O2 PSICOLOGIA 7

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Anno 2 Numero 6 Digital € 4,50 Mensile

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S ES Y LN OG EL OL W CH Y PS

OSSIGENO PER LA TUA MENTE

ALL’INTERNO

PATHOS & AMORE DOSSIER

IL SERIAL KILLER In collaborazione con

• •

SPECIALE

Il Viaggio

Emozioni & Lavoro

Intervista a Margherita De Bac

ARTE & TERAPIA



Editoriale

Paura di Star Bene Noi di O2 Psicologia siamo convinti che la felicità, in estrema sintesi, derivi da un momento di forte apprezzamento della propria esistenza. Sentirsi appagati per le proprie scelte, godere e vivere appieno chi ci circonda, in un clima pervaso da relazioni che abbiamo instaurato e che riusciamo a gestire in modo positivo, non è certo facile, ma realizzabile. Innanzitutto bisogna decidere quali sono i parametri su cui andremo a stabilire le risultanze esistenziali, affettive, materiali ed emozionali che aprono la strada alla felicità. Bisogna dapprima tenere in conto che, se questi parametri sono basati su valutazioni tradizionali della società consumistico-capitalistica, avremo non pochi problemi, anche in relazione al periodo di oscurantismo e crisi, sia economica, che di valori, che questo nuovo millennio ci sta proponendo. Ognuno è libero di decidere per sé quali sono gli obiettivi che, una volta raggiunti, possano portare a sentirsi soddisfatto del proprio tempo di esistenza, ma, spesso, troppo spesso, una grossa base di infelicità sta proprio nel fissare le direttive e la strada, su cui muoversi. Obblighi relazionali, doveri, necessità, tendono costantemente a portarci a combattere una guerra che non vinceremo mai. Il solo fatto di “attendere” perennemente che le quotidiane incombenze si plachino e ci diano un po’ di respiro, è solamente un modo di lasciar scorrere inutilmente il nostro tempo: la NOSTRA vita. Le incombenze non si placheranno, le problematiche quotidiane si ripeteranno inesorabilmente, ed i problemi basilari della nostra esistenza, dalle necessità economiche, alle condizioni di salute, ai problemi di relazione familiari e sociali e quant’altro volete aggiungere, si alterneranno con micidiale tempismo e con una forza distruttiva tanto forte quanto è il desiderio di allontanarli. Eh già! Perché, all’interno della nostra personale ricerca della felicità, bisogna tenere conto che “il sistema” in cui viviamo, in cui dobbiamo e vogliamo vivere, è strutturato per generare infelicità e l’unica soluzione che offre per il raggiungimento della felicità è il consumo. Si scade ormai nella retorica nel ricordare che il consumo, fine a se stesso, è solo un palliativo all’infelicità. Compratevi pure una Lamborghini, uno yacht, palazzi e gioielli, la curiosità vi terrà distratti per un certo periodo di tempo, ma poi, se non apprezzate voi stessi, tornerete al punto di partenza: alla ricerca della felicità. Imparare a convivere con i problemi strutturali del sistema in cui viviamo è il primo, importante passo per avere modo e tempo di guardare dentro se stessi e stabilire quali sono le emozioni, i desideri, le passioni che albergano dentro di noi e che tendiamo a ricacciare dentro ogni giorno. L’amore, la passione, la natura, i sogni, l’intelligenza, il pensiero, sono ossigeno per la nostra mente e non si comprano. Vanno cercati, compresi, difesi, coltivati e armonizzati per renderli la sinfonia più bella che sia stata creata: la nostra esistenza. Dobbiamo imparare, quindi, a convivere con un sistema che non abbiamo creato noi e, non dobbiamo avere paura … di stare bene. Sergio Pisano Psicologo www.myspace.com/spisano


OSSIGENO PER LA TUA MENTE

Anno 2 Numero 7

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www.oxygenemedia.it O2 Psicologia è pubblicata nei seguenti paesi

USA Italia

Be Well Read www.zinio.com

Sommario 8 18 30 42 52 60

Emozioni & Lavoro

Come le emozioni possono “orientarci” al lavoro

Il viaggio

Percorso interiore tra il cambiamento e l’inatteso

Il viaggio visto dagli occhi dell’altro Pathos del viaggio moderno

Artista & Terapia

Scoprire ed esprimere se stessi con l’arte

Carol Rama

Corpo e Sessualità da un punto di vistra artistico-femminile

Ricette di Benessere

Minestra di lenticchie e farro: miscela di sapori autunnali

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62 Pathos & Amore 84 Malattie Rare 92 Margherita De Bac 99 Riflesso Bianco 106

DOSSIER - Il Serial Killer Il lato oscuro è in ognuno di noi

La passione invade e piacevolmente si “subisce”

Per saperne di più su un argomento poco conosciuto

O2 Psicologia intervista la cronista di storie rare

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Retinoblastoma: cos’è e come prevenirlo

In collaborazione con

99 www.o2psicologia.it

Marketing & Advertising Alberto Iandolo Elisabetta De Feo

Collaboratori Bald Eagle, Roberto Ventura, Prof. Antonio Giordano, Dott. Antonio Marco Campus, Cinzia Galletto, Dott.ssa Maria Frandina, Dott.ssa Barbara Celani, Fabio Campoli, Dott. Giovanni Gentile, Dott.ssa Gabriella Riccardi, Dott.ssa Carmela Maria Barbaro, Dott.ssa Rosa Maria Bevilacqua, Dott. Marco Paggi, Dott.ssa Paola Indovina

Grafica Joseph Ciccariello

Distributore Italia Edicola Press-Di

Licenze Internazionali Special Project Cinzia Pisano

Versione Digitale www.zinio.com

Direttore Responsabile Dr. Sergio Pisano Caporedattrice Dott. ssa Graziella Ceccarelli Art Director Mario Spiniello

Aut. Trib. Benevento n. 17/2008 - 10/12/2008

Editore Oxygene s.r.l. Sede legale Via Taburno, 70 - Montesarchio (BN) Indirizzo Redazione Via G. Dorso, 13 - Avellino Phone/Fax 0825 781734 info@oxygenemedia.it www.oxygenemedia.it

<ISSN 1974-2878>

In fase di certificazione secondo il Regolamento

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PSYCHOLOGY

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OSSIGENO PER LA TUA

MENTE

l

DIGITAL PUBLISHING FOR YOUR EMOTIONS



EMOZIONI

Emozioni & Lavoro Qual è il colore emotivo delle nostre giornate? E come le emozioni possono “orientarci” al lavoro? Scopriamo come funziona il nostro computer di bordo! Dott.ssa Gabriella Riccardi, Psicoterapeuta

Emozioni & Lavoro

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Comportamento rispondente e stimolo scatenante IL LIBRO

Ad ogni evento la sua emozione

“Che figura” Emozioni e immagine sociale AUTORE C.Castelfranchi ANNO 1998 EDITORE Ed.Il Mulino

“Che figuraccia!” “Ha fatto un figurone…” “Che sfacciato!!!” “Ha una faccia tosta…” “E con questo penso abbia proprio perso la faccia!!!” Un testo che ci aiuta a dosare, con un pizzico di provocazione, il peso dell’immagine di sé, che ciascuno di noi offre gli altri. Quanto conta, nel nostro sistema sociale offrire un’immagine integra e squisitamente potente.

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O

gni singolo comportamento che mettiamo in atto è la risposta ad un’esperienza emotiva che può avere un’intensità forte o debole a seconda dell’evento che l’ha innescata. Sebbene l’emozione si realizzi all’interno della complessa relazione individuo - ambiente, è utile considerarla come indotta da una specifica condizione/stimolo. In altre parole, l’emozione è un esempio di comportamento rispondente, cioè prodotto da uno stimolo scatenante, legato a delle motivazioni profonde. Tutti i piaceri o i dispiaceri che caratterizzano le nostre giornate hanno un colore emotivo. Se, ad esempio, superiamo un esame ci sentiamo soddisfatti! Se le nostre speranze riposte in un colloquio di lavoro sono

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deluse, probabilmente ci sentiremo tristi! Se sperimentiamo la solitudine sicuramente assaporeremo la malinconia! Se ci capiterà di trascorrere qualche ora con la persona amata ci sentiremo felici! E’ chiaro, dunque, che a ciascun evento corrisponde sempre un’ emozione. Ciascuna delle esperienze elencate produce in noi degli stati d’animo che possono avere una connotazione positiva o negativa a seconda dell’investimento prodotto. In altri termini, quanto più alta è la motivazione che ci spinge verso quello scopo, tanto più forte sarà l’emozione prodotta dall’evento/conquista in sé . E’ chiaro che quanto più crediamo in qualcosa, tanto più felici saremo nell’ottenerla, viceversa quanto più alta è la posta in gioco tanto più doloroso sarà il danno prodotto dall’ insuccesso.


IL SAPORE DELLE EMOZIONI: LA NOSTRA BUSSOLA EMOTIVA Gli studi sulle emozioni si soffermano sul modo in cui esse sono espresse. Nell’analisi di un vissuto emotivo è normale chiedersi perché le persone rispondono ad una medesima esperienza con delle reazioni emotive differenti. Va da sé che per ciascun individuo esistono specifiche esperienze emotive espresse, pertanto, in maniera “naturalmente” soggettiva. Spesso in modo del tutto automatico, tendiamo a connotare le nostre emozioni attraverso il ricorso alle metafore: “Fui schiacciato dal dolore!”; “Ho ferito i suoi sentimenti!”; “Hai toccato il cielo con un dito!”. Sono immagini attraverso cui risulta più semplice descrivere sentimenti e sensazioni interiori, per le quali sembriamo non avere parole specifiche, assimilandole a eventi oggettivi.


Il sistema emozionale

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Il nostro computer di bordo a quello che si verifica dietro le quinte ha sempre un corrispettivo sullo schermo. Ciò vale a dire che per ciascuna emozione interna sviluppiamo delle espressioni facciali e posturali che rappresentano dei potenti indici comunicativi. Gran parte delle informazioni su di noi, sul mondo e sugli altri è fornita dalle nostre emozioni. Il nostro

sistema emozionale è assimilabile ad un PC e come quest’ultimo è supportato da una serie di componenti (HardDisk – Monitor - Stampante) connessi tra loro, allo stesso modo il Sistema Emozionale si compone di una serie di elementi pronti ad interagire costantemente tra loro, a differenti livelli. Se la sinergia grazie alla quale si raggiunge un alto livello di efficienza comunicativa, per qualche motivo si interrompe, l’intero sistema può crollare.


“La vergogna del sole” Jò Badamo Tecnica acrilica (2007)

LE COMPONENTI DEL NOSTRO SISTEMA EMOZIONALE SONO Pensieri Alterazioni Corporee Comportamenti

Valutazioni Cognitive Stato di eccitazione (Arousal fisiologico) Propensione/Reticenza all’azione

Dall’interazione di ciascuno di questi elementi con il contesto emotivo soggettivo, si generano le nostre esperienze emotive personali. Essendo le emozioni un potente strumento ad elevata affidabilità utile nel vagliare l’andamento delle relazioni che intessiamo nell’arco della nostra vita, in determinate situazioni può risultare quasi indispensabile utilizzarle per ottimizzare le nostre performance lavorative.



Se assimiliamo il nostro cervello ad un computer l’emozione può essere definita come quella complessa catena di eventi compresa tra la comparsa dello stimolo scatenante (INPUT) e l’esecuzione del comportamento rispondente (OUTPUT)


Affidarsi ai vissuti emotivi al lavoro Offrire il giusto orientamento evitando il pericolo di deriva

Cogli la rosa quand’è il momento che il tempo lo sai vola, e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà

P.Weir

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no scoppio di ira agìto verso un collega di lavoro, l’ansia esperita per un’esposizione in pubblico, la frustrazione prodotta dal rapporto con un cliente, sebbene siano delle esperienze a connotazione emotiva diversa, hanno tutte in comune la necessità di ragionare sul proprio comportamento in modo da gestire la situazione fino al punto di ribaltarla in nostro favore. Quello che contraddistingue taluni contesti socioemotivi, è proprio il carattere dell’imminenza. E’ necessario adoperarsi nella maniera più adeguata possibile sul proprio posto di lavoro al fine di aumentare quello che in Psicologia del Lavoro viene definito “quoziente di intelligenza emotiva”, per evitare severi rimproveri o in casi estremi un licenziamento in tronco. Il primo passo verso questa conquista è sapere che l’intelligenza emotiva non è un tratto riservato a pochi eletti, bensì una potenzialità destina-

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ta a divenire patrimonio di tutti e che può accrescere attraverso la pratica di tecniche che garantiscono l’acquisizione di un alto grado di autoconsapevolezza. “Accettando la nuova proposta di impiego, mi troverò ‘catapultato’ in un nuovo gruppo di lavoro di 50 persone e già immagino che tale situazione mi metterà a disagio. Se decido di restare dove sono, conserverò la mia sicurezza ed è proprio questo ciò di cui ho bisogno adesso!”. Tutti sognano di entrare a far parte del team di una prestigiosa azienda i cui ritmi lavorativi siano scanditi da una comunicazione collettiva, dal rispetto reciproco e da un sapere condiviso. Un contesto entro il quale gli obiettivi vanno perseguiti alla luce della cooperazione che garantisce il rinnovarsi continuo dell’ entusiasmo e della motivazione. Essendo tutti dotati di un patrimonio notevole, l’invito è di utilizzare le risorse a nostra disposizione per promuovere il successo individuale e collettivo.


ACCRESCI LA TUA AUTOCONSAPEVOLEZZA Sviluppa l’intelligenza emotiva con pochi esercizi 1. Esamina le tue valutazioni: usa frequentemente la frase “secondo me” e indaga le tue convinzioni attraverso un dialogo interiore. 2. Dedica tempo utile a te stesso: per un’accurata disamina delle tue convinzioni non c’è fretta! Si tratta solo di capire il motivo per cui hai deciso di agire in un modo piuttosto che in un altro, è utile a smascherare il disaccordo. 3. Guardati intorno, gli altri sono una possibilità di rispecchiamento: cerca di trarre quante più informazioni attraverso l’interazione con gli altri, in fondo il tuo è solo un punto di vista. Non ignorare le valutazioni altrui, ma accogli l’altro con un atteggiamento positivo. Il rifiuto giocherebbe a tuo sfavore, rischieresti di limitare te stesso. Il confronto offre nuove opportunità di far luce sull’esattezza e sugli effetti prodotti dalle tue scelte personali. 4. Chiediti sempre in che prospettiva ti trovi: ricorda a te stesso quale punto di vista hai adottato.



ESPERIENZE EMOZIONALI

IL VIAGGIO Abbandonare le abitudini per aprirsi al cambiamento e all’inatteso affrontando i propri conflitti interiori

Dott.ssa Maria Frandina, Psicoterapeuta

Il Viaggio

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IL LIBRO

Scoprire nuove terre

E affrontare i propri conflitti interiori

Il mondo a piedi. Elogio della marcia AUTORE David Le Breton ANNO 2003 EDITORE Feltrinelli

Questo libro racconta tutto ciò che è collegato al piacere della scoperta del tempo e di luoghi, viaggiando a piedi. Questo tipo di cammino viene considerato un gesto trasgressivo, una potente affermazione di libertà. E’ un approccio diverso e nuovo in contrapposizione al ritmo frenetico della vita moderna. L’autore mette in relazione il punto di vista dei personaggi storici quali Stevenson, Sansot e Basho, ponendoli attorno a un tavolo immaginario a scambiarsi opinioni sul senso del percorrere il mondo e la vita a piedi. Ciò induce a considerare con curiosità un aspetto ormai insolito del viaggio.

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L’

atto del viaggiare è da sempre stato legato allo scoprire: nuove terre, antichi tesori, popoli sconosciuti, modi diversi di esprimersi, di mangiare, di abbigliarsi, di affrontare la vita e la morte. L’uomo ha sempre sentito il bisogno, irrefrenabile, di partire. Ma perché? Che cosa spinge ad abbandonare le proprie abitudini e sicurezze per andare alla scoperta del mondo? Inevitabilmente il viaggio ci porta ad affrontare i vissuti legati alla separazione dal proprio nido, dal posto sicuro per andare verso qualcosa che non conosciamo ancora, per

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porci poi di fronte alla scelta del ritorno, che necessariamente impone nuove separazioni e l’integrazione col nuovo. Non possiamo mai ritornare come eravamo e, se questo è vero nella quotidianità, diventa inevitabile quando ritorniamo da un viaggio. Il viaggio ci apre all’insolito, al cambiamento, all’inatteso. Certo, questo vuol dire lasciare la condizione rassicurante del solito, dell’appartenenza che spesso ci fornisce un senso di identità, dell’atteso che con il suo ripetersi quotidiano, con la sua tendenza ad essere mono-tono, scandisce un ritmo consolatorio che spesso con-fondiamo con il senso della vita.


Perchè viaggiare ci apre alla conoscenza

La libertà che mette in crisi

Il vero

I

motivi che spingono a viaggiare si intrecciano e non sempre sono chiari neppure a chi decide di partire. C’è l’irrequietezza, l’insoddisfazione, la curiosità verso il mondo, il bisogno di conoscenza e la voglia di scoprire ed imparare. Come scrive Antoine de Saint-Exupérie ne Il piccolo principe: “Ecco perché il Piccolo Principe aveva dovuto lasciare la sua stella e la sua rosa. Per prendere a poco a poco conoscenza.” Perché viaggiare ci apre alla conoscenza? “Quelle cose per conoscere le quali ci mettiamo in cammino e attraversiamo il mare, se sono poste sotto i nostri occhi non ce ne curiamo.” (Plinio il Giovane). Forse perché viaggiare ci pone di fronte alla diversità e solo vedendo il diverso da noi, possiamo vedere noi stessi. È attraverso l’altro che scopriamo noi stessi. Viaggiare ci permette di scoprire alternative inimmaginate, di svincolarsi dai lacci dei sistemi sociali, basati sulla fissità della persona, sulla sua continuità ed immutabilità. Il sistema sociale rafforza la massificazione, ma l’identità umana è mutevo-

viaggio di scoperta non

le e molteplice. Lo scarto tra l’immagine che gli altri hanno di una persona e quella che lei ha di se stessa, tra quello che è nella realtà e quello che vorrebbe essere, è lo spazio in cui prende vita il desiderio del viaggio. Per trovare la libertà, bisogna uscire dalla struttura di un unico sistema e conoscere il diverso: è la possibilità di scegliere i modi in cui dare senso alla propria vita che permette di essere liberi. Libertà non è non avere regole o non avere un sistema di riferimento, ma sentire di poter scegliere tra le diverse opportunità che ci offre la vita. Paradossalmente la libertà di scegliere tra diverse possibilità ci mette in crisi, mentre il “già dato”, il conosciuto ci rassicura. Il viaggio implica la messa in discussione con noi stessi. La difficoltà di affrontare l’inaspettato ci porta a scegliere spesso dei viaggi già tutti organizzati in cui ci viene assicurata la continuità minima tra il nostro stile di vita e il nuovo paese. Ciò nonostante essere in viaggio implica, comunque, un movimento, un cambiamento di ambiente, nuovi incontri. Diventa, quindi, inevitabile arricchirsi.

consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi Marcel

Proust

Il Viaggio

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La scelta della meta

Il Sé, l’altro da Sé e il dentro di Sé CAMMINO DI SANTIAGO

S

cegliere la meta del nostro viaggio e il come raggiungerla è già parte integrante delle dinamiche che si innescano quando iniziamo a pensare ad un viaggio. Un viaggio inizia quando iniziamo a sognarlo. Il processo decisionale viene ad assumere una rilevanza unica ed importante in una situazione ricca di incertezze come può essere quella turistica, dove l’individuo è chiamato a decidere su cose che, spesso, sono per lui nuove e sconosciute. Ogni scelta viene messa in atto in un particolare “ambiente di decisione” costituito da tutto un insieme di informazioni, alternative e preferenze disponibili nel momento della scelta. Dietro la scelta di intraprendere un viaggio vi è un lungo processo costituito da una sequenza di valutazioni sui vari aspetti del viaggio (ad esempio decidere se partire o no, dove andare, quanto spendere, quando partire, dove alloggiare, ecc.). Il viaggio favorisce anche la regressione, riportandoci ai desideri e alle pulsioni infantili che spesso reprimiamo nella nostra quotidianità. Fra gli sviluppi e le teorizzazioni più recenti, un punto di vista importante e sintetico è stato proposto da Mannell e Iso-Ahola (1987)

che, occupandosi del comportamento ricreativo, quindi anche quello turistico, hanno affermato come esso sia vincolato a due tipi di forze che agiscono contemporaneamente: • la fuga dall’ambiente e dalla routine quotidiana, che spinge ad evadere e ad allontanarsi dai problemi e dallo stress quotidiano; • la ricerca di ricompense psicologiche, che spinge alla ricerca di gratifiche sia a livello individuale che sociale. Questa teoria bi-dimensionale riconosce la possibilità di un interscambio fra le dimensioni, l’una non esclude l’altra. Ancor più recente e’ la posizione di Dall’Ara (1990), secondo cui le motivazioni al turismo possono raggrupparsi in tre distinte aree: il Sé, l’altro da Sé e il dentro di Sé. Le motivazioni che riguardano il Sé portano a viaggi mirati a ridarci energia fisica e mentale. Le motivazioni riguardanti l’altro da Sé comprendono i viaggi in cui vi è la ricerca della trasgressione e dell’alterità. Infine, le motivazioni riguardanti il dentro di Sé portano a viaggi che hanno l’obiettivo di riscoprire il senso della vita e l’interiorità. Queste tre motivazioni non sempre sono così chiare, spesso si sovrappongono spingendoci ad andare. Dove? Se lo sapessimo forse non vorremmo più andarci.

Tra i più famosi cammini a piedi c’è senz’altro il Cammino di Santiago di Compostela, il percorso che fin dal Medioevo i pellegrini intraprendono per giungere al santuario di Santiago di Compostela, presso la tomba di Giacomo il Maggiore. Quando si parla del Cammino di Santiago ci si riferisce solitamente al Cammino francese o di San Giacomo. Esistono infatti altri 6 Cammini, quello Aragonese, del Nord, Inglese, del Sud Est, Portoghese, la Fisterra Muxia e la rotta marittima. Il Cammino francese prende il via da Saint Jean pied de Port, un grazioso e antico paese francese sui Pirenei, a ridosso del confine con la Spagna, a 774 chilometri da Santiago de Compostela. Dappertutto sarà la concha amarilla, la conchiglia gialla a guidarvi lungo il percorso o, in alternativa, una freccia gialla. Il Viaggio

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COSA C’È DIETRO LA VOGLIA DI VIAGGIARE? Tra gli aspetti psico-sociali, emotivi, sociali, cognitivi e motivazionali: • • • • • • •

Evasione dall’ambiente di vita quotidiana e abituale Esplorazione e valutazione di se stessi Rilassamento fisico e mentale Prestigio Regressione a forme di comportamento infantili o adolescenziali Miglioramento e rafforzamento delle relazioni familiari e di amicizia Facilitazione delle interazioni sociali

(Psicologia del turismo - Crompton)


Psicoterapia

Il viaggio interiore

I cieli girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta, stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l’aria è in perpetua agitata dai venti, le acque crescono e calano… per insegnarci che dovremmo essere sempre in movimento Robert

Burton

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N

on sempre il viag giare implica necessariamente uno spostamento fisico e geografico. Po s s i a m o v i a g g i a r e con la fantasia, con la mente, con l’anima. Un percorso terapeutico altro non è che un viaggio all’interno di noi stessi. Mentre i viag gi di emig razione, di conquista, di scoperta, di avventura sono reali percorsi nello spazio, il viag gio di conoscenza di sé e del mondo, è un percorso interiore, una riflessione su se stessi, una ricerca di conoscenza sulla propria identità, su ciò che realmente si è stati, si sente e si è. Così come nei viag gi reali, anche quando iniziamo un percorso terapeutico, il processo di cambiamento inizia ancor prima di iniziare il percorso. La spinta motivazionale, il porsi un obiettivo, la scelta di quale str umento utilizzare (sono diversi gli approcci psicologici ed c’è una vasta gamma di specialisti), la scelta del terapeuta, che ci accompagnerà nel nostro

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viag gio proprio come una guida, sono tutti aspetti antecedenti al percorso, che durante possono essere confer mati oppure no. È impor tante sottolineare che questa introspezione non prescinde dal mondo in cui viviamo. Non è possibile conoscere se stessi se non in relazione alla realtà in cui viviamo, in quanto il nostro essere, è strettamente intrecciato con il mondo circostante. Solo se comprendiamo quest’ultimo siamo in g rado di capire come vi collochiamo noi stessi. È questo il motivo per cui affrontare dei viag gi mentre si sta seguendo un percorso terapeutico può aiutarci nel nostro viag gio interiore e favorire dei processi di cambiamento. Il viag gio all’interno di noi stessi può spaventarci o incuriosirci, possiamo trovarci di fronte all’inatteso e scoprire nuovi aspetti del Sé prima sconosciuti. È un viag gio infinito, in cui noi siamo i protagonisti, il popolo da conquistare, il tesoro da scoprire.


Perché viaggiare? • Per staccare dalla propria quotidianità • Per aumentare la capacità di problem solving • Per scoprirsi • Per nutrire il nostro bambino interiore • Per aumentare la nostra elasticità • Per sviluppare lo spirito di adattamento • Per riappropriarsi del proprio ritmo e dei propri bisogni



Un passo dopo l’altro Il viaggio a piedi

Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria esistenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena

N

el viag gio a piedi, più che in qualsiasi altro viag gio, siamo noi i veri protag onisti, con il nostro ritmo, il nostro cammino, il nostro essere cor po. “Viandante, il sentiero non è altro che le or me dei tuoi passi, viandante, non c’è sentiero, il sentiero si apre camminando” scrive Machado. Un viag gio a piedi ci riporta alla scoperta di noi stessi e del mondo passo dopo passo, i chilometri non vengono divorati, ma assaporati, vissuti. La meta diventa secondaria al percorso. Un viag gio a piedi significa confrontarsi con le proprie risorse ed i propri limiti, col proprio essere corpo. Un viag gio a piedi significa ricordarsi per quanti se-

partecipazione di tutti i sensi

coli gli uomini hanno coperto le distanze così, un passo dietro l’altro. Camminando reinventiamo il tempo e lo spazio secondo il nostro ritmo. Ritorniamo ai nostri bisogni primari, al nostro essere uomo, familiarizziamo con la nostra ombra che ci accompagna lungo il cammino. Camminando si è costantemente in relazione con una doppia dimensione. La dimensione interiore richiede l’essere consapevoli di Se stessi, dei propri bisogni, dei propri limiti delle proprie risorse, ma anche la concentrazione richiesta dallo sforzo fisico. La dimensione esteriore ci porta al contatto col mondo esterno, con la terra e con le persone che incontriamo. I sensi, che nella quotidianità tendiamo a reprimere, si risvegliano e con essi parti di noi.

(...) Spesso camminare è un espediente per riprendere contatto con noi stessi!

Le Breton

Il Viaggio

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ESPERIENZE EMOZIONALI

IL VIAGGIO VISTO DA ALTRI OCCHI Viaggiamo attraverso personalità di spicco che hanno saputo trarre dal viaggio uno spunto di riflessione per l’essenza dell’uomo

Cinzia Galletto www.blu-communication.com

Il Viaggio

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Le motivazioni celebri del “mettersi in cammino”

Del viaggio hanno detto, sul viaggio hanno scritto…

Viaggiando alla scoperta del mondo, troverai il continente che è in te stesso

”D

Proverbio Indiano

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a sempre filosofi, storici, scrittori hanno sentito la necessità di confrontarsi sul tema del viaggio. Viaggio vissuto come metafora della vita o come ricerca intima di se stessi, o ancora come fuga da sé o per mettersi alla prova. Partire, viaggiare, tornare, incontrare, tutte le categorie relative al viaggio sono state filtrate attraverso le parole dei grandi protagonisti della cultura: da Seneca, Plinio, Strabone, passando per i grandi filosofi come Kant, Freud, Hesse senza dimenticare letterati e scrittori come Petrarca, Goethe, Byron per giungere, infine ai grandi viaggiatori contemporanei Kerouac, Chatwin, solo per citarne

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alcuni. Vi propongo quindi di fare un viaggio nelle menti di viaggiatori, un viaggio specchio di se stesso, un meta-viaggio che ci condurrà, come tutti i percorsi, a scoprire qualcosa di più di noi attraverso l’incontro con l’altro: un “altro” d’eccezione, personalità di spicco che hanno saputo trarre dalla vita la propria verità e nel viaggio hanno trovato uno spunto di riflessione per l’essenza dell’uomo. Lasciamoci guidare come Dante dalla sua Beatrice, da questi grandi spiriti illuminati in un viaggio immaginario attraverso le parole per scoprire le emozioni che un viaggio “vero” può dare. Dedicato ad ogni turista che vuole riscoprire la sua dimensione di “viaggiatore”.


EDUCAZIONE CONOSCENZA E SENSI Il sapore delle emozioni ? La nostra bussola emotiva! Nel corso dei tempi si è viaggiato per affinare la propria educazione come si evince dalle parole di Francis Bacon “Il viaggiare, nei giovani, fa parte dell’educazione; negli adulti, fa parte dell’esperienza. Si viaggia per conoscere perché come afferma un antico proverbio cinese “Vale di più un miglio fatto a piedi che la lettura di cento libri”. Afferma Herman Hesse “Mi pare che l’essere in viaggio costituisca per noi il surrogato […] dell’esercizio dell’istinto estetico che, quasi completamente estinto presso i nostri popoli, era vivo presso i greci, i romani e gli italiani dei tempi gloriosi della loro civiltà. […]Il puro guardare, l’osservazione non turbata né dalla volontà né dal fine della ricerca, l’esercizio pago di sé della vista, dell’udito, dell’olfatto e del tatto rappresentano uno stato di beatitudine del quale i più sensibili tra noi sentono una nostalgia profonda; e il viaggio è il modo migliore per inseguire le tracce di quel paradiso perduto”.

Nella foto H. Hesse


Lo sapevi che? Un’altra delle molle che ci porta a viaggiare, oggi come ieri, è il desiderio di autorealizzazione, un bisogno interno dell’individuo di diventare ciò che è e che può diventare.


Pathos del viaggio moderno e … Gusto della sorpresa

IL LIBRO

“Alle porte del Viaggio: manuale di turismo percettivo” AUTORE Cinzia Galletto

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er Carl Jung il viaggio testimonia un’insoddisfazione che spinge alla ricerca di nuovi orizzonti. E l’ansia, come motore del mettersi in viaggio, è espressa bene dalle parole dell’ultimo grande viaggiatore Jack Kerouac: “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”. Il senso di assenza e di perdita, di cose lasciate alle spalle e non più recuperabili, è forse il pathos del viaggio moderno e l’umore predominante della società dei viaggiatori. Questa sensazione che manchi qualcosa, che dove era il centro non vi sia nulla, mette in moto alla ricerca di nuovi itinerari verso quei luoghi

ANNO 2002 EDITORE Chiaramonte

dove, in passato, esistevano dei forti centri di energia e spiritualità (omphalos). Si viaggia anche per il gusto della sorpresa della novità, per il piacere del “nuovo” come afferma Vita Sakville –West “E’ necessario … non dare nulla per scontato. Il viaggiatore saggio è colui che è costantemente sorpreso. Perciò, se non ci lasciamo sorprendere o non ci lasciamo prendere da un profondo, giusto piacere o non siamo preparati a sopportare un’eccitante, ma indispensabile solitudine, è meglio che ce ne stiamo vicino alla stufa ad attendere con impazienza l’arrivo a cena dei nostri amici. Ma, per quanto mi riguarda, non rinuncerei al ricordo di un’alba egiziana e al volo degli aironi che attraversano la luna mattutina”.

Un libro che risponde alle tante richieste dei nuovi viaggiatori. Un insieme di spunti per sollecitare, con intuito e fantasia, la ricerca nella storia, nel mito e nell’antropologia del viaggio. Tanta curiosità per svelare la magia dei luoghi e imparare a leggere nei monumenti del passato, il linguaggio degli dei.

Il Viaggio

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Viaggiare attraverso il tempo

IL FILM

“Ogni passo che si compie è un secolo che si oltrepassa”

“Into the wild” Regia Sean Penn Interpreti Emile Hirsch, Vince Vaughn, Hal Holbrook, Kristen Stewart, William Hurt, Marcia Gay Harden. Durata h 2.20 Usa 2007

Christopher McCandless, dopo essersi ottimamente laureato, ed aver avuto un discreto successo anche come atleta, molla tutto, dà in beneficienza i 24mila dollari che aveva sul suo conto corrente e fa l’autostop fino a raggiungere l’Alaska. Lungo la strada, farà alcuni incontri che gli cambieranno in modo significativo la vita. Queste esperienze lo trasformeranno da giovane girovago in un simbolo per moltissime persone. Alla fine, Christopher, si metterà alla prova, dove tutto quello che ha visto, imparato e vissuto lo condurrà verso un epilogo inatteso.

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pesso poi il viaggio non si compie solo in uno spazio ma anche in un tempo “altro”. Terre inesplorate, sconosciute o terre culla di antiche civiltà ci riportano con l’immaginario indietro nel tempo, a vivere una storia che si anima fra reminiscenze storico – culturali e l’aria che si respira nel

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luogo grazie a quell’energia particolare che ci trasporta nel passato. “Il viaggiatore filosofo che naviga verso le estremità della Terra ripercorre, in effetti, il cammino dei tempi; viaggia nel passato; ogni passo che compie è un secolo che oltrepassa. Le isole che raggiunge sono per lui la culla della società umana” come osserva Joseph-Marie De Girando.



SIAMO TUTTI DIVERSI Un altro tema molto importante da affrontare, parlando di viaggio, è quello dell’incontro. Il viaggiare in terre straniere fa sì che s’incontrino uomini, donne, culture differenti che ci pongono di fronte al tema dell’”identità”. Come ha delineato da tempo il filosofo linguista Tzvetan Todorov “l’identità, al pari della consapevolezza di sé, può essere incrinata o rinsaldata dal confronto con l’estrema dissomiglianza”. Così come in un gioco di specchi il confronto con l’altro o il diverso contribuisce nell’atto del riconoscimento di noi stessi :“Il viaggio è una presa di coscienza del fatto che siamo tutti diversi e abbiamo bisogno di spostarci per renderci conto di questo” nelle parole di Tahar Ben Jelloun.

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Trasformazione interiore e spirituale Una visione mitico-storica

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in dai primi viaggi dell’epopea mitico-storica, il viaggio è stato visto come prova, un atto in grado di mettere l’eroe di fronte alla propria vera identità. Nell’Odissea o in Gilgamesh il viaggio è un agente e un modello di trasformazione che porta ad un identificazione dell’eroe con se stesso. Una trasformazione alchemica del nostro io profondo che subisce attraverso le varie tappe una metamorfosi quasi di “purificazione” come si evince dalle parole di Gialal Ad-Dir Rumi “ O uomo: viaggia da te stesso ché da simile viaggio la terra diventa purissimo oro”. E il viaggio di trasformazione per eccellenza è il pellegrinaggio, che implica sempre un mutamento interiore e spirituale. Vorrei chiudere questa breve carrellata con le parole di Hermann Hesse: “Piacere più profondo non conosco. Se non d’andare lontano... La poesia del viaggiatore non sta nella distensione che si prova interrompendo la monotonia della vita quotidiana, il lavoro, le preoccupazioni, né nello stare insieme casualmente ad altre persone, o nella contemplazione di cose nuove, diverse: non sta nemmeno nell’appagamento di una curiosità. Sta invece nel fare esperienze nuove, nell’arricchirsi, in quella assimilazione organica di novità, nella crescente consapevolezza dell’unità nel molteplice, di quel grande intreccio fra terra ed umanità; nel ritrovare infine antiche verità e antiche leggi in un contesto assolutamente nuovo”.

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Ulisse e le Sirene Herbert James Draper (1909)



Immagini da sogno, musiche e colori che attraverso il mezzo televisivo diffondono emozioni dirette. O2 Television integra Emozioni, Wellness e Salute per diffondere il mondo dell’armonia psicofisica. Cultura, divertimento e tempo libero all’insegna dello “star bene” sono gli ingredienti del format O2 Tv

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TERAPIE ALTERNATIVE

L’ARTISTA E LA TERAPIA Le immagini che danno forma al mondo interiore, all’essenza e al tempo dell’artista Dott.ssa Barbara Celani, Psicologa

L’artista e la terapia

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Di fronte un’opera d’arte Diverse chiavi di lettura

Ogni quadro non è altro che un tassello di un’unica opera: la tessera di un mosaico in divenire, in continua trasformazione,

T ”

dell’opera infinita

Giovambattista Cuocolo

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rovarsi al cospetto di un’opera pittorica può essere un’esperienza molto diversa per un ognuno di noi: le reazioni cambiano a seconda di chi siamo, della nostra cultura, dello scopo dell’osservazione, dello stato d’animo. Ad esempio, se sono un critico d’arte mi concentrerò su titolo, autore, tecniche utilizzate, analizzerò a livello formale l’opera, linguaggio visivo, colori, rappresentazione degli oggetti ed effettuerò un’analisi compositiva degli aspetti percettivi, collocazione e andamento degli elementi, rapporto figura-sfondo, simmetria, espressività. Per comprendere il significato profondo dell’opera, terrò conto anche delle concezioni filosofiche, religiose, culturali, politiche e artistiche dell’epoca, dell’eventuale rapporto con il committente, del pubblico

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al quale si rivolge. Ma aldilà di un eventuale analisi da esperto, come mi sento davanti ad un quadro? Cosa mi colpisce maggiormente? I colori, il soggetto o le emozioni che provo? Di fronte ad un opera astratta, le cui immagini non sono immediatamente riconducibili a qualcosa di oggettivamente riconoscibile, la mia immaginazione e il mio mondo interiore possono contribuire a dare forma e significato a ciò che vedo; un po’ come facciamo guardando le nuvole nel cielo. Di fronte ad un’opera figurativa, probabilmente saremo colpiti dalla sensazione di realtà delle immagini, o al contrario, di ri-elaborazione personale della stessa, potremmo fare inconsapevoli associazioni con nostri ricordi, sogni, emozioni. Al di là del tipo di quadro che contempliamo, la reazione sarà comunque personale e soggettiva, legata o meno anche ad un giudizio di tipo estetico.


Chi è l’artista?

Una Testimonianza di Vita

L’

estetica, così come la tecnica, rimane comunque un elemento importante nell’arte, ma i canoni variano a seconda della cultura, degli stili artistici dominanti e del periodo storico: l’artista è influenzato da tutto questo, sia che vi si attenga, sia che vi si contrapponga. Una creazione artistica è caratterizzata da regole e, allo stesso tempo, dalla possibilità di sovvertirle. La personalità dell’artista è una variabile fondamentale per la comprensione dell’opera: talento, tecnica, concezione del mondo, preferenze cromatiche e compositive, formazione, influiscono su significati e messaggi dell’opera stessa. Non è importante solo la riproduzione fedele della realtà, ma la capacità dell’artista di tradurre in immagini la propria rappresentazione della stessa e, dunque, il proprio pensiero, le proprie emozioni, il proprio mondo immaginario, spirituale, come conferma Giovambattista Cuocolo, artista italiano, insegnante in un Liceo Artistico di Roma: “Io racconto le immagini che abitano nel mio mondo interiore, dove il vissuto dà forma all’essenza e al tempo stesso ne è condizionato. Il conflitto

esistenziale è il filo conduttore della mia vita. Io ricerco un equilibrio attraverso la rappresentazione dello scontro tra il Bene e il Male, tra le realtà negative e positive che sono in noi”. Nelle sue tele la realtà oggettiva è superata per privilegiare una dimensione “altra”, con un linguaggio visionario in un continuo rimando tra reale e immaginario, figurativo e astratto, concreto e simbolico: “Nelle mie opere utilizzo la mitologia come pretesto per raccontare i miei percorsi mentali: il Minotauro, il labirinto e altri miti cui ho fatto riferimento nelle mie opere sono trasposizioni iconiche delle mie realtà interiori. Uso sempre simboli per raccontare in modo non esplicito ciò che è dentro di me”. Alcune ricerche hanno tentato di individuare dei tratti tipici della personalità creativa, caratterizzata da: curiosità, bisogno d’ordine, bisogno di successo, autorità, indipendenza, aggressività, scarsa inibizione, non convenzionalità, versatilità, autodisciplina, capacità critiche, ampia gamma di interessi, in cui non rientrano quelli economici, introversione, intuizione, empatia. L’autore Arieti annovera capacità di stare solo e di introspezione, di concentrazione su stimoli interni piuttosto che esterni. L’artista e la terapia

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IL FILM

Terapeuticità dell’arte Scoprire ed esprimere se stessi

Il mio piede sinistro Regia Jim Sheridan Interpreti Brenda Fricker, Daniel Day-Lewis, Ruth McCabe, Cyril Cusack, Hugh O’Conor Durata h 1.46 Irlanda 1989

Christy Brown, appena nato, è vittima di una paralisi che gli impedisce di parlare e di muoversi: i medici al riguardo esternano pessimistiche previsioni sulla possibilità di sopravvivenza di Christy. Con il trascorrere degli anni Christy sorprende i familiari per i suoi tentativi di comunicare con il piede sinistro, tramite il quale riesce a scrivere alcune parole e a dipingere. Successivamente, a diciassette anni, gli viene offerta l’occasione di essere curato dalla dottoressa Eileen Cole: con l’intervento di questa specialista Christy compie consistenti progressi che gli consentono di ottenere un notevole successo come pittore.

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Giovambattista Cuocolo - Forza trascendente (2004)

pesso ci troviamo nella situazione di voler esprimere qualcosa, un’emozione, un vissuto, ma abbiamo la sensazione di non riuscirci: l’espressione artistica può fornirci un linguaggio attraverso il quale tale espressione diventa possibile. E allora quel vissuto si trasforma in un colore, un disegno e così prende forma e diventa visibile e condivisibile, l’interno diventa esterno. E qui troviamo il punto di contatto tra il lavoro dell’artista, che spesso ha come conseguenza (ma anche come motivazione) la conoscenza e l’espressione di sé e l’utilizzo dell’arte in senso volutamente terapeutico. L’arteterapia può fungere da “ponte” con il mondo interno, grazie anche alla relazione col terapeuta e al setting in cui si

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Giovambattista Cuocolo - Fuga di Dedalo (2005)

estrinseca: non parliamo di un artista che può produrre anche in solitudine, ma di una persona che sperimenta una relazione all’interno della quale si lavora insieme nella costruzione di significati e ciò facilita lo sviluppo emotivo, la creatività, l’allentamento di tensioni che vengono rese manifeste e possono essere “guardate” dall’esterno, favorendo anche una funzione catartica. Presupposto dell’arteterapia è la libertà di espressione, svincolata dalla tecnica e dai canoni estetici di cui invece l’artista deve tener conto. Lo scopo non è creare qualcosa di artisticamente valido, ma dare espressione al mondo interno, spesso poco conosciuto, costituito da risorse arcaiche, fantasiose intuitive, legate a vissuti corporei, le quali spesso risultano impoverite dall’enfatizzazio-


ne della razionalità che ci porta ad utilizzare prevalentemente l’emisfero sinistro, a scapito del destro. Il recupero di queste funzioni mette la creatività a disposizione delle strategie di problem-solving, della flessibilità, delle capacità di adattamento e percezione della realtà. Così racconta la sua esperienza emotiva il nostro artista: “Quando dipingo ho la sensazione di scavare la tela, come se questa fosse un blocco di pietra da cui tolgo il superfluo e, contemporaneamente è come se scavassi

nella mente per raggiungere le varie profondità, oppure aprissi porte che mi introducono in meandri, altrimenti inaccessibili, dove si materializzano emozioni intime, nascoste. Gioco nei cunicoli che si aprono di fronte a me, in queste cavità oscure, a volte cupe, fino a quando non trovo la via per ritornare in superficie, fuori dall’opera”. “Probabilmente la mia ricerca pittorica nasce dalla necessità di conoscere me stesso nell’unico modo che mi è possibile: rappresentare attraverso immagini, il mio mondo fantasmatico”. (Giovambattista Cuocolo)

Giovambattista Cuocolo - Oltre la porta (2000)

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IL LIBRO

Le immagini nella diagnosi psicologica I test proiettivi

Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica AUTORE E.H. Gombrich ANNO 2002 EDITORE Leonardo Arte

Arte e illusione è uno studio classico sul formarsi dell’ immagine, la risposta a una domanda semplice: perché esiste quello che chiamiamo “stile”? Se la domanda è semplice, la risposta però non lo è, e la brillante esplorazione della storia e della psicologia della rappresentazione pittorica condotta da Ernst H. Gombrich affronta tematiche fondamentali. Dimostrando che la rappresentazione di un soggetto può essere assai più difficile di quanto sembri, egli esamina e rimette in discussione idee vecchie e nuove sui concetti fondamentali dell’arte.

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hi non conosce il famoso “Test delle macchie” dello psichiatra svizzero Rorschach? Esso è costituito da tavole con immagini non definite in cui ciascun individuo “vede” qualcosa frutto di una interpretazione personale influenzata soprattutto da vissuti personali, emozioni, fantasie, “proiettati” sullo stimolo. Il termine “proiezione” fu introdotto da S. Freud per indicare il meccanismo di difesa per il quale si attribuiscono ad altri sentimenti e qualità propri. I test proiettivi provocano sperimentalmente la proiezione proponendo stimoli non

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strutturati sui quali, appunto, il paziente “proietta” inconsapevolmente, il proprio mondo interiore. Ciò rende i test proiettivi molto utili nell’indagine psicologica: la finalità principale non risiede tanto nell’attribuire un’etichetta diagnostica alla patologia, ma nella valenza conoscitiva che tali test forniscono, consentendo di capire il senso del sintomo e le differenti modalità di funzionamento di ognuno. Un limite attribuito dai sostenitori di un approccio maggiormente quantitativo è il rischio che la soggettività dell’esaminatore influenzi l’interpretazione, che comunque è legata a protocolli riconosciuti.


LA CREATIVITÀ Freud, inizialmente, pose l’accento sul meccanismo della sublimazione, una deviazione che subirebbero le energie della libido rispetto alla meta originaria, come fondamentale nel processo creativo, al quale si ricorrerebbe per appagare desideri e spinte pulsionali non soddisfatti nella realtà. Ma la creatività non è più considerata legata alla patologia, ma come funzione dell’attività sana dell’individuo, utile alla crescita personale: si ritiene sempre più importante infatti favorirne lo sviluppo già dall’età scolare. La creatività: • È legata ad una intelligenza non logica; • Consente di intuire nuove connessioni tra pensieri e oggetti e immaginare soluzioni nuove; • È favorita da capacità di adattamento, riorganizzazione, flessibilità; • È ostacolata da rigidità, dipendenza, ansia, conformismo.

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PSICOLOGIA DELLA GESTALT Meccanismi della percezione

La Gestaltpsychologie (psicologia della forma), orientamento della psicologia della percezione di inizio ‘900, studia i meccanismi fisiologici e psicologici della percezione, i rapporti tra organismo e ambiente e, successivamente, memoria, intelligenza, espressione e personalità globale. I punti fondamentali, su cui si fonda sono: • La percezione dipende da fattori sia oggettivi che soggettivi. Il soggetto tende ad isolare delle forme pregnanti anche in base ai propri bisogni; • Il campo percettivo viene organizzato sotto forma di insiemi strutturali e significativi che si stagliano su uno sfondo; • Il tutto è diverso dalla somma delle parti: un’immagine, così come un comportamento, assume significato se considerata nel suo contesto, in una visione globale di insieme; • Utilizzo di linguaggio verbale e del corpo e ampio riferimento al linguaggio simbolico, soprattutto attraverso tecniche di espressione artistica (disegno, pittura, scultura, danza etc.); • Obiettivo: trasformare la percezione interna del mondo esterno, favorire una ri-elaborazione del sistema individuale di percezione e di rappresentazione mentale. La soggettività nella percezione è ben palesata nell’osservazione della famosa immagine in cui si possono percepire alternativamente una donna giovane e una vecchia, a seconda degli elementi che vengono considerati come sfondo o come figura.




ARTE

Carol Rama Corpo e SessualitĂ da un punto di vista artistico-femminile

Dott.ssa Carmela Maria Barbaro, Sociologa

Carol Rama

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Carol Rama

Pittrice trasgressiva e “fuori tempo”

L’arte mira a penetrare nell’io altrui per consentirgli di partecipare al proprio

A. Morandotti

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“L

Lusinghe - 2003 - pastello, acquerello e smalto su carta

a rabbia è la mia condizione di vita da sempre; sono l’ira e la violenza a spingermi a dipingere; e il lavoro mi appaga, mi rasserena”. E’ ciò che ha dichiarato tempo fa in un’intervista Carol Rama, nome d’arte di Olga Carolina Rama, artista italiana di fama internazionale. Nata a Torino nel 1918, comincia a dipingere negli anni Trenta, un periodo davvero difficile, soprattutto perché il patriarcato fascista imponeva alle donne un ambito ristretto e casalingo, escludendole dai cosiddetti “mestieri maschili”. Ma lei se ne infischia: dipinge ignu-

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de figlie d’Eva, pose scabrose, lingue di fuori, uomini e donne che si masturbano, genitali in bella vista. Allieva di Felice Casorati, che è, a quell’epoca, l’artista più noto e influente a Torino e il cui atelier è un effervescente cenacolo artistico e culturale. Attratta da una figurazione semplificata ed assai espressiva, fin dagli inizi avvia una sostenuta produzione di acquerelli su carta altamente erotici ispirati alla Secessione viennese, in particolare alla figura drammatica di Egon Schiele. Questi primi lavori creano immediatamente scandalo, consegnando l’artista alla marginalità, tanto che molti di questi primissimi lavori comparvero in pubblico solo a partire dal 1980.


La tecnica Carol Rama è passata attraverso tendenze artistiche diverse e tecniche varie (dagli acquarelli degli anni ‘30 e ‘40, agli oli degli anni’50, per passare ai lavori materici degli anni ‘60 e alle composizioni astratte con le gomme (‘70), fino ai “bricolages” materici degli anni ‘80 e ‘90) riuscendo a mantenere intatto un proprio tratto caratteristico

MOVIMENTO ARTE CONCRET Il Movimento per l’arte concreta, o MAC, è un movimento artistico fondato a Milano nel 1948 da Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet, con il fine di promuovere l’arte non figurativa, ed in particolare un tipo di astrattismo libero da ogni imitazione e riferimento con il mondo esterno, di orientamento prevalentemente geometrico. Negli anni seguenti, il Movimento si struttura con una rete organizzativa diffusa in varie città, oltre Milano, come Torino, Genova, Firenze, e comprendente non solo pittori o scultori, ma anche architetti, industrial designers, grafici. Il MAC si sciolse nel 1958. Organismi ancora ben definibili e vulnerabili 1970 - Camere d’aria su tela

LA VITA • Nasce a Torino il 17 aprile del 1918 • Ancora adolescente assiste con sgomento al suicidio del padre e al conseguente internamento della madre in manicomio • Negli anni ’30 comincia a frequentare l’atelier di Felice Castrati, noto artista dell’epoca e a dipingere ritratti con acquerelli (1936-1946) • Nel 1948 e nel 1950 viene invitata alla Biennale di Venezia • Negli anni ’60 aderisce al movimento denominato MAC (Movimento Arte Concreta) • In quegli stessi anni frequenta Edoardo Sanguineti e Italo Calvino • Negli anni ’70 espone le sue opere a Parigi e New York e conosce Andy Warhol, Orson Welles e Man Ray • Nel 1980 conosce Lea Vergine e organizza mostre con opere degli anni ’30 e ’40, tra cui una mostra itinerante che ha per tema le grandi artiste del Novecento (“L’altra metà dell’avanguardia”) • Nel 1993 torna alla Biennale di Venezia e sempre lì ottiene nel 2003 il Leone d’oro alla carriera

Carol Rama

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IL LIBRO

Una vita per l’arte L’arte che ritrae la vita

Carol Rama Self-portrait Catalogo della mostra (Legnano, 15 novembre 2008-1 febbraio 2009). Ediz. italiana e inglese AUTORE Arensi F. ANNO 2009 EDITORE Allemandi

Il volume riproduce 76 lavori su carta (disegni e acquarelli) - fra cui molti inediti - datati fra il 1933 e il 2005. Il percorso tracciato è quello tematico oltre che cronologico, nel tentativo di costruire per la prima volta un viaggio nel linguaggio di questa esuberante artista. Questo libro è stato il catalogo della mostra allestita presso il Castello di Legnano (15 novembre 2008 - 1 febbraio 2009). Testi in italiano e inglese

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M

a l’arte per Carol è soprattutto qualcosa di estremamente intimo e personale, legato alla propria esistenza, scatenata da sentimenti e passioni forti, ma allo stesso tempo l’unico mezzo che poi le genera sensazioni di pacatezza e serenità. Insomma, una vita per l’arte e l’arte che ritrae la vita: la sua. Ogni personaggio, ogni oggetto della sua opera trova un perché nella storia e nella memoria dell’artista. Nella pri-

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ma metà degli anni quaranta realizza piccoli acquerelli su carta, che hanno come soggetto protesi in legno di gambe e braccia, dentiere, scopini per il gabinetto, pennelli da barba, scarpe femminili, colli di volpe. Sono tutti objets trouvés che Carol Rama vede attorno a sé in casa (la madre, dopo la morte del marito, lavora come pellicciaia) o nel laboratorio della zia di Livorno che produce gambe di legno per i mutilati di guerra e invalidi. Insomma l’arte ritrae quello che lei ama definire esperienza.


Bricolage - 1964 - Mista e colage su carta


La corona di Keaton - 1993 - Pennarello su carta


L’arte che guarisce l’anima

La sofferenza ci accomuna, la follia ci è vicina

“D

Movimento e immobilità di Birnam - 1978 Camere d’aria e gancio di ferro su tela da capote e vinilpelle

ipingo per guarirmi” dice l’artista. La sua è un’adolescenza segnata dal suicidio del padre e dalla malattia mentale della madre. Le visite alla clinica psichiatrica influenzano la serie di opere, “Appassionata”, eloquenti e commoventi, con figure femminile nude e costrette su letti di contenzione. Questi lavori riflettono le angosce e le fantasie di una giovane donna, che ha dovuto di colpo confrontarsi con gli aspetti più traumatici della vita. Dopo la guerra, soprattutto negli anni Sessanta, la sua arte usa la tecnica del Bricolage, con composizioni eseguite incollando occhi finti, di vetro, ma anche denti, unghie

e artigli d’animale su tele e carte che vengono dipinte con macchie e aloni di stile informale. Attutire la tragedia con i colori, è questa l’idea che in quegli anni approda alla sua mente dopo aver letto le poesie di Edoardo Sanguineti. A partire poi dagli anni Ottanta riprende il tema autobiografico: in queste opere mostra il coraggio con cui è riuscita a inventare se stessa, il genio di cui è dotata e che le ha permesso di trasformare paure, gelosie, desideri, dolori e rabbia in opere caratterizzate da un linguaggio forte e attuale che riesce ad esplorare il tema dell’identità femminile. La sua arte, dice l’artista, “piacerà moltissimo a quelli che hanno sofferto. Perché la follia è vicina a tutti. E perché l’arte se non è già la vita, almeno è libertà.”

CAROL RAMA Ma chi è, in verità, Olga Carol Rama? E’ un angelo luciferino, affabile e selvatico; è una dilettante suprema; è una naufraga mai arresa al banale; è un fool manganelliano e un coboldo incendiario; è un artifizio, una messa in scena perfetta; è un mosaico di ruderi, di avanzi corrosi del passato; è una costruzione letteraria, è una poesia di Sanguineti e un pezzo di Baudelaire; è esotica, erotica, eroica. Ma è anche “bella e dannata”, truculenta e serafica, primitiva e blasée, sconfitta e invulnerabile, gagliarda e astenica, scintillante e ribalda, aristocratica e plebea, perversa e innocentissima, ilare e desolata, gentildonna colta, schiva e laboriosa, guitta e monacata. E’ Molly Bloom o Alice, la signora Ramsey o Pandora, Sisifo o Icaro, Gorgona o Cagliostro, Medusa o Euridice senza Orfeo? Nessuno, nessuno può saperlo. L’artista si dà e si nega, gravata da un mistero permanente.» da: Lea Vergine, «Carol Rama: eroica, esotica, eretica», in Carol Rama, Comune di Milano, 1985 Carol Rama

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WELLNESS COOKING

Cura e miscela di sapori autunnali Fabio Campoli, chef di Rai Uno propone ai lettori di O2 Psicologia, la “Minestra di lenticchie e farro con ragù di pesce e primo sale”

Parola allo Chef…

F

abio Campoli racconta la sua ricetta: “Questa è una ricetta pulita, equilibrata, ottima per una sana alimentazione, che spesso preparo a casa, ma se me la servissero in un ristorante, ne sarei ben felice. Non a caso ho scelto le lenticchie umbre, che sono di gran qualità e, il farro, un cereale che si sposa alla perfezione coi legumi. Tutto è stato cotto senza sale in un’acqua aromatizzata da vari pesci e da alcuni ortaggi, perché si sa che i cereali e i legumi, essendo spugnosi, riescono ad assorbire tutto il meglio degli ingredienti: basta metterci la giusta dose di cura. Difatti, il mio motto da sempre è “cura, cura e ancora cura”, anche nelle cose più semplici. Per riuscire bene in cucina, dunque, come in qualsiasi altra cosa, ci vuole tanta cura. Chi mi conosce, infatti, sa che per me anche fare un panino diventa un rito. Nel caso di questa ricetta la cura sta nel miscelare i sapori e nel tenere sotto stretto controllo le cotture, il che porta ad avere alla fine un risultato sorprendentemente saporito e fragrante. Le verdure hanno la giusta cottura sia all’interno, per via del fuoco basso, sia all’esterno, perché sono state messe alla fine proprio per creare un piccolo contrasto di consistenze (e non averle invece stracotte). Il pesce, cotto nei vapori emanati dalle lenticchie e dal farro, risulta morbido e pieno di succhi: il gran tocco finale non poteva che essere dato dal primo sale, che rende ancor più intrigante questa pietanza”.

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a cura del Circolo dei Buongustai


Minestra di lenticchie e farro con ragu di pesce e primo sale Ingredienti per 4 persone 200 g di gamberi, cernia e seppie pulite 200 g di canocchie 80 g di formaggio primo sale 50 g di lenticchie di Colfiorito 50 g di farro perlato 40 g di sedano 40 g di cipolla 40 g di carota 30 g di peperone 40 g d’olio extravergine d’oliva dal fruttato medio sale qb

Come si prepara... Fate rinvenire le lenticchie e il farro in acqua tiepida per cinque minuti. Lavate accuratamente, ma non a lungo, le canocchie, separate la polpa e il guscio dalla testa (sciacquando bene sotto l’acqua corrente) e poi battete leggermente su un tagliere. Chiudete a sacchetto con dello spago da cucina le canocchie in un panno di lino e mettete in una pentola con abbondante acqua fredda. Sciacquate bene le lenticchie e il farro, mettete nella pentola con le canocchie e, su fiamma bassa, portate a bollore lentamente schiumando le impurità di tanto in tanto. Portate a cottura (senza stracuocere) e solo allora aggiustate di sale; poi lasciate riposare lontano dal fuoco per almeno un’ora. Pulite il pesce, tagliandolo a piccoli cubi e condite con pochissimo sale e la metà dell’olio; lasciate riposare in frigorifero per venti minuti. In una casseruola preparate un fondo con l’olio rimasto e una brunoise di vegetali, lasciate cuocere lentamente a fuoco dolce coperto, poi aggiungete alle lenticchie e al farro ancora caldi, dopo aver tolto il sacchetto con i crostacei. Portare a bollore e adagiate il pesce tolto dal frigorifero, coprite e fate passare trenta secondi. Spegnete e lasciate riposare fuori dal fuoco per tre o quattro minuti. Servite in fondine calde con una grattugiata di formaggio primo sale.

Ricette di benessere

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DR. ANTONIO MARCO CAMPUS Il Dr. Antonio Marco Campus è psicologo clinico e di comunità, criminologo e psicodiagnosta. Docente di materie criminologiche e psicologiche presso l’Agora Schole in Roma, collabora con la cattedra di Criminologia della Facoltà di psicologia presso La Sapienza di Roma, esercita la libera professione nelle città di Roma, Cagliari e Terni. Direttore del sito www.psicocriminologia.com. Organizza corsi, seminari e workshop nella città di Roma su tematiche di interesse sociale, psicologico e criminologico. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche tra cui i saggi “Profilo psicoanalitico del serial killer” per Bonanno editore, 2008 e “Il pedofilo è lui. Analisi psicoanalitica della pedofilia” per Terre sommerse nel 2009 e svariati articoli per testate giornalistiche nazionali e locali. Per contatti e informazioni www.psicocriminologia.com - dottor.campusmarco@tiscali.it


DOSSIER SERIAL KILLER

IL LATO OSCURO È IN OGNUNO DI NOI Approfondire ciò che fa paura e che vorremmo allontanare da noi: la personalità criminale Dr. Antonio Marco Campus, Psicologo, Criminologo e Psicodiagnosta


L’impulso omicida

Q

Quando il Super-Io invade l’Io uando si parla di omicidi e di persone che uccidono altre persone, stiamo trattando uno degli arg omenti più complessi su cui uno studioso possa cimentarsi. La sua astrusità, però, non riguarda tanto la sfera concettuale intrinseca, quanto la dimensione emozionale, le speranze e le aspettative che tale argomento, inevitabilmente porta con sé. Non possiamo quindi parlare né di omicidi né di serial killer, senza fare i conti con il nostro colludere con questo tipo di emozioni. Questa collusione inizia dall’idea che uccidere un altro essere umano può essere una soluzione ad un problema, tuttavia non vuole dire che sia una buona soluzione, eppure è un pensiero che ci appartiene. L’impulso omicida presente in ciascuno

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di noi trova genesi nella spinta pulsionale ag gressiva e tende a concretizzarsi nel momento in cui il Super–Io non riesce a controllarla per mettendole di invadere l’Io e di dare forma ad un acting out. Tale aggressività, a carattere patologico, trova terreno fertile in quei sog getti che hanno una struttura di personalità deviata e connotata da un architettura patologica, come ad esempio il disturbo antisociale di personalità, le gravi schizofrenie, ed il disturbo borderline. Sebbene il movente che conduce un individuo ad uccidere sia quasi sempre interno, occorre tenere conto altresì delle influenze provenienti dall’ambiente esterno come la gelosia, la vendetta, l’interesse economico e, ultimamente la noia che, alcuni giovani affermano di provare e di colmare con gesti criminali.


Freud e l’inconscio

Da vittime della morte a carnefici

IL LIBRO

“Profilo psicoanalitico del serial killer” AUTORE Antonio Marco Campus ANNO 2008 EDITORE Bonanno

L

o stesso Freud si occupò dell’argomento, asserendo che nell’inconscio è sempre presente quell’energia orientata verso l’uccisione che vive a livello fantasmatico, poiché gravida di conseguenze analizzate da quella parte del Super-Io che chiama Coscienza morale. L’archetipo della morte porta con sé paure e crisi di coscienza e, tutto ciò che in qualche modo ci fornisce l’illusione d’essere artefici e responsabili della nostra vita, ci rassicura. La trasfor mazione da vittima della morte a carnefici seda i sensi di col-

pa nei confronti di un’impotenza davanti al destino di tutti gli uomini. Il serial killer affronterebbe l’idea del trapasso senza esserne sopraffatto, alimentandosi di un vissuto di onnipotenza esplicato attraverso l’uccisione. Freud affermava che nel profondo del nostro inconscio vi è una forza la cui energia è orientata verso l’omicidio che può o meno rimanere fantasmatica: “Il nostro inconscio non attua l’uccisione, si accontenta di pensarla e di augurarla. Sarebbe tuttavia erroneo sottovalutare del tutto questa realtà psichica nei confronti della realtà di fatto. Essa è sufficientemente importante e gravida di conseguenze”.

Il libro ha un carattere scientifico ma decisamente di facile lettura. Ciò che rende unico questo libro è la spiegazione di alcune teorie psicologiche e criminologiche attraverso le frasi pronunciate dai serial killer e dalle loro storie di vita. Molto interessante è il capitolo dedicato al profilo di 4 serial killer: Luigi Chiatti, Aileen Wournos, Gacy e Chikatilo, in cui l’Autore espone anche le sue teorie circa la depressione come fattore determinante la condotta omicidiaria. Antonio Marco Campus, criminologo e dottore in psicologia clinica ha scritto un libro valido e dettagliato su un fenomeno di grande interesse. Serial Killer

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Chi è il Serial Killer?

Definizione di Ressler e Identikit Psicobiografico IL FILM

Monster Regia Patty Jenkys Interpreti Charlize Theron, Christina Ricci, Bruce Dern, Scott Wilson, Lee Tergesen, Pruitt Taylor Vince, Annie Corley. Durata h 1.36 USA 2003 Il film del caso della prima serial killer donna: Aileen Wuornos. Una ragazza come tante che nutre l’enorme b i s o g n o di essere amata da una società che invece la respinge, si mantiene prostituendosi: commette il suo primo omicidio per legittima difesa. La vittima è un cliente 53enne che le stava usando violenza. Questo tentato stupro scatena in lei una reazione a catena che la spinge a commettere omicidi su tanti altri uomini.

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Charlize Theron prima e dopo il make-up per l’interpretazione di Aileen Wuornos nel film Monster

er Serial Killer si intend e “ u n s og g e t t o c h e u c c i d e più volte persone a lui scon o s c i u t e, ( n o n m e n o d i t r e secondo il criterio stabilito dall’FBI) senza appar ente movente, con viol enza cr udele e lasciando a vol t e u n a f i r m a simbolica finalizzata a mar car e la sua opera d e l i t t u o s a . S a r ebb e s o l i t o a g i r e i n l u og h i diversi e in tempi piuttosto lunghi. In seg uito alle ricer che condotte da u n g r u ppo di studiosi americani sui Serial K i l l er i n c ar c er e, è stato possibile tracciar e u n i de n t i k i t psicobiografico modello in cui è asser i t o c he s o l i t a m e n t e s i t r a t t a d i s og g e t t i m a s c h i d i razza bianca con un’età media di 27 anni (all’e poca dell’omicidio) sia eter osessuali sia o m o s e s s u a l i . P r i m og e n i t i , h a n n o t r a s c o r s o l ’ i n f a n z i a e l ’ a d o l e s c e n z a i n f a m i gl i e d i s a s t r a t e e v i o l e n t e c o n m a d r e “ p a t o l og i c a ”

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spesso prostituta e il padre assente (delinq u en t e) . V i t t i m e di m al t r at t am en t i e abu si sessu a l i manifestano nell’età adulta comportamenti de v i at i q u al i pi r o m an i a e sadi sm o v er so gl i animali. Incapaci di intrapr ender e r elaz ioni sociali, vivono in una continua situaz ione d i i s o l a m e n t o i n s eg u i t o a l l a m a n c a t a i n t r oi ez i on e, n el l ’ et à del l o sv i l u ppo, di va l i d i m o d e l l i d i r i f e r i m e n t o. S i r i v e l a n o e s s e r e carenti nello stabilire relaz ioni intime con l’altr o sesso con conseguenti vissuti di rabbia e f r u st r az i o n e c he sf o c i an o i n at t eg g i a m en t i sessu al i par af i l i c i . Al c u n i di l or o r i esc o n o a svolgere una vita del tutto “normale” in appar enza, riescono a for mar e una famiglia, dietro la quale si cela però una mancata i d e n t i t à d i g e n e r e c o n s u s s eg u e n t i d i s f o r i e sessu al i ” . (Res s l er, 1 9 8 0 )


Binomio Sesso-Violenza

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Fantasie onnipotenti di morte iter che porterebbe il serial killer a compiere il primo omicidio sarebbe un lungo percorso iniziato nell’infanzia retto da “fantasie onnipotenti di morte”, che col passare del tempo, acquisterebbero forza e vigore fino ad essere agite e non più solo pensate. Le illusioni fantasmatiche di un omicida seriale psicopatico, secondo Roger Depue esperto dell’FBI, verterebbero sul binomio sesso-violenza. Dagli abusi fisici e psicologici, subiti nella prima fase di vita, si svilupperebbero fantasie a sfondo sadico-sessuale, in cui il ruolo del violento e del seviziatore verrebbe svolto dal kil-

ler con lo scopo di raggiungere l’orgasmo, inflig gendo sofferenza e dominio. Attraverso l’uccisione costui appagherebbe i suoi fantasmi di morte, concretizzando la fantasia di rivalsa nei confronti di colui che fu il suo ag gressore, e vivrebbe un sentimento di onnipotenza e di arbitrio sulla vita degli altri che lo obbligherebbe a ripetere l’esperienza più volte. Durante il periodo refrattario, di astinenza dal delitto, si è supposta l’esistenza di un disordine primario dei meccanismi neuroendocrini preposti all’elaborazione dello stress: ciò priverebbe l’omicidio della sua innata componente stressante agli occhi del soggetto, aprendo la strada per il suo ripetersi. Serial Killer

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FATTORI DI RISCHIO PER LA GENESI DI UNA PERSONALITÀ OMICIDA

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L’apprendimento secondo il quale la violenza è una risposta efficace e veloce ad un eventuale problema. La presenza di un rifiuto genitoriale che si manifesta non solo con l’abbandono, ma anche attraverso la mancanza di cure fisico-emotive adeguate al bambino e alla sua crescita. La presenza di una sessualità disturbata che si manifesta tramite le parafilie, o desideri omosessuali che, non essendosi integrati con il senso di sé e con l’identità di genere, potrebbero creare un forte squilibrio intrapsichico.



Genesi della personalità criminale Interazione di più fattori

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a genesi della personalità criminale potrebbe derivare dall’interazione di diversi fattori, quali la violenza subita, i disturbi nella condotta sessuale, la mancanza di cure fisico-emotive da parte di figure genitoriali, tutto ciò potrebbe dare origine ad un Sé negativo di tipo narcisistico-onnipotente con conseguenti comportamenti antisociali. Il sog getto, portatore di un Io frammentato e costituito da introietti (esperienze non attualizzate e non razionalizzate), tenderebbe ad avere una visione fantasmatica della realtà in cui opera, sarebbe sopraffatto da quell’aggressività che Lachmann chiama “er uttiva–vulcanica”, che non necessita di stimoli per emergere, e riuscirebbe a liberarsi dalla fr ustrazione soltanto attraverso l’uccisione. Solo così riuscirebbe a sedare il suo bisogno di vendetta e a rafforzare il suo delirio di onnipotenza in un intricato circolo vizioso difficile da spezzare.

“Weeping Woman” Pablo Picasso Olio su tela (1937)


I KILLER SESSUALI I Killer sessuali scelgono la loro vittima con l’intento di appropriarsi della loro sessualità e del loro corpo, attraverso atti simbolici che vanno al di là del senso di onnipotenza che deriva dal compiere l’omicidio stesso. Ne è un chiaro esempio Chase che, in seguito ad un ricovero ospedaliero, dichiarò che spesso il suo cuore cessava di battere, che le ossa della schiena volevano uscire dal corpo attraverso la testa e che lo stomaco voleva essere vomitato. Gli fu diagnosticata una schizofrenia paranoica che lo portò, in seguito, a torturare gli animali e le persone, nel tentativo di impedire al suo corpo di distruggersi.



Teorie sulla personalità criminale

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Kurt Lewin

ewin sosteneva che l’uomo vive in un rapporto di interdipendenza tra persona e ambiente, introducendo in psicologia il concetto di Campo, inteso come la totalità dei fattori coesistenti ed interdipendenti, ove di fondamentale importanza è il ruolo dell’am-

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biente nella determinazione del comportamento, includendo anche variabili non direttamente osser vabili. Per cui ogni condotta deviante sarebbe rapportabile all’interazione tra P (Persona) ed A (Ambiente) in cui quest’ultimo eserciterebbe un influenza maggiore rispetto alle dinamiche intrapsichiche individuali.

Murphy

a teoria di Murphy rappresenta un buon contributo allo studio della personalità in quanto le sue stesse componenti sarebbero rintracciabili nelle disposizioni fisiologiche, nelle canalizzazioni, nelle risposte condizionate e nelle abitudine cognitive del soggetto. Per Murphy la personalità è un flusso continuo di eventi dell’orga-

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nismo e dell’ambiente, per cui la personalità sarebbe il prodotto di un processo bipolare, un polo essendo situato nell’organismo e l’altro nell’ambiente esterno”. Indi la personalità “omicidiaria” troverebbe genesi nelle influenze cattive della società che porterebbero l’individuo ad una sorta di reazione anomala per difendersi e ristabilire un omeostasi tra interno ed esterno.


Fasi dell’omicidio seriale

IL LIBRO

Dalla fantasia alla realtà

“La strega del sapone”

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ersonalmente ritengo che l’omicidio seriale possa essere ricondotto a tre momenti chiave: la fase pulsionale - fantasmatica, quella dell’azione “omicidiaria” e quella del principio di realtà. Fase pulsionale - fantasmatica In questa fase, che precede l’acting out, il soggetto sviluppa una serie di fantasie violente e sadiche in cui soddisfa in maniera allucinatoria le tensioni intrapsichiche generate dalla pulsione aggressiva. L’individuo si troverebbe in uno stato di conflitto interiore tra il desiderio di agire la fantasia e la paura di agirla, che si traduce in una sorta di schismogenesi tra Es e Super–Io. Già Freud era stato maestro nell’insegnarci come desideri ed impulsi, considerati inaccettabili dalla sfera cosciente, possono essere soddisfatti attraverso un processo di sublimazione, che si esplica attraverso i sogni e le fantasie allucinatorie, che permettono una parziale e aleatoria scarica delle tensioni. È la fase in cui il serial killer può scegliere, in maniera spesso inconsapevole, una tipologia di vittima che diventa preda nelle sue fantasie. Fase dell’azione “omicidiaria” Più volte è stato ripetuto che il Super–Io

AUTORE Carmela Maria Barbaro

dell’omicida seriale risulta essere annichilito e deficitario, quasi atrofizzato dalla persistenza e dalla forza delle pulsioni che premono per essere soddisfatte. In questa fase le fantasie non bastano più al soggetto in quanto non gli consentono quella parziale scarica pulsionale che deve essere necessariamente agita. Il soggetto a questo punto concretizzerà, attraverso l’atto omicida, la propria fantasia nel quale riverserà in suo personale modus operandi. Fase del principio di realtà Se nella fase successiva l’individuo è stato sopraffatto dal principio di piacere, incapace di frenare l’impulso omicida per soddisfare il suo bisogno pulsionale, in questo step ritorna a prevalere il principio di realtà, anche se in modo carente. Il serial killer si accorge del gap esistente tra l’aspettativa del piacere che nutriva nelle fasi antecedenti e il piacere reale che ha provato durante l’esecuzione dell’omicidio, attribuendosi la colpa di ciò e ripromettendosi di fare meglio la prossima volta. Ritorna cosi alla fase pulsionale–fantasmatica (la pulsione, come asserito da Freud non può essere soddisfatta una volte per tutte e dopo un periodo di tempo riprende ad invadere la sfera psichica dell’individuo).

ANNO 2010 EDITORE Il Filo

Tra il 1939 e il 1940 il paesino di C o r r e g g i o viene sconvolto da tre efferati omicidi, commessi da Leonarda Cianciulli, passata poi alla storia col nome di Saponificatrice. La sua era una motivazione del tutto materna: temeva per la vita dei propri figli e si era convinta di dover sacrificare delle vittime per salvare i suoi cari, minacciati da una maledizione. Uno studio che analizza il processo a questa madre assassina, p a r t e n d o dalle carte giudiziarie, passando attraverso le perizie psichiatriche di medici illustri, il Memoriale autobiografico della stessa Leonarda e arrivando infine all’analisi dell’interesse mediatico suscitato dal caso nell’Italia appena uscita dalla guerra. Serial Killer

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Al di là dell’etichettamento mediatico e della paura

Per conoscere comprendere e prevenire

Ognuno di noi ha istinti aggressivi e passioni primitive che lo portano allo stupro, all’omicidio e che sono tenute a freno in maniera imperfetta dalle istituzioni sociali e dai sensi di colpa

Freud

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n una collettività dominata dai mass media, ove alcuni pseudo rappresentanti della criminologia e della psicologia, si fanno portavoce di un sapere a volte distorto e manipolato, per soddisfare la propria pulsione narcisistica e di onnipotenza, diventa difficile cercare di fare chiarezza e di propugnare una nuova visione preventiva, allorché questa sia non soltanto indispensabile, ma ben più utile ai fini della stessa società. Chi si ostina a rappresentare ed etichettare il serial killer come un mostro, soprattutto professionisti e addetti al lavoro clinico e psichiatrico, non pone altro che barriere al cammino pre-

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ventivo dell’omicida seriale, gettando una nebulosa nebbia su un fenomeno, che per quando agghiacciante, nulla ha in comune con i mostri. In questo modo si svincola l’emarginazione di un soggetto psicologicamente disturbato, mediante un etichettamento stereotipato che tende a separarlo dal cittadino modello, forgiando una linea di demarcazione tra colui che è bravo, buono, socialmente adeguato e colui che e deviato, malato, pericoloso e perciò un mostro. Questo tranquillizza alcuni soggetti, che vivono nella convinzione di non aver nulla da spartire con l’omicida, lui è il mostro, il reietto, nulla di lui assomiglia al soggetto “sano”, il quale si permette di ergersi a giudice e divinità in un ring


sociale nel quale ignora pietosamente un fatto cruciale: quello di essere una persona così come lo è l’omicida. Solo nel momento in cui riusciremo a capire ciò, a considerare il serial killer come un ipotetico nostro figlio, nostro padre, o nostra madre, saremo pronti ad intraprendere un percorso di ricerca e di sviluppo orientato, non solo ad una coscienziosa prassi preventiva, ma altresì diagnostica, riabilitativa e trattamentale, di un soggetto che ha sbagliato poiché vittima di un lungo processo evolutivo e psicodinamico deviato. Le teorie dovrebbero esistere per farci riflettere, per permetterci di assumere una posizione

“meta” e ragionare sul nostro e altrui ragionamento per capire quali sono le paure e le reticenze nell’affrontare con l’assenza di giudizio, un argomento tanto problematico da evitarlo se non ne siamo capaci. In ogni personalità, anche la più cattiva, per usare un termine mediatico, o la più disturbata psicologicamente, esiste ed è presente una parte buona anche se piccola, soffocata ed inerme, ed è doveroso da parte degli operatori psicologici sforzarsi, di cercarla per potenziarla e aiutarla a crescere e svilupparsi senza né farsi coinvolgere nel complesso dell’”Io ti salverò”, nè in quello “ho paura, non ti comprendo e perciò sei un mostro incurabile”. Serial Killer

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Legame d’amore tra Serial Killer e vittima

Il modo in cui siamo stati amati determina il modo in cui amiamo

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n psicoanalisi sono stati identificati due tipi di “amore”, quello parziale e quello totale, ove parziale significa un soddisfacimento ad uno o più bisogni immediati. I serial killer rientrano senza dubbio in questa categoria di amore parziale, in quanto sono incapaci di amare una persona–oggetto nella loro totalità a causa della loro struttura di personalità incompleta (borderline, narcisista, schizoide e dunque fragile, primitiva, non strutturata), dei loro meccanismi di difesa, ma soprattutto delle loro pulsioni parziali, che non hanno raggiunto il primato della genitalità (durante il periodo adolescenziale) e che dunque sono

costrette al soddisfacimento tramite oggetti parziali. Le vittime dei serial killer infatti sono oggetti parziali, siano essi bambini, studentesse, omosessuali, cadaveri: “servono a soddisfare un bisogno”. Queste vittime non sono persone, ma sono oggetti (a volte simboli). Per capire ciò, occorre riflettere sull’assenza del senso di colpa negli assassini seriali. “Il modo in cui siamo stati amati determina il modo in cui amiamo”. Chi non ha conosciuto un amore sano, ma un amore violento, anaffettivo, crescerà con l’idea che quello sia l’amore, introietterà quei comportamenti e amerà con quelle modalità.


CANNIBALISMO E VAMPIRISMO Cannibalismo - In passato il cannibalismo era praticato come una sorta di rituale magico durante le battaglie. È interessante notare come le pratiche cannibaliche viaggino su un binario parallelo alle parafilie. Il loro Carattere principale è l’eccitazione sessuale raggiunta esclusivamente mediante determinate pratiche e ciò potrebbe in un certo senso delucidare il modus-operandi dei serial killer cannibali, i quali operano per mezzo di una “scissione”, un meccanismo di difesa basilare e che in essi agisce solo nella sfera sessuale. Ciò potrebbe spiegare anche il motivo per cui, parlando degli atti criminali da loro commessi, si mostrano “innaturalmente” freddi, distaccati, come se stessero raccontando la scena di un film. Vampirismo - In medicina il vampirismo è conosciuto sotto il nome di “Sindrome di Reinfield”, descritta per la prima volta dallo psicologo Richard Noll, e si sviluppa nella maggior parte dei casi attraverso tre fasi. Inizialmente, durante l’infanzia, viene praticato l’auto-vampirismo attraverso pratiche auto-lesionistiche la cui visione provocano piacere. La seconda fase vede il malato, in una buona percentuale di casi, accompagnare i propri gesti con pratiche sessuali. La fase conclusiva della sindrome infine, porta chi ne è affetto a desiderare sangue umano; il malato può procurarselo con il consenso della vittima, ma in alcuni casi si verifica ricorso a violenza e, all’estremo, addirittura all’omicidio.



Criminal profiling di Aileen Wuornos

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Primo Serial Killer donna della storia ileen Wuornos nasce il 29 Febbraio 1956, nel Michigan. La sua infanzia fu alquanto tormentata a causa dei suoi genitori che la concepirono giovanissimi. Dopodiché il padre, venne rinchiuso in carcere con l’accusa di violenza su minori e poco dopo fu ucciso da due detenuti. Lei e suo fratello Keith furono affidati ai nonni, altro contesto familiare prevalso dai problemi di dipendenza da sostanze alcoliche del nonno e all’assenze della nonna. Aileen, restò incinta all’età di quattordici anni e il figlio venne portato in un istituto e dato in adozione. In seguito a tale fatto la madre cercò di riprendere Aileen con sé, ma la ragazza rifiutò e come risposta decise di andare a vivere da sola per strada, iniziando a prostituirsi. E’ in questo frangente che ha esordio la sua metamorfosi in cui si ravvisa una personalità con tendenze antisociali ed un cedimento dell’identità con ripetute infrazioni della legge (furto, guida in stato di ubriachezza e prostituzione). Nel 1974 si sposò con il facoltoso 69enne Lewis Fell, di cui sperpererà il patrimonio per accontentare i suoi numerosi amanti, che la sfruttarono fino al tracollo finanziario. Tempo dopo intrecciò una relazione omosessuale con Tyria Moore. Gli omicidi Dopo aver adescato un uomo, Aileen, lo uccise e gli sottrasse l’auto. Tornò dalla sua compagna e le raccontò l’accaduto. Il corpo venne ritrovato in un bosco vicino all’autostrada in stato di avanzato disfacimento, ma nonostante ciò fu possibile prendere le sue impronte digitali. Il 5 maggio del 1990 venne rinvenuto il ca-

davere di un uomo, ucciso con due colpi di calibro 22, che a causa dell’avanzato stato di decomposizione non verrà mai identificato. Passarono i mesi e a giugno, in Florida, nei pressi dell’Interstate 19, vennero scoperti i resti di David Spears, camionista freddato con sei colpi di calibro 22. Il detective Orange, che si occupava di questi casi, ritrovò il mezzo dell’uomo spoglio di qualsiasi indizio e di conseguenza iniziò una meticolosa indagine, senza ottenere nessun risultato. Lo stillicidio non si arresta. L’arma vincente per catturarla si rivelò la confessione della sua compagna. Il processo iniziò il 14 gennaio del 1992 e, anche se venne accusata solamente del primo omicidio, la corte non tenne in considerazione l’attenuante della sodomia ed il 27 gennaio la corte della Florida le inflisse la condanna alla sedia elettrica. “Odio gli uomini e potrei ucciderne ancora” dichiarò alla Corte Suprema della Florida. Aileen Wuornos venne giustiziata tramite iniezione letale il 9 ottobre del 2002 all’età di 46 anni. Serial Killer

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Il caso Aileen

“Potevo essere una persona normale”

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a cosa che gli altri di me non avevano capito, è che potevo essere una persona normale”, “le persone come me perdono..ogni giorno” sono forse le frasi più significative pronunciate da Aileen Wuornos. Solitamente le assassine seriali, spesso, riescono a portare avanti per anni e anni la catena di omicidi e, dal punto di vista investigativo, sono ancora più difficili da scoprire e catturare dei loro corrispettivi maschili. Il tempo medio di durata di un omicidio seriale commesso da una donna è di otto anni, il doppio di quello maschile. Il caso di Aileen trascende da tale assioma in quanto l’intera vicenda delittuosa non si prolunga per più di anno vestendosi di abiti prettamente maschili. La scelta delle armi, l’accurata selezione delle vittime e una pianificazione metodica dei delitti, volta a simulare una morte naturale, sono tutti elementi che, combinati con una forte resistenza culturale e sociale, nega l’esistenza dell’omicidio seriale femminile, e sono alla base di questa loro maggiore longevità. Anche in tale fattispecie è facile notare come il serial killer dell’autostrada segua un impronta mascolina in quanto la scelta causale della vittima, l’uso di un’arma da fuoco e il modus operandi agito, se rientrano appieno nella condotta omicida maschile, difficilmente vengono posti in essere dalla donna criminale. Da quanto si evince dai fatti che segnano la vita di Aileen si può riscontrare come tutti questi parametri vengano puntualmente disattesi in quanto tra vittima e aggressore non vi era nessun tipo di rapporto, se non occasionale a carattere sessuale, e vi sia uno spostamento geografico ben più dinamico della stretta cerchia familiare e amicale.

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Esaminando la sua storia, non si può non considerare il forte vissuto abbandonico iniziato già nell’infanzia a causa della separazione prima dal padre e successivamente dalla madre a cui seguirono alcuni anni di violenza, vissuta e agita, perpetrata a suo danno dal nonno alcolizzato. Le figure maschili che hanno condizionato la sua vita sono state fin dall’inizio dei punti di riferimento negativi creando una sorta di rabbia e di vissuti vendicativi nei confronti degli uomini. Il matrimonio rappresenta un ulteriore evento fallimentare della sua esistenza in quanto abbandonata dal marito e dagli amanti che frequentava. Si è creato in tal modo una reiterazione depressiva a carattere abbandonico che l’ha portata presumibilmente ad innamorarsi di una ragazza e a trasmutare in vendicatrice. L’identificazione col sesso opposto è il frutto di un percorso contrassegnato dalle ripetute esperienze negative col sesso maschile davanti alle quali lei era del tutto inerme. La trasfigurazione da vittima a carnefice è avvenuta nel momento in cui ha avuto inizio la sua relazione con la compagna che le ha permesso di introiettare l’identità di ruolo maschile, lasciando alla partner l’identità di ruolo femminile. Il continuo frequentare locali per motociclisti, il bere birra fino ad imbruttirsi, il frequentare camionisti possono essere letti come i segni di un omosessualità latente a cui consegue l’introiezione del ruolo sociale e stereotipato del maschio che verrà successivamente manifestato nel suo modus operandi con l’uso dell’arma da fuoco, con i furti d’auto e con il mestiere della prostituzione. Si evince, dunque, la volontà di essere uomo per uccidere l’uomo, per non sopportare e soffrire più come in passato a causa di coloro che l’avevano maltrattata ed uccidendo gli esponenti di sesso maschile per punirli e vendicarsi simbolicamente dei suoi boia infantili.




SESSO

PATHOS & AMORE La passione invade e piacevolmente si “subisce” Dott. Giovanni Gentile, Psicologo

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Sesso desiderio e amore

Stati emotivi che spesso confondiamo

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a parola “Passione”, dal latino patior, significa soffrire, provare, sopportare, fa riferimento, quindi a tutte quelle esperienze umane che hanno alla base un tipo di atteggiamento passivo. Questo significato resta ancora oggi: infatti quando parliamo di passione, ci riferiamo ad un’emozione fortissima, un’emozione che in un certo senso subiamo. Lo stesso uso grammaticale della parola sottolinea il concetto di passività che ne è alla base: “Provare passione per qualcosa”. La passione, quindi, assume quasi il significato di una stregoneria dalla quale non si può sfuggire, dinnanzi alla quale siamo inermi. Nel sentimento “amoroso” il termine “passionale” viene utilizzato con il senso di forte tensione, di durata indeterminata e causa dell’attrazione sessuale, del coinvolgimento emozionale e sentimentale. Spesso però questo tipo di signi-

ficato viene confuso con il desiderio sessuale, che invece è quello che possiamo chiamare un impulso verso una persona che si desidera “possedere” sessualmente. Differente ancora è il concetto di Innamoramento, che parafrasando Francesco Alberoni può essere definito come: “Lo stato nascente di un movimento collettivo a due”. L’ innamoramento ci permette di conoscere l’ intimità della persona amata. La voglia di condividere e partecipare alle stesse esperienze, la passione, la tenerezza, tutto questo e molto altro creano l’ innamoramento. Da qui quello che definiamo comunemente “Amore”, quel sentimento profondo che lega e unisce due persone. Amare significa entrare in empatia con i bisogni dell’altro, rispettare l’amato per quello che è per la sua unicità. Amare non coincide, dunque, con il “possesso”, ma al contrario amare può idealmente significare dono, dedizione e altruismo.


Il sesso: significati e definizioni

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Tutto ha origine dai sensi… a vita sessuale di noi esseri umani è polimorfa e variegata. Quello che appare normale per alcuni può senza ombra di dubbio risultare bizzarro per altri. Alcuni vivono la sessualità come una necessità, altri come un corollario della vita di coppia, ma essa appartiene alla naturale fenomenologia fisiologica di tutti gli uomini e coinvolge sia la psiche che il corpo. Importante è valutare anche l’ambiente circostante in quanto la vita sessuale può essere soggetta a limitazioni o ad esasperazioni dettate dalla cultura ambientale di appartenenza. Ad ogni modo la sessualità di fatto è caratterizzata da un insieme di fattori complessi, che non

dipendono solo da una componente fisica, ma anche e soprattutto da fattori psichici. La spinta sessuale infatti è generata da un stimolo sensoriale (visivo, olfattivo, uditivo, gustativo, tattile), che viene, poi mediato dal Sistema ner voso centrale SNC, che attiva a sua volta, il sistema endocrino mandando un segnale all’apparato circolatorio e all’apparato riproduttore. Naturalmente, il comportamento sessuale non può e non deve essere “definito” solo come l’insieme dei meccanismi biologici dell’accoppiamento, ma per essere descritto fedelmente deve tenere presenti i fattori psicologici e cognitivi della persona, come anche il momento ed il contesto sociale ed etico in cui vive. La Passione

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Un po’ di storia IL FILM

Il sesso in chiave erotica e non solo riproduttiva

Eyes wide shut Regia Stanley Kubrick Interpreti Tom Cruise, Nicole Kidman Madison Eginton, Sydney Pollack, Leelee Sobieski, Jackie Sawris, Marie Richardson, Leslie Lowe, Todd Field Durata h 2.00 Gran Bretagna Usa 1999 La vicenda dei due protagonisti mostra come sia necessario che i partner non siano simbiotici, ma individui autonomi, che singolarmente elaborano anche fantasie erotiche e percorsi di crescita sessuale. Solo così i partner si potranno incontrare di nuovo - ancora più uniti di prima - e riusciranno a conservare quel mistero che è il nutrimento del desiderio e che innesca l’eccitazione, esprimendo spesso una passionalità e una vivacità erotica mai vissuta prima.

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n Italia, è solo dopo gli anni ‘60 che furono rese pubbliche le prime ricerche sulla fisiologia e sulla sessualità tra l’uomo e la donna in chiave erotica e sessuale, oltre che riproduttiva. “L’atto sessuale nell’uomo e nella donna”, uno dei più famosi libri della scuola del pensiero sessuale italiano, venne pubblicato proprio in quegli anni diffondendo il sesso come rapporto fisico. A partire dagli anni 60, dunque, si cominciò a rendere esplicito quello che prima

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era solo un dato di fatto, senza la paura di parlare di argomenti sessuali con il partner e/o con altre persone. Gli esseri umani vivono il sesso, infatti, in parte, nella maniera in cui e’ stato loro tramandato e cioè infarcito di comportamenti e di attitudini che sono frutto più della cultura a cui appartengono che non appartenenti alla propria realtà psico-fisiologica. Per questo motivo le abitudini sessuali delle coppie sono e resteranno sempre qualcosa di molto “misterioso” e personale.


EVOLUZIONISMO Il sesso di per sé è sempre servito all’uomo per riprodursi. Nonostante il comportamento di ricerca e di accoppiamento sessuale rappresenti per le specie, soprattutto nel mondo animale, un rischio per la vita stessa, esso è allo stesso tempo l’unico modo per portare avanti la specie. Il comportamento di mettere in mostra variopinti piumaggi, è rischioso, poiché richiama l’attenzione dei predatori, ma nonostante tutto, resta uno dei meccanismi attraverso il quale molte femmine di volatili selezionano i maschi con i quali accoppiarsi. Dunque la scelta sessuale e l’accoppiamento è un argomento così importante per la selezione naturale tanto che comportamenti che a prima vista appaiono disadattativi, vengono selezionati, e diventano pattern normali di funzionamento comportamentale.

I DATI DELLE STATISTICHE IN EUROPA CI DICONO CHE - 4 persone su 10 sono soddisfatte della loro vita sessuale e non cambierebbero niente della loro situazione attuale; - Per il 67% di loro il sesso è una parte fondamentale della esistenza che quando appaga porta a raggiungere obiettivi importanti anche in altri ambiti fuori dalla vita sessuale; - Il 48% raggiunge l’orgasmo facilmente e gli uomini che hanno un buon orgasmo sono il doppio delle donne; - Il 44% degli Europei imputa i problemi sessuali allo stress e alle difficoltà temporanee di relazione con il partner (I dati sono stati rilevati su un campione di 26.000 persone, grazie al lavoro della Sexual Wellbeing Global Survey di Durex, che ha curato la prima e unica ricerca a tema sessuale in 26 paesi del mondo)


Il calo della passione

Abitudine e desiderio di novità IL LIBRO

LEZIONI D’AMORE AUTORE F. ALBERONI ANNO 2008 EDITORE Rizzoli

Esistono moltissimi manuali sul sesso, ma vi sono pochissime opere che aiutano a riconoscere, descrivere, analizzare le nostre emozioni amorose, che ci insegnano a fare le scelte giuste, a capire se sbagliamo e dove sbagliamo. L’amore è la più grande fonte di felicità, ma dobbiamo saperlo cercare e conservare.

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olto spesso si sente parlare di rappor to di coppia spento o di passione sopita, in riferimento a un rapporto di coppia che non riesce a ritrovare i suoi modi ed i suoi tempi sessuali. E’ proprio in questo momento che diventa indispensabile cercare delle valide risposte al calo della passione. Cercare e capire quali sono le spinte sessuali di entrambi i componenti la coppia, diviene di fondamentale importanza: il comportamento sessuale dipende dall’equilibrio delle due parti, per questo il partner deve poter “esaminare”

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il motivo del calo passionale. Nella mag gioranza dei casi non si tratta di situazioni complesse, il più delle volte infatti ciò che causa l’assenza di rapporti sessuali può essere semplicemente il fattore abitudine: se i componenti della coppia or mai sono assuefatti l’uno dall’altro e’ difficile che riescano a provare interesse fisico e psichico. Se il fattore novità e’ assente e la routine non appaga ne’ i sensi ne’ la mente con la complicità delle fantasie sessuali, diventa necessario provare qualcosa di nuovo per ravvivare il rapporto, giocare con complicità per ritrovarsi in una nuova veste.


IL FILM

Fisiologicamente parlando

Gli ormoni che regolano il comportamento sessuale

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n fatto di fisiologia dell’accoppiamento, come già detto in precedenza, non esiste un concetto di normalità e di anomalia, quello che varia da persona a persona è il giudizio etico. Siamo soliti, infatti, considerare un comportamento come positivo o come negativo a seconda dei valori che vengono usati come parametro di valutazione. Da un punto di vista strettamente biologico, il cervello limbico racchiude i principali centri neurotrasmettitorali coinvolti nella ricerca, nella scelta e nell’ accoppiamento sessuale.

Per scatenare la tempesta sessuale quindi sono indispensabili: la dopamina, che ha una funzione stimolante e la serotonina, che invece ha una funzione inibente: queste due sostanze lavorano insieme con gli ormoni FSH e LH, che vengono secreti dall’ ipofisi. Negli uomini l’ormone che e’ il responsabile principale dei ritmi sessuali e’ il testosterone, mentre nelle donne si tratta dell’ estrogeno. Questi due ormoni fungono da regolatori del comportamento sessuale nei due sessi durante l’intero arco della vita, a partire dall’infanzia e si attivano pienamente dallo sviluppo puberale in poi.

QUANDO C’E’ IL CALO DELLA PASSIONE, COSA FARE? Lo stesso gioco, la stessa biancheria, lo stesso letto, le stesse parole, etc.. per alcune coppie sono indispensabili perché sono rassicuranti e quindi piacevoli, per altre coppie invece diventano scontati e inibitori, cosa fare allora per vivere serenamente e con soddisfazione il piacere sessuale? - Parlare con il proprio compagno, andando a visitare insieme le reciproche fantasie sessuali e i desideri nascosti, può creare dei divertenti diversivi. - Fare qualcosa di nuovo e di stimolante: in questo modo potrebbero svilupparsi delle attitudini e delle voglie sessuali che prima non riuscivano ad emergere. - Porre come obiettivo da raggiungere il desiderio del compagno

Ultimo Tango a Parigi Regia Bernardo Bertolucci Interpreti Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti, Laura Betti, Giovanna Galletti, Maria Michi. Durata h 2.16 Italia/Francia 1972 Film come questo, mostrano perfettamente come esprimersi dal punto di vista sessuale rappresenti un modo per conoscere se stessi e sperimentare le possibilità di piacere che il nostro corpo ci offre. Il messaggio che dovremmo fare nostro è che abbiamo il diritto di volere una sessualità piena e soddisfacente e di vivere il desiderio come un aspetto fondamentale dell’identità, da esplorare in una condizione di autentica intimità con il partner.

La Passione

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MEDICINA

MALATTIE RARE

Non ricevono il giusto interesse dalla ricerca scientifica. O2 Psicologia vuole approfondire l’argomento per conoscerle meglio! Dott.ssa Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa esperta in malattie rare, croniche e genetiche

Malattie Rare

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IL LIBRO

Malattia rara: cosa significa esserne affetto

Aspetti peculiari e caratteristiche emotive

Siamo solo noi Le malattie rare: storie di persone eccezionali AUTORE Margherita De Bac ANNO 2008 EDITORE Sperling & Kupfer

Con prefazione di Dario Fo il libro è una raccolta di storie vere, ognuna delle quali dedicata ad una malattia rara. Alla fine di ogni storia vi è una esaustiva scheda dedicata alla patologia trattata nella citata storia.All’interno del libro, vi sono le interviste ad Andrea Ballabio, Bruno Dalla piccola, Domenica Taruscio, esponenti di rilievo nell’ambito degli studi sulle malattie rare. Il libro offre la possibilità al lettore che si avvicina per la prima volta al mondo delle malattie rare, una lettura semplice e discorsiva, senza nulla togliere alla scientificità dell’argomento trattato.

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e malattie rare sono circa 7.000 e colpiscono, in Italia, almeno un milione e mezzo di persone; la maggior parte di queste patologie è di origine genetica, molte comportano ritardo mentale, quasi tutte implicano grave compromissione della qualità della vita, anche in età adulta. L’evento malattia, già di per sé traumatico e doloroso, diviene di ancor più difficile gestione quando si tratta di malattia rara. Lo stato d’animo che caratterizza questi pazienti oscillano tra senso di isolamento, di sfiducia, di timore di essere soli e di non essere compresi; tutto ciò naturalmente contribuisce ad acuire la fragilità emotiva, soprattutto nei soggetti maggiormente predisposti all’ abbattimento

O2 Psicologia - Anno 2 N.ro 7

e alla depressione. Altro aspetto strettamente legato alla malattia rara è quello della cronicità: essere portatori di una patologia rara significa, nella quasi totalità dei casi, che per tutta la vita (indipendentemente dell’epoca di insorgenza della malattia) se ne sarà affetti… Significa che non ci sarà il tempo della guarigione… In alcuni casi sarà possibile vivere periodi di remissione del male, in molti altri le fasi di riacutizzazione e/o di aggravamento metteranno a dura prova anche i soggetti caratterialmente più forti. I genitori dei piccoli pazienti si porranno domande sul “dopo di noi”, i pazienti adulti avranno difficoltà a delineare i propri progetti di vita, restando legati all’ attesa ed alla speranza di nuove cure e terapie che, spesso, non arrivano.


Sapevi che? Una malattia è rara se si presenta di rado. In particolare, in Europa è considerata rara una malattia che colpisce meno di 1 individuo su 2000.

L’aspetto psico-sociale

Il paziente, la vita gli affetti… il suo mondo raro

Quando

L

e malattie rare implicano l’impiego di forti risorse sia da un punto di vista medico-clinico, sia da quello psico-sociale: la mancanza di supporti pratici, di servizi territoriali e finanziari ai pazienti ed alle famiglie, unitamente alla sofferenza fisica ed emotiva legata all’evento malattia, generano precarietà e instabilità, sentimenti riconducibili al timore che la malattia diventi rottura del delicato equilibrio tra mente e corpo, tra psiche e soma. In linea con quanto affermava lo psichiatra e psicoanalista cileno Matte Blanco “… gli aspetti corporei e gli aspetti psichici marciano sempre uniti senza essere tuttavia la stessa cosa”. Un paziente “raro” dovrà essere pronto ad affrontare le inevitabili conseguenze in ambito sociale derivanti dalla sua malattia: a scuola, nelle scelte professionali, nella vita

nel dolore si hanno

affettiva, nel tempo libero… senza tuttavia lasciarsi condizionare da scelte frettolose o poco attinenti alle sue reali attitudini e passioni, ma, anzi, stando ben attento a coltivare quel benessere emotivo e psicologico, la cui presenza è strettamente legata ad una maggiore adesione alle cure ed alle prescrizione mediche. La malattia rara non è mai malattia individuale: per la sua stessa natura, infatti, essa coinvolge non solo il paziente, ma l’intero nucleo familiare, i medici di riferimento, gli amici, i colleghi… a meno che, per quanto possibile, non la si nasconda (il che, tra l’altro, significherebbe rifiutarla). La comunità in cui il soggetto abitualmente si muove verrà a conoscenza della patologia e degli aspetti clinico-emotivi ad essa correlati, rendendola, se non meno rara, almeno più conosciuta.

compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze William

Shakespeare

Malattie Rare

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IL FILM

Pazienti rari, non lasciamoli soli!

MASK Regia Peter Bogdanovich Interpreti Cher, Eric Stoltz, Sam Elliot, Laura Dern, Lawrence Monoson. Durata h 2.00 USA 1985

Questo film è ispirato alla reale vicenda di Rocky Dennis, un ragazzo californiano affetto dalla craniodiafisaria displasia, una malattia rarissima meglio conosciuta c om e l e o n tiasi. Il cranio assume una forma leonina in seguito ad un deposito irregolare di calcio. Diretto da Peter Bogdanovich, il regista de “L’ultimo spettacolo”, e s ceneggi ato da Anna Hamilton Phelan, il film è una storia toccante e drammatica di questo giovane che non si lascia scoraggiare dalle difficoltà che il destino gli ha imposto, ma affronta ogni singolo giorno della propria esistenza con un’irrefrenabile gioia di vivere.

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Il piccolo mondo in espansione

L

e malattie rare sono circa 7.000 e colpiscono, in Italia, almeno un milione e mezzo di persone; la maggior parte di queste patologie è di origine genetica, molte comportano ritardo mentale, quasi tutte implicano grave compromissione della qualità della vita, anche in età adulta. L’evento malattia, già di per se traumatico e doloroso, diviene di ancor più difficile gestione quando si tratta di malattia rara. Lo stato d’animo che caratterizza questi pazienti oscillano tra senso di isolamento, di sfiducia, di timore di essere soli e di non essere compresi; tutto ciò naturalmente contribuisce ad acuire la fragilità emotiva, soprattutto nei soggetti maggiormente predisposti all’ abbattimento e alla depressione. Altro aspetto strettamente legato alla malattia rara è quello della cronicità: essere portatori di una patologia rara significa, nella quasi totalità dei casi, che per tutta la vita (indipendentemente dell’epoca di insorgenza della malattia) se ne sarà affetti… Significa che non ci sarà il tempo della guarigione… In alcuni casi sarà possibile vivere periodi di remissione del male, in molti altri le fasi di riacutizzazione e/o di aggravamento metteranno a dura prova anche i soggetti caratterialmente più forti. I genitori dei piccoli pazienti si porranno domande sul “dopo di noi”, i pazienti adulti avranno difficoltà a delineare i propri progetti di vita, restando legati all’ attesa ed alla speranza di nuove cure e terapie che, spesso, non arrivano.

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MEDICINA

Margherita De Bac

O2 Psicologia intervista la cronista di storie rare

M

Dott.ssa Graziella Ceccarelli, Psicologa

argherita De Bac, giornalista del Corriere della Sera, scrive di medicina, sanità e bioetica. All’attività giornalistica unisce quella di formazione e insegnamento di tecnica della comunicazione scientifica. Il suo modo di scrivere semplice e chiaro permette la trasmissione di argomenti molto delicati e di difficile divulgazione al grande pubblico di lettori. Grazie al suo impegno e lavoro le malattie rare non sono più un tabù. Due anni fa pubblica, “Siamo solo noi le malattie rare: storie di persone eccezionali”. Quest’anno è uscito un secondo volume: “Noi, quelli delle malattie rare-storie di vita, d’amore e di coraggio”. Questo libro, raccoglie le storie di persone e famiglie davvero speciali. “Un libro scritto d’impulso”, dichiara l’autrice, “senza nessuna strategia. Semplicemente sentivo che avrei dovuto raccontare quelle storie. Storie di persone eccezionali. Ho seguito l’istinto e il fiuto del cronista…” O2 Psicologia ha deciso di intervistarla per diffondere l’impegno che c’è dietro una grande passione: dare una voce e raccontare storie che di solito non vengono ascoltate e “raccontate”. Margherita De Bac prova a fare questo con grande professionalità e nello stesso tempo semplicità e chiarezza, avvicinandosi alle storie di malattie rare in tutti i modi e con tutti i mezzi a disposizione, sfruttando ciò che di positivo regala la nuova tecnologia e il web. Medicina

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Da dove nasce l’interesse per la medicina e soprattutto per un campo così particolare e “invisibile” come quello delle malattie rare? Ho cominciato il mio cammino nel mondo del giornalismo quando avevo 22 anni. Nell’87 sono stata assunta al Corriere della Sera, il quotidiano dei miei sogni. Ho scritto di sport, cronaca, attualità e un giorno mi è stato affidato il settore della medicina che in quel momento aveva bisogno di una “penna” dedicata all’argomento. Perché le malattie rare? Le ho conosciute per caso attraverso i racconti di persone incontrate per lavoro e subito mi sono resa conto di quanto fosse importante denunciare l’esistenza di problemi poco noti. E’ difficile che argomenti di questo genere trovino il dovuto spazio su un giornale riempito di notizie perché l’attualità ha sempre la precedenza. Così ho pensato a un libro, come strumento di divulgazione. Un libro semplice, non tecnico, che si avvicinasse al pubblico comunicando

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esperienze umane. “Noi, quelli delle malattie rare - storie di vita, amore, coraggio”, racconta storie di persone affette da malattie rare: in che modo ha scelto le storie pubblicate? Non ho scelto le storie. Sono arrivate a me spontaneamente, senza che seguissi un disegno definito. Sarebbe stato ingiusto scegliere perché avrebbe significato selezionare. Così mi sono lasciata guidare dagli imprevisti, da un filo rosso che da una storia mi ha condotto alla successiva per una sorta di destino. Tante altre persone avrebbero meritato di essere ricordate in questo libro ma anche qui lo spazio era limitato e a un certo punto mi sono dovuta fermare. E’ stata un’avventura molto intensa e continua ad esserlo perché il dialogo con le famiglie non si è mai interrotto. Attraverso il mio blog www.lemalattierare.info continuo a raccogliere testimonianze di fiducia e gratitudine commoventi che mi rendono felice di


aver intrapreso questo impegno. L’esperienza vissuta durante la stesura del primo libro, “Siamo solo noi - le malattie rare: storie di persone eccezionali”, quanto e in che modo ha condizionato la scelta di scrivere il secondo? Pensavo di fermarmi dopo il primo libro. Credevo che la mia esperienza sarebbe terminata con “Siamo solo noi” perché difficilmente sarei riuscita a scrivere altre pagine così impegnative dal punto di vista emotivo. Invece l’editore Sperling e Kupfer ha ritenuto non fosse venuto il momento di scrivere la parola fine. Mi è stato chiesto un secondo libro. Ed ecco “Noi, quelli delle malattie rare”, più maturo e completo. E altrettanto sentito. Le storie di persone affette da malattie rare, trovano spazio anche in rete, con il suo blog (www.lemalattierare.info), che riscuote un enorme successo. In che modo pensa che il linguaggio del web possa facilitare l’avvicinamento e la comprensione delle malattie rare? Il web è uno strumento formidabile. Credo che oggi chi fa comunicazione come me non possa prescindere da un’esperienza nella rete. Tante persone mi hanno cercata e si sono raccontate come quelle del libro. Storie di coraggio, amore e determinazione. Niente lacrime. Tanta voglia di parlare. Più volte ha dichiarato che l’ascolto è tra le medicine più efficaci per questo tipo di malattie. Cosa si sente di consigliare a chi non riesce ad emergere dal silenzio della sofferenza e della solitudine? Parlare è già di per se una consolazione. La

sensazione di essere ascoltati trasmette conforto, specie se ad ascoltarti è un estraneo che dimostra di farlo senza compatimento ma con concretezza e senso della realtà. A questi miei nuovi amici ho insegnato a comunicare, ho fatto capire quanto sia importante non rinchiudersi nel proprio dolore ma denunciare a voce alta mostrando il proprio viso. All’inizio molti erano scettici, sospettosi. Mi chiedevano di non scrivere il loro nome. Poi hanno capito. Ora ho uno stuolo di testimonial pronti a mostrarsi in televisione. Hanno capito che funziona. Che aiuta. L’argomento delle malattie rare definito un TABU’ sta, invece vivendo, grazie al suo grande impegno, una visibilità mai avuta prima. Come continuerà questo impegno... ci sarà un terzo libro? Non ci sarà un terzo libro perché sarebbe una inutile ripetizione e sono sicura non riuscirei a mantenermi allo stesso livello sul piano dell’efficacia e delle emozioni da trasmettere. Insomma, temo uscirebbe qualcosa di stucchevole. Il mio impegno per le malattie rare però non si interrompe. Il blog è più che mai vivo e vivace. Vorrei magari trasformare quest’esperienza sul web con qualcosa di più compiuto e utile. Vedremo, ho molti progetti. Lo strumento del libro ha funzionato. Purtroppo è vero: E’ l’unica iniziativa a favore delle malattie rare che mantiene continuità. Cosa è per lei il benessere? Il benessere è addormentarsi la sera senza brutti pensieri, con il desiderio di svegliarsi presto la mattina successiva per godere il piacere di un altro giorno. E’ una sensazione dolcissima. Quando mi succede e la mattina vedo le luci dell’alba sento di essere davvero fortunata. Medicina

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“NOI, QUELLI DELLE MALATTIE RARE - STORIE DI VITA, AMORE, CORAGGIO”

Quello che racconta Margherita De Bac è un universo popolato da persone speciali che ogni giorno combattono contro l’indifferenza della società con forza amore e speranza. Genitori che lottano per la sopravvivenza dei loro bambini, che a volte ce la fanno anche in assenza di farmaci. Medici e ricercatori che senza mai arrendersi dedicano tutto il loro impegno a patologie che sono “orfane” e invisibili. La De Bac è stata supportata e sostenuta anche durante questo secondo viaggio dalle associazioni e dalle famiglie che attraverso il passaparola hanno partecipato ai tanti eventi organizzati, superando così anche la barriera della “vergogna” e dell’isolamento sociale. “Mi hanno in un certo senso adottata, sollevata in aria come i giocatori col loro allenatore dopo aver vinto la partita”, afferma l’autrice parlando dei veri protagonisti delle sue storie rare.

Medicina

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Cromoterapia Il colore aiuta a vivere meglio

E’ una tecnica terapeutica che si origina dalla convinzione che i colori ci influenzano a livello fisico, oltre che emotivo.Siamo circondati da colori e la nostra vita è ricca di sfumature diverse, pensare di poter utilizzare la cromoterapia nella vita di tutti i giorni può essere un’idea per avvicinarci al benessere in maniera più completa. A partire dal colore dell’arredamento e dell’abbigliamento fino ad arrivare a quello che dà tono agli strumenti di utilizzo quotidiano: telefonini, automobili, computer…


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MEDICINA

RIFLESSO BIANCO Retinoblastoma cos’è e cosa fare per prevenire

Dott. Marco Paggi Dott.ssa Paola Indovina Prof. Antonio Giordano


Retinoblastoma

Come si manifesta

I

l retinoblastoma è una malattia neoplastica in cui le cellule neoplastiche prendono origine dalla retina, ovvero dal tessuto nervoso che si trova all’interno dell’occhio. Sebbene possa insorgere a tutte le età dell’individuo, dal punto di vista epidemiologico, la grandissima parte dei pazienti è composta da bambini di età inferiore ai 5 anni. È un tumore che, se diagnosticato in tempo e curato in maniera ottimale, spesso non provoca localizzazioni a distanza

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O2 Psicologia - Anno 2 N.ro 7

e può essere curato in maniera definitiva. Il retinoblastoma si presenta, comunque, come una neoplasia con uno spettro di variabilità prognostica alquanto ampio. È importante considerare che la ricerca scientifica nell’ultimo ventennio ha compiuto passi estremamente importanti, arrivando ad individuare le cause che lo determinano e, quindi, a migliorare di gran lunga la sopravvivenza e la guarigione di pazienti che, per la loro tenera età hanno una potenziale aspettativa di vita molto elevata.


“Sleep” Salvador Dalì Olio su tela (1937)

Il riflesso malato

Sintomi Diagnosi e Prognosi

S

intomi dell’insorgenza di questa malattia sono la “pupilla bianca” o “leucocoria”, un riflesso bianco retropupillare, lo strabismo e il dolore e rossore oculare. Poiché questi sintomi possono essere causati anche da altre malattie, la diagnosi deve essere assolutamente affidata ad uno

specialista. La prognosi è spesso, ormai, buona anche se collegata allo stadio della patologia al momento della diagnosi, alla dimensione e al numero dei tumori, all’eventuale presenza di glaucoma. La prognosi è molto più grave in pazienti in cui, al momento della diagnosi, siano già presenti localizzazioni a distanza. Malattie Rare

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IL LIBRO

Comprendere la malattia

Il retinoblastoma ereditario

Volevo guidare il taxi AUTORE Cinelli Elena ANNO 2007 EDITORE Kimerik

Questa storia ha come protagonista una ragazza non vedente, per un retinoblastoma da quanto aveva sei mesi Elena. Il suo handicap non le impedisce di vivere con grande coraggio una sua normalità, piena di amore e affetti. Ma la malattia, molto grave, la costringe a prendersi cura di se stessa, a mettersi in gioco, a dimostrare e dimostrarsi di che pasta è fatta, ad aprirsi agli altri e ad accettare il loro aiuto. Forte e debole allo stesso tempo; ottimista eppure profondamente scoraggiata nei momenti più duri della malattia, Elena dimostra di essere una ragazza capace di tutto.

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U

n importantissimo sviluppo per la comprensione e, quindi, per la terapia del retinoblastoma è consistito nell’individuazione di un fattore proteico e del relativo gene la cui difettosa funzione provoca l’insorgenza di questo tumore a partire dalle cellule nervose della retina. Questo gene e questa proteina sono chiamati “retinoblastoma” o più brevemente “RB”. Infatti, il retinoblastoma, in una certa percentuale di casi, è causato da una mutazione genetica trasmessa dai genitori. Questo tipo di retinoblastoma è chiamato “ereditario; quello in cui non vi è trasmissione ereditaria e si basa su eventi casuali che provocano la mutazione nello stesso gene, si chiama, invece, “sporadico”. Perché la malattia si manifesti clinicamente, e’ necessario che nella cellula retinica entrambe le copie del gene (una di derivazione paterna e l’altra materna) risultino

O2 Psicologia - Anno 2 N.ro 7

mutate. Si capisce, quindi perché dal punto di vista clinico, il retinoblastoma ereditario insorga ancor prima di quello sporadico. Il primo, infatti, per insorgere ha necessità di mutare solo una delle due copie del gene RB, essendo l’altra già acquisita mutata da un genitore. Inoltre, il paziente con retinoblastoma ereditario presenta un elevatissimo rischio di sviluppare la malattia bilateralmente, ovvero in ambo gli occhi, o anche “trilateralmente”, in quanto la mutazione genica favorisce la trasformazione neoplastica anche in altre strutture, tra le quali la ghiandola pineale nel cervello, considerata da alcuni, appunto, come il “terzo occhio”. Ovviamente, i bambini con retinoblastoma ereditario dovranno sottoposti a controlli periodici per il resto della vita: albergando in tutte le cellule dell’organismo una delle due copie del gene RB difettosa hanno una maggiore propensione alla trasformazione tumorale in tutti i tessuti.


Il ruolo dell’impegno scientifico Diviene importante supportare la ricerca scientifica sullo studio e la cura del tumore infantile intraoculare retino blastoma per migliorare la conoscenza delle alterazioni molecolari che lo causano e per trovare nuove strategie preventive e terapeutiche.

Verso la “guarigione” Il perfezionamento della cura

È

innegabile, a questo punto, che la conoscenza specifica che la scienza ha prodotto sul gene RB e sulla sua proteina e le ripercussioni cliniche nei pazienti con retinoblastoma siano estremamente positive. Abbiamo infatti compreso appieno la causa della malattia, sappiamo interpretarne la gravità e, quindi, migliorare nettamente la cura, con la possibilità di agire in maniera “personalizzata” sul paziente a seconda della gravità del danno che

ha prodotto l’insorgenza del retinoblastoma. Pazienti con retinoblastoma ereditario, ad esempio, sono ora considerati dal clinico in maniera estremamente differente dai casi di retinoblastoma sporadico, e la discriminazione iniziale è resa possibile solo dagli studi molecolari a livello del gene e della proteina RB. Inoltre, – e non è cosa di poco conto – è stato possibile generalizzare queste conoscenze anche nell’ambito di moltissimi altri tumori e non solo del retinoblastoma, che rimane una malattia relativamente rara.

IL GENE “RB” APRE NUOVE STRADE ALLA RICERCA SCIENTIFICA Le funzioni “positive” del gene L’ “RB” e’ un gene oncosoppressore e come tale in grado di contrastare la potenziale insorgenza di tumori in tutti i tessuti dell’organismo. Un gene RB sano produce una proteina RB sana la quale svolge un enorme numero di funzioni fisiologiche all’interno della cellula come: - La replicazione; - Il differenziamento, ovvero la specializzazione funzionale, diversa per ogni singolo tessuto dell’organismo; - Lo sviluppo embrionale; - La morte cellulare programmata (apoptosi). Al cattivo funzionamento della proteina è attribuita la causa, quindi, dell’insorgenza e progressione delle neoplasie, dei difetti differenziativi sia nei tessuti dell’adulto che nello sviluppo embrionale e, non ultima, la particolare tenacia alla sopravvivenza di alcuni cloni tumorali che eludono i complessi sistemi di sorveglianza che esistono nel nostro organismo.

Malattie Rare

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Bambini affetti da Retinoblastoma Aggiornamenti e testimonianze dal Kampala (Uganda)

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a gennaio 2009 a oggi ben 14 altri casi si sono presentati! Il 16 giugno è arrivata Nelly. Due giorni dopo, il 18 giugno, è arrivata da Goma, Stéphanie. Il 22 giugno è arrivata da Mwenga, dove la famiglia è scappata per sottrarsi ai pericoli delle Operazioni militari in corso contro i miliziani del FDLR (Operazione Kimya II), Furaha. Il 12 Luglio 2009, Nelly e Furaha, accompagnate dai rispettivi papà, sono partite alla volta del “Mulago Hospital” di Kampala. Il giorno prima, l’11 luglio era arrivato un altro bimbo di 3 anni: Bukuze. Il 15 luglio è arrivata una bimba di 2 anni: Kakusubi. La loro partenza per l’Ospedale di Kampala è avvenuta il 2 agosto 2009. Il giorno dopo, 3 agosto, è arrivato Muhindo, un bimbo di 3 anni. Avuta conferma della diagnosi da parte dell’ Oftalmologo dell’ospedale generale di Bukavu, ho dato ai parenti del bambino tutte le spiegazioni sulla

necessità delle cure all’ospedale di Kampala. Il papà di Muhindo, dicendo che tornava al villaggio col bambino per prepararsi al viaggio, non si è inspiegabilmente fatto più vivo. Il 22 settembre sono arrivati in un solo colpo altri due bambini: Ansima, una bimba di tre anni la quale, dopo un breve ricovero all’ospedale generale di Bukavu, è partita per Kampala accompagnata dal papà, e Delphin. Essendo il retinoblastoma di Delphin in uno stadio molto avanzato e trattandosi in più di una recidiva, è rimasto sotto cura dell’oftalmologo dell’ospedale generale di Bukavu che cercherà di fare il suo possibile per curare l’infezione. Le foto sono state inviate da padre Giovanni Querzani, missionario Saveriano, al Prof. Giordano. Da circa quarant’anni padre Giovanni Querzani e’ impegnato con la sua missione a Bakavu nella regione del sud Kivu nella Repubblica Democratica del Congo dove presta assistenza ai bambini poveri ed ammalati di retinoblastoma. Malattie Rare

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A Villa Eden di Merano (BZ) La bellezza si crea!

Pubbliredazionale

Trattamenti innovativi e cucina raffinata per imparare a volersi bene

La bellezza è qualcosa che si crea. O meglio che si fa emergere dall’interno, come se fosse una scultura che esce dalla prigione del marmo. Alla Villa Eden di Merano (BZ) l’ispirazione che guida l’intero staff è una filosofia di vita che parte dall’interno. Perché questa destination spa non è una beauty farm come ce ne sono tante. L’idea di fondo è che bellezza e benessere siano inscindibili, e che si possano conquistare, adottando uno stile di vita sano e creando armonia tra il corpo e la mente. A Villa Eden i programmi di benessere sono composti da un equilibrio tra dolce movimento, trattamenti estetici ed alimentazione calibrata. Il tutto in un ambiente esclusivo e raffinato, dove ogni dettaglio concorre a realizzare l’atmosfera perfetta per rilassarsi e sentirsi bene con se stessi. Nella cucina di Villa Eden la creatività si esprime ai massimi livelli. Perché per proporre un’alimentazione light senza rinunciare al gusto ogni ingrediente è selezionato accuratamente, e abbinato secondo criteri che tengono conto della linea e

della gola! Ad esempio la ghiotta paella si presenta in veste vegetariana; la pasta è quella di farro o integrale; il pesce è freschissimo e servito crudo o al vapore. Si scoprono sapori inediti e che soddisfano il palato, e nel contempo si impara come servire anche a casa propria piatti sfiziosi e leggeri. Villa Eden Leading Medical Spa propone programmi settimanali (con trattamento di pensione completa) come: Villa Eden à la carte, Sovrappeso, Vita & Salute, Vita & Bellezza, Antistress, Anticellulite, e programmi brevi: Just Relax, Antiaging Intensivo, Mamma & Figlia, Personal Moving, Manager Relax e Villa Eden Break, tutte combinazioni speciali. E qui si possono provare gli effetti della dieta disintossicante, del risveglio muscolare, dello yoga, e ancora: diagnostica tomografica, terapia biofisica, drenaggio linfatico, algheterapia, acquagym, appuntamenti quotidiani con l’équipe medica per verificare i progressi e resoconto finale con la consegna del dossier personale e le schede-cura da seguire a casa.




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