“nuova unità”. Pubblichiamo il n. 2 perché è in distribuzione il n. 3

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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

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Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità

Periodico comunista di politica e cultura n. 2/2021 - anno XXX

fondata nel 1964

Lo sviluppo del fascismo e la dittatura fascista assumono forme diverse nei diversi paesi, a seconda delle condizioni storiche, sociali e politiche, nonchè delle particolarità nazionali e della posizione internazionale dei singoli paesi

G. Dimitrov

Un impegno arduo ma indispensabile

I lavoratori devono capire che è possibile una società diversa da quella fallimentare che propone il capitalismo. Un altro sistema sociale dove non c’è posto per padroni, sfruttamento, oppressione Sul numero 1 abbiamo anticipato l’arrivo di Draghi, prima del suo insediamento. Ora il salvatore della patria sta governando un esecutivo di “unità nazionale”. Draghi ha affidato i più importanti ministeri alla destra e accontentato tra ministri e sottosegretari - tutti i partiti, riportato la Lega al governo, e reinserito la Gelmini che solo qualche anno fa tanto danno ha fatto come ministra dell’istruzione e ridato a Brunetta di finire il suo compito contro i fannulloni! Si è anche circondato di uomini “forti”: Gabrielli, Giannini, Figliuolo. Superpoliziotti con formazione Digos, specializzati in antiterrorismo e antieversione, con esperienza di manifestazioni di piazza e di caccia ai cosiddetti terroristi, in buoni rapporti con l’intelligence. A gestire l’emergenza Covid 19, ha chiamato il generale dell’esercito Figliuolo, già Comandante del contingente italiano in Afghanistan e delle forze NATO in Kosovo, tanto per abituare alla presenza militare sul territorio. Sappiamo che tutti i governi rappresentano il comitato d’affari della borghesia, il compito di questo governo - gradito all’Europa, alla finanza internazionale, alle logge massoniche, alla Nato e, grazie all’appoggio servile dei mass media, approvato anche dall’opinione pubblica - è quello di gestire i finanziamenti stabiliti con l’UE. Per fare ciò, in fase di pandemia, dovrà ricorrere a misure sempre più vergognose su occupazione, sanità, istruzione, servizi sociali, trasporti ecc. Un’ulteriore stretta economica, con peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle masse, può dare vita a movimenti sociali (è auspicabile!), che preoccupano il potere. Mentre i decreti Salvini sono sempre in vigore c’è da aspettarsi una trasformazione dello Stato, un nuovo disegno repressivo e la preparazione del terreno su cui ogni repressione, ogni limitazione di libertà, ogni decreto sicurezza contro lavoratori in lotta e militanti, venga accolta dall’opinione pubblica come misura necessaria alla salvaguardia del “benessere comune” e in questo Covid 19 aiuta molto. Questo governo, dopo aver annunciato la “novità” del condono (i furbetti ringraziano), ha dato il via alla missione militare come parte della Task Force europea Takuba approvata dal parlamento lo scorso giugno - nel Sahel. Un’altra missione “umanitaria” per la lotta contro il “terrorismo”, per la “stabilità e sicurezza”. In realtà è un territorio ricco di materie prime saccheggiato e impoverito dalle potenze imperialiste e rappresenta un passaggio decisivo dei migranti verso l’Europa da controllare e bloccare. Probabilmente sarà il governo che metterà le mani sulla Costituzione indirizzato sempre più a favore del potere politico ed economico della borghesia nel senso del “Piano di Rinascita Democratica” di Gelli e della sua Loggia P2. La borghesia sa bene che quando ci sono le “strette” e le condizioni si aggravano incombe il “pericolo”comunista. Quel comunismo che faceva paura quando uscì il “Manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels che iniziava con le parole “Uno spettro si aggira per l’Europa - lo spettro del comunismo” che vide tutte le potenze della vecchia Europa alleate in una caccia spietata contro questo spettro e che fa paura perché continua a ricordare alla classe borghese il destino che la attende. Anche se oggi la situazione è diversa. Non c’è più il PCI che, prima della sua involuzione, per molti anni ha pro-

spettato una parvenza di società diversa dal capitalismo; non c’è più il campo “socialista” che - se pure criticabile - era un riferimento per la classe operaia che per anni hanno gridato “faremo come in Russia”. I lavoratori per molte ragioni, che affrontiamo spesso sulle nostre pagine, vedono soprattutto sconfitte, il movimento operaio è in una fase di resistenza non certo all’attacco (il contratto dei metalmeccanici è solo un esempio). I comunisti incontrano mille difficoltà per organizzarsi, per rendersi credibili e riuscire a fare capire alla classe lavoratrice che è possibile una società diversa, un altro sistema sociale senza padroni né sfruttamento, né oppressione. Nonostante tutto la borghesia continua a temere che la propria sopravvivenza sia messa in pericolo e che fa? Rafforza la denigrazione delle idee comuniste attraverso tutti gli strumenti che ha a disposizione: dai programmi scolastici e educativi, all’indottrinamento mediatico - da quello più becero a quello più raffinato -, dalla cultura all’industria del cinema (non c’è un telefilm senza attacchi verso Cuba, Venezuela, Cina, Russia, Corea del nord...). Ci sono i premi Nobel ai vari Pasternak, Sakharov, Solženitsyn, Gorbačëv, Aleksievič; al premio “Sakharov” ai vari “Memorial”, Oleg Sentsov o opposizione democratica” bielorussa. La diffamazione è sottile e subdola e può passare inosservata, ma penetra nelle menti e nella coscienza delle persone. Sono tutte idee con le quali la borghesia condiziona perché venga accettato che i comunisti vanno messi fuori legge in quanto “criminali”, e che il comunismo deve essere abolito per legge per il “bene comune” quindi fare in modo che sia la massa a richiederlo, per la “propria sicurezza”. Nei decenni, l’anticomunismo ha assunto varie forme, è ricorso agli interpreti e ai mezzi più diversi: dai più estremi e terroristici, ai più sofisticati. L’obiettivo è sempre quello di scongiurare la presa di coscienza delle condizioni di vita e di sfruttamento da parte delle classi sottomesse e, dunque, irretire la loro aspirazione a liberarsi. A gennaio, in occasione del centenario della fondazione del Partito Comunista d’Italia, abbiamo visto tutti - dai reazionari alla cosiddetta sinistra - liberi di sentirsi in dovere di sproloquiare sulla decisione dei comunisti di rompere nel 1921 con l’opportunismo per programmare un diverso tipo di società, di definire la società socialista condannata “alla dittatura e alle fucilazioni”, di accusarli di aver con la “sciagurata scissione” e le “lacerazioni profonde” di aver favorito il fascismo. Quando il Presidente della Repubblica si batte il petto per foibe e “crimini dei comunisti slavi contro gli italiani”, falsificando la storia, tacendo sui crimini fascisti e le leggi razziali, accusando chi non è d’accordo di negazionismo. Quando celebra via Fani o l’anniversario della morte di Biagi ma non spende una parola per tutti i morti quasi giornalieri su e da lavoro, cosa fa? Quando il Presidente del Consiglio (che ha ben imparato dai gesuiti), nel discorso del suo insediamento cita il Papa e il Signore (incurante che siamo una repubblica laica) si richiama al teologo anticomunista Karl Paul Reinhold e alla sua “preghiera per la serenità”, e si preoccupa che le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, cosa fa? Entrambi rispolverano il “pericolo comunista”. L’ideale comunista è sotto attacco in tutto il mondo, la

pianta “sempreverde” è quella della storia sovietica, con «le fucilazioni e le dittature proletarie». Si arriva a dire che i comunisti si erano macchiati dell’olocausto; che se Stalin “si è alleato con Hitler”, significa che è ugualmente responsabile non solo della “invasione della Polonia”, non solo della “spartizione dell’Europa”, ma anche degli stessi crimini del nazismo: anzi, se non fosse stato per Stalin, Hitler non avrebbe nemmeno cominciato la guerra e allora “non c’è da aspettarsi nulla di diverso dai comunisti di oggi”. La risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019, con l’equiparazione tra nazismo e comunismo e l’auspicio al divieto di “ideologia e simbologia comuniste”, è stata per ora l’ultima tappa nella “istituzionalizzazione” della tesi sulla pari responsabilità di Germania nazista e URSS nello scatenamento della guerra e su un fantomatico “retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo”. Tutto il mondo capitalista inneggia alle rivoluzioni colorate, ai golpisti venezuelani, ai reazionari russi e bielorussi, plaudono alle tesi revisionistiche, vede ancora la Russia comunista e si spende per la liberazione di Navalny, un razzista e nazista mascherato da democratico.

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25 Aprile di lotta anticapitalista

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Metalmeccanici Mission impossible! alcune riflessioni

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Primo maggio, pandemia e battaglie operaie per l’emancipazione

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Ex Ilva: l’avvelenamento di operai e popolazione può continuare “legalmente”

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Il grande silenzio: Covid 19 in Palestina e in Israele

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Liberiamo Mumia

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Mikhail Gorbačëv e la fine dell’Unione Sovietica

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Brevi dal mondo

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25 Aprile di lotta anticapitalista Solidarietà militante con tutti i colpiti dalla repressione. La vera Liberazione arriverà solo quando gli ideali sociali che hanno guidato la Resistenza saranno realizzati e oppressione e sfruttamento cancellati definitivamente dalla storia Emiliano A 76 anni dal 25 Aprile 1945, ci troviamo in una società alle prese con una grave crisi economica, sociale e sanitaria dove la propaganda “fascioleghista” scava nei sentimenti più regressivi e reazionari di gruppi sociali, come i ceti medi impoveriti dalla crisi coinvolgendo anche settori popolari, alimenta il razzismo verso gli immigrati, il disprezzo verso le minoranze e gli emarginati dalla società capitalistica, contro chi si batte contro lo sfruttamento e soffia potentemente sul fuoco della “guerra tra poveri”. Mentre il grande capitale può presentarsi come garante dell’unità nazionale e del concetto che siamo tutti sulla stessa barca per uscire dalla crisi con il nuovo governo Draghi. Il fascismo aveva costituito la forma di dittatura terroristica aperta con cui la borghesia capitalistica aveva deciso di schiacciare le aspirazioni rivoluzionarie e di giustizia sociale manifestate con l’occupazione delle fabbriche nel ‘Biennio Rosso’ 1919-1920 dal proletariato italiano. Un’opzione, peraltro, cui la borghesia non esita a ricorrere ogni volta che non è in grado di mantenere la sua supremazia con i rituali meccanismi di potere propri del sistema democraticoborghese. Durante la Resistenza gran parte delle formazioni partigiane affrontavano fascisti e nazisti armi in pugno non solo per farla finita con la dittatura, ma per un mondo libero da ingiustizia, sfruttamento e guerra. Dietro l’impulso della mobilitazione operaia e gli scioperi del marzo ’43, incoraggiati dalla vittoria dell’Armata rossa contro le orde naziste a Stalingrado, le forze della Resistenza e della lotta armata partigiana si svilupparono contro fascisti, nazisti e tirapiedi prezzolati dei capitalisti grazie alla direzione dei comunisti, al sacrificio, alla preparazione militare e alla forza ideologica capace di risvegliare i valori del patrimonio di lotta proletaria fino alla vittoria. Ma non esistono vittorie definitive nella lotta di classe e per l’emancipazione del proletariato, queste vanno difese ogni giorno. Del resto i fascisti non sono mai scomparsi dal panorama politico del nostro Paese, e dal 1945 hanno continuato ad occupare posti chiave nello Stato, dalla magistratura, alla polizia, all’esercito, depistando, coprendo le bombe, gli omicidi, le aggressioni degli squadristi mai cessate contro lavoratori, immigrati, antifascisti e comunisti. Oggi i fascisti sia nella versione autoritaria del leghismo e del nazionalismo di Fratelli d’Italia (che sta raccogliendo parlamentari M5S), sia nella versione più triviale e squadristica di Casa Pound, Forza Nuova, Lealtà e Azione e altre formazioni, alzano il tiro perché si sentono legittimati da decenni di propaganda revisionista e dalla sistematica diffamazione della Resistenza alimentata da tutti i partiti istituzionali, ma anche dalle scelte riconciliative della cosiddetta sinistra. Un proliferare di numerose sigle camuffate anche da associazioni ‘culturali’, librerie, gruppi musicali, per una più efficace penetrazione nel mondo giovanile che si richiamano apertamente al nazifascismo e che aprono covi neri in molti quartieri popolari,

soprattutto quelli percorsi da gravi problematiche sociali. Da questi covi partono provocazioni, intimidazioni, aggressioni fisiche a militanti di sinistra, giovani antifascisti, immigrati, studenti e operai in prima fila nelle lotte nei propri ambienti di studio e di lavoro. Gruppi squadristici - utili elettoralmente ai fascisti in doppiopetto - protetti da importanti apparati dello Stato (servizi segreti, settori delle forze armate, vertici delle forze di polizia), finanziati attraverso i traffici di droga e di armi e collusi con mafie e massonerie, addestrati nelle basi militari della NATO, spediti a ‘farsi le ossa’ negli scontri tra le diverse tifoserie calcistiche o come mercenari sui fronti di guerra aperti in diverse parti del mondo (Ucraina, Bielorussia, Siria ecc.). Una riserva di tipo ‘militare’ pronta a essere utilizzata quando il potere borghese lo riterrà necessario. A queste forze i cosiddetti democratici vogliono lasciare il diritto di parola, in nome della “libertà di espressione” (per i fascisti), oppure lanciano i loro strali contro gli “opposti estremismi” cioè che chi si oppone ai razzisti e alla libera circolazione dei fascisti si pone contro la legalità, deve essere represso da polizia e carabinieri e condannato dai tribunali. Nonostante la Costituzione borghese sancisca - peraltro sempre più in linea teorica - diritti conquistati già con la Resistenza e poi, attraverso grandi lotte ed enormi sacrifici, nei decenni successivi dal proletariato italiano, ciò non ha impedito ai “padroni” di intervenire con mano pesante nella limitazione di tanti diritti politici, sindacali e sociali della classe operaia: dal diritto di sciopero e di manifestazione a quello di organizzazione e di rappresentanza sindacale, dal diritto ad una scuola per tutti a quello, oggi di triste attualità, di un’efficiente sanità pubblica. Come nel passato, quando in nome di una ricostruzione nazionale avvenuta sulla base della difesa degli interessi di classe della borghesia, oggi di fronte alla crisi aggravata

dalla prima

In conclusione possiamo dire che l’anticomunismo è nato con il comunismo, è nato con la presa di coscienza della propria condizione da parte della classe operaia, sottoposta alla diretta oppressione della moderna classe dominante, la borghesia. Tutta la campagna della borghesia con la denigrazione delle idee comuniste è legata a mantenersi il potere e ai suoi obiettivi attuali che sono quelli di preparare il terreno agli ennesimi attacchi padronali sul lavoro e sulla vita delle masse. È evidente che per far fronte all’attacco spietato della borghesia e dei suoi tirapiedi anticomunisti, sia necessario un

dal coronavirus il potere strumentalizza la crisi e ripropone l’unità nazionale attraverso il governo Draghi. Subentrato dopo la trovata di Renzi è presentato come il salvatore della Patria, forse è più salvatore delle banche, della UE, delle logge massoniche e del Club Bildenberg cui appartiene. In realtà “per salvare il Paese” adotterà forzature istituzionali con lo svuotamento dei poteri del parlamento borghese, trasformerà lo Stato in senso reazionario accentrando le decisioni nelle mani dell’esecutivo, rifacendosi al “Piano di Rinascita Democratica” di Gelli e della sua Loggia P2, eversiva e filoatlantica. Probabilmente metterà mani sulla Costituzione sempre più a favore del potere politico ed economico della borghesia. Ricordiamo che Draghi sul disegno previsto e ordinato dalla banca J.P. Morgan il 21 giugno 2013 ha affermato: «Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo...». Un ulteriore salto di qualità nell’involuzione in senso reazionario dello Stato potrebbe compiersi laddove venissero confermate reiterando lo stato di emergenza sanitaria ed inasprendosi quella economica e sociale - le misure coercitive e repressive adottate per far fronte alla diffusione della pandemia da coronavirus. La militarizzazione del territorio, il ricorso a più avanzate tecnologie di controllo sociale, le limitazioni al diritto di movimento e di riunione potrebbero trasformarsi in provvedimenti strutturali, utili - assieme all’armamentario repressivo già a disposizione (si pensi ai Decreti Sicurezza di salviniana memoria) - a criminalizzare e a soffocare sul nascere le future proteste dei lavoratori del nostro Paese. E le premesse si sono viste subito, sia nel discorso del suo insediamento, sia negli incarichi di settori delicati affidati a superpoliziotti come Giannini e Gabrielli e il ge-

autentico Partito comunista, strumento politico e organizzativo della classe lavoratrice. Ma per ricostituirlo si deve rafforzare il processo di unità dei comunisti, di organizzazione, di amplificazione della difesa degli ideali comunisti. Un impegno arduo per propagandare le proprie idee e rendersi credibili se si confronta la differenza di mezzi a disposizone tra i comunisti e il potere dominante, ma è indispensabile per far sì che i lavoratori maturino la convinzione che è possibile una società diversa da quella fallimentare che propone il capitalismo. Un altro sistema sociale dove non c’è posto per padroni, sfruttamento, oppressione.

nerale Figliuolo con esperienze di guerra in Afghanistan e Kosovo a gestire l’emergenza Covid 19, tanto per abituare e fare accettare la presenza militare sui territori. Avanza, quindi, il processo di ampliamento della repressione per chi non si adegua alla campagna governativa cui aderiscono, in un modo o nell’altro, le varie forze fasciste. Un attacco che marcia di pari passo con la risoluzione, approvata nel settembre 2019 con il voto favorevole dei rappresentanti del PD - dal Parlamento europeo in cui si equipara il nazismo al comunismo, posti ignominiosamente sullo stesso piano come regimi entrambi totalitari. Con il rilancio del processo di revisione e falsificazione dei tragici accadimenti che sconvolsero l’Europa intera nella prima metà del ’900. A rendere ancor più grave questo atto è il non aver citato, nella condanna espressa dalla risoluzione, il fascismo come sistema totalitario. Una sorta di tacita assoluzione dei fascismi europei dalle terribili colpe di cui questi regimi reazionari si sono macchiati. Un evidente segnale della natura anticomunista della ‘democratica’ Europa, pronta a ricorrere se necessario, ai servigi che potrebbero offrire i nuovi fascisti di fronte all’inasprirsi dello scontro di classe. Una violenta campagna antipartigiana e anticomunista che sostiene il revanscismo nazionalista e la riabilitazione del fascismo di cui fu iniziatore l’ex parlamentare del PCI Luciano Violante, auspicando, nel discorso di insediamento a presidente della Camera nel ’96, una sorta di “maggiore comprensione” - e di conseguente attenuazione della condanna - verso la scelta di campo fatta nel ’43 da quei giovani passati alla storia come “ragazzi di Salò”. Nel processo politico e culturale di sdoganamento di un tragico periodo della storia europea e nazionale non stupisce la crescita della destra in Italia. Per questo i comunisti devono prendere le distanze da movimenti di ‘sinistra’ e partitini sedicenti comunisti che, scivolando verso posizioni comunitariste o sovraniste, si avvicinano ambiguamente alla propaganda di forze neofasciste e nazionaliste interne allo schieramento imperialista (come si è potuto riscontrare in occasione delle guerre di aggressione contro Jugoslavia, Iraq, Libia, Siria ecc.) e continuare ad affermare che l’unico antifascismo che realmente produce risultati è quello quotidiano, vissuto nei quartieri, che non conosce deleghe. Un antifascismo che non ha nulla a che spartire con chi nel giorno della Liberazione vorrebbe provocatoriamente sfilare accanto agli oppressori del popolo palestinese, sotto le bandiere sioniste responsabili dei massacri di Gaza; né con chi - dal governo all’opposizione - promuove e sostiene le aggressioni militari in Siria, Libia, come già in Jugoslavia, e appoggia i gruppi nazisti in Ucraina, Bielorussia ecc. Viceversa uno dei compiti principali di un Antifascismo militante deve essere quello di contrastare queste posizioni rilanciando quell’Internazionalismo Proletario che costituì una componente ideologica fondamentale della parte più avanzata e di classe del movimento resistenziale. Dinanzi all’avanzare, sotto diverse vesti del pericolo fascista, i comunisti hanno il dovere irrinunciabile di salvaguardare la memoria e l’esperienza della Resistenza di ieri per difendere le speranze di liberazione di oggi della classe operaia e delle masse popolari da un sistema capitalista. Per questo il 25 Aprile - deve vederci impegnati contro le celebrazioni rituali delle istituzioni in nome dell’unità nazionale, sia contro probabili restrizioni imposte con il pretesto del contagio. Deve essere una giornata di solidarietà militante con tutti gli antifascisti e i lavoratori colpiti dalla repressione, una giornata di mobilitazione anticapitalista, perché la Liberazione arriverà veramente solo quando gli ideali sociali che hanno guidato la Resistenza saranno realizzati e oppressione e sfruttamento cancellati definitivamente dalla storia.


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Metalmeccanici. Mission impossible! Destrutturazione della normativa contrattuale e nuova impostazione dell’inquadramento, Dietro i falsi miti e un linguaggio ridicolo gli imprenditori, nascondono la limitatezza del loro mondo teso solo a che niente gli venga strappato. E nascondono la precisa determinazione ad intensificare sfruttamento e “strategie” a perdere. Alcune riflessioni

Luciano Orio Parole, parole, parole che aprono a mondi di altre parole, a sostenere nuovi miti inevitabilmente moderni, esclusivi, avanzati, rassicuranti. Il mondo delle nuove parole del capitalismo, fatte per stravolgere il senso critico dei lavoratori che per anni, secondo i padroni, hanno vissuto sulle vestigia identitarie di una classe operaia che non deve esserci più. La maggior parte rigorosamente in inglese, la lingua imperialista degli affari, e ricche di espressioni dense di modernità aziendale, costituiscono il linguaggio di imprenditori, manager e sindacalisti concertativi, ma non solo. È il dizionario della modernità del baraccone produttivo capitalista, dell’imprenditorialità prima di tutto: serve a decretare la posizione di comando sulla forza lavoro e forzare i tempi del passaggio alla nuova fase delle relazioni capitale lavoro. Non è una novità negli scopi e tantomeno nello stile; un arsenale di parole frutto di “eccellenti” studi manageriali, prestato poi, una ventina di anni fa, alla pubblica amministrazione, dove Brunetta, transitato per gli uffici studi dei confederali (Cisl, ma non solo, con Treu, il papà del precariato), lo utilizzò per “rinnovare” il comparto pubblico, per sfoltirlo dei soliti fannulloni e imporre una conduzione di stampo aziendalistico, in linea con i processi di privatizzazione che da allora avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo nel paese. A volte ritornano, si è soliti dire, e non a caso in questa fase ricompare il Brunetta 2, di nuovo a dirigere il pubblico impiego con tutto il livore antioperaio che lo accompagna. Veniamo alle parole, dunque, usate come cortina fumogena, una densa nebbia a nascondere la realtà della contraddizione capitale lavoro, dello sfruttamento e del suo perpetuarsi ed approfondirsi. E proprio mentre lo sfruttamento si intensifica, la nebbia si addensa e il linguaggio, ridicolo, come le faccine che Brunetta seminò per gli uffici pubblici, semina di illusioni che, scontrandosi con la realtà, rivelano la brutalità dell’ordine che viene via via imponendosi. Per cui il linguaggio alla fine è un feticcio dietro il quale si rivelano tutte le necessità di ricostruzione progettuale, ideologica, del pensiero, dell’etica, della morale capitaliste. Precisiamo che quanto scriviamo è frutto della nostra personale elaborazione, che non si avvale di approfondimenti su marketing, economia, finanza, comunicazioni di massa ecc. Diciamo chiaramente che la nostra è la semplificazione, chiaramente di parte, di un linguaggio nel quale ci siamo imbattuti più volte e che consideriamo pretenzioso, falso e sinceramente insopportabile. Ma veniamo alle parole. Stakeholder Sono tutti coloro, individui e organizzazioni che a vario titolo sono attivamente coinvolti in un’iniziativa economica, quindi clienti e fornitori, titolari e finanziatori (banche e azionisti), dirigenti e lavoratori, gruppi di interesse locale ecc. Una massa indifferenziata di “portatori di interessi” vari e tuttavia accomunati a vario titolo nell’azienda. Guidelines Vengono così chiamate le informazioni sviluppate sistematicamente sulla base di conoscenze continuamente aggiornate, redatte allo scopo di rendere appropriato un comportamento desiderato. Mission La missione (o scopo o dichiarazione d’intenti) di un’impresa è il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza e al tempo stesso ciò che la contraddistingue. Inutile dire che l’autentica mission dell’impresa, al di là di ogni chiacchiera, è il profitto o redditività d’impresa. Fino ad alcuni anni fa l’azienda veniva definita come “una coordinazione economica in atto, istituita e retta per il raggiungimento di un determinato fine” (inevitabilmente il profitto). Il nuovo vocabolario dell’aziendalismo non varia: lo (gli) stakeholder (la coordinazione economica in atto), attraverso le guidelines (le direttive di

istituzione e di direzione aziendale), compiono la loro mission (raggiungono il loro scopo, ovvero il conseguimento del profitto). In poche parole non cambia niente, ma si avverte lo scarto insopportabile tra questo alito denso e puzzolente, la cortina fumogena, e la realtà delle cose. L’azienda rimane un’iniziativa economica per il profitto. Attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, aggiungiamo noi, cosa che in nessun testo di marketing o economia aziendale apparirà mai, ma che è la sostanza. E che questa sostanza sia molto richiesta dal padrone lo si può vedere da ulteriori frammenti del linguaggio, riferiti proprio alle modalità, ai comportamenti nel lavoro intensificato. Ed è qui che il discorso si fa più interessante ed attuale. Skills Sono le abilità o le competenze del lavoratore e si dividono in hard skills e soft skills, essendo le prime competenze quantificabili e misurabili in maniera oggettiva, quali la conoscenza di linguaggi di programmazione, software ecc., mentre le seconde vanno oltre ed includono capacità connesse alla personalità, alle attitudini, alla capacità di espressione e comunicazione. Temi che ricorrono sovente negli ultimi tempi, sotto la voce inquadramento (livelli professionali, attività previste e rapporti salariali tra i vari livelli), passati nei contratti collettivi di lavoro e di azienda. Con il cambio di impostazione dell’inquadramento come previsto dall‘ultimo contratto dei metalmeccanici, padroni e sindacati firmatari optano per la destrutturazione di tutta la normativa contrattuale come finora l’abbiamo conosciuta e ottenuta (nel ciclo di lotte operaie dei ’70); attraverso le cosiddette soft skills, e la nuova impostazione dell’inquadramento, i padroni avranno carta bianca nel decidere i passaggi di livello, eliminando ogni automatismo (come l’anzianità di servizio), verso un passaggio alla nuova era delle relazioni tra capitale e lavoro, quella dell’industria 4.0. Ma questa strada può portare oltre. Per capire meglio diamo un’occhiata a quali sono le dieci soft skills più richieste. Si parte dall’abilità al problem solving, che non sarà più un processo rigoroso e razionale per risolvere i problemi, invece una competenza di ordine personale a carico del lavoratore, una sua responsabilità nel risolvere i conflitti in azienda, con tutto ciò che questo comporta. Lo stesso per creatività e negoziazione, la prima richiesta in un contesto di continua evoluzione, la seconda per “comprendere le ragioni altrui e trovare i giusti compromessi”. Lateral thinking (osservazione del problema da diverse angolazioni), capacità decisionale e pensiero critico per saper dimostrare la propria capacità di utilizzare esperienza ed immaginazione e soprattutto per distinguersi da altri lavoratori e dif-

ferenziarsi nella propria carriera lavorativa. Seguono intelligenza emotiva, team management e gestione dello stress (autocontrollo) per sapersi esprimere, saper ascoltare e costruire rapporti di squadra per raggiungere gli obiettivi stabiliti. Infine proattività, ovvero la disponibilità a prendere iniziative più di quanto richiesto, ad andare oltre le proprie mansioni e attività standard. Il proattivo – affermano – “non subisce passivamente l’iniziativa altrui e, soprattutto, non aspetta che altri decidano o agiscano per lui” (!) Tutto questo sembra offrire la prospettiva di una “libera scelta”, del godimento di una propria singolarità da investire nell’azienda, ovviamente a scapito delle scelte e dei comportamenti collettivi, di classe, minandone la tenuta unitaria e la stessa identità, comunque frammentandola e indebolendola a fronte degli attacchi di padroni e governi. Le soft skills quindi sono armi di distruzione di massa in mano ai padroni. Attraverso di esse potranno sorvegliare e punire, misurare tempi, azzerare pause, intensificare ritmi e allungare orari di lavoro, soprattutto nella direzione di implementare il sistema di smart working verso le “nuove” frontiere del rapporto capitale lavoro, il sistema dell’industria 4.0. Molto ci sarebbe da aggiungere: i flexible benefits, ad esempio, che corrispondono al meccanismo per smantellare e privatizzare il sistema del welfare. Si tratta di versamenti non sottoposti a contributi (cioè in nero) presentati dagli stessi sindacati come “servizi o beni a disposizione dei lavoratori, per aumentare il loro potere d’acquisto”, che puntano alla aziendalizzazione del welfare attraverso i fondi assicurativi sanitari, tutto con il prezioso contributo delle direzioni sindacali collaborazioniste. E altro ancora, a confermare il diffuso timore nei futuri angoscianti rapporti di lavoro, a partire proprio da come oggi vengono inquadrati. Il nuovo inquadramento indurrà alla caduta progressiva del valore del lavoro, tramite obiettivi di produzione crescenti e produttività esasperata, lo sfinimento delle energie fisiche e mentali e l’aumento degli infortuni e dei morti di lavoro, sotto il ricatto perenne del posto di lavoro. Ma restiamo in “azienda” per concentrarci su un altro caposaldo di questa illuminante filosofia del moderno imprenditore: il codice etico. E qui la visione del vero imprenditore si fa tutta luce, circondato e coadiuvato dai suoi assistenti, i manager costruiti nelle officine del “nuovo” pensiero imprenditoriale di Confindustria (il sindacato nel frattempo non serve più), tutti concentrati nelle loro tempeste cerebrali (brainstorming) di gruppo, al fine di estrarre quote di profitto sempre più alte. Il codice etico aziendale rappresenta uno dei principali strumenti per introdurre nell’impresa meccanismi organizzativi tesi

a inculcare l’etica degli affari come l’elemento fondamentale delle strategie di sviluppo aziendale. Non c’era bisogno di enunciarlo con queste “tavole della legge”, ma i padroni si sa non lasciano mai niente di intentato per far comprendere il loro punto di vista e così Confindustria ha stilato delle guidelines per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo delle aziende che contengano l’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità degli indifferenziati portatori di interesse (stakeholder) nei confronti dell’impresa. I “codici etici” mirano a “raccomandare, promuovere o vietare determinati comportamenti, indipendentemente da quanto previsto a livello normativo, e possono prevedere sanzioni proporzionate alla gravità delle eventuali infrazioni commesse”. I padroni, ritenendo di non essere sufficientemente tutelati dalla legge dello Stato che finora li ha assistiti, ricorrono ad un ulteriore strumento preventivo di repressione e controllo, non certo nei confronti di un indifferenziato insieme di portatori di interesse, quanto nei confronti dei lavoratori. Una rapida scorsa su internet alla voce codice etico dà risultati evidenti del numero di imprese che hanno intrapreso la via. Da Barilla a Just Eat, DolceGabbana, Luxottica, Media World ecc. ecc. Barilla ci mette del suo e scomoda perfino il filosofo Kant per spiegare la propria etica, mentre Beretta Fabbrica d’armi non fa mistero e dichiara testualmente che “la mission della società è di migliorare costantemente la redditività con la massimizzazione della clientela, al fine di mantenere ed accrescere il valore aziendale”. Tanta fuffa, ridondante e a senso unico che si basa semplicemente sulla costruzione di un adeguato sistema disciplinare e sanzionatorio. L’adozione di una tale filosofia aziendale ha il significato di rendere l’azienda stessa indenne da ogni errore o reato; questi semmai sono a carico di individui, dirigenti e lavoratori. Un sistema di salvaguardia dell’impresa, che non può mai essere colpevole, e come tale può continuare nella propria politica di tagli alla sicurezza e ai diritti dei lavoratori. E l’impressione è che di questi codici etici sentiremo ancora parlare a lungo, magari anche nei Tribunali, dove queste nobili dichiarazioni d’intenti potrebbero trovare buon ascolto al fine di sviare dalle concrete e pesanti responsabilità che gravano sulle aziende nei casi di incidenti e infortuni su lavoro (il richiamo va alla recente sentenza sul disastro ferroviario di Viareggio). Bene, a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirci fin qui anticipiamo, nell’ambito del nostro studio sui nuovi linguaggi dell’impero, le parole oggetto della prossima puntata: lockdown, zona rossa, coprifuoco… nooo! No Pasaran, Mission impossible!


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Primo maggio, pandemia e battaglie operaie per l’emancipazione Michele Michelino Capitalismo e imperialismo unificando il mercato mondiale hanno creato un proletariato e una classe operaia internazionale sfruttata e con gli stessi interessi. Anche se divisi da confini nazionali, colore della pelle, divisi fra atei o agnostici, credenti, religiosi, lo sfruttamento unisce la classe operaia dimostrando che “gli operai non hanno patria”, così come le epidemie non hanno confini. Anche durante la pandemia, nonostante le restrizioni contro le libertà individuali e collettive - il lockdown, il coprifuoco - e la chiusura di aziende che i governi hanno imposto in tutto il mondo, lo sfruttamento operaio nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro non si è mai interrotto, anzi si è accentuato. Accanto a milioni di lavoratori costretti a lavorare nelle fabbriche, nei cantieri, nella logistica, nelle campagne e nel pubblico impiego - in particolare nella sanità senza sicurezza e turni di riposo obbligati a fare straordinari - altre centinaia di migliaia, milioni sono rimasti senza lavoro e senza salario, senza cassa integrazione o altri sussidi, altri ancora licenziati. La chiusura di settori lavorativi considerati non essenziali non è servita a ridurre o contenere il numero degli infortuni e dei morti sul lavoro, che invece sono in continuo aumento. Agli oltre 1.400 morti sul lavoro che avvengono ogni anno, e alle decine di migliaia di morti per malattie professionali considerati dai capitalisti “effetti collaterali” della produzione finalizzata al profitto, si sono aggiunte le centinaia di vittime, morti sul lavoro e di malattie professionali, dovute al coronavirus fra il personale sanitario, agli addetti alla logistica e ai riders. In questo periodo nonostante i divieti di manifestazione e di sciopero, le denunce contro chi si ribella e protesta, le multe e gli arresti degli operai combattivi, la lotta di classe fra capitale e lavoro non si è fermata e non va in quarantena. I borghesi, hanno continuato ad arricchirsi e i padroni a fare profitti anche in piena pandemia. I paesi imperialisti più forti si accaparrano le maggiori dosi di vaccini a scapito dei paesi più poveri e di quelli europei, l’uso di classe dei vaccini dimostra che la medicina preventiva è riservata prima di tutto ai paesi capitalisti. Le condizioni di vita e di lavoro della classe

proletaria sono in continuo peggioramento. Sfratti, licenziamenti, arresti di operai in lotta per la difesa salario e del posto di lavoro, cassa integrazione, disoccupazione, attacco al diritto di sciopero e alla salute della classe proletaria sono fatti che avvengono quotidianamente. La borghesia italiana, per gestire lo scontro che si acuisce fra capitale e lavoro, ha varato il governo di “salvezza e unità nazionale” guidato dal “nuovo salvatore della patria” Mario Draghi ex governatore della Banca d’Italia e della BCE, chiamando all’unità “nazionale” tutte le classi sociali. In particolare i padroni chiedono agli operai, a tutti i lavoratori - costretti in molte situazioni a lavorare senza dispositivi di protezione individuali e collettivi in piena pandemia, e usati come carne da macello - di responsabilizzarsi e unirsi ai loro padroni per far riprendere i loro profitti. Nello stesso tempo il governo cerca tranquillizzare la Confindustria, la media e la piccola borghesia con “ristori”. La storia insegna che gli appelli alla pace, all’unità nazionale lanciati dai borghesi servono solo a smobilitare il proletariato, a contenere e spegnere la rabbia operaia. Far credere agli operai, agli sfruttati che durante le emergenze gli schiavi salariati sono liberi e uguali al padrone con gli stessi interessi e diritti serve solo a perpetuare il potere dei capitalisti. Il ritornello del “siamo tutti nella stessa barca” ormai non regge più. La barca in cui sono stipati i proletari fa acqua da tutte le parti e sta affondando sempre più, mentre i borghesi, le multinazionali - a cominciare da quelle farmaceutiche dei vaccini - vedono salire a dismisura i loro profitti. È bastato annunciare poter produrre i vaccini anticovid, ancora prima di averli testati e prodotti, che il valore delle azioni delle multinazionali del farmaco è salito alle stelle. Dopo il “patto sulla fabbrica” sottoscritto con l’accordo interconfederale del 9 marzo 2018 tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil per incrementare la competitività delle imprese, un nuovo patto è stato raggiunto fra padroni governo e sindacati. Il 10 marzo scorso, in nome dell’emergenza nazionale stato firmato il l “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” con il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Questi patti sottoscritti anche da altri sindacati falsamente autonomi o di base, in nome

Il ritornello del “siamo tutti nella stessa barca” ormai non regge più. La barca in cui sono stipati i proletari fa acqua da tutte le parti e sta affondando sempre più dell’emergenza nazionale hanno sposato completamente gli interessi dei padroni in cambio di privilegi come la partecipazione ai tavoli (di concertazione) governativi e l’ingresso nei salotti buoni della borghesia. I servi, cani da guardia del padrone, i dirigenti del movimento sindacale corrotti e l’aristocrazia operaia che vive delle briciole che i padroni concedono, vanno trattati alla stessa stregua. Il capitalismo è la società del crimine organizzato che prospera e si arricchisce sullo sfruttamento, sulle nuove malattie che crea e sulle disgrazie dei proletari e degli esseri umani. Oggi, utilizzando la pandemia, i capitalisti, le multinazionali, le banche, la finanza che controllano e decidono la politica che i governi borghesi devono attuare, ne approfittano per imporre sacrifici e sempre più pesanti misure contro la classe operaia e le masse popolari con l’imposizione di limitazioni alle libertà personali e costituzionali, ma non alle merci. L’accumulazione del profitto si realizza meglio con la pace sociale, ma in caso di conflitto la forza dello stato borghese diventa necessaria e utile al padrone. I lavoratori che si ribellano e difendono i propri interessi sono multati, licenziati, repressi, arrestati, condannati. Ogni momento di ribellione di massa, di socialità, di lotta di classe è criminalizzato. Scendere in piazza, riprendere i contenuti della giornata di lotta del 1° Maggio - manifestazione nata a Chicago nel 1886 e dal 1890 diventata una scadenza di lotta internazionale contro lo sfruttamento capitalista, per la limitazione dello sfruttamento giornaliero e la giornata lavorativa per le otto ore e altri provvedimenti legislativi al fine di tutelare

l’integrità fisica del proletariato - oggi più di ieri diventa una necessità di sopravvivenza. Anche nel 2021 in piena pandemia da covid, nonostante i divieti di manifestare in molte parti del mondo il movimento operaio internazionale non rinuncia a scendere in lotta con parole d’ordine comuni contro lo sfruttamento, per la difesa della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori. Una delle conquiste del 1° Maggio, la giornata lavorativa di otto ore 8 ottenuta circa 134 anni fa (ormai messa continuamente in discussione) è ancora oggi all’ordine del giorno sui posti di lavoro (come per gli operai di Texprint di Prato), come rivendicare sicurezza e salute, ambienti salubri sul lavoro e sui luoghi di vita, la riduzione dell’orario di lavoro, la diminuzione di ritmi, pause, di lavoro e dispositivi di protezione individuali e collettivi per difendersi dalle vecchie e nuove malattie. Le “conquiste” operaie sono sempre state il risultato di una forte lotta di classe, una guerra civile fra la classe dei capitalisti e quella degli operai e dei rapporti di forza esistenti in quel momento e oggi come ieri il nostro motto è sempre “Proletari di tutto il mondo uniamoci”. La nostra forza è nella solidarietà internazionalista, nell’unione tra gli operai che in tutto il mondo - e sono tanti - lottano contro lo sfruttamento, il capitale, l’imperialismo, le guerre. In questo 1° Maggio esprimiamo la nostra solidarietà militante rivoluzionaria agli operai, agli sfruttati, che combattono contro i propri padroni e l’imperialismo, agli antimperialisti e in particolare a tutti i compagni che nelle galere di tutto il mondo continuano a lottare PER IL SOCIALISMO E IL COMUNISMO.

Ex Ilva: l’avvelenamento degli operai e della popolazione può continuare “legalmente” Michele Michelino Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso di ArcelorMittal e commissari contro l’ordinanza del Tar: l’ex Ilva e non spegne gli altoforni che possono continuare a inquinare. Il 12 marzo 2021 il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospensiva dell’ordinanza del Tar di Lecce che convalidava la decisione presa un anno fa dal sindaco di Taranto che intimava ad ArcelorMittal e all’Ilva in Amministrazione straordinaria di intervenire per ridurre le criticità legate all’inquinamento della fabbrica. Dopo vari ricorsi, sia della società che gestisce gli impianti siderurgici di Taranto, sia della società proprietaria degli stessi - che avevano chiesto di bloccare la sentenza con la quale, lo scorso 13 ottobre, il Tar Lecce ha ordinato ad ArcelorMittal di spegnere gli impianti ritenuti inquinanti entro 60 giorni - ora è arrivata la sentenza favorevole all’azienda. I giudici della Quarta sezione, hanno «ritenuto prevalente l’esigenza di evitare il grave e irreparabile danno che sarebbe derivato dalla sospensione dell’attività, cui si sarebbe dovuto procedere entro la scadenza dei termini stabiliti nell’ordinanza stessa». Inoltre per il Consiglio di Stato «non è stato adeguatamente smentito che lo spegnimento della cosiddetta “area a caldo” in tempi così brevi e senza seguire le necessarie procedure di fermata in sicurezza, avrebbe comportato con certezza gravissimi danni all’impianto, tali da determinare di fatto la cessazione definitiva dell’attività». Questo, tradotto in altre parole, significa che anche se continua a inquinare e uccidere i lavoratori e popolazione residente, all’ex Ilva «L’attività produttiva dello stabilimento può dunque proseguire regolarmente». Ancora una volta il governo, lo Stato borghese, si schierano a difesa dei padroni: il profitto prima di tutto. Chi era illuso si salvaguardare la salute attraverso la magistratura ha dovuto ricredersi. La salute si difende bonificando gli ambienti di lavoro, eliminando le lavorazioni nocive. La difesa del posto di lavoro e del salario, della salute in fabbrica e nel territorio si scontra gior-

nalmente con la logica del massimo profitto. I padroni, minacciando licenziamenti e delocalizzazioni; cercano col ricatto della perdita del posto di lavoro di contrapporre i lavoratori alla popolazione ma non spendono soldi per mettere in sicurezza impianti nocivi e inquinanti. In questa, come in molte altre fabbriche, dove la contrapposizione tra i lavoratori e la popolazione è gestita direttamente dal movimento sindacale confederale a favore del padrone con gravi danni per la salute sia degli operai, sia della popolazione il ruolo di servi del padrone dei sindacati confederali e concertativi è la dimostrazione del potere dei padroni. Ancora una volta il dominio incontrastato del padrone nella fabbrica e nella società si evidenzia con le istituzioni che si schierano sempre col padrone. In questi anni abbiamo visto spesso inchieste nelle quali politici, sindacalisti, medici, scienziati, istituzioni, tecnici sul libro paga dei padroni hanno ricevuto generose “donazioni” e privilegi in cambio del controllo e del contenimento all’interno delle compatibilità aziendali o nazionali delle rivendicazioni dei lavoratori. Negli anni ‘70 nelle fabbriche di Sesto San Giovanni, in un’altra situazione economica e politica, la contraddizione fu risolta direttamente dagli operai con fermate improvvise, scioperi spontanei di gruppi di lavoratori, in particolare delle lavorazioni a caldo di forgia e fonderia (costretti a lavorare pezzi di acciaio dai 1250 ai 1500 gradi centigradi) quando, nei mesi estivi, la temperatura sul posto di lavoro diventava intollerabile provocando continui svenimenti fra gli operai. Queste lotte contro la nocività - che non delegavano a nessuno il problema della salute in fabbrica, né al padrone, né al sindacato - attraverso cortei interni e discussioni con tutti gli operai costrinsero i sindacati a rincorrere gli operai anche sul problema dell’organizzazione capitalistica del lavoro.

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Il grande silenzio: Covid 19 in Palestina e in Israele È in atto un nuovo patto del silenzio su tutti i media

Daniela Trollio (*) Israele sembra essere il paese dei primati: più di 50 anni di occupazione coloniale della Palestina senza che nessuno abbia mai pensato di difendere i diritti umani dei palestinesi; ha un arsenale che va dalle 80 alle 200 bombe atomiche (oltre a quelle chimiche e biologiche) senza aver mai ricevuto una visita dell’AIEA; ha creato il più grande campo di concentramento mondiale a cielo aperto a Gaza. Ora può vantare un altro record: con più di 2,7 milioni di persone (israeliane) vaccinate con la prima dose del vaccino Pfizer (su una popolazione di circa 9 milioni) e 500.000 che hanno ricevuto la seconda dose, è diventato il campione delle vaccinazioni contro il Covid-19 grazie ad un contratto esclusivo con la multinazionale Pfizer. Peccato che la grancassa mediatica dimentichi alcune cose: Israele è una società militarizzata e informatizzata, il controllo dei cittadini e dei non-cittadini è minuzioso e sistematico, la violazione dei diritti civili in nome della sicurezza è “normale”. Andiamo avanti. Domanda: come mai la Pfizer favorisce un piccolo paese mentre non rispetta i contratti con la ben più grande Unione Europea? QuTra l’altro la cessione dei dati personali dei propri cittadini e quelli dei non-cittadini (i palestinesi) ad un gigante farmaceutico il cui scopo è – ricordiamolo sempre – fare profitti per i suoi azionisti, non rappresenta certo un esempio di lotta al virus, ma un sinistro assaggio del futuro prossimo. Israele ha comprato 10 milioni di dosi del vaccino da Oxford-AtraZeneca, 6 milioni di dosi da Pfizer e 6 milioni da Moderna e le ha utilizzate anche nei territori occupati. Ma solo per vaccinare la sua popolazione e i coloni illegali israeliani, che godono – a differenza dei palestinesi - di ogni diritto, compreso quello alla vita, diritto invece calpestato una volta di più se riguarda i palestinesi . Su questo fatto è di nuovo in atto il patto del silenzio su tutti i media. In qualsiasi paese del mondo sarebbe impensabile che le autorità vaccinassero un

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gruppo di popolazione, escludendone un altro che vive sullo stesso territorio. Invece nessuno parla dei 2,7 milioni di palestinesi di Cisgiordania e altri 2 milioni a Gaza che sono esposti al virus, con un’incidenza del 30% di infezioni e la morte, a gennaio, di 1.700 persone in territori già devastati da anni e anni di guerra guerreggiata e dal blocco israeliano, dove mancano non solo gli ospedali, i medici e le medicine, ma anche l’acqua potabile. I palestinesi riceveranno – non si sa se e quando – i vaccini raccolti dall’ONU attraverso il sistema Covax per i paesi poveri. Non sono stati vaccinati, fino ad una certa data, neppure i lavoratori palestinesi del settore sanitario, come ha richiesto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché secondo il governo israeliano non sono sua responsabilità (violando così anche l’art.56 della 4° Convenzione di Ginevra che attribuisce la responsabilità della salute della popolazione occupata all’occupante). Intanto sono state devastate alcune installazioni palestinesi per le vaccinazioni. Ma... c’è un ma. Non c’è bisogno di menzionare la “globalizzazione” per ricordare che israeliani e palestinesi vivono e lavorano gli uni accanto agli altri e che se una gran parte

Delegare la difesa del posto di lavoro e la salute al padrone al governo, alla magistratura, al sindacato, alle istituzioni è il modo migliore per perderli entrambi. La difesa del posto di lavoro e della salute si può realizzare solo nella lotta in fabbrica e nel territorio, nella critica all’organizzazione capitalistica del lavoro. Quando gli operai manifestano la loro autonomia di classe con scioperi contro il padrone e i dirigenti responsabili della brutalità delle condizioni di lavoro nocive lottano non solo per loro, ma per la maggioranza dell’umanità... Delegare al padrone e agli istituti specializzati il controllo della nocività e dell’inquinamento ambientale sul lavoro e sul territorio è come legarsi al collo una corda sperando nella buona fede del boia che la tiene in mano. La lotta per la difesa della salute ha bisogno di partigiani, rimanere neutrali nella lotta di classe, astenersi dalla battaglia non garantisce né il posto di lavoro né la salute dei lavoratori e della popolazione. Il sistema capitalista, nella continua ricerca del massimo profitto, distrugge gli esseri umani quanto la natura e non si può accettare di barattare il lavoro di alcuni contro la salute di tutti. Si lavora per vivere, non per morire! Se i padroni ci vogliono costringere a lavorare per continuare a intascare profitti facendoci rischiare la vita ogni giorno nei luoghi di lavoro malsani, in fabbrica in reparti nocivi e inquinando il territorio, dobbiamo dire chiaramente che noi vogliamo lavorare in sicurezza e che a condizione di morte niente lavoro. La scelta fra morire di fame e morire di cancro non è una scelta. La lotta del movimento operaio è da sempre una lotta contro lo sfruttamento, per eliminarne le cause, la società capitalista basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La salute si rivendica e la nocività si elimina. È questa la lotta che vale la pena di fare. Ancora una volta il governo interviene per sospendere un’ordinanza che bloccava un impianto di morte, inquinante e pericoloso per gli operai e la popolazione dimostrando che i nemici sono in casa nostra: i padroni e i loro governi.

della popolazione non viene vaccinata il virus non si fermerà. Così il governo di Tel Aviv si è visto costretto – dopo un vergognoso dibattito alla Knesset - a fornire qualche migliaio di dosi (circa 5.000) da utilizzare per immunizzare almeno il personale sanitario e i pazienti a rischio della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Come si può definire un tale comportamento? Lo hanno già fatto lo storico e accademico israeliano Ilan Pappé e B’Tselem (organismo che si occupa dei “diritti umani”), dichiarando che da tempo Israele non è una democrazia che esercita una “occupazione temporanea”, ma “un solo regime dell’apartheid dal fiume Giordano al Mediterraneo, dove un gruppo di persone (gli ebrei) esercita la supremazia razziale sopra l’altro (i palestinesi)”. E come definire una politica che cerca attivamente di ridurre il numero della popolazione indesiderata – oltre che con le bombe delle varie missioni e la distruzione sistematica delle sue installazioni sanitarie e di igiene- lasciandola esposta ad un virus mortifero? Qualcuno – ad esempio l’ex presidente Jimmy Carter e il premio Nobel per la pace Desmond Tutu, un sudafricano che se ne intende – l’ha chiamato apartheid. Ma pro-

babilmente “genocidio” è una definizione più calzante. Apartheid, il regime razzista di separazione delle popolazioni con differenze nei diritti e nei doveri. Quello applicato non solo dagli Stati Uniti ai ‘nativi’ americani chiusi nelle riserve, ma dal Sudafrica, grande amico di Israele e fornitore di uranio per le installazioni di Dimona, il sito nucleare più segreto al mondo. Apartheid, definito “crimine contro l’umanità” dallo Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale, che, bontà sua, il 3 marzo scorso ha dichiarato la sua competenza ad aprire le indagini “sulla situazione in Palestina” a partire dal giugno 2014 (Operazione ‘Margine Protettivo’), quando “esiste una base ragionevole per credere che l’esercito israeliano abbia commesso crimini di guerra”. Così come in tutto il mondo Covid-19 ha strappato la maschera al capitalismo, mostrando il volto brutale di un sistema in cui il profitto ha il primato su tutto, compresa la vita – del pianeta e dei suoi abitanti - in Palestina il virus espone alla vista il razzismo sistematico del cane da guardia degli USA in Medio Oriente che, forte della sua posizione, non tenta neanche di nascondere le sue pratiche genocide più ributtanti. Nel 1995, abbattuto il regime razzista sudafricano e diventato presidente del paese, Nelson Mandela disse: “La nostra battaglia non sarà completa senza la libertà del popolo palestinese”. Parole che valgono ancor oggi. Combattiamo con ogni mezzo il mutismo e l’oblio sulla Palestina, non solo per dovere internazionalista ma perché è la strategia applicata contro ogni ribellione, contro ogni lotta, la strategia più difficile da combattere: il silenzio. (CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni)

La vita di Mumia è nelle nostre mani Con il passare dei giorni, le informazioni (*) che ci giungono sullo stato di salute di Mumia Abu-Jamal sono sempre più allarmanti. La malattia devasta il suo corpo in modo orribile, dentro e fuori. Le foto pubblicate dal suo medico testimoniano questo degrado fisico. Mumia ha eruzioni cutanee che causano gravi lesioni e piaghe aperte […]. Non un centimetro quadrato del suo corpo che non sia coperto di sangue e ferite. Durante il suo ricovero di quattro giorni la scorsa settimana, i medici hanno riscontrato, oltre la positività al Covid, una grave insufficienza cardiaca e un edema polmonare che ha richiesto un intervento […]. Di fronte a questa situazione, i suoi sostenitori americani chiedono più che mai la mobilitazione internazionale perché è una questione di vita o di morte. Per il suo medico personale, il dottor Ricardo Alvarez: “il suo rilascio è l’unico trattamento” che impedirebbe il peggio. Quindi non possiamo aspettare un altro giorno: dobbiamo agire immediatamente per fronteg-

terioramento cutaneo e organico. Tanto più che non è più in ospedale ma nell’infermeria del carcere e soffre terribilmente. Viene tenuto in isolamento senza pomate curative e altri farmaci che aveva in precedenza per alleviare il dolore. Inoltre, non ha più accesso al telefono o al tablet che gli avevano permesso di inviare messaggi e ricevere notizie dalla sua famiglia e dai suoi amici. Il comportamento delle autorità politiche e carcerarie è intollerabile e umanamente insopportabile.

Liberiamo Mumia giare i rischi che lo minacciano: insufficienza cardiaca acuta, Covid-19, difficoltà respiratorie e de-

Per questo ripetiamo il nostro invito a sommergerli di richieste. A tutti quelli che l’hanno già fatto, come a quelli che non l’hanno ancora fatto, inviate e rinviate una mail: [qui testi e indirizzi: https://mumiabujamal.com/v2/urgence-mumia-2/] da resistenze.org n. 782


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«Mikhail Gorbaciov e la fine dell’Unione Sovietica Fabrizio Poggi Nel marzo scorso i media hanno fatto un gran baccano per il 90° compleanno di Mikhail Gorbačëv, il cui più grande “successo”, come ha scritto il PCU di Russia, è stato la distruzione dell’URSS. Detta così, sembra di fare eccessivo onore all’individuo cui, nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso, tutte le cancellerie occidentali facevano a gara a stringere la mano. Certo, Gorbačëv è stata la pedina finale e vincente; ma il gioco era però cominciato molto prima e aveva visto sommarsi scelte economiche e politiche interne, a fattori che, muovendo dall’esterno, avevano sicuri interlocutori nei più alti apparati partitici e statali sovietici: oggi, parte della pubblicistica comunista russa punta il dito anche su un nome apparentemente insospettabile, quale l’ex capo del KGB e poi Segretario generale del PCUS, Jurij Andropov. Ed è così che, ad esempio, uno storico di sinistra come Evgenij Spitsyn, giudica Gorbačëv «né uno stupido, né un traditore», ma uno dei soggetti che rispecchiavano la linea generale del PCUS dell’epoca post-brežneviana, dettata da quelli che Leonid Brežnev definiva «i miei social-democratici» che se la intendevano con l’euro-comunismo. Se Gorbačëv può dirsi “stupido”, è per «esser caduto, insieme a buona parte della leadership sovietica, nel gioco propagandistico occidentale»; ma, appunto, non era l’unico. Tant’è che la sua stessa nomina fu concordata tra quella vecchia volpe di Andrej Gromyko e l’allora vice Presidente USA (Presidente era Ronald Reagan) George Bush senjor, complici i vertici del KGB. Resta comunque il fatto che poi Gorbačëv ha più volte ribadito che il suo obiettivo era proprio la liquidazione del socialismo. E i risultati più appariscenti degli aleatori “nuovo pensiero” e “casa comune europea”, accompagnati molto prosaicamente dall’eliminazione del monopolio statale sul commercio estero e dal fiorire di migliaia di “cooperative” - in realtà, imprese private a tutti gli effetti - si manifestarono immediatamente ed ebbero poi l’exploit con l’arrivo di Boris El’tsin: privatizzazioni selvagge (che continuano tutt’oggi), disoccupazione, riduzione del potenziale economico del 40%, conflitti inter-etnici con centinaia di migliaia di morti, con una mortalità “naturale” che in alcune regioni superava di 2 volte la natalità, “grazie” alle terapie shock di Egor Gajdar e Anatolij Čubajs (il secondo, tuttora ai vertici del potere); e poi: migliaia di imprese semplicemente distrutte, per far posto all’importazione di merci straniere.

L’infanzia di Mikhail

Lo storico del KPRF, Vladislav Grosul, scriveva nel gennaio scorso sulla Pravda, di come, egli stesso, al primo apparire di Mikhail Gorbačëv, avesse accolto con favore gli slogan del nuovo Segretario generale su “Più socialismo!”, “accelerazione, glasnost” ecc. e come anche la maggioranza dei sovietici avesse manifestato lo stesso atteggiamento. Finché un bel giorno, ricorda Grosul, un giovane studente del suo corso non gli disse come chiamassero Mikhail Gorbačëv dalle sue parti, al sud: “Miška-busta”, nel senso che quando era dirigente a Stavropol intascava bustarelle dall’economia sommersa che già all’epoca si stava velocemente espandendo. Grosul non è d’accordo con quanti sostengono che Gorbačëv, avendo avviato la perestrojka con forse “buone intenzioni”, avrebbe poi commesso una serie di errori che portarono alla distruzione dell’URSS: «Gorbačëv aveva sin dall’inizio l’obiettivo cosciente di liquidare il socialismo, il sistema sovietico. Pertanto la disintegrazione dell’URSS, come viene definita oggi ufficialmente, è una menzogna: non disintegrazione, bensì distruzione! Lassù, al vertice, a cominciare da Gorbačëv, si fece di tutto per quell’obiettivo». Così, nelle varie

Repubbliche, si cominciarono a creare i cosiddetti “Fronti popolari” di stampo nazionalista-borghese e separatista: in Moldavia, Paesi baltici, Ucraina, Caucaso (a Tbilisi, ad esempio, all’epoca di Gorbačëv, lamentavano che proprio da Mosca arrivassero gli stimoli ad agitare il nazionalismo georgiano) e si «liquidò il ruolo dirigente del partito»; ma la cosa che «allora più mi sbalordì, fu quando venni a sapere che all’organizzazione di quei Fronti prendeva parte il KGB e ciò non poteva avvenire senza la mano di Gorbačëv».

L’Europa dell’Est

Ma anche altri passi di risonanza ed effetto internazionale vennero compiuti con l’intervento diretto del Politbjuro del PCUS, come quando Aleksandr Jakovlev, il cosiddetto “architetto della perestrojka”, impose all’Armenia di prendersi il Nagorno Karabakh; oppure la mano di Gorbačëv e del KGB nella rimozione di Todor Živkov e dietro l’uccisione di Nicolae Ceaușescu. Ecco cosa diceva il penultimo Segretario generale della SED, Erich Honecker, nell’agosto 1992, quando i golpisti el’tsiniani lo avevano già consegnato alla Germania e qui incarcerato e messo sotto processo-farsa: «Hanno detto alla radio che Gorbačëv arriverà a Berlino per ricevere il titolo di cittadino onorario della città. Che doppia morale! L’ex Segretario generale del PCUS stretto al petto dalle stesse persone che imprigionano un altro Segretario generale. Spero che gli abitanti della capitale della DDR lo ringrazieranno adeguatamente per il suo tradimento. Per la distruzione delle imprese, la liquidazione dei posti di lavoro, la disoccupazione di massa... Avevo la nausea per la “casa comune europea” di Gorbačëv... gli applausi dell’Occidente gli erano più cari... Tutti i sostenitori della Guerra fredda, da Reagan a Bush, lo difendono. Evidentemente, Gorbačëv non si è nemmeno accorto di essersi trasformato in un mascalzone». Ricordiamo le parole (vedi: nuova unità n.6/2019) dell’ex Presidente del Consiglio di Stato della DDR, Egon Krenz «Mi sono fidato di Gorbačëv troppo a lungo. Due settimane dopo il nostro incontro a Mosca dell’1 novembre 1989, lui, alle nostre spalle, chiedeva all’Occidente quanto fosse disposto a pagare perché l’URSS accettasse l’unità tedesca».

I piani della CIA

Ora, probabilmente non è nulla più che una pura ipotesi, quanto riportato da Grosul sulla base dei racconti di altri accademici, secondo cui il dodicenne Mikhail, fotografato su un carro armato tedesco, nel villaggio natale di Privol’noe occupato dalla Wehrmacht, potrebbe essere stato reclutato (era una pratica comune dei nazisti, ingaggiare giovanissimi russi per compiere azioni di disturbo contro l’Esercito Rosso, in cambio di cibo) e, quindi, “sensibilizzato” alle idee tedesche e poi alle mire occidentali contro l’URSS. Non sono però delle ipotesi, il discorso di Winston Churchill a Fulton nel marzo 1946 e, poi, i documenti della CIA, che testimoniano dei piani messi e punto contro l’Unione Sovietica, molto prima degli anni ‘80.

Ad esempio, il cosiddetto “Piano di utilizzo psicologico della morte di Stalin”, con cui gli USA pianificavano di minare URSS e blocco sovietico, era stato ultimato il 13 marzo 1953, con l’obiettivo di ottenere “reali progressi in direzione dei nostri interessi nazionali”, nel momento del passaggio di poteri in Unione Sovietica in “nuove mani”. Gli obiettivi fondamentali erano quelli di “ridurre forza e influenza dei Sovietici sui paesi satelliti, sulla Cina comunista e negli affari internazionali”, e attuare quindi “un cambiamento fondamentale della natura del sistema sovietico”. Con la morte di Stalin, “l’inevitabile necessità di trasferire il potere in nuove mani... crea un momento di crisi per l’Unione Sovietica e per il sistema sovietico nel suo insieme. Non dobbiamo lasciarci ingannare dall’apparente fluidità del passaggio di potere”. I compiti erano quelli di “contribuire a: una divisione nelle alte sfere del regime, favorire la discordia tra Unione Sovietica, Cina comunista, paesi satelliti dell’Europa orientale, promuovere conflitti tra i principali leader o gruppi all’interno dell’Unione Sovietica”. Nei “confronti del mondo libero: sviluppare la fiducia nella leadership USA; distruggere la forza dei comunisti” nei paesi occidentali in cui si indeboliva la fiducia nella potenza USA. Indicativo il paragrafo sulla “lotta psicologica” in cui si affermava che l’attività segreta dovrebbe “stimolare diserzioni tra i rappresentanti ufficiali dei Sovieti e dei paesi satelliti”, diffondere “dubbi e incertezze tra le file dei partiti comunisti nei paesi satelliti e nei paesi del mondo libero”. Si osservava che le “operazioni propagandistiche devono mettere in dubbio la stabilità dei vertici del nuovo regime. Sarà utile citare esperti di storia e affari sovietici contemporanei come Tito e gli ex comunisti, e pubblicare rapporti di ex rifugiati che hanno fatto parte dell’apparato comunista”. Si mirava anche a fornire “consigli ai cittadini sovietici per la sopravvivenza in questo periodo pericoloso e turbolento, indebolendone la fiducia nel sistema”. In relazione ai “paesi satelliti nell’Europa orientale”, si doveva “ispirare l’acuirsi degli atteggiamenti nazionalisti, inclusi quelli religiosi, il cui emergere è stato stimolato dagli eventi in URSS” ed era necessario “sostenete l’idea che i leader dei paesi satelliti siano tutti dei protetti di un tiranno morto, rafforzando i dubbi sui loro rapporti con i nuovi padroni del Cremlino”. Al rapporto del 1953 seguiva quello del 1957, che trattava, tra l’altro, anche di 12 aree ucraine, denominate “zone di lealtà”, in cui la popolazione, secondo Langley, avrebbe potuto sostenere operazioni armate, condotte da unità speciali USA per una possibile sollevazione antisovietica. Si guardava a diverse regioni ucraine, ma il massimo degli umori antisovietici era visto nelle tre regioni galiziane: L’vov, Ternopol e Ivano-Frank, da cui, non a caso, proviene oggi il grosso dei neo-nazisti addestrati dagli USA per l’aggressione al Donbass.

I “Dieci colpi staliniani”

Ma, anche all’interno dell’URSS, si ponevano le premesse per il successivo evolversi della

Gorbačëv è stata la pedina finale e vincente; ma il gioco era però cominciato molto prima e aveva visto sommarsi scelte economiche e politiche interne, a fattori che, muovendo dall’esterno, avevano sicuri interlocutori nei più alti apparati partitici e statali sovietici strategia USA, molto tempo prima di Mikhail Gorbačëv. Passate appena tre settimane dalla morte di Stalin, il 21 marzo 1953 il Consiglio dei Ministri dell’URSS annullava quasi tutti i progetti industriali dell’ultimo quinquennio e la CIA, nel febbraio 1954, valutava le future conseguenze di tale passo: “Il Paese si è concentrato sull’agricoltura e sul rapido sviluppo di vaste terre vergini, che può anche portare a un rallentamento e sproporzioni nello sviluppo industriale dell’URSS”. A ragione gli yankee potevano rallegrarsi dell’indebolimento della linea staliniana che, dopo la guerra, aveva mirato ad assestare colpi economici e ideologici all’imperialismo e alla sua strategia coloniale, con scelte fondamentali, tra le quali: la formazione di un blocco politicoeconomico anti-dollaro dei paesi socialisti e in via di sviluppo, con la creazione del Consiglio di mutua assistenza economica e la sua integrazione con i paesi post-coloniali; lo sganciamento del rublo dal corso del dollaro; il rafforzamento della solvibilità del rublo, con l’aumento dei salari e la riduzione costante di prezzi e tariffe; il contributo determinante alla vittoria della rivoluzione socialista in Cina; il rapido sviluppo tecnico-militare in risposta ai piani NATO di distruzione dell’URSS; la formazione della DDR, dopo la crisi di Berlino provocata dall’Occidente; la creazione del Patto di Varsavia nel 1955, come reazione alla nascita della UEO nel 1954, con la rimilitarizzazione della RFT e la sua unione alla NATO nel maggio 1955. Demoliti, o quantomeno indeboliti i principali capisaldi socialisti, gli USA avevano mano (quasi) libera e la storia sovietica, fino agli anni ‘80, ha mostrato alti e bassi nella contrapposizione all’imperialismo, fino all’annunciata crisi decisiva e l’avvio dell’era Gorbačëv, che apriva la strada al golpe eltsiniano. Ne era un tragico, e a suo modo “curioso”, antefatto (pur senza ricorrere a teorie “cospirative”) verificatosi allora: dopo le manovre militari del patto di Varsavia, “Scudo 84”, in Cecoslovacchia, nel giro di un anno morirono improvvisamente ben quattro Ministri della difesa: quello sovietico, Dmitrij Ustinov, nel dicembre 1984, quello cecoslovacco, Martin Dzúr, a gennaio 1985; a dicembre 1985 fu la volta del Ministro della difesa della DDR, Heinz Hoffmann e, due settimane più tardi, toccò all’ungherese István Oláh. L’atto conclusivo fu il completo smantellamento del Patto di Varsavia tra marzo e luglio del 1991. Così che oggi, secondo i dati di Mondo della disuguaglianza, il «10% dei russi più facoltosi possiede circa il 47% delle ricchezze del paese, mentre al 50% dei meno abbienti va il 17%. La stessa situazione di 115 anni fa: 47 contro 17» e Vladimir Putin, rispondendo alla domanda se non ritenga possibile un ritorno al socialismo, risponde che non si «devono ripetere gli errori dei decenni trascorsi» e «non dobbiamo attenderci l’arrivo del comunismo». Ma questo lo dice lui!


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Notizie in breve dal mondo - marzo Asunciòn, Paraguay 6 marzo

corteo uno striscione con i nomi delle donne assassinate in australi dal 2008. Nella capitale Canberra è stata ricevuta da rappresentanti del governo una delegazione di manifestanti, che hanno però rifiutato un incontro “privato” con il primo ministro Scott Morrison nel suo ufficio.

Un morto e 8 feriti è il saldo delle proteste avvenute nella città, dove migliaia di manifestanti chiedevano la rinuncia del presidente Mario Abdo Benitèz per la pessima gestione della crisi sanitaria ed economica, con il paese ormai quasi privo dei medicinali necessari. La polizia li ha accolti con pallottole di gomma e gas lacrimogeni.

Buenos Aires, Argentina 20 marzo

Washington, USA 8 marzo

Kamala Harris, vice-presidente USA, ribadisce oggi l’opposizione del governo alle indagini della Corte Penale Internazionale (CPI) su possibili crimini di guerra commessi nei territori palestinesi occupati dai soldati israeliani e riafferma “l’impegno incrollabile degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele”. Anche il Segretario di Stato, Anthony Blinken, aveva detto che Washington “si oppone fermamente ed è profondamente delusa” dalla decisione della CPI.

Delhi, India 8 marzo

20.000 donne, in maggioranza contadine, sono scese in piazza a Delhi per ricordare la Giornata Internazionale della Donna e unirsi alla mobilitazione di migliaia di contadini che da mesi protestano contro le leggi agrarie approvate dal governo Modi. Giunte a bordo di centinaia e centinaia di autobus, e piccoli veicoli, vengono principalmente dal Punjab, una delle principali aree agricole del paese, e indossano uno scialle giallo, che rappresenta il colore dei campi di senape. Secondo Oxfam le donne rappresentano l’85% dei lavoratori agricoli ma possiedono solo il 15% delle terre.

San José, Costa Rica 14 marzo

Migliaia di lavoratori e studenti hanno oggi manifestato contro il progetto di legge sul Pubblico Impiego e contro la proposta di accordo del Governo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Per buona parte della popolazione il progetto cancellerà lo Stato Sociale di Diritto. Qualche giorno fa una delegazione di operai ha “celebrato” il funerale della democrazia portando una bara contenente la Costituzione davanti alla sede del Congresso. Già nel settembre scorso le manifestazioni popolari, con i blocchi delle strade, avevano costretto l’esecutivo a ritirare una prima proposta di negoziati con il FMI per la concessione di un prestito che avrebbe indebitato ancor più la Costa Rica.

Trinidad, Bolivia 13 marzo

Arrestata con alcuni collaboratori politici e militari l’ex presidentessa de facto Jeanine Áñez per il golpe di Stato che costrinse Evo Morales a fuggire dal paese e causò morti e feriti nelle strade boliviane. È accusata anche per i massacri di Sacaba e Senkata dove, nelle proteste contro il golpe, sono morte circa 30 persone. La ‘Defensoria’ del Popolo, organo costituzionale, accusa Áñez di delitti di lesa umanità avendo promosso “assassinii sistematici contro la popolazione civile”.

San José, Silicon Valley, USA 15 marzo

Chewy Shaw, noto sviluppatore di software di Google, ha reso noto oggi in un articolo sul New York Times la creazione del Sindacato dei Lavoratori di Alphabet (Alphabet Workers Union) con più di 400 colleghi. Scopo del nuovo sindacato non sono solo le rivendicazioni

sindacali in genere ma anche ottenere una maggiore responsabilità sociale e denunciare l’uso repressivo dell’intelligenza artificiale dai colossi dell’informatica. “I nostri padroni hanno lavorato con gverni repressivi in tutto il mondo. Hanno sviluppato una tecnologia di intelligence artificiale che viene utilizzata dal Dipartimento di Stato contro gli immigranti” ha aggiunto, ricordando che nel 2018 centinaia di impiegati protestarono proprio contro il contratto con il Dipartimento.

India 16 marzo

Sciopero di due giorni contro le privatizzazioni delle banche del settore pubblico previste dal governo Modi. L’astensione è stata convocata dal Foro Unito dei Lavoratori Bancari, organismo che raggruppa nove sindacati del settore e include circa un milione di lavoratori, che si aggiungono così ai contadini in lotta da tempo.

Australia 17 marzo

Migliaia di donne in piazza nelle principali città per protestare contro la violenza, l’abuso e la discriminazione sessuale e chiedendo giustizia per le vittime. A Melbourne guidava il

Washington, USA 20 marzo

Minaccia di sanzioni del governo Biden alla… Germania, per la sua partecipazione ai lavori di realizzazione del gasdotto North Stream 2. Il segretario di Stato Blinken ha affermato che “qualsiasi entità coinvolta nel gasdotto North Stream 2 rischia le sanzioni Usa e dovrebbe abbandonare immediatamente il lavoro”. Già il presidente Biden aveva definito l’opera “un progetto geopolitico russo volto a dividere e indebolire la sicurezza energetica europea”.di adulti – massimo storico dall’inizio della pandemia - non hanno abbastanza risorse per alimentarsi, cioè uno di ogni sei persone vive nell’insicurezza alimentare. Secondo i funzionari dell’Ufficio, questa è la peggiore crisi di fame dei tempi moderni per gli USA. A questo si aggiungono i bambini che, non potendo frequentare le scuole a causa del coronavirus, non hanno più assicurato almeno un pasto al giorno. I più colpiti sono gli afroamericani: secondo l’Ufficio circa il 22% delle famiglie nere ha dichiarato di aver fatto la fame durante l’ultima settimana di raccolta dei dati.

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MEMORIA Parigi, Francia 18 marzo 1871

Prende corpo il fantasma annunciato da Marx ed Engels: il proletariato dà l’assalto al cielo creando la Comune di Parigi, il primo tentativo rivoluzionario di mettere l’essere umano al centro della Storia. Nei suoi poco più di 2 mesi di vita, la Comune mostrerà al mondo la carta di identità del governo di coloro che non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Il proletariato parigino prende il potere quando le classi dominanti stavano per capitolare davanti alla Prussia, proprio per la paura del popolo lavoratore armato. La Comune strapperà così la maschera della “difesa della nazione” usata dalla borghesia per nascondere l’oppressione di classe e dimostrerà per la prima volta che la rivoluzione proletaria è possibile.

Argentina 24 marzo 1976

Golpe militare nella notte, con la deposizione del governo di Isabel Peròn e l’instaurazione di una dittatura militare - guidata dal generale Jorge Rafael Videla, dall’ammiraglio Emilio Massera e dal generale Orlando Agosti - che durerà fino all’ottobre 1983, grazie anche al supporto esterno degli USA. Il mondo intero imparerà una parola nuova: desaparecidos. In un’intervista Videla stimerà le vittime in 30.000.

My Lai, Vietnam del Sud 16 marzo 1978

Torna in piazza il movimento “piquetero” (dei picchetti, n.d.r.) con una gigantesca manifestazione nella Plaza de Mayo. Vi partecipano decine di organizzazioni sociali. Le centinaia di migliaia di persone - provenienti in massima parte dai quartieri poveri del Conurbano e della capitale - che hanno partecipato alla giornata di lotta protestano per i tagli e chiedono l’aumento del salario minimo e dei programmi sociali. Nel paese 6 su 10 bambini sono poveri, così come quasi il 50% della popolazione e il salario minimo “è da fame”. Il 70% dei pensionati ha una rendita al di sotto dell’indice di indigenza.

Entrati nel villaggio per un’operazione “anti-Vietcong”, i soldati della Compagnia C della 23° Divisione di Fanteria dell’esercito USA, comandati dal tenente William Calley, uccidono, dopo stupri e torture, 504 abitanti di MyLai, principalmente anziani, donne, bambini e neonati. La strage diventerà il simbolo della barbarie statunitense. Condannato nel 1971 a soli 3 anni per omicidio premeditato, Calley riceverà un “atto di indulgenza” del presidente Richard Nixon e sconterà la pena agli arresti domiciliari.

Milano, Italia 18 marzo 1978

Quartiere Casoretto, via Mancinelli: un nucleo armato di tre estremisti di destra spara e uccide Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, Iaio. Dopo quarantun anni gli assassini e i mandanti sono ancora sconosciuti e impuniti. Fausto e Iaio, insieme ad altri, lavoravano ad un “libro bianco” sullo spaccio dell’eroina nelle piazze milanesi, gestito da malavita e neofascisti. Il 22 marzo una folla immensa, quasi centomila persone, operai in tuta, delegati dei Consigli di fabbrica di Milano e altre città, tra cui la Fiat Mirafiori, sono in piazza San Materno, vicinissima al luogo dell’assassinio, a portare l’ultimo saluto a Fausto e Iaio e a denunciare la barbarie fascista.

Rafah, Palestina 16 marzo2003

Colpita dalla lama di un bulldozer che poi le è passato sopra, muore la studentessa statunitense Rachel Corrie che, insieme ad altri militanti, stava cercando di impedire la demolizione abusiva della casa di un medico palestinese. Il governo USA (presidenza di George W.Bush) non chiederà mai informazioni, il tribunale di Haifa concluderà, dopo le indagini dell’esercito, che “si mise da sola in una situazione pericolosa e la sua morte fu il risultato di un incidente che lei stessa aveva attirato su di sè”.

Siria marzo 2011

Inizio della guerra alla Siria, che è ancora in corso. La guerra era stata progettata dagli USA e dai loro alleati arabi tramite i gruppi terroristici, sostenuti come sempre anche dalla UE, nel quadro dell’operazione nota come ‘Primavera Araba’, con l’obiettivo di rovesciare il colonnello Gheddafi in Libia e il presidente Bashar al-Assad in Siria, le uniche due nazioni musulmane, insieme all’Iran, a non piegarsi ai diktat di Washington. Nonostante che la stampa internazionale farà di tutto per imporre l’idea della “guerra civile”, si tratta di un intervento straniero che ha causato mezzo milione di morti, 6 milioni di sfollati interni 5,6 milioni di persone fuggite all’estero.


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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

A quando in piazza?

Mi stupisce, ma neanche troppo - viste le dichiarazioni dei rappresentanti sindacali italiani - che in Italia nessuno si muova e scenda in piazza nel vero senso della parola non con piccoli presidi. Ho visto che in Grecia i lavoratori degli ospedali pubblici scioperano e si mobilitano fino al Ministero della Salute chiedendo il rafforzamento del sistema sanitario pubblico, la requisizione del settore privato della sanità, una massiccia assunzione di personale permanente e contro la politica che lascia il popolo senza protezione, per evitare che il sistema sanitario pubblico passi dall’attuale saturazione al collasso totale. Non solo, l’8 Marzo - Giornata internazionale delle donne - gruppi della Federazione delle Donne Greche, sindacati, associazioni studentesche, marittimi, federazioni di categoria e pure organizzazioni di lavoratori autonomi, hanno organizzato marce ad Atene e in altre città greche. Cioè si sono presi il loro spazio con cortei e rivendicazioni che da noi non si sentono nonostante gli operatori sanitari facciano tanta pena e si portino sul palco del festival di Sanremo. Noi cosa aspettiamo? Forse stiamo ancora troppo bene... Gianluca Merisi

IN RICORDO DI TUTTI I LAVORATORI E I CITTADINI ASSASSINATI IN NOME DEL PROFITTO CONTRO LE STRAGI IMPUNITE DI LAVORATORI, LE VITTIME DELL’AMIANTO E DEL PROFITTO SCENDONO IN PIAZZA Sabato 24 aprile 2021 alle ore 16.00 manifestazione a Sesto San Giovanni, Milano CONTRO I MORTI SUL LAVORO e di MALATTIE PROFESSIONALI PER LA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO E DI VITA Anche se ci sarà ancora la zona rossa e divieti o restrizioni da parte di governo e regioni per il coronavirus, come l’anno scorso e come facciamo ogni anno dal 1997, anche quest’anno manifesteremo, portando in piazza la rabbia delle vittime e la determinazione a continuare la lotta contro il capitalismo, un sistema economico-politico - giudiziario e sociale che ogni anno assassina migliaia di lavoratori per il profitto. Il nostro Comitato ricorderà comunque, nel rispetto delle norme di sicurezza, tutte le vittime del profitto con una manifestazione “statica” permessa in base al DCPM del Ministero dell’Interno del 2.3.2021. Ci incontreremo quindi alle ore 16 in via Carducci (terreno ex Breda) e deporremo fiori alla lapide posta dagli operai delle fabbriche sestesi nel 1997, con la scritta A PERENNE RICORDO DI TUTTI I LAVORATORI MORTI A CAUSA DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTA ORA E SEMPRE RESISTENZA, aprile 1997. Non possiamo più tollerare che l’Italia continui a essere il paese delle stragi operaie e ambientali impunite (ponti che crollano, disastri ambientali, inondazioni, terremoti e altro ancora). Oggi, accanto alle stragi dovute alla malasanità, ai tumori professionali e ambientali, a tutte le patologie dovute all’inquinamento, si aggiungono le decine di migliaia di vittime Covid-19 e di una sanità pubblica smantellata negli ultimi anni. Ad esse vanno aggiunte altre vittime del lavoro: infermieri, medici, personale sanitario in genere, che hanno perso la vita per aver dovuto lavorare senza le adeguate protezioni. Sono passati 28 anni da quando l’Italia ha messo al bando l’amianto, ma siamo ancora uno dei paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto-correlate. Ogni anno le vittime dell’amianto sono circa 6mila: 3600 per tumore polmonare, 600 per asbestosi, 1800 per mesotelioma, un tipo di cancro molto aggressivo che colpisce la pleura e altre membrane. L’amianto ha ucciso, uccide e continuerà ad uccidere ancora, perché i tumori che causa (mesotelioma, tumori polmonari, alla laringe, asbestosi, e altri ancora) ci mettono decenni a manifestarsi, e il loro picco è previsto tra il 2025 e il 2030. In Italia sono ancora circa 370mila le strutture che contengono Eternit: per lo più edifici privati ma anche industriali e pubblici, comprese 2.400 scuole, 1.000 biblioteche e 250 ospedali. Per non parlare della rete idrica: sarebbero 300mila i km di tubature in cui è presente l’asbesto. Si tratta, però, di stime: il censimento dei siti inquinati non è stato completato in tutte le regioni. L’amianto è responsabile d’una strage che avviene nell’indifferenza che, oggi più che mai, diventa complicità ROMPIAMO IL SILENZIO. BASTA MORTI PER IL PROFITTO Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di lavoro e nel Territorio Aprile 2021

CIAO, FRANCO Oggi siamo molto tristi: Franco Zanon (il primo a destra nella foto), con cui abbiamo lottato insieme per decenni, ci ha lasciato all’età di 61 anni dopo una lunga malattia. Finché ha potuto muoversi, Franco ha lottato, discusso, ragionato, chiacchierato, gioito e sofferto insieme con noi: generoso e scanzonato, con la sua ironia lieve, durante le ‘grandi’ discussioni che amici e compagni fanno, prima e dopo di scendere in piazza. Con Franco perdiamo non solo un compagno di lotta ma una parte della nostra storia. Come i tanti compagni che ci hanno lasciato, lui resterà nei nostri cuori e nella nostra memoria, col suo sorriso e i suoi occhiali da sole. Anche se con profondo dolore oggi comunichiamo la notizia della sua morte, ricordiamo a tutti quelli che gli hanno voluto bene e che lo hanno apprezzato che chi ha compagni, di vita e di lotta, non muore mai perché vive nei loro ricordi. In questo momento il nostro pensiero va anche a sua moglie Paola, sua compagna di vita e nostra compagna di lotta, a cui esprimiamo il nostro cordoglio e la nostra vicinanza. Ciao Franco, oggi alcuni di noi ti porteranno l’ultimo saluto: che la terra ti sia lieve, come eri tu. Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio Sesto San Giovanni, 27 febbraio 2021 È tristezza anche per i compagni della redazione di “nuova unità” che hanno conosciuto Franco e condiviso momenti di lotte e ludici e siamo vicini a Paola in questo triste momento. cf

Federazione Sindacale Mondiale: Campagna internazionale per il rilascio dei bambini palestinesi dalle carceri israeliane

È iniziata il 1° gennaio 2021 una importante campagna internazionale della FSM per il rilascio di 4500 prigionieri palestinesi (tra i quali donne, anziani, disabili), in particolare di oltre 155 bambini che sono attualmente detenuti nelle prigioni israeliane. I loro diritti sono sistematicamente violati dallo Stato di Israele, la loro salute non viene tutelata con misure sanitarie adeguate e durante la pandemia di COVID-19 non vengono adottate misure di sicurezza o vaccinazioni. Il 6 gennaio la FSM ha inviato un memorandum alla Commissione Internazionale della Croce Rossa in Palestina chiedendone l’immediato rilascio e la difesa dei loro diritti. Iniziative di solidarietà si sono svolte in tre città della Palestina e del Libano di fronte agli uffici della Croce Rossa. FSM chiede di unire gli sforzi e le voci di tutti per difendere la libertà e i diritti dei bambini palestinesi, per difendere gli interessi del popolo palestinese, dei lavoratori di tutti i paesi, contro ogni ingiustizia e azione criminale ai danni dei lavoratori e delle loro famiglie. Nessuno è solo nelle lotte! wftucentral.org

nuova unità Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXX n. 2/2021 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Luciano Orio, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20

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Chiuso in redazione: 20/03/2021


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