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Nutrire il malato con scienza e carità
Anna Porrelli
Nel cinquantesimo anniversario della morte, ricordiamo Giancarlo Rastelli, nato a Pescara il 25-06-1933, internista, cardiochirurgo e ricercatore, fervente cattolico, di quelli che integrano perfettamente la vita, la fede e la professione, con specchiata coerenza. Negli anni Sessanta, dopo aver vinto una borsa di studio, visse negli Stati Uniti e lavorò presso la famosa Mayo Clinic, dove fece due importantissime scoperte: Rastelli I e Rastelli II, tecniche operatorie sui vasi sanguigni. Si ammalò (per cause di servizio) nel 1964, di ritorno dal viaggio di nozze e - senza mai lamentarsi del suo male, e continuando a vivere e a lavorare intensamente fino alla fine - morì nel 1970. Fu sepolto ad honorem nella cappella universitaria del cimitero di Parma, sua città d’adozione, accanto a Pietro Giordani. Sulla lapide sta scritto: «Vita mutatur, non tollitur». Il 30 settembre 2005 la Santa Sede ha concesso il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione.
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«Anche se sai di avere pochi minuti per la visita all’ammalato, entra, siediti accanto a lui, sorridi, prendigli la mano. Incontralo come fratello di un comune destino, non come un numero o come un carcerato dell’Ospedale! [...]». A proferir parola è Giancarlo Rastelli,
medico, ricercatore brillante nel campo della
cardiochirurgia che ha saputo inabissarsi nel cuore del malato fino a tradurne, perfettamente, i vitali palpiti. Un monito, il suo, impregnato di saggezza, così fortemente inzuppato di considerazione umana da sembrare la ferma esternazione dell’iterato e silente grido di un sofferente verso il proprio curante.
«Gian era stato educato in famiglia ai principi della fede cristiana, e questi principi e questi ideali, vissuti in maniera gioiosa, adulta, senza pietismi ma con profonda convinzione, sono stati la bussola e i mezzi di discernimento di tutta la sua vita» (Umberto Squarcia).