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La storia di Rosa
Angela Pappalardo
La testimonianza di una bioeticista, responsabile del Centro di Aiuto alla Vita Santa Gianna, a Cava dei Tirreni.
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Questa è la storia, rigorosamente vera, di un salvataggio da un aborto già programmato. Naturalmente sono stati cambiati i nomi e alcune circostanze che potevano far individuare i protagonisti.
https://drive.google.com/file/d/1w2BZRS6Yfs4tW8KAmUbsbhRWOQ41CegT/view 1/1
Accade spesso di doversi improvvisare “detective per la vita”. Fu necessario anche quella volta. Avevamo ricevuto una notizia in forma anonima e misteriosa: Rosa, già madre di un bambino di un anno, stava per ricorrere all’aborto volontario, e per completare l’“iter della morte” le mancava solo la visita anestesiologica. I dati in nostro possesso erano ben pochi: il nome - tra l’altro piuttosto comune - il fatto che avesse capelli lunghi, ricci e scuri, e il suo lavoro come cameriera in una pizzeria o ristorante. Noi volontari per la vita ci mettemmo subito al lavoro: sapevamo che non era molto semplice, anche perché nel richiedere informazioni naturalmente non potevamo svelare il motivo della nostra indagine.
Questa storia è tratta dal libro Abbiamo detto sì di Angela Pappalardo, ediz. Punto Famiglia. In esso sono raccolte 18 storie vere di mamme che hanno rinunciato all’aborto già prenotato in ospedale. Il loro «Sì» alla vita è scaturito dall’incontro con i volontari del Centro di Aiuto alla Vita che le hanno rese pienamente consapevoli del gesto che stavano per compiere, e che hanno saputo dimostrare loro empatia e solidarietà, hanno saputo condividere i loro problemi. Nel testo è compreso anche un commento alla legge 194 che permette l’interruzione di gravidanza in Italia. Il ricavato della vendita del libro (prezzo € 9,00) verrà interamente utilizzato a beneficio di donne incinte in difficoltà.
Impiegammo qualche giorno tra stressanti ricerche (quante pizzerie e ristoranti nella nostra città!) e finalmente ricevemmo un’informazione preziosa da una collega di Rosa: la giovane mamma abitava in una frazione, nei pressi di un ufficio postale. Mi recai da sola presso la sua abitazione, che tra l’altro non era neppure molto distante dalla zona dove abito io. Dopo aver chiesto un po’ in giro, individuai la casa di Rosa: aveva un aspetto piuttosto fatiscente, e vi si accedeva tramite una lunga scala un po’ in pendenza. Devo ammettere che ero un po’ timorosa,
ma fui accolta con una certa cortesia e familiarità: non mi furono fatte molte domande, e anzi sembrava quasi che già ci
conoscessimo. Ci fermammo a parlare nel piccolo soggiorno, mentre nella stanza accanto si sentiva una voce di uomo discutere animatamente, col sottofondo di un lamento di bimbo. Rosa aveva il grembiule da cucina annodato in vita, e l’atmosfera era piuttosto tesa: forse non era il momento più opportuno per una visita, ma c’era una vera e propria urgenza, un’emergenza per la vita. La giovane donna andò a prendere il bimbo nella stanza accanto e, restando in piedi mentre lo cullava tra le braccia, sembrava ascoltarmi. Mi resi conto che avevo poco tempo, ma riuscii a farle vedere l’immagine di un cuoricino di un embrione di sole tre settimane, tratta dall’opuscolo La vita umana prima meraviglia, che porto sempre con me in queste occasioni. «È il cuore del bambino che stai aspettando: questo tuo nuovo figlio è unico e irripetibile fin dal primo istante del concepimento…». Rosa aveva gli occhi lucidi, ma mi accennò che stava attraversando un momento davvero difficile, da cui non sapeva proprio come uscire; anzi, asserì che non c’erano vie di uscita, e che io non avrei potuto aiutarla in alcun modo. «Ahi, ahi», pensai, «le cose si stanno mettendo veramente male per il nuovo arrivato»: ma non mi sarei certo arresa facilmente e, assicuratami che per l’intervento di aborto c’erano comunque ancora quasi due settimane di tempo, chiesi e ottenni un nuovo incontro.
In realtà tornai dopo appena due giorni perché sapevo che non sempre ci si può fidare delle date di prenotazione. Questa volta Rosa mi accolse con un po’ più di freddezza, continuava a ribadire che oramai la decisione era presa, ma poi a poco a poco mi aprì il suo cuore. Venne fuori, tra gli altri, il grosso problema della dipendenza dal gioco da cui era affetto il marito, e di conseguenza il mare dei debiti che inesorabilmente stava crescendo davanti ai loro occhi. «Quelle terribili macchinette che fanno uscire i soldi», continuava a ripetere Rosa, «mi stanno portando via mio marito e la pace della mia famiglia!». La giovane mamma continuava a raccontarmi dei tanti debiti, e di conseguenza delle tante incomprensioni, anzi di veri e propri scontri col marito, fino ad arrivare, pochi mesi addietro, al proposito di separarsi. Paolo però non si rassegnava a perdere lei e la sua famiglia, e prometteva di smettere. Alla fine, nel vedere il marito supplichevole, si era arresa, credendo che
stesse cambiando. Pura illusione: continuava a “tradirla” con quelle “dannate macchinette per
fare soldi”, come continuava a chiamarle. Intanto, l’amore ritrovato aveva dato i suoi frutti con un nuovo bimbo in arrivo. Rosa però aveva subito pensato: «Figuriamoci, con i debiti, i contrasti col marito che comunque continuavano, in tutta quella instabilità, con tutti quei problemi… questo nuovo figlio era proprio uno scomodo intruso, che proprio non ci voleva». Anche questa volta si sentiva discutere animatamente nella stanza a fianco: lei mi spiegò che si trattava del marito che litigava con i suoi genitori, sempre per problemi di tipo economico. Confesso che ebbi un attimo di timore e di esitazione, ma poi dal mio cuore uscirono di getto queste parole: «Rosa», le dissi, «in tutta questa situazione, in tutto questo buio, vedo un’unica luce, ed è dentro di te, e viene proprio dal figlio che attendi. Vedrai sarà la tua vera forza, la tua speranza per una vita più piena e veramente felice». Me ne andai promettendole che sarei ritornata, e che avrei cercato di aiutarla concretamente.
Per aiutare le madri a scegliere per la vita ci sono due preziose armi: consegnare alla mamma la consapevolezza - smarrita in un momento di difficoltà - che si tratta di un bambino, suo figlio, e dimostrare concreta solidarietà.
Scesi di corsa le scale, col cuore gonfio dei tanti problemi di Rosa, ma con gli occhi pieni di speranza. Dovevo agire presto: quel giorno di maggio, giorno dell’“esecuzione”, cioè dell’aborto volontario, si stava avvicinando inesorabilmente. Mi attaccai subito al telefono per informare amici, volontari per la vita e non, di quella situazione. Predisponemmo così subito un “piano” di aiuti concreti per Rosa. E così fu: i debiti di Rosa e del marito in parte
vennero alleggeriti, e così anche i loro cuori!
I due coniugi si sentirono presto più tranquilli: quei gesti di solidarietà, anche se non sufficienti a risolvere completamente i loro problemi economici, avevano acceso in loro nuove speranze, e quel bambino poteva ora cominciare a contare su una giusta accoglienza. Infatti, in una amena serata di metà maggio, la bella mamma dai lunghi capelli neri e ricci ci comunicò la magnifica notizia: non si sarebbe più recata in ospedale per abortire. Circa sette mesi dopo nacque una bellissima bambina. Ci mantenemmo in contatto, e incontrammo Rosa anche qualche anno dopo: ci disse che in realtà i problemi economici in parte si erano ripresentati, ma lei era comunque più serena, e trovava sempre la forza giorno per giorno nei suoi figli. E, nel mentre ci parlava, stringeva a sé con tenerezza la più piccola.
Ci presentò con orgoglio la piccola Donatella, il cui volto bello e paffutello, incorniciato da folti ricci, somigliava molto a quello della mamma.
Nulla faceva trapelare quell’antica e terribile decisione. Evidentemente, le mamme che hanno cambiato idea riguardo al proposito di abortire, vogliono tenere lontano quel doloroso ricordo. Del resto, l’importante è scegliere sempre per la vita e, come ci dimostra anche questa storia, ci sono due preziose armi per sventare un aborto: consegnare alla mamma la consapevolezza - smarrita in un momento di difficoltà - che si tratta di un bambino, suo figlio, e dimostrare concreta solidarietà.