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Anticorpi monoclonali per bloccare le metastasi

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© Mirror-Images/shutterstock.com

La ricerca italiana sulle metastasi ossee del cancro al seno: il ruolo della proteina integrina alfa5 e la svolta del Volociximab

Un anticorpo monoclonale capace di bloccare le metastasi ossee nel tumore al seno: è questo l’obiettivo raggiunto da uno studio internazionale multicentrico pubblicato sulla rivista Oncogene, condotto da Francesco Pantano dell’Unità di Oncologia medica del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, in collaborazione con l’Inserm di Lione, l’Institut Curie di Parigi e l’Università di Amburgo.

Da uno screening esteso sul genoma di pazienti affetti da tumore della mammella il team di studiosi ha identificato la proteina integrina alfa5 come uno dei fattori più coinvolti nei processi di metastatizzazione ossea, ovvero quei fenomeni che possono essere responsabili della comparsa di recidiva del tumore anche a distanza di anni dal termine dei trattamenti chirurgici e adiuvanti.

Rispetto alla proteina integrina alfa5 l’equipe ha anche studiato il suo ruolo effettivo all’interno del processo di metastatizzazione, riuscendo a bloccarne l’azione mediante l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale Volociximab, la cui elevata efficacia è stata dimostrata prima su modelli in vitro e poi in vivo. Il dottor Pantano ha spiegato: «La proteina integrina alfa 5 è il “gancio” con cui la cellula tumorale si lega alla fibronectina, che è altamente presente nel microambiente osseo. Questo aggancio, il primo evento che porta allo sviluppo delle metastasi, viene bloccato dal Volocixamab che si frappone alle due molecole e ferma la propagazione del tumore nell’osso. Il risultato è molto promettente anche perché il farmaco è sicuro, è già stato testato e non è tossico».

Già in passato Volociximab era stato studiato come farmaco anti angiogenetico per inibire fenomeni correlati alla crescita del tumore causati dall’integrina alfa5, come la creazione di nuovi vasi sanguigni (necessari alle cellule tumorali per alimentarsi), ma senza fortuna. Disporre di un farmaco che ha già superato le prime fasi di sviluppo clinico potrebbe ridurre ampiamente l’iter di sperimentazione sull’uomo, consentendo quello che in gergo viene chiamato “Drug repurposing”, un riposizionamento terapeutico del farmaco sulla base delle nuove conoscenze acquisite.

Il dottor Pantano ha concluso: «Nonostante i successi degli ultimi anni nella lotta ai tumori, ascrivibili soprattutto alla diagnosi precoce e ai trattamenti adiuvanti, nelle forme avanzate o in casi di particolare aggressività della malattia il tumore al seno resta curabile, ma non sempre guaribile. In questo senso le metastasi ossee possono presentarsi anche a distanza di anni dalla fine delle cure perché una chirurgia precoce non garantisce assenza di recidiva al 100 %. Bloccare la possibilità di una diffusione a livello osseo della malattia significherebbe, non solo ridurre il dolore o le fratture che peggiorano di molto il benessere della persona, ma anche migliorare l’aspettativa di vita».

Nel 2020 sono 55mila le diagnosi di tumore al seno effettuate in Italia: sebbene la mortalità sia in calo (la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è all’87%) secondo Aiom ancora quest’anno sono morte 12.300 per via della malattia. (D. E.).

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