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I peptidi batterici sulle cellule tumorali potenziali bersagli dell’immunoterapia
Sulla superficie delle cellule tumorali possono essere presenti frammenti proteici di batteri che possono essere riconosciuti dal sistema immunitario. Questa scoperta potrebbe avere implicazioni per l’immunoterapia contro il cancro
di Valentina Arcovio
Nei tumori umani ci sono colonie diverse di microrganismi [1][2][3][4][5], che insieme formano il cosiddetto microbiota tumorale [6][7][8][9][10]. Queste colonie possono influenzare il microambiente del tumore, ad esempio provocando infiammazione o soppressione immunitaria locale [11][12][13][14][15]. Ciò può portare a cambiamenti significativi nel modo in cui il sistema immunitario del nostro organismo risponde al tumore. Non solo. Questo può anche alterare le risposte a una determinata terapia [16]. Un nuovo studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori - Shelly Kalaora ,Adi Nagler ,Deborah Nejman, Michal Alon, Chaya Barbolin, Eilon Barnea, Steven LC Ketelaars, Kuoyuan Cheng, Kevin Vervier, Noam Shental, Yuval Bussi, Ron Rotkopf, Ronen Levy, Gil Benedek, Sophie Trabish, Tali Dadosh, Smadar Levin-Zaidman, Leore T. Geller, Kun Wang, Polina Greenberg, Gal Yagel, Aviyah Peri, Garold Fuks, Neerupma Bhardwaj, Alexandre Reuben, Leandro Hermida, Sarah B. Johnson, Jessica R. Galloway-Peña, William C. Shropshire, Chantale Bernatchez, Cara Haymaker, Reetakshi Arora, Lior Roitman, Raya Eilam, Adina Weinberger, Maya Lotan-Pompan, Michal Lotem, Arie Admon, Yishai Levin, Trevor D. Lawley, David J. Adams, Mitchell P. Levesque, Michal J. Besser, Jacob Schachter, Ofra Golani, Eran Segal, Naama Geva-Zatorsky, Eytan Ruppin, Pia Kvistborg, Scott N. Peterson, Jennifer A. Wargo, Ravid Straussman & Yardena Samuels - ha dimostrato che i batteri che si trovano nel tumore possono essere riconosciuti dal nostro sistema immunitario. In particolare, Shelly Kalaora del Dipartimento di Biologia Cellulare Molecolare del Weizmann Institute of Science di Rehovot, Israele, e i suoi colleghi hanno scoperto che il sistema immunitario può individuare e riconoscere frammenti di proteine batteriche, chiamati peptidi, che si trovano sulla superficie delle cellule tumorali. A riconoscerle sono le cellule immunitarie, chiamate linfociti T. Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, potrebbe essere utile per lo sviluppo di nuovi approcci immunoterapici nella lotta al cancro.
Le molecole chiamate antigeni tumorali consentono al sistema immunitario di distinguere le cellule tumorali da quelle sane. Ogni cellula contiene una sorta di “macchina” per la produzione dell’antigene, che consente ai peptidi derivati dall’antigene di essere visibili al sistema immunitario tramite molecole specializzate chiamate antigeni leucocitari umani (HLA) presenti sulla superficie cellulare. I peptidi visibili grazie ad HLA che sono riconosciuti dalle cellule immunitarie sono chiamati epitopi.
Gli antigeni tumorali si dividono in due categorie principali: associati al tumore e specifici del tumore [17]. Gli antigeni associati al tumore sono espressi nei tessuti normali così come nei tumori e quindi non attivano prontamente le risposte immunitarie. Ma se si innescano le risposte immunitarie, c’è il rischio di reazioni autoimmuni dannose contro i tessuti normali che esprimono l’antigene. Tuttavia, poiché gli antigeni associati al tumore si trovano spesso in più tipi di tumore e in molte persone che hanno il cancro, possono essere considerati buoni bersagli per immunoterapie ampiamente applicabili. Al contrario, gli antigeni specifici del tumore sono espressi esclusivamente sulle cellule tumorali e quindi sono bersagli ideali contro i quali scatenare un attacco immunitario specifico contro i tumori. Un sottotipo, i cosiddetti neoantigeni, deriva da mutazioni geniche specifiche del tumore, quindi i neoantigeni sono tipicamente specifici del tumore e del paziente.
Un cancro della pelle chiamato melanoma ha tre classi di antigeni note associati al tumore e le sue cellule in genere sono portatrici di molte mutazioni genetiche. Di conseguenza c’è alta probabilità che ci siano neoantigeni [18]. Non stupisce quindi che il melanoma sia stata la forma tumorale che ha portato alla scoperta del tumore-antigene e allo sviluppo dell’immunoterapia in onco-
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logia [19] [20] . Per questo Kalaora e i sui colleghi hanno deciso di utilizzare nel loro studio campioni di melanoma per descrivere un’altra potenziale classe di antigene tumorale.
I ricercatori si sono così proposti di studiare la composizione batterica di 17 metastasi di melanoma, cioè tumori che si sono formati a seguito della diffusione del cancro dal suo sito originario ad altre regioni del corpo, riguardanti un totale di 9 persone. Gli studiosi hanno scoperto che la composizione dei batteri era molto simile in diverse metastasi dello stesso individuo e talvolta in campioni di persone diverse. Questa scoperta indica che particolari specie batteriche sono comuni nel melanoma, in linea con quanto concluso in un precedente studio che riportava un microbiota tumorale specifico per diversi tipi di cancro [1]. Gli autori dello studio hanno anche confermato che questi batteri erano presenti nelle cellule del melanoma, piuttosto che nel microambiente extracellulare circostante.
Kalaora e colleghi hanno continuato a indagare se i peptidi di questi batteri intracellulari sono resi visibili al sistema immunitario allo stesso modo degli altri antigeni intracellulari. A tal fine, hanno utilizzato un approccio basato sulla spettrometria di massa chiamato immunopeptidomica, che consente il rilevamento diretto dei peptidi presentati da HLA. Hanno trovato quasi 300 peptidi nei loro campioni provenienti da 33 specie batteriche. Diversi peptidi sono stati trovati in più di un tumore della stessa persona e in tumori di persone diverse.
Gli autori si sono poi chiesti se i peptidi batterici siano realmente presentati dalle cellule del melanoma, piuttosto che da cellule immunitarie chiamate cellule APC (cellule che presentano l’antigene) che rilevano, assorbono e presentano agenti patogeni ad altre cellule del sistema immunitario. Per separare le cellule da due campioni di melanoma in APC e cellule tumorali, i ricercatori hanno utilizzato una proteina marker delle cellule immunitarie. L’immunopeptidomica ha rivelato che entrambi i gruppi di cellule presentavano peptidi batterici.
Un sottoinsieme di peptidi è stato presentato sia dagli APC che dalle cellule tumorali, indicando che lo stesso peptide può avviare una risposta immunitaria attraverso la presentazione sugli APC e allo stesso tempo essere un bersaglio per l’attacco immunitario alle cellule tumorali. I ricercatori hanno quindi dimostrato che le cellule T (che riconoscono i peptidi presentati da HLA) isolate dai melanomi hanno reagito ai peptidi batterici identificati.
Nel loro insieme, i risultati dello studio condotto da Kalaora e i suoi colleghi indicano la possibilità che i peptidi batterici visualizzati dal tumore siano una classe di antigeni tumorali precedentemente non identificata. Tuttavia, ci sono ancora molte domande che rimangono senza risposta. Per essere antigeni tumorali veri e propri, le specie batteriche identificate non devono invadere i tessuti non tumorali e i loro peptidi non devono essere presentati su HLA su cellule non tumorali. Se così non fosse, i peptidi non potrebbero essere più qualificati come bersagli dell’immunoterapia. Inoltre, i peptidi batterici sembrano essere abbastanza abbondanti (almeno, rispetto al numero di neoepitopi melanomatici identificati [20]), allora perché l’organismo non innesca una risposta immunitaria efficace contro i melanomi? Saranno necessari ulteriori studi sui peptidi batterici che sono visibili dal tumore in combinazione con le informazioni sui
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pazienti per chiarire il potenziale ruolo clinico dei peptidi. Tali dati potrebbero aiutare i ricercatori a selezionare bersagli batterici adatti per approcci di immunoterapia contro il cancro.
In conclusione, i peptidi batterici identificati da Kalaora e i suoi colleghi potrebbero essere bersagli interessanti per l’immunoterapia. Poiché i peptidi batterici sono “non-self”, per l’organismo umano dovrebbe essere relativamente facile suscitare forti risposte immunitarie contro di loro e non ci sarebbero preoccupazioni sull’autoimmunità se si potesse accertare che non si presentano su alcun tessuto normale. Pertanto, i peptidi batterici che si osservano dal tumore potrebbero servire come antigeni specifici del tumore condivisi tra le persone. Si tratta di una combinazione rara e utile per le terapie, finora vista solo nei tumori indotti tramite virus, in cui gli epitopi possono essere derivati da proteine virali che causano il cancro [18] . Dati recenti indicano che i batteri che invadono il tumore potrebbero essere un fenomeno comune [1], [15]. Quest’ultimo lavoro dei ricercatori potrebbe quindi gettare le basi per l’identificazione di antigeni specifici del tumore condivisi in un’ampia gamma di tipi di tumore, aprendo così la strada allo sviluppo di nuovi approcci immunoterapici, potenzialmente più efficaci degli attuali e utilizzabili contro diversi tipi di cancro.
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