8 minute read

Vuoto

Elisabetta De Luca

Le riflessioni di una giovanissima studentessa universitaria (ha appena 18 anni) sulla più grande e ingiusta discriminazione in atto oggigiorno, in questa società “dell’inclusione” e della “tolleranza”: quella contro i Cristiani

Advertisement

Non sapevo di far parte di una minoranza in via d’estinzione, anche perché molto probabilmente non lo sapevi neanche tu. Che l’ondata di becera e modernista globalizzazione ci abbia ormai attanagliato fino a stritolarci, corrodendo ogni aspetto della nostra quotidiana esistenza individuale, è ormai un innegabile dato di fatto oggettivo e risaputo. Chi riesce a negarlo è semplicemente omertoso e consapevole complice della distruzione in corso: ignorarlo sarebbe impensabile e, ad oggi, impossibile.

Bersaglio preferito delle vessazioni incessanti del web, e più in generale nel mirino della stessa società, sembriamo esserci proprio noi: i Cristiani.

Per contenere e riportare ogni offesa non basterebbero intere ore, perché, del resto, vilipendi e ingiurie aventi a oggetto la fede sono oramai divenute una costante all’ordine del giorno. C’è chi ci accusa di idolatria, chi ci ritiene

causa di tutti i mali del presente e di ognuna

delle catastrofi del passato. Ne abbiamo di tutti i gusti: da chi ci ha eletto fautori dell’odio e della discriminazione sociale - ormai uniche piaghe da combattere in questo sistema malato e distorsivo della verità (ma sarà mai davvero così?) - fino a chi, con un gusto così cattivo da lasciare esterrefatto ogni ascoltatore, ci accusa del mancato progresso delle stesse istituzioni. Nelle scuole la situazione non migliora affatto. Ricordo ancora con una punta di tristezza e di amarezza, ma soprattutto con sano disprezzo, quanto siano stati duri gli anni del liceo. Quando a 12 anni non capivo

perché non potesse esserci un crocifisso

appeso al muro dell’aula, quando non capivo, e continuo tutt’ora a non farlo, in un candore tutto mio che non trova ancora risposte, in che modo un mero simbolo possa mai turbare la sensibilità altrui. Ricordo ancora tutte quelle volte in cui ero messa a tacere durante le lezioni di filosofia perché, riporto testualmente quanto mi sentivo dire: «Una persona di fede come te non potrà mai riuscire a pensare in un modo filosoficamente valido». In quel limbo di imposto silenzio, mi sovvenivano le più belle parole di sant’Agostino, sant’Anselmo, san Tommaso (chissà come mai, scartati dai programmi didattici della mia classe per una sedicente mancanza di tempo), finanche dello stesso Dante, e di qualsiasi altro uomo di vera fede, da Galilei a Pascal, da Plotino a Manzoni, da Seneca a Leibniz, che da sempre hanno innalzato e coniugato la

filosofia, l’arte, la scienza, la letteratura e persino la matematica, con la più preziosa

e costante ricerca di Dio, come se Fede e Scienza fossero dunque per davvero due ali

Fede e Scienza sono due ali di uno stesso corpo, che volano nella stessa direzione, quella della Verità, e che vibrano all’unisono, l’una in funzione dell’altra, senza mai sovrastarsi, ma pronte a sostenersi in un bagliore di reciproco amore

di uno stesso corpo, che volano nella stessa direzione, quella della Verità, e che vibrano all’unisono, l’una in funzione dell’altra, senza mai sovrastarsi vicendevolmente ma pronte a sostenersi in un bagliore di reciproco amore.

Svuotare la scuola dalla fede permane uno degli errori più imperdonabili e atroci che

si possano commettere. La negazione di un intrinseco spirito guida, che ci accompagni nelle scelte quotidiane e che come un daimon socratico custodiamo dentro di noi, permane l’aberrazione più delittuosa che possa essere perpetrata. Il materialismo gretto e meccanicistico che pervade il nuovo ordine del mondo ci risucchierà con sé fino a sconfinare nell’abisso. Ed è proprio in questi tempi così difficili che innalzare i vessilliferi segni della propria fede diventa sinonimo di un incendiario amore, nonché al medesimo tempo, si configura come la più tortuosa delle ambagi e la più ardua delle missioni.

Molti vogliono che i simboli cristiani siano tolti dalle scuole. Ma a una ragazza islamica chiederanno mai di togliere il velo?

Non ho mai trovato risposte sul perché si

cerchi con ogni mezzo di svuotare il mondo

dalla presenza di Dio: ravvisare la mano della creazione di Dio in ogni creatura sembra essere diventato un pensiero strambo, ribelle e rivoluzionario. Affidarsi a Lui nei momenti di angoscia viene additato come un gesto scriteriato e ingiustificato. La preghiera stessa viene derisa, nell’apparente trionfo di quelle bestemmie così difficili da estirpare, ormai divenute banali intercalari. Sentiremo risponderci: «Sai com’è, ci sono abituato», nascondendo dietro un insignificante e ancor più spaventoso pretesto una delle più gravi forme di abominio, blasfemia e degradazione mai umanamente concepita. Ascolto ormai sdegnata e consumata dalle mie paturnie chi cerca fieramente di imporre la razionalizzazione di tutti quei costumi sociali a loro dire «ingabbiati dalla religione cattolica», di chi pretenderebbe di imboccare il modernissimo e progressista pertugio della secolarizzazione, congiuntamente a una turpe laicizzazione forzata di ogni tradizione e istituzione. Ma questo ci appare senz’altro come un cammino certamente non privo di sarcastiche contraddizioni. Fa riflettere e lascia a questo proposito attoniti l’eclatante e terrificante pretesa dell’Università di Torino di nascondere crocifissi, altarini, santini e medagliette durante le sessioni di esami a distanza. Il motivo? Ci permane ancora oscuro. Voi che ne dite? Intimerebbero mai a una ragazza islamica di non indossare il suo hijab durante l’esame? O chiederebbero mai a un ragazzo ebraico di non portare il suo copricapo a lezione? E se l’annientamento dei simboli cristiani non fosse stato concepito in nome di una millantata e livellante uguaglianza, bensì finalizzato all’esclusiva eradicazione della religione cattolica dal cuore dell’Italia? Ai posteri l’ardua sentenza.

A 12 anni non capivo perché non potesse esserci un crocifisso appeso al muro dell’aula, al liceo ero messa a tacere durante le lezioni di filosofia

La colpa di essere maschio

Claudio Vergamini

Una delle cose che mi piace dello smartworking è il non dover fare le corse per mangiare durante la pausa pranzo. Mi preparo un bel piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e me li mangio appena spadellati ascoltando il TG... Ma quella notizia me li fa andare per traverso: con tutti i problemi che abbiamo in Italia, c’è chi ha sollevato un “grave” problema relativo ai ministri del Pd al governo. E quale era? Non erano stati scelti i migliori? No, il “grave” problema è che nessuno dei tre è donna. “Notiziona” considerata da Tg. La cosa, in realtà, non mi stupisce, dopo

anni e anni di pestaggio mediatico anti-

maschile senza contraddittorio. Gli uomini di solito non sanno, o non osano, rispondere a tono: come pugili suonati, balbettano e barcollano goffamente, mentre dicono che stanno facendo di tutto per aumentare il numero delle donne dappertutto, addirittura uno ha dato la colpa al premier della scelta, rimediando l’oscar della pessima figura.

Si dà per scontato che donne siano vittime, gli uomini prevaricatori e non è ammessa prova contraria: si sono creati dei veri - ridicoli - stereotipi.

Possibile che non c’è nessuno che reagisca energicamente e dica cose semplici, del tipo: «A noi interessa che si parli della qualità dei Ministri, se sono capaci o meno, del loro sesso non ci interessa nulla»? Possibile che non c’è nessuno che affermi una cosa semplicissima, e cioè che, se in molti posti che contano, ci sono uomini, forse se lo sono meritato, hanno lavorato bene e se lo sono sudato? Ma possibile che è così inconcepibile che chi è di sesso maschile possa avere dei meriti? Possibile che nessuno ha il coraggio di ribadire che essere di sesso maschile non è una colpa? Possibile che nessuno faccia notare che se i Ministri Pd fossero state tre donne, non ci sarebbe stato uno, dico uno, che avrebbe lamentato una mancanza di rappresentanza dell’altro sesso? Le donne sembra che, dappertutto, sempre e comunque, subiscano la prepotenza degli uomini, che le discriminerebbero, per puro divertimento, in ogni dove: e nessuno osa fiatare, anche se le cose non stanno affatto così.

La ragionevolezza vorrebbe che il 100% dei posti dovrebbe essere riservata ai più bravi, a prescindere dal sesso

Un esempio? Guardiamo la famosa “troika”, che è costituita da Bce, Fmi e Commissione Europea: hanno a capo Christine Lagarde, Kristalina Georgieva, e Ursula Von der Leyen. Se ci fosse questo famoso “soffitto di cristallo” di cui si va cianciando da molto tempo, come è stato loro possibile raggiungere tali posizioni? Un’altra obiezione che nessuno fa è la seguente: ma se ci sono meno donne nelle istituzioni, non potrebbe essere anche dovuto al fatto che potrebbero essere molti di più gli uomini tra i candidati interessati a rivestire i vari incarichi? Se ci fossero 100 posti e ci fossero 900 candidati uomini e 100 candidati donne, le vere “pari opportunità” di cui si riempiono la bocca in tanti prevederebbero che agli uomini vengano dati 90 posti e alle donne 10, in modo che ognuno dei candidati abbia il 10% di possibilità di riuscita. Se si fa 50 e 50, come vogliono le ridicole “quote rosa”, gli uomini avrebbero il 5,5% di possibilità e le donne il 50%. Ma la

ragionevolezza vorrebbe che il 100% dei posti dovrebbe essere riservata ai più bravi.

La cosa che fa più ridere di questa vicenda è che, nello scenario politico italiano, l’unica donna leader di partito, Giorgia Meloni, è presidente di uno dei partiti meno incline ad assecondare questo vittimismo femminista, a dimostrazione che il “soffitto di cristallo”

è solo un’invenzione di chi non vuole

riconoscere i meriti degli uomini: le donne, quando sono valide, possono tranquillamente emergere e farsi largo.

Mi piacerebbe che ci fossero più uomini

reattivi a questa mentalità deprimente, anche per tutelare tutti quelli in buona fede che, dovendosi sorbire questa propaganda a senso unico, finiscono per sviluppare quello che gli psicologi chiamano “senso di colpa senza colpa”. E invece mi pare che la migliore difesa delle ragioni degli uomini, la sento fare da due grandissime donne come Costanza Miriano e Silvana De Mari: due donne alle quali affiderei volentieri il Paese, molto più che a certi uomini.

This article is from: