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Scoperti marcatori per metastasi al colon

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La ricerca dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” e del Cnr di Napoli apre la strada a nuove terapie mirate

Sebbene i numeri siano in calo grazie all’efficacia dei programmi di screening, nel 2020 sono state 43.702 le diagnosi di tumore del colon-retto effettuate in Italia, un tipo di cancro che rappresenta ancora oggi nel nostro Paese la seconda causa di morte oncologica (la terza nel mondo) alle spalle del carcinoma del polmone. Statistiche che la dicono lunga sulla necessità di agire per scoprire come ridurre l’impatto di questa malattia per salvare quante più vite possibile. Ed è proprio quello che hanno fatto i ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” del Cnr di Napoli, autori di uno studio realizzato grazie al sostegno della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, scoprendo un meccanismo alla base della forma-

zione di metastasi che potrebbe consentire di sviluppare nuove terapie mirate proprio contro tali fattori, eliminando in maniera selettiva una specifica popolazione di cellule tumorali.

I risultati della ricerca italiana, pubblicati sulla rivista Theranostics, si concentrano sull’identificazione - da parte degli studiosi - di due marcatori molecolari che inducono le cellule staminali tumorali del colon verso lo sviluppo di metastasi. La dottoressa Enza Lonardo del Cnr-Igb ha spiegato come «fra i principali fattori di rischio per la malattia vi sono l’età, una dieta poco varia e non equilibrata, il fumo ed errori casuali nel DNA che si verificano durante la divisione cellulare. Alcune delle mutazioni genetiche più frequenti in questo tipo di tumore possono causare una crescita cellulare incontrollata delle cellule stesse». L’esperta ha messo in chiaro che al netto degli importanti progressi realizzati negli ultimi decenni nella comprensione della biologia dei tumori, «l’efficacia dei trattamenti disponibili per la cura del tumore del colon-retto non è migliorata in modo significativo»; ne deriva che «purtroppo un numero crescente di pazienti al momento della diagnosi già presenta metastasi epatiche».

Una premessa che serve a chiarire l’importanza di aver scoperto dei bersagli molecolari specifici potenzialmente decisivi nel determinare il trattamento più idoneo per ogni paziente. La dottoressa Lonardo in questo senso ha dichiarato: «Diversi studi sono attualmente incentrati sulle cellule staminali tumorali, in quanto è stato dimostrato il loro coinvolgimento nel favorire la crescita tumorale e lo sviluppo di metastasi. Inoltre, le cellule staminali tumorali sono in genere altamente resistenti alla chemioterapia e possono di conseguenza essere responsabili della recidiva della malattia». Qui interviene la specificità e l’importanza del lavoro condotto dall’Istituto di genetica e biofisica Adriano Buzzati Traverso del Cnr di Napoli: «Il nostro studio - ha proseguito la dottoressa Lonardo - ha identificato una sottopopolazione di cellule staminali tumorali caratterizzata dalla elevata espressione della molecola di adesione L1cam. La co-espressione di tale fattore con il recettore Cxcr4, noto per favorire la migrazione delle cellule tumorali in organi distanti, incrementa il potenziale tumorigenico delle cellule staminali tumorali, rendendole altamente resistenti al trattamento chemioterapico e favorendo l’insorgenza di metastasi, in particolare nel fegato».

Una scoperta di grande rilevanza scientifica quella realizzata dai ricercatori dell’istituto partenopeo, con i ricercatori che hanno inoltre identificato alcuni meccanismi molecolari alla base della elevata co-espressione di questi marcatori. Essi risultano assenti nelle cellule del colon normale, mentre vengono attivati in quelle tumorali che risiedono in un microambiente povero di ossigeno e in presenza della molecola Nodal. La presenza di entrambi questi fattori (ipossia e Nodal) induce l’espressione di L1cam e Cxcr4 - spiega il Consiglio Nazionale delle Ricerche - promuovendo così l’insorgenza di un fenotipo più aggressivo e meno responsivo alle terapie farmacologiche convenzionali. Per realizzare queste importanti scoperte scientifiche, gli autori dello studio si sono avvalsi dell’impiego di modelli cellulari tridimensionali, i cosiddetti organoidi, derivanti da cellule tumorali di pazienti, che hanno consentito loro di riprodurre in laboratorio le caratteristiche biologiche essenziali dei tumori del colon-retto nonché la loro architettura.

La dottoressa Lonardo ha concluso notando come «questa scoperta potrebbe permettere lo sviluppo di nuovi farmaci che agiscano in modo specifico sia attraverso la riduzione diretta dell’espressione dei due marcatori» che inducono le cellule staminali tumorali del colon a sviluppare metastasi, «sia in maniera indiretta sul microambiente tumorale, ad esempio aumentando l’ossigenazione della massa tumorale o modulando la via di segnalazione mediata da Nodal». La scienziata si è detta infatti convinta che «tali nuovi approcci potrebbero avere importanti implicazioni cliniche, nel ridurre drasticamente il potenziale tumorigenico delle cellule e di conseguenza ridurre drasticamente la recidiva e la formazione di metastasi». Se lo augurano vivamente, non solo gli scienziati che hanno lavorato a questo studio nella speranza di apportare un contributo fattivo alla ricerca contro il cancro, e in particolare quello del colon-retto, ma soprattutto tutti i pazienti - i loro cari - affetti da una tipologia di tumore che soltanto nel 2020 è stata responsabile in Italia della morte di quasi 20mila persone. Un numero, sebbene in calo rispetto al passato, ancora troppo alto. (D. E.).

Nel 2020 sono state 43.702 le diagnosi di tumore del colon-retto effettuate in Italia, un tipo di cancro che rappresenta ancora oggi nel nostro Paese la seconda causa di morte oncologica (la terza nel mondo) alle spalle del carcinoma del polmone.

© Kateryna Kon /shutterstock.com

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