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Pesca, Mediterraneo sovrasfruttato

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Pesca, Mediterraneo sovrasfruttato Il Wwf propone soluzioni per salvaguardare la biodiversità

Biodiversità a rischio con lo sfruttamento intensivo degli ecosistemi marini. Secondo il Wwf, se si mantenesse invariata la pressione attuale della pesca si potrebbe arrivare, nei prossimi 50 anni, a una riduzione progressiva del pescato e dei relativi profitti, un indebolimento degli stock ittici e danni per gli ecosistemi. Per risolvere il problema le soluzioni ci sono ma vanno intraprese immediatamente per puntare ad una pesca sostenibile e al buono stato ecologico previsti dalle direttive europee. Al contrario, il prezzo che pagherebbero le comunità e l’ambiente sarebbe altissimo.

È questa la sintesi di un lungo lavoro di analisi portato avanti dal progetto Safenet (Sustainable Fisheries in Mediterranean EU waters through networks of MPAs) finanziato dalla Commissione europea, a cui collabora anche il Wwf, per trovare soluzioni al problema della sovra-pesca che siano basate su strumenti di gestione dello spazio marino nell’area del Mediterraneo nord-occidentale.

«Il 2020 – ha dichiarato Giulia Prato, Marine Officer del Wwf Italia – è un anno chiave per fermare e invertire la rotta che sta portando al degrado della biodiversità. Le analisi suggeriscono che le soluzioni per portare benefici all’ambiente e ai pescatori ci sono e che sono almeno 6 i passi necessari per ottenere effetti positivi su alcuni stock ittici oggetto sia della pesca a strascico che della piccola pesca ma anche sulla salute degli ecosistemi marini».

Uno dei pilastri delle soluzioni proposte è rappresentato dalle aree marine protette del Mediterraneo: il 9,68% del bacino è designata come aree marina a vario titolo protetta principalmente nel nord del bacino (includendo Aree Marine Protette designate a livello nazionale, Siti Natura 2000, la parte marina dei siti Ramsar e delle riserve della biosfera dell’UNESCO e le Aree Specialmente Protette di Interesse Mediterraneo, ASPIM), ma per lo più è costituita da piccoli paper park. Infatti, appena l’1,27% del Mediterraneo è coperto da aree a vario titolo protette che implementano i propri piani di gestione mentre un esiguo 0,03% è protetto integralmente. Questo “spezzatino” disomogeneo di aree di limitata estensione non può agevolare il ripopolamento degli stock ittici sulla scala del Mediterraneo nord-occidentale.

Secondo le simulazioni del progetto Safenet, reti di tante aree a protezione integrale possono ospitare una biomassa di pesce comparabile a quella all’interno di grandi aree completamente protette. Dopo una media di 10 anni possono offrire benefici di pesca molto maggiori. In particolare, è stato stimato che le specie di alto valore commerciale (saraghi e cernie) aumentino di sei volte la biomassa nelle aree protette collegate da dispersione larvale rispetto alle aree non protette. Invece, reti di aree protette non connesse da dispersione larvale non mostrano benefici per la pesca.

Inoltre, le simulazioni indicano che le catture delle principali specie costiere potrebbero aumentare quando le zone a protezione integrale ricoprono il 10% della superficie delle aree marine protette stesse. Anche la pesca a strascico beneficerebbe delle chiusure in determinati spazi: ad esempio nel Mar Tirreno settentrionale e nel Mar Ligure, con una pressione di pesca ai livelli attuali nei prossimi 15 anni si stima un declino delle catture di nasello del 5-10%. Si può invece invertire la rotta tutelando un’area di riproduzione e di concentrazione dei giovanili. La ricerca chiede anche una migliore gestione della pesca ricreativa e della piccola pesca per ridurre l’impatto su specie vulnerabili quali tonni, squali, tartarughe marine e cetacei. (F. F.) Le aree a protezione integrale possono garantire un vitale “serbatoio” di biomassa di pesce

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