare i limiti neuro- biologici dello stesso. La parola “limite” deriva dal latino limes che significa anche “confine”, quindi oggi si possono oltrepassare i confini fisici dell’uomo per esempio con delle estensioni meccaniche come i google glass o l’esoscheletro militare Ratnik e quelli neurologici come Neuralink di cui si è già scritto lo scorso mese.
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Michelangelo, Il peccato originale, 1509, Musei Vaticani, Cappella Sistina.
Tornando al testo di Genesi, la pericope si conclude al capitolo 3 in cui la terra viene maledetta a causa del peccato dell’uomo: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: ‘non devi mangiarne’, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra perché da essa sei stato tratto:polvere tu sei e in polvere ritornerai!» (Gn. 3, 17-19).
Se prima dunque la terra era dotata di una connotazione materna ed era sottoposta alla tutela dell’uomo grazie ad un atto di fiducia di Dio nei suoi confronti, ora essa è il marchio della provenienza dell’uomo dalla polvere.
Il peccato originale Dal testo appena analizzato emerge il limite ontologico esterno dell’uomo, il brano sul peccato originale invece tratta i limiti interiori dell’uomo che non gli hanno permesso di diventare realmente “come Dio”.
«Per paura di essere un animale egli deve essere un angelo, per paura di non essere alcunché deve essere un Dio» (Eugen Drewermann)
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«Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva creato e disse alla donna: “È vero che Dio ha detto: ‘Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?’”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’”. Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”» (Gn. 3, 1-5). L’animale che tenta la donna è il serpente che non viene designato come una divinità superiore rispetto agli altri enti ma è descritto anch’esso come una creatura della quale però si riconosce la scaltrezza (arum). La Bibbia non dice chi ha posto lì l’animale, ma constata semplicemente la presenza del male e la sua concretezza. Da questo si dedurrà poi un’amara verità: ogni uomo che nasce entra a far parte di un mondo in cui il male è già presente, lo precede e da esso si fa sedurre. L’agiografo tuttavia intende focalizzare l’attenzione sulle parole del serpente anziché sulla sua natura. L’animale interloquisce con la donna riferendosi a Dio con un generico elohim invece di chiamarlo con il nome proprio Jhwh elohim; e ciò evidentemente per sminuire Dio stesso. Il serpente si concentra sull’unico divieto che Dio aveva dato all’uomo e alla donna senza tener conto di tutto ciò che Egli aveva donato loro; a questo segue la risposta della donna la quale, cadendo nel tranello
del suo interlocutore, commette una serie di errori utilizzando per esempio anch’essa l’espressione più generica elohim. Aggiunge inoltre che, come da comando divino, non avrebbero nemmeno dovuto toccare i frutti dell’albero proibito altrimenti sarebbero morti; parole, queste, che Dio non aveva mai pronunciato. Il serpente agganciandosi a quest’ultima constatazione afferma che mangiando diventeranno come Dio «conoscendo il bene e il male». Qui, il verbo jada, conoscere, non indica solamente una conoscenza intellettuale e astratta ma si riferisce al “fare esperienza”, ossia un atto pratico: il serpente dunque non promette onniscienza come avevano sperato Adamo ed Eva, ma la conoscenza del bene e del male tramite l’esperienza del male stesso. L’astuzia di questo animale sta proprio nel non dire menzogne, ma mezze verità facendo così leva sulla psicologia dell’uomo. Sorgono spontanee, quindi, delle domande: che cosa ha spinto l’uomo a mangiare del frutto, se non gli mancava nulla? Quali sono le strutture psicologiche che lo hanno condotto a compiere un simile atto? Secondo Freud ciò che ha portato l’uomo ad accettare l’offerta del serpente è la consapevolezza della propria superfluità e il possesso della libertà che lo lascia in balìa di un futuro che non conosce e che non gli garantisce alcuna sicurezza. Certamente la libertà ontologica dell’uomo è stata la strada per compiere la trasgressione tuttavia l’insicurezza è un dato antropologico odierno post peccato originale poiché Adamo ed Eva vivevano nella “sicurezza” di essere ancorati al
Analogamente a Prometeo che ruba il fuoco agli dèi l’uomo moderno si sostituisce a Dio nelle derive dell’eugenetica o nel tentativo di potenziamento di parti del corpo umano.
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fondamento, al senso del tutto. Discostandosi dalla psicanalisi freudiana dunque è più probabile che sia stata direzionata male la volontà di librarsi oltre il limite umano, intendendo però con questa espressione il germe presente in ogni uomo di migliorarsi conformemente al progetto divino sull’uomo stesso; il serpente ha giocato sull’interpretazione di “somiglianza” divina allontanandoli così dal disegno teologico e mostrando loro l’esistenza di un altro modo per ottenerla e di decodificarla. Ancora oggi l’uomo vede nel limite il segno tangibile della sua inferiorità e ciò lo porta a voler essere più di quello che è, come sostiene Eugen Drewermann: «Per paura di essere un animale egli deve essere un angelo, per paura di non essere alcunché deve essere un Dio». La volontà di potenziarsi è dovuta alla consapevolezza umana dei propri limiti
e della propria finitezza e la libertà, intesa oramai solamente come autonomia, comporta l’utilizzo della scienza e della tecnologia senza etica pur di arrivare al proprio fine. La mitologia greca utilizzava il termine hybris per indicare la volontà di diventare come Dio e analogamente a Prometeo che ruba il fuoco agli dèi l’uomo moderno si sostituisce a Dio nelle derive dell’eugenetica o nel potenziamento di parti del corpo umano. La frase del serpente che allude ad una loro trasformazione in divinità ha deformato il concetto di limite presente in Adamo ed Eva insinuando loro la possibilità di andare oltre ad esso senza Dio. Dopo la consumazione del peccato originale, l’uomo e la donna videro nella nudità il vestigio della propria vergogna, sentimento che finora non avevano ancora sperimentato grazie all’intima amicizia che si era instaurata con Dio: l’uomo così scopre
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che la vicinanza a Dio gli faceva percepire la propria finitezza come facente parte della sua natura. Le conseguenze del peccato originale sono, per esempio, la mutilazione delle capacità cognitive ovvero l’ingresso dell’errore nella vita spirituale. Con difficoltà l’uomo moderno sa distinguere il bene dal male e nella maggior parte dei casi il confine tra queste due entità è offuscato, non è nitido; basti pensare alle leggi sull’aborto o sull’eutanasia e quanto è sottile il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato anche nelle singole situazioni. Il peccato originale ha defraudato l’uomo della sua capacità di cogliere il Bene, o meglio di farsi attrarre da esso allontanandosi così dal male. Altra conseguenza del peccato originale è la concupiscenza gnoseologica, cioè la capacità conoscitiva dell’uomo che non gli permette più come un tempo una comprensione immediata; la pluralità di linguaggi con cui si esprime il creato disorienta l’uomo non facendogli più cogliere la presenza
Il limite, segno della fragilità dell’uomo, ha assunto un’accezione negativa solo dopo il peccato originale mentre prima era percepito come possibilità d’incontro, di apertura all’altro e di completamento con l’altro.
di Dio in esso. Il desiderio dell’uomo dunque di conoscere non verrà mai soddisfatto dopo la perdita della vicinanza con Dio. Il desiderio di potenziare le proprie facoltà è sintomo di dominio ed è una connotazione tipica dell’umano, la Bibbia tratteggia ciò che è anche proprio dell’uomo contemporaneo con la bramosia di oltrepassare i suoi limiti. A ben vedere il frutto odierno è rappresentato dalla scienza e dalla tecnologia in grado di fornire all’uomo ciò che vuole, ma similmente all’umanità primitiva il rischio è quello di scoprirsi nudi e soli e di aver fatto esperienza di un’infelicità morale. Con questo concetto non si vuole assolutamente demonizzare il progresso, ma piuttosto mettere in guardia sulla scaltrezza di chi lo dirige e sull’uso che di esso si può fare. È sempre il brano genesiaco ad insegnare che il limite, segno della fragilità dell’uomo, ha assunto un’accezione negativa solo dopo il peccato originale mentre prima era percepito come possibilità d’incontro, di apertura
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Il limite, segno della fragilità dell’uomo, ha assunto un’accezione negativa solo dopo il peccato originale mentre prima era percepito come possibilità d’incontro, di apertura all’altro e di completamento con l’altro.
all’altro e di completamento con l’altro. Restano comunque aperti degli interrogativi a fronte di queste riflessioni: nella pluralità di linguaggi e di pensiero è possibile trovare un punto in comune in modo che l’intelligenza artificiale e il progresso siano realmente a
servizio dell’uomo e non il contrario? Come invertire il processo decisionale basato solamente sui profitti economici? O ancora al livello psico- filosofico ci si chiede: come placare l’inquietudine morale dell’uomo?
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In cineteca
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Cosa mi lasci di te Titolo originale: I still believe Produzione: Usa, 2020 Durata: 116 min. Genere: drammatico, biografico Regia: Erwin Brothers Benedetta Frigerio, su La Nuova Bussola Quotidiana, ci ha presentato un film che è una vera storia d’amore che attira le anime a Dio. L’originale, I still believe, ha più espliciti riferimenti alla fede e a Dio. Ma anche la versione “laicizzata”, Cosa mi lasci di te, che si può trovare su Amazon Prime, è meritevole: la ragione della gioia e della mancanza di paura di fronte alla malattia e alla morte, può essere solo la fede. Il dolore e la sofferenza innocente che inducono ad arrabbiarsi con Dio e che mettono a dura prova la fede del protagonista sono un’esperienza profondamente umana, universale. Si tratta della vita di Jeremy Camp, un cantante americano, figlio di un pastore protestante, che tra varie vicissitudini si innamora di Melissa Lynn, profondamente credente, con cui intesse una relazione piuttosto tormentata. Poi un cancro, un miracolo, la musica, il matrimonio e il male che ritorna, la fede messa alla prova e ancora la musica (musica cristiana, che
è la grande passione di Jeremy) e la preghiera. Il vero Jeremy Camp è uno dei cantantautori di musica cristiana più famosi in America. Tra i suoi più grandi successi ricordiamo Take You Back e Lay Down My Pride, Open Up Your Eyes. I still believe è il titolo del libro autobiografico che ha scritto nel 2011 e della raccolta dei suoi greatest hits pubblicata l’anno successivo.
aprile 2021
In biblioteca Con Giussani. La storia & il presente di un incontro Mons. Luigi Negri Ares
La filosofia cristiana Uno sguardo sintetico sugli ambiti del pensiero Stefano Fontana Fede & Cultura
L’Autore, arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio, ha partecipato sin dalle origini al Movimento di Comunione e Liberazione fondato da don Giussani, del quale è stato uno dei più stretti collaboratori. Per mons. Negri, è stato un padre: lo si comprende leggendo queste pagine che raccontano alcuni dei momenti più significativi del rapporto fra i due attraverso i quali emergono sia l’insegnamento di Giussani sia importanti vicende del Movimento di CL. È una memoria viva perché, per chi scrive, la familiarità con il «don Gius» continua nella comunione dei Santi, secondo «una intimità di amicizia che solo Dio conosce», come ha scritto Giussani nel messaggio di auguri inviato a mons. Negri in occasione dei suoi sessant’anni.
Più che un libro di storia della filosofia, è un libro col sistema della filosofia. Ecco perché è diviso nelle sei parti principali della filosofia (ontologia, gnoseologia, teologia, antropologia, morale, politica). Con un linguaggio accessibile, pur cercando anche una certa precisione tecnica, i contenuti sono esaminati organicamente. La successione dei sei moduli, con l’inizio dall’ontologia, già esprime un disegno: chi avrà la pazienza di leggere potrà notare l’organicità e i richiami reciproci tra le varie parti. Non è un libro di ricerca, è un libro di (buona) compilazione e divulgazione.
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Dal 1962 approfondimenti, inchieste, notizie e molto altro. Scoprilo in edicola tutti i mercoledì Diretto da Maurizio Belpietro