"nuova unità" n. 4/2021

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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70% comma 20/B

Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità

Periodico comunista di politica e cultura n. 4/2021 - anno XXX

fondata nel 1964

Anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio Antonio Gramsci

Intrighi internazionali Scambi tra Italia, Usa e Francia per rafforzare l’imperialismo A Bruxelles il 14 giugno si sono incontrati i potenti dei paesi che fanno parte della NATO per rafforzare il «legame transatlantico» tra Stati uniti ed Europa su tutti i piani: politico, economico, spaziale, tecnologico e, soprattutto, militare. Mentre gli Usa e la Gran Bretagna hanno assicurato gli alleati che la “NATO resterà un’alleanza nucleare” hanno deciso di aumentare la spesa militare. Per il 2021 l’Italia pagherà 30 miliardi di dollari che presto diventeranno 40. Una cifra che esclude le spese per il mantenimento delle basi militari sul territorio italiano - sedi appunto di armi nucleari - e delle missioni all’estero che non certo umanitarie come vogliono farci intendere, ma di addestramento delle forze locali e di difesa degli interessi economici delle grandi potenze nei vari territori occupati e saccheggiati. Non c’è limite alle spese militari, però si specula sui lavoratori. I padroni devono recuperare il profitto perso con la crisi economica e in seguito alle misure prese per la Covid 19, il Governo - a guardia della borghesia nazionale ed europea opera per diminuire la tensione sociale che teme si allarghi e diventi incontrollabile. Dopo l’aumento dei ritmi che portano a continui incidenti e morti sul lavoro, dopo le delocalizzazioni, le cessazioni di attività nonostante il blocco Covid 19, Governo, Confindustria, Confapi, CNA, sindacati confederali si sono accordati per sbloccare i licenziamenti. Prime grandi vittime 152 operai della Gianetti Ruote di Monza e 422 della GKN di Campi Bisenzio (leggi all’interno). Il patto comprende contratti di solidarietà, intese di riduzione e rimodulazione dell’orario di lavoro. La proroga riguarda solo i settori del tessile, calzaturiero e moda, un altro modo per dividere il fronte di classe. L’accordo prevede che le aziende - che continuano ad aumentare lo sfruttamento - utilizzino gli ammortizzatori sociali prima di procedere ai licenziamenti. Libertà, quindi, di licenziare ma dopo avere usufruito di altre sovvenzioni statali e naturalmente dopo aver fatto “decantare” il malcontento dei lavoratori in altre 13 settimane di incertezza per il futuro e di peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Non è certo una vittoria. Sono bastate solo sei ore di trattativa e una finta manifestazione di piazza per siglare il patto, definito da Cgil, Cisl e Uil un “segnale importante e una risposta ai tanti lavoratori che in questi giorni hanno seguito con apprensione il processo decisionale sulla fine del blocco dei licenziamenti” e valutare positivo “l’impegno per avviare il confronto per la riforma degli ammortizzatori e delle politiche attive”, come sostiene Landini della Cgil. Ci vuole proprio il coraggio di vertici sindacali venduti per fare certe dichiarazioni. Confindustria e padroni di ogni risma sono alla ricerca del profitto perso: per farlo hanno bisogno, da una parte, della massima libertà di aumentare lo sfruttamento, i ritmi e i carichi di lavoro e, dall’altra, della possibilità di chiudere e delocalizzare, aumentando così disoccupazione e precarietà che colpirà maggiormente i giovani e le donne nonostante tutte le chiacchiere con cui si riempiono la bocca i rappresentanti di tutti i partiti. A tre anni dal crollo del ponte Moranti - a dispetto delle famiglie delle vittime che chiedono giustizia - lo Stato ripaga con gli interessi il riacquisto di una infrastruttura in condizioni molto peggiori di quando l’hanno assegnata, la cui rete viaria è invecchiata mostrando tutte le sue crepe. Pagherà per Aspi un prezzo di circa 9,1 miliardi di euro che equivalgono ai 6,8 miliardi incassati all’epoca della privatizzazione e si accollerà anche il debito contratto dai privati per finanziare l’acquisizione, che a fine 2020 sfiorava gli 11 miliardi, mentre nel 1999, anno di inizio della privatizzazione, era di appena 1,8 miliardi. I Benetton ci guadagnano e si liberano di una società che ha continuato ad aumentare i pedaggi realizzando profitti per 20 anni che hanno alimentato il pagamento di ricchi dividendi ai proprietari privati ed evitato le manutenzioni adeguate trascurate per anni.

Il Consiglio dei ministri ha varato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con l’approvazione di tutto l’arco costituzionale. Si parla di riforme (compresa quella della giustizia favorevole alle richieste europee), di semplificazioni per il rilancio del sistema Italia. La strategia del Governo è “per uscire da questa crisi e per portare l’Italia sulla frontiera dello sviluppo europeo e mondiale occorrono un progetto chiaro, condiviso e coraggioso per il futuro del Paese, che permetta al nostro Paese di ripartire rimuovendo gli ostacoli che l’hanno frenata durante l’ultimo ventennio”. “Vogliamo un Paese moderno, innovativo dotato di una pubblica amministrazione efficiente e moderna - dicono - in cui possano operare imprese innovative e sempre più competitive (quelle che da sempre si reggono su sfruttamento ed evasione - ndr), un Paese con infrastrutture sicure, tecnologicamente all’avanguardia, che sfruttino tutte le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale. In secondo luogo, vogliamo un Paese più verde, con sistemi di produzione e trasporto dell’energia compatibili con gli obiettivi di riduzione dei gas clima alteranti e più resiliente rispetto agli eventi climatici estremi”. Energia “verde” per alimentare l’industria automobilistica, e via libera alle grandi e inutili opere con quella che viene definita semplificazione, ovvero appalti pubblici incontrollati per la gioia di speculatori e della mafia. Il PNRR tratta anche la politica internazionale. Fa riferimento alla cooperazione e in primo piano decanta la nuova leadership statunitense per “la notevole apertura verso il multilateralismo” con la quale è stato avviato - in particolare, rispetto agli altri membri del G20 - un proficuo dialogo come presidenza di turno del G20. Coerente con il PNRR ecco puntuali le lodi sperticate di Mattarella. In occasione della festa dell’Indipendenza statunitense ha ribadito che “Tra Italia e Usa il rapporto è eccezionale, uniti da un’amicizia che ha radici antiche ma è capace di proiettarsi con fiducia verso il futuro, che costituisce la condivisione di un irrinunciabile patrimonio ideale che caratterizza, rendendole più dinamiche, le nostre società libere, democratiche, aperte al contributo di cittadini portatori di culture diverse”. E che “solo insieme possiamo superare, la forza del parternariato tra Washington e Roma più importante che mai”. E con questo si intende accrescere l’azione comune a favore di sicurezza e di un ordine internazionale “basato su regole, della tutela dei diritti umani (quelli Usa?) e di uno sviluppo globale autenticamente

sostenibile”. Nell’incontro con il Segretario di Stato USA il Presidente Mattarella ha discusso anche “dei nostri valori condivisi nel contesto dei diritti umani in Cina e nel mondo, nonché del nostro sostegno collettivo al piano della Libia di tenere le elezioni nel dicembre 2021”.

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Il capitalismo uccide. Lotte operaie, repressione e unità di classe. La vita vale più dei profitti pagina 2

GKN: No alle passerelle, sì alla solidarietà di classe. “Non poveri operai che vanno a casa, siamo dignità, orgoglio e resistenza” pagina 3

Il “triangolo della morte” dei rapporti USA-Russia-Cina pagina 4

Genova 2001: ricordare per continuare la lotta pagina 6

In breve dal mondo pagina 7


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Il capitalismo uccide Michele Michelino Il 18 giugno scorso durante una partecipata manifestazione - presidio contro i morti sul lavoro e per la sicurezza nei luoghi di lavoro davanti alla sede degli industriali milanesi (Assolombarda) organizzata da alcune associazioni (Assemblea lavorativi combattivi di Milano, Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Medicina Democratica Comitato Ambiente e Salute Teatro alla Scala, Comitato Difesa Sanità Pubblica Zona Sud Ovest Milano), hanno preso la parola anche diversi delegati RSU di CUB, Slaicobas, Sicobas, USI. Durante il presidio è arrivata, come un pugno nello stomaco, la notizia dell’assassinio di un lavoratore, un compagno del Sicobas investito da un camion durante un picchetto. Dopo anni di divisioni sindacali la manifestazione unitaria di varie sigle sindacali e associazioni davanti alla sede dei padroni contro tutti i morti del profitto segna una svolta sulla strada dell’unità di classe. Questo ennesimo omicidio padronale il 18 giugno 2021, ha avuto per la prima volta in Italia una risposta unitaria di classe. Allo sciopero nazionale della logistica, indetto da SiCobas, questa volta hanno aderito varie sigle sindacali, anche confederali (fra cui i lavoratori della CGIL dello stesso posto di lavoro dell’operaio assassinato), per protestare contro l’assassinio di un lavoratore ucciso, Adil Belakhdim, coordinatore dei SiCobas a Novara, volontariamente investito da un camionista aizzato dai padroni della logistica che ha forzato il blocco delle merci. L’autista arrestato dopo pochi chilometri e stato messo ai domiciliari e l’omicidio catalogato come incidente stradale dimostrando come la giustizia sia al servizio solo dei padroni e dei loro servi. L’omicidio di Adil ha risvegliato la coscienza di molti lavoratori. Per la prima volta dopo molto tempo i lavoratori sono scesi in sciopero in vari parti d’Italia riconoscendo in questo omicidio un attacco a tutta a classe operaia. La normalità del capitalismo è che ogni giorno si muore sul lavoro, nelle fabbriche, nelle campagne, nei cantieri, nella logistica. Ricordiamo che un omicidio simile era già avvenuto alla GLS di Piacenza il 14 settembre 2016. A morire quella volta fu Abd Elsalam, attivista USB, e anche quella volta la risposta unitaria dei lavoratori e di alcuni sindacati di base fu importante.

Lotte operaie, repressione e unità di classe. La vita vale più dei profitti

I padroni divisi nella concorrenza sono uniti nello sfruttamento dei lavoratori. Repressione violenta contro i lavoratori in lotta, arresti, aggressioni, ai picchetti dei lavoratori che bloccano i camion, manganellate delle forze dell’ordine, carabinieri e polizia, degli apparati “legali” dello stato e da quelle “illegali” di bodyguard, fascisti e crumiri protetti dagli sbirri come nell’aggressione avvenuta l’11 giugno 2021 contro gli scioperanti dell’azienda Zampieri di Lodi che lasciarono sul campo di battaglia una decina di lavoratori feriti e uno ridotto in fin di vita. Oggi nella “moderna” società capitalista Il lavoro salariato è peggio della schiavitù. A differenza del padrone schiavista che evitava di rovinare l’essere umano di sua proprietà il padrone capitalista, se non è impedito dalle lotte e dai contratti, cerca di sfruttare il più intensamente possibile la forza-lavoro, le ore di vita che ha comprato. Questo processo avviene giornalmente in tutte le società capitaliste/imperialiste, in tutti i luoghi di lavoro, fabbriche, campagne, e vale sia per gli italiani sia per gli stranieri. Oggi alle vecchie nocività se ne sono aggiunte di nuove e i dati Inail sugli infortuni sul lavoro nell’anno della pandemia confermano anche l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’andamento infortunistico in Italia nel 2020. I casi mortali sono 1.270, 181 in più rispetto agli 1.089 del 2019 (+16,6%). L’intensificazione dello sfruttamento per il massimo profitto continua ad uccidere. Nel primo quadrimestre del 2021 i morti sul lavoro sono aumentati ancora, il 9,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2020 (dati INAIL sottostimati perché non tengono conto dei lavoratori senza contratto, in nero). Alla strage di oltre 100 lavoratori il mese vanno aggiunte le decine di migliaia di morti per malattie professionali e ambientali (solo per amianto 6.000 ogni anno, 16 ogni giorno, circa 2 ogni ora). Più delle parole, i dati dimostrano che la

condizione della classe operaia è andata peggiorando sempre più e i lavoratori stanno subendo l’inferno nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro e, di conseguenza nella vita. Il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza, che con i miliardi del Recovery Fund cerca di riprogettare la sopravvivenza di questo sistema economico in coma, prevede ancora meno spazio a diritti e sicurezza nei luoghi di lavoro. I governi, di qualsiasi colore, e i sindacati filo padronali hanno permesso che il capitalismo disponesse della forza-lavoro a proprio piacimento incrementando i propri profitti. Il risultato è che il lavoro è diventato sempre più precario, senza protezioni e sicurezza. Sottoponendo a continuo ricatto la forzalavoro sono aumentati lo sfruttamento e il totale disprezzo per la salute dei lavoratori: il “lavoro” è così diventato fonte di disperazione, di povertà, di feroce repressione contro chi lotta e di morte per migliaia di lavoratori. È arrivato il momento far sentire la nostra rabbia e la nostra assoluta indignazione contro i padroni e il sistema capitalista responsabile dì questi omicidi, compresi i proprietari delle Rsa (in Lombardia per l’80% in mano ai privati, con forte presenza di multinazionali associate in Confindustria) che hanno attuato una politica sanitaria criminale nei confronti degli anziani durante la pandemia da Covid-19, insieme a Regioni

(Lombardia in testa) e Governo, provocando una ecatombe di anziani ricoverati. E, in quel che resta della sanità “pubblica”, le cose non vanno meglio: sono le stesse leggi del profitto e della gestione aziendale che regolano il rapporto con il malato/malattia e le relazioni e condizioni lavorative. È arrivato il momento dell’unità di classe dei vari sindacati conflittuali su obiettivi condivisi, di organizzare momenti di lotta unitari. L’interesse dei lavoratori, della classe sfruttata viene prima di quello delle singole organizzazioni. Oggi è interesse di tutti i lavoratori e organizzazioni sindacali rivendicare: - più controlli nei luoghi di lavoro. La piena attuazione ovunque della normativa esistente (dlgs 81/2008). - Denunciare il conflitto d’interessi dell’INAIL, un’assicurazione pubblica che da sempre ha anche il compito di accertare la malattia professionale e di indennizzarla, rivendicando la separazione del giudizio sul carattere infortunistico di malattia o menomazione professionale, dando ad un ente terzo il compito di accertare la malattia professionale e lasciando ad INAIL il solo compito assicurativo. - Promuovere assemblee e mobilitazioni nei luoghi di lavoro per la difesa di salute e sicurezza, e per l’elezione di RLS indipendenti! Organizzare manifestazioni davanti alle sedi di Confindustria e del governo.

Noi 9 ottobre: una proposta delle vittime del profitto Per una grande manifestazione unitaria a Roma il prossimo 9 ottobre, con l’obiettivo di unire la lotta per la salute e la sicurezza nel lavoro con la lotta in difesa dell’ambiente, per una società senza profitto e sfruttamento Le stragi civili, come nella recente tragedia della funivia del Mottarone, e le stragi di lavoratrici e lavoratori, morti, feriti ed invalidi caduti sul lavoro o per malattie professionali, sono il prezzo che quotidianamente paghiamo a questa società capitalista e alla logica del profitto che ne sta alla radice. Si tratta di un disastro in termini di vite umane perdute e di costi sociali che ha dimensioni elevatissime, che avviene nel silenzio o viene mascherato dall’ipocrisia di imprenditori, politici e media. Le vittime di questo disastro non sono rappresentate, sono invisibili anche nelle aule dei tribunali. Sono vittime del profitto il cui peso non è considerato, è irrilevante per stabilire verità e giustizia. “NOI 9 OTTOBRE” raccoglie le associazioni e i comitati che si battono per la verità e la giustizia sulle tante stragi civili e ambientali, sugli omicidi e le stragi del lavoro per unire le forze, per strappare migliori condizioni di sicurezza, di salute e di vita di lavoratrici, lavoratori ed ambiente, per una autentica politica di prevenzione dal disastro umano e sociale di questa società.

La prima proposta è la costruzione di una grande manifestazione unitaria a Roma, il 9 Ottobre, giornata dedicata alla memoria della tragedia del Vajont. Pubblichiamo l’appello lanciato da NOI, 9 Ottobre. Chi desidera aderire all’appello e vuole sottoscriverlo scriva a:lu.vastano@gmail.com Altre informazioni alla pagina facebook di NOI, 9 Ottobre Pubblichiamo il testo base della convocazione. Siamo sopravvissute/i, parenti, compagne/i di lavoro, amiche/ci e comunità di abitanti feriti da disastri industriali e ambientali, di vittime del lavoro e di malattie professionali che il più delle volte vengono considerati “incidenti”, “calamità” o “fatalità” ma che in realtà sono la conseguenza diretta di pratiche economiche da parte di imprese che agiscono a scopo di lucro, incuranti della sicurezza e della salute degli esseri umani. Siamo persone e associazioni che, dopo aver subito perdite di persone care nel nome del profitto, nelle aule dei tribunali si rendono conto che troppo spesso la legge percorre sentieri differenti rispetto a giustizia e verità. Il problema della giustizia e della sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita riguarda tutti, sia i lavoratori che i cittadini: chiediamo quindi anche a voi, rappresentanti dei lavoratori, di aderire e partecipare all’appello per una manifestazione a Roma il 9 ottobre 2021 per sostenere i diritti delle vittime. L’appello “ Noi, 9 OTTOBRE ”, che vi sottoponiamo e che è stato finora sostenuto e firmato da molte associazioni e personalità, è nato da una tavola rotonda organizzata il 3 ottobre scorso a Longarone dall’Associazione Cittadini per la Memoria del Vajont All’incontro avevano partecipato numerose associazioni di vittime e movimenti che si battono per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e per la difesa delle comunità e dell’ambiente ed erano stati invitati come relatori magistrati, avvocati e accademici.


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GKN: No alle passerelle, sì alla solidarietà di classe redazione Firenze Mentre stavamo chiudendo il giornale è arrivata la notizia che la mattina di venerdì 8 luglio, era giunta tramite email, a tutti i dipendenti della GKN di Campi Bisenzio la comunicazione di licenziamento con effetto immediato. Gli operai smontati dal turno di notte alle 6 di mattina hanno scoperto di essere stati licenziati dopo poche ore. Sono 335 operai e 67 impiegati e volendo contare anche i 16 quadri e quattro dirigenti si arriva a 422 mentre, se si considerano anche i lavoratori dell’indotto come quelli di Easy Group srl, della Host food srl, e altre coinvolte nell’attività industriale e nei servizi, si arriva ad oltre 600 persone con le loro relative famiglie che si trovano sulla strada. Appena passati pochi giorni dallo sblocco dei licenziamenti con l’accordo tra sindacati confederali, governo e confindustria, i padroni fanno vedere cosa se ne fanno delle “raccomandazioni” di Landini & C. A Monza, 152 operai della Gianetti Ruote, sono stati i primi colpiti dallo “storico” accordo di Landini&c. La rabbia dei lavoratori ha messo in fuga l’Amministratore delegato scortato dalla polizia. Alla GKN, invece, i dirigenti si sono guardati bene di andare in azienda e al loro posto hanno mandato delle guardie giurate esterne che sono state allontanate dai lavoratori che hanno preso subito possesso della fabbrica. Alla GKN ci sono l’RSU e un Collettivo di fabbrica veri e non supini alle direttive dei vertici sindacali, che hanno sempre portato avanti le lotte nell’interesse dei lavoratori e ottenuto risultati positivi come la non applicazione del Job act, il rifiuto in blocco (oltre il 90%), della firma dell’ultimo contratto bido-

“Non poveri operai che vanno a casa, siamo dignità, orgoglio e resistenza” ne dei metalmeccanici e che ha sempre sostenuto le lotte dei lavoratori di altre fabbriche come alla Texprint di Prato o scioperato in solidarietà del sindacalista SiCobas, ADIL, ucciso da un crumiro durante un picchetto alla Lidl, sempre senza preoccuparsi di quale sigla sindacale portasse avanti le lotte o appartenessero i colpiti dallo sfruttamento o dalla repressione, ma solo in base all’appartenenza di classe in difesa dei propri interessi. Subito è scattata la corsa alla solidarietà con gli operai e gli altri dipendenti della GKN compresi gli operai della Bekaert che si raccomandano di non fare i loro stessi errori. Nello stesso tempo abbiamo visto volare sopra lo stabilimento occupato gli avvoltoi, gli specialisti delle divisioni e dello spezzettamento delle lotte: autorità, istituzioni, sindacati e preti che hanno gioito e gioiscono delle sconfitte operaie, degli accordi capestro, che condannano la violenza operaia e si inchinano alla violenza dei padroni del governo e dello Stato. Gli stessi che hanno salutato e salutano Draghi come il salvatore della patria, i fautori del “siamo tutti sulla stessa barca” ora si avvicinano e si fingono indignati di fronte al comportamento scorretto della Melrose, multinazionale proprietaria di GKN che produce l’80% di componenti montati sulle auto per Fiat (prima FCA ora Stellantis) e che, pur non essendo un’azienda in crisi, getta sul lastrico migliaia di

lavoratori optando per i guadagni della quotazione in borsa. Ciò non deve indurre nell’errore di pensare che esista un capitalismo industriale “buono” e uno cattivo legato alla finanza. I lavoratori precisano e ribadiscono che la loro lotta è una battaglia di tutti i lavoratori. Non è solo una vertenza di una fabbrica che chiude, dicono, ma la vicenda della Gkn è un caso nazionale che oggi colpisce i lavoratori di Campi Bisenzio, ma che domani può colpire altre maestranze. Secondo Andrea Orlando, ministro del lavoro, “Si tratta di modalità che non possono essere accettate e su cui bisogna trovare tutti gli elementi per scongiurarle”. Per la viceministra al Mise, Alessandra Todde “l’atteggiamento del gruppo Gkn che mette i lavoratori a conoscenza del fatto compiuto con una email non è degno di un Paese civile”. Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti dice “Purtroppo è inevitabile che queste cose accadano. Però non possono accadere

in questo modo perché noi abbiamo in mente di fare il West, non il Far West”. Ma dov’erano quando è stato deciso lo sblocco dei licenziamenti? Gli operai GKN sanno bene che il capitalismo è solo uno quello che sfrutta e opprime i lavoratori in Italia e nel mondo e sono in grado di sventare le manovre divisorie e di capitolazione che vogliono mettere in ginocchio la classe operaia. Hanno lanciato la parola d’ordine: INSORGIAMO e restano in assemblea permanente. Ora sindacati e partiti politici chiedono un deciso intervento del governo (non hanno letto il PNRR né il patto tra Governo, Confindustria, Confapi, CNA, sindacati confederali), il ministero dello Sviluppo Economico ha convocato i sindacati, le istituzioni locali, GKN e la sua proprietà mentre i lavoratori condensano in un decalogo le loro posizioni che riportiamo. Permetteteci di puntualizzare alcune cose: 1. I lavoratori Gkn non sono 422. Sono oltre 500 perché noi siamo tutti colleghi sotto lo stesso tetto: interni e ditte in appalto. 2. Siamo stati licenziati con una modalità atroce e con una violenza psicologica importante. Questo aiuta a farvi capire che abbiamo a che fare con persone senza scrupoli. Tuttavia chi si concentra solo sulla modalità con cui siamo stati licenziati, si concentra sulla forma e non sulla sostanza. 3. Chi parla di “caso specifico” Gkn si mette quasi sullo stesso piano di chi ci vuole chiudere. Ma soprattutto mette in pericolo tutti i lavoratori di questo paese. Perché nega implicitamente che siamo gli ultimi di una lunga serie e i primi di una ulteriore serie di chiusure e delocalizzazioni.

4. Se sfondano qua, sfondano da tutte le parti. Perché siamo una grossa azienda e siamo organizzati. Immaginatevi aziende piccole e meno organizzate. 5. Chi parla di indennizzi e di ammortizzatori si mette quasi sullo stesso piano di chi ci vuole chiudere. Noi siamo in fabbrica, questa è casa nostra, da qua non ce ne andiamo. Qualsiasi altra cosa che verrà, sarà il risultato della nostra disperazione economica, non di certo della lotta. Ma l’obiettivo della nostra lotta è solo e soltanto bloccare i licenziamenti. Qua e ovunque. 6. Il Mise venga qua a incontrarci. Le multinazionali delocalizzano, noi invece chiediamo di localizzare la trattativa. Sempre che il Mise abbia il coraggio di reggere lo sguardo di una comunità orgogliosa e non piegata 7. La nostra vicenda si lega indissolubilmente a quella di FCA Stellantis. Cosa dobbiamo aspettare per una mobilitazione del settore? 8. A tutti coloro che ci portano solidarietà (circoli Arci, categorie sindacali, singoli lavoratori ecc.) diciamo grazie, grazie, grazie. Non riusciamo a rispondervi né a citarvi tutti senza fare torto a qualcuno. Sarà lunga. Non dimenticateci quando l’attenzione mediatica calerà 9. Proprio per avere un canale di solidarietà più puntuale, nascerà una pagina di solidarietà alla vertenza. Avrete notizie a breve 10. Sciopero generale e corteo nazionale: è quello che stiamo valutando. Avrete nostre notizie Abbiamo le lacrime agli occhi, mille storie umane da raccontare ma oggi non è questo il punto. Non siamo i poveri operai che vanno a casa. Siamo dignità, orgoglio e resistenza. Fate un favore a voi stessi unendovi alla nostra lotta. Insorgiamo.

da pagina 2 Da ottobre scorso abbiamo avviato con loro un’intensa collaborazione, con incontri quasi settimanali in remoto. Siamo riusciti a stendere l’appello che concilia due linguaggi e i due modi di vivere i processi, quello di chi parla con i codici in mano ma si mette comunque al fianco dei superstiti, e quello di chi vive sulla propria pelle cosa significhi essere vittima nei processi: prima il dolore, poi la rabbia, il senso di impotenza e alla fine la sfiducia nello Stato e nella legge, associata però alla ferrea volontà di contribuire a migliorare lo stato delle cose al fine di evitare che si continuino a ripetere le stragi di innocenti nel nome del profitto. Per sabato 9 ottobre, tragico anniversario della strage del Vajont che la legge 101/2011 ha istituito come “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri industriali e ambientali”, stiamo organizzando una manifestazione partecipata a Roma per sollecitare le Istitu-

zioni ad ascoltare le nostre richieste e proposte, e anche per ricordare all’opinione pubblica, alla società civile, spesso inconsapevole, che chiunque domani può diventare vittima di chi, per risparmiare sulla manutenzione o sulla messa in sicurezza della propria impresa, non ha come priorità la vita delle persone, delle comunità e la difesa dell’ambiente. Vi chiediamo innanzitutto di aderire al nostro appello “NOI, 9 OTTOBRE” e poi di unirvi a noi, società civile ferita, sensibile e - nostro malgrado - ricca di esperienza e competenze, nella nostra mobilitazione. Siamo disponibili ad incontrarvi per fornivi tutte le informazioni e i chiarimenti che riterrete opportuni. La nostra lotta per la giustizia, per la sicurezza nei luoghi di lavoro e nel territorio, per una legge a favore delle vittime e non solo degli imputati è una lotta che riguarda tutti: sia le vittime del passato, quelle di oggi e quelle del futuro.


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Il “triangolo della morte” dei rapporti USA-Russia-Cina Putin- Xi

Fabrizio Poggi Lo scorso mese di giugno è stato abbastanza intenso dal punto di vista dei rapporti internazionali, con la crescente contrapposizione USA alla Cina, i tentativi yankee di minare i legami tra Mosca e Pechino e, infine, gli scontri interni alla UE per appianare (spingono in questo senso Germania e Francia) o, al contrario, irrigidire, i deteriorati rapporti con la Russia e allentare invece quelli allacciati con la Cina da alcuni paesi membri. Le provocazioni militari USA e NATO rendono il pericolo di guerra sempre più reale. «Non si deve permettere alla Cina di giocare un ruolo dominante nel mondo», ha detto il Segretario di stato yankee Antony Blinken. Se nei confronti della Russia lo schieramento bellico va dal Baltico al mar Nero, contro la Cina si schiera naviglio nelle acque del Pacifico e si punta alle rivolte interne, a Hong Kong come con gli Uiguri nel Xinjiang. Lo scontro per il controllo dei mercati mondiali si fa sempre più aspro e violento. Hanno tenuto banco il vertice Biden-Putin a Ginevra del 16 giugno, e il colloquio in video-conferenza tra Vladimir Putin e Xi Jinping del 28 giugno. Le danze erano state aperte, tra 10 e 14 giugno, dalla “nuova carta atlantica”, messa a battesimo da Joe Biden e Boris Johnson; quindi, dai vertici del G7, della NATO e della UE. Il vertice NATO non ha fatto che ripetere l’assioma secondo cui sarebbe la Russia ad aver spostato i propri confini verso ovest e non la NATO a dilagare in Europa orientale.

Biden-Putin La data del vertice russo-americano era stata scelta di proposito, dopo le riunioni di G7, NATO e UE, dato che Biden voleva incontrare Putin forte del «sostegno dei satelliti, rivendicando il “diritto” a rappresentare la posizione collettiva dell’intero Occidente». Un proposito realizzatosi però solo a metà, sui ritriti ritornelli dei “diritti umani”, delle “minacce delle autocrazie” alle “democrazie più forti del mondo”. Per il resto, sulle questioni sostanziali, (ci si è accordati per la ripresa di negoziati START sulle armi nucleari strategiche) il “sostegno dei satelliti” a Biden è rimasto per lo più di facciata, date le loro mezze schiarite con la Cina, di contro all’aperta guerra commerciale di Washington contro Pechino. Con il viaggio nel vecchio Continente, nota l’osservatore russo-israeliano Jakov Kedmi, Biden intendeva annunciare al mondo il ritorno degli USA alla testa del “mondo libero”, dopo la parentesi di Trump. E l’Europa si è genuflessa, dicendogli «tu sei il leader della democrazia mondiale e noi ti seguiamo». Gli USA hanno bisogno di tale riconoscimento, perché, di tutte le alleanze passate (CENTO, SEATO ecc.), oggi rimane solo la NATO e Biden ha deciso di farne un fedele alleato USA in tutto il mondo, anche contro la Cina. Così, da “leader mondiale”, Biden incontra Putin, forte del sostegno del G7 e della NATO e an-

che del titolo di “Sovrano dell’intero pianeta”, almeno agli occhi di alcuni paesi del G7, che però lo vedono in tale veste con un occhio solo, mentre con l’altro guardano in direzioni diverse. Dunque, se l’obiettivo principale di “Sleeping Joe” era quello di “sedurre” Mosca in un’alleanza anti-cinese, le cose non gli sono andate tanto bene. Soprattutto perché, da un lato, troppo scoperta è la politica occidentale di accerchiamento militare della Russia (lo sconfinamento il 23 giugno del cacciatorpediniere britannico, in acque territoriali russe nel mar Nero e le esercitazioni, sempre nel mar Nero, “Sea Breeze 2021”: le più estese per numero di partecipanti nella storia di tali manovre) e, dall’altro, come sottolinea ancora Kedmi, troppo estesi e troppo importanti sono gli interessi comuni tra Russia e Cina: dalla realizzazione del gasdotto “Forza della Siberia”, all’impianto di lavorazione del gas sull’Amur (AGZ: Amurskij gazopererabatyvajuščij zavod), in grado di produrre 60 milioni di tonnellate di elio. Ora, nella corsa a non apparire come “la potenza più debole”, quale è oggi, economicamente, la Russia (gli USA giudicano la Russia una “potenza in declino”, in possesso però di armi nucleari, che vuole raggiungere un più elevato status mondiale) rispetto alla potenza economica in ascesa (Cina) e a quella in crisi (USA), chiaro che Mosca preferisca salire sul treno più veloce, contribuendo così al balzo industriale e tecnologico della Cina, traendone anche benefici propri. Il 14° piano quinquennale cinese 2021-2025 prevede infatti l’accelerazione dello sviluppo di tecnologie d’avanguardia, dall’intelligenza artificiale all’informatica quantistica, per ovviare alla dipendenza dalla base tecnologica occidentale: il fondo sovrano cinese detiene

Il vertice NATO ha ripetuto l’assioma secondo cui sarebbe la Russia ad aver spostato i propri confini verso ovest e non la NATO a dilagare in Europa orientale

3,7 trilioni di $ e la Cina intende spenderne 1,5 per una svolta in questo settore. Dunque, questi 1,5 trilioni significano circa trecento nuove imprese di produzione degli elementi base per la microelettronica, cioè i semiconduttori, per i quali si utilizza un’enorme quantità di elio. Oggi, il 52% dell’elio mondiale è prodotto dagli Stati Uniti, che utilizzano questo fattore per frenare lo sviluppo cinese; per evitarlo, la Russia sta costruendo l’impianto AGZ che, oltre all’elio, produrrà altri elementi, utili allo sviluppo russo nella microelettronica. Il cinese Global Times scrive che il commercio tra Russia ed Europa è precipitato dai 410 miliardi di $ nel 2013, ai 219 miliardi del 2020, mentre il commercio annuale tra USA e Russia è fermo ai 20 miliardi di $ e, al contrario, quello tra Cina e Russia supera i 100 miliardi di $, con una crescente cooperazione nell’alta tecnologia. Da qui, scrive Global Times, i tentativi di Biden di «minare le relazioni sinorusse».

Si arriva così al video-colloquio Putin-Xi del 28 giugno. L’occasione era data dalla scadenza, il 16 luglio, del XX anniversario dell’Accordo di buon vicinato tra Mosca e Pechino e dalla volontà di prolungarlo per altri cinque anni, delineando una strategia russo-cinese di contrasto alle “pressioni dell’occidente collettivo”, di cooperazione nel campo dell’energetica nucleare e una comune linea di intervento nel Vicino Oriente. Nel comunicato congiunto, è detto che Mosca e Pechino si considerano reciprocamente partner prioritari, e rafforzeranno ulteriormente il «coordinamento e la cooperazione in tutti i settori: politico, militare, commerciale, economico, energetico e nelle questioni internazionali». Inoltre, con «l’intensificarsi della turbolenza globale, cresce l’urgenza dell’interazione strategica russo-cinese, tesa anche alla creazione di un equo sistema multipolare di relazioni internazionali». Di fatto, dalla firma del Trattato, nel 2001, gli scambi commerciali sino-russi sono cresciuti di 14 volte e «la partnership energetica ha assunto carattere strategico, mentre si estende la cooperazione finanziaria, con l’utilizzo delle valute nazionali nelle transazioni bilaterali». La partnership strategica tra Russia e Cina è iniziata molto prima dell’attuale guerra commerciale yankee contro Pechino, e Mosca non pare disposta ad allentare i legami con la Cina in cambio di qualche concessione USA. Visti i forti interessi comuni russocinesi, è molto improbabile che Biden, così come non ci è riuscito a Ginevra, riesca in un futuro prossimo ad allontanare la Russia da una così “prolifica mucca” quale la Cina. Si riferisce indirettamente a questo il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, quando dice che «I paesi seri e rispettosi di sé non permettono che ci si rivolga loro con degli ultimatum... Per quanto riguarda la Russia, da tempo è giunto il momento di capire che è definitivamente svanita la speranza di giocare con noi ad una porta sola». Tradotto: il capitale russo non intende più esser considerato il “cugino povero” e vuol decidere in proprio le aree mondiali in cui insediarsi e a quali cordate accodarsi, salvo cambiare partner quando lo reputi più lucrativo. Da qui, gli scontri sempre più aspri con i capitali concorrenti per guadagnarsi spazi propri. Il triangolo delle contrapposizioni USA-Russia-Cina rimane dunque il tema focale di lungo periodo, mentre pare per ora congelato quello dell’adesione ucraina alla NATO, pur nella strategia dell’espansione ad est dell’Alleanza atlantica. Finché le cordate dei rispettivi biznessmeny riescono a trovare qualche interesse comune, contrapposto a quelli dei monopoli yankee, Russia e Cina rimarranno unite nel contrastare l’attacco USA. La UE viaggia ufficialmente come soggetto “unitario”; di fatto, ognuno per conto suo: chi strizza l’occhio all’Estremo Oriente, chi fa affari ad Est, chi ostenta fedeltà canina a Washington. È il capitalismo.

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1941: l’Esercito Rosso sconfigge il blitzkrieg nazista e le trame anglosassoni Quanto quella data

Fabrizio Poggi Lo scorso 22 giugno alcuni (pochi) paesi hanno ricordato l’ottantesimo anniversario dell’operazione “Variante Barbarossa”, l’attacco nazista all’Unione Sovietica nel 1941. Quanto quella data non segni soltanto una linea storica, ma rivesta connotazioni politiche molto attuali, lo dimostrano le continue “risoluzioni europeiste” volte ad equiparare Unione Sovietica e Germania nazista nella categoria a-classista di “totalitarismo”, per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale: si va dallo “scontro tra due dittature”, fino alla blasfemia liberale del “Stalin peggiore di Hitler”! Gli interventi ufficiali che, per ovvi motivi, più hanno avuto risonanza in occasione della ricorrenza, sono stati quelli del presidente russo Vladimir Putin e del suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. Il secondo, pronunciato il 18 giugno all’inaugurazione della mostra a Berlino dedicata ai circa 3,5 milioni di prigionieri dell’Esercito Rosso fatti morire nei lager nazisti, si è caratterizzato per le parole sulla Seconda guerra mondiale, che «getta una lunga ombra e quest’ombra ricade su di noi fino ad oggi»: forse si riferiva a quando, da Ministro degli esteri, si faceva fotografare insieme a golpisti e neonazisti ucraini Porošenko, Kličkò, Jatsenjuk, Tjagnibok. Il primo, incentrato prevalentemente sull’odierna contrapposizione tra NATO e Russia, ha eluso

non segni soltanto una linea storica, ma rivesta connotazioni politiche molto attuali, lo dimostrano le continue “risoluzioni europeiste

così bene ogni “ombra del passato”, da riuscire a non nominare il nome del Comandante in capo dell’Esercito Rosso, Iosif Stalin, né a sfiorare la questione (eppure, parlando dell’attuale politica occidentale, ha evidenziato come Europa e USA si pongano “collettivamente” in maniera ostile nei confronti di Mosca) di come l’attacco nazista fosse stato la logica conclusione di vent’anni di tentativi occidentali di soffocare la Russia sovietica e l’URSS e di come fossero state proprio le

“democrazie occidentali” a foraggiare Hitler, a concludere accordi con lui per tutta la seconda metà degli anni ‘30 e poi dargli disco verde per l’attacco armato ad est. Non semplicemente una “difesa della patria”, come dice Putin, spinse l’Esercito Rosso a tener testa e poi contrattaccare le forze di tutti quei paesi che, insieme alla Germania nazista, avevano “collettivamente” invaso il territorio sovietico, bensì la cosciente difesa del primo Stato di dittatura del proletariato, delle conquiste del socialismo, la

consapevole autorità, tra decine di milioni di operai e kolkhoziani, goduta dal VKP(b) e dalla leadership bolscevica. Questa “ombra” non c’è stata nel discorso di Putin, mentre è stato ripetuto il mantra interclassista del «sogno degolliano di un continente unito non solo geograficamente “dall’Atlantico agli Urali”, ma culturalmente, civilmente, da Lisbona a Vladivostok». Non c’è stato, per la verità, nemmeno un attacco a Stalin, forse per la sua tuttora crescente popolarità tra i russi. Pur se, nelle vulgate di

moda nella “storiografia” liberale, russa e occidentale, si ripetono gli stereotipi sul blitzkrieg tedesco che permise alla Wehrmacht di essere a Minsk già al quinto giorno di guerra a causa del fatto che «Stalin non aveva capito che si stava avvicinando la guerra e non aveva preparato l’esercito»; «Stalin aveva decapitato i vertici militari con le purghe del 1937»; «Stalin si rifiutò sempre di credere alle informazioni del controspionaggio». E via di questo passo . Si possono confutare simili “khruščëvianate”? Una sintesi delle obiezioni alle menzogne liberali è riportata qui. https://drive. google.com/file/d/1lX3mkxKXG5_ q2tuHRmcWYZ_dMSRxrs76/ view?usp=sharing

dalla prima Ma c’è anche l’Europa. Ed ecco, come primo viaggio all’estero dopo la pandemia, la visita in Francia di Mattarella con al seguito il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (gli affari sono affari, infatti ha incontrato anche Giorgio Armani, già a Parigi per la moda) per dire che “tra Italia e Francia c’è un legame unico” che si basa su valori condivisi, storia comune”. Il Capo dello Stato ha parlato dell’esigenza di intensificare le relazioni con un trattato di collaborazione rafforzata anche con la proposta di servizio civile comune francoitaliano per i giovani”. Per Macron con il presidente Mattarella c’è stato un “pieno coordinamento sulla solidarietà europea”. “L’anno appena trascorso - ha detto - ha messo in luce una volontà forte di Germania, Italia e Francia di lavorare insieme e costruire un’ambizione europea. Partnership italo-francese fondamentale per l’Europa”. I due presidenti hanno parlato di Africa e del ruolo dei due paesi nella “vocazione alla pace”; della “questione libica” “abbiamo” con l’Italia convergenze e preoccupazioni comuni”, dice Macron. Del Sahel, “l’Italia è un paese al quale rendiamo omaggio per l’impegno, in particolare con il contributo alla forza Takuba e il suo coinvolgimento nelle operazioni umanitarie”. Come dire: tutto il servilismo e la complicità di Mattarella per appoggiare l’imperialismo Usa e quello francese che ha distrutto la Libia e continua a saccheggiare l’Africa. Intrighi internazionali per risollevare il capitalismo perché la borghesia sa come

confermare il proprio potere sulla classe lavoratrice e sulle masse popolari che sono sempre più in affanno di fronte a disoccupazione e sfratti. Di fronte alla disoccupazione dilagante ancora molti lavoratori pensano che abbassando la testa ed evitando la protesta si possa difendere l’occupazione. Non è così, la crisi si farà più acuta e non si fermerà con le soluzioni individuali. Senza l’unità e l’organizzazione di classe i proletari saranno sempre schiavi della borghesia che ha un unico scopo: realizzare il massimo profitto sulla loro pelle, con l’aumento dello sfruttamento, dei ritmi e dei carichi di lavoro senza le minime misure di sicurezza che continuano a causare infortuni e morti. Ancora di più ora che devono recuperare le cosiddette perdite dovute al lockdown, anche se la maggioranza delle fabbriche non ha mai chiuso neppure nelle fasi di maggiore isolamento, favorendo il contagio. Non è un caso se la violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro è stata cancellata dalla Cassazione nella sentenza per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009 (32 vittime e feriti gravissimi) condannando i sei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) al pagamento di ben 80.000 euro che sono stati versati grazie ai sacrifici di chi ha contribuito alla raccolta di solidarietà che si è subito sviluppata. Non altrettanto solerte è la magistratura che, a distanza di 6 mesi, non ha ancora emesso le motivazioni della sentenza della Corte di cassazione.

“Falsi storici” È un volumetto edito da L’AntiDiplomatico, che non è un lavoro propriamente storico, perché non è storico l’obiettivo di chi oggi vorrebbe contraffare gli avvenimenti per parificare “per legge” nazismo e comunismo. “Falsi storici” è un piccolo contributo alla battaglia contro l’anticomunismo, contro la canea liberale sui colpevoli per lo scoppio della Seconda guerra mondiale e le falsità sui protagonisti della vittoria sul nazismo. Nel libro, viene presentata una nuova traduzione di “Fal’sifikatory istorii. Istoričeskaja spravka” (“Falsificatori della storia. Informazione storica”), pubblicato nel 1948 dal Informbjuro sovietico, per smentire le asserzioni anglo-americane circa un presunto “patto segreto Berlino-Mosca per spartirsi tutta l’Europa orientale”. Segue poi una succinta rassegna della più recente pubblicistica russa sugli stessi temi. È tempo che i comunisti facciano sentire la propria voce anche su questo fronte dell’informazione. https://www.youcanprint.it/storia-generale/falsi-storici-chi-ha-scatenato-la-seconda-guerra-mondiale-9788894552003.html


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Genova 2001: ricordare per continuare la lotta Emiliano Sono passati 20 anni dalle grandi manifestazioni di massa che a Genova il 20 e 21 luglio 2001 denunciavano e protestavano contro le decisioni imperialiste che il G8 (gli 8 potenti della terra) avrebbero preso. Manifestazioni colorate con una forte partecipazione di giovani, molti anche ignari di cosa fosse la repressione poliziesca e di Stato, e che, imbevuti di una propaganda pacifista di un movimento in mano a piccolo borghesi, che poneva fiducia nelle istituzioni “democratiche” hanno alzato le mani nude di fronte alla polizia (reparti ben addestrati all’estero) che picchiava selvaggiamente. Il 20 la polizia aveva ammazzato il giovane manifestante, Carlo Giuliani di 23 anni e il 21 completava la sua opera con cariche, lancio di lacrimogeni e il colpo finale con la mattanza alla scuola Diaz dove alcuni manifestanti dormivano. Nel 1960, sempre a Genova, operai e portuali erano scesi in piazza contro il governo Tambroni per impedire il congresso del MSI (che appoggiava il governo DC). La classe operaia, in particolare i portuali insieme alle “magliette a strisce” come sono stati denominati i giovani proletari di allora, fronteggiavano le violente cariche della polizia che era arrivata a sparare a vista contro i manifestanti, riuscirono a far saltare il congresso fascista e dopo pochi giorni, grazie agli scioperi generali in tutto il paese ed una mobilitazione generale costata anche numerosi morti uccisi dalla polizia (Reggio Emilia), fecero cadere il famigerato governo Tambroni. ”nuova unità” esce a cavallo delle iniziative, ma abbiamo voluto ricordare lo stesso questa esperienza dove ha perso la vita Carlo Giuliani e di macelleria messicana per fare alcune riflessioni. La prima che salta agli occhi è la differenza del livello di mobilitazione e scontro tra il 1960 e il 2001 che rende evidente cosa significhino la presenza e l’egemonia della classe operaia, in lotta contro il fascismo nella prospettiva di una società diversa nella quale non c’è posto per i fascisti, per la polizia e per lo sfruttamento capitalista, dove il Partito Comunista ha il suo ruolo di organizzatore e propulsore alla testa della rivolta sociale verso una società socialista. La seconda è la differenza di mobilitazione di oggi rispetto a 20 anni fa. Molta acqua è passata sotto i ponti - che nel frattempo sono anche crollati causando 43 vittime - ma il livello di mobilitazione e di lotta e andato via via calando grazie all’impegno profuso da partiti che non si possono definire neanche più riformisti, da movimenti sociali timorosi di rompere l’ordine costituito, da pacifisti e da sindacati collaborazionisti pronti a svendere gli interessi popolari per un “tavolo di concertazione”. Ma anche dalla mancata capacità da parte dei comunisti di mantenere e allargare un legame organico tra proletariato e organizzazione comunista. Una frantumazione che, sia sul piano politico con la nascita di piccoli gruppi e partiti, sia sul piano strettamente sindacale non ha fatto altro che indebolire il movimento proletario privandolo delle proprie organizzazioni e direzioni come un esercito battuto in una ritirata caotica e disordinata. Oggi a Genova il sindaco detta le sue regole e indica chi e come può parlare e “democraticamente”. Dice che non ci sono problemi per le iniziative ma queste devono essere esaminate dal Comitato per l’ordine e la sicurezza. “Il nostro obiettivo – sostiene Bucci - è quello di evitare qualsiasi ferita a Genova”. Una vera e propria provocazione, Genova non si è ferita da sola, ma dalle cariche e dalle violenze fisiche e psicologiche della polizia, dall’assassinio di Carlo Giuliani e dal-

A vent’anni dal G8, il nemico è sempre più organizzato, la repressione colpisce soprattutto le avanguardie di lotta, il movimento è frazionato. La classe operaia, attaccata su tutti i fronti dalla borghesia, tarda a capire che il capitalismo va abbattuto e che si può vivere e lavorare senza padroni la provocazione alla Diaz. Il governo Berlusconi - che si era insediato solo un mese prima – doveva mostrare i muscoli. Nel governo di centrodestra hanno giocato il ruolo di duri Gianfranco Fini (oggi sparito dalla circolazione sommerso dagli scandali) che all’epoca aveva contatti con la questura, e l’allora ministro Castelli. Ma tutti i vertici della polizia furono nominati dal precedente governo di centrosinistra, e furono gli stessi che hanno avuto modo di migliorare le proprie carriere sotto il governo di centro destra. Va ricordato che Scajola (anche lui oggetto di scandali) diede l’ordine di sparare sui manifestanti se avessero superato la zona rossa. Che la tecnica usata a Genova di chiudere a tenaglia i manifestanti senza lasciar loro alcuna via di fuga dando luogo a vere e proprie tonnare, di aggredire e torturare come alla scuola Diaz era una pratica repressiva della polizia sperimentata anche nei maltrattamenti alla caserma Raniero nella precedente manifestazione “no global” a Napoli durante il governo Amato targato centrosi-

nistra, con Enzo Bianco come ministro. L’uccisione di Carlo Giuliani come le violenze alla scuola Diaz di Bolzaneto degli agenti del settimo reparto mobile guidato da Vincenzo Canterini, dove alloggiavano numerosi manifestanti (criminalizzati dai mass media), è stata orchestrata per stroncare sul nascere un movimento - che non poneva certo la presa del potere, ma metteva in luce le ingiustizie del capitalismo contro i lavoratori, le masse popolari, l’ambiente in tutti i Paesi e che riusciva anche a conquistare un consistente numero di persone, in particolare giovani - col chiaro scopo di terrorizzarli, dissuaderli e allontanarli dall’impegno politico e dalle proteste di piazza. Come oggi si tenta di fare contro il movimento No Tav in Val di Susa e contro il movimento dei lavoratori, in particolare nella logistica come alla Fedex, che lottano per difendere il proprio posto di lavoro e la propria sicurezza. Lo Stato borghese premia i propri servitori favorendo con promozioni i più ligi al dovere. Al capo della polizia durante la mattanza dei manifestanti a Genova, De Gennaro, il governo Prodi bis assegnò la gestione dei rifiuti a Napoli che, naturalmente, fece militarizzando il territorio con l’impiego dell’esercito. In seguito, assolto dal processo, è salito al vertice dei servizi segreti, poi a Palazzo Chigi con Monti, fino ai vertici di Finmeccanica nominato da Letta e confermato da Renzi. Promosso proprio come Moretti dopo la strage di Viareggio. Sono stati condannati 25 funzionari dello Stato con pene irrisorie tra i quali Fabio Ciccimarra commissario capo questura di Napoli oggi capo della Mobile de L’Aquila, Spartaco Mortola ex dirigente Digos Genova oggi alla guida della Polfer di Torino, Francesco Gratteri - il più noto fra i condannati per il verbale fasullo - diventa capo dell’antiterrorismo, poi Questore di Bari e, con il grado di prefetto, coordinatore del Dac (Divisione centrale anticrimine)”. Dopo il pronunciamento della Cassazione va in pensione. A Vincenzo Canterini, all’epoca del G8 comandante del Reparto mobile di Roma, la Corte di Cassazione ha ridotto la pena perché il reato di lesioni gravi è prescritto. Altri sono stati assolti o prescritti in appello o prosciolti per prescrizione. Praticamente nessuno ha pagato, anzi molti funzionari anche dopo l’interdizione hanno ricevuto l’offerta di incarichi da banche, aziende di Stato e persino da squadre di calcio. A dimostrazione che non esiste differenza

tra governi e che l’idea dell’alternanza non regge perché quando si tratta di difendere il proprio potere la borghesia, attraverso i propri comitati d’affari governativi, sa come usare i propri strumenti repressivi. Tant’è che anche il governo che si presenta difensore della democrazia e di “unità nazionale” come l’attuale Draghi non disdegna di usare la forza per fare colpire dalle proprie forze del “disordine” i lavoratori in lotta. Mentre usa la carota – complici i sindacati confederali – per evitare lo scontro di classe all’altezza dell’attuale situazione. A vent’anni dal G8, il nemico è sempre più organizzato, la repressione colpisce soprattutto le avanguardie di lotta per spaventare e intimorire i meno politicizzati e organizzati, il movimento è frazionato e sono ben pochi coloro che sostengono prospettive rivoluzionarie. La classe operaia, attaccata su tutti i fronti dalla borghesia, tarda a capire che il capitalismo va abbattuto e che si può vivere e lavorare senza padroni. Ricordare Genova significa preservare ed estendere il nostro odio di classe e continuare a lottare per seminare l’idea di rivolta contro le scelte e le strategie politiche ed economiche del capitalismo che oggi, più che mai, opprimono la classe lavoratrice e le masse popolari in Italia e nel mondo.


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Notizie in breve dal mondo giugno-luglio Washington, USA 8 giugno

Londra, Inghilterra 8 luglio

Il governo USA, attraverso il gruppo di lavoro per la riunificazione familiare creato da Biden, comunica di aver identificato più di 3.900 minori migranti che sono stati separati dai genitori alla frontiera con il Messico da parte dell’Amministrazione Trump, in base alla sua dottrina della tolleranza zero verso gli immigrati clandestini. Ma l’Unione Statunitense per le Libertà Civili (ACLU) ne conta invece più di 5.500, sulla base di informazioni governative. Dei 3.900 minori, 1.786 si sono riuniti con almeno un genitore, mentre si ignora dove siano 391 bambini. Nel rapporto del gruppo di lavoro si indica che il 60% dei minori sono guatemaltechi (2.270), seguiti da 1.150 honduregni, 281 salvadoregni, 75 messicani, 74 brasiliani e 23 rumeni.

Bruxelles, Belgio 14 giugno

La NATO pubblica oggi una dichiarazione in cui afferma che le sue priorità sono Russia, Cina e Afghanistan, le “nuove minacce”, e chiede una maggiore cooperazione dell’Unione Europea. I punti più importanti toccati dalla dichiarazione sono: 1) il rafforzamento militare della Russia, le ambizioni cinesi che sfidano l’ordine internazionale e la cooperazione militare con la Russia; 2) il terrorismo in ogni sua forma: Gli attori statali e non statali sfidano l’ordine internazionale e minano la democrazia in tutto il mondo; 3) le minacce tramite tecnologie emergenti sempre più sofisticate; 4) necessità di una difesa europea più forte ed efficiente per rendere più sicura la zona euro atlantica; 5) il ruolo della NATO in Afghanistan, che continuerà a fornire aiuti e appoggio finanziario alle forze di sicurezza e di difesa afgane.

Bogotà, Colombia 15 giugno

Il Ministero della Difesa colombiano precisa oggi che i civili uccisi nel corso dello Sciopero Nazionale sono 23, mentre vari organismi per la difesa dei Diritti Umani, come la OnG Temblores, ne contano almeno 41 tra il 28 aprile e il 13 giugno. Sempre Temblores precisa che dal 28 aprile al 31 maggio ci sono stati 3.789 persone colpite dalla violenza poliziesca: 1.649 cittadini sono stati arrestati arbitrariamente, ci sono state 1.248 denunce di violenze sessuali e 69 persone sono state vittime di gravissime lesioni agli occhi.

Washington, USA 15 giugno

Esce il rapporto del Senato, sottoscritto da democratici e repubblicani, sull’assalto alla sede del Congresso USA da parte di simpatizzanti di Donald Trump lo scorso 6 gennaio. Il rapporto non risponde alle domande più importanti le falle dei servizi di sicurezza, il ruolo dei gruppi estremisti e quello di Trump. Secondo l’agenzia di stampa Associated Press, “l’inchiesta congiunta di due commissioni del senato è stata completata rapidamente per poter prendere misure per proteggere il Congresso e alcuni organismi del Governo non hanno cooperato pienamente a tale inchiesta”. Tra queste, secondo il Rapporto, la Polizia del Campidoglio, che era a conoscenza dei piani degli assalitori ma che non trasmise l’informazione alla catena di comando. Viene messo in discussione, ma senza insistervi, il ruolo di FBI e del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, che non intervennero nonostante l’attacco fosse stato organizzato alla luce del giorno attraverso internet. Nessuna risposta alla domanda più importante: quale fu il ruolo di Donald Trump?

Redzikowo, Polonia 25 giugno

L’Agenzia di Difesa Antimissile USA annuncia oggi di aver iniziato ad installare, in territorio polacco, i sistemi di difesa di missili balistici Aegis, che possono rintracciare, scoprire, attaccare e distruggere da terra missili balistici in volo. Quando l’installazione sarà completata, la Polonia diventerà il secondo sito di difesa contro missili in Europa (dietro alla Romania).

L’Avana, Cuba 26 giugno

E morto oggi, a 85 anni, il capitano dell’Esercito Ribelle Orlando Borrego Dìaz. Aveva fatto parte della Colonna n.8 Ciro Redondo sotto il comando del Che Guevara, di cui diventerà stretto collaboratore e amico negli anni seguenti. Orlando Borrego lavorò nel Dipartimento di Industrializzazione dell’INRA (1959-1960, fu vice primo ministro del Ministero delle Industrie (1961-1964) e poi Ministro dell’Industria Zuccheriera (1964-1968). Laureato in Scienze Economiche presso l’Accademia delle Scienze dell’URSS, tra i suoi libri ricordiamo “Che, el camino del fuego” (2001), in cui ricostruisce il pensiero e la pratica del Che Guevara sulla transizione al socialismo.

Anche Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, comunica oggi che la maggioranza delle truppe britanniche ha abbandonato l’Afghanistan, come parte della ritirata annunciata dalla coalizione NATO. Ha comunque chiarito che il suo paese non cancellerà i patti con l’Afghanistan e, per quest’anno, concederà al paese 100 milioni di sterline (circa 140 milioni di dollari) in aiuti per lo sviluppo; Londra fornirà anche 58 milioni di sterline (quasi 80 milioni di dollari) al bilancio delle forze armate e di sicurezza afgane. In Afghanistan hanno combattuto, negli ultimi 20 anni, circa 150.000 militari britannici, 457 dei quali vi hanno perso la vita .

Dacca, Bangladesh 9 luglio Londra, Inghilterra 26 giugno

Dopo la manifestazione del 23 maggio in cui decine di migliaia di persone hanno sfilato chiedendo la fine dell’aggressione israeliana e in solidarietà ai residenti di Gaza, tornano oggi in piazza migliaia di londinesi con le bandiere palestinesi per protestare contro l’appoggio “illimitato” del governo conservatore ad Israele. Chiedono anche la fine delle esportazioni di armi e dell’ingerenza.

Tegucigalpa, Honduras 5 luglio

Un tribunale di Giurisdizione Nazionale ha dichiarato Roberto David Castillo Mejìa – dirigente ed ex presidente esecutivo della Desa, Desarollos Energéticos S.A., la società incaricata di realizzare una diga nella zona di Agua Zarca, ex ufficiale dell’intelligence dell’esercito dell’Honduras, addestrato con i berretti verdi negli Usa- coautore dell’assassinio di Berta Càceres, definendolo “il regista” dell’uccisione. Berta, leader della tribù dei Lenca e nota attivista ambientalista, da sempre impegnata contro la costruzione di una diga idroelettrica che avrebbe deviato il percorso del fiume Gualcarque, considerato sacro dalle popolazioni orginarie perché essenziale alla loro sopravvivenza, fu uccisa la notte del 3 marzo 2016: 3 sicari fecero irruzione nella sua casa e spararono alla donna. Per il suo assassinio sono già stati condannati 4 degli 8 accusati, ed ora è il turno del “regista”.

Mosca, Russia 6 luglio

Il Ministero delle Finanze informa oggi di aver completato le operazioni di conversione necessarie perché il dollaro venga escluso dalla composizione monetaria delle riserve del Fondo del Benessere Nazionale. La sterlina è stata ridotta al 5%, mentre sono stati aumentati euro e yuan del 37% e del 30,4% rispettivamente. Secondo il Ministero, le altre componenti sono lo yen giapponese per il 4,7% e l’oro non monetario per il 20,2%. Il Fondo, creato nel 2008, serve da sostegno al sistema pensionistico statale. Il Ministero spiega che questi cambiamenti si devono alla necessità di adeguarsi alla composizione delle riserve internazionali della Banca Centrale, che le ha modificate nel 2018 per minimizzare eventuali sanzioni da parte degli Stati Uniti.

MEMORIA 22 giugno 1941, Unione Sovietica Diventa realtà la Direttiva n. 21 di Adolf Hitler, chiamata “Operazione Barbarossa”. Questa mattina, alle ore 3,153.45, lungo la linea che va dal mar Baltico al Mar Nero, truppe del 3° Reich invadono l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: la sanguinosa “guerra lampo” dei nazisti durerà 1.418 giorni e finirà il 9 maggio 1945 con la vittoria dell’Esercito Rosso. L’Unione Sovietica pagherà un altissimo prezzo: 26,6 milioni di vittime (il 40% di tutte le vittime della 2° guerra mondiale), in maggioranza civili. La “paura del comunismo” farà sì che le principali potenze occidentali lascino sola l’Unione Sovietica, considerando il nazismo come “il male minore” (come avevano già fatto nella guerra di Spagna, aprendo così la strada a fascisti e nazisti nella loro corsa alla guerra).

La città è stata nuovamente scossa da un gravissimo incidente sul lavoro: un incendio scoppiato in una fabbrica ha fatto 52 morti e 25 feriti tra gli operai. Il fuoco è scoppiato al pianterreno della fabbrica nella zona di Narayangani, dove, secondo il capo dei pompieri, erano immagazzinati prodotti chimici e plastici altamente infiammabili. Gli incendi nelle fabbriche del Bangladesh, che si lavora per le principali multinazionali occidentali, sono frequenti date le precarie condizioni di sicurezza sul lavoro. Nel 2019 un incendio in una fabbrica chimica nella stessa zona uccise 70 persone e ne ferì 55. Nel 2013 il crollo del fabbricato industriale di Rana Place a Savar causò almeno 110 morti in una fabbrica di indumenti.

Palestina, 10 luglio

Sul sito ufficiale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina appaiono oggi alcuni numeri: 144 insediamenti illegali e 31.636 costruzioni di abitazioni nelle zone occupate, 680.000 nuovi coloni insediati nei territori della Cisgiordania e di Gerusalemme dal 2004. Secondo il sito le forze di occupazione hanno già cintato e preparato per futuri insediamenti altri 139 luoghi. Il rapporto indica anche che fino al 30 giugno di quest’anno ci sono stati più di 15.000 attacchi contro i palestinesi, tutti impuni grazie all’appoggio delle forze di occupazione israeliane e nonostante le risoluzioni dell’ONU. Dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2021 Israele ha demolito e confiscato più di 4.000 strutture palestinesi e quasi 4.920 opere, comprese quelle finanziate da investitori stranieri. Il relatore speciale dell’ONU per la Palestina, Michael Lynk, ha nuovamente richiamato la comunità internazionale alla necessità di definire gli insediamenti illegali israeliani in territorio palestinese occupato “un crimine di guerra” come stabilito dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. A Ginevra egli ha dichiarato: Gli insediamenti israeliani sono il motore dell’occupazione israeliana che dura da 64 anni, la più lunga del mondo moderno... Per Israele gli insediamenti servono a due propositi legati tra oro. Uno è garantire che il territorio occupato rimanga sotto controllo di Israele per sempre. Il secondo è garantire che non ci sia mai un autentico Stato palestinese.

Buenos Aires, Argentina 11 luglio

La Centrale dei Lavoratori dell’Argentina (CTA) chiede che l’ex presidente Mauricio Macri sia processato per l’invio di armi alla Bolivia in appoggio al colpo di Stato di Jeanine Áñez del 2019. In base ai documenti originali ritrovati negli archivi della Forza Aerea, è stato dimostrato che il governo golpista di Áñez autorizzò l’ingresso di personale e armamenti argentini il 13 novembre 2019. Nel suo manifesto l’organizzazione sindacale operaia afferma che inconfutabile prova presentata dal governo di Luìs Arce porta alla luce il fatto che Macri sapeva già che si tramava un colpo di stato contro l’allora presidente Evo Morales e che un’azione simile venne attuata anche dal governo ecuadoregno di Lenin Moreno. Questa articolazione continua il comunicato della CTA poteva essere realizzata solo dal vero mandante dei complici del golpismo boliviano, cioè dal governo degli Stati Uniti.

Cuba, 12 luglio

In seguito alle proteste di strada orchestrate dagli USA, decine di migliaia di persone hanno manifestato il loro appoggio alla Rivoluzione al grido di “Questa strada è di Fidel” in tutte le città cubane facendo propria l’indicazione del presidente Dìaz-Canel perché i rivoluzionari scendessero nelle piazze. Alla TV cubana il cancelliere Bruno Rodrìguez sfida Washington a smentire il fatto che sia stata una società con sede a Miami a promuovere la recente campagna mediatica e che Twitter abbia collaborato ad alterare i sistemi di geolocalizzazione della maggior parte delle utenze che hanno partecipato a questa campagna mostrando falsamente la loro localizzazione a Cuba, mentre si trovano fuori dell’isola. La campagna mediatica, segnala il cancelliere, è stata finanziata dal governo repubblicano della Florida e dall’USAID.


nuova unità 4/2021

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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

L’Ambasciata di Cuba e “Il Giornale” Roma, 16 giugno 2021 Ancora una volta il quotidiano italiano “Il Giornale” ostenta la sua visceralità ideologica e la sua mancanza di rispetto per tutto e per tutti coloro che non si adattano ai canoni dell’estrema destra che rappresenta. Non gli importa mentire o offendere. Ignorarli potrebbe essere quanto di più meritato. Tuttavia, con la firma di Paolo Manzo, che dice di vivere da molti anni in Brasile, questo mezzo di propaganda ha pubblicato, in data 13 giugno 2021, un oltraggio intitolato “L’Avana e lo scandalo dei medici all’estero. Schiavi sottopagati” in cui, sbandierando le purulente diatribe anticubane della destra che fa la bella vita nel Parlamento europeo, si offendono i professionisti della salute che meriterebbero il massimo rispetto, senza meschinità faziose o ideologiche. L’articolo è scritto in linea mimetica con l’ingiuriosa campagna di discredito e menzogne contro la collaborazione medica che Cuba offre al mondo, un’operazione progettata, finanziata e istruita a essere mondializzata dagli uffici statunitensi, a Washington e a Miami, che mantengono viva la perenne persecuzione contro Cuba. Simili ai crociati del Medioevo, quelli che non indugiavano nell’uccidere e conquistare terre per ampliare le loro ricchezze e imporre un unico credo, gli attuali cavalieri della destra internazionale, sotto le spoglia di democratici, blasoni immorali e senza il minimo pudore, sono ossessionati dall’affliggere chi è esempio di un mondo dove coloro che compiono le opere non sono i potenti o gli autocrati, bensì la gente semplice che, convintamente, prodiga sforzi quotidiani e contribuisce a un mondo migliore e solidale, non semplicemente caritatevole. Con fondi milionari e nell’ambito della strategia di sovversione e ingerenza negli affari interni di Cuba, la campagna contro i medici cubani è diretta dal Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, con la partecipazione attiva del Dipartimento di Stato di quel paese, in collusione con la mafia anticubana e di ultradestra della Florida. Sostengono e finanziano a tale fine organizzazioni con la copertura di “non governative” e la falsa motivazione dei diritti umani, come quella citata nell’articolo di Manzo su Il Giornale, Prisoners Defenders, con sede in Spagna. L’istruzione perniciosa è semplice: accusare i medici cubani di essere “schiavi moderni”. Accusano di “tratta di esseri umani” Cuba, che ha dimostrato una notevole capacità di mobilitare sforzi personali e sociali per aiutare altri esseri umani in qualsiasi parte del mondo, sulla base di convinzioni, cosa che altri paesi non sono capaci di fare, nemmeno i più opulenti in risorse finanziarie e tecnologiche. È una vile calunnia e lo sanno bene. Le modeste risorse su cui conta Cuba, compresi i suoi medici, sono sempre state a disposizione dei più bisognosi. Fa parte della vocazione umanista che abbiamo ereditato da José Martí e alimentata da Fidel Castro, con una ferma convinzione di solidarietà internazionale. Dalla prima brigata medica inviata da Cuba in Algeria nel 1963 e fino ad oggi, più di 420.000 professionisti della salute cubani hanno offerto i loro servizi altamente professionali in 150 paesi, senza lesinare sacrifici e indipendentemente dal sistema politico o sociale di ogni Stato, perché è agli esseri umani che sono rivolti gli sforzi di medici e infermieri formati a Cuba. Ma, naturalmente, per i lancieri della destra, convinti che solo il denaro muove i comportamenti, è impossibile comprendere gli spiriti solidali. Dallo scoppio della pandemia mondiale della COVID-19, Cuba ha inviato ulteriormente 57 brigate mediche e circa 2.500 medici in 40 paesi dell’America Latina e dei Caraibi, Europa, Asia, Oceania, Africa e Medio Oriente al fine di aiutare a combattere la diffusione e la mortalità della SARS-CoV-2. Al contempo, Cuba ha gestito con indiscusso successo sanitario l’incidenza del virus nel proprio paese e ha sviluppato cinque formulazioni vaccinali contro questa malattia. Con questo contributo autoctono della scienza cubana, più di 1 milione di cubani sono già stati vaccinati, in agosto il 70% e in novembre il 100% della popolazione cubana sarà stata immunizzata con i vaccini cubani. Dovrebbero vergognarsi coloro che cercano di nasconderlo, diffondendo il loro doloso fumo di bugie. Meritano di essere descritti come schiavi i medici e gli infermieri cubani, come quelli che sono venuti a Crema e a Torino senza esitare, in aiuto d’emergenza, commossi e umanitari, in solidarietà con il popolo italiano, lacerato in quei momenti durissimi, quando l’epidemia della COVID-19 mieteva centinaia di vite ogni giorno? È un’offesa alla dignità umana da parte di coloro che lanciano improperi ai medici cubani e al paese che, facendo grandi sacrifici, li ha formati e li esorta ad aiutare altri popoli. Articoli come quello pubblicato su Il Giornale sono un affronto alla solidarietà umana, ai pazienti italiani che sono stati curati con scrupolosità professionale e affetto, alle loro famiglie e al popolo italiano stesso, che ha ricevuto e saputo essere grato per il sostegno disinteressato dei cubani. La prestazione disinteressata e umanista dei medici cubani, nonostante l’omissione di manifesti propagandistici come Il Giornale, è stata riconosciuta da migliaia di voci in tutto il mondo, che sostengono la candidatura del Contingente Internazionale di Medici Specializzati in Situazioni di Catastrofi e Gravi Epidemie “Henry Reeve” al Premio Nobel per la Pace. I cani abbaiano mentre Don Chisciotte e Sancho Panza cavalcano. Al di là delle infami calunnie con cui si cerca di offuscare la trascendenza umanista della solidarietà cubana e

nonostante il blocco economico, commerciale e finanziario mantenuto da 60 anni dagli Stati Uniti per colpire il popolo cubano, creandogli difficoltà estreme e privandolo di risorse copiose, Cuba continuerà a sviluppare la salute pubblica e a offrire al mondo la sua collaborazione in questo campo, secondo il principio inculcatoci da quello straordinario umanista, uomo del suo tempo e del nostro tempo, José Martí, che ci ha insegnato a capire e a sostenere che: “Patria è Umanità”. Beati coloro che sanno essere grati. Ufficio Stampa Ambasciata di Cuba in Italia

Con la lotta del popolo colombiano In Colombia possenti manifestazioni negate dai massmedia italiani reclamano i propri diritti dimostrando che l’82% del paese rifiuta i tiranni: Duque e Uribe. All’interno di queste proteste di massa che esprimono rabbia e grande indignazione degli strati bassi stanchi della fame e dell’esclusione sociale conta la forza travolgente della gioventù ribelle e la solidarietà della minga indigena. Le Farc stanno operando per la rinascita della speranza con l’obiettivo sia della presa del potere, partendo dall’insediamento di un nuovo governo del popolo e per il popolo. Si parla di unità e resistenza, le Farc tornano alle radici rivoluzionarie. Quanto tempo sprecato e quanti militanti massacrati dai governi Uribe e Duque per capire che la sola via è quella rivoluzionaria. Non si abbattono i governi con i patti né con le elezioni. Francesca Minnati Terni

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nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXX n. 4/2021 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo,, redazione di Firenze abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20

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Chiuso in redazione: 27/06/2021


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