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Il calore contro il tumore alla tiroide
Studio italiano dimostra i buoni risultati sul trattamento dei microcarcinomi della tiroide con la termoablazione
di Elisabetta Gramolini
La prima pubblicazione europea sull’applicazione clinica della termoablazione nel trattamento dei microcarcinomi della tiroide è italiana ed è firmata dall’Università Statale di Milano e dall’Istituto europeo di oncologia (Ieo). Lo studio, apparso su “Frontiers in Endocrinology”, è stato condotto da Giovanni Mauri, ricercatore presso l’ateneo milanese, afferente alla divisione di Radiologia Interventistica dello Ieo, in collaborazione con la divisione di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale, della divisione di ricerca applicata per le Scienze Cognitive e Psicologiche e dell’unità di Radiologia Clinico Diagnostica. Il calore che distrugge il tumore non è una novità.
Da quasi due decenni la tecnica viene utilizzata per alcuni tipi di tumore e in specifiche condizioni. Contro la neoplasia del fegato, delle ossa, dei reni e del polmone, la termoablazione viene impiegata con successo evitando la chirurgia classica, certamente più invasiva. Solo recentemente sono stati sviluppati dispositivi da termoablazione specifici per il collo che hanno aperto la strada alla metodica, in alcuni Paesi asiatici usata spesso al posto della chirurgia mentre in Europa applicata principalmente in casi non operabili. «Alcuni autori – aggiunge Mauri - hanno pubblicato su singoli casi a scopo sperimentale, in particolare in un caso si è fatta prima la termoablazione e poi l’operazione chirurgica. Oppure nei casi in cui i pazienti non erano operabili. Allo Ieo è dal 2018 che abbiamo introdotto la termoablazione nella pratica clinica anche per casi tecnicamente operabili».
La sperimentazione all’Istituto milanese ha osservato 11 casi di tumori papillari della tiroide trattati con termoablazione ecoguidata, con laser o radiofrequenza. In regime di anestesia locale, i radiologi interventisti hanno inserito uno speciale ago estremamente sottile che, mediante l’energia termica, ha permesso di distruggere il tumore, preservando il tessuto sano circostante. I risultati sono stati soddisfacenti, specie per quanto riguarda la fase post-operatoria: «Nei pazienti trattati con termoablazione – spiega Giovanni Mauri – abbiamo ottenuto la distruzione radicale del tumore, senza che si verificassero complicanze ed i pazienti sono potuti tornare alle proprie attività quotidiane, già dal giorno successivo. Il trattamento, che viene effettuato in regime di day surgery e in anestesia locale, è di estrema precisione e ha consentito di mantenere del tutto integra la funzione della tiroide. Nessun paziente ha dovuto iniziare una terapia ormonale sostitutiva in seguito all’intervento e tutti hanno riportato una
massima soddisfazione e un minimo, o nullo, discomfort di poche ore in seguito al trattamento».
Ai pazienti coinvolti nello studio sono state poste tre strade: la termoablazione, la sorveglianza attiva e l’operazione chirurgica. «Ad oggi – dice Mauri - la maggior parte dei centri propone la chirurgia. In alcuni si inizia a suggerire la sorveglianza attiva, nel caso in cui i tumori siano piccoli e il rischio metastasi sia basso. Sappiamo come un paziente a cui viene diagnosticato un tumore sia molto preoccupato e non sempre accetti di non intervenire. Offrire invece un trattamento mininvasivo che mantiene l’organo, ma allo stesso tempo consente di eliminare il tumore, è un’alternativa accolta molto positivamente dai pazienti. Per questo, abbiamo coinvolto la divisione di Psiconcologia che ha valutato la soddisfazione del paziente tramite uno specifico questionario». Per la buona riuscita dello studio, è molto importante la selezione delle persone destinatarie della tecnica: «Il primo step – racconta il ricercatore - è stato proporre la metodica agli otorini che hanno individuato i pazienti candidabili con tumore alla tiroide. Sui 13 giunti alla nostra valutazione, due non possedevano le caratteristiche necessarie. Era infatti sconsigliabile per loro dal momento che, se il tumore ha già invaso la capsula della tiroide, è preferibile asportare la ghiandola per via chirurgica». Una delle problematiche finora rilevate in letteratura per gli interventi in termoablazione è la difficoltà di trattare completamente tutto il tessuto tumorale. Il calore, infatti, si diffonde a partire dall’ago e va a decrescere verso la periferia. «Bisogna ottenere – osserva Mauri - una temperatura sufficientemente alta per distruggere le cellule del tumore e, in piccola parte, anche oltre, senza danneggiare le strutture circostanti. Questa è una delle difficoltà tecniche per cui è necessario avere una buona esperienza e capacità tecnica. In questo caso, abbiamo usato il mezzo di contrasto ecografico che consente di individuare la zona bruciata rispetto a dove era posizionato il tumore con grande precisione. Non rimuovendo il tumore, rimane un margine di possibiltà che non sia stata bruciata la parte periferica». Nel post-operatorio, i pazienti sono stati poi controllati per osservare la parte ablata: «Stiamo – conclude il chirurgo - ancora seguendo i pazienti controllandoli con ecografie per osservare la cicatrizzazione ed i risultati sono soddisfacenti».
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“Nei pazienti trattati con termoablazione abbiamo ottenuto la distruzione radicale del tumore, senza che si verificassero complicanze ed i pazienti sono potuti tornare alle proprie attività quotidiane, già dal giorno successivo. Il trattamento, che viene effettuato in regime di day surgery e in anestesia locale, è di estrema precisione e ha consentito di mantenere del tutto integra la funzione della tiroide”.
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I microcarcinomi papillari
Il tumore papillare della tiroide rappresenta la gran parte dei tumori della tiroide (85%) e viene generalmente trattato mediante intervento chirurgico di asportazione della tiroide, cui può associarsi un intervento di svuotamento laterocervicale dei linfonodi del collo e un trattamento mediante radioiodio, quando il tumore si sia diffuso anche al di fuori della tiroide. Se il tumore papillare è di piccole dimensioni (< 1 cm) e confinato alla tiroide, viene definito come “microcarcinoma” papillare. Questo tipo di tumore ha una bassa aggressività, e può presentare una evoluzione estremamente lenta, tanto che alcuni autori consigliano di applicare una strategia attendista di stretto monitoraggio evolutivo, con la finalità di evitare ai pazienti l’invasività di un intervento chirurgico.