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INTERVISTE
PIANTE PER PRODURRE ORMONI, ANTICORPI E, PERCHÉ NO, VACCINI
Si fa sempre più promettente la frontiera del Molecular farming come alternativa alla produzione tradizionale di farmaci
Ormoni, anticorpi e, perché no, vaccini prodotti a partire da… piante. Fantascienza? No, una realtà che potrebbe essere non troppo lontana, almeno stando allo studio pubblicato da un team di ricerca italiano – composto da scienziati di ENEA, Università di Verona e Università della Tuscia di Viterbo, CNR e ISS – pubblicato sulla rivista Frontiers in Plant Science. La tecnologia alla base di questa nuova prospettiva – chiamata “Plant molecular farming” – non è poi così recente, è nata circa 30 anni fa e fin dai suoi albori ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, le ha dedicato tempo ed energie fino ad arrivare, oggi, all’acquisizione di un know-how in grado di portare a una (non troppo lontana) implementazione pratica delle sue potenzialità. Quali? «L’obiettivo è utilizzare le piante come “biofabbriche” per produrre biofarmaci – spiega Selene Baschieri, ricercatore senior del Laboratorio di Biotecnologie dell’ENEA – bypassando le difficoltà classiche dell’industria farmaceutica, a partire dalle tempistiche che, con questa tecnologia, si riducono in modo significativo. Un biofarmaco è una molecola strutturalmente complessa a struttura proteica; più semplicemente: una proteina prodotta da cellule; gli anticorpi, per esempio, vengono prodotti dai linfociti B, gli ormoni invece dalle ghiandole».
Proprio nelle ultime settimane si è parlato a lungo delle difficoltà, soprattutto temporali e logistiche, che le aziende farmaceutiche italiane incontrerebbero qualora fosse consentita la produzione in loco dei vaccini contro il Covid-19: difficoltà che scaturiscono dalla carenza di bioreattori (apparecchiature in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici, tradizionalmente batteri, lieviti e cellule di insetto o di mammifero), dove in condizioni ottimali vengono incubate e fatte proliferare le cellule necessarie a produrre i biofarmaci, e dal lungo tempo necessario alle singole fasi, che vanno anche sottoposte a rigorosi controlli da parte delle autorità regolatorie. «Con le biofabbriche, invece, si sfrutterebbero non singole cellule, ma l’intero organismo pianta – precisa Marcello Donini, ricercatore presso il laboratorio di Biotecnologie Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA – a partire, nel nostro studio, da un batterio del suolo: Agrobacterium tumefaciens. Come, concretamente? Si trasferisce l’informazione all’interno di ciascuna cellula della pianta immergendola in una soluzione a base di questo batterio. Una volta integrata quell’informazione, basta far crescere la pianta in una serra per circa 5-7 giorni. Le foglie vengono raccolte e processate per purificare la molecola di interesse, che sia un anticorpo o un vaccino».
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© LuckyStep/shutterstock.com
Il principio alla base di tutto questo, spiega Donini, è la trasformazione transiente: in sostanza, ci tiene a precisarlo non si sta parlando di piante transgeniche o geneticamente modificate. Un processo estremamente rapido e a costi contenuti, che in alcuni paesi del mondo ha già percorso molta strada. «In Canada, per esempio – va avanti Donini -, dove la società Medicago è già in grado di produrre con questa tecnologia un vaccino per l’influenza stagionale che, come sappiamo, deve essere “aggiornato” ogni anno, e quindi necessita di tempi rapidi. Il loro metodo – basato su particelle simil-virali (VLP, “virus-like particles”, particelle che mimano il virus ma innocue perché prive di capacità infettive) - ha già superato tutti gli studi clinici e a breve potrebbe raggiungere la commercializzazione. La stessa società canadese sta anche lavorando, con la stessa metodica, a un vaccino anti-Covid, e attualmente gli studi clinici sono in fase III. Ancora, in Israele, c’è un farmaco prodotto in cellule di carota già approvato dalla Food and Drug Administration statunitense e commercializzato, destinato alla cura della malattia di Gaucher, una patologia ereditaria autosomica recessiva». E in Italia? «Siamo ancora fermi alla ricerca di laboratorio», chiosa Donini.
Ma se un’azienda farmaceutica volesse rivolgere il proprio sguardo alla Molecular farming cosa dovrebbe fare in concreto? «Tutti i gruppi coinvolti nello studio sono a disposizione con il proprio know-how e i propri brevetti in materia – asserisce Selene Baschieri -: ciò che serve è una struttura, che si tratti di una serra tradizionale o di un impianto di vertical farming, più, chiaramente, i laboratori convenzionali per lavorare sul batterio. Certo, rispetto ai bioreattori – per i quali comunque ci vorrà qualche mese – in questo caso si parte da zero e l’investimento non è da poco: va detto, però, che avrebbe dei grossi vantaggi, potendo diversificare facilmente prodotto all’interno della stessa struttura e in tempi molto rapidi. Basti pensare che per soddisfare l’intera domanda italiana di vaccini o reagenti per i test diagnostici per il Covid-19 basterebbe una serra di 12.500 metri quadri o un impianto di agricoltura verticale di soli 2.000 metri quadri. Insomma, sarebbe un’alternativa davvero valida». (C. D. M.)
Cellule vegetali al microscopio. La tecnologia “Plant molecular farming” è nata circa 30 anni fa e fin dai suoi albori ENEA le ha dedicato tempo ed energie fino ad arrivare, oggi, all’acquisizione di un know-how in grado di portare a una (non troppo lontana) implementazione pratica delle sue potenzialità.
© Barbol/shutterstock.com
Donini e Baschieri, scienziati ENEA a capo dello studio
Lo studio pubblicato su eLife porta la firma di un team composito di studiosi. Tra questi: Marcello Donini, dal 2006 ricercatore presso il laboratorio di Biotecnologie Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Biotecnologie vegetali presso l’Università della Tuscia di Viterbo e ha partecipato a numerosi progetti di ricerca
”nazionali ed europei, specializzandosi in produzione di biofarmaci nelle piante; e Selene Baschieri, ricercatore senior del Laboratorio di Biotecnologie dell’ENEA, che vanta più di trent’anni di esperienza in campo immunologico e biotecnologico, con particolare expertise in Molecular Farming. Il Giornale dei Biologi | Marzo 2021 13