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Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato Lenin
Periodico comunista di politica e cultura n. 3/2016 - anno XXV
Contro la strategia del capitale Il compito della classe operaia non è salvare il capitalismo dalla sua crisi e dalle sue armi di distrazione di massa, ma salvare la classe lavoratrice e le masse popolari dal capitalismo
I salari e i diritti dei lavoratori sono sempre più sotto attacco, la disoccupazione cresce, nonostante i numeri della propaganda governativa, sono poche le industrie rimaste in seguito alla delocalizzazione. Renzi si gongola della sua politica antipopolare di tagli, decurtazione dei salari e precariato perché attrae investimenti esteri, ma i capitalisti stranieri si appropriano delle imprese italiane per chiuderle o ristrutturarle per renderle più competitive con conseguente riduzione del personale. Privatizzazioni dei servizi pubblici, compresa la sanità (con tutte le conseguenze che ricadono sugli operatori e sui pazienti), Jobs act e accordo sulla rappresentanza, firmato con la complicità dei sindacati confederali, eliminazione delle tutele sindacali, repressione sui luoghi di lavoro dove aumentano i ritmi e si tagliano le pause, lavoro precario, libertà di licenziamento e più sfruttamento sono misure che eliminano gli ostacoli ai capitalisti e ne aumentano i profitti. Per portare a compimento il disegno capitalista il governo Renzi - del quale è degno rappresentante - deve ricorrere alle riforme istituzionali e costituzionali. Per cambiare l’Italia è vero, nel senso di renderla sempre più barbara come gli Stati Uniti. Ma mano libera ai capitalisti non è prerogativa italiana. Le riforme delle riforme fanno parte della politica europea. Dopo aver affamato i portoghesi, gli spagnoli, i greci - dove continuano massicce lotte e scioperi oscurati dai mass-media a sostegno di Tsipras - tocca alla Francia. Paesi retti da governi che si definiscono di sinistra ma agiscono come la destra, sono governi reazionari quindi basta col considerarli di sinistra e stupirsi delle loro scellerate scelte antipopolari, questa paternità gli va tolta. Solo che la Loi travail vede, a differenza dell’Italia, scioperare tutte le categorie e scendere milioni di lavoratori, giovani e studenti nelle piazze in difesa dei propri diritti e per salvare lo stato sociale. Mobilitazioni che si scontrano con la repressione, aumentata considerevolmente dopo gli attacchi terroristi, ma rivolta solo contro le proteste. Evidentemente i sindacati francesi sono meno condizionati dai partiti di governo che invece sono molto presenti nel nostro paese dove l’offensiva del capitale è favorita dalla concertazione tra governi, Confindustria e sindacati che, invece di mettere in moto la classe per la difesa delle conquiste storiche, cercano di frenare le poche lotte isolate causando passività, sottomissione e rassegnazione. La strategia del capitale e dell’imperialismo è chiara. Il capitalismo è in una fase sempre più profonda della sua crisi, deve crescere la sua aggressività militare e, con l’alibi della lotta al
terrorismo, ogni tipo di violenza, la deriva fascista, il ricorso alla repressione e all’offensiva antipopolare. Viminale e Palazzo Chigi stanno lavorando ad un decreto legge sulla “sicurezza urbana” per dare più poteri ai sindaci di intervenire su un settore finora affidato a prefetto e questore. Ulteriore tassello, insieme alla legge sulla rappresentanza che dovrebbe sancire l’accordo vergognoso tra Confindustria e sindacati e la nuova legge sugli scioperi, per tentare di chiudere la bocca a chi si oppone. In questo contesto si inseriscono la promozione e le campagne anticomuniste. Persecuzioni, condanne, divieti contro i partiti comunisti ricorrono in tutti i paesi. Solo qualche esempio: in Polonia, dove si sta realizzando una “Aegis Ashore”, l’installazione terrestre del sistema missilistico Usa già costruito in Romania, militanti del Partito comunista sono stati condannati a 9 mesi di carcere, molti al lavoro sociale obbligatorio e a multe per la diffusione delle loro idee sul giornale Brzack. In Ukraina il Partito comunista è al bando e la giunta golpista e nazista con il pretesto del rafforzamento della sicurezza nel mar Nero si allea con il governo fascista turco, e privatizza le terre, una manna per le multinazionali dell’agricoltura. La politica anticomunista è adottata ufficialmente dalla UE che equipara nazifascimo e comunismo nascondendo persino il ruolo dell’Urss nella vittoria sul nazismo (l’87% dei giovani tedeschi, inglesi e francesi lo ignorano) per mantenere questa società marcia e moribonda in una presunta libertà e democrazia occidentale, a tutto vantaggio degli Stati Uniti che accrescono la loro influenza sugli alleati europei. Influenza che spazia dal campo culturale a quello militare (si intensificano le esercitazioni NATO), a quello economico e che trova, pur con qualche contraddizione, terreno fertile. Membri della UE come Svezia, Finlandia, Danimarca (in prima fila contro gli immigrati) - lodati da Washington per il loro mantenimento delle sanzioni contro la Russia - sono forti sostenitori del Ttip. La candidata Clinton, infatti, definisce la collaborazione USA-UE il “maggiore scopo strategico dell’alleanza transatlantica”. Ovvero non un’alleanza con la UE, ma un blocco politico, militare ed economico sotto comando statunitense che, con Israele e le petromonarchie si affermi sulla cooperazione Russia, Cina, Iran e qualsiasi paese si contrapponga ai diktat di Washington. La crisi del capitalismo è evidente dalla crescente aggressività militare (e relative spese sottratte dal sociale) delle forze imperialiste che non pongono limiti al controllo delle materie prime
e dei mercati. Aumentano gli scenari di guerra, risorsa del capitale per superare la crisi e ciò comporterà maggiore sfruttamento e peggioramento delle condizioni di vita. La classe operaia sempre più oppressa, ricattata, minacciata se organizza scioperi, da anni non è capace di organizzarsi per intensificare la sua guerra di classe e rispondere a quella che gli ha dichiarato la borghesia. Dimostrando la sua debolezza sarà condannata alla schiavitù. Il suo compito non è quello di salvare il capitalismo dalla sua crisi e dalle sue armi di distrazione di massa, ma salvare la classe lavoratrice e le masse popolari dal capitalismo con l’unità di classe - fuori dalla logica del proprio orticello - e con lotte decise e incisive. Cambiare profondamente e radicalmente il sistema sociale che rende i poveri sempre più poveri mentre l’1% diventa sempre più disgustosamente ricco è la sola soluzione. Ma per portare a compimento questo progetto è necessario che la stessa classe diventi protagonista del suo futuro sia sul piano sindacale che su quello politico attraverso la ricostruzione del proprio partito. L’autentico Partito Comunista basato sulle teorie di Marx, Engels, Lenin, il solo in grado di organizzare la rivoluzione proletaria e di costruire una società socialista senza padroni né sfruttamento.
ll rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici e la lotta di classe Scioperare è necessario ma bisogna farlo su obiettivi che ci portino avanti e non indietro, su una piattaforma che preveda aumenti salariali veri, riduzione dell’orario di lavoro, ripristino dei diritti e dello stato sociale! pagina 2
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lavoro
Il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici e la lotta di classe
Scioperare è necessario ma bisogna farlo su obiettivi che ci portino avanti e non indietro, su una piattaforma che preveda aumenti salariali veri, riduzione dell’orario di lavoro, ripristino dei diritti e dello stato sociale! Eraldo Mattarocci Il settore metalmeccanico, nonostante il forte ridimensionamento subito, rimane con il suo milione e seicentomila addetti il più numeroso comparto industriale del nostro paese. È pertanto ovvio che ad esso e alla capacità di lotta che questi lavoratori esprimono, guardino tutti quelli che, come noi, si battono per un profondo rinnovamento sociale. Ma proprio a causa di queste aspettative - spesso la lettura che viene data della categoria e della sua organizzazione sindacale più rappresentativa - la Fiom, quale avanguardia nella lotta di classe, non corrisponde al vero o quantomeno non vi corrisponde più in questa fase. Anche i metalmeccanici, infatti, risentono della situazione generale che vede i lavoratori sotto l’attacco delle politiche padronali e governative caratterizzate da disuguaglianze sociali crescenti, annullamento dei diritti, riduzione dei salari reali e negazione della democrazia in azienda. È questo il contesto in cui la categoria va al rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro e le piattaforme rivendicative presentate in maniera divisa, una da Fim e Uilm ed una dalla Fiom, ma praticamente identiche, si adeguano alla logica del modello di relazioni industriali proposto da Federmeccanica che prevede sostanziali deroghe a livello aziendale anche sui contenuti economici e sulle dinamiche salariali. Si tratta, di fatto, di un congelamento dei salari a livello nazionale unito ad una distribuzione di aumenti e di benefit di welfare aziendale (Fondi pensione e Fondi sanità) nelle
sole imprese in cui si registri un aumento di produttività. Con questo passaggio si sancisce la fine del CCNL e, visto che la contrattazione di secondo livello riguarda poco più del 20% delle aziende, si lascia mano libera al padrone nella maggioranza dei posti di lavoro. Se sulla volontà dei dirigenti di Fim e Uilm di compiacere Federmeccanica non avevamo dubbi, un po’ ci stupisce il ribaltamento della politica seguita dalla Fiom dal 2008 in poi. Non solo si allinea ma, come tutti i pentiti, va oltre e, nella sua piattaforma, rivendica l’istituzione di un Fondo sanitario privato, funzionale ad un ulteriore ridimensionamento del Servizio Sanitario Nazionale, così come rivendica l’applicazione dell’accordo del 10 gennaio 2014 sulla rappresentanza. È lo stesso accordo che, al momento della stipula da parte di Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, Landini denunciava come liberticida in quanto espropria i lavoratori del diritto di eleggere liberamente i propri rappresentanti, nega la libertà di sciopero e di lotta, sanziona chi contrasta un accordo sottoscritto dal 50% + 1 dei delegati o dei sindacati con il 50% + 1 degli iscritti. Come ben scrivono i lavoratori della GKN nel documento votato dall’assemblea, in cui invitavano le altre realtà lavorative a votare contro la piattaforma della Fiom “l’attuale proposta di rinnovo contrattuale Fiom a nostro avviso apre a: - la logica delle tutele crescenti tipiche del Jobs act, considerando la disponibilità a non applicare l’articolo 18 ai nuovi assunti “per un periodo da convenire”; - la logica dell’accordo del 10
gennaio sulla rappresentanza che contiene concetti come esigibilità degli accordi, deroghe al contratto nazionale e clausole di raffreddamento; - apre, implicitamente, al contratto nazionale Fim e Uilm, visto che non si specifica se l’attuale rinnovo avviene sulla base del contratto unitario 2008 o su quello Fim e Uilm del 2012; - il sistema della plurisettimanalità e/o dei 18-20 turni finisce per farci lavorare il sabato e la domenica come fossero giorni normali, con grave ricaduta sul terreno della socialità, del salario, della famiglia e del reale diritto al riposo;
- le nuove assunzioni in regime di Jobs act sono di fatto regali alle aziende e possono essere trasformate rapidamente in licenziamenti, mentre i nostri diritti vengono persi per sempre; - le aziende passano rapidamente da “picchi” produttivi a dichiarare crisi e a portare via le produzioni, mentre un cambio dell’orario di lavoro strutturale ci priva definitivamente di pezzi della nostra vita”. Il 20 aprile c’è stato uno sciopero indetto unitariamente da Fim, Fiom e Uilm, il primo da otto anni a questa parte. Lo sciopero ha avuto successo e noi abbiamo gioito della capacità di mobilita-
zione che i metalmeccanici hanno conservato, nonostante i tempi e le sconfitte subite. Ad altri scioperi e manifestazioni saranno chiamati poiché le trattative per il rinnovo del CCNL si sono interrotte: o perché, come insegna la storia del movimento operaio, al padrone i cedimenti non bastano mai o perché, ai sindacalisti, non sono state date sufficienti garanzie di conservazione del proprio ruolo. Una volta di più i metalmeccanici scenderanno in piazza convinti di fare la loro parte e proprio qui sta il problema perché, scendendo in piazza a sostegno delle piattafor-
me rivendicative di Fim, Fiom e Uilm che sanciscono un peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, non fanno i propri interessi ma quelli dei burocrati sindacali e di Federmeccanica. I lavoratori metalmeccanici, così come i lavoratori di tutte le altre categorie, devono ritrovare la propria autonomia di classe sganciandosi dai padroni e dai loro servi: scioperare è necessario ma bisogna farlo su obiettivi che ci portino avanti e non indietro, su una piattaforma che preveda aumenti salariali veri, riduzione dell’orario di lavoro, ripristino dei diritti e dello stato sociale!
Luigi Mara ci ha lasciato Con profondo dolore abbiamo ricevuto la notizia della scomparsa di Luigi, nostro amico e compagno di lotta in tante battaglie. Alcuni di noi hanno conosciuto Luigi nel 1976, dopo lo scoppio di un reattore dell’ICMESA di Seveso di proprietà della Hoffman-La-Roche di Basilea da cui fuoriuscì la nube di diossina che investì il territorio circostante, un crimine di pace come lo definì la rivista «Sapere» e il dott. Giulio Maccacaro fondatore di Medicina Democratica con Luigi Mara. Essi furono i primi a denunciare la multinazionale Roche per l’avvelenamento del territorio che provocò danni immensi agli esseri viventi devastando il territorio con la diossina e altre sostanze cancerogene. Luigi Mara (laureato in chimica e biologia), sempre in prima fila nella lotta per la difesa della salute in fabbrica e nel territorio non si è mai fatto affascinare dalla scienza dei padroni e dai vantaggi che da questa poteva ricevere, ha fatto una scelta di campo e di vita al servizio della classe operaia e proletaria. Si è sempre occupato della salute e dell’ambiente nei processi produttivi, delle condizioni operaie di lavoro e di prevenzione dei rischi, delle nocività e dell’inquinamento ambientale. Alla fine degli anni ‘60 è stato uno dei lavoratori del “Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale” del consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza (VA). Luigi era un tipo sanguigno che non aveva paura di manifestare i suoi sentimenti, come quando affermò pubblicamente - in un’intervista alla RAI, a caldo, subito dopo l’assoluzione dei manager della Franco Tosi nell’aprile 2015, lui, uno dei consulenti delle parti civili - “Per i giudici non esistono le morti per amianto, questo palazzo è un cancro”. “Sembra che finora abbiamo solo scherzato - aggiungeva - viene solo voglia di vomitare”. Con Luigi abbiamo partecipato a manifestazioni, convegni, seminari… Luigi era anche consulente del nostro Comitato, di Medicina Democratica, di AIEA e recentemente siamo stati spesso insieme in tribunale a Milano, condividendo la rabbia per le assoluzioni dei manager nei processi dell’Enel di Turbigo e della Franco Tosi di Legnano responsabili della morte per amianto di decine di lavoratori, e la gioia perché finalmente le vittime, con la condanna dei dirigenti assassini della Pirelli di Milano, avevano avuto un poco di giustizia. Nel momento del dolore ci stringiamo alla sua famiglia, alla figlia, l’avv. Laura Mara - legale delle parti civili del nostro Comitato, di Medicina De-
Attenzione è cambiato il numero del cc postale Il nuovo numero è:
nuova unità, Firenze,
1031575507 mocratica e dell’Associazione Italiana Esposti Amianto - perché la loro perdita è anche profondamente nostra. Ciao Luigi, siamo orgogliosi di averti conosciuto e di aver lottato al tuo fianco. Luigi, chi ti ha conosciuto non ti dimenticherà; il tuo lavoro non andrà perso. Grazie per tutto quello che hai fatto per gli operai e gli sfruttati. Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio cip.mi@tiscali.it
http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com
Anche i compagni di “nuova unità” - che hanno avuto modo di rivedere Luigi in occasione dell’ultimo Congresso di Medicina Democratica tenuto a Firenze - si associano al dolore per la grave perdita di questo caposaldo della lotta in difesa della salute in fabbrica e fuori.
Se hai perso un numero precedente puoi sfogliarlo su www.issuu.com profilo nuova unità
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lavoro/salute
L’Inail condannata in Tribunale
Riconosciuto che la prescrizione della malattia professionale comincia da quando il lavoratore ne viene a conoscenza Nell’udienza del 21 aprile al Tribunale di Monza – sez. Lavoro - la giudice Francesca Capelli ha condannato l’INAIL a riconoscere la malattia professionale ad un ex operaio della Breda Fucine di Sesto San Giovanni colpito da un tumore alla laringe nel 1996. L’Inail si è sempre rifiutata di riconoscere al lavoratore Silvestro Capelli (difeso dall’avv. Laura Mara) la malattia professionale nonostante gli avesse riconosciuto nel 2006 l’esposizione all’amianto costringendo il lavoratore ad andare in causa per far valere i suoi diritti. Il Tribunale di Monza ha riconosciuto l’eziologia professionale fra cancro alla laringe e l’esposizione all’amianto con il 60% di danno biologico, condannando l’INAIL al risarcimento e alla costituzione di una rendita. La giustizia ha tempi lunghi, che purtroppo non hanno gli operai con patologie dovute all’esposizione all’amianto con attesa di vita limitata. Con la sentenza di oggi il Tribunale di Monza ha riconosciuto la malattia professionale finora negata dall’INAIL e per quanto tardiva finalmente un briciolo di giustizia è stato fatto, anche se siamo solo al primo grado di giudizio. La storia di Silvestro è una di quelle raccontate nel libro Amianto: morti di “progresso” di Michele Michelino e Daniela Trollio, appena uscito il mese scorso. Silvestro è un ex lavoratore della Breda Fucine SpA di Sesto San Giovanni (MI) in forza all’azienda dal 1975 al 1992 con mansioni di operaio presso i reparti “Macchinario” e “Aste Leggere”, come fresatore/alesatore/saldatore, costretto a lavorare in reparti con elevate concentrazioni di fibre di amianto. Nel 1995 è ricoverato presso l’ospedale Fatebenefratelli di Milano e gli è diagnosticata una neoplasia laringea. È operato il 2 gennaio del 1996 per una laringectomia totale che gli lascia un buco nella gola. I medici dell’ospedale non sono neanche sfiorati dal dubbio che potrebbe trattarsi di malattia professionale e, come succede spesso, omettono dal fare l’anamnesi lavorativa e la denuncia prevista per legge anche in casi di sospetta malattia professionale alle autorità competenti. A Silvestro, membro del Comitato Direttivo, il 10 ottobre 2006 viene certificata dall’INAIL l’esposizione all’amianto, come a tanti suoi ex compagni di lavoro. Lui decide di chiedere all’INAIL anche il riconoscimento della malattia professionale, dato che il Dirigente Medico del Lavoro e Ufficiale di Polizia Giudiziaria Laura Bodini così concludeva la sua segnalazione all’INAIL: “Spett. le INAIL… vi segnalo il caso del sig. Capelli Silvestro. che ha operato al reparto macchinario e … aste leggere dove veniva fatto largo uso di amianto. Sicuramente il sig. Capelli ha avuto una certa esposizione ad amianto… Allego anche l’estratto delle recentissime Linee Guida della Regione Lombardia (febbraio 1998) che indica la paralogia neoplastica della laringe tra le possibili patologie professionali dovute all’esposizione all’amianto”.
Il 28 febbraio 2003 l’Inail di Sesto San Giovanni respinge definitivamente la domanda di malattia professionale con la seguente motivazione: “Il caso viene definito negativamente perché non esiste un rapporto causale tra la lavorazione svolta e la malattia denunciata”. Alcuni anni dopo, nel 2012 – poiché il muro di gomma sull’amianto si sta sgretolando e gli studi scientifici riconoscono che ci sono molte altre patologie da amianto che prima non si riconoscevano come tali – Silvestro viene a conoscenza tramite il Comitato dell’esistenza della Monografia n. 100 dello IARC (Istituto Internazionale per la Ricerca sul Cancro, la massima autorità mondiale nel campo) che afferma che la neoplasia della laringe è associata ad esposizione amianto con evidente sufficienza. Il 7 gennaio 2014 Silvestro fa nuovamente domanda di riconoscimento della malattia professionale all’Inail di Sesto S. Giovanni, che il 16 luglio 2014 respinge nuovamente perché “sono trascorsi i termini di legge (art.112 DPR 1124/1965) per richiedere la prestazione”. Ecco, in soldoni, il ragionamento dell’Ente: il tumore di Silvestro, all’epoca in cui l’ha avuto, non era “tabellato” (cioè non faceva parte dell’elenco delle patologie da amianto riconosciute dall’INAL) e quindi i 3 anni e 150
giorni (come prevede la legge) che lui ha lasciato passare prima di inoltrare la richiesta (peccato che Silvestro non si sia mai comprato la boccia di cristallo per prevedere il futuro) fanno sì che tale domanda sia ormai in prescrizione. Quindi prima l’Istituto nega il nesso di causalità fra sua patologia e l’esposizione all’amianto e poi, quando la comunità scientifica la riconosce, respinge nuovamente la domanda perché sono ormai passati i limiti temporali previsti. Silvestro fa causa all’Inail sostenendo - con l’avvocata Laura Mara - che i 3 anni e 150 giorni (come stabilisce una postilla della legge) valgono da quando si viene a conoscenza che la malattia è di origine professionale.
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ciao Mauro
Da sempre attivo e intelligente militante sindacale Il saluto dei compagni e degli amici
L’11 aprile scorso è morto sul lavoro Mauro Miozzo, autista di una azienda di trasporti pubblici, compagno di tante battaglie, socio - insieme a altri lavoratori della stessa azienda - del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio e frequentatore del Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” di Sesto San Giovanni. Da sempre attivo e intelligente militante sindacale, era stato protagonista di un fatto per il quale, per i cittadini che ogni giorno prendevano i mezzi pubblici rappresentava una sicurezza, per l’azienda rappresentava invece una ribellione alle logiche del profitto che la guidano. Fatto, inoltre, che la dice lunga su quali sono i “valori” tanto sbandierati da molti.Scoperto uno squarcio nella gomma del bus che doveva guidare, si rifiutò fermamente di utilizzare il mezzo guasto, che metteva a rischio la vita dei passeggeri e la sua. Ottenuto un mezzo sostitutivo per trasportare gli studenti a scuola, invece di ricevere un encomio, l’azienda lo considerò un comportamento inaccettabile. Mauro, l’autista, fu addirittura punito con una multa, una decurtazione in busta paga di tre ore di stipendio: 36 euro in meno. L’azienda non poteva permettere che per Mauro la sicurezza venisse prima degli interessi aziendali e per questo fu punito. Mauro fece causa all’azienda e la vinse: l’azienda di trasporto pubblico
per cui lavorava, l’Asf, fu costretta anche a pagare 2.000 euro agli avvocati del proprio dipendente, per aver perso anche in secondo grado di giudizio la causa, intentata per pura questione di principio dall’autista. Infatti, come aveva scritto il presidente relatore della Corte d’Appello, “L’obiettivo dell’autista era garantire un trasporto sicuro ai passeggeri, non certo sottrarsi al proprio dovere per utilità personale, obiettivo del tutto coerente con l’interesse dell’azienda», e per questo fu assolto. Una battaglia esemplare, soprattutto di questi tempi, oltretutto perché Mauro era ben consapevole delle conseguenze. Ma per certe persone la coerenza, morale e politica, è un valore che non si può mai dimenticare.Lasciamo la parola ai suoi compagni e amici “Il 15 aprile c’è stato il funerale di Mauro, morto per un infarto lunedì 11 aprile nel bagno riservato ai disabili dell’officina di ASF Autolinee a Como Lazzago, locale adibito anche a suo spogliatoio. Tornato dal pranzo verso le 12,30, aspettava l’inizio del turno lavorativo pomeridiano alle 14. L’infarto l’ha sorpreso, solo. I primi colleghi a soccorrerlo alle 13,25 hanno tentato un massaggio cardiaco e hanno chiamato il 118 ma ormai non c’era più niente da fare. Al funerale, la chiesa era gremita di gente comune, perché chi gli ha voluto bene, chi ha ricevuto da lui un aiuto, si trattasse di problemi sindacali o di altro genere – ed erano tanti - era là a salutarlo per l’ultima volta. La moglie Patrizia e le figlie Eliana e Serena sapevano che, fra i tanti arrivati a dargli l’ultimo saluto, c’era anche chi con Mauro si era comportato in modo indegno. Perché Mauro era anche un delegato sindacale del SiCobas che si è sempre battuto per i diritti
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e gli interessi dei lavoratori e per la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, e certo non gli è stato d’aiuto - per un autista divenuto cardiopatico dopo oltre 30 anni di guida - il trasferimento in un altro luogo di lavoro, molto distante, anche perché, privato per la sua patologia della patente D/E, lo è stato poco dopo anche della patente B. Praticamente appiedato e costretto a un turno che lo teneva via da casa 12/13 ore al giorno per farne 7 di lavoro. Il suo coraggio e la sua coerenza, in un’epoca in cui diventa sempre più difficile dire no al padrone di turno, si è tradotto in una vittoria non solo in tribunale, ma anche nelle elezioni della RSU. L’essere un lavoratore, e una persona retta e determinata, l’ha portato negli anni a scontrarsi e i capi e capetti e con la direzione che, adesso che è morto, l’ha definito un elemento “corretto e prezioso” in un’intervista ad un quotidiano locale. Peccato che, in vita, l’abbiano costretto a innumerevoli vertenze di cui conserviamo fresca memoria”. “Quanto è difficile ricordare Maurino, tanto più scrivere di lui. Ci ha lasciato un vuoto immenso, ancor più pesante per me, che non sono credente e non ho speranza di rivederlo altrove, ma mi rimane – e non è poco, me ne rendo conto – il suo ricordo e il suo esempio. Chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscere Mauro, sa bene che era un uomo con un carattere molto forte, difficilmente gli facevi cambiare idea; sapeva tanto, non solo sugli argomenti e le passioni a lui molto cari - come la meccanica, i motori e l’elettronica, ma in generale su qualunque argomento o situazione, e sempre disposto ad usare queste conoscenze per
aiutare amici e colleghi. Purtroppo non sono stati in tanti, sul posto di lavoro, a sostenere Mauro, ma questo non l’ha mai fermato e, insieme, siamo riusciti a dare molto filo da torcere all’azienda e a vincere alcune battaglie. Questo è quanto spero riesca a riempire il vuoto che Mauro ha lasciato nella mia vita”. “Ciao Mauro: hai visto quante persone sono arrivate per salutarti? Un segno che fa capire che in tanti ti stimano e ti vogliono bene. Mauro, noi ragazzi del condominio ti ringraziamo per tutto quello che ci hai dato; sempre allegro e disponibile, sincero, leale e pronto ad aiutare chi te lo chiedeva. Sei stato veramente un punto di riferimento nel momento del bisogno e ci sarebbero ancora tante altre belle cose da dire di questi anni passati nel condominio con noi. Maurino, adesso che ci guardi dal cielo, dove sicuramente, conoscendoti, starai smontando qualcosa per ripararla o modificarla per stupire chi è lì con te, ti chiediamo ancora il grande favore di aiutare la tua famiglia e noi ad andare avanti senza di te, dandoci il coraggio e la forza che tu avevi nell’affrontare tutte le difficoltà della vita come hai sempre fatto. Ciao Mauro, un abbraccio sincero dai tuoi amici del condominio”.
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Tribunale Aja
Un’infame provocazione
Nel 17mo anniversario dell’aggressione NATO alla Jugoslavia, una condanna che sa di giustizia coloniale Pacifico Il Tribunale dell’Aja, costituito con la risoluzione numero 827 del 25 maggio 1993, ha condannato il 24 marzo scorso Radovan Kara-dzic (età 70 anni) a 40 anni di carcere per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, e per aver avuto un ruolo sostanziale nel “genocidio”, dei musulmani di Bosnia (il “massacro di Srebre-nica” e “l’accerchiamento di Sarajevo”), dopo un processo che ebbe inizio nell’ottobre 2009. La sentenza accerterebbe le responsabilità dell’imputato nel geno-cidio avvenuto nella piccola città Bosniaca di Srebrenica, ove, secondo le stesse ricostruzioni del tribunale, furono uccisi i ma-schi di “robusta costituzione” musulmani, implicando serie conseguenze nella procreazione della popolazione, che ne avrebbe potuto comportare l’estinzione. Il tutto anche se donne e bambini furono risparmiate. Inutile dire che ciò è semplicemente ridicolo. Ammet-tendo che i fatti, così come descritti dal TPI, siano successi davvero, è possibile dar loro la definizione di genocidio? Consi-derando il fatto che molti degli uomini musulmani che furono ucci-si a Srebrenica non erano nemmeno originari del luogo, come può un atto di guerra essere definito genocidio? Non entrerò nel merito del procedimento specifico, in quest’occasione vorrei solamente esprimere alcune riflessioni su chi giudica e su come si possono istituire tribunali ad hoc, in piena violazione del diritto internazionale. Con risoluzione 827 del 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da vita, operando nell’ambito dei poteri at-tribuitegli dal capitolo VII della Carta dell’Onu, al “Tribunale penale internazionale per perseguire i responsabili di gravi vio-lazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel terri-torio dell’ex Jugoslavia dal 1991”. Un Tribunale ad hoc che viole-rebbe i principi del giudice naturale. Trattasi di organo sussi-diario del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tuttavia non è sogget-to all’autorità o al controllo del Consiglio per tutto ciò che riguarda l’esercizio delle loro funzioni giudiziarie. Il Tribunale è composto da civili e non vi siede personale militare e sono forma-ti da tre organi fondamentali: corte, procuratore, cancelleria. L’organo giudicante si compone di due camere di primo grado per ciascuno dei due tribunali, formate ognuna da tre giudici e da una camera d’appello, formata da cinque giudici. La decisione di isti-tuire tale Tribunale, è stata fatta a seguito di numerose inizia-tive politiche e militari, ove la comunità internazionale è inter-venuta all’interno delle questioni jugoslave. Il grimaldello giuridico che giustificherebbe l’istituzione del TPI sarebbe il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, in-terpretato in senso molto largo, cioè allargando il potere del Consiglio di istituire organi giuridici, mentre fino ad allora era stato usato solo per implicare gli Stati ad azioni collettive im-plicanti o meno l’uso della forza. Sicuramente, una simile estensione dei poteri del Consiglio di Si-curezza non era originariamente prevista dagli estensori dello Statuto dell’Onu. Gli Statuti dei tribunali internazionali ad hoc indicano tra i crimini da perseguire, quelli già presi in conside-razione dai Trattati internazionali in materia e catalogano espressamente i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (ratione materiae) e fissano espressamente la competenza dei Tribunali stessi nei confronti di persone fisiche (ratione personae) che abbiano commesso crimini in periodi defini-ti di tempo (ratione temporis). La risoluzione con la quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituisce il Tribunale speciale per l’ex Jugoslavia afferma il principio secondo il quale il ricorso alla giustizia internazionale è mezzo imprescindibile per ottenere il ristabilimento della pace e della sicurezza. Tut-tavia sulla base di questo principio ogni volta che dovesse ripre-sentarsi una situazione di conflitto e la conseguente commissione di crimini di diritto internazionale, le Nazioni Unite dovrebbero istituire un Tribunale ad hoc per portare i responsabili davanti alla giustizia. Questo non avviene però sempre e regolarmente; in-fatti, la limitatezza dell’area geografica rispetto alla quale il Consiglio di Sicurezza ha ravvisato la necessità di istituire i Tribunali a fronte delle numerose altre aree del mondo in cui si sono manifestate
gravi violazioni del diritto umanitario, solleva il problema di una giustizia selettiva che risponde, secondo gran parte della dottrina, a esigenze politiche più che giuridiche. I tribunali ad hoc non sono, dal punto di vista giuridico, una solu-zione ottimale per garantire la punizione di fatti di rilevanza penale, perché si tratta di una giustizia ex post facto, istituita cioè dopo la commissione dei fatti. La giustizia internazionale penale non può essere costruita attraverso eccezioni al principio di “irretroattività della legge penale”. Per poter ritenere un soggetto penalmente responsabile occorre che egli sappia non solo che esiste una norma che sancisce un certo comportamento, ma anche che esiste un giudice incaricato di applicarla. Alla giustizia in-ternazionale parzialmente a posteriori è per questo preferibile l’istituzione di un Tribunale penale internazionale permanente. Caso vuole che i principali sponsor del TPI, gli Stati Uniti, sia-no allo stesso tempo coloro che hanno boicottato la Corte Penale Internazionale, istituita successivamente con lo Statuto di Roma nel 1998. Tornando al capitolo VII della Carta dell’Onu, in nessuno dei suoi articoli, in effetti, si da potere al Consiglio di Sicurezza di istituire dei Tribunali come misura
un abuso dei propri poteri, violando i principi base del patto as-sociativo regolato dalla Carta delle Nazioni Unite, nonché il principio della sovranità degli Stati, e dell’uguaglianza fra loro (“I Membri [delle Nazioni Unite] devono astenersi nelle loro rela-zioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qual-siasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”- art. 2 Carta dell’ONU). Ciò che colpi-sce di più dell’iniziativa del Consiglio di Sicurezza, è il fatto che l’istituzione del tribunale, e il conferimento di un potere giurisdizionale non vengono rimessi ad un accordo interstatale. Altro invece si deve dire se l’istituzione del tribunale avviene solo sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, e quindi sulla base di una decisione che coinvolgerebbe solo alcuni Stati, ad esclusione di quelli direttamente coinvolti, poiché in questo caso si verrebbe a creare la situazione di una decisione autoritaria nei confronti degli Stati esclusi (la risoluzione è stata cioè adottata dai soli 15 membri del Consiglio e non coin-volge gli Stati direttamente coinvolti). Gli Stati più direttamen-te coinvolti nel processo ad individui autori di crimini interna-zionali sono nor-
per contrastare la violazione della pace, o minaccia della pace, o aggressione. Il Consiglio si è insomma autoinvestito di un potere legislativo che non gli com-pete, sfruttando il proprio potere vincolante per porre gli Stati di fronte all’obbligo di accettare il fatto compiuto. La questio-ne fu sollevata subito dalla difesa di Dusko Tadic, che richiamava questioni di legittimità del Tribunale. Senza ripercorrere tutta la vicenda giudiziaria, ricordiamo in breve la sentenza del giuri-sta italiano Antonio Cassese, presidente della Camera di secondo grado, che con sentenza del 2 ottobre 1995 , stabilisce che il Tri-bunale afferma la propria competenza ad esercitare il controllo di legittimità sulle decisioni del Consiglio, motivandolo con l’esigenza di salvaguardare la stessa natura giurisdizionale del potere del quale è stato investito, non sussistendo nell’ordinamento internazionale alcun altro organo giudiziario in grado di farlo. In questo modo il Tribunale caratterizza nettamen-te gli organi giurisdizionali internazionali rispetto a quelli na-zionali, descrivendoli come organi che, non essendo ancora inqua-drati in un sistema giudiziario organizzato e unificato, sono “au-to-sussistenti” e quindi giudici di se stessi”. Si è cioè realiz-zato il paradosso di affidare il controllo dell’atto di un organo (quello del C.d.S. che istituiva il tribunale), ad un organo isti-tuito attraverso quello stesso atto. In base al diritto internazionale consolidato in norme consuetudi-narie o da convenzioni vincolanti, lo Stato impegnato nel conflit-to con un altro Stato (o altro ente di fatto) cui appartengono gli autori dei crimini di diritto internazionale, può sottoporre que-sti a giudizio e quindi eseguire l’eventuale condanna, durante il conflitto stesso. Come garanzia opera la reciprocità, anche se vi sono palesi rischi di parzialità . Ma si può dire la stessa cosa del TPI? Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (TPI) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Istituendo tale Tribunale prescindendo dalla sovranità e dal con-senso degli Stati coinvolti, il Consiglio di sicurezza ha commesso
malmente quelli che hanno la disponibilità dell’imputato, sui mezzi d’indagine, e maggiori possibilità di at-tuazione della condanna, in forza del rapporto organico o di cit-tadinanza che li lega agli imputati o alle vittime. Si tratta dun-que dello Stato di cui è organo o cittadino l’autore del fatto, di cui è cittadina la vittima o nel cui territorio il fatto è stato commesso. Cardine delle Nazioni Unite è la sovranità statale, che può essere limitata se e solo se vi è previo accordo tra le parti. Altrimenti si violerebbe la sovranità indipendenza degli Stati, che sta alla base del principio di non ingerenza negli affari in-terni. Inoltre lo stesso CdS (Consiglio di Sicurezza), non può oltrepassare gli specifici attributi che la Carta dell’Onu le da (art 24 della Carta). Ma questo pilastro è stato distrutto. Si passa dalla forza del diritto, al diritto della forza. In capo al CDS non vi è alcun Jus Puniendi (diritto a giudicare o condannare qualcuno), che è prerogativa del diritto dello Stato Sovrano. Nel sistema delle Nazioni Unite l’accettazione di obblighi internazio-nali da parte degli Stati è espressamente vincolato al rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio fonda-mentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di diritto internazionale, Alfred Verdross: l’ONU non ha sovranità diretta-mente sugli individui. In quest’ambito bisogna rispettare la so-vranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell’Onu sugli in-dividui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello Stato, è esclusa. Quest’aspetto è essenziale, è uno dei motivi per cui un’iniziativa come il TPI è da respingere come totalmente il-legale. Tuttavia, a giustificazione di quanto fatto, spesso si fa un pa-rallelismo col Tribunale di Norimberga, che però appare fuori luo-go. Quel tribunale si giustificava col fatto che i crimini commes-si dai nazisti fossero assolutamente unici e giuridicamente venne fondato sul fatto che lo stato tedesco si era totalmente estinto, per cui i poteri sovrani venivano esercitati in Germania dalle quattro potenze occupanti. Le basi del giudizio di Norimberga, e del giudizio di Tokyo degli altri processi instaurati dalle poten-ze vincitrici avevano una certa solidità, in quanto fondate sull’antica
consuetudine della punizione dei criminali di guerra nemici, e i loro Statuti erano emanazione delle potenze occupanti. Inoltre la punizione dei crimini contro l’umanità commessi dal Giappone e dall’Asse era stata ripetutamente preannunciata come ineludibile almeno dal 1941 ed era diventata vincolante e precisa con la Dichiarazione di Mosca del 1943. L’apparente retroattività delle norme fu giustificata con l’argomento che si trattava -almeno per i crimini di guerra e contro l’umanità - di fatto già previsti in ogni paese civile come delitto. Altra differenza con-siste nel fatto che in base all’art. 6 del Tribunale per l’ex Ju-goslavia, la competenza si limita alle persone fisiche. Ciò esclude non solo la materia dei crimini degli Stati, ma altresì la com-petenza sulle persone giuridiche e sulle associazioni che era in-vece sancita invece dagli art. 9 e 10 dello Statuto di Norimberga e dall’art. 5 dello Statuto di Tokyo. Altro pilastro su cui fanno leva i “partigiani” della presunta giustizia internazionale targa-ta NATO, è la cosiddetta Universalità della giurisdizione penale degli Stati per i crimini allarmanti, di particolare efferatezza: il concetto consiste nell’affermare che quei crimini siano sempre e comunque da perseguire da ciascuno Stato. Tuttavia ciò potrebbe avvenire se e solo se si ha una soglia di collegamento con lo Sta-to che pretenda di giudicare tramite norme consuetudinarie o di trattato. Il lettore si immagini altrimenti la babele di giurisdi-zioni concorrenti, almeno in un mondo dove tutti gli Stati siano tutti uguali. I partigiani della presunta giustizia internazionale che vede come madrina una donna chiamata Albright (che in una con-ferenza stampa giustificava la morte di mezzo milione di bambini iracheni causati dall’embargo contro la repubblica dell’Iraq) pe-rò, sanno benissimo come vanno le cose nel mondo reale. Costoro, in maniera alquanto pudica, sottintendono che l’universalità po-trebbe sussistere solo grazie alla presenza di Stati un po’ più uguali degli altri. Chi sono questi Stati? Naturalmente quelli che si autoproclamano civili, ovvero quelli occidentali, vale a dire quelli che predicano democrazia e libero mercato per la gioia im-mensa dei popoli del terzo mondo. Si potrebbe rammentare che le Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto bellico prevedono, per gli Stati parti, una obbligatoria universalità di giurisdizione per i crimini di guerra: ciò però solo davanti ai giudici dei contraenti. Non è prevista l’istituzione di
Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (TPI) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Istituendo tale Tribunale prescindendo dalla sovranità e dal consenso degli Stati coinvolti
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Tribunale Aja
un tribunale internazionale. In quest’ultimo caso si avrebbe una sorta di giudice speciale che giudicherebbe secondo i criteri del Diritto Penale del Nemico, con buona pace della pre-sunzione di innocenza. Il regolamento dello stesso tribunale è una vera delizia per tutti i nostalgici della Santa Inquisizione. Il tribunale appare sia un corpo legislativo sia giuridico. I giudici scrivono le regole della Procedura e possono altresì fare emenda-menti. La regola numero 6 inoltre precisa che il Presidente può apportare variazioni di sua iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici. In poche parole, costoro applicano le leggi che loro stessi scrivono! Quest’assenza di separazione della funzione dalla funzione legislativa da anche la possibilità ai giudici di interpretare le norme come meglio credono senza che ci sia sorta di controllo alcuno. Così si impedisce alla difesa ogni possibili-tà di poter contestare l’interpretazione, anche nel caso in cui l’interpretazione stessa dovesse risultare non corretta. Inoltre, il procuratore ha la possibilità di proporre emendamenti alla pro-cedura. In questo tribunale manca totalmente il concetto di doppio grado di giudizio, poiché i membri della prima istanza in un giu-dizio possono essere gli stessi nella seconda in un altro giudi-zio, si intuisce facilmente che per quieto vivere, non si contra-steranno mai. Inoltre, non vi è nemmeno un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Si fa uso di testimoni anonimi, senza che la difesa possa realmente confrontarsi con co-storo (l’articolo 75 del Rules of Procedure and Evidece stabilisce l’opportunità per il TPI di tener nascosta l’identità del testimo-ne, anche grazie l’uso di tecnologia che ne alterino il suono del-la voce durante il dibattimento, nonché negare la possibilità ala controparte di controinterrogarli. Altro principio che impedisce un confronto ad armi pari tra accusa e difesa), può rifiutarsi di ascoltare gli avvocati della difesa, può detenere i sospettati per 90 giorni prima di formulare le imputazioni. Inoltre l’art. 53 del regolamento indica la possibilità per il tribunale di non far co-noscere all’imputato il perché viene processato, tenendo gli ele-menti a suo carico nascosti. Questo è semplicemente inaccettabile. L’articolo 94 al paragrafo A del Rule of Procedure Evidence intro-duce il principio del fatto notorio. Lo scrivente ritiene tale scelta un vero e proprio azzardo, se non una provocazione, poiché nei fatti di Jugoslavia il ruolo dei media, e delle loro menzogne, ha fatto la parte del leone. A questo proposito si consideri l’eccellente lavoro di agenzie di comunicazione come Ruder&Finn Global Public Affaire, Hill&Knowlton, Saachi&Saachi, McCann&Erickson et Walter Thompson (queste ultime collaborano spesso con la CIA) è riuscito a creare l’immagine di vittime da un lato e di carnefici dall’altro, e a minimizzare l’orrore della guerra con la formulazione di slogan come “guerra umanitaria”, “a-zione di polizia internazionale”, “danni collaterali”. L’agenzia di comunicazione impiega una tecnica operativa, spesso mortale, tendente a piazzare il governo cliente in posizione vantaggiosa agli occhi del mondo. Gli schemi sono ripetitivi. Una campagna di martellamento diffamatorio viene lanciata nella stampa, dove una serie di rivelazioni ignobili sul comportamento della parte avver-sa crea un pregiudizio negativo che si ancorerà profondamente nell’inconscio collettivo. Un esempio: l’immagine del musulmano scheletrico dietro il filo spinato è rimasta istituzionale per rappresentare i nuovi nazisti. In realtà si trattava di un campo di rifugiati a Tiernopolje nella Bosnia serba, dove la gente era libera dei suoi movimenti. Infatti, l’équipe della televisione britannica ITN, che ha fatto lo scoop, si trovava dietro il filo spinato e aveva piazzato gli uomini intorno al luogo cintato dove stava per proteggere il suo materiale dai furti. James Harff, all’epoca direttore della Ruder Finn Glo-
bal Public Affairs, in un’intervista con il giornalista ed estra-dato a seguito di un mandato della canadese francese Jacques Mer-lino, riportata nel suo libro (Les Louise Arbour, pubbli-ca accusa al Tribunale penale vérités yougoslaves ne sont pas toutes bonnes à dire), internazionale per l’ex Jugoslavia, che ha emesso il parlando dei clienti nell’ex Jugoslavia, della strategia mandato di cattura per Milosevic sulla base di docue dei successi raggiunti, diceva: “Fra il 2 e il 5 agosto menti ricevuti il giorno prima da una delle due parti in 1992, il New York Newsday é uscito con la notizia dei cau-sa, il governo degli Stati Uniti. cam-pi. Abbiamo afferrato la cosa al volo e imme- Invece il generale croato Tihomir Blaskic affrontò il diatamente abbiamo messo in contatto tre grandi processo in una lussuosa villa protetto dalle sue guarorganizzazioni ebraiche: B’nai B’rith Anti-Defamation die del corpo. League, American Committee e American Jewish Il TPI non prevede nel suo Statuto forme di risarciCon-gress (...) l’entrata in gioco delle organizzazioni mento per in-giusta detenzione. Anche qui si nota un ebraiche a fianco dei bosniaci fu uno straordinario netto contrasto con quanto dice l’articolo 9 del Patto colpo di poker. Allo stesso tempo abbiamo potuto internazionale sui diritti civili e politici al comma 5 nell’opinione pubblica far coincidere serbi con nazisti dice: “Chiunque è stato vittima di arresto o detenzio(...) Il nostro lavoro non é di verificare l’in-formazione ne illegali ha diritto a un indennizzo”. (...) Il nostro mestiere é di disseminare le informa- La giustizia di un Tribunale ad hoc, è dunque quella di zioni, farle circolare il più velocemente possibile per una parte in causa contro l’altra: l’esatto contrario delottenere che le tesi favorevoli alla nostra causa siano la giustizia impar-ziale. Il TPI è uno strumento politico, le prime ad uscire (...) Quando un’informazione é buo- anzi di guerra, nelle mani della NATO contro l’ex classe na per noi, dobbiamo ancorarla subito nell’opinione dirigente della Jugoslavia dell’epoca. Lo stesso Jamie pubblica. Perché sappiamo molto bene che é la pri- Shea, portavoce Nato durante i bombar-damenti sulma notizia che conta. Le smentite non hanno alcuna la Jugoslavia, ammise che gli stessi paesi Nato sono i efficacia (...) Siamo dei professionisti. Abbiamo un finanziatori del Tribunale. A questi si aggiungono il lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per National En-dowment for Democracy, l’Open Society fare della morale. E anche quando questa fosse mes- e la Rockefeller family As-sociates, già note per il loro sa in discussione, avremmo la coscienza tranquil-la. “disinteressato” appoggio a rivolu-zioni colorate ed a Poiché, se lei intende provare che i serbi sono delle improbabili primavere in giro per il mondo. povere vittime, vada avanti, si troverà solo (...)”. Alcune violazioni concrete le vogliamo ricordare esplicitamente: il caso Djukic, il 30 gennaio 1996 venne rapito da truppe musulma-ne durante un viaggio di cui erano state messe a conoscenza le truppe IFOR della Bosnia centrale, e che poi fu trasferito All’Aia tramite Sarajevo, benSegnaliamo l’uscita del libro Cap. 4 – La lotta contro l’achè non ci fosse nemmeno Amianto morti di “progres- mianto in Italia e nel mondo l’ombra di un manda-to d’arso” che racconta le lotte del Cap. 5 – Solidarietà operaia resto all’epoca. Djukic, malaComitato per la Difesa della internazionale e nazionale to di cancro, non fu ritenuto Salute nei Luoghi di Lavo- Cap. 6 – La lotta contro il godegno di essere curato, per ro e nel Territorio e di altre verno, l’INAIL e l’INPS cui morì il 18 maggio 1996. associazioni in lotta contro Cap. 7 – Lavoro e/o salute? Sempre per negligenza del l’amianto, i cancerogeni e Cap. 8 – Conflitto sociale, soTribunale, Milan Kovacevic le stragi causate dal profitto lidarietà operaia e popolare, nella sua cella All’Aia, muore attraverso le testimonianze organizzazione. La lotta delle di crisi cardiaca . Il 5 gennadegli operai, i documenti vittime organizzate in Comiio 2006, soldati italiani delle processuali e lettere inedite tati e Associazioni: le stragi truppe Eurofor stanziate in dell’Aquila, di Viareggio e delfra Comitato e Inail. Bosnia, al momento dell’arIl libro si compone dei se- la Tricom di Tezze sul Brenta resto di Dragomir Abazovic, Il libro di 275 pagine e in guenti capitali: uccidono la moglie Rada, Cap. 1 – Non solo nelle piazze: vendita nelle librerie a inventandosi che La povera 19,50 euro (costo stabilito i processi penali Rada avesse tentato un’imSconfitte e vittorie: i casi Eter- dalla casa editrice) per gli probabile difesa armata di nit, Marlane, Enel, Franco Tosi, associati e gli amici del CoKala-shnikov. Peccato però, ThyssenKrupp, Fibronit, Can- mitato, per copie limitate, che nessun soldato risultò fegià disponibili il prezzo è 15 tieri navali, Montedison rito, e lei risulta uccisa con un Cap. 2 – Morti per amianto euro richiedendolo per tesolo proiettile. alla Pirelli: la condanna dei lefono ai n. 02 26224099 o Il 5 marzo 2006 si “suicida” 3357850799. manager Milan Babic, presidente della Cap. 3 – Breda: omertà, lotta, Krajna nel 1991 fino al 1995. solidarietà operaia, repressio- CENTRO DI INIZIATIVA PROEgli si era consegnato sponne LETARIA “G. TAGARELLI” taneamente al tribunale. Infine l’11 marzo 2006 muore Milosevic… che fu arrestato
1 Sulla ricostruzione dei fatti e sulle incongruenze delle accuse formulate dai giudici del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia rimandiamo a: Goran Jesilic Uomini e non uomini Zam-bon; AAVV Il dossier nascosto del genocidio di Srebrenica, La cit-tà del Sole. Inoltre segnalo gli articoli di Diana Johnstone http://www.counterpunch. org/2016/03/30/international-injustice-the-conviction-ofradovan-karadzic/ e di Nicola Bizzi http://press.russianews. it/press/finalmente-emerge-la-verita-su-srebrenica-i-civilinon-furono-uccisi-dai-serbi-ma-dagli-stessi-musulmanibosniaci-per-ordine-di-bill-clinton/ 2Prosecutor vs Dusko Tadic case no IT-94-1-AR72 3 Carlo Magnani, Il diritto dell’impero: tra ingerenza umanitaria e tribunali internazionali, La città del Sole Napoli 2001 p.16 4 Aldo Bernardini, La Jugoslavia assassinata, Napoli 2005 p.16 e ss. 5 Citato da Aldo Bernardini durante la Conferenza tenutasi All’Aja il 26 febbraio 2005 a cura dell’ICDSM (International Committee to Defend Slobodan Milosevic “The Hague Proceedings against Slobodan Milosevic: Emergine Issues in International Law” scaricabile pres-so il sito www.icdsm.org 6 per approfondimenti vedere l’articolo di Jurgen Elsasser reperi-bile dal sito www.jungewelt.de/2006/03-13/003.php 7 Andrea Martocchia Diritto e… rovescio internazionale nel caso Jugoslavo 11 Aprile 2015 apparso su www.marx21.it
Amianto morti di “progresso”
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note di classe
Un bilancio provvisorio, ma già pessimo Ovvero: come la “peggio scuola” sta distruggendo le scuole italiane
brugio Sta concludendosi il primo anno della “peggio scuola” e già possiamo osservare i primi, immancabili, effetti all’interno delle scuole italiane: il clima si è andato surriscaldando, il livello del conflitto è aumentato considerevolmente, la contrapposizione sta raggiungendo espressioni mai percepite negli anni precedenti, e tutto questo grazie alla Legge 107. Effettivamente, questa conflittualità latente fino a pochi mesi fa sta concretamente esplodendo, come se si fosse trattenuta in tutti questi anni di lenta passivizzazione: purtroppo, però, è una conflittualità che non si rivolge contro il Ministero e il Governo, ma ricade su se stessa, colpendo la categoria proprio là dove dovrebbe essere preservata, cioè nella costruzione del clima collegiale che si deve istaurare tra gli insegnanti/educatori e tutte le figure che operano nella scuola per rendere efficace e fecondo il processo di istruzione e formazione civile delle cittadine e dei cittadini. La carta costituzionale, che contiene queste indicazioni di principio negli articoli 3 [Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese], 33 [L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato] e 34 [ La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto
con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso] è da tempo sottoposta a torsioni di ogni tipo: le scuole private vengono finanziate con soldi pubblici da quasi vent’anni, le borse di studio sono praticamente sparite o per parteciparvi si utilizzano strumenti fasulli come l’ISEE, l’accesso al livello superiore dell’istruzione viene nuovamente precluso ai figli dei proletari e, sempre più, anche di molte famiglie del cosiddetto ceto medio, colpite pesantemente dalla crisi economico-finanziaria di questi otto anni, e si aprono percorsi di sostanziale descolarizzazione con l’alternanza scuola-lavoro, in cui le/i giovani studentesse e studenti vengono sbattuti in uffici o aziende a “sguatterare” senza alcun criterio se non quello di insegnare loro la “gavetta”, cioè la sottomissione al padrone e a non rivendicare mai i propri diritti di lavoratori. Abbiamo voluto citare i tre articoli della Costituzione del 1948 per ricordare lo spirito dei costituenti del ’46-47, che raggiunsero un compromesso storico-culturale altissimo per una costituzione borghese e i cui contenuti a ca-
rattere sociale e tendenzialmente egalitari ci vengono oggi rimproverati dalla J.P.Morgan (agenzia economico-finanziaria statunitense) che ha dettato l’agenda del Governo Renzi, estremamente zelante nell’obbedire al comando dei padroni, nazionali, europei, internazionali: i poteri economico-finanziari, le banche, Confindustria.
Legge 107 La Legge 107 ha dato il colpo di grazia: i finanziamenti agli istituti privati sono ormai strutturali, mentre il processo di aziendalizzazione delle scuole pubbliche si compirà nei prossimi anni, quando la riformaccia andrà a regime. La scuola del XXI secolo si caratterizza già per la lotta tra istituti allo scopo di accaparrarsi i fondi necessari alle attività, destinati a progetti strutturati su scala europea e a cui si accede esclusivamente con cordate di scuole: unica fonte di finanziamento per attività didattiche, molto spesso destituite di reale consistenza; un secondo aspetto è il processo di digitalizzazione che sta provocando, oltre alle forme di controllo stringen-
te sul lavoro, un vero e proprio analfabetismo di ritorno, in cui alla alfabetizzazione informatica (necessaria, senza dubbio, per le nuove generazioni) corrisponde un vuoto di conoscenze e di rielaborazione critica che allontana i giovani sempre più da un grado di consapevolezza come cittadini, figuriamoci dalla coscienza di classe; c’è poi la concorrenzialità, che si è impossessata dello spirito dei docenti e che viene rivolta verso se stessi provocando uno scontro interno che non rafforza, ma deteriora, la compattezza di categoria (figuriamoci la capacità di riconoscersi come figure proletarizzate): questo aspetto è aggravato dal mancato rinnovo del contratto nazionale, fermo ormai da sette anni, che Renzi-Giannini aggirano con mancette elargite per l’aggiornamento (cinquecento euro da spendersi in libri, teatri/cinema, ma soprattutto per strumenti digitali - computer, tablet, soft-ware: un vero affare per aziende e negozi!) o con il famigerato bonus economico attribuito dai presidi ai docenti che abbiano dimostrato capacità di innovazione e miglioramento nel lavoro, magari con-
fermate dai risultati degli alunni ottenuti con un sostanziale abbandono dello studio tradizionale (insomma, un premio di produttività, e magari anche di obbedienza al dirigente scolastico, oltre che di supina accettazione delle linee governative).
Lo strapotere dei presidi Per non parlare dello strapotere dei presidi: già stanno mostrando la faccia autoritaria con un fiorire di provvedimenti disciplinari contro chi non si allinea, strette restrittive e talvolta vendicative contro tutti coloro che fanno anche la minima resistenza, che si tradurranno nel ricatto di non riconfermare gli insegnanti dopo tre anni e quindi di farli transitare negli albi territoriali, cui ogni dirigente dovrebbe attingere per formare la squadra più adeguata al piano di offerta formativa triennale del proprio istituto. Sarà inapplicabile, ma intanto lo spirito pienamente aziendalista e la precarizzazione totale dei posti di insegnamento entra nella mentalità e nella con-
cezione organizzativa e didattica delle scuole. Ricordiamo inoltre l’assunzione dei precari a seguito della sentenza della Corte europea, stabilizzazione parziale e predisposta in modo da fornire alle scuole un pacchetto di persone letteralmente parcheggiate e utilizzate perlopiù come tappabuchi per sostituzioni e supplenze brevi, invece di diventare una risorsa per poter riorganizzare cattedre e orari di tutti i docenti. E non dimentichiamo neppure il fondamentale personale ATA (amministrativi, tecnici, ausiliari/ collaboratori scolastici): i tecnici di laboratorio sono stati tagliati del 30% con la riforma oraria della Gelmini, gli amministrativi hanno perso duemila unità con i provvedimenti della Legge di Stabilità 2015, i collaboratori scolastici sono sempre più ridotti soppiantati dai lavoratori ipersfruttati delle cooperative in appalto per le pulizie. Insomma, un bilancio tanto provvisorio quanto preoccupante. Al momento, abbiamo un’arma che è quello della raccolta delle firme per i quattro referendum abrogativi (contro lo strapotere dei presidi sulla riconferma e chiamata dei docenti, cioè contro l’assunzione diretta mascherata; contro lo strapotere dei presidi di attribuire il bonus economico a chi vogliono, scatenando conflitti e contraddizioni nel corpo insegnante delle singole scuole; contro l’obbligo delle 400/200 ore di alternanza scuola-lavoro; contro i finanziamenti provati alle scuole sia pubbliche che private, cioè una forma di benefit, con vantaggi fiscali per chi elargisce, che avvantaggerebbe le scuole frequentate da famiglie ricche e benestanti rispetto a quelle con un’utenza popolare e proletaria, accentuando, anziché rimuovere, le differenze economico-sociali e di classe) che nel mese di giugno vedrà un impegno massiccio per raggiungere le cinquecentomila firme necessarie per presentare i quesiti alla Corte Costituzionale. È il momento della campagna referendaria abrogativa, per costruire nuove lotte in vista del prossimo anno scolastico.
Lotta - Internazionalismo - Unità Avanti! Per il soddisfacimento dei bisogni attuali della classe operaia contro la povertà e le guerre generate dalla barbarie capitalista si terrà a Durban, in Sud Africa dal 5 all’8 ottobre 2016 il 17° Congresso Sindacale Mondiale organizzato dalla Federazione Sindacale Mondiale. Il Sud Africa è stato scelto paese come ospitante per riconoscimento e rispetto all’eroica ter-ra del Sud Africa e per espressione pratica della Solidarietà Internazionalista con il popolo di tutto il continente africano. Ecco i punti del documento di convocazione. Nell’epoca in cui la Classe Operaia Internazionale è aggredita da: La crisi capitalista internazionale Una crisi che intensifica la competizione spietata tra i monopoli e impone l’attuazione di politiche antilavorative e antipopolari che cercano di imporre il peso della crisi sulle spalle della mas-se lavoratrici. I diritti lavorativi, sociali e sindacali sono sotto attacco. Le privatizzazioni fioriscono e il tasso di disoccupazione è alle stelle. La qualità della vita va peggiorando. - Le contraddizioni interimperialiste che generano nuove guerre e conflitti Per il controllo delle risorse naturali, i mercati, le vie di
tra-sporto delle merci e il controllo di nuovi territori, la competi-zione tra le forze imperialiste e i loro satelliti si sta intensificando giorno dopo giorno generando nuove guerre, conflitti e interventi in diversi paesi. La ricostruzione della sfera politica I due poli principali, i socialdemocratici e i neoconservatori rappresentati da nuovi e vecchi soggetti, sono utilizzati dal sistema capitalista per trasformare l’indignazione delle masse contro le politiche antipopolari in un sostegno passivo o attivo alle politiche della classe dominante. La lotta della classe operaia e delle masse popolari in tutto il mondo Grandi lotte si sono sviluppate in ogni angolo del mondo negli ultimi anni. Molte di esse, grandi ed eroiche, si sono scontrate con la risposta brutale delle autorità e dei capitalisti, che hanno risposto alle giuste lotte con repressioni violente, detenzioni, carcere per i militanti e perfino assassini di sindacalisti. Le lotte operaie contro le politiche antilavorative e le politiche neoliberali antipopolari sono una prospettiva positiva che può a-prire nuove strade per la ricostruzione del movimento sindacale. La classe operaia necessita di un movimento sinda-
cale più forte, più dinamico, più di massa, con un maggiore orientamento di classe. Sindacati con radici profonde e stabili all’interno delle industrie, all’interno delle imprese multinazionali e di tutti i settori, per difendere i propri diritti e rivendicare “la soddisfazione delle sue attuali necessità, contro la povertà e le guer-re generate dalla barbarie capitalista”. Per andare “Avanti” con la lotta, l’internazionalismo e l’unità. Il 17° Congresso Sindacale Mondiale fa un appello ad andare “Avanti”, alla classe operaia internazionale e al movimento sindacale internazionale con orientamento di classe. Basato: - sui precedenti storici del successo del 16° Congresso Sindacale Mondiale realizzato ad Atene, in Grecia nell’aprile del 2011 con la partecipazione di 828 delegati da 101 paesi - sulla continua ascesa della Federazione Sindacale Mondiale, nel periodo 2005-2016, che oggi rappresenta 92 milioni di lavoratori in 126 paesi. La FSM sta organizzando un Congresso aperto, democratico, con o-rientamento di classe e internazionalista nell’eroica terra del Sud Africa. La Federazione Sindacale Mondiale e la classe opera-
ia del Sud A-frica hanno lottato fianco a fianco fin dal primo momento del regime razzista dell’apartheid, per un mondo senza sfruttamento del-l’uomo sull’uomo, per un mondo socialista e continuano oggi a lottare per la difesa dei diritti dei lavoratori e dei popoli. Il Sud Africa, la terra della eroica liberazione e della lotta an-ti-apartheid, la terra dell’eroica e militante SACTU, la terra di Moses Mabhida, J.B. Marks, Mark Shope e di migliaia di altri com-battenti noti o sconosciuti, la terra dell’eroica classe operaia sudafricana è pronta con tutto il cuore a ricevere i delegati del 17° Congresso Sindacale Mondiale, che giungeranno da tutte le par-ti del mondo per dibattere e decidere su: 1. La Relazione dell’attività della FSM nel periodo 2011-2016 2. La Relazione sulle finanze 3. Il Piano d’azione per il 2016-2020 4. L’elezione della nuova direzione della FSM Per maggiori informazioni, contattare le mail: in-fo@wftucentrale.org; internacional@wftucentral.org
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Russia
I “malvagi ‘90” continuano a creare povertà
L’1% dei russi ricchi possiede il 71% del patrimonio nazionale. E, allargando ancor piùla voragine, il governo ha deciso di privatizzare quote azionarie di imprese statali Fabrizio Poggi Non pochi si entusiasmano per la politica estera di Vladimir Putin. Il contenimento della sempre più aggressiva espansione della Nato a est non può che esser visto come positivo e, in ogni caso, è innegabile la svolta dalla completa genuflessione ai piedi di Washington dei “malvagi anni ‘90”. L’esplosione del “turbocapitalismo” di quel periodo aveva richiesto il completo assoggettamento ai dettami di FMI, Banca Mondiale e Wall Street, i cui apostoli Čubajs, Gajdar, Burbulis, Nemtsov (martire), Javlinskij & Co, avevano servito il battista Gorbačëv, prima di abbandonarlo per il profeta Eltsin. Ma, appassionarsi oggi per una presunta quanto inverosimile “assonanza” tra svolta nazionale putiniana e linee sociali ed economiche dell’ex Urss, significa cercare dove non è la bandiera per un rilancio del movimento anticapitalista, per il quale le forze di classe devono impegnarsi “qui e ora”. I semplici dati diffusi anche da quei vertici del PC zjuganoviano che tendono a separare le scelte del “governo liberale” dalla politica di “grandezza nazionale” del Presidente, smentiscono ogni illusione su un’altrettanto inverosimile linea di “welfare” putiniano. L’alfiere presidenziale Gennadij Zjuganov dichiarava, appena qualche mese fa, che “ho l’impressione che nel governo ci siano alcuni autentici sabotatori. Non si sono trovati 140 miliardi di rubli per l’assistenza ai “bambini della guerra” (i nati tra il 1928 e il 1945), ma si sono trovati 2 trilioni per i banchieri”. Gli slogan delle forze di sinistra tutt’altro che estremistiche ripetono “Dimissioni del governo liberale!” e “Abbasso il potere del capitale e dell’oligarchia!”. In effetti, al settembre scorso (ma la situazione è solo peggiorata), se la vice premier Olga Golodets parlava di un numero ufficiale di disoccupati prossimo al milione, il Comitato statale per le statistiche ne registrava 4,2 milioni, cioè il 5,5% della popolazione attiva, parallelamente all’aumento, nel 2015, dei prezzi dei prodotti alimentari in media del 30-35% rispetto al 2014. Tra crisi economica, crollo del prezzo del petrolio, sanzioni occidentali e bassi salari, cade la natalità e aumenta la mortalità per suicidi e alcolismo. Secondo il Ministero della sanità, nei primi 6 mesi del 2015 la mortalità era cresciuta del 5,2% rispetto al 2014, soprattutto tra le persone di età dai 30 ai 45 anni. Secondo l’OMS, l’aspettativa di vita tra le donne è di 75 anni, ma tra “gli uomini è di appena 63 anni, un anno meno che nel Ruanda”.
Niente a favore dei lavoratori Stando a Sovetskaja Rossija, scende il potere d’acquisto dei salari e, considerato il livello ufficiale di sussistenza pari a 10mila rubli, con oltre 22 milioni di persone considerate ufficialmente sotto la soglia di povertà e altri 30 milioni che arrivano a malapena a fine mese, i poveri rappresentano quasi il 35% della popolazione. Cinque milioni di russi prendono meno di 11mila
rubli (il salario medio nominale per l’intero paese a fine 2015 era pari a 42,6 mila rubli, mentre quello reale si è fermato a circa 34 mila rubli: si va dai 10mila delle regioni più povere agli oltre 300mila degli introiti ufficiali di funzionari pubblici e privati, senza contare i redditi di decine di milioni annuali dichiarati ufficialmente dai vertici governativi) e un 43,7% di russi guadagna da 10mila a 25mila rubli. A fronte di tanta povertà, cresce l’arricchimento di ricchi e super ricchi: il 10% dei russi più agiati è di 16,8 volte più ricco del 10% dei poveri. L’1% dei russi ricchi possiede il 71% del patrimonio nazionale. La Tass parla di un balzo dal 22 al 39% di famiglie con un reddito insufficiente all’alimentazione. Come scriveva il segretario del PC operaio russo Viktor Tjulkin, dopo la conferenza di Putin a fine 2015 “se si parla, come ha fatto lui, della necessità di sanare la ferita demografica inferta nel passato alla Russia, allora ci chiediamo: inferta da chi? Da colui in onore del quale Putin ha inaugurato il Centro a Sverdlovsk?”, cioè Boris Eltsin? “Fiorisce la ricchezza materiale di una ristretta cerchia di eletti. Dunque, non c’è nulla di nuovo e nessuna nuova ricetta a favore dei lavoratori”. Di contro, secondo Forbes-2014, dal 2004 a oggi il numero di miliardari russi è passato da 36 a 110, con redditi dichiarati fino a 18 miliardi $ e, nella classifica di Forbes, ci sono anche deputati, consiglieri e governatori regionali, ministri e sindaci. Secondo il Comitato statale per le statistiche, nel settore dell’insegnamento la media per l’intero paese è di 32mila rubli, con una forbice tra le diverse regioni da 15 a 65 mila rubli. Su tali cifre si attestano anche cultura e sanità: gli stipendi dei medici vanno dai 10 ai 15 mila rubli, di pari passo con una riduzione di quasi il 20% negli investimenti per sanità e istruzione. L’ultimo gradino salariale è occupato dal settore agricolo, con redditi medi di 15-17 mila rubli. “Ci sono tre tipi di bugie”, commentava tempo fa un lettore di Komsomolskaja pravda, “c’è la bugia, c’è la bugia sfacciata e c’è la statistica russa. Se per quest’ultima ci sono 16 milioni di poveri, economisti indipendenti parlano di 23 milioni. Se il salario medio statistico è di 35 mila rubli, in realtà non si arriva a 20 mila. Ma, ciò che più conta, c’è oggi un tale abisso tra ricchi e poveri come non si era mai visto”. E, allargando ancor più tale voragine, il governo ha deciso di privatizzare quote azionarie di imprese statali: ufficialmente per bilanciare la caduta dei prezzi dei prodotti energetici, principale voce delle entrate russe. Tra le quote in vendita, ci sono quelle di aziende quali Rostelekom, Transneft, Rosneft, Bašneft, Aeroflot, Sovkomflot, Ferrovie Russe, AlRos (estrae il 97% dei diamanti della Russia e il 27% di tutto il mondo) e RusGidro, la terza al mondo per potenza idroenergetica installata. Parlando del “chi beneficerà delle privatizzazioni”, addirittura il consigliere presidenziale Sergej Glazev si interroga: “saranno gli oligarchi? Saranno gli speculato-
ri che, con la caduta del rublo, il deprezzamento degli introiti delle imprese e l’impoverimento dei cittadini, hanno fatto razzia alla borsa di Mosca per circa 50 miliardi $?”. Già a gennaio, secondo la Reuters, “il basso prezzo del petrolio aveva costretto il governo a rinunciare alla indicizzazione delle pensioni secondo l’inflazione reale, a requisire per la terza volta i fondi pensionistici”, non indicizzare i salari nel settore pubblico e tagliare le spese per l’assistenza alla maternità. Dunque, scriveva Komsomolskaja Pravda, ci sono serie possibilità che l’80% dei russi si ritrovi in uno stato di “povertà cronica” nel giro dei prossimi due anni. Secondo il giovane economista Vladislav Žukovskij, l’assenza di prospettive di aumento del prezzo del petrolio potrebbe condurre in un
I bambini ricoverati al Centro oncologico infantile di Ekaterinburg sono privi di cura della leucemia perché la ditta statunitense che lo controlla, giudica non redditizia la produzione del farmaco vicolo cieco un’economia “feudale-oligarchica basata sulle materie prime; un tipo di capitalismo da borghesia offshore-compradora nella forma primitiva dell’accumulazione originaria del capitale”. E i problemi, aggiunge Žukovskij “sono la continuazione naturale di quel modello “liberale” che stiamo predicando da 20-25 anni”. Dunque, a chi fanno gola le privatizzazioni? Non certo ai genitori di quei bambini - per fare solo un esempio che non odora certo di rivoluzione, ma tutt’al più di minima indignazione democratica – ricoverati al Centro oncologico infantile di Ekaterinburg, rimasto privo di preparati per la cura della leucemia, perché la ditta statunitense che lo controlla, giudica non redditizia la produzione del farmaco.
Bizjukov su Gazeta.ru, non pochi si meravigliano del fatto che le proteste locali, pur crescenti, stentino a trovare uno sbocco comune. Secondo il Centro per i diritti sociali e del lavoro, già a fine 2014 si era registrato un balzo del 30% nelle azioni di protesta dei lavoratori; nel 2015, il Centro ha catalogato il 40% in più di azioni – scioperi parziali o totali, dimostrazioni - rispetto al 2014 e il 76% in più rispetto agli anni 2008-2013. Nel 48% dei casi, le proteste sono legate al mancato pagamento degli stipendi. Cresciuto negli ultimi 2-3 anni anche il numero di azioni di protesta da parte di medici, taxisti, camerieri, insegnanti: lavoratori poco o per nulla sindacalizzati.
Riassumendo In parallelo con l’attenzione per i grandi gruppi industriali e il complesso militare-industriale (i cui profitti, secondo il Ministero per lo sviluppo economico, cresceranno del 12% nel 2018 e del 10,8% nel 2019) il governo pianifica di ridurre i redditi e il potere d’acquisto della popolazione. Così, l’indicizzazione salariale sarà inferiore all’inflazione (4%) e ci sarà una riduzione del 4,8% nel 2016 e del 2% nel 2017 dell’indicizzazione delle pensioni; il rapporto tra pensioni e minimo di sopravvivenza calerà dal 1,52 a
1,36. Ciò, scriveva qualche giorno fa Pravda.ru, unito alla perdita di diverse decine di migliaia di posti di lavoro, porterà a una crescita ufficiale fino al 13,9% della percentuale di persone considerate al di sotto della soglia di povertà; ma, abbiamo visto che la cifra reale è quasi 2,5 volte più alta. In tali condizioni, scrive l’organo del Partito comunista operaio russo (RKRP), Trudovaja Rossija, il governo taglia i programmi sociali e le spese su istruzione e sanità e pianifica l’innalzamento dell’età pensionabile: “Dobbiamo esigere dai capitalisti e dal loro governo l’incremento annuale del potere d’acquisto reale di salari e pensioni, l’elevamento di 2,65 volte del minimo salariale, l’imposta progressiva sul reddito. Il partito di governo filopresidenziale “Russia Unita” ha impedito di modificare l’art. 134 del Codice del lavoro che consente ai padroni di non indicizzare per anni i salari”. Putin parla di “giusto equilibrio di interessi”, continua Trudovaja Rossija, “equilibrio tra sovrano e povero, tra lupo e agnello. Il Presidente ha dimenticato che le classi combattono secondo le leggi della lotta di classe e l’equilibrio più naturale è quando il forte si accaparra tutto”. Troppo raramente, si rammarica Trudovaja Rossija, solleviamo la testa,
scioperiamo. Ma non tutto pare fermo nel movimento operaio: il Partito Comunista panrusso dei bolscevichi (VKPB), che riporta mensilmente le cronache delle agitazioni operaie, scriveva ad aprile di scioperi nella regione di Sverdlovsk, per il rifiuto da parte di una direzione aziendale a indicizzare i salari e la minaccia di licenziamento in tronco se non verranno accettate le nuove condizioni. A Petrozavodsk scioperano gli autisti dei taxi collettivi, obbligati dal padrone a consegnare al mattino il 30% dell’incasso giornaliero atteso, indipendentemente dal guadagno reale a fine giornata. A Perm scioperano gli operai delle manutenzioni stradali, contro la minaccia di riduzione del personale. A Vladivostok scioperano gli autisti delle autoambulanze, che chiedono aumenti salariali minimi. In assenza, per ora, di sbocchi politici unitari, scriveva ancora Pëtr Bizjukov, ci si può “anche rallegrare dell’assenza di segni visibili di azioni di massa”; ma è come se, “vedendo l’acqua allontanarsi di decine di metri dalla spiaggia, si corresse gioiosi a raccogliere le conchiglie, senza pensare che quello possa essere il primo segnale di un grosso tsunami”.
Lavoratori non pagati Ci sono poi i debiti accumulati dalle imprese verso i propri operai. Nella regione estremorientale di Primore, ad esempio, secondo Sovetskaja Rossija, ha raggiunto i 400 milioni di rubli la cifra di salari non pagati; nel 2015 solo l’intervento della magistratura aveva consentito il pagamento di circa 800 milioni di stipendi arretrati. In questa situazione, scrive Pëtr
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lettere
La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo
La capacità di tenere la scena per e a favore dei poteri forti “Se non raggiungiamo i mille iscritti chiudo…” Più o meno era questa una dichiarazione di Marco Pannella che lessi troppi anni fa, mi pare su Panorama, negli anni ‘70 del millennio scorso. Questa dichiarazione mi sembra racchiudere l’approccio politico di Pannella, almeno in senso generico. C’è sempre qualcosa da costruire, da mettere assieme, da rimettere assieme. C’è sempre un momento di clamore da portare sulla scena, da sbattere in faccia all’Italia sonnecchiante. Quasi sempre si tratta di questioni sovrastrutturali: carcerati, identità sessuale, droghe leggere, libertà vessate in ogni parte del mondo, non violenza ecc. ecc. Mai presenti sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società diffusa ma ben incistati a Roma, la cloaca massima del potere e della disgregazione sociale. Specchio di tutti i mali italiani, da millenni sede del potere. Una città che ben si adattava e si adatta ai radicali, alla loro centralità cittadina. Un partito, un gruppo, spesso cambiano dizione - liste Bonino, lista Pannella-Sgarbi - ma rimangono galleggianti e reclamati, quando serve, dal potere che si vuole dare un po’ di lustro alla sua sporca e dubbia coscienza civile. Quindi come fare mancare una lettera di appoggio all’ennesimo sciopero della fame che Pannella ed altri hanno nel tempo inanellato. Come non fare mancare una voce che si aggiunge alla loro, dato che mettono in scena recite sublimi, si fanno sbattere in galere straniere, dove ci restano sempre poco, quasi sempre di protervi Stati dal potere terribile e definitivo, quasi sempre di sinistra o eredi di quel mondo. In queste finzioni, o forse alcuni di loro ci credono, la palma dell’alfiere del successo mediatico continuo va proprio a Pannella. Anzi, negli anni alla ditta Pannella e Bonino Spa, come recita un titolo di un libro del 2001 di Mauro Suttora (Kaos edizioni) che mette assieme proprio le capacità dei due leader, di cui uno, appunto Pannella, è appena morto, da pochi giorni, di tenere la scena per ed a favore dei poteri forti, nel tempo: Berlusconi, il Papa, una sinistra distratta e post comunista. Ma il duo, e lui specialmente, le cose migliori, a livello politico, le hanno fatte proprio con la sinistra negli anni ‘70: referendum abrogativo sulla legge che istituiva il divorzio nel 1974, e nel 1981 referendum abrogativo della legge sull’aborto. En-
Le stupide idee di Bauman Cara “nuova unità” mi è capitato di leggere su un giornale di sinistra quanto Zygmunt Bauman ha scritto in un suo recente testo: “Oggi nella modernità divenuta liquida, risci e contraddizioni continuano ad essere prodotti a livello sociale, ma la loro condensazione in una azione comune è impresa ardua, dal momento che i guai più comuni non sono cumulabili, non sono aggregabili in una causa comune. Possono essere posti gli uni accanto agli altri, ma non si fonderanno. Paure e ansie dell’epoca contemporanea sono fatte per essere patite in solitudine”. Certo, caro Bauman, oggi la classe operaia è disgregata, ma proprio per qusto è ancor più necessaria l’ideologia marxista e comunista, allo scopo di condensare, cumulare, aggregare, fondere in una azione comune il proletariato contro lo sfruttamento e la dittatura capitalista! È necessaria una lotta teorico-ideologica contro il liberismo e il capitalismo che sta morendo! La coscienza di classe e comunista non è automatica per il ruolo che si ha nella produzione! “Oggi il capitale - continua Bauman - viaggia liberamente portandosi dietro il suo bagaglio a mano contenente poco più di una cartellina porta documenti, un cellulare e un computer portatile. Il lavoro, per contro, resta immobilizzato come lo era in
trambe non passarono. I radicali erano solidamente ancorati a sinistra. Poi... poi è stato uno slalom continuo, tra strizzatine d’occhio di qua e di là, a destra. Un cincischiare con Berlusconi, un incarico di ministro nel governo Letta per la Bonino, da ultimo. Insomma comportamenti assolutamente in linea con la voglia radicale di stare sulla scena senza un reale radicamento popolare. Pannella in questo era bravissimo. Un eloquio torrenziale ed un controllo di questa macchina di mini partito assoluta. Capace anche di rompere con tutti, persino con la sua alter ego Bonino. Da due anni, o giù di lì, i rapporti tra i due erano praticamente nulli. Ma quello che piace vedere è che l’Italia sia rimasta quel Paese contadino che fa di ogni morto un santo, subito. Ed ecco che su un palco a Roma si avvicendano alcuni figuri che sono anche loro incistati nelle stanze del potere a Roma e dintorni. La bara sul palco, invero il tutto risultava essere un po’ tetro, e via ai discorsi laudativi. Non si risparmia nulla, dalle voglie di rimettersi assieme (?), ma per fare cosa, e con chi (?), ai ricordi a tuttotondo del morto. Un fenomeno molto italiano, un punto di domanda politico e una capacità insolita e pervicace di riuscire a stare a galla nonostante i limiti organizzativi e di pensiero. I radicali sono stati, e sono, personaggi di varia e centripeta capacità politica e culturale. Nel 1985 andai in Nicaragua. Là venivo spesso preso in giro sull’Italia con queste due parole: mafia e cicciolina (Ilona Staller, pornodiva in Parlamento allora per i Radicali). Pannella era bravissimo a trovare rivoli dimenticati dal potere centrale ma che non scardinavano essenzialmente nessun equilibrio reale, erano solo una sorta di caffè molto carico per svegliare la coscienza borghese. Molto disponibili e molto presenti nelle pieghe che il potere lascia loro per meglio esprimersi e per, come si dice épater le bourgeois (sbalordire il borghese). Interpretando per lui una parte sorprendete della sua coscienza, accettata dai più - libertà in ogni direzione -, al posto di quella vera, sua intima e vera, grondante di sangue.
Tiziano Tussi Milano
Sul 9 Maggio In occasione dell’Anniversario della grande Vittoria dell’Armata Rossa e dei popoli sovietici sul nazifascismo (9 maggio) vorrei ricordare questi versi di Pablo Neruda: Unione Sovietica, se insieme raccogliessimo tutto il sangue che hai versato nella lotta, tutto quello che hai dato come una madre al mondo perché la libertà agonizzante riavesse vita un nuovo oceano noi avremmo, di tutti il più grande, di tutti il più profondo. E Concetto Marchesi ha scritto: “La Rivoluzione d’Ottobre e l’Unione Sovietica sono state le leve possenti del nostro movimento operaio. Discutiamo e dissentiamo pure su alcuni problemi anche di grande importanza sociale, discutiamo sui limiti e sulla estensione della nostra libertà individuale in talune interpretazioni o integrazioni ideologiche. Ma lungo il cammino per cui si muovono le armate sovietiche, stiano bene attenti i dilettanti della politica e i sentimentali della democrazia a non confondere la loro voce con quella degli eserciti bianchi e dei concistori sacerdotali. Quelle armate hanno aperto nel mondo la strada per cui la classe lavoratrice è andata avanti e andrà avanti nella civiltà, nella cultura, nella incontestata dignità e libertà della persona umana; quelle armate sono il massimo presidio della liberazione di tutti i popoli dalla secolare infamia della guerra e dell’oppressione capitalistica e clericale”.
... e sul Brasile A proposito della complessa situazione brasiliana, vorrei ricordare che già con un documento del 6 marzo scorso - pubblicato su “resistenze” del 7 mar-
zo - il Partito Comunista Brasiliano si era espresso con molta chiarezza sulle mobilitazioni “in difesa della democrazia”, in realtà in difesa di Dilma Roussef e Lula da Silva. “Nonostante il governo del PT - si legge nel documento - abbia applicato servilmente le esigenze della classe dominante, come dimostrano le imposizioni dei tagli sui programmi sociali per il pagamento degli interessi sui debiti dei rentiers, la legge antiterrorismo, l’approfondimento delle privatizzazioni, gli attacchi ai diritti dei lavoratori e l’abbandono della riforma agraria, la gravità della crisi esige, dal punto di vista del capitalismo, misure più profonde e rapide, di fronte alle difficoltà del PT nel mantenere la politica di passività delle masse. La decisione della borghesia di liberarsi del governo petista per mezzo dell’impeachment o delle dimissioni negoziate della Presidente e di invalidare per via giudiziaria una futura candidatura di Lula nel 2018 non giustifica la difesa del governo Dilma né dell’ex presidente perché non ci fa dimenticare la scelta politica della cupola del PT per il cammino del patto sociale borghese, come provato dalla zelante cura degli interessi dei banchieri, dell’industria automobilistica, dell’agribusiness, degli imprenditori e delle società minerarie. Il PT ha preparato lo stesso terreno paludoso dove adesso affonda, quando ha scelto di rafforzare lo stato borghese, quando tagliava i diritti dei lavoratori. Non ci uniremo alle iniziative ipoteticamente dedicate alla difesa della democrazia con coloro che, negli ultimi tempi, ci hanno colpito in cambio della governabilità a tutti i costi.’’ Aldo Calcidese Milano
Referendum sostituti delle lotte? Nonostante tutte le batoste, anche quando si vincono come quello sull’acqua, che si sono prese attraverso i referendum dove sono chiamati a votare preti e suore anche quando si tratta di referendum che riguardano i lavoratori e che diventerà sempre più difficile fare con la riforma costituzionale. Sindacati e scuola continuano a ricorrere a questo istituto forse perché è più facile che organizzare le lotte. Ora anche Renzi ci impone un referendum. Bastasse per mandarlo a casa... il fatto è che il fronte del no è così vario che diventa difficile distinguersi. Aspetto qualche articolo di “nuova unità”. Grazie per il vostro lavoro. Francesco Micheletti Milano
passato, ma il luogo cui si presuponeva dovesse restare legato una volta e per sempre ha perso la sua passata solidità”. Certo oggi il capitale viaggia liberamente... ma caro Bauman, il capitale va sempre in cerca del lavoro perché il capitale se non trova e non sfrutta il lavoro, il capitale muore! Non lo capisci? Poi Bauman dice che le principali fonti del profitto del capitale che viaggia tendono ad essere idee anziché il lavoro e gli oggetti fisici e il terreno della competizione sono i consumatori, non i produttori. Ma le idee, per quanto brillanti possano essere, non valgono proprio niente se non sono seguite dai fatti, se poi, dietro di esse non ci sono milioni di lavoratori proletari che le mettono in pratica, che producono, che fabbricano gli oggetti fisici (anche le notizie che sono immateriali non si trasmettono senza reti di comunicazione). I consumatori poi si conquistano producendo le merci a minor costo. Possibile che Bauman sia così stupido da non capire queste cose?
nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) Anno XXV n. 3/2016 - Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze - tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Bruno, Eraldo Mattarocci, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Trollio abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 001031575507 intestato a: nuova unità - Firenze Stampato interamente su carta riciclata, nessun albero è stato abbattuto per farvi leggere queste pagine Chiuso in redazione: 25/05/16
Pietro Gori Imperia
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