Intervista
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PIANTE PER PRODURRE ORMONI, ANTICORPI E, PERCHÉ NO, VACCINI Si fa sempre più promettente la frontiera del Molecular farming come alternativa alla produzione tradizionale di farmaci
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rmoni, anticorpi e, perché no, vaccini prodotti a partire da… piante. Fantascienza? No, una realtà che potrebbe essere non troppo lontana, almeno stando allo studio pubblicato da un team di ricerca italiano – composto da scienziati di ENEA, Università di Verona e Università della Tuscia di Viterbo, CNR e ISS – pubblicato sulla rivista Frontiers in Plant Science. La tecnologia alla base di questa nuova prospettiva – chiamata “Plant molecular farming” – non è poi così recente, è nata circa 30 anni fa e fin dai suoi albori ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, le ha dedicato tempo ed energie fino ad arrivare, oggi, all’acquisizione di un know-how in grado di portare a una (non troppo lontana) implementazione pratica delle sue potenzialità. Quali? «L’obiettivo è utilizzare le piante come “biofabbriche” per produrre biofarmaci – spiega Selene Baschieri, ricercatore senior del Laboratorio di Biotecnologie dell’ENEA – bypassando le difficoltà classiche dell’industria farmaceutica, a partire dalle tempistiche che, con questa tecnologia, si riducono in modo significativo. Un biofarmaco è una molecola strutturalmente complessa a struttura proteica; più semplicemente: una proteina prodotta da cellule; gli anticorpi, per esempio, vengono prodotti dai linfociti B, gli ormoni invece dalle ghiandole».
12 Il Giornale dei Biologi | Marzo 2021
Proprio nelle ultime settimane si è parlato a lungo delle difficoltà, soprattutto temporali e logistiche, che le aziende farmaceutiche italiane incontrerebbero qualora fosse consentita la produzione in loco dei vaccini contro il Covid-19: difficoltà che scaturiscono dalla carenza di bioreattori (apparecchiature in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici, tradizionalmente batteri, lieviti e cellule di insetto o di mammifero), dove in condizioni ottimali vengono incubate e fatte proliferare le cellule necessarie a produrre i biofarmaci, e dal lungo tempo necessario alle singole fasi, che vanno anche sottoposte a rigorosi controlli da parte delle autorità regolatorie. «Con le biofabbriche, invece, si sfrutterebbero non singole cellule, ma l’intero organismo pianta – precisa Marcello Donini, ricercatore presso il laboratorio di Biotecnologie Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA – a partire, nel nostro studio, da un batterio del suolo: Agrobacterium tumefaciens. Come, concretamente? Si trasferisce l’informazione all’interno di ciascuna cellula della pianta immergendola in una soluzione a base di questo batterio. Una volta integrata quell’informazione, basta far crescere la pianta in una serra per circa 5-7 giorni. Le foglie vengono raccolte e processate per purificare la molecola di interesse, che sia un anticorpo o un vaccino».