"nuova unità" n. 6/2021. Da dicembre è in distribuzione il n.7

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art. 2 Legge 662/96 filiale di Firenze

Spedizione in abb. postale 70% comma 20/B

Proletari di tutti i paesi unitevi!

nuova unità

Periodico comunista di politica e cultura n. 6/2021 - anno XXX

fondata nel 1964

L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti Antonio Gramsci

Migliori sì nel rappresentare borghesia e capitalismo Mettere uno contro l’altro per non far mettere contro di loro L’Italia brucia grazie al governo nato come “dei migliori”, in effetti sono i migliori rappresentanti della borghesia e del capitalismo nella gestione dei fondi europei, con il sostegno delle forze politiche e del parlamento e con una buona capacità mediatica per ottenere consenso di larghi strati della popolazione. Dopo l’assalto fascista alla Cgil può contare ancora di più sulla collaborazione dei sindacati confederali che cercano di contenere con accordicchi le numerose lotte per le vertenze in corso. Passano indisturbati l’aumento stratosferico delle tariffe luce e gas, del carburante e, di conseguenza, del riscaldamento, i continui rincari di tutti i generi alimentari e no. Aumentano vertiginosamente i morti sul lavoro e i disoccupati, ma sembra che le esigenze, almeno per larghi strati della società, siano i vaccini e il green pass. Fare il vaccino è una scelta volontaria, ma per lavorare, per vivere la socialità e la cultura ci vuole il green pass, come se il documento fosse un salvavita e non una forma di repressione e discriminazione. Parallelamente sono demonizzati coloro che dicono no ai vaccini, considerati untori, ammalati e contagiosi e chi lotta per affermare un diritto. Non è la salute dei lavoratori che interessa allo Stato, ma la diminuzione dei contagi e il calo dei ricoverati per la ripresa economica, fondamentale per i rapporti con la UE e l’attuazione del PNRR che prosegue il disegno della privatizzazione della sanità pubblica, dei continui tagli dei posti letto e del personale, a costo dei ritardi su terapie e diagnosi oncologiche e cardiache e sulla prevenzione. Noi non dimentichiamo che durante il lockdown i lavoratori sono stati costretti a produrre - soprattutto in fabbrica, nei supermercati, negli ospedali ecc. - in ambienti non sanificati e senza protezioni adeguate. Da più parti arrivano proposte di far pagare le spese di ricovero per i non vaccinati (assistiti invece i vaccinati che comunque possono contagiarsi), il periodo di quarantena non è coperto dall’Inps, ma c’è assoluto silenzio sul fatto che l’Italia paga alla NATO 70 milioni al giorno, oltre a tutte le spese militari che sostiene all’estero. Con il costo di un solo F35 (dei 90 acquistati) si potrebbero fornire gli ospedali di ben 7120 ventilatori polmonari. Ma se il vaccino è così efficace perché costringere a mangiare in piedi, nelle mense, i lavoratori non vaccinati e seduti quelli vaccinati? I tamponi sono la soluzione? Allora pagateli, ma non basta perché, dicono, che il sistema non è in grado di reggere l’aumento delle richieste. Fedelissimo il PD che attacca la gratuità del tampone e la difesa del green pass per non soddisfare “minoranza sfasciste”, come le definisce Letta. Ditegli che i vaccini sono volontari e che vada all’entrata delle fabbriche dove il controllo del green pass ha creato non pochi disagi che hanno comportato la perdita di ore di lavoro per le lunghe code ai cancelli! Il governo prosegue, in linea con la Confindustria, i banchieri, l’ammucchiata governativa, il rilancio economico del Paese saldamente gestito e senza segni di debolezza da Draghi. Il suo sol dell’avvenire è sconfessato persino dalle Nazioni unite. Un rapporto ha messo in luce la sistematica opera di sfruttamento della manodopera migrante, specie nei settori agricoli, tessile e della logistica (esemplare è la situazione di Prato, ndr), di quanto le autorità siano carenti “anche nel fare rispettare le leggi esistenti a tutela del lavoro e nel controllare realmente le imprese, lasciando quindi sostanzialmente mano libera allo sfruttatore nello stabilire da sé le regole del gioco sul posto di lavoro e permettendo a produttori e commercianti di trarre beneficio dall’impiego di forza lavoro sfruttata e a buon

mercato”. Situazione considerata un’emergenza, una degenerazione patologica tanto da suggerire di “creare un’istituzione preposta alla tutela dei diritti umani sul posto di lavoro”. In combutta con Draghi, il presidente della Repubblica. Il presidente che (oltre a tutto il resto di cui abbiamo già scritto) sfrutta persino l’anniversario della nascita di Lama per accentuare la necessità della pacificazione sociale, attaccando le legittime proteste che stanno arrivando da più parti. “Ricordare nel centesimo anniversario della nascita Luciano Lama significa richiamare la figura di un leader tra i più prestigiosi del movimento sindacale italiano, un parlamentare autorevole, un sindaco amato dai suoi concittadini. L’apporto da lui recato alla storia delle nostre istituzioni, il lascito ideale e civile che ha contraddistinto la sua lezione di vita, sono un patrimonio prezioso per la coscienza civile della Repubblica”. E ancora: “Ha affrontato con forza tante contrattazioni sui salari e i diritti senza, tuttavia, esitare, quando la crisi economica impose scelte di moderazione, a stipulare un patto tra le forze produttive a sostegno del valore delle retribuzioni e dell’occupazione. Luciano Lama ha affrontato a viso aperto il terrorismo che cercava di mettere radici nelle fabbriche e nell’insediamento della sinistra. La sua fermezza ebbe per lui costi personali, che non esitò mai ad affrontare in nome di un bene comune superiore: la salvaguardia della democrazia e della Costituzione”. Già il patto tra sindacato e padronato e il pretesto del terrorismo per contenere le lotte vengono da lontano. Mattarella omette il contesto, quando il 17 febbraio 1977 è passato alla storia come il giorno della “cacciata di Lama”. Non solo dall’università di Roma occupata da quindici giorni da migliaia di studenti e lavoratori precari (ai quali fu negato il diritto di parola) contro la riforma Malfatti, contro i fascisti che spararono a Bellachioma, contro le squadre speciali che spararono in piazza Indipendenza. Lama era contestato ovunque dai lavoratori. Dietro le lacrime di coccodrillo a Palazzo Chigi è stato varato un ridicolo decreto sulla sicurezza sul lavoro. Prevede la riduzione della percentuale di lavoratori irregolari, il potenziamento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, una banca dati informatica unica per permettere il lavoro sinergico di INL, Inail, regioni e Asl e misure e sanzioni per il datore di lavoro irrisorie. I morti di e da lavoro sono stati, invece, al centro di due iniziative (che avevamo annunciato nel numero scorso) il 26 settembre e il 9 ottobre. La prima a Firenze in un convegno del CLA su “salute, sicurezza, obbligo di fedeltà”, molto par-

tecipato con testimonianze di sindacalisti, familiari di stragi e morti sul lavoro, lavoratori che hanno subito rappresaglie fino al licenziamento, esperti che hanno parlato delle loro conoscenze e competenze sul tema dell’”obbligo della fedeltà” all’azienda. Insieme all’obiettivo del proseguimento del coordinamento delle forze verso l’unità di classe, al di là della frantumazione delle sigle sindacali, dal convegno sono usciti tre comunicati: in appoggio alla lotta alla GKN, l’adesione al presidio del Comitato 9 ottobre a Roma e allo sciopero dell’11 ottobre, il primo dopo anni che ha visto i sindacati di base manifestare insieme. A Roma l’iniziativa, organizzata dal Comitato 9 ottobre, che inizialmente doveva essere davanti a Montecitorio, è stata spostata in piazza Santi Apostoli dove i partecipanti sono stati letteralmente costretti in un recinto di transenne, sorvegliati da una presenza poliziesca esagerata.

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La democrazia borghese un paravento. Maggioranza e opposizione due facce della stessa medaglia pagina 2 La montagna ha partorito il solito topolino.

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Lavorare per un adeguato sciopero generale. Riflessione sullo sciopero dell’11 ottobre pagina 3 Gli interessi attorno all’Afghanistan e la tragedia del suo popolo pagina 4 L’incubo della Talidomide. La pubblicità ne sottolineava la “completa atossicità”

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In breve dal mondo

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Lavorare per un adeguato sciopero generale Emiliano Lo sciopero generale del sindacalismo di base dell’11 ottobre è stato proclamato per la prima volta in maniera unitaria, dopo anni in cui gli scioperi venivano fatti separatamente anche a distanza di pochi giorni. È stato proclamato mesi prima dai principali sindacati di base per evitare fughe in avanti delle segreterie che in questi anni hanno fatto dello sciopero un rituale per l’autunno e per la primavera e che lo utilizzavano più per spirito di sigla in concorrenza con le altre e per prendere il posto prima di altri presso la commissione di garanzia, che per una reale maturazione della sua necessità nei posti di lavoro. Contro il governo Draghi e il PNRR che prevede un futuro di lacrime e sangue per i lavoratori, i motivi dello sciopero generale c’erano e ci sono tutti. Licenziamenti, delocalizzazioni, aumento del costo della vita, accelerazione dei processi di privatizzazioni di sanità, trasporti e scuole, liberalizzazione di appalti e sub-appalti sono alcune delle ricette che padronato e governo hanno messo in cantiere per la cosiddetta ripresa. Lo sciopero se vissuto come il risultato di un processo porta ad ulteriori divisioni e concorrenze tra le sigle sindacali mentre se viene assunto come inizio di un percorso, che parta dalle varie vertenze aperte e dai posti di lavoro, può diventare l’inizio per una stagione di lotte, di organizzazione e di unità di classe. Unire i ranghi dei lavoratori mettendo in primo piano i propri interessi immediati e futuri è il primo passo per combattere la frantumazione e l’autoreferenzialità dei sindacati, combattere la concorrenza tra gli stessi lavoratori, tra chi ancora crede di essere “garantito” e quelli espulsi dalla produzione, disoccupati o in cassa

integrazione; tra pensionati e giovani in cerca di prima occupazione, tra chi ha la casa e chi non ce l’ha o la perde perché non riesce a pagare gli affitti esorbitanti. Concorrenza e divisione sono alimentate e sostenute dai capitalisti, vedi anche le ultime misure come il green pass, che ne traggono tutti i vantaggi per poter dominare incontrastati. L’11 ottobre si è manifestata la volontà alla unità e alla lotta generale che ha aperto anche piccole crepe nel muro dei sindacati confederali piegati alla logica della resilienza e della concertazione in sintonia con il governo Draghi. È prevalsa la scelta di convogliare la partecipazione allo sciopero con manifestazioni locali partendo da presidi dove sono aperte vertenze e lotte in difesa dell’occupazione o per migliori condizioni di lavoro invece di manifestazioni nazionali che, in questi anni, sono state utilizzate per prove muscolari tra le varie sigle con il limite di lasciare sguarniti i territori. Una scelta che ha permesso di fare un altro piccolo passo in avanti rinsaldando i rapporti tra lavoratori e sigle sindacali, una spinta per andare avanti in questa direzione rafforzando la coscienza che i veri nemici sono i padroni e i governi che li appoggiano, e che da soli non si va da nessuna parte mentre l’unità e la solidarietà di classe è la unica vera forza della classe lavoratrice. Le partecipazioni allo sciopero sono state numerose da parte di Rsu e delegati sindacali e settori dell’opposizione della CGIL, ma ancora insufficienti rispetto alle necessità che la lotta contro il padronato imporrebbe. Lo sciopero generale dell’11 ottobre è stato ancora uno sciopero di minoranze, di avanguardie avanzate e combattive che possono se sapranno unirsi, coordinarsi e organizzarsi e soprattutto spostare le forze nei posti di lavoro - divenire la parte trainante di un movimento anti-

Riflessione sullo sciopero dell’11 ottobre collaborazionisti, e costruire uno schieramento sindacale unito nella prospettiva della creazione di un fronte operaio e popolare in grado di difendere gli interessi di classe, unire e generalizzare le rivendicazioni e mettere in discussione il sistema capitalista e di costruire le condizioni per abbattere lo Stato borghese e costruire una società socialista. capitalista dei lavoratori. Di questo momento di debolezza e di esitazione ne hanno approfittato proprio i fascisti che hanno assalito la sede della CGIL a Roma per attaccare l’idea stessa della organizzazione sindacale dei lavoratori. Servi dei padroni ne hanno rafforzato la forza nel momento in cui gli industriali hanno bisogno di calma sociale in nome di quella “unità nazionale” e del “siamo tutti sulla stessa barca” per la ripresa del PIL e dei loro profitti. Riuscire ad allargare i varchi e i ripensamenti di delegati sindacali e coltivare le esperienze di unità nei territori tra sindacati di base, lavoratori in lotta contro le delocalizzazioni come alla GKN, contro lo sfruttamento bestiale degli immigrati in fabbrica e in agricoltura, con gli studenti e i disoccupati può essere la strada per arrivare ad uno sciopero generale ancora più ampio che sia in grado di bloccare il paese e far capire che senza i lavoratori non si può vivere mentre si può vivere, e meglio, senza padroni e senza sfruttamento. È la classe operaia e in generale i lavoratori che possono prendere in mano il proprio destino senza concedere deleghe in bianco a nessuno, rompendo gli argini imposti da governi e sindacati

Prato: vile aggressione contro gli operai in lotta redazione di Firenze È andata su tutti i giornali e ripresa da alcune trasmissioni televisive la notizia dell’aggressione (sotto gli occhi della polizia che non è intervenuta) alla Dreamland di Prato da parte di un gruppo di cinesi con mazze da baseball e tirapugni contro un gruppo di lavoratori immigrati organizzati dal sindacato SiCobas (già aggrediti in altre parti d’Italia) che denunciavano lo sfruttamento e lo stato di schiavitù cui sono sottoposti. Da oltre nove mesi alla Texprint di Prato lottano per avere condizioni di lavoro “normali” di otto ore per 5 giorni. Questi lavoratori hanno già subito aggressioni da parte dei padroni della Dremland, sono stati caricati e picchiati dalle forze di polizia, sono stati denunciati, ma non si sono arresi anzi hanno allargato la mobilitazione ad aziende dove vige la regola dello sfruttamento intensivo e schiavista. Quello del distretto di Prato è un sistema che ha consegnato alla mafia un intero territorio e molte unità produttive. La schiavitù dei lavoratori cinesi e stranieri è conosciuta da tutti: dalle istituzioni, dai sindacati, dalle varie forze politiche. È il distretto tessile dove, per recuperare un 8% in più di produzione, viene uccisa sul lavoro una giovane lavoratrice come Luana eliminando i sistemi di sicurezza. Ma non è certo un caso isolato nel nostro paese, nelle campagne viene utilizzato lo stesso sistema nei confronti dei braccianti. Le mafie di qualsiasi paese siano opprimono e sfruttano le parti più deboli e indifese della società, uccidono sparano o picchiano indisturbati. Mentre lo Stato borghese reprime le lotte sul nascere per paura dell’effetto domino sui lavoratori oppressi che si organizzano e si ribellano. L’indignazione dei mezzi d’informazione, che dura un paio di giorni, ben venga ma è non certo quello che cambia la situazione. La mobilitazione, la solidarietà e l’unità dei lavoratori e tra lavoratori italiani e stranieri sono gli strumenti per cambiare lo stato di cose presenti come è stato fatto a Prato dopo i fatti della Dreamland con una manifestazione tra le fabbriche dello sfruttamento schiavistico che ha visto tra i partecipanti anche i lavoratori della GKN in lotta contro la chiusura dello stabilimento da parte della finanziaria Melrose. Sono due aspetti dello sfruttamento capitalistico quello brutale della mafia padrona che aggredisce con le mazze e quella più fine, ma sempre brutale della multinazionale che licenzia, anche rispettando le regole, centinaia di operai nel nome del proprio maggiore profitto. Sono due facce della stessa medaglia di una società basata sullo sfruttamento, su migliaia di morti sul lavoro, da lavoro, sulla proprietà privata, che pone all’ordine del giorno la necessità di cambiare i rapporti di forza a favore della nostra classe per abbattere il sistema capitalista.

La montagna ha partorito il solito topolino Daniela Trollio (*) Agli inizi di ottobre ha avuto fine una eccezionale gravidanza durata da circa 8 anni: l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha finalmente deciso che i profitti da capogiro – soprattutto in questi due anni di pandemia – delle multinazionali vanno tassati e così ha dato alla luce la “global minimum tax”, che andrà in vigore nel 2023. Ma dato che non si deve esagerare, la tassazione sarà del 15% sui profitti delle multinazionali che fatturano almeno 750 milioni di euro l’anno (con buona pace di noi lavoratori, che paghiamo in tasse sui nostri miseri salari una media di circa il 30% annuo), già appli-

cata dall’Irlanda che negli anni è diventata la terra promessa, ”il miglior paese dove fare impresa”. Per Paolo Gentiloni, Commissario europeo per gli affari economici e monetari, si tratta di uno “storico accordo internazionale sulla riforma fiscale globale”, che punterebbe a cancellare i paradisi fiscali obbligando le multinazionali a pagare la minimum tax nei paesi dove viene prodotto il profitto; se tale aliquota dovesse essere più bassa del 15%, esse dovrebbero pagare la quota restante nel paese dove hanno la sede principale. Invece in Italia, in base ad una sentenza della Corte di Cassazione del 9 ottobre scorso, si dovranno pagare le tasse anche sulle “mance”, che diventano così reddito da lavoro di-

pendente. Non è una barzelletta. Tenendo presente che in alcuni paesi da anni la tassa sui profitti si aggira sul 20% (ricordiamo tutti la confessione di Warren Buffett nel 2019 sull’ingiustizia fiscale che faceva sì che lui, uno degli uomini più ricchi del mondo, pagasse meno tasse della sua segretaria), ecco cosa ha scritto su Le Monde l’economista francese Thomas Picketty, non certo un marxista arrabbiato: “Nel convalidare il fatto che le multinazionali possono continuare a localizzare dove vogliono i loro profitti nei paradisi fiscali, con una tassa del 15% come imposta totale, il G7 rende ufficiale l’entrata in un mondo in cui gli oligarchi pagano strutturalmente meno tasse che il resto della popolazione”.

Abbiamo bisogno di un rovesciamento completo di questa barbara società E i numeri rilevati da Oxfam (confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Ne fanno parte 18 organizzazioni di paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 nazioni) durante la pandemia sono esemplificativi. 32 multinazionali hanno realizzato 109 miliardi


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La democrazia borghese un paravento Maggioranza e opposizione due facce della stessa medaglia Michele Michelino Gli ultimi governi tecnici succedutisi in Italia dimostrano chiaramente che la democrazia parlamentare borghese è la foglia di fico dietro cui si nasconde la dittatura del capitale. Dal 2011, con la formazione del governo Monti, ad oggi si sono avvicendati 7 governi tecnici, “transitori” o di coalizione, con lo scopo di “traghettare” il paese verso le elezioni dopo il fallimento di un esecutivo, governi voluti dal grande capitale, messi in piedi e sostenuti dai Presidenti della Repubblica: Monti (2011-2013): tecnico Letta (2013-2014): transitorio Renzi (2014-2016): transitorio Gentiloni (2016-2018): transitorio Conte e Conte bis (2018-2021): di coalizione Draghi (2021): tecnico Le grandi decisioni che cambiano la vita delle persone e del mondo non sono mai decise dai partiti presenti in parlamento. In realtà, come ormai è sempre più evidente anche agli sprovveduti, i parlamenti - come tutte le istituzioni - sono organismi che si adeguano agli interessi capitalistici, ma che non determinano l’andamento capitalistico: sono i camerieri, lo servono. In una società divisa in classi dove il potere economico, politico, giudiziario, militare è in mano alla borghesia imperialista, sono i parlamenti che in tutto il mondo sono al servizio dei capitalisti, del profitto, delle guerre, delle crisi, dello sfruttamento e non i capitalisti che si adattano alle chiacchiere o alla volontà dei parlamentari. L’astensionismo crescente che si manifesta in ogni elezione, (alle amministrative del 3/4 ottobre ha votato meno della metà degli aventi diritto e nei ballottaggi dei sindaci ha toccato punte del 60%) dimostra il distacco di chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena dal palazzo del potere. A Roma, ha votato il 40,68% degli aventi diritto e per il ballottaggio per il sindaco Roberto Gualtieri eletto al secondo turno, ha votato solo il 24% dei cittadini che si sono recati alle urne. Il rifiuto del voto, sia esso cosciente o istintivo, è la dimostrazione che ormai una parte maggioritaria delle classi sociali subalterne ritiene il proprio voto insignificante, non in grado di cambiare, influire, determinare o anche solo “influenzare” le scelte dei capitalisti che decidono i destini del mondo. Anche le persone in buona fede o ingenue che credono nella democrazia borghese si accorgono ormai che dopo aver votato per il sindaco, il presidente di Regione, o per il par-

di extra-profitti nel 2020, di cui l’88% andrà alla remunerazione dei soci, mentre più di 400 milioni di posti di lavoro sono già andati persi. Ma 100 grandi corporations quotate hanno visto una crescita del proprio valore in borsa di oltre 3 mila miliardi di dollari e i patrimoni finanziari dei 25 tra i più facoltosi miliardari al mondo hanno registrato un incremento di ben 255 miliardi di dollari

Pandora Papers

E mentre si festeggia la minimum tax, ecco un nuovo scandalo, quello dei Pandora Papers, séguito dei Panama Papers e Paradis Papers del 2016 e 2017. Si tratta della rivelazione dei conti correnti nascosti in paradisi fiscali da parte di holding, uomini d’affari e decine di presidenti e primi ministri in carica o ex, giudici, sindaci, generali oltre alle solite celebrità come attori e cantanti. Come per i precedenti scandali, non ci sarà alcuna conseguenza. Anzi, alla fine verrà ribadito un semplice fatto: non sono dei privilegiati, sono degli imprenditori e la società è in debito con loro. Creano ricchezza, creano lavoro, finanziano la ricerca, appoggiano la scienza, prestano il loro nome alla lotta con-

lamento, per 5 anni non possono più controllare il loro voto né eventualmente far dimettere la persona (o il partito) che hanno votato, anche di fronte a disonestà, tradimento per cui non rappresenta più i propri interessi. In campagna elettorale tutti i partiti promettono cose che non possono o non vogliono realizzare. L’esempio più evidente è quello dei 5 stelle, ma si tratta di un fenomeno che interessa anche tutti gli altri partiti. Anche se questo partito ha tradito gli impegni e il programma con cui è stato votato, in ogni caso per 5 anni non è revocabile e per la durata della legislatura può fare tutto ciò che vuole, anche il contrario di quanto promesso in campagna elettorale. In ogni elezione si sprecano gli appelli al voto di tutti i partiti. Lo slogan “non importa per chi votate, purché votate” serve a legittimare questo sistema criminale, marcio e ingiusto. Ormai e sempre più evidente che nella società capitalista/imperialista sia la maggioranza che l’opposizione sono funzionali al sistema di sfruttamento capitalista e chi si illude di cambiare il sistema con il voto diventa complice degli sfruttatori. Dietro la maschera delle istituzioni cosiddette democratiche si nasconde la vera dittatura del capitale e delle classi dominanti. La democrazia rappresentativa è solo un paravento che serve a tenere soggiogata la popolazione illudendola che lo Stato e le sue istituzioni siano l’espressione di tutto il popolo, quando in realtà rappresentano gli interessi della frazione della classe dominante più forte economicamente. I partiti che rappresentano le varie frazioni del capitale e i governi rispondono direttamente alle multinazionali, ai grandi capitalisti, all’imperialismo. Le belle parole come “democrazia”, “libertà”, “uguaglianza”, “interessi della nazione” valgono solo per i membri della classe borghese e servono a loro per nascondere il dominio incontrastato del capitale, per continuare a sfruttare i lavoratori e saccheggiare la natura. Per i governi dei padroni l’unico diritto riconosciuto è quello del profitto, tutti gli altri sono subordinati e concessi solo se compatibili con il sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Oggi con l’acuirsi della crisi economica e politica, aggravata dalla pandemia di covid19, sono messi in discussione, negati, proibiti anche i diritti costituzionali, quelli di manifestare e di scioperare. Concessi solo se non ostacolano i piani della ripresa economica capitalista fondata sullo sfruttamento e sui profitti, che oggi si manifesta attraverso il PNRR e i suoi vincoli con l’Unione europea.

tro il cancro, alla difesa del panda o al cambio climatico. Alcuni passano direttamente alla politica ma, anche se scelgono di non farlo finanziano le campagne dei politici, li proteggono e, in definitiva, li comprano e li dominano.

Un solo esempio: Bill Gates

A smentire questo discorso stanno, tanto per cambiare, i dati dell’OCSE su quanto è accaduto nel mercato del lavoro durante l’anno e mezzo della pandemia: mezzo miliardo di nuovi poveri, 400 milioni di posti di lavoro cancellati nel 2020 e altri 430 milioni a rischio. La ricchezza finanziaria di 25 miliardari è aumentata di 255 miliardi di dollari in poco più di due mesi. 4 delle più grandi aziende tecnologiche del mondo, Google, Apple, Facebook e Amazon, ritengono di realizzare quest’anno e complessivamente quasi 27 miliardi di dollari di extraprofitti. Da gennaio, secondo i dati forniti dalle stesse aziende, Microsoft e Google hanno remunerato gli azionisti rispettivamente con oltre 21 e 15 miliardi di dollari. E naturalmente anche i giganti di Big Pharma hanno aumentato i profitti.

Se i proletari lottano per i propri diritti e interessi - come nel caso dei lavoratori che difendono l’occupazione o scioperano in molte fabbriche, logistiche, porti (vedi Trieste) contro il green pass - lo Stato e le sue istituzioni calano la maschera “democratica” mostrando tutta la violenza di cui sono capaci pur di difendere i privilegi e gli interessi delle classi dominanti. I mass media in mano agli stessi padroni che sfruttano i lavoratori sono sempre pronti con le loro TV, giornali e i loro giornalisti prezzolati a sostenere il governo e le sue falsità per denigrare e criminalizzare chi si oppone. Centrodestra e centrosinistra sono due facce della stessa medaglia. Il vero potere risiede nel capitale. I due schieramenti nei programmi elettorali sono molto simili in alcuni punti. Per esempio concordano sulla centralità dell’impresa e sulle politiche di sostegno alle imprese: così i capitalisti vincono sempre qualunque sia la maggioranza che si forma a seguito delle elezioni. Non bisogna mai dimenticare che anche la repubblica borghese più democratica è soltanto una macchina che permette alla borghesia di schiacciare la classe operaia, che permette ad un pugno di capitalisti di schiacciare le masse lavoratrici. Senza cadere in teorie complottiste e senza negare le contraddizioni interimperialiste vogliamo ricordare il Gruppo Bilderberg - istituito il 29 maggio 1954 su iniziativa del banchiere statunitense David Rockefeller, la cui prima conferenza si tenne presso l’hotel Bilderberg ad Oosterbeek, vicino Arnhem, nei Paesi Bassi - che ogni anno si riunisce per

discutere dei destini del mondo. In questi incontri riservati sono invitati circa 130 partecipanti, la maggior parte dei quali sono personalità nel campo economico, politico e bancario, industriali, finanzieri, giornalisti ed ex presidenti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale ecc, che dal 1954 e una sola volta all’anno si ritrova per discutere (o decidere?) segretamente il futuro politico ed economico dell’umanità. Ai cuochi (governi) e ai camerieri (parlamenti, politici, istituzioni, sindacalisti e giornalisti) servi del capitale imperialista, poi spetta il compito di cucinare e servire il piatto deciso dai padroni ai proletari, un piatto di lacrime e sangue. La democrazia è la sovrastruttura borghese costruita per difendere e conservare la struttura classista sottostante, per cui tutti quelli che s’illudono di cambiare i rapporti economici e sociali con il voto sono destinati alla sconfitta. Non si può utilizzare la democrazia borghese per sovvertire i rapporti di classe. Per dirla con Lenin di “Stato e Rivoluzione”: “Questa democrazia è sempre limitata nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalista, e rimane sempre, in definitiva, una democrazia per la minoranza, solo per le classi possidenti, solo per i ricchi. La libertà, nella società capitalistica, rimane sempre più o meno quella che fu nelle repubbliche dell’antica Grecia: la libertà per i proprietari di schiavi”. Per cui, “lo Stato borghese non può essere sostituito dallo Stato proletario (dittatura del proletariato) per via di “estinzione”; può esserlo unicamente, come regola generale, per mezzo della rivoluzione violenta”.

Le 7 società farmaceutiche analizzate da Oxfam nel suo rapporto sull’andamento del 2020 stanno realizzando in media un margine di profitto del 21%. 6 di queste guadagneranno 12 miliardi di dollari in più durante la pandemia rispetto alla media degli ultimi 4 anni. Tra queste Merck 4,9 miliardi in più, Johnson & Johnson e Roche avranno circa 3 miliardi di dollari di extra-profitti ciascuna; tre delle più importanti aziende statunitensi che hanno lavorato allo sviluppo di vaccini per il Covid19, grazie anche a cospicui investimenti pubblici – Johnson & Johnson, Merck e Pfizer – hanno già distribuito dal mese di gennaio 16 miliardi di dollari ai propri azionisti. Invece pagare le tasse è roba da poveri: viva quindi il capitalismo che, sia detto per inciso, è riuscito persino, con il Green Pass, a far pagare i lavoratori per lavorare. Far pagare più tasse ai ricchi? Il dibattito parte da lontano: qualcuno l’aveva già proposto anni addietro. Ma questo che risultato avrebbe? Quello di trasferirne il costo sui lavoratori abbassando i loro salari. Da dove proviene il profitto, che sia più o meno scandaloso nel suo ammontare? Per noi viene dalla proprietà privata dei mezzi

di produzione, dallo sfruttamento del lavoro salariato. E se “tassare i ricchi” può essere uno slogan nelle manifestazioni, è forse un obiettivo che cambierebbe i rapporti di produzione che vigono in questa società reale in cui dove viviamo, nel capitalismo? I capitalisti posseggono i mezzi di produzione e ritengono quindi di avere “diritto” a tutto ciò che i lavoratori producono. Noi lavoratori non possediamo nulla che possa produrre ricchezza, se non la nostra forza-lavoro che crea tutta la ricchezza della società ma che ci viene espropriata dai capitalisti. Questa è la vera radice del problema della disparità enorme tra una piccolissima minoranza ed una enorme maggioranza. Se l’aliquota fiscale dei ricchi viene alzata i rapporti di produzione non cambiano. Non di questo abbiamo bisogno, ma di un rovesciamento completo di questa barbara società, di un altro modello che ci ostiniamo a chiamare “socialismo” per costruire il quale dobbiamo organizzarci.

(*) CIP “G.Tagarelli” via Magenta, 88 Sesto S.Giovanni


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Gli interessi attorno all’Afghanistan e la tragedia del suo popolo Heela Najibullah:

Fabrizio Poggi La frettolosa uscita yankee dall’Afghanistan, non è una fuga e non è l’ammissione di una sconfitta. Tutto è stato programmato e concordato con le passate autorità collaborazioniste afgane e anche con gli stessi Talebani. Nulla a che vedere con il ritiro USA dal Viet Nam, un parallelo ostentato da numerose cronache giornalistiche; non foss’altro per il fatto che cinquant’anni fa la decisione di Washington fu lo sbocco anche di un vasto movimento popolare in tutto il mondo, USA compresi, contro l’aggressione neo-coloniale all’intera penisola indocinese. La scelta di lasciare l’Afghanistan, dopo venti anni di bombardamenti, di stragi di centinaia di migliaia di civili, di rapina del territorio, è piuttosto la dimostrazione della necessità di un riposizionamento delle forze USA, rimanendo immutato l’obiettivo di insidiare i confini meridionali dell’ex Unione Sovietica, oggi costituiti dalle Repubbliche dell’Asia centrale e, soprattutto, di modulare lungo altre direttrici il confronto con la Cina. Ne sono testimonianza (vedi “nuova unità” n. 5/2021) quella “NATO orientale” che è il partenariato Indo-Pacifico, il Quadrilateral Security Dialogue (QSD: USA, India, Giappone, Australia), il patto AUKUS (USA, Gran Bretagna, Australia), che affiancano ANZUS (Washington, Wellington, Canberra) e il vecchio Five Eyes, firmato 75 anni fa da USA, UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda. E, cosa che riguarda anche l’Italia, Bruxelles risponde ai passi di Washington con una brusca accelerazione della propria strategia militare, proclamata dalla dichiarazione congiunta della presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e del Ministro della difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer, con cui si chiede un «salto in avanti» nella militarizzazione della UE e «l’espansione della presenza navale nella regione Indo-Pacifico». Così, il Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, incita ad accelerare sulla “difesa comune europea” e a ridefinire «la dottrina della sicurezza», dando vita a «una forza di proiezione attivabile rapidamente», soprattutto dopo il ritiro yankee dall’Afghanistan, che «ha evidenziato ancora una volta la forte dipendenza dell’Europa dalla politica estera e di sicurezza di Washington». Ancora la von der Leyen ha affermato che la UE deve essere in grado di operare militarmente in modo indipendente, anche «senza la partecipazione di NATO o ONU», attraverso una «Unione europea di difesa». D’altronde, dopo esser stati per vent’anni al servizio degli USA a Kabul, i “partner” europei vogliono esprimere i propri interessi più autonomamente di quanto non abbiano potuto fare in questi due decenni. Per quanto ci riguarda l’Italia, nonostante la “missione di pace” in Afghanistan sia costata oltre 8 miliardi, si continua a dislocare circa 10.000 soldati in 40 diverse operazioni militari all’estero, con i relativi costi, ma anche con i profitti per le imprese che ne garantiscono l’operatività. Tutte missioni che assicurano la fedeltà atlantica del nostro paese e la complicità nei crimini USA. Oggi, dopo il “ritiro” occidentale e la presa del potere da parte talebana, a Kabul si intensificano gli attacchi dei loro avversari di ISIS e Al Qaeda, beneficiari di buona parte delle centinaia di miliardi di dollari ufficialmente “perduti” dagli USA, tra gestione mafiosa della “ricostruzione”, affidata a società private americane (anche controllate da Presidenti USA), corruzione di funzionari e militari afgani, appalti pagati svariate volte più del valore reale, costruzione di inutili autostrade e di ville per ras locali. Un solo esempio, risalente al 2013 e che riguarda indirettamente l’Italia: una decina di anni fa, 16 aerei da trasporto G-222 della Alenia Aeronautica, costati

dall’accordo sottoscritto a Doha nel febbraio 2020, tra USA e Talebani: «sono aumentate le violenze, le violazioni dei diritti umani, le uccisioni mirate di giornalisti, artisti e attivisti politici» 500.000 dollari, furono lasciati arrugginire all’aeroporto di Kabul dopo appena cinque anni dall’acquisto e poi venduti come rottami per 40.000 dollari. Oppure: nonostante 1,5 milioni di dollari al giorno per “combattere la coltivazione della droga” nel paese, nel 2020 la produzione di oppio era aumentata del 37% rispetto al 2019. A dispetto dei 90 miliardi di dollari per “l’addestramento” dell’esercito afgano, questo si è disintegrato in un batter d’occhio. E via di questo passo, senza contare i costi umani e sociali per il popolo afgano, martoriato negli anni ‘80 dalla guerriglia dei mujaheddin finanziati da Washington contro il governo democratico e il contingente sovietico che lo sosteneva, poi sottoposto alle violenze dei talebani per buona parte degli anni ‘90, prima di sperimentare vent’anni di “democrazia” dei bombardieri USA e NATO e, ora, di nuovo il regime oscurantista dei Talebani.

L’Afghanistan dei Talebani

Come ha testimoniato su il manifesto l’ex deputata del Parlamento afgano, Malalai Joya, a «meno di due mesi dall’inizio di questo nuovo regime talebano, possiamo già vedere la brutalità che scateneranno contro il nostro popolo... la distruzione di vaste aree del Panshir e le uccisioni mirate, le esecuzioni sommarie, il trasferimento forzato dei residenti del Panshir, la brutale repressione delle manifestazioni e la tortura, la scomparsa di molti giornalisti, attivisti sociali, giovani manifestanti, la cui sorte è ancora sconosciuta... i taleban non sono cambiati, né sono diventati moderati, morbidi e umani.I diritti delle donne sotto il regime talebano sono inesistenti e anzi tornano la tortura, le frustate, i matrimoni forzati, la lapidazione, il divieto della musica e la privazione dei bisogni elementari, la privazione dell’istruzione e del lavoro, disoccupazione». Un reportage della TV russa di qualche settimana fa, dava notizia di «una lunga lista di divieti che hanno cambiato significativamente la vita degli afgani. Quando i talebani hanno preso il controllo del paese, hanno giurato di rispettare i diritti delle donne e di non vietare loro istruzione, lavoro o assistenza sanitaria, ma questo è durato appena un paio di settimane». Un esempio è la storia di Fazila, che ha «lavorato al Ministero Industria e Commercio per oltre 25 anni, iniziando sotto Najibullah, pur interrompendo il lavoro quando i talebani hanno preso il potere. Poi sono arrivati gli americani e Fazila ha lavorato con ONG occidentali. Poi gli americani sono fuggiti e ora Fazila e altre come lei non ha assolutamente idea di come vivere». C’è da dire, rileva

la TV russa, che le «azioni dei talebani sono sostenute dagli uomini... di fronte al sentimento anti-americano, l’indipendenza delle donne è vista da molti come risultato delle azioni ostili del governo occupante». Inoltre, gli americani hanno «abbandonato decine di migliaia di afgani che avevano collaborato con le forze di occupazione: interpreti, personale logistico, tecnici...». Ovvio che, oltre alla responsabilità principale USA, come ha detto Malalai Joya, le varie «potenze regionali sono da tempo interessate all’intervento e all’occupazione, o al controllo dell’Afghanistan, specialmente Cina, Russia, Pakistan, Iran. Ognuno di questi paesi ha i propri interessi strategici specifici. Inoltre, paesi come Regno unito, Germania, Turchia, Qatar, Francia e molti altri hanno contribuito all’instabilità dell’Afghanistan e a far arretrare il paese per i loro interessi politici, economici e militari», ghiotti delle ricche risorse naturali del paese.

Gli interessi esteri

Ecco, ad esempio, che i Ministri degli esteri di Russia, Sergej Lavrov, e Iran, Hosein Amir Abdolahian, incontratisi a Mosca, si sono detti interessati a una maggiore cooperazione internazionale “per la ricostruzione dell’Afghanistan” e i Talebani sono stati invitati ai negoziati a Mosca del 20 ottobre, insieme ai rappresentanti di Russia, Cina, Pakistan, Iran e India. Il 12 ottobre, assenti Russia e Cina, si è riunito il G20 sull’Afghanistan: formalmente, dopo la “guerra umanitaria”, per parlare di “aiuti umanitari” e ”corridoi umanitari e necessità di “contatti con i talebani!; sostanzialmente, ci si è preoccupati soprattutto di fermare i migranti. Per quanto riguarda la strategia di Pechino, da varie parti si parla di compagnie militari private cinesi che prenderebbero posizione in varie aree delle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, dopo il ritiro USA dall’Afghanistan. Ufficialmente, sembra che in Cina non esistano compagnie militari private, bensì organizzazioni addette alla protezione di società cinesi operanti in aree “problematiche”, o di trasporti marittimi privati. Per quanto riguarda le Forze armate regolari, Pechino punta soprattutto sulla flotta, per fronteggiare la crescente presenza USA nell’IndoPacifico, ma, da tempo, sta elevando a livello adeguato anche i reparti di terra dislocati alle frontiere occidentali. Ciò sembra connesso anche alle dichiarazioni dei cosiddetti “talebani tadžiki”, membri della Jamaat Ansarullah, di voler penetrare in Tadžikistan, partendo da alcune aree da essi controllate nel nord dell’Afghanistan.

Heela Najibullah

Significative anche le parole pronunciate nell’agosto scorso da Heela Najibullah, figlia dell’ex Presidente della Repubblica democratica d’Afghanistan e Segretario del Partito Democratico Popolare d’Afghanistan, Mohammad Najibullah, torturato e assassinato dai talebani nel 1996. La denuncia di Heela, non faceva che anticipare quanto ora ribadito da Malalai Joya e dalla TV russa. Dall’accordo sottoscritto a Doha, in Qatar, nel febbraio 2020, tra USA e Talebani, «sono aumentate le violenze, le violazioni dei diritti umani, le uccisioni mirate di giornalisti, artisti e attivisti politici». Chiaro, ha detto Heela, che agli yankee non «interessavano il futuro della società civile, i diritti delle donne». A proposito delle potenze occidentali: «Durante la Guerra Fredda e, in seguito, nella guerra contro il terrorismo, le grandi potenze hanno sostenuto i gruppi estremisti e hanno usato la religione come strumento per conquiste geopolitiche». Ora, ha detto Heela, la «situazione politica afgana è legata anche alle questioni globali odierne e alle alleanze mutevoli. Cina, UE, India, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Russia e Turchia hanno i propri interessi in Afghanistan... Gli USA e i loro alleati hanno trattato l’Afghanistan e il suo popolo come un laboratorio... Mio padre aveva proposto una conferenza internazionale sull’Afghanistan, in modo che le parti interessate, regionali e globali, potessero lavorare insieme e mettere da parte le differenze. Voleva che l’Afghanistan fosse un paese neutrale, che potesse vivere in pace con i propri vicini». Come si può vedere dalla dichiarazione riportata in queste pagine, trascorso nemmeno un anno dagli accordi di Ginevra dell’aprile 1988, il Governo democratico afgano già paventava “piani espansionistici ostili” di USA e Pakistan in spregio a quegli accordi, nonostante la sciagurata decisione gorbačëviana sul ritiro del contingente sovietico. In tal modo, affermava Kabul, si compromettevano sul nascere gli “sforzi diretti a porre fine al conflitto e a raggiungere un accordo tra gli afgani”. La fine stessa dell’URSS, poi, fece precipitare la situazione.

Dichiarazione del governo della Repubblica dell’Afghanistan - 1989 Oggi l’ultimo soldato del limitato contingente di truppe sovietiche in Afghanistan è entrato nel territorio dell’Unione Sovietica. Nel contesto della soluzione politica globale е in conformità degli accordi ginevrini, sono stati completamente adempiuti gli impegni per il ritiro delle truppe straniere entro i termini stabiliti.


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Un Nobel per la pace sulla scia di Sakharov e Gorbaciov Il Nobel per la pace 2021 è andato a due giornalisti: la filippina (oggi statunitense) Maria Ressa e il russo Dmitrij Muratov. Onestamente, non conosciamo Maria: constatiamo solo che scrive dagli USA, contro un Presidente filippino dalle relazioni non proprio “sicure” con Washington. Per quanto riguarda Muratov, fondatore e direttore di Novaja Gazeta, ricordiamo cosa scrivesse lui (nel 1994 sulla Cecenia di Džokhar Dudaev) e cosa scrivesse Novaja Gazeta (sulla Cecenia di Ramzan Kadyrov, le Repubbliche popolari del Donbass ecc.) e come se ne facciano megafono i suoi estimatori liberali, La Repubblica in testa. Muratov è il “terzo russo” (oppure: “primo russo”

dopo “due sovietici”) a ricevere il Nobel, dopo Mikhail Gorbačëv (1990) e Andrej Sakharov (1975). Come sanno i lettori di “nuova unità”, non siamo teneri con il corso eltsiniano-putiniano russo; notiamo però come tutti loro, i Muratov, i Sakharov, i Gorbačëv (tra l’altro, azionista di “Novaja”) siano in buona compagnia, quali “paladini della pace”, per dire, con Lech Wałęsa o Barack Obama, o addirittura con la UE, insignita del Nobel nel 2012: certo per i bombardamenti su Belgrado al carro di USA e NATO, prima che si cimentasse nel sostegno al golpe nazista in Ucraina. Il Presidente USA Joe Biden si è profuso in sospiri su «libera stampa e libertà di espressione in tutto il mondo». USA

Questo importante avvenimento esige una valutazione minuziosa е responsabile dello sviluppo della situazione all’interno е attorno all’Afghanistan negli ultimi dieci anni, l’analisi degli impegni internazionalmente riconosciuti dei paesi che hanno firmato gli accordi ginevrini. Seguendo la politica della conciliazione nazionale e profondamente consapevole della necessità impellente di una rapida soluzione pacifica, la Repubblica dell’Afghanistan sta compiendo tutti gli sforzi per concludere felicemente il processo ginevrino ed eliminare tutti gli aspetti esterni del conflitto afgano. La firma degli accordi ginevrini è diventata possibile solo quando, da una parte, il governo della RA ha creato le condizioni favorevoli al ritiro delle truppe sovietiche e, dall’altra, tutte le parti interessate hanno compreso la necessità di affrontare nella loro interdipendenza la soluzione degli aspetti esterni del problema afgano. Questa è stata appunto la base logica degli accordi di Ginevra. Lo spirito e la lettera di Ginevra sono diretti a porre fine all’ingerenza sempre maggiore dall’esterno nel conflitto interno afgano, ad aprire la via alla normalizzazione dei rapporti tra l’Afghanistan e il Pakistan, al fine di attenuare il conflitto interno in Afghanistan e rafforzare la pace e la sicurezza nella regione. Tuttavia, i principi basilari del nesso reciproco tra gli impegni assunti e la necessità del loro adempimento, sono stati grossolanamente violati. Mentre le parti afgana e sovietica si sono impegnate al massimo per adempiere rigorosamente i loro impegni, il Pakistan e gli USA non hanno nascosto i loro propositi di ridurre il senso degli accordi ginevrini esclusivamente al ritiro delle truppe sovietiche, ignorando completamente i loro impegni circa la non ingerenza negli affari interni dell’Afghanistan. Nella stessa misura in cui il rispetto degli accordi ginevrini da parte dell’Unione Sovietica e delI’Afghanistan hanno elevato il prestigio dell’Organizzazione

compresi, voleva forse dire Biden, pensando certamente a Julian Assange, o all’ex procuratore generale ucraino Viktor Šokin, rimosso nel 2016 su pressione di Biden, per le sue indagini sulla Burisma Holding, in cui era invischiato Biden junior. Una delle “firme” più note di Novaja Gazeta, Andrej Zubov, ha ricordato come Sakharov e Gorbačëv avessero «più che meritato questo premio», per la loro «lotta contro il mostro comunista totalitario». In particolare, Gorbačëv, «figlio del sistema comunista, imbevuto del veleno della sua propaganda», riuscì tuttavia «a sconfiggere la sua menzogna satanica». «Caro Muratov» ha scritto Zubov, «sono felice per te, per “Novaja”, per tutti noi,

delle Nazioni Unite, la loro violazione da parte degli USA e del Pakistan ha minato l’autorità di questa organizzazione internazionale. In ciò, si manifesta con chiarezza il disprezzo da parte degli USA e del Pakistan delle norme del diritto Internazionale. L’ingerenza armata negli affari interni dell’Afghanistan è aumentata di molto, sia sul piano quantitativo che qualitativo, rispetto ai nove mesi precedenti la firma degli accordi ginevrini. In territorio pakistano hanno intensificato la loro attività i campi in cui avviene l’addestramento militare dei gruppi di estremisti. Sempre in territorio pakistano si trovano depositi di armi e munizioni, tipografie, stazioni radio, comandi e altri uffici dei gruppi afgani di opposizione. La recente decisione del Pakistan di intervenire direttamente nel conflitto con operazioni delle sue forze armate, a fianco dei gruppi di opposizione afgana, ha peggiorato notevolmente la situazione. Secondo notizie ricevute da fonti competenti, a tutt’oggi sono stati registrati più di 4.600 casi di violazione, da parte del Pakistan, degli accordi di Ginevra, 1.800 dei quali sono stati portati a conoscenza della Missione ONU per i Buoni Uffizi in Afghanistan e Pakistan (UNGOMAP) per un loro ulteriore esame. Purtroppo, gli Stati Uniti non solo hanno violato i loro impegni come garanti degli accordi ginevrini, ma hanno alimentato il conflitto, inviando grosse partite di armi moderne alle formazioni dell’opposizione afgana. Inoltre, gli sforzi del UNGOMAP per controllare il rispetto degli accordi ginevrini si sono rivelati infruttuosi, a causa degli ostacoli artificiosamente creati dal Pakistan. Gli USA e il Pakistan, avendo calpestato gli accordi di Ginevra, hanno compromesso i nostri sforzi diretti a porre fine al conflitto e a raggiungere un accordo tra gli afgani. Il Pakistan ha compiuto tentativi per unificare i vari gruppi di opposizione afgani, nella cosiddetta Shura (consiglio consultivo) e nel

come ero felice nel 1970 per Solženitsyn, nel 1975 per Sakharov, nel 1990 per Gorbačëv». Questo scrive Zubov, tra le cui epigrafi feisbuc, campeggia quella per la “decomunistizzazione” e per «cessare per sempre il vergognoso strisciante revanscismo leninista-stalinista. Ogni monumento a Lenin, Dzeržinskij, Stalin, ogni strada con i loro nomi, rappresentano uno schiaffo a noi e un insulto alle spoglie delle persone da essi uccise». Dove avrà visto un “revanscismo leninista-stalinista”, o scovato strade intitolate a Lenin, Stalin o Dzeržinskij, nella Russia eltsiniano-putiniana, lo sa solo lui! In generale, come scrive Jurij Nersesov su Svobodnaja pressa, l’attività di Muratov

è vantaggiosa sia per l’occidente, sia per il Cremlino. In che senso? Il fatto è che, ad esempio, pochi giorni prima del Nobel, Muratov era intervenuto su “Novaja” in difesa di Aleksej Venediktov, direttore della radio “Ekho Moskvy” (fa il paio con Novaja Gazeta), che aveva parlato di “stalinisti al potere”. Tali esternazioni di due delle principali testate dell’opposizione liberale, scrive Nersesov, «sono estremamente vantaggiose per il Cremlino», tanto che, per 16 anni, «questi “oppositori” hanno avuto un rappresentante al governo, nella persona del presidente del Servizio federale anti-monopolio, Igor Artem’ev, ora assistente del primo ministro Mikhail Mišustin». E dunque non sorprende

governo provvisorio sul suo territorio, e a tal fine ha esercitato una forte pressione nei loro confronti. Servendosi di questo «governo», alcuni dirigenti del Pakistan vorrebbero realizzare il loro piano di annessione dell’Afghanistan con il pretesto della «Confederazione afgano-pakistana». II popolo e il governo della Repubblica dell’Afghanistan respingono e condannano con fermezza questi piani espansionistici ostili, diretti contro l’indipendenza dell’Afghanistan. Qualsiasi decisione di questa «Shura», nella quale non sono rappresentate tutte le forze politiche reali esistenti dentro e fuori l’Afghanistan, non eserciterà nessun’altra influenza tranne quella di rafforzare l’ostilità e di rendere ancor più difficile la normalizzazione politica della situazione in Afghanistan, e perciò non avrà nessun valore legale per il popolo e per il governo della Repubblica dell’Afghanistan. Non v’è alcun dubbio che la posizione del governo della Repubblica dell’Afghanistan su questa questione gode dell’appoggio totale degli amici dell’Afghanistan. Nella situazione che si era creata, l’Afghanistan e l’URSS avevano il pieno diritto di sospendere il ritiro dei reparti sovietici. Tuttavia è stato deciso di proseguire il loro ritiro in conformità del calendario stabilito, al fine di dimostrare la fedeltà dei due paesi agli accordi ginevrini, e anche per spingere l’altra parte a rispettare gli impegni derivanti dagli accordi. Ora che nell’Afghanistan non vi sono truppe sovietiche, il governo della Repubblica dell’Afghanistan invita a compiere un’analisi responsabile e realistica della situazione ed anche delle serie conseguenze che deriveranno inevitabilmente dalle gravi violazioni degli accordi di Ginevra da parte del Pakistan e degli USA. Esso dichiara che nel caso in cui dovesse proseguire l’ingerenza negli affari interni dell’Afghanistan, tutta la responsabilità per le pericolose conseguenze di questo fatto ricadrà interamente sulla parte pakistana.

L’attività di Muratov è vantaggiosa sia per l’Occidente, sia per il Cremlino che «il potere sostenga Novaya Gazeta: quando, nel 2014-2015, le sue finanze traballavano, l’amministrazione presidenziale la sostenne lautamente. Detto ciò, rimaniamo in attesa di un “Nobel” (?) per i comunisti fermati e arrestati in Russia. fp

Coloro che pensano che dopo il ritiro delle truppe sovietiche sarà loro permesso di fare tutto quello che vogliono e che si propongono di continuare ad estendere l’aggressione contro l’Afghanistan, devono sapere che il Governo della RA ha il pieno diritto di adottare tutte le misure difensive necessarie, in conformità dello statuto dell’ONU e degli accordi bilaterali afgano-sovietici. Il popolo e il governo della Repubblica dell’Afghanistan si aspettano che il Segretario generale dell’ONU, come depositario degli accordi ginevrini, adempirà con efficacia e sotto tutti gli aspetti i suoi doveri sulla base della risoluzione della 43° sessione dell’Assemblea generale dell’ONU e utilizzerà i poteri che gli sono stati dati per indurre la parte opposta a rispettare anch’essa gli accordi di Ginevra. Ora che le truppe sovietiche hanno abbandonato il territorio dell’Afghanistan, il governo della RA, a nome di tutto il popolo afgano, esprime sincera gratitudine al popolo e al governo dell’URSS per il loro aiuto multilaterale e per la loro solidarietà con la lotta per la sovranità nazionale, l’indipendenza politica e l’integrità territoriale della nostra patria. Esso è certo che i rapporti tra i due Stati continueranno a svilupparsi sui principi dell’amicizia, dei rapporti di buon vicinato, del mutuo vantaggio, della non ingerenza negli affari interni, in conformità dei trattati e degli accordi bilaterali, nell’interesse dei popoli dei due paesi, della pace, della stabilità e della collaborazione nella nostra regione e in tutto il mondo. Il governo della RA dichiara che il popolo afgano è pronto a lottare con fermezza contro tutte le forme di ingerenza straniera e a sventare i piani nefasti e gli intrighi dei nemici del loro paese.

(Agenzia Bahtar, 15 febbraio 1989 Pubblicato sul № 8/1989 di Notizie dai Partiti Comunisti)

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IL’incubo della Talidomide La pubblicità ne sottolineava la “completa atossicità” Liri Per venire incontro alle nausee delle puerpere, tra gli anni ’50 e ’60, fu messo in commercio un farmaco sedativo e ipnotico, il Grippex il cui principio attivo era la talidomide. Dopo anni dall’entrata in commercio, la terribile scoperta che ne ha fatto un medicinale tristemente famoso perché responsabile di gravi malformazioni e deficienze per i neonati, anomalie cardiache e problemi cerebrali. La talidomide fu ritirata dal mercato il 27 novembre 1961 dopo che in maggio la Chemie Grünenthal aveva modificato le scritte sulla confezione del farmaco introducendo tra i possibili effetti collaterali, in caso di uso prolungato, l’insorgenza di neuropatie. Ci sono voluti ben 50 anni di silenzio per avere le scuse pubbliche del direttore esecutivo del Grünenthal Group - casa farmaceutica che commercializzò il farmaco - Harald Stock. Un gesto plateale ma certamente insufficiente avvenuto nel corso di una cerimonia di commemorazione per i (ex) bambini che hanno subito gli effetti collaterali della talidomide che si è tenuta a Stolberg nella regione della Renania Settentrionale-Vestfalia in Germania. Scuse che non bastano per gli oltre 10 mila bambini nati con braccia e gambe troppo corte o addirittura senza uno o più arti, problemi alla vista o all’udito, anomalie cardiache o danni cerebrali. Invece che portare il perdono, il gesto della casa farmaceutica ha riacceso la rabbia dei pazienti, soprattutto per chi dice che i produttori erano in realtà consapevoli dei rischi del farmaco (ricordiamoci la storia dell’amianto!). “Se sono seriamente dispiaciuti che si adoperino per fornirci il tipo di aiuto adatto alle nostre esigenze: dalle case alle auto, non abbiamo chiesto noi di nascere” così - dicono. Attualmente sono diverse le persone in Italia con malformazioni congenite le cui madri hanno assunto talidomide come farmaco anti-nausea durante la gestazione. Nel 2009, il Ministero della Salute Italiano ha riconosciuto un indennizzo ai pazienti affetti da malformazioni causate dalla talidomide nati fra il 1959 e il 1965. Nel 2017 il Ministero della Salute ha esteso la possibilità di ricevere un indennizzo ai nati fra il 1958 e il 1966 e ai pazienti nati al di fuori di questo intervallo di tempo che presentano malformazioni compatibili con quella che viene definita come sindrome da talidomide, ma la pratica (ovviamente) è molto complicata. Talidomide e il potere dell’industria farmaceutica, il libro di Henning Sjoström e Robert Nilsson, per la collana “Medicina e potere”, ripercorre quella triste storia. Giulio Maccacaro, nella prefazione alla traduzione italiana del volume, si soffermò sui silenzi complici e sulle omissioni che nel nostro paese avevano accompagnato la commercializzazione della talidomide e la censura sul numero e la sofferenza delle sue vittime. La seconda guerra mondiale, con la richiesta di antibioti-

ci e vaccini, aveva incentivato lo sviluppo del settore farmaceutico; dopo il conflitto i profitti cominciarono a lievitare per lo sviluppo di nuovi prodotti e brevetti. Negli anni Cinquanta del Novecento la prescrizione medica fu resa obbligatoria per la maggior parte dei farmaci: il legame tra medici e case farmaceutiche andava rafforzandosi assieme alla fiducia della popolazione nella medicina. Le terapie farmacologiche non tardarono, però, a manifestare anche gravi effetti collaterali. Per tutti gli anni Cinquanta fu la fabbrica tedesca Chemie Grünenthal, fondata nel 1946 a Stolberg in una fonderia di rame abbandonata, la produttrice di vari tipi di antibiotici, pochi dei quali venduti sotto il proprio nome, mentre grossi quantitativi andavano ad altre società. Per competere sul mercato con interessi e prodotti propri, la Grünenthal sviluppò nei suoi laboratori la talidomide, un farmaco che le aprì le porte nel settore dei sedativi e dei sonniferi. Il medicinale, commercializzato con il nome di Contergan, fu combinato con altri prodotti farmaceutici come l’aspirina o il chinino e passava la barriera placentare. Il primo caso di focomelia risale al 25 dicembre 1956. Un pediatra suggerì una correlazione tra la teratogenesi e il farmaco, ciononostante nel 1958 ebbe inizio una massiccia campagna pubblicitaria per il suo uso in pediatria, in geriatria e nei casi di diabete e disturbi al fegato. L’azione promozionale della Grünenthal portò ad un consumo della talidomide in ogni categoria e gruppo di età. Contemporaneamente si passò al lancio del prodotto sul mercato internazionale. Nella pubblicità se ne sottolineava la “completa atossicità”, basata sostanzialmente sull’osservazione che le cavie di laboratorio sopravvivevano anche ad elevate quantità di farmaco iniettate loro con una sola dose, ma non vennero inclusi animali gravidi. In una circolare inviata a tutti i medici professionisti durante la primavera del 1959 si poteva leggere: “Anche con dosi eccessive e un consumo prolungato l’efficacia del farmaco non è ridotta da effetti collaterali indesiderati” (Willis R.A. (1950) The borderland of embryology and pathology. Bull N Y Acad Med. 1950 Jul; 26(7):440-60). Il 26 novembre 1961, il settimanale tedesco “Welt am Sonntag” rivelò quel che stava accadendo con un articolo dal titolo: Malformazioni causate da pillole - allarmante sospetto di un medico nei confronti di un farmaco distribuito in tutto il mondo. Al titolo seguiva una puntualizzazione e una richiesta: “Ogni mese di ritardo nel prendere una decisione significa che nasceranno da cinquanta a cento bambini orribilmente mutilati (...) è ora che le autorità intervengano, e senza perdere un minuto di tempo!” (Kosenow W, Pfeiffer RA. Micromelia, haemangioma und duodenal stenosis exhibit. German Pediatric Society, Kassel, 1960. As cited by Taussig HB. A stu-

dy of the German outbreak of phocomelia. JAMA 1962;180:110614). Ma gli affari sono affari ed oggi la talidomide è utilizzata - in associazione a melfalan e prednisone nel trattamento del mieloma multiplo (un particolare tipo di tumore maligno che colpisce alcuni tipi di cellule del sistema immunitario, le plasmacellule), in pazienti con età inferiore ai 65 anni che non possono essere trattati con chemioterapia a dosi elevate. Gli effetti collaterali restano e sono tanti, solo che ora è il medico che deve dare al paziente tutte le informazioni necessarie, soprattutto quelle all’uso in gravidanza. Per le donne in età fertile che devono sottoporsi alla terapia con talidomide (che oggi non è raccomandata nei bambini e negli adolescenti con età inferiore ai 18 anni) esiste il “Programma di Prevenzione della Gravidanza”. Anche il partner deve sottoporsi alla medesima terapia farmacologica (difatti, la talidomide può essere escreta nel liquido seminale). Il trattamento con talidomide può causare: disturbi del sistema emolinfopoietico; del sistema nervoso; cardiaci e vascolari; della cute, del tessuto sottocutaneo; polmonari e delle vie aeree; gastrointestinali; e una serie di disturbi se associato con altri farmaci. Altro immenso danno alla salute e all’ambiente è datata 1976 quando, a causa del malfunzionamento di un reattore nell’industria chimica svizzera Icmesa a Meda che faceva parte del gruppo Givaudan, a sua volta acquistato dal gruppo Hoffmann-La Roche (farmaceutica), fuoriesce e si disperde diossina (TCDD) una delle sostanze artificiali fra le più tossiche, un materiale non biodegradabile – destinato alla produzione di triclorofeno-

lo, un componente di diversi diserbanti. Bambini colpiti dalla cloracne, una dermatosi che crea lesioni e cisti, donne residenti nelle zone inquinate costrette ad abortire - clandestinamente o all’estero in quanto l’interruzione di gravidanza era ancora un reato -, contaminazione del territorio e dei fiumi ecc. Non stupisce, quindi, che in coloro che non hanno perso la memoria esistano remore verso medicinali non sufficientemente testati e di comprovata sicurezza e che vogliano evitare degli aggravi tossico-nocivi per la propria salute, già minata dalle condizioni di vita e di lavoro non idilliache. E poi ci sono le fughe dalle centrali nucleari e poi gli esperimenti di sempre nuove armi e ordigni micidiali, e poi… e poi… ad avere la meglio è sempre il profitto nonostante i rischi delle conseguenze.

dalla prima A Monte Citorio avrebbe avuto un altro significato politico, ma ciò non ha impedito di denunciare - attraverso gli interventi dei presenti, in maggior parte familiari di stragi impunite dal Vajont a Viareggio, del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, di Moni Ovaia ecc. - le responsabilità delle morti a causa della ricerca del massimo profitto. Il Comitato ha contestato la riforma Cartabia e lanciato un appello per una proposta di legge - con un po’ di fiducia nelle istituzioni - che garantisca alle vittime il diritto dell’accertamento della verità, anche nella Carta costituzionale, perché oggi viene riconosciuto solo il diritto degli imputati. I partecipanti si sono poi trasferiti per un’assemblea alla “cappella” Orsini dove, ahinoi, si sono “esibiti” i senatori M5S che non perdono mai una ghiotta occasione. Stanno lavorando al progetto, hanno detto, premettendo che i tempi della legislatura sono ristretti e non permetteranno di arrivare a conclusione e comunque ricordiamo che la riforma Bonafede sulla prescrizione, che i familiari consideravano una svolta per evitare che tante stragi rimanessero impunite, è stata cancellata dal “nuovo” governo. Quando si fa poi si disfa. Le contestazioni dei portuali, a partire da Trieste, hanno spaventano il potere che ritira fuori l’asso del terrorismo e interviene con la violenza di Stato, perché bloccano l’economia. Indisturbate, invece le azioni dei fascisti a Roma che snaturano le proteste popolari contro i diktat governativi e attaccano una sede sindacale molto discussa dagli stessi iscritti, molto collaborativa con il governo e funzionale sia alla campagna repressiva contro chi realmente si oppone al sistema, sia al rilancio della teoria degli opposti estremismi. Le recenti elezioni amministrative, che hanno coinvolto 12 milioni di cittadini, hanno, ancora una volta, segnato un forte astensionismo, cresciuto negli anni e diventato più consapevole specie nelle periferie delle grandi città abbandonate dai politici dove dilaga il vero degrado. I candidati sono stati eletti con circa il 50% dei votanti - non degli italiani come tendono a dire le forse politiche, ingannando volutamente – e i partiti ne escono sconfitti perché non più credibili. Ora devono conquistare il 60% degli astensionisti e lo fanno non venendo incontro ai problemi reali, ma con la demagogia e accentuando la linea anticomunista perché sanno che solo i comunisti padroneggiano la teoria utile ad individuare chi sono i veri nemici.


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Notizie in breve dal mondo - ottobre stata 30 morti, migliaia di feriti e 460 persone con danni gravi agli occhi. Nella capitale Santiago, un centinaio di studenti e lavoratori della sanità hanno saltato i tornelli della metropolitana, come fecero un anno fa.

Battle Creek, Michigan, USA 7 ottobre

La Kellog’s annuncia il taglio di 212 posti di lavoro su 390 nella cittadina e l’intenzione di spostare in Messico aree della produzione e i lavoratori scendono in sciopero immediatamente, seguiti da quelli di altri 4 stabilimenti. Negli anni scorsi parti della produzione sono già state delocalizzate in Canada e in India. Quest’anno negli USA si sono già verificati 12 grandi scioperi che hanno riguardato 22.300 lavoratori.

Londra, Inghilterra 19 ottobre

Santiago, Cile 13 ottobre

Il presidente Sebastián Piñera decreta oggi lo stato di emergenza in 4 delle 7 province della zona sud che coinvolge le regioni del Bìobìo, Araucania e Los Rios (una superficie di circa 52 mila chilometri quadrati), zone della lotta mapuche per il recupero delle terre ancestrali e l’ottenimento dell’autonomia. Così, visto il fallimento delle azioni poliziesche, “le forze armate potranno prestare appoggio logistico, tecnologico e comunicazionale così come appoggio nella vigilanza, nel pattugliamento e nei trasporti ai procedimenti della polizia che si verifichino nella zona”. Da vent’anni nella zona continua la resistenza indigena che cerca di espellere le grandi imprese forestali (tra cui l’italiana Benetton) che controllano 4 milioni di ettari i cui boschi nativi sono stati distrutti e sostituiti con piantagioni di pino ed eucalipto.

Ouagadougou, Burkina Faso 15 ottobre

34 anni dopo il suo assassinio (15 ottobre 1987), inizia il processo contro gli assassini del “Che Guevara africano”, Thomas Sankara e di 12 suoi collaboratori, a cui seguì il colpo di Stato: il golpista Blaise Compaoré e i suoi collaboratori. Ne restano - naturalmente - fuori i suoi ispiratori e sostenitori, i servizi segreti di Francia e Stati Uniti in primis. Il processo è stato comunque reso possibile in base alla consegna di numerosi documenti d’archivio da parte della Francia, ex potenza coloniale dell’Alto Volta, come era allora chiamato il paese. Ma il quotidiano nazionale Sidwaya si chiede se davvero Parigi abbia consegnato tutti i documenti relativi all’assassinio, o solo i meno compromettenti.

Viveiro (Lugo), Spagna 17 ottobre

Migliaia di persone manifestano contro la chiusura degli stabilimenti Alcoa e Vestas nella cittadina di Viveiro. I manifestanti chiedono che le amministrazioni galiziane trovino soluzioni alla crisi industriale e fermino la chiusura delle due fabbriche. I manifestanti chiedono “atti, non parole” e che vengano cancellate le riforme del lavoro sia del 2010 che del 2012, che hanno permesso che “tutto il potere decisionale sui licenziamenti collettivi sia in mano alle imprese”.

Varsavia, Polonia 17 ottobre

Migliaia di persone sono scese in piazza per testimoniare la loro solidarietà ai migranti che da mesi cercano di attraversare la frontiera tra Bielorussia e Polonia, provenienti da Iraq, Siria e Afganistan, e che vengono respinti dalla Guardia di Frontiera. I manifestanti portavano bandiere fatte con coperte termiche per denunciare le durissime condizioni alle quali sono esposti i profughi, costretti a passare giorni e notti nei boschi. Lungo tutta la frontiera fra i due stati - 187 chilometri, che costituiscono anche la frontiera orientale dell’Unione europea - dal 2 settembre scorso è in vigore lo stato di emergenza; il divieto di ingresso comprende anche la stampa. Due giorni fa Varsavia ha deciso che lungo questo confine il filo spinato sarà sostituito da un muro su modello di quello già esistente fra Grecia e Turchia. Il costo stimato è di 360 milioni di euro.

The Guardian pubblica oggi i risultati di alcuni documenti declassificati e recentemente pubblicati dal Ministero degli Esteri britannico: il Dipartimento di Ricerca e Informazione, servizio propagandistico segreto inglese durante la Guerra Fredda, promosse e poi nascose lo sterminio di circa 3 milioni di simpatizzanti del Partito Comunista d’Indonesia (PKI) e di movimenti di sinistra negli anni ’60. Un gruppo di funzionari inglesi crearono allo scopo una radio e un bollettino diretto da presunti dissidenti. Dopo il colpo di Stato del generale Suharto, a fine ottobre 1965 cominciò la mattanza dei comunisti e dei presunti tali.

Roma, Italia 19 ottobre

Il direttore generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce le cifre relative ai morti sul lavoro: dal 2007 in Italia sono morti 15 mila lavoratori. Egli afferma anche: “Avremmo dovuto avere 15 mila sentenze, perché ne abbiamo solo alcune centinaia? È necessario un coordinamento investigativo. Le vittime hanno necessità di avere la stessa giustizia”.

La Paz, Bolivia 19 ottobre

Oggi più di 400 lavoratori di Amazon e Google scrivono una lettera aperta a The Guardian per denunciare che le due compagnie, in base ad un contratto del valore di circa 1.200 milioni di dollari chiamato Progetto Nimbus, si sono impegnate a fornire a Tel Aviv l’immagazzinamento di dati perché “il governo israeliano vigili con maggiore precisione sui palestinesi e li espella dalla loro terra”. I lavoratori denunciano quindi la “vendita di tecnologia pericolosa all’esercito israeliano”.

Il ministro Carlos Del Castillo ha denunciato oggi in una conferenza stampa che alcuni dei mercenari implicati in seguito nell’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moise si trovavano a La Paz alla vigilia delle elezioni dell’ottobre 2020 per cercare di evitare che il candidato Luis Arce, attuale presidente della Repubblica, assumesse il potere in caso di vittoria. Uno dei contatti dei mercenari era l’ex ministro dell’interno del governo golpista di Jeanine Áñez, Fernando López. Secondo rivelazioni del portale The Intercept (informazioni che sono state incrociate con quelle della sicurezza interna), Lòpez era disposto a dispiegare forze militari straniere per impedire l’assunzione al potere di Arce. Sono state presentate registrazioni in cui Lòpez negozia l’arrivo di paramilitari e sicari in Bolivia, alla “modica” somma di 125.000 dollari annui a testa oltre al rimborso delle spese.

Cile, 18 ottobre

Brasilia, Brasile 20 ottobre

Londra, Inghilterra 18 ottobre

Nelle principali città del paese - Valparaíso, Viña del Mar, Antofagasta, Concepción y Santiago - si sono svolte grandi manifestazioni - nel secondo anniversario delle proteste sociali dello scorso anno, riprendendone gli obiettivi - perché finisca l’impunità di coloro (carabineros e poliziotti) che hanno violato i diritti umani dei manifestanti. Un anno fa scoppiò la rivolta degli studenti contro l’aumento dei prezzi dei mezzi di trasporti, che si estese all’intero paese trasformandosi in una denuncia del neoliberismo che è co-

La Commissione Parlamentare di Inchiesta (CPI) ha terminato l’esame, durato 6 mesi, del comportamento del governo Bolsonaro nella lotta al Covid-19 e oggi presenta il suo rapporto finale che contiene gravissime accuse al presidente brasiliano. Secondo il rapporto egli ha agito in modo negligente, e opponendosi all’adozione di misure non farmacologiche come le mascherine e il distanziamento sociale. Tra gli 11 reati contestati al governo federale c’è anche quello di “genocidio” degli indigeni.

Londra, Inghilterra 20 ottobre

MEMORIA 9 ottobre 1967 Bolivia, La Higuera: muore Ernesto Che Guevara.

Ma la sua presenza rimarrà, come canta Francesco Guccini: Il terzo mondo piange Ognuno adesso sa Che “Che” Guevara è morto Forse non tornerà Ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni E voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni Da qualche parte un giorno Dove non si saprà Dove non l’aspettate Il “Che” ritornerà!

15 ottobre 1987 Ouagadougou, Burkina Faso

Viene assassinato Thomas Sankara, il presidente del paese, e altri 12 suoi collaboratori. Gli esecutori materiali sono al soldo di Blaise Compaoré, che immediatamente fa un colpo di Stato e prende il potere grazie all’appoggio di Francia e Stati Uniti. Chi era il “Che Gue-

vara africano”? Ecco come si era presentato all’ONU il 4 ottobre del 1984: “Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d’ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia – negli aspetti positivi quanto in quelli negativi – senza la minima esitazione”.

16 ottobre 1971 Barcellona

Il franchismo comincia a vacillare e oggi parte un grande sciopero alla Seat, la più grande fabbrica della Catalogna che impiega circa 20.000 operai. L’origine dello sciopero sta nelle elezioni sindacali, vinte dai candidati delle Comisiones Obreras clandestini nel sindacato ufficiale. La società non li riconosce e licenzia alcuni lavoratori tra cui i sindacalisti eletti. Gli operai chiedono la riammissione dei licenziati e si asserragliano nelle dipendenze della fabbrica. Verso la fine del mese la direzione della Seat chiede alle autorità che inviino la polizia in fabbrica per sgombrare gli operai. I poliziotti a cavallo e la Guardia Civil entrano e sparano – muore Antonio Ruiz Villalba, un giovane saldatore. Nella fabbrica ci sono 600 sui 6.000

operai che partecipano all’occupazione, che rispondono con il lancio di pietre e bulloni e pezzi di metallo. La fabbrica viene sgombrata, ma la sua lotta è il segnale che il regime non controlla più la situazione ed è il catalizzatore per la creazione della Asamblea de Catalunya, che raggruppa tutta l’opposizione antifranchista.

7 novembre 1917, Rivoluzione Socialista d’Ottobre

Una data scolpita nella storia. Per la prima volta i proletari, alleandosi e dirigendo i contadini poveri, presero il potere rompendo le catene dello sfruttamento. Importanti le conquiste del popolo sovietico nel campo sociale e del lavoro come: la giornata lavorativa di sette ore, il diritto alle ferie pagate, la liquidazione (in caso di morte del capo di famiglia la sua pensione viene pagata ai membri della famiglia minorenni o comunque incapaci di lavorare), il diritto alla maternità, la sanità e l’istruzione gratuita, la promozione dell’emancipazione della donna e l’uguaglianza tra uomini e donne. Il seme è ancora vivo!

Un gruppo di avvocati - di nome Guernica 37 - ha presentato oggi una denuncia per crimini di guerra in Yemen: gli accusati sono figure chiave (circa 20 membri dell’élite politica e militare) dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Guernica 37 chiede inoltre il loro arresto immediato se entreranno in territorio britannico. La denuncia è basata su tre eventi: un attacco di aerei della coalizione contro un autobus scolastico nell’agosto 2018 (26 bambini morti e 19 feriti); il bombardamento su un funerale che si svolgeva nella capitale Sanà nell’ottobre 2016, dove morirono 140 persone e altre 600 furono ferite (la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha già riconosciuto la sua responsabilità); torture e assassini di civili nella città di Aden da parte di mercenari colombiani sotto il comando di una compagnia militare privata statunitense.

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Lettere La rubrica delle lettere è un punto fisso di quasi tutti i giornali. Noi chiediamo che in questa rubrica siano presenti le vostre lettere, anche quelle che spedite ai vari quotidiani e riviste che non vengono pubblicate. Il sommerso a volte è molto indicativo

Cub contro il green pass, ricatto inaccettabile

Come dice la CUB il green pass è uno strumento di controllo sociale e i dipendenti pubblici sono le vittime sacrificali del Governo Draghi. I lavoratori della scuola e della sanità sono stati posti davanti al ricatto “o ti vaccini o ti tolgo il salario”. Il peggio è che chi non può o non vuole vaccinarsi deve acquistare a proprie spese il tampone e farselo fare ogni due giorni per avere il lasciapassare verde e poter andare a lavorare, altrimenti resta a casa senza stipendio. Siamo in presenza di una deriva autoritaria che, con la scusa della pandemia, colpisce la classe lavoratrice e le masse popolari, senza risolvere i problemi reali del contagio. Il green pass è uno strumento di controllo sociale e i dipendenti pubblici - molti dei quali sono già stati contagiati nei luoghi di lavoro - sono le vittime sacrificali del Governo Draghi. Invece sarebbe necessario fin da subito investire nella sanità pubblica, con la riapertura delle strutture sanitarie territoriali e di prossimità, l’assunzione massiccia di medici e operatori sanitari, l’abolizione delle classi pollaio nelle scuole con adeguata assunzione di personale docente e Ata, investimenti sui trasporti pubblici locali per evitare il sovraffollamento che è la prima causa di contagio tra gli studenti e i lavoratori. Non parliamo dell’accesso alle mense aziendali, ennesima presa di posizione delle associazioni padronali per dividere, depotenziare e sgretolare il servizio mensa e preparare le migliori condizioni per impedire di far accedere ai luoghi di lavoro chi non intende sottoporsi alle regole governative filo-padronali che, pur di garantire continuità nella produzione e nella vendita delle merci, non esita a proporre il green pass obbligatorio per tutti i dipendenti e sottomettere tutti ad un sistema basato sul profitto e lo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente. Un mezzo spacciato per “strumento di controllo dei contagi”, si dimostra nei fatti un vile potenziamento dello sblocco dei licenziamenti. Gianfrancesco Menini via email

Incoerenze in fabbrica

Lavoro in una grande azienda da più di dieci anni ormai. Vi scrivo alcune riflessioni sulla situazione attuale della pandemia di Sars-Cov2. Dopo quasi due anni dall’inizio della crisi COVID, con il 70% circa) di persone vaccinate (almeno così ci dicono), non solo non si vede la fine del tunnel ma stiamo sopportando misure restrittive ogni giorno più pesanti. Tutti gli specialisti ci hanno ripetuto che solo con il vaccino, anche se sperimentale e quindi autorizzato in emergenza, saremmo tornati alla vita di prima. Se il compito del vaccino è immunizzare e fermare la diffusione della malattia, a oggi, infatti, possiamo dire che i vaccini hanno fallito, “funzionicchiano”, forse riparano dagli sviluppi più gravi della malattia... allora non è che un farmaco assunto da sani.Eppure nell’azienda dove lavoro chi è sprovvisto di green pass non può mangiare in mensa perché al chiuso, quindi deve mangiare nella zona ristoro (dove ci sono i distributori automatici) che è sempre al chiuso e frequentata da tutto il personale. quando ha finito non può neanche igienizzare dove ha mangiato perché nella zona ristoro non ci sono le salviette come in mensa e neppure è permesso l’asporto. Tutte le misure che invece sono state messe in opera hanno continuato a spingere sui vaccini come unica soluzione e ha fatto passare in secondo piano è lo screening con tamponi antigenici rapidi. La pressione per spingere le persone a vaccinarsi è fortissima. Non è più accettabile vedere giovani che si vaccinano per poter andare in palestra o in discoteca, ma non è neppure più accettabile vedere i lavoratori costretti a vaccinarsi per poter lavorare. Il lavoro è un diritto, vaccinarsi non è obbligatorio. O no? Giuliano Marchini - via email

Scienza e non opinioni

È l’inferno dei poveri che ha fatto il paradiso dei ricchi (V. Hugo); Dietro ogni grande ricchezza c’è sempre un grande crimine (H. De Balzac); La nostra ricchezza di borghesi consiste in una moltitudine di poveri che sia ignorante e laboriosa (B. De Mandeville). I comunisti non hanno più detto questa verità scientifica marxista da circa 80 anni (svolta di Salerno). Così è passata tra tutto il proletariato la menzogna, la fake news, la favola, la balla secondo cui i capitalisti si sono fatti da soli con il loro lavoro, il loro studio, la loro intelligenza, il loro talento. La balla che sono loro a dare da mangiare ai lavoratori proletari! Se i capitalisti e i borghesi sono laboriosi, studiosi, intelligenti e talentuosi è certo, è scientifico che hanno usato queste qualità per sfruttare e derubare direttamente o indirettamente il proletariato e i popoli di tutto il mondo! Il talento di Messi e di Valentino Rossi è indubbio, ma i milioni che guadagnano provengono dallo sfruttamento della borghesia sul proletariato. Il capitale dà certo la spinta ma è sempre il capitale che si nutre del lavoro e non viceversa! Fino a che tanti proletari credono che siano i padroni a dar loro da mangiare, i comunisti non vinceranno mai! Oratorio Tina Modotti-Pino Pinelli - Savona-Genova

Assumere e non trasferire!

A fine novembre, Amazon dovrebbe aprire un nuovo sito a Dese dove si richiede una manodopera di almeno 70 persone. Il problema è che almeno 40 vengono spostati da Padova. Non si tratta di giovani o precari, ma di lavoratori con contratto a tempo indeterminato e con famiglia che diventano pendolari loro malgrado perché obbligati, diminuendo sempre più la possibilità di avere del tempo “libero”. Finora Amazon non ha mai accettato alcun incontro per poter assumere nuova manodopera in loco. Marco Rossini

Pietismo e carità, una vergogna

Pietismo e carità invadono la TV con filmati propagandistici di decine e decine di organizzazioni di vario tipo: dalla salute alla ricerca, dai bambini del mondo alla povertà. L’”intelligente” richiesta dei lasciti degli anziani, puntando sull’emotività tipica di chi ha una certa età, a questo o quello organismo è una manipolazione che rasenta il raggiro. Le pubblicità hanno un costo elevato e penso anche il mantenimento di queste faraoniche strutture compassionevoli. Quanto di tutti gli introiti verrà destinato ai bisognosi? Ma il punto non è questo. Può un paese che spende miliardi per le armi lasciare le famiglie senza lavoro, quindi senza sostegno e senza casa e poi fare le classifiche dei bambini poveri? I bambini sono poveri perché lo sono le famiglie e non possono certo essere delle organizzazioni private a garantire loro un futuro sicuro. E se il mondo va a rotoli è colpa delle scelte dei governanti che pensano solo a se stessi e al proprio portafoglio e dei capitalisti che chiudono le fabbriche in favore delle finanziarie, delocalizzano per guadagnare sempre di più con lo sfruttamento di operai di altri paesi. Visto che siamo in Europa se i sindacati imponessero in tutti i paesi lo stesso salario non ci sarebbero delocalizzazioni né disoccupazione! Martina De Franceschi

Difendere il lavoro non vuol dire fiducia nelle istituzioni

Tra le fabbriche a rischio si è aggiunta la Gas Jeans di Vicenza che oggi nonostante il punto di vista del mercato ci sia la ripresa rischia il fallimento per la bocciatura del concordato da parte del più rilevante dei creditori, la Dea Capital. Gas Jeans, come tante aziende della moda ha vissuto un periodo di crisi, ma ora sta recuperando, soprattutto nei mercati internazionali e il brand funziona grazie anche alla professionalità mediamente alta dei lavoratori. Non sarà che stanno pensando alla delocalizzazione? Allora se c’è lavoro, ci devono essere i lavoratori! E sono 200 a rischio. Se non ci sarà un’inversione di rotta l’azienda è destinata alla messa in liquidazione. I lavoratori sono in presidio per mantenere aperta l’azienda al contempo però credono sia possibile aprire un tavolo sindacale e che la regione Veneto possano accompagnarli in un percorso per gestire la crisi. Si sa il lavoro è importante, anzi fondamentale, ma finché non capiscono che è il sistema che non funziona, ci saranno sempre più disoccupati. Franco S.

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Rivista comunista di politica e cultura (nuova serie) anno XXX n. 6/2021 Reg, Tribunale di Firenze nr. 4231 del 22/06/1992 Redazione: via R. Giuliani, 160r - 50141 Firenze tel. 0554252129 e-mail nuovaunita.firenze@tin.it redazione@nuovaunita.info - www.nuovaunità.info Direttore Responsabile: Carla Francone Hanno collaborato a questo numero: Emiliano, Michele Michelino, Fabrizio Poggi, Daniela Troilo, redazione di Firenze abbonamento annuo Italia euro 26,00 abbonamento annuo sostenitore euro 104,00 abbonamento Europa euro 42,00 abbonamento altri paesi euro 93,00 arretrato euro 5,20 I versamenti vanno effettuati sul c/c postale nr. 1031575507 intestato a: nuova unità - Firenze

Chiuso in redazione: 20/10/2021


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