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Quando i bambini andavano a scuola da soli
Claudio Vergamini
“Amarcord” di un tempo spensierato in cui i bambini crescevano e imparavano a vivere con semplicità
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Prima della pandemia ero stato invitato a un compleanno. La cena si svolse in un ristorante a Monte Mario, poco distante dalla scuola dove feci gli ultimi tre anni delle elementari, i primi furono nella vecchia scuola, poi dismessa. Quando andai a parcheggiare, nelle sue vicinanze, non potei fare a meno di rivedere, proiettato nella mia mente, il film di quegli anni della mia infanzia spensierata.
Ho ripensato a quante volte, uscito da scuola,
tornavo a casa, o salendo sui bus a noi riservati, che ci avrebbero accompagnato direttamente alla piazza, davanti alla parrocchia, da dove ognuno sarebbe tornato a casa, oppure facendo il tragitto di ritorno a piedi con i miei compagni di scuola, dove si rideva, si scherzava, ci si “sfotteva”, si faceva a gara a chi arrivava prima alla sbarra che delimitava una strada interdetta al traffico, si giocava a pallone con la prima lattina che si trovava per terra... Ho rivissuto nella mia mente quando allungavo il tragitto per andare a vedere, con occhi sognanti, una stazioncina di servizio per macchinine al negozio di giocattoli, e mi sono chiesto cosa avrà pensato il giocattolaio, vedendomi praticamente tutti i giorni, alla solita ora, un po’ come fanno i gatti quando vengono a cercare da mangiare. Mi ricordo anche di quando suonavamo ai citofoni e rispondevamo con sonore pernacchie, per poi scappare alla velocità della luce facendo delle sgommate pazzesche e consumando mezza suola delle scarpe, specialmente quando, un giorno, una signora anziana si affacciò gridandoci: «Se v’acchiappo, ve stacco la testa!».
Camminando sul marciapiede per arrivare al ristorante ho anche ripensato ai vari personaggi
naif che non di rado incontravamo, tra i quali, per esempio, una signora che abitava nella casa di fronte alla mia e che, un bel giorno, pensò bene di uscire con un coltello da cucina in mano.
Oltre alla signora, che oltretutto veniva spesso a farci visita a casa, c’erano anche diverse persone che stavano a Santa Maria della Pietà, che era nelle vicinanze, e che ospitava persone inferme di mente, alcune anche poco raccomandabili, le quali giravano per strada e facevano, a pieno titolo, parte del quartiere; e non ho potuto fare a meno di ricordare quando andavamo a scuola calcio, e dovevamo passare proprio all’interno di Santa Maria della Pietà: anche qui, non di rado, noi bambini eravamo da soli, senza genitori né accompagnatori, ma solo con la voglia di stare in compagnia e di divertirci insieme. Certo, poteva capitare di incontrare qualche ragazzotto un po’ prepotente, o, come è successo a uno degli amici, di essere rincorsi e azzannati ai glutei da un cane probabilmente randagio e non vaccinato, o di trovare qualche giornaletto pornografico lasciato per terra chissà da chi. E mentre rivedevo questo film, mi sono chiesto tante volte perché mai i bambini di oggi non possono fare nemmeno mezzo metro da soli. Lo so, le situazioni rischiose ci sono sempre, come ce n’erano all’epoca, e io stesso in una circostanza rischiai grosso. Però di quegli anni ho il ricordo della spensieratezza con cui andavo per il quartiere, anche da solo, imparando a conoscere, uno per uno, tutti i negozianti di zona, a ricordarmi i nomi di tutte le strade, senza quindi essermi mai perso nemmeno una volta. Ho imparato anche ad attraversare la strada senza incappare in situazioni di pericolo, e le macchine c’erano anche allora e gli incidenti non mancavano: ricordo ancora quando, vicino a casa mia, una moto fece un volo impressionante perché urtata da una macchina che non osservò la precedenza. All’epoca mia madre era casalinga, quindi di tempo per accompagnarmi a scuola, a calcio, a nuoto, a catechismo, dagli amici, etc. ne aveva, e qualche volta lo ha fatto, ma, saggiamente, molto spesso, mi lasciava andare da solo.
Andando in giro da solo ho imparato a non avere timore del quartiere e degli altri, ad avere un minimo di autonomia, a responsabilizzarmi.
Questo mi ha insegnato a non avere timore
del quartiere e degli altri, ad avere un minimo
di autonomia, a responsabilizzarmi, per esempio quando mi mandava a comprare il pane, il latte, il giornale, e controllava che non mi sbagliassi col resto. Ora mi domando se un bambino di oggi è capace di andare a comprare qualcosa e di trovare la strada del ritorno senza usare le mappe sul cellulare. Sento dire da tanti genitori che all’epoca si poteva fare, oggi no, e ripenso a tutte le volte che ho camminato, da solo, o con gli amichetti, sui marciapiedi o in zone sterrate, con accanto una consistente quantità di siringhe, e i nostri
genitori lo sapevano, ma ci hanno insegnato
cos’erano e a non toccarle. A quei tempi il problema della droga era veramente sentito, e ne girava non poca, e, come oggi, c'era un po' la fobia dei pedofili: ci raccomandavano di non prendere caramelle dagli sconosciuti perché poteva esserci la droga dentro, solo che non mi ricordo uno che sia stato uno che mi abbia offerto una caramella...
Mi chiedo se proteggere sempre i bambini da qualunque situazione sia la cosa migliore.
Ho ripensato quando, qualche volta, o sul bus, o per il quartiere, ci scappava qualche scazzottata (e io non ero né Mike Tyson, né Bruce Lee), o quando qualcuno ci sgridava per qualche marachella andata storta, oppure quando, qualche tempo dopo, mi trasferii in una periferia dove, per andare a prendere il latte, dovevo andare alle case popolari spesso al buio, in contesti da film noir, con in giro ceffi inquietanti: sarebbe stato meglio se mia madre fosse stata lì, oppure ciò mi ha messo in condizione di sviluppare i miei anticorpi, di vincere la paura, di affrontare con coraggio il futuro? Chissà se, tra 20 anni, nel tragitto per andare a una festa di compleanno, ai futuri quarantenni brilleranno gli occhi e prenderà un dolce nodo alla gola rivedendo il film di quando erano bambini, come è preso a me.