"nuova unità" n. 5/2021. Segnaliamo la lotta alla GKN (Fi) e Afghanistan: talebani e grandi potenze

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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70% comma 20/B

Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità

Periodico comunista di politica e cultura n. 5/2021 - anno XXX

fondata nel 1964

Dicono che noi rivoluzionari siamo romantici. Sì, è vero, ma lo siamo in modo diverso, siamo di quelli disposti a dare la vita per quello in cui crediamo Che Guevara

La lotta non è andata in vacanza

Vaccini, green pass e crisi afghana oscurano e impediscono di vedere come questi argomenti si ripercuotono nel movimento operaio Il ritiro dei militari statunitensi dall’Afghanistan dopo 20 anni di saccheggio - preannunciato da tempo e fatto passare come decisione umanitaria - in realtà è la consegna del paese in rovina (i lavoratori da mesi non sono pagati, l’aspettativa di vita è scesa da 46,6 a 44,6 anni e l’alfabetizzazione è diminuita dal 36 al 28%) nelle mani dei talebani mentre il governo fantoccio scappa all’estero. L’operazione, che all’epoca le forze politiche e i massmedia hanno giustificato per “liberare le donne dal burka” ed esportare la democrazia occidentale, è co-stata agli Stati Uniti la stellare cifra di mille miliardi di dollari. E al nostro Paese - sempre al servizio degli USA, della NATO e delle proprie mire imperialiste che fu in prima fila nell’invio di truppe e istruttori militari - è costata, in piena crisi economica, 8,7 miliardi di dollari sottratti alla sanità, all’educazione, alle spese sociali. Ora, sempre al seguito dell’imperialismo, si creano ponti aerei per “proteggere vite umane”, ovvero i collaborazionisti e collaboratori delle ONG su cui tutti i partiti concordano per ospitarli mentre i migranti, che affrontano viaggi disumani per scappare da fame e guerre e riescono a non morire in mare, vengono rinchiusi in vergognosi centri. Il piano di vaccinazione è fallito e non certo per la minoranza no vax, ma per incapacità del generale che, non potendolo ammettere, lascia il campo alle autorità: dal presidente della Repubblica a Draghi al papa arrivano ricatti morali e pressioni a vaccinarsi e, invece di adottare cure e terapie adeguate, inventano il green pass (in attesa dell’obbligatorietà) spacciandolo per “strumento di controllo dei contagi”, oppure obbligano al tampone ogni due giorni, ovviamente a proprie spese e presso strutture private. Di fatto sono vigliacchi abusi dello stato di emergenza per dividere e comprimere i diritti, trasformare il consenso informato in un consenso estorto. Una vera e propria discriminante nei confronti dei non vaccinati considerati un pericolo pubblico, ai quali si impedisce di andare in vacanza, partecipare ad eventi culturali, utilizzare i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, accedere agli studentati, agli impianti sportivi e persino in biblioteca ecc. Viene sospeso senza retribuzione il personale della sanità anziché incrementarlo, si colpevolizza il personale docente e Ata e non si rafforza con nuove assunzioni, non si prendono misure strutturali necessarie a evitare sovraffollamento delle classi e garantire la ripresa delle lezioni in presenza e in sicurezza, non si fanno investimenti sui trasporti pubblici per evitare una delle cause di contagio e si addossa sui ferrovieri una mansione (peraltro non retribuita) di controllo che non compete loro. Controllo sociale e deriva autoritaria impediscono agli operai e lavoratori, oggettivamente divisi, di usufruire delle mense aziendali se non sono in possesso del green pass (funzionale anche al depotenziamento e sgretolamento del ser-vizio). Chi non si vaccina non ha più diritto al periodo di malattia in caso di quarantena, nella maggioranza dei settori produttivi può lavorare, ma non può mangiare insieme ai vaccinati (che comunque non sono esenti dall’infezione) – che dovrebbero essere immuni, secondo il governo – ed è fatto passare come untore quando in realtà è sano. Governanti, giornalisti passa veline e accondiscendenti medici e specialisti (a dimostrazione che la scienza non è neutrale) perennemente in TV l’unica cosa che non dicono è che i non vaccinati sono sani. Attaccano i no vax per screditare coloro che semplicemente si rifiutano di prestarsi ad un esperimento di massa, ma credono nella necessità di ricevere cure precoci e domiciliari appropriate, nella prevenzione sanitaria e territoriale. Che vanno oltre il vaccino e si oppongono alla privatizzazione e mercificazione della sanità, ai continui tagli dei posti letto, del

personale, alla percentuale che stabilisce i ricoveri in base al-le esigenze aziendali della sanità regionale e nazionale e non ai bisogni della popolazione e che rifiutano le scelte governative di investire più nelle armi che nella salute. Ogni caccia F35 dei 90 acquistati costa quanto 7120 ventilatori polmonari e il rifinanziamento delle 40 missioni militari all’estero (oltre 9 mila i soldati dispiegati in Europa, Asia e Africa) nel 2021 raggiungeranno 1,2 miliardi di euro, quasi 100 milioni in più rispetto al 2020 quando il paese era in pieno contagio. L’appartenenza alla NATO costa all’Italia 70 milioni al giorno. Però sono i vaccini e il green pass che hanno tenuto banco per tutta la stagione, soprattutto per le proteste dei novax in molti casi strumentalizzati da forze fasciste - spegnendo l’attenzione sui violenti disegni governativi. È passato lo sblocco dei licenziamenti, è partita l’attuazione del PNRR, ovvero la strategia del governo “per il rilancio della crescita, l’innovazione, la sostenibilità, l’inclusione sociale e la coesione territoriale nel triennio 2021-23” - approvato dai rami del Parlamento in aprile - che permette alla borghesia italiana (e alla mafia con lo sblocco dei subappalti) di predare i fondi previsti dalla UE. Innovazione, modernizzazione del Paese, equità e inclusione sociale, sostenibilità ambientale si tradurranno in un piano di riforme che avranno un impatto più che negativo sulla classe lavoratrice. Non a caso insieme al termine ripresa si martella sulla resilienza, mediaticamente mai usato tanto. I lavoratori devono aspettarsi nuove misure antioperaie, anche di carattere repressivo, sfruttamento, aumento dei licenziamenti, precarietà e ulteriore attacco alla sicurezza sui posti di lavoro. Nulla di buono neppure sul piano della giustizia, i processi civili saranno velocizzati, in particolare quelli per le esecuzioni di sfratto e pignoramenti. Sotto silenzio estivo è passata anche la decisione di Draghi di avvalersi della consulenza di Elsa Fornero – quella della riforma delle pensioni lacrime e san-gue e della dimenticanza degli esodati – per rendere più efficiente la realizzazione del suo programma. Appena arruolata, per non smentirsi, ha confermato che è il momento di compiere scelte impopolari. Sparite dall’informazione le vertenze di centinaia di fabbriche che resistono e che agosto e la sua calura non hanno piegato: dalla Whirpool alla GKN di Campi Bisenzio dove continua

l’occupazione grazie anche al contributo di mili-tanti e lavoratori di varie categorie. L’escalation dell’offensiva di governi e padroni che spesso sfocia in violenze e aggressioni contro lavoratori e attivisti sindacali deve essere al centro delle ri-vendicazioni dello sciopero generale dell’11 ottobre. Lo sblocco dei licenziamenti, il rilancio dei salari, precariato e sfruttamento, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il rafforzamento della sicurezza dei lavoratori, dei sistemi ispettivi e del ruolo degli RLS, il rifiuto dei decreti Salvini e del jobs act, il rilancio degli investimenti pubblici nella scuola e nei trasporti, nella sanità contro la privatizzazione, la mercificazione e lo smantellamento dei servizi pubblici essenziali sono alcuni degli obiettivi fondamentali per il movimento operaio

continua a pagina 8 L’organizzazione capitalista è repressione e morti di profitto

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GKN: 9 - 19 e 24 luglio; 11 agosto e la lotta continua pagina 3 Afghanistan: i Talebani a Kabul pagina 4/5

e le grandi potenze Terremoti, guerre, Stati falliti

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Vaccino e green pass sono il toccasana? pagina 6 In breve dal mondo

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L’organizzazione capitalista è repressione e morti di profitto Michele Michelino L’impresa capitalista finalizzata al profitto è un’organizzazione gerarchica, come un esercito. Al vertice il padrone o l’amministratore delegato, cui seguono i dirigenti, i capi e capetti delle singole unità organizzative e la vigilanza privata del padrone, gli operai in produzione, gli addetti ai magazzini e alle vendite. I padroni in ogni azienda stabiliscono le loro leggi e regole, punendo con multe, sospensioni o licenziamenti chi non rispetta il comando di fabbrica o non si attiene al suo codice di fabbrica, come monito per disciplinare la massa degli operai. Questa pratica punitiva negli ultimi anni si è accentuata, in particolare nel settore della logistica. Oggi più che in passato il lavoratore è sottoposto alla vecchia logica del bastone (punizione) e della carota (premio), che tutti i lavoratori conoscono e sperimentano in forme diverse in ogni luogo di lavoro. Dietro la facciata democratica formale della società c’è la dittatura del capitale. È la dittatura del padrone a determinare che la democrazia formale si fermi ai cancelli della fabbrica o dell’azienda capitalistica. Le classi sociali si scontrano giornalmente nei luoghi di lavoro e nella società, sia in modo palese sia latente nel conflitto sociale e di classe fra capitale e lavoro salariato. Il potere incontrastato del padrone è difeso e legittimato da governi, politici e sindacati confederali e filo padronali che riconoscono e difendono la proprietà privata dei mezzi di produzione e il profitto come diritti primari cui tutti gli altri devono essere subordinati. La lotta economica sindacale, anche la più radicale, per quanto necessaria, può solo contrastare il padrone limitandosi a “contrattare” lo sfruttamento e recuperare in parte il potere d’acquisto dei salari. Pensare quindi di ottenere con la lotta sindacale la liberazione dallo sfruttamento sulla base del sistema capitalista è come pensare di ottenere l’abolizione della schiavitù senza abolire il sistema schiavistico. L’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la libertà dallo sfruttamento capitalista può essere conquistata solo dopo aver distrutto dalle fondamenta la società capitalista, con il potere operaio, nel socialismo, quando la proprietà comune dei mezzi di produzione e il controllo strategico del processo di produzione sarà nelle mani dei lavoratori, secondo un piano stabilito nell’interesse della collettività. Nel capitalismo le belle parole e i principi della democrazia borghese sanciti dalla Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo si fermano ai cancelli della fabbrica e non valgono per le classi sottomesse se esse non in grado di farli rispettare con la lotta. Il superamento dello sfruttamento capitalistico implica la completa distruzione dei rapporti di comando della fabbrica da struttura autocratica (dispotica) qual è ora, a struttura democratica (non dispotica), quale potrebbe e dovrebbe essere nel futuro, nel socialismo dove la “democrazia operaia” garantisce il lavoratore e punisce lo sfruttamento considerandolo un crimine contro l’umanità.

Potere e scienza

In una società divisa in classi la scienza e la medicina, come tutte le istituzioni, non sono neutrali: anche la scienza è sempre al servizio del capitale. Il potere costituito dal capitale, così come ha bisogno delle forze repressive legali dello stato (carabinieri, polizia, esercito, ecc) o illegali (fascisti ad apparati segreti), ha bisogno di istituzioni, magistratura, carceri e di una scienza asservita al potere per legittimare il suo dominio e sottomettere il proletariato e le classi sottomesse.

La scienza del capitale non si basa sull’analisi dell’esperienza delle masse sfruttate, non è al servizio dell’uomo ma dei governi e ancor più delle multinazionali che pagano le ricerche per trarne profitto. Come abbiamo visto durante questa pandemia di covid19 i governi, i padroni e ciarlatani chiamati “scienziati di Stato” hanno detto tutto e il contrario di tutto per costringere la popolazione a vaccinarsi e fare accettare alla maggioranza della popolazione misure anticostituzionali e lesive dei diritti sociali e politici che altrimenti mai sarebbero passate. Il governo e la Confindustria, la guerra la fanno alla classe operaia e proletaria più che al virus, trattando come nemici chiunque ostacola l’accumulazione del profitto o la mette in discussione. L’introduzione del green pass è solo l’ultimo episodio di discriminazione contro i lavoratori e i “ribelli” che non accettano le regole stabilite dal potere. Con l’introduzione del passaporto verde lo stato limita e impedisce la mobilità sociale di una parte dei cittadini, l’accesso alle mense ai lavoratori non vaccinati (che però possono continuare a lavorare gomito a gomito con i vaccinati), alle assemblee e ai luoghi di ritrovo, a salire sui treni e autobus a lunga percorrenza introducendo una forma di apartheid tipico del razzismo contro i neri in USA o in Sudafrica quando la minoranza capitalista bianca, per conservare il potere, proibì ai neri l’acquisto delle proprietà terriere e vietò loro di usare gli stessi mezzi pubblici e di frequentare gli stessi locali e scuole. Razzismo, xenofobia, discriminazione e disuguaglianza sono in aumento in tutto il pianeta. Negli ultimi mesi, sia nei paesi imperialisti ma ancor più nel Sud del mondo, le masse proletarie, le persone di colore, i prigionieri politici o comuni, i senzatetto, i migranti e rifugiati che hanno sofferto, come molti altri, della Covid 19 hanno subito un peggioramento delle loro già precarie condizioni di vita. È singolare vedere come molti “rivoluzionari” che fino a ieri sostenevano “Lo Stato borghese si abbatte non si cambia”, oggi siano strenui difensori del governo “borghese” e della scienza “borghese”, unendosi alla caccia “all’untore” non vaccinato, come se i vaccinati non corressero essi stessi il pericolo di contrarre e di infettare gli altri (in poche parole vedi l’esempio di Israele, celebrato come il paese dove tutti erano vaccinati e che oggi si ritrova ad avere un altissimo numero di infettati). Noi, sulla base della nostra esperienza di decenni di lotta per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio riteniamo - come d’altronde scriveva il dott. Giulio Maccacaro (fondatore della rivista “Sapere” e di Medicina Democratica) - “che medico o padrone non fa differenza se la scienza del medico è quella del padrone”. E ancora che la “scienza” e la medicina asservita ai governi e alle multinazionali non tengono conto “soprattutto come la vivono, oggettivamente e soggettivamente, quelli che, “esterni”, dal settore vengono lavorati. Far parlare chi di scienza muore e chi, sapendolo o no, di scienza fa morire. Riscoprire il primato politico della lotta dei primi che sola si può porre come momento unificante per la liberazione dei secondi». «Fare scienza» significa sempre lavorare «per» o «contro» l’uomo: sulla base di quest’impostazione critica «Sapere» si occupa di crisi energetica ed ecologia, del cancro da lavoro, della diossina a Seveso e delle varie nocività industriali, di demografia, di informatica e organizzazione del lavoro, di alimenti industriali, genetica, psichiatria, psicologia e studio dell’intelligenza, del rapporto fra medicina, economia e potere”. Argomentazioni simili erano sostenute e scritte anche nel “Libro Bianco” del Consiglio

È la dittatura del padrone a far sì che la democrazia formale si fermi ai cancelli della fabbrica o dell’azienda capitalistica di Fabbrica della Breda Fucine pubblicato nel luglio 1971 come Quaderno n° 1 de “Il Lavoratore Metallurgico” (organo della FIOM). Oggi come ieri servirebbe una scienza capace di sviluppare metodologie d’intervento in fabbrica, nei cantieri, nelle logistiche, nelle campagne e in tutti luoghi di lavoro, compreso lo smart working sui temi della salute, della sicurezza e dell’ambiente, già sperimentate negli anni 70’, nei campi della prevenzione dei rischi e delle nocività, della bonifica dei cicli produttivi e dell’ambiente inquinato all’interno come all’esterno dei luoghi di lavoro. L’unità dei lavoratori sui loro interessi di classe, la partecipazione diretta di lavoratrici e di lavoratori di tutti i settori alle indagini in fabbrica, nei luoghi di lavoro e della popolazione auto-organizzata nel territorio; possono valorizzare la soggettività operaia sia sul piano culturale sia sindacale e tecnicoscientifico. La lotta della classe operaia più cosciente contro le discriminazioni, la monetizzazione dei rischi e della nocività nei luoghi di lavoro e nel territorio; il rifiuto della delega da parte dei lavoratori organizzati sulla propria salute ai tecnici; la critica alla scienza del padrone, la non accettazione della cosiddetta neutralità della scienza e della tecnica e dell’oggettività dei cicli produttivi che da esse derivano, sono esempi di protagonismo operaio. Noi operai, lavoratori coscienti, non abbiamo nessuna fiducia nello Stato, nella scienza e medicina del padrone. Abbiamo sempre dovuto lottare in prima persona senza delegare ad altri la difesa dei nostri interessi e diritti, scontrandoci con le associazioni dei padroni, i loro governi, istituzioni, e sindacati confederali raggiungendo con le lotte anche parziali vittorie contro i padroni e l’INAL e risultati importanti, per i lavoratori e per le vittime dell’amianto e altre malattie professionali. La nostra lotta non si è fermata alla fabbrica, l’abbiamo portata anche nei palazzi del potere, davanti al governo, al parlamento, in confronti/scontri con i medici e persino nelle aule di tribunale, pur sapendo che la legge del padrone è contro gli operai e i proletari, dimostrando ai nostri compagni che credevano nell’imparzialità delle istituzioni che in una società divisa in classi non esiste neutralità, né della legge, né della scienza né della medicina. Avendo provato per decenni sulla nostra pelle la medicina del padrone, abbiamo lottato per far mettere al bando l’amianto anche quando era legale e, il governo e tutti i suoi esperti, medici, scienziati, Ministero della Salute e quant’altro affermavano sulla base della “scienza” che non era cancerogeno (perché pagati anche dalle lobby dell’amianto), fino a farlo mettere fuorilegge con la legge 257 del 1992 grazie alle lotte dei lavoratori dell’Eternit, della Breda, dell’Ilva di Taranto, i Cantieri Navali, i portuali, i cittadini di Casale Monferrato e molti altri. Alcuni di questi “esperti” li troviamo ancora oggi nei processi contro i morti per amianto a difendere i padroni e i manager della Breda/ Ansaldo, Pirelli, Alfa Romeo, Teatro alla Scala, a sostenere “scientificamente” che i lavoratori uccisi dall’amianto dopo 30/40 anni di servizio in azienda hanno contratto la malattia dalla

tettoia di eternit nell’orto o durante il periodo di servizio militare obbligatorio quando erano ventenni.

Di lavoro si continua a morire oggi come ieri Secondo i dati dell’OSSERVATORIO NAZIONALE MORTI SUL LAVORO, dall’inizio del 2021 a settembre ci sono state quasi 1000 morti per infortuni sul lavoro, fra quelli morti sui luoghi di lavoro e quelli sulle strade e in itinere. A questi occorre aggiungere i lavoratori morti per covid 19 considerati a tutti gli effetti morti per infortunio sul lavoro. Da questa casistica rimangono fuori le vittime del lavoro nero, quei lavoratori invisibili nei cantieri, nelle campagne, nell’edilizia ecc. Questo non succede perché non è interesse della società del profitto. Oggi la situazione si è ancor più aggravata con lo sblocco dei licenziamenti e le modifiche al Codice degli appalti e ai titoli abilitativi in edilizia, dove Il governo “dell’unità nazionale” con Presidente del Consiglio il banchiere Draghi si sta dimostrando il miglior comitato d’affari di capitalisti, faccendieri e mafiosi. Il governo dei ricchi, dei padroni, degli affaristi, liberalizzando gli appalti e subappalti - com’è previsto nel PRNN e in nome della modernizzazione - peggiora ancor più le condizioni di vita e di lavoro degli operai e lavoratori aumentando la condizione di schiavitù, i morti sul lavoro, i disastri ambientali. L’indagine operaia e l’organizzazione capitalistica del lavoro Se negli anni passati la salute del lavoratore poteva essere in parte tutelata attraverso l’adozione di strumenti protettivi (aspiratori, maschere, tute ecc.) capaci di preservarlo dalle nocività così come s’intende normalmente (calore, rumore, polveri ecc.), oggi nella società moderna alle vecchie malattie si sommano le nuove; in particolare con la pandemia di covid si vede ancora meglio come tutta l’organizzazione del lavoro nella fabbrica è essa stessa nocività. Il cottimo palese o mascherato - come premio di risultato, ritmi, orario di lavoro, organici, qualifiche, dislocazione e tipo del macchinario - fanno parte, con il rumore, il calore, le polveri, di quel tutto unico che significa sfruttamento del lavoratore.

Medicina preventiva, rapporto medico-lavoratore Sempre più alle vecchie malattie e nocività che colpiscono la classe operaia e i lavoratori si aggiungono le nuove pandemie dovute a un sistema capitalista/imperialista che distrugge gli esseri umani e la natura. Sulla base della nostra esperienza, riteniamo necessario un nuovo rapporto fra medico e lavoratore, un confronto dialettico di reciproco arricchimento di cognizioni, un rapporto che li deve vedere entrambi necessari protagonisti di una medicina a favore di chi lavora e non del padrone o delle multinazionali dei farmaci, che non hanno nessun interesse a investire in ricerche per guarire i malati ma solo quello di rendere croniche le malattie per vendere più farmaci.


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GKN: 9-19-24 luglio; 11 agosto e la lotta continua Stanchezza, afa, covid 19... niente è riuscito ad attenuare una lotta che vuole unire quanto è in corso in tutto il paese, le tante vertenze

redazione di Firenze I primi due mesi di scontro in seguito al licenziamento dei 500 lavoratori e lavoratrici GKN hanno visto accrescere la mobilitazione operaia. Sono stati giorni di intensa mobilitazione: dallo sciopero generale del 19 luglio indetto dai sindacati confederali e da tutti i sindacati di base alla manifestazione molto partecipata del 24 presso lo stabilimento di Campi Bisenzio fino alla protesta dell’11 agosto, giorno dell’anniversario della liberazione di Firenze dai nazi-fascisti. Malgrado il periodo di caldo intenso e di ferie la rabbia e la voglia di lottare hanno prevalso ed è stato possibile organizzare la solidarietà. Una solidarietà popolare ampia e multiforme che ha abbracciato, sostenuto e sostiene gli operai, una solidarietà militante organizzata anche nel Comitato dei solidali che ha partecipato attivamente all’organizzazione delle manifestazioni e dello stesso presidio permanente dello stabilimento, vista la minacciosa richiesta di sgombero da parte della direzione GKN, la multinazionale Melrose. Ci sono voluti 22 giorni dalla comunicazione dei licenziamenti da parte della GKN per avere la presenza del segretario generale del maggiore sindacato italiano la CGIL in un’azienda che ha la maggioranza di iscritti alla FIOM, ultimo della passerella istituzionale, e non solo, che è passato a dare il proprio appoggio almeno a parole ai lavoratori. La prima fase di mobilitazione termina con la fine di agosto per passare ad una fase più difficile e impegnativa. Per questo nel mese di settembre il Collettivo di fabbrica della GKN ha promosso una serie di incontri in varie parti d’Italia: da Napoli a Roma a Torino e Milano per allargare la mobilitazione e l’agitazione e fare della vertenza GKN un momento della battaglia più generale della lotta in difesa dell’occupazione, perché la lotta in difesa non sia lasciata solo in mano a chi perde il lavoro ma si trasformi in mobilitazione nazionale coinvolgendo anche i lavoratori delle aziende “sane” per affermare il principio che se toccano uno toccano tutti e che nessuno si illuda di essere “garantito” e al di sopra delle logiche padronali. Con settembre la lotta della GKN entra in una fase cruciale, anche se non definitiva perché, contando principalmente sulle proprie forze, i lavoratori hanno fatto e faranno tutto il possibile per sviluppare la lotta, per porre la questione delle delocalizzazioni delle multinazionali che dragano tutti i soldi pubblici che possono per poi fuggire in paesi - dove è più facile sfruttare la classe operaia locale e aumentare i propri profitti - e lasciare terra bruciata dietro di loro. Per mettere all’incasso le varie dichiarazioni istituzionali, politiche e sindacali fatte durante la prima fase e smascherare quei finti “amici” ma veri avvoltoi pronti a saltare sul carro della libertà d’impresa, della iniziativa privata e di mercato sulle spalle del proletariato e degli operai. Sulla base delle esperienze negative precedenti in varie altre fabbriche il Collettivo di fabbrica della GKN sa che per resistere all’attacco padronale deve sviluppare l’unità di classe, la mobilitazione e contrapporsi a deleghe in bianco. È consapevole che gli unici sacrifici utili sono quelli per estendere e rafforzare la lotta, strumenti indispensabili contro la divisione, la rassegnazione, la passività. Consapevoli che chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso. L’invito al mondo del lavoro ad insorgere, lanciato dalla GKN è un invito a ribellarsi allo stato di cose presenti e a porsi il problema del cambiamento dei rapporti di forze nella lotta di classe del nostro paese e non solo, e il proletariato è il fattore su cui contare per determinare questi cambiamenti.

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Edoardo Todaro Scrivere a proposito della manifestazione che si è svolta a Firenze l’11 agosto potrebbe sembrare cosa facile, in realtà non lo è. Non lo è semplicemente per il fatto che, quanto sta avvenendo ci pone di fronte al porsi tanti aspetti non secondari per chi ha fatto della militanza un qualcosa di non irrilevante. Detto questo, diciamo tranquillamente e senza smentita alcuna che l’11 agosto 2021 è stata una di quelle date che saranno segnate nei calendari per essere non solo ricordata ma perché chi l’ha vissuta potrà dire: io c’ero. Può sembrare un’enfasi eccessiva, ma la realtà sta a dimostrare che non lo è affatto. Difficilmente è rintracciabile realtà politica, sindacale o sociale che si assuma l’onere di convocare una manifestazione l’11 agosto. Invece l’inaspettato è accaduto”. L’assemblea permanente dei lavoratori GKN“; il “Collettivo di Fabbrica-Lavoratori GKN“; “Insorgiamo con i lavoratori GKN“ hanno indetto una manifestazione per l’11 agosto. Ma ci potremmo, legittimamente, domandare: perché proprio l’11 agosto? Un motivo c’è ed è importante perché, tra l’altro aiuta a comprendere ed a dare una lettura degli avvenimenti che si sono succeduti. L’11 agosto del 1944 Firenze fu liberata dall’occupazione nazista. Oggi avviene una saldatura, un passaggio di testimone, un cercare di continuare un qualcosa che non si è concluso. Gli operai in lotta hanno scelto fin da subito, oltre al giusto “la GKN non si tocca “un riferimento che è nella testa di tutti, fiorentini e non solo, “INSORGIAMO“. Uno slogan, una parola che può trarre in inganno chi vi ricerca chissà quale spinta insurrezionale. Niente di tutto questo, molto più semplicemente: è il filo ROSSO che dagli scioperi del ‘44, e non solo, arrivano all’oggi. Ma dire questo non è sufficiente a capire gli avvenimenti che si stanno sviluppando a Firenze, e che dire: non solo? È necessario fare alcuni passaggi, certamente brevi ma significativi che vanno ad inquadrare il soggetto che abbiamo davanti. La GKN non è una fabbrica, senza assolutamente togliere ad aziende presenti sul territorio, come tante altre. Ma se questo può essere detto, può essere detto, rispetto alla composizione operaia, alle, nel gergo aziendale/ aziendalista, “risorse umane“ presenti. Forse, e spererei di essere smentito, ci troviamo di fronte a qualcosa di inedito. Mi farebbe enormemente piacere

sapere che in qualche azienda privata, in qualche settore di erogazione servizi, “essenziali“ o meno, esista un Collettivo di Fabbrica, non Rsu o Rsa o chissà altro, no un Collettivo di Fabbrica la cui esistenza è dovuta al fatto che è radicato in azienda e che è riferimento anche per quegli operai che non si riconoscono in esso. A questo punto, non posso sottrarmi dal citare Antonio Gramsci nel momento in cui pone la sua riflessione sui Consigli e su quanto di innovazione positiva mettevano in campo: “…la nascita dei Consigli operai di fabbrica rappresenta un grandioso evento storico, rappresenta l’inizio di una nuova era nella storia del genere umano“. A distanza di oltre 100 anni da quelle osservazioni, niente è così attuale e concreto. Quanto il Collettivo di Fabbrica ha prodotto, in questi anni, in termini di organizzazione dei rapporti sindacali all’interno, in cui l’abbandono del delegare a chissà chi è cosa reale e la solidarietà concreta, “militante“ perché no, verso le vertenze che si sono manifestate nel territorio, ultime in ordine di tempo: Texprint a Prato e Linari a Calenzano, è quanto possiamo verificare e vedere con i nostri occhi. Una “proprietà“ fantasma, il fondo di investimento Melrose, che si arroga il diritto di licenziare in tronco quasi 500 lavoratori, licenziamento avvenuto via email o meno ha poca importanza rispetto a ciò che voleva essere ottenuto. Ottenuto ma con qualche problema non da poco: visto che attorno alla sacrosanta risposta, alla mobilitazione degli operai, che è bene ricordare e sottolineare stanno occupando, in tutto e per tutto, l’azienda, ulteriore dimostrazione, non tanto della reazione immediata, ma della loro determinazione, si sta sviluppando una solidarietà che ha stupito tutti, operai in primis ed ovviamente i solidali. Le mobilitazioni si sono susseguite, 9 - 1924 luglio; e 11 agosto. La stanchezza, l’afa, il covid... niente ha prevalso, niente è riuscito ad attenuare una lotta che vuole unire quanto è in corso in tutto il paese, le tante vertenze. Una cosa sicura è quanto stiamo vedendo a Firenze e che non vedevamo da tantissimo tempo, da troppo tempo. Non c’è punto di vista, non c’è appartenenza sindacale, non c’è ragionamento sui massimi sistemi che divida il fronte di lotta messo in piedi dal Collettivo di Fabbrica. Operai e solidali sono scesi, prima in piazza e poi in corteo, 3500 o forse più. I numeri certo sono importanti, quanto più alta è la partecipazione e

quanto più ci sentiamo rinfrancati in ciò che facciamo, ma in questo caso non sono solo i numeri a dare il senso di un movimento reale che si pone all’altezza di praticare l’obiettivo dell’unire le lotte, ciò che è di positivo è il senso che qualcosa si è messo in moto e che niente sarà più come prima, che quanto è in atto è in mano agli operai GKN. Su tutto questo due parole vanno spese rispetto al sindacalismo di base e conflittuale presente in città, ma anche quello presente a livello nazionale. In città: rispetto a questa vertenza il posizionarsi è corretto nell’essere interni al comitato cittadino di sostegno alla lotta; come del resto il partecipare alle iniziative che sono state messe in piazza, l’11 un bello spezzone unitario si è fatto notare per la sua presenza, e le modalità per propagandarle (i cartelli sui mezzi del trasporto pubblico sono stati di impatto) o come l’appello sottoscritto da quasi una 30ina di lavoratori che fanno riferimento al sindacalismo di base e conflittuale in appoggio alla manifestazione dell’11. A livello nazionale: se è importante che settori di lavoratori di aziende che affrontano piani di ristrutturazione, si rapportano con la vertenza GKN, vedi la presenza alla manifestazione dell’11 di lavoratori Alitalia, della Fedex ecc. dall’altra deve essere fatto uno sforzo nell’unire teoria e prassi, o meglio per non rimanere ancorati “al passato”, non mettere come prioritario ciò che vorremo rispetto a ciò che abbiamo di fronte. L’oggettività degli eventi ci porta in modo inevitabile verso la comprensione, verso il capire, senza attenuare alcunché, senza cedere dai propri punti di vista, che è opportuno esserci, che rafforzare la lotta degli operai della GKN, e la loro determinazione fin qui dimostrata, hanno un morale sicuramente alto, non vuol dire rafforzare i sindacati confederali, o la Fiom, presente sicuramente, ma, anzi, vuol dire essere parte del percorso, difficile ma non impossibile, dell’unità, reale, delle lotte, vuol dire assumersi il “nostro” compito, quello di essere in tutto e per tutto con gli operai della GKN, che rifiutano indennizzi e/o ammortizzatori, e non lasciarli soli. E come ben dicono loro “fate un favore a voi stessi unendovi alla nostra lotta”, “se sfondano qua sfondano dappertutto”. O se proprio volete, scegliete il tormentone estivo che va per la maggiore nelle strade fiorentine: “non c’è resa non c’è rassegnazione ma solo tanta rabbia…”. Loro hanno bisogno di noi? Certamente sì, ed allo stesso tempo la loro lotta è riferimento per noi a cui va dato solidarietà e sostegno. (già pubblicato su Contropiano on line del 13 agosto 2021)


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Afghanistan: i Talebani a Kabul e le grandi potenze Più di una generazione fa, l’Afghanistan aveva conquistato la propria libertà, che Stati Uniti, Gran Bretagna e i loro “alleati” hanno distrutto.

Fabrizio Poggi Ai tempi dell’URSS, tra le migliaia di battute di un’immaginaria “Radio Armenia”, c’era la domanda: “In cosa si distingue un inglese da un ebreo?” e la relativa risposta: “L’inglese se ne va senza salutare; l’ebreo saluta, ma non se ne va”. Qualcuno ha adattato l’arguzia sull’ebreo alle truppe USA che “salutano” l’Afghanistan e al quasi incruento passaggio del paese sotto il controllo dei talebani. Di fatto, Biden ha messo in pratica l’accordo tra Trump e talebani, sottoscritto nel febbraio 2020 a Doha, con la mediazione del Qatar. Difficile prevedere quale sarà la situazione afgana, quando i lettori riceveranno questo numero di “nuova unità”; ma alcune questioni possono rilevarsi da subito. Una, da cui poi ne scaturiscono altre, è che la fola della “lotta al terrorismo” con cui, per vent’anni, l’imperialismo USA e i suoi “alleati” europei hanno riempito le teste delle persone e svuotato le loro tasche, è evidenziata dagli attentati terroristici che dal 26 agosto si susseguono a Kabul. Con tali atti, per mano di gruppi islamisti creati e addestrati dalle forze speciali americane, Washington ammonisce i talebani che il loro regime è fragile senza le forze yankee e che queste sono sempre pronte a tornare: ufficialmente, per “punire i colpevoli” degli attentati. Certo, è innegabile che la frettolosa uscita yankee sia un’ennesima testimonianza della crisi irreversibile del capitalismo USA (ma anche europeo) e della fine dell’egemonia planetaria americana, messa da tempo in discussione dall’avanzata economico-commerciale cinese e dalle prove di modernizzazione e potenza militare russe. Ma è altrettanto innegabile che sia quantomeno prematuro dare per definitiva la partenza USA dalla regione. Già tre mesi fa, l’ex funzionario del Dipartimento esteri del CC del PCUS, Vjačeslav Matuzov, ricordava che il Pentagono ha sinora realizzato solo una parte, e nemmeno la principale, dei propri piani, per demolire l’indipendenza del mondo islamico e rimescolarne i confini in un Nuovo grande Medio oriente da dirigere contro la Russia, e per dar vita ad un Kurdistan sotto controllo USA a spese di territori siriani, iraniani, turchi e iracheni, fino al mar Nero. Il fatto di essere una potenza in declino, non significa che Washington non azzardi altre zampate agli avversari, anche ai loro immediati confini: le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale e le regioni occidentali della Cina, aree queste in cui più forte (anche per tradizione religiosa locale) è la penetrazione islamista e in cui Washington potrebbe intensificare l’infiltrazione di gruppi terroristici creati per “esportare la democrazia” in Cecenia, Bosnia, Siria, Libia, Afghanistan ecc. Ecco dunque manovre militari congiunte russo-tadžiko-uzbeke (dove più forte è il pericolo islamista) e russocinesi.

Contromisure russe e attività cinesi

Già alla riunione della Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO: Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tadžikistan, Russia, Uzbekistan, India, Pakistan come Stati membri, più altri Osservatori e Partner, tra cui l’Afghanistan), lo scorso luglio a Dušanbe, il Ministro della difesa russo Sergej Šojgù aveva messo in guardia sui tentativi USA di posizionarsi nell’area centro-asiatica. Gli americani, aveva detto Šojgù anche all’incontro dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (Organizatsija Dogovora o Kollektivnoj bezopasnosti ODKB: Tadžikistan, Kazakhstan, Armenia, Bielorussia, Kyrgyzstan, Russia) «si preoccupano non dell’Afghanistan, ma solo di aprire nuove rotte di transito e strutture logistiche negli Stati dell’Asia centrale e

John Pilger - Consortium News

dispiegarvi proprie basi militari». Come negli anni ‘80, con la guerra scatenata dai mujaheddin sostenuti dagli USA (e, si dice anche dalla Cina) interessati all’uscita dell’URSS dall’Afghanistan, pare che anche oggi, dietro la facile vittoria talebana, oltre al collasso dell’esercito regolare a causa del tradimento dei generali, oltre al disgusto di larga parte della popolazione per 20 anni di occupazione USA e NATO, per la mafia delle ONG straniere, per la droga e la corruzione dilaganti, per le guerre tribali tra proprietari di campi di papaveri, oltre a tutto questo, sembra che ci sia di nuovo la mano di Pechino, interessata a garantire un corridoio per la “Via della seta”. Una tesi, questa, che circola non solo tra gli analisti russi e che non appare del tutto priva di fondamento, se si attribuisce ai talebani una matrice “nazionaloscurantista”, di opposizione a qualsiasi ingerenza straniera nel paese: matrice che potrebbe essere utilizzata dalla Cina nella lotta con gli Stati Uniti per il primato commerciale mondiale. Tesi rigettata però da altri osservatori russi, che la attribuiscono a quanti brigano per portare la Russia sul fronte anti-cinese e pro-americano. In ogni caso, sembra plausibile dedurre che tanto l’approccio “filo-cinese” quanto quello “anti-cinese”, vedano nell’Afghanistan null’altro che un campo di scontro tra potenze imperialiste, in declino o in ascesa, attribuendo ai diversi raggruppamenti talebani come elemento nazionalista, «parte della società afgana», secondo la formulazione di Mosca e Pechino; oppure Nusra o Qaeda, come raggruppamenti terroristici creati da USA e monarchie del Golfo - una forza che viene loro dal sostegno di questo o quell’altro attore planetario, nello sforzo di rimodellare le rispettive alleanze regionali. È così, per esempio, per gruppi islamisti afgani quali Tehreek-e-Taliban Pakistan e Stato Islamico, che dichiarano di voler attaccare gli interessi cinesi e che Washington potrebbe utilizzare a questo scopo.

Il più vasto scacchiere regionale

Indicativo il fatto, ad esempio, che negli stessi giorni dell’incontro della SCO a Dušanbe a fine luglio, e mentre a Pechino il mullah talebano Baradar veniva ricevuto dal Ministro degli esteri cinese Wang Yi, il Segretario di Stato USA, Antony Blinken, si incontrasse col Ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, per cercare di convincere Delhi a aderire al cosiddetto “parternariato IndoPacifico” - una sorta di NATO orientale - e coinvolgere l’India contro la Cina, accrescendone la partecipazione al QSD (Quadrilateral Security Dialogue). Questo, nonostante la comune appartenenza di India, Russia e Cina alla SCO, cui l’Afghanistan partecipa come Osservatore: proprio sull’Afghanistan, gli interessi indiani

convergono con quelli russi e cinesi, contro la destabilizzazione islamista, e confliggono con gli interessi USA. D’altra parte, l’australiano The Strategist scrive che l’unico paese scontento dell’uscita USA dall’Afghanistan sarebbe proprio l’India, mentre Pakistan e Cina si preparerebbero a colmare il vuoto e Russia e Iran, sebbene temano i talebani, sarebbero contenti della mossa USA. I talebani al potere significano di nuovo un punto d’appoggio per Islamabad in caso di conflitto con l’India, come negli anni ‘90. Delhi è preoccupata anche per l’interesse di Pechino ad includere l’Afghanistan nella One Belt One Road e per la dichiarazione sino-pakistana sulla cooperazione bilaterale in Afghanistan. La Cina, peraltro, pur manifestando apprensione, potrebbe vedere il ritiro USA come un’opportunità, avendo interessi economici e strategici nella regione: quelli in Afghanistan includono un contratto d’affitto, fino al 2037, sulla miniera di rame di Mes Aynak, e Pechino guarda anche alle altre risorse minerarie afgane. L’Afghanistan è importante anche per la sicurezza nello Xinjiang, dato che è stato a lungo utilizzato come base per i guerriglieri uiguri. In ogni caso, sia che cooperi con Pakistan, Russia e Iran, per la stabilizzazione afgana, sia che intenda giocare un ruolo più diretto, è chiara l’importanza attribuita al paese per la strategia cinese, tanto da pianificarvi «significativi investimenti energetici e infrastrutturali». Sul cinese Global Times, Zhang Jiadong scriveva che, «rispetto ad altre potenze, la RPC ha l’opportunità di partecipare agli affari afgani senza impantanarvisi». Affari tutt’altro che miseri, se anche negli Stati Uniti sono in molti a lamentarsi della troppo frettolosa uscita dal paese, in cui non ci sono solo le estese piantagioni di oppio, ricchissimo bottino di guerra delle truppe yankee. Si stima che nel sottosuolo ci siano almeno 60 milioni di t. di rame (uno dei metalli base in tutti i settori industriali), 2,2 milioni di t. di minerale di ferro, 1,4 milioni di t. di terre rare, oro, argento, zinco, litio (elemento principale nella produzione di batterie per auto elettriche), berillio (base dell’industria elettronica, per missili, satelliti, veicoli spaziali), mercurio. Il valore delle terre rare è valutato tra 1.000 e 3.000 miliardi di dollari e la CNN lamenta che «paesi come Cina o Russia potrebbero trovare il modo di negoziare coi talebani per tali risorse». A lamentarsi è anche il cosiddetto Alto rappresentante UE per gli affari esteri, Josep Borrell e guaisce che la UE «non dovrebbe consentire a Russia e Cina di avere il controllo sulla situazione in Afghanistan e diventare i principali sponsor di Kabul». Con simili rapaci a contendersi la preda, solo anime beate possono dirsi “preoccupate” per gli spari contro un C-130 italiano in decollo

dall’aeroporto di Kabul, come fossero veramente convinte che l’italico tricolore abbia portato solo “aiuti e democrazia” in Afghanistan e non sia invece intervenuto nel paese a sostegno dell’invasione yankee e come tale sia visto dalla popolazione afghana. Sarà interessante scoprire quante e quali banche, quante e quali industrie nostrane, oltre a quelle produttrici di armamenti, abbiano fatto affari nei vent’anni di “difesa della democrazia” nel paese.

Cosa dicono in Russia?

Da parte russa, oltremodo ottimistiche apparivano qualche settimana fa le dichiarazioni di Zamir Kabulov, direttore del “2° dipartimento Asia” del Ministero degli esteri russo e incaricato presidenziale per l’Afghanistan, secondo il quale non ci sarebbero legami tra talebani e Al-Qaeda e «la maggioranza dei Talebani è incline ad una soluzione pacifica in Afghanistan»: dunque «il movimento non costituisce una minaccia per i paesi vicini». Qualche settimana prima della caduta di Kabul, il già citato V. Matuzov ridicolizzava le passate dichiarazioni ufficiali russe che, diceva, sembrano mutuate dalla dottrina USA di fare dell’Islam il nuovo “pericolo mondiale”, dopo aver “sconfitto il comunismo e il nemico sovietico”; tanto che, anche in un recente passato, alcuni in Russia erano arrivati ad affermare che oggi «il nemico principale è il terrorismo internazionale», teorizzando che «dal terrorismo talebano ci salva l’esercito USA»: ovviamente, finché rimaneva in Afghanistan. Si finge di scordare, diceva Matuzov, che mentre Isis e Qaeda sono creazioni yankee, i talebani non lo sono; e se nel 2012 Mosca era arrivata a concedere la base aerea di Ul’janovsk, quale punto di trasbordo per “materiali NATO non letali”, quando in realtà gli americani stavano «portando via dall’Afghanistan centinaia di tonnellate di eroina», oggi sembra che l’approccio russo sia di “attenzione” al nuovo regime, nonostante il movimento talebano continui a esser qualificato come “organizzazione terroristica vietata in Russia” e i media siano tenuti a specificare tale qualifica ogni qualvolta citino i talebani.

Accordo USA-Talebani

D’altra parte, quanto sia ipocrita l’indignazione di chi si limita a sostenere che «i talebani vogliono vivere come nel Medioevo», lo testimonia l’opposto atteggiamento, di riverenza, verso paesi come l’Arabia Saudita, una monarchia medievale assoluta, in cui sono proibiti i partiti politici, vengono pubblicamente irrisi i cosiddetti “diritti umani”, sempre sbandierati dalle “democrazie liberali”, sono inesistenti i diritti delle donne, gli oppositori vengono giustiziati, oppure fatti a pezzi e per una dichiarazione di ateismo c’è la pena di morte. Se il Mullah Baradar, capo dell’ufficio politico talebano, diventa definitivamente capo dell’Emirato, allora in Afghanistan si instaurerà un modello simile a quello iraniano, con un capo spirituale.


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Contras e talebani lJorge Maifud (*) Dopo la sconfitta in Vietnam, l’ex segretario di Stato Henry Kissinger e l’ex socialista e futuro falco della destra del governo di Reagan, Jeane Kirkpatrick, affermarono che, per recuperare il prestigio perduto, gli Stati Uniti dovevano inventare qualche guerra che si potesse vincere. Secondo Kirkpatrick, il Nicaragua era un buon candidato, ma meglio ancora era Granada, un’isola dei Caraibi di appena 100.000 abitanti, il cui presidente aveva avuto la sfacciataggine di dichiarare che il suo paese era indipendente e sovrano e, quindi, poteva commerciare con chiunque gli piacesse. La gloriosa invasione, e la liberazione degli studenti statunitensi che non volevano essere liberati da una tirannia inesistente, ebbe luogo nel 1983 e persino i burocrati che non avevano mai abbandonato le loro scrivanie a Washington ricevettero medaglie al valore nella ‘guerra’. La strategia viene dai primi anni del 19° secolo, quando Washington volle annettersi il Canada e la faccenda finì con il palazzo del governo in fiamme (da allora pitturato di bianco per nascondere l’infamia del fumo); da allora decise di espandersi verso l’ovest e il sud, terra di razze inferiori e disarmate. Alla fine dello stesso secolo, dopo aver predetto una “esplosione” a Cuba e un anno prima di inventare il mito dell’affondamento dell’USS Maine, nel 1897, appena nominato segretario aggiunto alla Marina dal presidente McKinley, il futuro presidente Theodore Roosevelt scrisse ad un amico: “sono a favore di quasi qualsiasi guerra, e credo che questo paese ne ha bisogno di una”. Niente di meglio che “essere offesi” a novanta miglia di distanza da un impero che cadeva a pezzi come lo era la Spagna, armata di navi di legno per difendersi da navi metalliche e con tecnologia di ultima generazione. Nel suo terzo film, nel 1988, Rambo (Sylvester Stallone) lotterà gomito a gomito con quei valorosi “freedom fighters” dell’esotico Afghanistan. La stessa catarsi di frustrazione del Vietnam, la stessa storia di una superpotenza militare che, da sola, poteva sconfiggere solo piccole isole tropicali come le Filippine o Granada e, peggio ancora, nel 1961 fu sconfitta – e senza aiuti – da una di queste, Cuba. Come tanti altri gruppi “ribelli”, i talebani sono una creazione, anche se non originale, della CIA. Negli anni ’70 e ’80 Washington si propose di rovesciare il governo socialista dello scrittore Nur Muhammad Taraki. La laica Repubblica Democratica dell’Afghanistan, presieduta da una breve lista di intellettuali di sinistra, sopravvisse con molte difficoltà dal 1978 al 1992, quando venne distrutta dai talebani. Se Muhammad Taraki ed altri che gli successero avevano lottato per stabilire l’uguaglianza dei diritti per le donne (come nel 1956 un altro

Questo da un lato. Dall’altro, come ha dichiarato in un’intervista a il manifesto, un rappresentante del partito afgano “Hambastagi”, quantunque «i taliban rivendichino spudoratamente la loro vittoria, facendo riferimento al credo religioso, è chiaro che la cosiddetta vittoria è stata loro regalata. L’imperialismo USA insieme al suo partner criminale, la NATO, ha consegnato il futuro del nostro popolo martoriato nelle mani dei taliban, già loro servitori in passato. Lo scenario che prevedeva che i fondamentalisti dovessero continuare a governare in Afghanistan, dopo la partenza degli USA, era già scritto perché vogliono mantenere il nostro popolo nell’ignoranza e avere nuove opportunità di occupare il paese in futuro». Una tesi simile è sostenuta dall’ex senatore russo e leader dell’Unione dei veterani afgani Franz Klintsevič, il quale, alla domanda sul perché la caduta del regime filo-americano afgano sia stata così rapida, ha risposto: «È semplice: perché il regime al potere era un burattino corrotto. Ho preso parte al ritiro delle truppe sovietiche: il nostro 345° reggimento occupò posizioni difensive, assicurando il passaggio dell’intero contingente fino al passo del Salang. Ci preparammo per un anno e mezzo al ritiro delle truppe, che poi durò sei mesi. Tutto il nostro materiale venne inventariato e lasciato alle forze afgane. E invece, come se ne sono andati gli americani? Ad esempio, alla posizione USA a Bagram, c’erano più di tremila veicoli da combattimento, camion, blindati carichi di munizioni, mitragliatrici pesanti. Nulla di tutto questo è stato consegnato alle truppe governative e dopo due ore era nelle mani

nella foto: 2 febbraio 1983: i muyahidin (allora chiamati “freedom fighters” o “lottatori per la libertà” e, poco dopo, i “talebani” incontrano Reagan

socialista arabo, Gamal Nasser in Egitto), i talebani sarebbero andati nella direzione contraria. Come scrisse lo stesso New York Times in un necrologio ormai dimenticato, Osama bin Laden aveva riconosciuto: “Là [a Tora Bora] ricevetti volontari che venivano dal Regno Saudita e da tutti i paesi arabi e musulmani. Fissai il mio primo accampamento dove questi volontari furono addestrati da ufficiali pachistani e statunitensi. Le armi furono fornite dagli statunitensi, il denaro dai sauditi”. Il complesso di Tora Bora, dove si nascondevano i membri di al-Qaeda, era stato creato con l’aiuto della CIA per funzionare da base per gli afgani che lottavano contro i sovietici e contro il governo dell’epoca. Anche se muyaheddin e talebani non facevano parte dello stesso gruppo, come Osama bin Laden e molti altri, il fondatore dei talebani, Mohammed Omar, era un muyahidin. Un anno prima di ricevere i muyahidin alla bianchissima Casa Bianca, lo stesso presidente Ronald Reagan aveva fatto visita ad uno dei suoi “dittatori amici”, il genocida guatemalteco Efraìm Rìos Montt, e l’aveva definito un esempio per la democrazia nella regione. Lo stesso avevano fatto potenti pastori, fanatici come Pat Robertson del Club 700. Tra le prodezze del dittatore Rìos Montt è compreso il massacro di più di 15.000 indigeni cui era venuta la pessima idea di difendere le loro terre, ambite dalle multinazionali straniere e dalla tradizionale oligarchia creola.

dei talebani. In guerra, se non c’è modo di evacuare le armi, le si distrugge. È evidente che quanto avvenuto in Afghanistan è frutto di un accordo coi talebani».

Il periodo della presenza sovietica

Nikolaj Patrušev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, nota come nei 20 anni di occupazione USA, la produzione di oppiacei sia cresciuta di oltre 40 volte, in parallelo con l’aumento di attacchi terroristici. Prima che Stati Uniti e loro “alleati” finanziassero i fondamentalisti religiosi in Afghanistan e Pakistan, URSS e Afghanistan intrattenevano relazioni amichevoli di cooperazione, che duravano dal 1922 e si erano intensificate dopo la Rivoluzione Saur del 1978, quando andò al potere il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, rovesciando il regime di Daud Khan. I nuovi governi di Nur Taraki e poi di Hafizullah Amin, vararono riforme che andavano nella direzione di qualcosa di più avanzato che non una semplice democrazia popolare: abolizione della decima dovuta dai braccianti ai latifondisti, annullamento dei debiti dei contadini di fronte a feudatari, latifondisti, commercianti, usurai; prezzi dei beni primari calmierati, servizi sociali pubblici, sviluppo di una forma tradizionale di autogestione collettiva, creazione di sindacati; con la riforma fondiaria, ottennero la terra 340.000 famiglie ecc. Ecco dunque gli attacchi dei terroristi che, dietro la maschera del fondamentalismo religioso, si infiltravano dal Pakistan, sostenuti da USA e sauditi: le riforme avevano messo in pericolo gli interessi dei 40.000 latifondisti (2% della popolazione rurale) che, con rapporti di lavoro feudali,

Poco dopo il presidente Reagan, oggi elevato alla categoria del mito da repubblicani e democratici per qualcosa che non ha fatto (la disarticolazione finale dell’Unione Sovietica), definirà anche i contras dell’America Centrale (i militari della sconfitta dittatura di Somoza in Nicaragua), come “freedom fighter”. Quando il Congresso degli Stati Uniti proibirà di fornire altri milioni di dollari al gruppo terrorista dei Contras, l’amministrazione Reagan venderà in segreto armi all’Iran, attraverso Israele il denaro “lavato” verrà depositato in una banca svizzera e poi trasferito ai Contras in Honduras. Come i muyaheddin, i contras furono addestrati e finanziati dalla CIA e, poco dopo, si trasformeranno nelle ‘maras’ (bande criminali organizzate, n.d.t.) che devastano l’America centrale e, in alcuni casi, gli Stati Uniti stessi. Quando gli addestratori torneranno nei loro paesi, essi si dedicheranno a ‘proteggere la frontiera’ dagli invasori poveri che vengono a cercare lavoro. E per assurdo molti di questi poveri verranno cacciati, come fossero dei rivoluzionari, dalla loro stessa terra. Quando in agosto 2021 i talebani prendono decine di città e, alla fine, Kabul in una sola settimana, le analisi della stampa negli Stati Uniti si sprecano cercando di spiegare l’inesplicabile dopo 20 anni di guerra, di occupazione, centinaia di migliaia di morti e cento bilioni di dollari. Tutti, o quasi tutti, faranno mostra del loro radicalismo analitico e cominceranno, o finiranno, con un avvertimento: cominciamo dal “very beginning” (il principio del principio) di questa storia: gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Come aveva detto Ronald Reagan stesso alla Biblioteca del Congresso il 24 marzo 1983 per celebrare la ‘conquista dell’Ovest selvaggio’, “gli statunitensi non credevano quella che era la verità dell’Ovest , ma quello che per loro doveva essere la verità”. È vero, ci sono stati statunitensi disposti a dire ai fanatici le verità reali, non quelle che piacciano a questi ultimi. Ma pochi hanno ringraziato per il favore. È successo l’esatto contrario. (*) Scrittore e saggista uruguayano, oggi insegna letteratura latinoamericana all’Università della Georgia da: rebelion.org; 21.8.2021 (traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” - via Magenta, 88 Sesto S. Giovanni)

detenevano il 30% delle terre afgane. Come scriveva in quegli anni il giornalista afgano Ahmed Waziri, il nuovo «governo della RDA si è scontrato sin dai primi passi con l’opposizione di grandi proprietari terrieri, feudatari, usurai, della parte reazionaria del clero, messisi sulla via dell’aperta lotta armata e del terrore» col sostegno dell’imperialismo internazionale. L’ampiezza «dell’ingerenza USA nella RDA» scriveva allora Waziri, è tale «che nella stessa America le azioni anti-afgane di Washington vengono definite “la più grande operazione della CIA dopo la guerra del Viet Nam”». Fu così che il governo di Babrak Karmal chiese assistenza militare all’URSS: a dicembre 1979 Mosca inviò un contingente militare, che rimase in Afghanistan per 10 anni, anche durante il governo di Mohammad Najib (in carica dal 1986 al 1992) fino al ritiro graduale, iniziato a maggio 1988 e terminato nel 1989. Furono dieci anni segnati da un lato dalle continue grida, ad esempio de l’Unità, accodata ai media occidentali, contro “l’occupazione sovietica” e a sostegno dei “combattenti per la libertà” mujaheddin. Dall’altro, fu un decennio di liberazione dall’oscurantismo tribale, redistribuzione delle terre, ingresso delle donne nella vita sociale pubblica a tutti i livelli. Errori vennero commessi, come naturale; ad un primo periodo di “corsa” verso il socialismo, con incomprensioni e opposizione di vari strati della popolazione, ne seguì un altro di più cauta attenzione alle tradizioni nazionali e alle esigenze delle diverse regioni del paese. Perché, come scriveva ancora Ahmed Waziri, «l’Afghanistan è un paese complesso. Vi vivono più di 20 nazionalità, tra cui pashtun, tadžiki, uzbeki, hazari, charaimaki,

turcomanni, balouchi. Una specificità dell’Afghanistan è costituita dai nomadi, che sono circa 2,5 milioni. Finora le tribù nomadi conservano residui dell’organizzazione sociale ed economica gentilizio-tribale. Le tribù pashtun... sul confine afgano-pakistano... non hanno mai pagato dazi doganali o d’altro genere». Se prima della rivoluzione del 1978 l’aspettativa di vita era di 35 anni e un bambino su tre moriva entro i primi 5 anni di vita, il governo del PDPA introdusse l’assistenza medica gratuita, diede avvio all’alfabetizzazione di massa. A fine anni ‘80, metà degli studenti universitari erano donne, che costituivano il 40% dei medici del paese, il 70% del corpo insegnanti e il 30% dei funzionari pubblici. Già nell’estate 1979, il “democratico” Jimmy Carter autorizzò un programma di “azione segreta” di 500 milioni di dollari per rovesciare il primo governo laico e progressista dell’Afghanistan. Reclutato da tutto il mondo musulmano, un esercito segreto fu addestrato nei campi pakistani gestiti da CIA, MI6 e intelligence pakistana. Con lo sciagurato ritiro gorbačëviano delle forze sovietiche e la vittoria dei mujaheddin, la legislazione progressista e socialista venne cancellata, alle donne si impose nuovamente il burqa, si scatenò la guerra civile, che si concluse con la vittoria degli studenti coranici addestrati in Pakistan e l’impiccagione di Mohammad Najib. Dal 2001, con l’aggressione USA e NATO, è storia conosciuta, anche a chi non ricorda nulla del periodo socialista dell’Afghanistan. Il socialismo, appunto: grande assente da quasi tutti gli odierni “commenti” sull’Afghanistan.


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Terremoti, guerre, Stati falliti Daniela Trollio (*) Il 14 agosto di quest’anno, 10 anni dopo il terremoto del 2010 che fece oltre 220.000 morti, Haiti ne ha subito un altro di 7,2 gradi Richter che ha mietuto 2.200 vittime, con 12 mila feriti e più di 30 mila senzatetto. Nell’intervallo tra i due eventi c’è un’epidemia di colera con oltre 10.000 morti causata da una fuoriuscita di liquami dalla base nepalese della Minustah (le truppe ONU di stanza nell’isola), la formazione di gang che prosperano sui sequestri e sui furti degli aiuti - tanto che la Conferenza episcopale definiva già il paese come “totalmente inabitabile” all’inizio del 2021 - e l’omicidio ancora “misterioso” del presidente Jovenel Moise nel luglio scorso. A questo aggiungiamo gli abusi su donne e bambini, lo scandalo delle OnG e delle organizzazioni come Oxfam, Save the Children e Croce Rossa implicate in orge e reti di prostituzione e la sottrazione di fondi per la ricostruzione in cui è implicata la Fondazione Clinton. Sembra che per il paese più povero delle Americhe non vi sia pace ma solo caos, tanto più che l’ultimo evento sismico si è verificato quando l’attenzione mondiale è rivolta tutta all’Afghanistan, dove si svolge un’altra tragedia, ma questa più che annunciata.

Cosa avrà mai fatto Haiti?

Un po’ di storia ce lo spiega. Nel 1791 cominciano le rivolte e i tentativi di organizzazione contro i colonizzatori. 10 anni più tardi Haiti è il primo paese latinoamericano a liberarsi dalla schiavitù e a conquistare la propria indipendenza il 1° gennaio 1804, affibbiando un sonoro schiaffo al colonialismo, non solo a quello francese (l’esercito di Napoleone viene sconfitto) ma anche a quelli britannico e spagnolo.È l’unica rivolta di schiavi vittoriosa nella storia, una rivoluzione dove i neri, le donne e gli oppressi scrissero una Costituzione che rivendicava i diritti per tutti, Natura compresa. Impaurite e ferite nel loro ego coloniale, le grandi potenze danno l’avvio alla loro vendetta, perché la “malattia” dell’indipendenza e la rivolta dei neri non si estendano ad altre zone; vendetta che ancor oggi non è finita, trasformando Haiti in una nazione condannata ad essere uno stato “fallito”, soffocata dai debiti imposti dai colonialisti, piegata da 30 anni di dittatura

della famiglia di Papa e Baby Doc Duvalier, dalla repressione civile e dai colpi di Stato. Haiti era un esempio che non poteva ripetersi: così lo Stato francese pretese una indennizzazione di 150 milioni di franchi-oro per le perdite inflitte al suo sistema schiavista: l’isola si indebitò per pagare l’indennizzo con banche francesi e statunitensi e continuò a corrispondere gli interessi sul debito per i successivi 70 anni. Alcuni studi quantificano la somma che Haiti dovette pagare in 58 anni come equivalente a 21.000 milioni di dollari del 2004. E quando nel 1915 una rivolta popolare culminò con l’assassinio dell’allora presidente Guillaume Sam e mise in forse i piani di restituzione del debito e dei suoi interessi, gli Stati Uniti intervennero militarmente e occuparono il paese fino al 1934. Ecco gettate le basi del neocolonialismo. Il paese finì di pagare gli interessi su questo debito nel 1952. Alcuni dati: secondo un’inchiesta della Banca Mondiale (del 2021, la più recente disponibile) 6 persone su 10 (ossia circa 6,3 milioni di persone, il 63%, su una popolazione totale di circa 10 milioni, di cui il 90% di origine africana) sono in povertà assoluta. L’ONU fissa in meno di 2 dollari al giorno la soglia della povertà. Il 22% dei bambini soffre di denutrizione cronica. Dei 2,1 milioni di persone danneggiate dall’uragano Mathew dell’ottobre 2016, 1 milioni ha bisogno di aiuti umanitari. Haiti non era un paese povero, Haiti è stata impoverita. Nel suo sottosuolo giacciono terre rare, litio e titanio. E dietro la maschera dell’economia “green”, le multinazionali da tempo si muovono per un cambiamento della Costituzione haitiana, che oggi impedisce, almeno formalmente, la compravendita delle terre coltivabili. Un capitolo a parte meriterebbe inoltre l’opera di “cancellazione” di questa realtà, che emerge solo quando un evento è troppo traumatico per non apparire sulle prime pagine dei giornali.

Un altro Stato “fallito”?

Il terremoto haitiano viene cancellato da una notizia che viene da un altro Stato “fallito”, l’Afghanistan. Dopo 20 anni di guerra guerreggiata e occupazione, le truppe USA se ne vanno, apparentemente con la coda tra le gambe. Vi ricordate della Daisy Cut, la bomba “taglia

margherite”, utilizzata prima nella guerra del Golfo e poi in Afghanistan? Una bomba dagli effetti simili ad un’atomica, salvo per le radiazioni, adatta ad essere utilizzata sulle montagne afgane. E cosa resta dopo 20 anni di guerra, 100.000 civili uccisi, feriti, mutilati, sfollati, la devastazione e la rapina del territorio come mezzi della “guerra al terrorismo”? (Tanto per ricordare, perché abbiamo la memoria corta, gli attentatori delle Torri Gemelle erano o avevano legami con i grandi amici degli USA nel Golfo, le monarchie saudite, che piacciono molto anche a Matteo Renzi… sarà perché pagano così bene??). Restano le lacrime di coccodrillo per i profughi, che quando ieri erano bombardati anche dalla missione militare italiana non erano altrettanto degni di pietà e qualche foto strappalacrime con i bambini (come sempre). E se è vero che questa è una sconfitta militare per gli USA e gli alleati della NATO (governi italiani che si sono succeduti in questo ventennio compresi), la potenza militare più forte al mondo contro un esercito di “straccioni”, è anche vero che da 20 anni le multinazionali stanno rapinando il paese della sua ricchezza, ad un prezzo di sangue salatissimo. L’industria militare ringrazia: la produzione di armamenti è aumentata vertiginosamente. Ora le armi che gli USA “hanno dovuto abbandonare” in Afghanistan sono probabilmente ormai obsolete e ci troveremo davanti ad una nuova corsa in avanti dell’industria militare. È proprio vero - finché c’è guerra c’è speranza, diceva Alberto Sordi. E ripensiamo alle parole di Julian Assange, il creatore di Wikileaks, oggi prigioniero politico per aver svelato i crimini di guerra occidentali in vari paesi e a cui va tutta la nostra solidarietà e un appello a continuare la lotta per la sua liberazione: “L’obiettivo è utilizzare l’Afghanistan per riciclare denaro dalle basi fiscali degli Stati Uniti e dei paesi europei attraverso l’Afghanistan e riportarlo nelle mani delle élite della sicurezza transnazionale» (...) «L’obiettivo è una guerra eterna, non una guerra di successo». E vogliamo ricordare alle anime belle che oggi si stracciano le vesti per il “destino” delle donne afgane, che negli anni tra il 1978 e l’89, nell’allora Repubblica

Democratica dell’Afghanistan (RDA), quelle donne andavano all’università, lavoravano, portavano la minigonna. Poi arrivarono i talebani (allora chiamati “Freedon fighters”), creati, organizzati, addestrati e pagati dagli USA, e spazzarono via tutto questo, comprese le riforme del governo “filosovietico”: distribuzione delle terre a 20.000 contadini, abolizione della decima dovuta dai braccianti ai latifondisti, regolazione dei prezzi, servizi sociali e istruzione per tutti, diritto di voto alle donne, proibizione dei matrimoni forzati ecc. ecc.. In ultimo, anche l’Afghanistan è uno tra i paesi più poveri del mondo, o almeno lo sono gli afgani. Il paese è invece un paradiso minerario, che è stato stimato in 1 trilione di dollari, e costituito da litio, terre rare, oro e uranio. L’elenco degli Stati “falliti” - non per propri errori ma grazie alle politiche economiche e militari dell’imperialismo - è lungo e si estende per tutto il globo, da occidente ad oriente. È quello che Naomi Klein chiama “la dottrina dello shock”. Davanti ad eventi catastrofici, naturali o no, inevitabili o organizzati ad hoc, è molto più semplice stravolgere le regole precedenti e aprire non le porte, ma i portoni, al neoliberismo. Le sorti dei popoli come quelli di Haiti e dell’Afghanistan non sono una componente dell’equazione. E questo dovrebbe farci riflettere su un ordine alternativo, che noi continuiamo a chiamare socialismo, prima che il disastro si abbatta anche su chi non se l’aspetta.

(CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

Vaccino e green pass sono il toccasana? Emiliano Covid 19 ha messo in evidenza le carenze della sanità sacrificata dalle logiche del profitto (continui tagli di personale, di letti, di presidi territoriali, la mancanza della ricerca e della prevenzione primaria) e della privatizzazione. Il virus si è diffuso anche perché all’inizio sono state sottovalutate e trascurate le misure di sicurezza. Gli ospedali sono entrati in tilt, tanto che sono stati chiusi i pronto soccorso, sono state sospese le cure oncologiche, gli esami diagnostici, le operazioni chirurgiche, le interruzioni di gravidanza, e allungate le liste di attesa. Per somministrare i vaccini il governo ha incaricato un generale, i carabinieri si sono resi disponibili a sostituire i sanitari militarizzando il territorio. Fingendo di difendere il diritto alla salute ha cancellato o limitato molti diritti. Operai e lavoratori di svariati settori hanno continuato a lavorare (industria, trasporti, grande distribuzione) per garantire il profitto ai capitalisti – che nonostante la crisi è aumentato – senza adeguate protezioni, anche gli operatori ospedalieri (gli eroi presto dimenticati) e delle Rsa. Alcuni sono stati messi in Cig – che hanno ricevuto con mesi di ritardo – altri costretti alla vecchia forma del lavoro a domicilio, ma presentato come smart working, l’inglesismo tanto caro al potere. I pochi che si sono ribellati sono stati multati o presi a manganellate. Per la produzione del vaccino (sperimentale fino al 2023 e peraltro impotente di fronte alle varianti) comprato tramite l’Unione europea (l’Italia è stata tra le prime nazioni al mondo a stipulare accordi per l’acquisto) le multinazionali

hanno trovato in 5 mesi i finanziamenti che, nella migliore delle ipotesi, necessitano da 1 a 3 anni (di solito 10-15 anni). In gioco c’è un business che oscilla tra i 50 e i 100 miliardi di dollari l’anno, AstraZeneca ha dichiarato l’incasso di quasi 230 milioni di euro in un trimestre. Per il 2021 Moderna fatturerà 15,6 miliardi e Pfizer 13 miliardi di dollari. Tutta la catena di progettazione, ricerca, produzione e commercializzazione dei vaccini segue logiche privatistiche dettate dalla concorrenza capitalista e dalla ricerca del massimo profitto. Solo 10 paesi, i più ricchi, gestiscono il 75% delle dosi di vaccino. Un dato per tutti: meno del 2% della popolazione dell’Africa ha ricevuto una dose di vaccino. La distribuzione disuguale dei vaccini fra i vari paesi è conseguenza del fatto che sono prodotti da potenti monopoli capitalistici che alla salute antepongono sistematicamente i profitti di un pugno di azionisti miliardari. È parte della lotta fra paesi capitalisti che non vogliono rimanere indietro nella rimessa in moto della macchina produttiva per non cedere quote di mercato ai loro rivali, lo impedisce la strategia imperialista che mira a rafforzare la dipendenza dei paesi più poveri per saccheggiarli. I vaccini diventano armi della disputa tra paesi imperialisti: brevetti e dosi sono strumenti economici, politici, diplomatici, geopolitici per mantenere o occupare aree di influenza. Il vaccino non è obbligatorio, dice il governo (anche se ci sta ripensando), ma le parole di Draghi, gli appelli di Mattarella, il terrorismo mediatico - scaricano sulle masse le proprie gravi responsabilità in tema di salute e di rischi. Lo scopo

Tutto ruota intorno alla divisione e contrapposizione delle masse e creare il consenso utile al potere è dividerle, contrapporle e convincerle sulla sua utilità in contrapposizione a ciò che servirebbe: cure e terapie antiCovid, e soprattutto cure precoci, sanità territoriale, cure domiciliari, la stessa prevenzione. E creare consenso per far sì che i giovani corrano a vaccinarsi pensando di poter vivere normalmente: discoteche, viaggi turistici, socialità. A settembre scadono le dosi acquistate e devono essere consumate. Ecco l’idea di vaccinare i ragazzi (dai 12 anni in su) per farli rientrare a scuola in presenza perché non è stato risolto il problema delle classi pollaio, della mancanza di organici, né dell’affollamento dei trasporti pubblici. Gli insegnanti saranno sottoposti al semaforo rosso o verde! E i ferrovieri saranno trasformati in guardie con funzioni di controllo sociale e sanitario. Con la volontà governativa di dimostrare come con il vaccino possa far ripartire l’economia, che era già in crisi prima della pandemia, e far risalire il Pil a tutti i costi, ha rilanciato il commercio, il turismo estivo e inventato il green pass! Una vera e propria discriminazione non solo nei confronti di coloro che hanno optato per la libera scelta di cura, ma anche per coloro che per varie ragioni non possono vaccinarsi.


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Notizie in breve dal mondo - agosto Berlino, Germania 2 agosto

Forti proteste non autorizzate a Berlino contro le restrizioni da Covid19, cui hanno partecipato più di 5.000 persone. Quasi 600 manifestanti sono stati arrestati e 10 agenti sono stati feriti negli scontri.

Tokio, Giappone 4 agosto

Il governo giapponese ha deciso che solo i pazienti gravi di Covid 19 potranno accedere agli ospedali, suscitando una valanga di critiche. Il primo ministro Yoshihide Suga ha precisato che la misura sarà applicata solo a Tokio, dove si registra una “drastica espansione dei contagi”. Il governo ha quindi deciso la misura per “evitare il collasso degli ospedali”.

Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo 13 agosto

In un comunicato stamp l’Ambasciata USA nella città congolese spiega così l’arrivo di una quindicina di soldati delle sue Forze Armate Speciali: sono arrivati su invito del governo per lottare contro l’ISIS. Eppure vari rapporti, compresi quelli dell’ONU, escludono categoricamente la presenza dei terroristi nel paese.

Atene, Grecia 10 agosto

Manifestazioni in molte città contro gli errori commessi dal governo nella gestione fallimentare dei gravissimi incendi scoppiati nel paese e contro la mancanza di velivoli antincendio. Fuori dal Parlamento migliaia di persone protestano, mentre il primo ministro chiede scusa in un messaggio in TV.

molti luoghi colpiti dal terremoto e nel settore delle affezioni respiratorie, visto che molti pazienti sono stati estratti dalle macerie.

Port au Prince, Haiti 25 agosto

L’Associazione dei Cubani residenti ad Haiti ha consegnato oggi scarpe e vestiti, un dono per coloro che hanno perso tutto nel terremoto del 14 agosto scorso, che ha lasciato 300 persone scomparse, più di 12 mila feriti e 130 mila case danneggiate. Cuba e Venezuela, insieme ad altre nazioni come il Cile, Panama, Giappone, hanno messo a disposizione i loro medici per portare aiuto ai terremotati.

Città del Messico, Messico 28 agosto

Atlanta, USA 25 agosto

New York, USA 28 agosto

Esce l’ultimo rapporto dei CDC (i Centers for Disease Control and Prevention sono un importante organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti d’America. Il CDC è un’agenzia federale degli Stati Uniti, facente parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani. In esso si avverte della caduta al 66% circa dell’efficacia dei vaccini Pfizer-Bion Tech e Moderna a fronte della variante Delta del Covid19. Gli autori dello studio hanno seguito e analizzato le risposte vaccinali di più di 4.000 lavoratori essenziali di 8 zone degli Stati Uniti, da dicembre 2020 ad agosto di quest’anno. Lo studio, i cui autori avvertono comunque di prendere con precauzione, è il primo a rilevare una notevole riduzione dell’efficacia dei vaccini sopra citati e si riferisce solo ai contagi, non alle infermità gravi o alle ospedalizzazioni.

Roma, Italia 25 agosto

400.000 persone, suddivise in tre cortei (uno con parole d’ordine e bandiere rosse cui hanno aderito formazioni di sinistra e i “gilet gialli”, cittadini con una forte presenza multiculturale e uno, abbastanza isolato, della destra), hanno manifestato contro la “dittatura macroniana” del green pass. È il quinto sabato consecutivo che si svolgono queste manifestazioni.

Il Programma Alimentare Mondiale (World Food Programme o WFP) - l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare e la più grande organizzazione umanitaria del mondo, che assiste una media di 100 milioni di persone in 78 paesi del mondo - attraverso il suo direttore generale David Beasly, avverte che 14 milioni di persone corrono il rischio di morire di fame in Afganistan. Beasly afferma che sono necessari almeno 200 milioni di dollari entro fine anno per riparare alle distruzioni della guerra nel pase, dove 2 milioni di bambini sono denutriti.

Popayàn, Cile 23 agosto

Washington, USA 26 agosto

Parigi, Francia 15 agosto

È stato assassinato il leader studentesco Esteban Mosquera, che aveva già perso un occhio negli scontri con polizia e carabineros durante le proteste del 2018. Lo studente di Musica, che faceva parte del sito alternativo Contraportada, camminava nel centro storio quando è stato avvicinato da una moto con due persone che gli hanno sparato numerose pallottole.

milione e mezzo di euro. Il carico sarà ripartito tra gli ospedali dell’Avana, Matanzas, Holguín, Cienfuegos, Santiago de Cuba, Guantánamo e Ciego de Ávila. La raccolta è stata organizzata sotto la parola d’ordine “Ieri ci avete aiutato, oggi tocca a noi”.

7 poliziotti coinvolti nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso, hanno denunciato oggi alla corte federale del Distretto di Columbia l’ex presidente Donald Trump per aver incitato alla violenza con le sue false accuse di frode elettorale. Denunciati anche membri dei gruppi di ultra destra Proud Boys e Oath Keepers, e l’ex consigliere di Trump Roger Stone .

Il presidente messicano Lòpez Obrador ripete al congresso del partito governante Morena la proposta di sostituire con altra organizzazione regionale l’ormai screditata OEA, Organizzazione degli Stati Americani, di cui il ministro delle relazioni estere messicano dice che “non può continuare ad essere uno strumento di intervento”. Esce un rapporto dell’UNICEF (l’agenzia ONU per l’infanzia) sulla situazione dei bambini palestinesi, in particolare a Gaza dove i bombardamenti sulle scuole, sugli ospedali e sui servizi hanno colpito lo sviluppo dei minori. In particolare l’Unicef documenta 9 attacchi di Istraele tra il 7 maggio e il 31 luglio scorsi in cui sono morti 9 bambini e ne sono stati feriti 556, attacchi eseguiti con munizioni di guerra e pallottole di gomma. Altri 170 bambini sono stati arrestati nel periodo a Gerusalemme occupata. Negli ultimi attacchi a Gaza Israele ha danneggiato 116 asili, 140 scuole pubbliche e 41 scuole dell’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA).

Palestina 27 agosto

Come ogni anno, anche in questo 2021 si ricorda la Giornata Nazionale per il Recupero dei Corpi dei Martiri, caduti in combattimento contro l’Esercito di occupazione israeliano. Sarebbero almeno 330 i corpi sepolti senza nei cimiteri militari o ancora impilati negli obitori. È dagli anni ’60 – in base ad una legge emergenziale dell’epoca del Mandato Britannico, 1922/1948) che Israele applica una politica di confisca dei cadaveri, ratificata dal Tribunale supremo israeliano nel 2019, e considerata dai gruppi sui diritti umani un castigo collettivo contrario alla legislazione internazionale.

Brasilia, Brasile 28 agosto

Circa 6mila manifestanti indigeni di173 etnie, dopo essersi accampati da una settimana nelle vicinanze del Teatro Nazionale, sono sfilati davanti alla sede della Corte Suprema, chiedendo che i giudici confermino il loro diritto alle terre ancestrali.

Al Anad, Yemen 29 agosto

Parte oggi un contingente di 11 sanitari della Brigata Henry Reeves che va a raggiungere gli altri medici che già lavorano ad Haiti in campo chirurgico. Il contingente lavorerà in particolare alla rilevazione del Covid19 e del colera, data la mancanza di acqua potabile in

È atterrato all’Avana il volo Neos proveniente da Milano con un carico di materiale sanitario raccolto in Italia da varie istituzioni e organizzazioni coordinate dall’Ambasciata di Cuba, tra cui la CGIL, Italia-Cuba e la Regione Piemonte. Tale carico comprende, fra l’altro, 150 respiratori polmonari oltre a medicinali e materiale sanitario per un valore stimato in 1

Almeno 33 militari sono morti e decine di persone sono state ferite in un attacco delle milizie huti contro la base aerea nel sud dello Yemen sotto il controllo della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e che comprende altri paesi del Golfo. Dopo ben 7 anni di guerra gli huti controllano ormai gran parte del paese oltre alla capitale Sanaa. Il paese soffre, secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, della peggior crisi umanitaria al mondo, che vede morire un bambino ogni 10 minuti per fame o malattie curabili.

Dal punto di vista sanitario il “green pass” (rilasciato anche a chi ha fatto una sola dose… a chi fa il tampone… va esibito nelle sagre, sui trasporti a lunga percorrenza, nelle chiese, nei cinema, nelle biblioteche…) è uno strumento che non serve a fermare la diffusione della variante delta né a far calare i contagi. Dal punto di vista politico è una misura propagandistica esercitata con una forte pressione sui non vaccinati (che non sono fuorilegge perché non esiste una legge che obbliga alla vaccinazione anti Covid) facendoli oggetto di una campagna moralistica e aggressiva con cui vengono socialmente additati come untori, costretti anche a pagarsi il tampone (e c’è già chi propone di far pagare le spese ospedaliere in caso di ricovero!). È un’arma di “distrazione di massa” per occultare i problemi reali esistenti, a partire dalla sistematica privatizzazione della sanità, ridotta ai minimi termini. Malgrado il vaccino e l’uso del green pass siano presentati come toccasana, i contagi continuano anche tra i vaccinati e, mentre governo e industriali si affannano a “pensare alla nostra salute”, muoiono 3 lavoratori al giorno sui posti di lavoro, continuano le morti da amianto e sono “perdonati” i capi delle aziende che non applicano le procedure sulla sicurezza com’è successo con la sentenza vergogna della cassazione per la Strage di Viareggio. Anzi sono colpiti gli RLS che si erano posti come parte civile affibiando loro l’onere di 80.000 euro di spese processuali. E proprio il capo di Confindustria - che si è impegnata con la truffa dei codici ateco a far tenere aperte le grandi aziende (vedi Ikea) considerate servizi essenziali durante la

prima fase della pandemia mentre morivano centinaia di persone al giorno - ora è d’accordo per usare il green pass sul lavoro e addirittura per l’accesso alle mense aziendali. Intanto il governo, con la complicità dei sindacati compiacenti, ha firmato l’accordo per lo sblocco dei licenziamenti, che si aggiungeranno al milione dell’ultimo anno a vantaggio delle volontà padronali di chiudere e licenziare. È successo, proprio dopo pochi giorni dalla firma, ai 152 operai della Gianetti Ruote di Monza e ai 500 operai della GKN di Firenze mentre continuano le centinaia di vertenze aperte per la difesa dei posti di lavoro: da Whirpool a Embraco e all’Alitalia che prevedono tagli di migliaia di lavoratori. In questo contesto il direttore dell’INPS ha annunciato che l’ente non pagherà più la quarantena obbligatoria imposta a lavoratrici e lavoratori quando sono entrate in contatto con una persona positiva alla Covid 19. La ragione? Semplice, non ci sono più i soldi necessari. La cassa integrazione COVID ha accumulato ritardi tali per cui, a oggi, ci sono circa 600mila lavoratrici e lavoratori che non vedono un euro di retribuzione da aprile. In questa situazione l’INPS ha congelato le autorizzazioni per le richieste presentate per utilizzare la Cassa COVID sia in ordinaria sia in straordinaria. Il 23 luglio scorso, nel quadro del Decreto Sostegni bis, il governo ha approvato due emendamenti che mutano radicalmente in peggio il Decreto Dignità del 2018. Con questi emendamenti le imprese potranno stipulare contratti a termine senza una causale specifica fino a 24 mesi, purché questa possibilità sia inserita nei contratti collettivi di categoria o nei contratti aziendali. Considerando l’attitudine, non certo combattiva di Cgil-

Cisl-Uil, che negli anni hanno concesso al padronato tutto quello di cui aveva bisogno, e considerando che nelle aziende il potere contrattuale delle rappresentanze delle lavoratrici e dei lavoratori è da tempo al minimo storico, non abbiamo alcun dubbio sulla pronta ricezione di tali novità nei contratti di ogni livello. La conseguenza è evidente: crescita della precarietà e ulteriore rafforzamento del potere gerarchico e discrezionale delle imprese sulla vita e sul lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratori. E, ciliegina sulla torta, la liberalizzazione di appalti e subappalti che avrà sicure conseguenze sia sulla sicurezza nei posti di lavoro, sia sulla maggiore possibilità di infiltrazioni mafiose. Nell’estate della “ripresa”, tra l’aumento dei prezzi del carburante, delle tariffe di luce e gas, del carovita, per poter accedere ai fondi previsti dal PNNR in soccorso alle richieste dei grandi capitali italiani ed europei per investire nel nostro paese, sono andate avanti le controriforme: da quella Brunetta per la pubblica amministrazione a quella sulla giustizia. Un’estate animata dalla discussione su vaccini si vaccini no, green pass sì, green pass no, che ha diviso in tifoserie mentre ai manovratori di governo, Confindustria e padroni è stata lasciata la libertà di fare e disfare. Quella stessa “libertà” del singolo che pensa di fare quello che vuole, libertà di sfruttare, libertà di picchiare i più deboli, che prefigura la supremazia dell’individuo sulla società. Concezioni in cui sguazzano i fascisti, le forze oscurantiste e i fanatici religiosi, quelli che rifiutano la scienza e la storia, che vogliono apparire come antisistema ma spingono verso soluzioni reazionarie e autoritarie, a tutto vantaggio del grande capitale, senza mettere in discussione il sistema capitalista e imperialista.

L’Avana, Cuba 24 agosto

L’Avana, Cuba 26 agosto


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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

segue dalla prima

che si distinguono dalla politica concertativa di Cgil-Cisl-UilUgl. Ma ci sono altri appuntamenti importanti, entrambi a Firenze: il 18 settembre con GKN e il 26 con il Convegno del CLA (Coordinamento lavoratrici e lavoratori autoconvocati) su “sicurezza, salute, obbligo di fedeltà” contro la repressione pa-dronale, di Stato e istituzionale. È giusto opporci contro l’interesse della borghesia di sottomettere tutti ad un sistema basato sulla proprietà privata, il profitto, sullo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente e contro l’imperialismo Usa e della UE (che sta organizzando il suo esercito...). È giusto lottare contro le scelte dei governi di inviare le truppe all’estero sotto la mistificazione di “missioni di pace” e per la chiusura delle basi Usa e Nato aggressive, guerrafondaie e costose dislocate su tutto il nostro territorio. È giusto organizzarci per attuare l’obiettivo strategico dei comunisti che è l’abbattimento del sistema capitalista!

Ci rifiutiamo di controllare le nuove “licenze di circolazione” chiamate Green pass Siamo lavoratrici e lavoratori di Trenitalia. A bordo offriamo innanzitutto assistenza ai passeggeri, garantiamo la regolarità della circolazione del treno nel rispetto degli standard di sicurezza d’esercizio e infine verifichiamo i titoli di viaggio. Lavoriamo per un servizio pubblico essenziale diretto alla collettivitá. Come previsto nelle “Condizioni di trasporto”, per essere ammesso a bordo il viaggiatore deve essere in possesso di un titolo di viaggio valido. Per viaggiare, quindi, è necessario e sufficiente il biglietto. Non siamo irresponsabili, anzi, non abbiamo mai smesso di lavorare nonostante la paura per noi stessi e i nostri familiari, soprattutto quando all’inizio dell’epidemia abbiamo ricevuto poche indicazioni e tutele. “Un viaggio sicuro e confortevole” è stato sinora garantito con l’obbligo di indossare correttamente la mascherina durante tutto il viaggio, con una maggiore attenzione alla pulizia dei filtri dell’aria, con sanificazioni costanti e il distanziamento fisico. Ancora molto si può fare, ad esempio prevedere più corse straordinarie per evitare il sovraffollamento dei treni e pianificare meglio i turni di lavoro a beneficio di quel benessere psicofisico che è fondamentale per la prevenzione e passa anche da una migliore organizzazione dell’orario lavorativo. Non va tralasciato anche l’aspetto più propriamente “ferroviario” della sicurezza: prevenire svii ed incidenti che mettono a rischio la vita e la salute di lavoratori e passeggeri deve costituire una priorità. Con un altro decreto emergenziale, ad agosto hanno inserito tra “le poche e semplici regole per un viaggio sicuro e confortevole” il possesso del Green pass e ci viene chiesto di essere controllori di una scelta strettamente personale che non é né può essere imposta per legge: quella di vaccinarsi. Dal 1 settembre quest’obbligo varrà sui treni a lunga percorrenza, ma é un precedente che rischia di essere esteso ad altri mezzi di trasporto e ai lavoratori tutti, come già accaduto a sanitari e docenti che stanno pagando la scelta di non vaccinarsi con la sospensione dal lavoro. Non é giusto impedire di viaggiare, studiare e lavorare a chi dissente, esprime dubbi o critiche, propone altre soluzioni. La valutazione rischi-benefici alla base della scelta di vaccinarsi non ci riguarda e non può precludere la fruizione del servizio pubblico essenziale per cui lavoriamo. La stessa Unione Europea ha affermato con chiarezza che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate” (Rettifica del regolamento UE 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, 14 giugno 2021). Non siamo controllori delle scelte personali dei passeggeri. Il Green pass è uno strumento che non ha nulla a che fare con la tutela della Salute collettiva. Controllarlo sui treni finisce per limitare la libertà di movimento sulla base di una discriminazione e rischia anche di favorire il trasporto privato, a fronte di una sempre più impellente necessità di limitare l’inquinamento. Per questo chiediamo: • Tamponi gratuiti in stazione per tutti • Cancellazione del Green pass • Implementazione delle misure preventive già adottate: pulizie dei filtri dell’aria, sanificazioni costanti, esclusione della temporizzazione delle porte su tutti i treni • Turni più brevi per il benessere psicofisico del personale, fondamentale per la prevenzione di ogni malattia • Migliore pianificazione delle corse straordinarie per evitare pericolosi carri-bestiame.

Colombia in lotta In Colombia possenti manifestazioni ignorate dai massmedia italiani reclamano i propri diritti dimostrando che l’82% del paese rifiuta i tiranni: Duque e Uribe. All’interno di queste proteste di massa che esprimono rabbia e grande indignazione degli strati bassi stanchi della fame e dell’esclusione sociale conta la forza travolgente della gioventù che si ribella e la solidarietà della minga indigena. Le Farc stanno operando per la rinascita della speranza con l’obiettivo della presa del potere partendo dall’insediamento di un nuovo governo del popolo e per il popolo. Si parla di unità e resistenza e le Farc tornano alle radici rivoluzionarie. Quanto tempo sprecato e quanti militanti massacrati dai governi Uribe e Duque per capire che la sola via è quella rivoluzionaria. Non si abbattono i governi con i patti né con le elezioni. Angelino Marotta, Scalea

Sanità sempre più privatizzata Dal 2 agosto i prelievi sangue che si facevano all’ospedale di Borgo San Lorenzo sono stati trasferiti - in assoluta omertà, quasi a voler nascondere la cosa, in un centro privato. Per il ticket rimane comunque attivo anche il Punto pagamenti all’interno dell’ospedale, oltre alla possibilità di utilizzare gli sportelli di Intesa San Paolo o il bollettino postale. Mi chiedo come si può parlare di riqualificazione dei servizi, e come si fa a riqualificare se lo stesso servizio viene affidato ad un esterno, ad un privato che si è aggiudicato l’appalto con un’offerta che spesso sappiamo essere al ribasso? Su cosa si risparmia? Sulla quantità o sulla qualità delle analisi? Quella che si spaccia per una collaborazione non è che un altro tassello del disegno che vede l’ospedale del Mugello sempre più dipendente da costose convenzioni con i privati anche per il basilare funzionamento. Negli scorsi mesi abbiamo già denunciato le carenze del personale medico di pronto soccorso ed i ritardi nella presentazione dei progetti definitivi per la ristrutturazione, oggi siamo ad un ennesimo passo indietro della sanità pubblica: vedere gli amministratori celebrare una nuova esternalizzazione dei servizi sanitari, con tanto di taglio del nastro tricolore. I Sindaci del territorio si preoccupino piuttosto di dare risposte ai cittadini alle prese con i nuovi spazi inadeguati per le lunghe attese e per la mancanza di parcheggi, e si impegnino a riportare ad una gestione completamente pubblica il servizio. Lettera firmata

MEMORIA

1 agosto 1944: Inizia la rivolta di Varsavia contro gli occupanti nazisti. Durante i primi giorni dei combattimenti, che dureranno finoal 2 ottobre dello stesso anno, partigiani male armati, cittadini ed ex soldati riescono a liberare diversi quartieri della città. I tedeschi impiegheranno due mesi a fermare la rivolta, durante i quali morirono più di14.000 soldati e membri delle SS e circa 200.000 polacchi, soprattutto civili. 700 mila cittadini furono cacciati dlla città e quasi iol 90% degli edifici di Varsavia vennero rasi al suolo. 6 agosto 1945: alle ore 8.15 Little Boy, la prima bomba atomica ad uso militare viene lanciata da un bombardiere statunitense sulla città giapponese di Hiroshima. Nell’inferno moriranno circa 140.000 persone, 70.000 saranno i feriti e la città completamente devastata. 9 agosto 1945: È la volta di Fat Man, la seconda atomica sganciata dagli USA sulla città giapponese di Nagasaki, causando 70.000 morti e 30.000 feriti. A queste cifre vanno aggiunte quelle causate ancor oggi dalle radiazioni nucleari, oltre alle malformazioni e alle malattie della radioattività. 23 agosto 1927: Nel carcere di Charlestown due anarchici italiani – Nicola Sacco, operaio in una fabbrica di calzature, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo dopo aver fatto innumerevoli altri lavori – vengono uccisi sulla sedia elettrica, accusati dell’assassinio di due persone durante una rapina: nonostante le prove vaghe e indiziarie e la confessione di colpevolezza di un altro detenuto, Sacco e Vanzetti muoiono. Solo 50 anni più tardi il governatore del Massachusetts – Mitchell Dukakis – riconoscerà che i due immigranti erano innocenti e che la condanna fu dovuta alle loro convinzioni e al loro attivismo politico. 8 agosto 1974: A seguito dello scandalo del “Watergate”, Richard Nixon rassegna le dimissioni dalla presidenza degli Stati Uniti.

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXX n. 5/2021 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, EdoardoTodaro, Daniela Troilo,, redazione di Firenze abbonamento annuo Italia abbonamento annuo sostenitore abbonamento Europa abbonamento altri paesi arretrato

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Chiuso in redazione: 26/08/2021


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