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I danni alla biodiversità dell’Australia
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Gli incendi hanno distrutto quasi 10 milioni di ettari di terreno, danneggiando tanto le piante Settimane dopo i roghi che l’hanno devastata, il paese si trova oggi a far la conta dei danni I l viaggio all’inferno non attraversa solo cenere e distruzione, ma anche consapevolezza: quella di aver forse perduto per sempre qualcosa di straordinario. L’Australia regina della biodiversità, settimane dopo l’apice dei potentissimi roghi che l’hanno devastata, si trova oggi a far la conta dei danni. Morti, case e abitazioni distrutte, migliaia di sfollati e un’emergenza che più di tutte sembra non avere fine: la perdita di biodiversità.
Le cifre possono impressionare - come quando si disse in piena emergenza che quasi 1 miliardo di animali potevano essere stati uccisi dalle fiamme - ma la realtà è che stimare davvero quanto è svanito è complessissimo. Perché oltre a canguri e koala, simbolo dell’Australia che tutti conosciamo, a pagare un prezzo altissimo per gli incendi che hanno distrutto quasi 10milioni di ettari sono state per esempio le piante.
Su 331 specie animali e vegetali che hanno perso almeno il 10% del loro areale, la maggior parte, 272, sono proprio vegetali, secondo una lista stilata dal dipartimento dell’Ambiente del governo australiano. Fra queste ci sono i pini di Wollemi, ma anche quindici specie di acacia e diciotto di eucalipto, tra cui l’Eucalyptus imlayensis, catalogato come “in pericolo critico”. Insieme a questa specie fra le piante “critiche” che potrebbero presto scomparire dato che hanno perso l’80% del loro areale ci sono poi la Nightcap oak (Eidothea hardeniana) pianta scoperta appena nel 2000, oppure la genziana di Bredbo (Gentiana bredboensis), la Latrobea colophona, l’orchidea di Kelton (Prasophyllum keltonii) e tante altre. Con cadenza mensile, nuovi elenchi saranno poi stilati per indicare le specie vegetali in pericolo, così come quelle animali, e serviranno anche e soprattutto per indirizzare i fondi e le tante donazioni ricevute in programmi specifici che avranno lo scopo di riuscire a preservare e sviluppare la oggi fragile biodiversità australiana.
Fra gli animali, mentre preoccupa il Dunnart di Kangaroo Island (Sminthopsis aitkeni) che potrebbe essere uno dei primi ad essere dichiarati estinti, l’attenzione è rivolta oggi soprattutto ai “simboli” dell’Australia, come i koala uccisi e bruciati che hanno perso almeno il 30% di habitat e i wallaby devastati ai roghi. Fra quelli che hanno perso oltre l’80% del loro areale si contano invece il ragno-botola pigmeo Bertmainius colonus e appunto il Dunnart, piccolo marsupiale di cui si spera di trovare traccia magari in qualche tana di Kangaroo Island. Ma l’elenco degli animali ridotti al limite della sopravvivenza è davvero lungo e comprende per esempio anche la rana stuttering, lo scinco endemico delle Blue Mountains (Eulamprus leuraensis), l’echidna Tachyglossus aculeatus multiaculeatus, il catatua nero lucente Calyptorhynchus lathami halmaturinus
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e tantissimi altri. Nell’ultimo report diffuso dal governo viene stilato un elenco preliminare delle specie più colpite, catalogando soprattutto quelle a rischio estinzione attraverso un metodo che tiene conto della condizione di flora e fauna anche prima dei roghi.
In totale sono ben 113 specie animali ad essere state dichiarate dall’esecutivo federale “più vicine all’estinzione”, tanto che serve una azione “urgente” per salvarle. Fra queste 19 specie di mammiferi, 13 specie di uccelli, 20 di rettili, 17 rane, 5 invertebrati, 22 specie di crostacei e 17 pesci. «Alcune specie erano già minacciate prima degli incendi, ma questa nuova analisi include altre specie di mammiferi, uccelli, rettili, rane e crostacei, che prima non erano considerate in pericolo» hanno fatto sapere gli esperti.
Secondo il Wwf i roghi da novembre a febbraio hanno bruciato le Gospers Mountains, riducendo in cenere quasi 200.000 ettari di foreste; le Blue Mountains, enorme sistema di aree protette dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco di cui circa il 20% è andato distrutto; devastato almeno un terzo di
Oltre 331 specie, tra animali e vegetali, hanno perso almeno il dieci per cento del loro areale I DANNI ALLA BIODIVERSITÀ DELL’AUSTRALIA
Kangaroo Island, area da elevata biodiversità, e bruciato oltre il 10% della superficie dei Parchi Nazionali del Nuovo Galles del Sud, la regione più colpita del Paese. Soprattutto in queste aree, privi di ripari e con un habitat devastato dagli incendi, uccelli e piccoli mammiferi sono oggi già esposti a predatori fra cui i gatti selvatici, mentre i pesci rischiano a causa di sedimenti e cenere trasportate dalle piogge nei fiumi.
Ecco perché per poter proteggere questi animali il governo federale sta pensando ora a diversi sistemi, fra cui il lancio di cibo, programmi di riproduzione e reintroduzione, ma anche controllo dei predatori non endemici come gatti e volpi. Per il progetto di salvaguardia della biodiversità e protezione, dal koala sino alle rane, sono già stati stanziati almeno 50 milioni di dollari australiani. «Anche se - fanno sapere i funzionari - molte zone colpite dagli incendi sono ancora irraggiungibili e non sicure, dunque è presto per fare stime precise sui danni a fauna e flora in certe aree. Ci sarà ancora moltissimo lavoro da fare per salvare la nostra biodiversità». (G. T.).
Così la crisi climatica “piega” l’ecosistema
Nessun luogo della Terra, in termini di conservazione della biodiversità, si può oggi considerare al sicuro. Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, oggi il cambiamento climatico e i suoi effetti stanno sconvolgendo luoghi che da migliaia di anni garantiscono la tutela di specie animali e vegetali fra le più antiche al mondo. Con il surriscaldamento questi “hotspot” di biodiversità, come ad esempio le foreste dell’Australia, quelle guineane nell’Africa occidentale, le aree dell’Amazzonia oppure delle Ande, sono oggi soggette a profondi cambiamenti e il rischio di estinzione precoce di diverse specie è “in aumento”. Per Damien Fordham, professore dell’Università di Adelaide e coautore della ricerca, finora è stata proprio “la stabilità climatica dei rifugi di biodiversità e la presenza al loro interno di vegetazione autoctona a far continuare a sopravvivere per millenni migliaia di specie”. Con l’accelerazione dei cambiamenti climatici si sono però innescate nuove variabili che sembrano aver messo in crisi questi meccanismi millenari. © Anna Levan/www.shutterstock.com