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Il biologo che ringiovanisce le cellule

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di Carmine Gazzanni

Chi l’ha detto che il futuro prospettato da i più arditi libri di fantascienza e dalle tante serie televisive degli ultimi anni, non possa essere più che frutto dell’immaginazione di qualche autore. Chi l’ha detto che in un futuro prossimo l’idea di ritardare l’invecchiamento al punto da annullare la morte, non possa diventare realtà. Ne è convinto lo scienziato Vittorio Sebastiano, professore a Stanford: uno dei tanti “cervelli” in fuga dal nostro Paese, da dieci anni in California, e prima ancora al Max Planck Institute di Münster, in Germania, dopo una laurea e un dottorato a Pavia. Sebastiano ha sviluppato e brevettato una tecnologia per la riprogrammazione epigenetica, in grado di riparare quei danni a livello di tessuti e organi causati dall’avanzare degli anni. «Una tecnologia – dice– che adesso apre nuove prospettive nella cura di tutte quelle malattie dovute alla vecchiaia e delle malattie degenerative».

Com’è nata quest’idea, professore? «Tutto nasce da un interesse che ho nutrito a lungo, sin dai tempi del dottorato all’Università di Pavia, relativo al concetto di riprogrammazione nucleare. Sono sempre rimasto affascinato da questo concetto. Ricordo che nei primi anni 2000, al tempo appunto del mio dottorato, l’unico modo di riprogrammare una cellula era attraverso il trasferimento nucleare, il meccanismo cioè che ha portato agli esperimenti di clonazione».

La pecora Dolly, per intenderci. «Esattamente. Questi sono stati i primi esperimenti che hanno dimostrato che l’epigenoma può essere riportato a zero in uno stato embrionale. Ovvero possiamo avere embrioni geneticamente identici allo stato iniziale».

E poi cos’è successo? «Il vero grimaldello c’è stato nel 2012 quando lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka ha vinto il Nobel dimostrando che

questo processo di riprogrammazione può essere ricreato in laboratorio in vitro. Solo che lui si è concentrato su un aspetto, e cioè la possibilità di riprogrammare l’identità delle cellule, generando delle cellule con altre funzioni, come avviene nell’embrione. Yamanaka le ha chiamate “cellule staminali pluripotenti indotte”, e sono alla base oggi della medicina rigenerativa, perché possono essere impiegate per la rigenerazione di tessuti e organi danneggiati. Finora però era stato sottovalutato il fatto che queste nuove cellule sono anche giovani: l’embrione non ha la stessa età biologica delle cellule dei genitori. Da qui ci siamo chiesti: questi due aspetti – e cioè la riprogrammazione cellulare e il fatto che queste cellule ricreate sono “giovani” – sono interconnessi o possiamo in qualche modo scinderli?».

Domanda a dir poco affascinante. La risposta?

«Alcuni studi avevano già dimostrato che se si avvia una riprogrammazione cellulare e poi bruscamente viene interrotta, la cellula ricade nello stato iniziale e non perde la sua memoria funzionale. L’interrogativo allora è diventato se in questa breve finestra riusciamo a misurare un ringiovanimento. Da qui è partita concretamente la nostra ricerca».

E a cosa ha portato? «Tramite dei test su cellule umane abbiamo riscontrato che c’è un effettivo ringiovanimento delle cellule. Abbiamo isolato cellule di pazienti che avessero più di 65 anni. E finora l’abbiamo fatto con sette tipi diversi di cellule, come pelle, muscoli, cartilagini, retina, vasi e nervi. Siamo riusciti a ringiovanire le cellule, senza modificarne l’identità».

È possibile fare una stima anche degli anni di ringiovanimento?

«Questo ovviamente è più complicato perché devono essere fatti ancora altri esperimenti. Ma certamente abbiamo dimostrato che possiamo riportare le cellule indietro anche di otto anni, che diventano 15-20 nel caso di cellule muscolari».

Quali sono ora i prossimi step che vi siete prefissati?

«La prospettiva ora è passare dagli esperimenti cellulari a quelli sui tessuti. Vogliamo capire, cioè, se possiamo riuscire a ringiovanire i tessuti. Siamo convinti che questa ricerca ha enormi potenzialità, non solo nel contesto dell’invecchiamento ma anche e soprattutto nella medicina rigeneDocente a Stanford, da dieci anni vive in California. Precedentemente ha lavorato in Germania

IL BIOLOGO CHE RINGIOVANISCE LE CELLULE Vittorio Sebastiano: «La riprogrammazione cellulare può riparare i danni causati dall’età»

rativa, nel contrasto cioè alle malattie degenerative: se un tessuto smette di funzionare come prima, noi potremmo far tornare quel tessuto a uno stato funzionale».

Questo significa anche allontanare la vecchiaia. La domanda, allora, è d’obbligo. Crede che la mortalità possa essere sconfitta un giorno?

«Faccio una premessa. Il nostro obiettivo non è allungare la vita, ma curare quelle patologie il cui principale fattore di rischio è l’età, come artrite, malattie cardiovascolari e respiratorie, diabete, asma, cancro, Alzheimer. Se dimostriamo che queste cellule riprogrammate, una volta trapiantate, si comportano effettivamente come cellule giovani, allora riusciremo a contrastare anche quelle degenerazioni di tessuti e organi che sono all’origine di molte malattie causate dall’invecchiamento. Detto questo, le dico anche che io sono un biologo. E come tale sono fermamente convinto che non esistono dogmi. Tutti quelli che nel corso della storia della biologia sono stati postulati come tali, alla fine grazie alla ricerca sono stati superati. La mia opinione è che un giorno, combinando più tecnologie, in un certo qual modo si potrebbe quasi sconfiggere la morte biologica. D’altronde da un punto di vista cellulare già esiste l’immortalità: come leggere, altrimenti, il fatto che cellule germinali danno origine alle generazioni successive per ogni individuo? Di fatto già c’è un

© Giovanni Cancemi/www.shutterstock.com

continuum biologico».

Lei è la dimostrazione che ci sono eccellenze italiane in giro per l’Italia. Ha avuto modo di vivere realtà differenti nel campo della ricerca. Cosa crede manca ancora al nostro Paese per essere competitivo in quest’ambito?

«Il primo gap è senza ombra di dubbio quello economico: i finanziamenti per la ricerca in alcuni Paesi sono decisamente più abbondanti rispetto a quelli italiani, anche grazie all’impegno di finanziatori privati accanto a quelli pubblici. C’è, poi, sicuramente una questione di meritocrazia che spesso manca all’Italia. Detto questo, però, sono estremamente riconoscente al mio Paese, specie per quanto riguarda la formazione e l’istruzione».

Una sorta di gap al contrario? «Esattamente. L’insegnamento italiano è unico nel suo genere. E le dico di più: la visione in un certo senso olistica dell’università italiana influisce e non poco sui miei studi e sulla mia ricerca, mi ha profondamente influenzato. Non dimenticherò mai gli studi di storia della biologia in cui mi sono immerso e da cui, in un certo senso, non sono mai riemerso: giganti come Spallanzani mi hanno profondamente influenzato. D’altronde le domande che si rivolgevano questi grandi geni della biologia, sono le stesse che continuiamo a porci. Cambiano le tecnologie, certo. Ma le domande restano le stesse».

Chi è

Dopo la laurea e il dottorato in biomedicina applicata all’Università di Pavia, il professor Vittorio Sebastiano ha vinto una borsa di post-dottorato al Max Planck Institute di Münster, in Germania in biomedicina molecolare. Nel 2009 si trasferisce al California Institute for Regenerative Medicine di Stanford. Oggi è professore alla Stanford University e ricercatore nel campo della biologia della riproduzione, ed è co-direttore del programma di dottorato in biologia delle cellule staminali e medicina rigenerativa, e direttore dei programmi “Transgenic Knockout e Tumor Model Service” e “Human Pluripotent Stem Cells Core Facility”. Ha vinto diversi riconoscimenti internazionali, tra cui il “Woods Family Faculty Scholar in Pediatric Translational Medicine” nel 2019 e l’AFAR (American Federation for Aging Research) Junior Investigator Awardee nel 2014.

Vittorio Sebastiano.

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