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Lo smog, grande killer invisibile
Un nuovo studio racconta come l’inquinamento atmosferico uccida quasi 9 milioni di persone all’anno
di Giacomo Talignani
Una persona ogni cinque, in tutto il mondo, muore a causa dell’inquinamento atmosferico. Più della pandemia, più di altre malattie e cause di decesso, l’inquinamento è oggi un killer invisibile che a causa dei combustibili fossili ha ucciso nel 2018 quasi 9 milioni di persone. Cifre allucinanti, quelle legate allo smog, che ci impongono un ragionamento necessario nel disegnare il Pianeta del futuro, una Terra che sta già pagando a caro prezzo l’impatto della crisi climatica in corso, che soffrirà sempre di più a causa delle emissioni climalteranti e l’innalzamento delle temperature e in cui urge un cambiamento radicale nel sostituire le sue fonti di energie, a favore di quelle rinnovabili e a sfavore dell’impiego di fonti fossili.
I numeri sulla mortalità dell’inquinamento atmosferico sono stati recentemente ribaditi in uno studio condotto dagli scienziati dell’University College of London e dell’Università di Harvard. Secondo la ricerca ogni anno perdono la vita tra 8 e 9 milioni di persone per colpa dell’inquinamento atmosferico legato alle fonti fossili: appunto un decesso su cinque (dal 18 al 21,5%).
Cifre simili a quelle diffuse nel 2019 dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, che stimava come ogni anno circa 8 milioni di decessi siano attribuibili all’inquinamento atmosferico sia in locali chiusi (4,3 milioni, sia all’aperto (3,7 milioni). Oltretutto, è un problema che per l’Oms colpisce la salute di migliaia di bambini e impatta soprattutto nei Paesi a basso medio reddito.
La nuova ricerca sottolinea in particolare la pessima qualità dell’aria che respiriamo. Aria che contiene particelle prodotte da carbone, benzina e diesel, particelle legate a fonti fossili che aggravano in generale le condizioni respiratorie favorendo problemi come l’asma e che possono portare a cancro ai polmoni, malattie coronariche, ictus e morte. Sulla rivista Environment Research i ricercatori di Harvard insieme all’Università di Birmingham e l’Università di Leicester sottolineano che «la combustione produce particelle sottili cariche di tossine che sono abbastanza piccole da penetrare in profondità nei polmoni. I rischi derivanti dall’inalazione di queste particelle, note come PM 2.5, sono ben documentati» sostiene per esempio Eloise Marais, professoressa dell’UCL.
In particolare, queste condizioni rischiano di essere fatali per milioni di persone che vivono in zone altamente inquinate e dove non si riescono a contenere i livelli di smog. Proprio recentemente gli scienziati di Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), grazie ai dati satellitari, hanno raccontato come lo smog stia raggiungendo livelli drammatici per esempio in Asia Meridionale, mettendo a rischio la salute di milioni di persone.
In Asia proprio in questo periodo è presente una foschia diffusa chiaramente osservata nelle immagini satellitari e «i principali contributi alla foschia provengono dal solfato e dalla materia organica. Le analisi mostrano che la concentrazione è rimasta elevata per un periodo prolungato, con un picco il 16 gennaio e il 1 febbraio» sostiene il CAMS. Aree e zone geografiche che attraversano India, Pakistan, Bangladesh e diversi paesi dal reddito medio basso, stanno registrando bassi livelli di qualità dell’aria che potrebbe colpire «una popolazione di oltre 400 milioni di persone» spiegano gli scienziati. Larga parte dello smog presente è direttamente imputabile al consumo di fonti fossili che, secondo il nuovo studio di Harvard, sono decisive nel compromettere la salute delle popolazioni.
«Il nostro studio - raccontano gli scienziati - si aggiunge alla crescente evidenza che l’inquinamento atmosferico derivante dalla continua dipendenza dai combustibili fossili sia dannoso per la salute globale. Non possiamo in buona coscienza continuare a fare affidamento sui combustibili fossili, quando sappiamo che ci sono effetti così gravi sulla salute e alternative praticabili e più pulite».
Per comprendere a fondo la presenza e il possibile impatto dell’inquinamento atmosferico nella nuova ricerca gli esperti hanno utilizzato il GEOS-Chem, un modello 3D globale di chimica atmosferica che combina dati legati alla risoluzione spaziale e altri fattori. Grazie a questo gli scienziati hanno diviso il mondo in zone per poter mappare e osservare meglio la presenza di Pm 2.5 e altri inquinanti, stabilendo e stimando anche la provenienza delle emissioni, per esempio, da settori quali energia, trasporti, industria e via dicendo.
Le zone con le più alte concentrazioni di smog legato ai combustibili fossili sono appunto risultate l’Asia meridionale ma anche Nord America orientale e parte dell’Europa, dove si registrano anche alti tassi di mortalità. «Invece di fare affidamento su medie diffuse in grandi regioni, volevamo mappare dove si trova l’inquinamento e dove le persone vivono, volevamo sapere più esattamente cosa respirano le persone» spiegano gli esperti. Nonostante dati e analisi per nulla incoraggianti legati a tassi di mortalità e smog, i modelli studiati dai ricercatori evidenziano però allo stesso tempo che misure legate a migliorare la qualità dell’aria possono essere efficaci: l’esposizione al particolato derivante dalle emissioni di combustibili fossili nel 2012 ha rappresentato il 21,5% dei decessi totali, ma questa è scesa al 18% nel 2018 grazie all’inasprimento delle misure per la qualità dell’aria.
Infine, gli esperti chiosano ricordando che possiamo ancora invertire la rotta traendo benefici per tutti: senza emissioni legate all’uso di combustibili fossili, l’aspettativa di vita media della popolazione mondiale potrebbe infatti aumentare di oltre un anno e i costi economici e sanitari globali diminuirebbero di circa 2,9 trilioni di dollari.
I numeri sono stati recentemente ribaditi in uno studio dell’University College of London e dell’Università di Harvard. Secondo la ricerca ogni anno perdono la vita tra 8 e 9 milioni di persone per colpa dell’inquinamento legato alle fonti fossili: appunto un decesso su cinque.
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