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I pro life e i vaccini
Tommaso Scandroglio
Un appello all’unità, nonostante su certe questioni ci siano prese di posizione molto diverse
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Ci risiamo. Ennesimo scontro all’interno del mondo pro life al calor bianco. Questa volta il pomo della discordia sono i vaccini “contro” il Covid-19. Da una parte c’è la fazione contraria all’uso dei vaccini provenienti da feti abortiti perché mancano le circostanze legittimanti. Dall’altra abbiamo la fazione favorevole al loro uso perché tali circostanze sono presenti. Le scomuniche spesso sono incrociate. I primi tacciano i secondi di essere cripto-abortisti, di fare il gioco del nemico, di non aver compreso che l’aborto è un malum in se, con cui è vietata qualsiasi forma di collaborazione, di sollevare questioni di lana caprina sulla pelle dei bambini. I secondi li accusano di non comprendere un’acca di morale, di essere ideologi alla rovescia, di ragionare più di pancia che con la testa, di non essere fedeli al Magistero, di essere colpevoli di moltissimi morti per Covid. Una realtà relativamente piccola come quella dei pro-life è dunque capace di grandi conflitti interiori. È «l’aiuola che ci fa tanto feroci», per dirla con Dante. C’è da ritenere, con fondata ragionevolezza, che il peggior cancro in seno alla galassia
italiana dei pro-life e pro-family sia la
divisione. È ormai da decenni che il virus della mormorazione, dello scontro privato o pubblico, dall’alterco spinto quasi all’insulto è diventato pandemico ed è stato la causa di sdegnate scissioni, di orgogliose prese di distanza, di porte sbattute in faccia verso coloro i quali, un minuto prima, erano stati amici con cui si son fatti insieme convegni, libri e marce. Spesso, spessissimo poi tutto questo accade per questioni bagatellari (non è il caso dei vaccini). Veri e propri litigi da cortile, pettegolezzi però stillanti veleno. Infatti il discrimen, ogni volta, non è tanto la vexata quaestio di turno: oggi tocca ai vaccini, ieri è toccato alla Marcia per la vita, o alla campagna Uno di noi. Il nervo scoperto non è mai
l’oggetto della controversia, ma i soggetti
coinvolti nella controversia. Il punto è la
superbia. Sempre più spesso manca l’umiltà di ascoltare veramente l’altro e, anche quando l’interlocutore rimanesse nelle sue posizioni, difetta la capacità di superare questa differenza di vedute al fine di conservare i rapporti di amicizia, o di stima, o comunque di buon vicinato, indispensabili per trovarsi nuovamente uniti su altre battaglie. Questo accade perché si vuole dimostrare in ogni modo e con ogni mezzo che si ha ragione e l’altro torto. Ma anche Nostro Signore non è sempre “riuscito” a convincere gli altri. In realtà si vuole difendere la propria persona, non la propria tesi. Sentirsi dire che si ha torto configura sempre un gravissimo atto di lesa maestà, intollerabile, imperdonabile, urticante, degno solo di scomunica, perché tutti noi, ai nostri occhi, siamo sempre migliori degli altri, anzi siamo i migliori. Il giudizio critico
sulle idee viene non di rado percepito come giudizio critico sull’intera persona.
E così la controversia che verte sui principi o sulle strategie, da un piano oggettivo trascende sul piano soggettivo. Se sul primo piano non bisogna fare sconti - non dobbiamo di certo mentire per compiacere l’altro -, sul secondo piano occorre sempre ricordarsi che val più la carità di qualsiasi altra cosa. Principio ben noto: cercare la verità, ma nella carità. E tutto questo presenta un conto anche sul piano operativo: è il personalismo esasperato a mietere insuccessi uno dietro l’altro nelle campagne pro-life. E intanto il Diavolo, che letteralmente vuol dire «divisore», se la ride. Cosa fare per evitare questa guerra fratricida, per evitare così tante vittime del fuoco amico? Per chi si occupa di certe tematiche in modo pubblico - social compresi -, se è possibile, bisognerebbe trattare dei temi caldi senza fare nomi e cognomi e bandendo sberleffi e toni intrisi di acida ironia. Se non fosse possibile omettere nomi e cognomi, citare la persona che ha detto e fatto qualcosa da noi non condiviso, ma, subito dopo aver fatto ciò, che le nostre parole riguardino sempre il tema oggetto della controversia e null’altro. Per tutti e sempre: evidenziare anche gli aspetti positivi della tesi che si avversa e ancor
Il nervo scoperto non è mai l’oggetto della controversia, ma i soggetti coinvolti nella controversia. Il punto è la superbia
prima, se possibile, tacere. Sì, tacere. Quando si nota che il nostro interlocutore ormai si è arroccato su una posizione inamovibile, quando gli animi si accendono oltre il dovuto, quando si percepiscono i primi scricchiolii che potrebbero mandare in frantumi un rapporto di amicizia e stima, tacere o cambiare discorso. Infine prediligere una prospettiva di ampio respiro. Se il nostro punto di osservazione diventerà l’eternità che ci aspetta e la gloria infinita di Dio, oppure - ma è dire la stessa cosa seppur a rovescio - l’abisso nel nostro peccato e l’infima consistenza del nostro essere, tutto riacquisterà la sua dimensione reale. Per grazia di Dio siamo chiamati a volare alto, più in alto della minutaglia polemica che spesso avvelena i nostri cuori. Allora sta a noi scegliere: aquile o polli da cortile?