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Macchine molecolari: il futuro della scienza

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In futuro saranno utilizzate per costruire materiali che si adattano alle condizioni esterne, plastiche che si piegano a comando, memorie e processori ultraminiaturizzati

Jean Marie Lehn definiva così la chimica supramolecolare nel suo discorso alla cerimonia del Nobel per la chimica vinto nel 1987: «Oltre alla chimica dei legami forti, che unisce gli atomi in molecole, c’è la chimica delle interazioni deboli, quella in cui l’unione fa la forza […] Questa chimica, che possiamo chiamare supramolecolare, da luogo ad una sorta di sociologia molecolare. Le interazioni fra molecole ne definiscono il carattere interspecifico, l’azione e la reazione, la stabilità di un sistema organizzato e le affinità elettive, ovvero il comportamento degli individui e delle popolazioni molecolari».

Dai complessi abiotici, in grado di eseguire le stesse funzioni di riconoscimento e attivazione molecolare dei sistemi biochimici, la chimica supramolecolare si è evoluta verso lo sviluppo delle cosiddette “macchine molecolari”. Alcuni chimici quali Vincenzo Balzani, Jean Pierre Sauvage, Bernard L. Feringa e James F. Stoddart sono stati tra i primi a concepire e sintetizzare sistemi su scala molecolare capaci di svolgere, in seguito a un input, compiti complessi come movimenti meccanici.

Quali sono le classi di molecole che, una volta organizzate, agiscono come macchine molecolari? Lo spiega Nicola Armaroli dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Cnr: «Un sistema è costituito dai catenani, ove due macrocicli si dispongono come maglie in una catena: ciascuna entità è confinata meccanicamente alla sua compagna, quindi non può muoversi nello spazio liberamente, ma è vincolata alla rotazione attorno alla molecola partner».

La sintesi dei catenani era già nota negli anni ’50, ma solo a partire dagli anni ’80 è stato possibile ottenere questi composti con rese elevate e topologie complesse. Prosegue il ricercatore del Cnr: «Una sintesi molto efficace, sviluppata da Sauvage, prevede l’utilizzo di ioni metallici come il rame che servono da templanti, cioè vincolano due frammenti molecolari attraverso un legame di coordinazione, generando il primo nucleo della struttura del catenano, che viene poi chiuso in un successivo passaggio. I rotaxani, invece, sono costituti da un macrociclo attorno a una molecola lineare assiale che contiene due gruppi funzionali detti stopper agli estremi, ingombranti a sufficienza da non permettere al macrociclo di uscire dal filo molecolare». Conclude Armaroli: «I movimenti nelle macchine molecolari possono essere stimolati da un input chimico, come la variazione del pH, elettrochimico o fotochimico. Il pioniere dei movimenti molecolari indotti dalla luce è Vincenzo Balzani. Oggi, le macchine molecolari artificiali restano essenzialmente una curiosità scientifica, ma il loro potenziale applicativo è enorme. In futuro saranno utilizzate per costruire materiali le cui proprietà si adattano alle condizioni esterne, plastiche capaci di piegarsi a comando, memorie e processori ultraminiaturizzati, sonde nanometriche in grado di diagnosticare malattie, farmaci intelligenti che si attivano soltanto nel posto giusto al momento giusto». (P. S.).

© Karsten Neglia/shutterstock.com

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